Leader - Aprile 2018

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Anno 1 N°3




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sommario

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editoriale

VISA: FIDELIZZARE I CLIENTI ATTRAVERSO I PAGAMENTI CANON: UN’AZIENDA IN TRASFORMAZIONE NELL’IMAGING MONCLICK.IT: UNA MARCIA IN PIÙ GRAZIE A UNIEURO NH HOTEL GROUP: LA PIATTAFORMA PER LA BUSINESS INTELLIGENCE LIDL: UNA “NUOVA” INSEGNA PER UN NUOVO MERCATO I.A.N.G.: INTERNAZIONALIZZARE IL BUSINESS PER CONTINUARE A CRESCERE WITAILER: COME MASSIMIZZARE I MARKETPLACE E LA MULTICANALITÀ SAP: TRA THINKING ECONOMY E DIGITAL DISRUPTION INNOFEST 2018: LG METTE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE OVUNQUE CON THINQ IDENTIKIT DL CONSUMATORE NELL’EPOCA DIGITALE HONG KONG, PORTA D’ORIENTE PER IL BUSINESS D’OCCIDENTE SEGMENTO DEL BIANCO: L’EVOLUZIONE DEGLI ELETTRODOMESTICI COACHING: COME AFFRONTARE IL FUTURO CHE È GIÀ QUI LE NOVITÀ DI FUJIFILM E FORREST GRANT SCENARIO CONNECTED CAR: COSA CERCANO DAVVERO GLI ITALIANI

LEADER

C’è un clima di caccia alle streghe. Forse alimentato da troppe dicerie e da tante componenti che hanno modificato il commercio. Se ci si limita a leggere i titoli dei giornali che non approfondiscono i fatti, può sembrare che ci sia correlazione tra le vicissitudini dei retailer della consumer electronics e l’aumento del giro d’affari di Amazon. In troppi ci si nasconde dietro al concetto della “partita dispari” che avviene sul Web: da una parte le insegne con radici fisiche che si spostano sull’online, dall’altra il far west di siti nell’illegalità. Di fatto, questa è una visione semplicistica e poco fine del mercato. Così arrivano richiami ai Governi per imporre regole restrittive al fine di bloccare questa competizione impari. Certo questo è un elemento che consuma quel poco di ossigeno che è rimasto nelle bombole di una distribuzione in crisi d’identità (e va regolato e bloccato), ma negli anni il retail ha fatto della “partita dispari” un elemento endogeno. Con Internet è esplosa la tendenza. Il fatto è che per troppo tempo si è sottovalutato l’e-commerce e intanto il consumatore è cambiato, totalmente. Risultato: si sono pericolosamente fusi i concetti di “acquisto” e di “shopping”. L’acquisto è un atteggiamento di consumo basato sulla necessità, quasi transazionale perché vive sull’approccio funzionale più che emotivo. Le persone agiscono in modo razionale, cercando il prodotto migliore in base allo studio delle caratteristiche tecniche. Appiattendo, quindi, qualsivoglia emotività: l’efficienza economica, il risparmio e il miglior rapporto prezzo/prestazioni guidano questa dinamica. Questo è l’ambito dove vince l’online, perché permette di navigare in un’offerta infinita. Tant’è che in questo scenario sono ritenuti più affidabili e neutri i siti di comparazione dei prezzi: una volta scelto il modello da acquistare in modo euclideo, il cliente finale va alla ricerca del prezzo migliore, scevro dal servizio. Il compito del retail e dei brand è però ritornare verso un concetto di shopping, perché in quello dell’acquisto vince l’e-commerce. Lo shopping è esperienza d’acquisto, quella vera non come leva di marketing. In modo più pratico, vive di godimento del processo di scelta del prodotto e di scoperta delle sue caratteristiche fisiche e funzionali, in un percorso nel quale il consumatore è assistito, capito e valorizzato. Perché, è bene ricordarlo, spesso e volentieri l’acquisto di un bene corrisponde a un traguardo personale molto importante per le persone. È la concretizzazione di un percorso spesso non facile, che passa dai risparmi e arriva al ruolo sociale del bene orgogliosamente mostrato ad amici, conoscenti, colleghi e familiari. Per questo lo shopping ha una spiccata natura interattiva tra le persone, che spendono più tempo a guardare, provare, saggiare e a godersi il gusto di ogni step che porta al pagamento. Anche su quest’ultimo punto si può fare tantissimo per renderlo privo di attrito, quasi trasparente, perfino fidelizzante. E sarebbe già un ottimo inizio.

anno 1 - numero 3

La Publiedim S.r.l. Direzione, amministrazione e pubblicità: via Matteo Civitali, 51 - 20148 Milano Telefono: 02.48703201 r.a. leader@publiedim.com redazione@publiedim.com grafica@publiedim.com Testata periodica iscritta nel Registro della Stampa presso il Tribunale di Milano il 09/04/2018 con il numero 108. Iscritta nel Registro degli Operatori di Comunicazione con il n. 6107.

di Luca Figini Direttore responsabile luca.figini@publiedim.com

30 marzo 2018 Testate del Gruppo Leader Dealer Mono by Ei dal 1960 EiMag.it - www.eimag.it - www.eimagpro.it iGizmo.it - www.igizmo.it

Hanno collaborato Dino del Vescovo, Virginia Galli, Antonella Tereo, Walter Ravizza

Direttore Responsabile Luca Figini

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Direttore Editoriale Fiorenza Moradei fiorenza.moradei@publiedim.com Coordinamento Redazionale Roberto Bonin roberto.bonin@publiedim.com

Art Director Lucia Moradei

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5 - aprile 2018


C O V E R

intervista a Davide Steffanini di Luca Figini

Semplificare i pagamenti per fidelizzare i consumatori L’obiettivo è fare sparire il momento della transazione dal processo d’acquisto, rendendolo trasparente e privo di attrito. Parola al General Manager di Visa Italia

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isa è il più diffuso sistema di pagamento al mondo. È nato nel 1958 in California da Dee Hock con l’idea che le transazioni potessero diventare una sequenza di elettroni per perfezionare l’acquisto di beni, ovunque nel mondo. «L’innovazione è sempre stata nel nostro Dna», spiega Davide Steffanini, General Manager di Visa in Italia. «Abbiamo mantenuto coerente la visione del nostro fondatore nel corso del tempo senza rinunciare all’evoluzione tecnologica per rinnovare di continuo il concetto di payment». Negli ultimi 10 anni l’accelerazione verso le nuove tecnologie e la digitalizzazione ha impattato in modo ancora più determinante rispetto a quanto successo nei precedenti 50 anni. «Il commercio è cambiato radicalmente. Prima della diffusione massiva di Internet, il processo d’acquisto prevedeva l’ingresso in un negozio fisico, la scelta della merce e, infine, il pagamento alla cassa. L’e-commerce ha stravolto tutto: il negozio non ha più il monopolio della distribuzione dei prodotti e i consumatori hanno mutato l’approccio alle categorie merceologiche». Con la diffusione pervasiva della connettività questo schema si è ulteriormente complicato e modificato perché la carta di credito non è più l’unico strumento per pagare. «Il Web ha trainato l’adozione di informazioni digitali di pagamento, parlo dei token. Stiamo assistendo alla trasformazione da oggetto per i pagamenti a dato personale, che diventa quindi disponibile su tutti i dispositivi (soprattutto quelli mobili). La carta di credito diventa token e quest’ultimo può essere memorizzato ovunque, ampliando in modo esponenziale il panorama di pagamenti attuabili: si pensi alla possibilità che frigoriferi effettuino la spesa da soli oppure la semplificazione nell’accesso ai servizi afferenti alla sharing economy. Il token fa tendere a zero lo sforzo e il tempo dedicato al pagamento, con conseguente risultato che l’operazione diventa parte integrante del servizio». Dunque l’effettivo beneficio del servizio o del bene diventa determinante rispetto al suo acquisto effettivo. Spiega Steffanini che «nel prossimo futuro i pagamenti sono destinati a sparire, ossia utilizzando tecnologie tali che il versamento di denaro risulterà indolore e automatico, in un livello invisibile rispetto al servizio o all’attività di shopping».

Su qui si incardina un’importante innovazione di Visa, ossia trasformare la customer journey spostando il pagamento dal check-out al check-in. «L’esercente sarà fin da subito in possesso delle credenziali del consumatore, con il risultato che avrà accesso a un paniere di informazioni aggiuntive di profilazione. L’esperienza d’acquisto quindi migliora perché sparisce il passaggio spesso cruciale, per esempio a causa delle code alla cassa oppure dell’interazione poco premiante al momento del pagamento. Il tutto si riduce alla presa di possesso del bene o alla fruizione del servizio, mentre la transazione economica effettiva si virtualizza». Così il pagamento diventa un elemento cruciale nelle attività di fidelizzazione della clientela. «In Italia sono ancora in pochi che hanno capito come proporre soluzioni efficienti per creare valore agli occhi dei consumatori, sfruttando i big data generati dalle transazioni per dare vita a una profilazione. Per questo diciamo che un euro transato con la carta vale molto più di un euro: porta con sé un moltiplicatore relativo allo spessore dei dati sulle abitudini delle persone».

UN EURO SPESO CON CARTA DI CREDITO VALE PIÙ DI UN EURO PERCHÉ GENERA BIG DATA

IL CONTANTE

In teoria, sono numerose le leve che potrebbero fare cambiare l’abitudine degli italiani a rinunciare ai pagamenti in contanti per passare a mezzi più evoluti, dalle carte fino alle piattaforme di mobile payment. In pratica, ciò non avviene: «I nuovi sistemi di transazione si stanno diffondendo solo in certe fasce limitate della popolazione, mentre la maggior parte degli italiani continua a usare il contante. In Italia l’infrastruttura e il numero di carte di credito ha raggiunto un livello di penetrazione paragonabile a quello degli altri Paesi europei, manca però un’azione politica che penalizzi i pagamenti in moneta sonante, a iniziare dalla Pubblica Amministrazione. Si potrebbe seguire l’esempio delle nazioni scandinave dove è addirittura impossibile usare il contante nella PA. Ecco, la digitalizzazione della nostra amministrazione pubblica potrebbe iniziare proprio da questo aspetto».

DILAZIONI SEMPLICI

E se i nuovi metodi di pagamento diventassero un’alternativa forte al credito al consumo? «È un’eventualità tutt’altro che remota», spiega Steffa-

davide steffanini

Per disincentivare l’utilizzo del contante basterebbe una legge, come già avviene in altri Paesi, per obbligare la Pubblica Amministrazione ad accettare pagamenti non in denaro liquido tra le attività svolte da visa ci sono studi ed esperimenti per capire come i consumatori si muovono all’interno dei punti vendita e ridurre al massimo l’attrito al momento del pagamento

6 - aprile 2018

nini. «La maggioranza di carte in circolazione sono di debito e non di credito. Questo perché è sempre più importante avere una rendicontazione diretta e immediata della transazione sul conto corrente. I consumatori sentono l’esigenza di verificare subito la disponibilità effettiva e non di rimandare l’addebito, quindi evitando di indebitarsi. Tendenza che si somma alla contrazione da parte delle banche delle concessioni di credito». L’idea di dilazionare il pagamento nel tempo, sotto forma di rate eventualmente gestibili in modo flessibile da parte del consumatore, è valida ma va elaborata in base alle abitudini del nostro Paese. «In Italia si è diffuso il modello anglosassone con le carte revolving ma gli italiani hanno una attitudine a esporsi al credito in modo del tutto diverso da altri mercati. Ovvero, nel nostro Paese emerge la necessità di sapere con precisione a priori il numero di rate da versare, i costi effettivi e la durata nel tempo della dilazione. Finora gli utenti italiani hanno poco compreso le revolving e hanno mostrato una chiara predilezione per il credito al consumo. L’opportunità è quindi replicare quest’ultimo sistema anche sulle carte di credito e di debito: in un momento successivo al pagamento, la banca o chi per essa dovrebbe permettere di scegliere in modo preciso la transazione da spacchettare in rate mensili. Visa fornisce gli strumenti necessari affinché sia possibile erogare questo servizio, che può essere, ancora una volta, un modo per avvicinare nuove categorie di clienti finali».



intervista a Massimiliano Ceravolo di Luca Figini

Canon è in continua trasformazione nell’imaging Massimiliano Ceravolo, Direttore Marketing B2C e della Divisione Professional Imaging, fotografa un’azienda variegata. Molto diversa da come appare Oggi che azienda è Canon? «Il Gruppo ha varie anime tutte correlate intorno a un unico concetto: l’immagine. Concetto che si declina in vari modi, ovunque entrino in gioco documenti, scatti fotografici o qualunque file che possano essere trattati, archiviati, visualizzati e processati sotto forma di informazione imaging. In ogni aspetto di questo flusso, Canon opera perseguendo eccellenza e qualità. Per esempio, nel mondo della videosorveglianza si parla un linguaggio di soluzioni per la visual communication e noi ci proponiamo con la piattaforma Canon, Milestone e Axis (società acquisita ma che di fatto opera in autonomia commerciale) al fine di offrire una soluzione completa che verte sulla security e sull’analisi video applicata alle network camera anche su grandi superfici, così da restituire informazioni precise e dettagliate sul pubblico e le persone che transitano». Come si domina questo cambiamento? «Le leve principali per domare l’evoluzione aziendale vertono su determinazione, autorevolezza e professionalità. Oltre che sulla forza del team, con l’obiettivo di spingerci sempre oltre e superare la staticità del mercato. Questo significa affrontare la quotidianità con un occhio puntato a ciò che bisogna affrontare nell’immediato futuro, per interpretare i segnali di domani».

8 - aprile 2018

Dimostriamo continuamente la nostra vocazione all’eccellenza, anche dando sempre nuovi impulsi ai mercati dove operiamo

il sistema eos è uno standard diffuso sia tra i prodotti consumer sia a livello professionale

In che modo state operando sul mercato consumer? «Il lato consumer sta conoscendo un periodo che definirei di “maturità”. Consideriamo che l’avvento del mondo digitale ha provocato un cambiamento drastico nella fotografia ma è un fenomeno recente. Altro aspetto che bisogna considerare riguarda la quantità di fotocamere digitali vendute negli ultimi 15 anni: si sono toccate punte di oltre 3 milioni di unità all’anno. Non è poco, anzi possiamo tranquillamente dire che almeno una macchina fotografica digitale è entrata in tutte le case italiane. Detto questo, bisogna ripartire da una analisi accurata dei comportamenti dei consumatori. All’interno dei cluster individuati bisogna ricondurre le ragioni che spingono le persone ad avvicinarsi alla fotografia e quindi trasformare l’analisi in leve che possano dare vita alla proposizione di prodotti e servizi. A ciò si aggiunge il comportamento dei clienti finali nei confronti dell’imaging, perché esistono vari atteggiamenti, che vanno dalla preservazione dei ricordi fino alla stampa, ai quali bisogna rispondere in modo mirato. Su queste osservazioni Canon sta virando la propria comunicazione di prodotto non già sulla caratteristica tecnica ma sul sentiment e l’ingaggio del consumatore».

AFFRONTIAMO IL MERCATO CON UN OCCHIO SEMPRE ORIENTATO ALL’IMMEDIATO FUTURO

Quali sono le regole d’ingaggio in una azienda complessa e articolata? «Per prima cosa bisogna definire bene la comunità di partner che ci assiste nello sviluppo del business. Anche in questo caso la ricerca si è concentrata su realtà pronte a sperimentare e coinvolte nella creazione di un nuovo canale di vendita e di nuove opportunità di crescita. Questa regola vale sia a livello consumer, sia B2B. Le due anime di Canon operano quindi nel segmento di gestione del flusso imaging che parte dalla comprensione dei bisogni dei nostri clienti attuali e potenziali. E parlo sia di consumatori sia soprattutto di aziende che si rivolgono a Canon per rendere più efficiente e migliore la propria attività lavorativa e la modalità in cui comunica. Per questo il nostro impegno consiste nel profondere ogni sforzo possibile per fare un’anamnesi del cliente, aiutarlo a comprendere e analizzare le eventuali criticità, quindi studiare una soluzione sartoriale, su misura con l’obiettivo ultimo di aiutare le aziende nell’affrontare i cambiamenti, anche formando il personale con le giuste competenze per sostenere l’evoluzione».

C

anon è molto diversa da come appare al primo sguardo. Basta focalizzarsi sulla sua storia recente. Nell’ultimo decennio il brand ha subito una profonda trasformazione e una rivoluzione costante per valorizzare ogni tipo di opportunità messa a disposizione dal mercato dell’imaging, sia nel B2C sia nel B2B. «Per oltre 20 anni la nostra azienda ha avuto fatturati in crescita e profitti mai in negativo: abbiamo superato tutte le possibili crisi di mercato mantenendoci in perfetto funzionamento. Siamo stati i primi a cavalcare la trasformazione digitale (in senso lato) della fotografia e questo ha contribuito, soprattutto nell’ultimo decennio, a mantenere il brand sano e redditizio», spiega Massimiliano Ceravolo, Direttore della divisione Professional Imaging e Direttore Consumer Marketing di Canon Italia. L’evoluzione dell’azienda è avvenuta grazie «alla liquidità accumulata, è iniziato un processo di diversificazione che si è concretizzato nell’acquisizione di società che aggiungessero competenze complementari al fine di ampliare l’offerta con prodotti e servizi sinergici tra loro. Così è iniziata l’integrazione anche di aziende specializzate nel software per rafforzare la proposizione di solution business, senza dimenticare la nostra vocazione B2B con proposte quali managed print services e l’information management per sostenere l’esigenza di digitalizzazione delle società italiane. Dal 2010 Canon può anche contare su Océ: la somma di queste due realtà ci permette oggi di offrire la più vasta gamma nel mondo printing in qualsiasi formato e volume, dal punto di vista professionale e consumer».

massimiliano ceravolo

Con che strumenti aiutate le aziende a comprendere l’impatto delle vostre soluzioni? «Lo strumento primario è rappresentato dalla condivisione di soluzioni già applicate in situazioni simili, con conseguente analisi dei dati raccolti per valutare insieme al cliente il ritorno degli investimenti previsti con informazioni concrete, verificate e collaudate».

Come evolverà ancora Canon? «L’imaging rimane il nostro core business, evolveranno e muteranno le applicazioni possibili. Questo permetterà di aprirci a settori commerciali e mercati differenti. Mi riferisco, per esempio, al medicale ma anche all’editoria e all’industria del fashion o al food. In ciascuno di questi comparti Canon offre soluzioni tailor made per sfruttare il concetto di immagine nella comunicazione e nella propria impronta commerciale. La curva del consumo di imaging è in costante crescita: nel 2020 si prevede saranno prodotte 450 miliardi di immagini. Una crescita esponenziale rispetto anche a solo dieci anni fa. Il nostro compito è soddisfare un target potenziale estremamente variegato e per fare questo è necessario mantenere coerenza sul brand Canon, ossia continuare a mantenere ai massimi livelli la qualità di prodotti e soluzioni». La qualità è un esercizio impegnativo, come si sviluppa? «Dimostriamo continuamente la nostra vocazione all’eccellenza anche scegliendo di arrivare sul mercato con uno scarto temporale rispetto al debutto dei trend tecnologici. E quando Canon debutta, avviene un cambio di paradigma e di standard. Il nostro intento è dare sempre nuovi impulsi ai mercati dove operiamo e dove entriamo, così affrontiamo il nostro commitment alla qualità».


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intervista a Massimo Visone di Roberto Bonin

Monclick: con Unieuro una marcia in più La recente acquisizione da parte del grande gruppo distributivo forlivese non cambia la natura e la mission del retailer online fronti: il primo è l’evoluzione della coda lunga del nostro catalogo, in modo da avere un assortimento e una griglia prodotti sempre più ricca e completa; il secondo è lo sviluppo delle operazioni in dropshipping, anche con altri partner oltre a quelli con cui stiamo già lavorando». Uno dei punti principali del “piano di governo” si può sicuramente individuare in un maggior focus sul mercato B2B2C, che da anni è uno degli elementi distintivi di Monclick. Il retailer ha saputo distinguersi nel tempo, proprio per la sua capacità di andare ben oltre la semplice vendita di prodotti. «Serviamo il mondo delle utilities, come le società energetiche, ma anche le banche e le assicurazioni, ossia tutti quei partner che hanno bisogno di una piattaforma utile per fare acquisition di nuovi clienti e fidelizzazioni in grado di generare nuove revenue», precisa a tal riguardo Visone. «Grazie ai rapporti con i maggiori produttori di tecnologia del mercato, riusciamo a proporre i prodotti più ricercati alle migliori condizioni d’acquisto. A questo si affianca una piattaforma realizzata ad hoc a livello tecnico che si integra con i sistemi già in uso dal partner in questione, una supply chain che poggia su un magazzino di oltre 50mila mq, consegne in 24/48 h e customizzazioni a livello logistico. A tutto questo si aggiunge poi un servizio clienti dedicato in grado di fornire supporto tanto nel ciclo attivo, quanto in quello passivo. Il piano d’azione non dimentica poi uno degli asset introdotti più di recente nell’azienda: Monclick Magazine», tiene a precisare Visone. «Si tratta a tutti gli effetti di una testata giornalistica con una redazione interna che informa i propri lettori su tutte le novità tecnologiche, grazie alle news e alla partecipazione a eventi di settore. Fornisce inoltre consigli con guide all’acquisto ed è in grado di mostrare sul campo le potenzialità dei prodotti in vendita attraverso le recensioni tecniche».

evoluzione, sia dal punto di vista grafico, sia per quel che riguarda gli aspetti tecnici. Intendiamo garantire sempre agli utenti la miglior esperienza di navigazione, motivo per cui i vari update sono sempre in corso. In questo momento stiamo rivedendo il nostro posizionamento, anche a livello di immagine, senza particolari stravolgimenti. Il restyling grafico del sito e del brand seguirà di pari passo l’evoluzione del business e della società». «Il posizionamento di Monclick trova i suoi punti di forza nella storica presenza e riconoscimento nel settore B2B grazie alla nostra capacità di servire al meglio i professionisti e le PMI nella creazione della loro dotazione tecnologica», spiega Visone. E continua: «Questo è stato possibile grazie al catalogo ampio, variegato e che ha sempre avuto un occhio di riguardo verso le esigenze di questa fetta di mercato. Non manchiamo, però, di proporre una gamma interessante ed aggiornata anche per tutto quello che concerne la consumer electronics e il mondo degli elettrodomestici per la casa. Siamo un pure player e, in quanto tali, concentriamo e massimizziamo la nostra strategia sulle varie leve digitali, anche in ottica di sicurezza degli acquisti per i clienti sulla piattaforma».

IL B2B2C È IDEALE PER FARE ACQUISITION DI NUOVI CLIENTI E GENERARE FIDELIZZAZIONE

10 - aprile 2018

A marzo Monclick ha pubblicato la nomina di Massimo Visone in qualità di Sales & Marketing Director. Il manager si occuperà della definizione del piano di business e dell’esecuzione della strategia aziendale, anche ampliando il numero di partner

NUOVI TRAGUARDI

Uno dei maggiori punti di forza di Monclick è da sempre la totale autonomia nella gestione e nell’implementazione della sua piattaforma: la parte IT, così come la gestione dei contenuti e dei servizi, è gestita interamente all’azienda, con tutti i vantaggi che ne derivano in termini di velocità, efficienza e innovazione. Proprio per questo motivo, Massimo Visone tiene a precisare: «Il sito è in costante aggiornamento ed

M

onclick si rinnova ma non cambia la sua natura: una azienda fortemente innovativa. Che rimane del tutto inalterata e, anzi, con la recente acquisizione di Unieuro ha avuto la possibilità di compiere quell’ulteriore balzo in avanti che le mancava. L’entrata nel grande gruppo distributivo forlivese ha permesso di affinare meglio, e ovviamente potenziare, i punti di forza del retailer online, attribuendo a Monclick quel potere d’acquisto, quell’efficienza nella logistica e nel time-to-market in grado di fare la differenza sul mercato e di competere alla pari con i più grandi player presenti in Rete. «Il nostro “programma di governo” non prevede stravolgimenti della società. Intendiamo lavorare in un’ottica di continuità su quelli che sono storicamente i cavalli di battaglia di Monclick, spingendone ulteriormente i punti di forza, trovando al contempo nuove leve strategiche per ampliare il business», spiega Massimo Visone, Sales and Marketing Director di Monclick. «Sicuramente, vogliamo continuare ad affermarci come pure player con un catalogo sempre più ampio e ricco, che si contraddistingua per una gamma che sappia rispondere alle richieste mainstream del mercato, ma soprattutto che sia in grado di andare incontro anche alle esigenze più ricercate a livello tecnico, in particolar modo in ambito IT», continua Visone. «Per fare questo, intendiamo lavorare molto su due

massimo visone

VOCAZIONE B2B2C

«Parte integrante, significativa e soprattutto differenziante dell’attuale posizionamento di Monclick sul mercato è l’attività legata al B2B2C che ci ha permesso in pochi anni di diventare il punto di riferimento per tutte quelle società che sono alla ricerca dei partner giusti per fidelizzare clienti e dipendenti con prodotti tecnologici all’avanguardia. Di recente abbiamo avviato diverse interessanti collaborazioni con risultati positivi: tra queste, mi piace menzionare l’attività in corso con Sky, attraverso la quale viene offerto sulla piattaforma Sky Extra (il programma ai clienti abbonati a Sky da più di un anno), l’acquisto rateizzato e a condizioni esclusive di televisori Samsung di ultima generazione. Inoltre, durante la recente maratona di Roma, abbiamo lanciato una piattaforma sviluppata per ACEA tramite cui vengono offerti prodotti mirati, in particolare in tema di la connettività e smart home. La ricerca di nuove collaborazioni e di nuovi partner B2B2C è destinata a diventare via via la parte sicuramente più rilevante del nostro lavoro».

il sito di monclick.it ha un design minimal e un’estesa scelta di prodotti che spazia dall’elettronica di consumo, alla mobility arrivando fino alla cancelleria e agli articoli per ufficio


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intervista a Rufino Perez di Antonella Tereo

NH Group, una piattaforma per la business intelligence Rufino Perez, leader nella trasformazione del gruppo, presenta un piano di digitalizzazione dei processi interni che punta all’efficienza quella di disporre ora di ogni dato sulla prenotazione della clientela, sulla funzionalità della camera, sul check-in e sul check-out online e in tutte le proprietà in un unico sistema. Che differenze ci sono rispetto ad altre piattaforme? In altre catene è già successo che ci fossero operazioni simili, ma per singole proprietà. Sull’economia di scala, sulle abilità di crescita nel settore, il ritorno è però minimo. Dipende dai singoli investimenti, da scelte localizzate, da margini di contenimento degli sprechi che cambiano e da altri fattori variabili. La nostra scelta invece è stata unica, capillare, pensata per ogni device e funzionalità interna. Anche da diversi punti di vista, da quello dello staff a quello dei manager, come avviene per il revenue management tool (che definisce il pricing delle camere) relativo alle prenotazioni, giorno per giorno.

Quale è stato l’impatto del Digital Core Platform? Fra le prime cose che mi vengono in mente, l’incremento nel livello di dettaglio del sistema nelle operazioni quotidiane. Oggi siamo in grado di mettere a confronto e tracciare ad esempio, cosa occorre per l’emissione del conto al check-out, ovvero quanto tempo occorre da un problema all’emissione finale della fattura. A volte sorgono problemi sui servizi conteggiati: non importa per quale ragione, ma quando succede occorre rivedere, ricontrollare, rintegrare i dati disponibili per una seconda verifica, oppure considerare il metodo di pagamento utilizzato che chiede ulteriori tempi, file ed attese in reception in certi momenti. Oppure si può sapere quanti errori si registrano di hotel in hotel, di proprietà in proprietà, mese per mese o addirittura di giorno in giorno.

GRAZIE ALLA PIATTAFORMA DIGITALE ABBIAMO RIDOTTO DEL 90% L’ERRORE TIPICO DEL FLUSSO DI LAVORO

Cosa ha di nuovo questo progetto? Da pochi anni abbiamo cambiato la nostra piattaforma, rinnovando il sistema tecnologico. È stata una scelta unica perché nel nostro mercato le aziende crescono, migliorano ma non si è soliti modificare i processi che riguardano le proprietà. È stato quindi uno sforzo enorme. Quali sono stati gli obiettivi? È stata una scelta alla luce di numerosi vantaggi. Prima la piattaforma restituiva conflitti fra il centro booking e il sistema di prenotazioni della singola proprietà o del Crm col il revenue manage system. Era un “incubo”, un sistema obsoleto per integrare i dati, un modo di lavorare ormai superato. La svolta è stata

12 - aprile 2018

Agli ospiti sono offerti speciali dispositivi con cui, via messenger o WhatsApp, possono contattare la reception, dal desk al direttore. Questo incide sulla soddisfazione e genera un benchmark verso i competitor

nh group gestisce circa 60mila camere in oltre 30 paesi al mondo: unificare i processi è stato uno dei requisiti della piattaforma

L’

idea è una piattaforma innovativa, integrata e completa come esempio di un progetto vincente per la gestione di tutti i livelli di operatività nelle numerose proprietà della catena NH. Questo in sintesi il cambiamento che celebra il successo di una strategia, dove al centro non c’è solo un profondo rinnovamento digitale, ma è l’inteconnessione a prevalere. Dal manager allo staff operativo, dai fornitori ai clienti, l’obiettivo è ottimizzare proficuamente sia tempo sia investimenti. Così per le oltre 60 mila camere offerte nei vari brand della catena dell’ospitalità, sparsi in 30 Paesi. Per parlare di business intelligence abbiamo incontrato Rufino Perez, COO & Global Transformation Leader di NH Hotel Group.

rufino perez

Anche il tempo influisce sui risultati… La piattaforma permette una connettività che si interfaccia con il database in real time e segue le esigenze per esempio degli americani, i quali prenotano in Italia quando qui è notte. Quindi è capace di selezionare le proposte più adatte per il consumatore e calibrarle al meglio. Così come gestire l’integrazione di terze parti, come le agenzie di viaggi, in vari casi e in maniera più veloce di prima. Nel nostro settore, infatti, la criticità è anche la gestione delle commissioni. Non c’è uno schema unico prestabilito ma giocano vari fattori solitamente nel processo: stagionalità, mercato di riferimento, accordi diversi fra le parti, filtri particolari e così via. Ora è questo sistema integrato che pensa a tutto ciò, visto che in oltre il 75% dei casi non c’è bisogno dell’intervento umano. I dati sono aggiornati, valorizzati e validati automaticamente se collimano fra loro, in modo da procedere poi al pagamento. Un enorme guadagno di tempo, con un ulteriore beneficio anche per lo staff che non si perde dietro a discrepanze, singole modifiche sulle date di partenze o arrivi o altri dettagli, dedicando molto più tempo e attenzione. Un altro esempio è il confronto fra la spesa. Rispetto allo scenario del sistema precedente, abbiamo avuto 5 milioni di euro in meno all’anno di spesa in information technology.

Che margini di miglioramento avete rilevato nel concreto? Migliorare il sistema in questa fase porta ad un 90% di riduzione dell’errore tipico. Questa granularità del dato poi si vede anche in altre fasi, così come nel processo di fatturazione dai fornitori, dagli acquisti, tracciando ogni dato in modo utile, con i vari compiti che ci permettono di conoscere le criticità e migliorare. Oltre alla piattaforma, NH ha adottato dispositivi offerti all’ospite. A che pro? Stiamo sviluppando speciali dispositivi per gli ospiti con cui, via messenger o WhatsApp, possono contattare la reception, dal desk al direttore per tutte le esigenze. Le nuove tecnologie hanno cambiato anche queste interazioni, quindi sulla valutazione del servizio ha impatto anche il tempo impiegato per rispondere rispetto alla concorrenza. Il prossimo step? Sicuramente due aspetti: proseguire un percorso di revenue management academy per la formazione dell’operatore e rinforzare F&B, dal punto di vista del direttore ma anche dal punto di vista dell’ospite, focalizzandoci soprattutto sullo skill del nostro management, perché è strategico per noi.


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di Roberto Bonin

Una “nuova” Lidl per un nuovo mercato Dal punto vendita alla social responsability, passando per le risorse umane e la comunicazione: ecco come l’insegna continua a rinnovarsi

NUOVI FORMAT CITTADINI

Proprio nell’ottica di rinnovamento nasce il nuovo format cittadino green e sostenibile inaugurato a febbraio a Milano in zona Lorenteggio. Frutto di un progetto di recupero edilizio di un’area dismessa da oltre 10 anni, lo store di via Pietro Giordani si sviluppa su due livelli: al piano terra si trova un parcheggio con oltre 110 posti auto, mentre al piano superiore si accede a un’area vendita di otre 1.400 mq. L’edificio dispone di un impianto fotovoltaico che copre circa un quarto del fabbisogno del punto vendita, di postazioni per il rifornimento di automobili elettriche o ibride e di un sistema di recupero delle

14 - aprile 2018

Il rinnovamento punta su due elementi: la ridefinizione dei criteri espositivi dei prodotti con spazi di vendita ampliati e dotati di un’illuminazione più efficiente; il miglioramento dell’esperienza d’acquisto del consumatore, al fine di renderla più veloce, più razionale e, soprattutto, più piacevole ed emozionale

l’esposizione dei prodotti freschi e freschissimi è una delle aree strategiche sulle quali lidl italia vuole fare la differenza

acque piovane. Da un punto di vista energetico, il 100% dell’energia utilizzata dal supermercato proviene da fonti rinnovabili. Inoltre, tra le dotazioni di cui dispone la struttura compaiono anche un impianto luci a Led e impianti tecnologicamente evoluti, che consentono di risparmiare oltre il 50% rispetto al normale consumo energetico. All’interno dello store, oltre 2.000 articoli, di cui più dell’80% Made in Italy. Sul fronte della social responsability (versante su cui è fortemente impegnata con un preciso piano di Csr, in linea con il motto aziendale “Sulla via del domani”, ndr), invece, la catena ha deciso di contribuire, mediante un piano strutturato a livello nazionale, alla lotta contro lo spreco alimentare, grazie soprattutto alla collaborazione con la Rete Banco Alimentare, dando vita al programma di recupero “Oltre il carrello – Lidl contro lo spreco”, che prevede la donazione costante di prodotti alimentari non più vendibili secondo gli standard commerciali, ma ancora buoni e sicuri. Dal pane all’ortofrutta fino agli articoli confezionati: le eccedenze dei supermercati vengono recuperate attraverso un piano di ritiro

LIDL ITALIA È SEMPRE PIÙ GREEN: ENTRO IL 2025 RIDURRÀ DEL 20% L’USO DI PLASTICA

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a convenienza e l’assortimento non sono tutto. Molti altri difatti sono gli ingredienti del mix necessario per poter emergere nel proprio mercato di riferimento e per dimostrarsi un’azienda al passo coi tempi. Tra gli aspetti attualmente più importanti – e per certi versi ormai imprescindibili – all’interno delle strategie aziendali, vi sono l’innovazione e la responsabilità sociale, capaci entrambi di apportare competitività, valore aggiunto e brand awareness. Ed è proprio su questi due asset che punta in modo deciso Lidl, catena distributiva tedesca presente in Italia con più di 600 punti vendita e un organico di oltre 13mila collaboratori. Sul fronte dell’innovazione, l’insegna ha da tempo avviato un lungo e articolato processo di rinnovamento che punta in modo particolare sulla ridefinizione dei criteri espositivi dei prodotti, specialmente freschi e freschissimi, con spazi di vendita ampliati e dotati di un’illuminazione più efficiente, e sul miglioramento dell’esperienza d’acquisto del consumatore, al fine di renderla più veloce, più razionale e, soprattutto, più piacevole ed emozionale. Ma non è tutto. Lidl è da tempo anche impegnata su altri fronti altrettanto importanti come la comunicazione, soprattutto sul canale digital, e la valorizzazione delle risorse umane, in grado di fare la differenza sia all’esterno che all’interno dell’azienda stessa.

quasi giornaliero e destinate a una rete di strutture caritative locali. Sono già oltre 60 gli store di Lidl che da inizio anno contribuiscono a questo importante progetto di solidarietà sociale che, entro il 2018, coinvolgerà l’intera rete vendita. Lidl Italia si è posta anche un ambizioso traguardo che le permetterà di limitare ulteriormente il proprio impatto sull’ambiente: ridurre l’utilizzo di plastica di almeno il 20% entro il 2025. Un obiettivo concreto, che l’azienda mira a raggiungere rivedendo packaging e repackaging delle proprie private label, che rappresentano circa l’85% dell’assortimento. Allo stesso tempo, inoltre, l’azienda ha annunciato che entro il 2025 gli imballaggi in plastica dei prodotti a marchio proprio saranno riciclabili al 100%, sostenendo in tal modo la strategia sulle plastiche recentemente presentata dalla Commissione Europea. Altro tassello da sempre di fondamentale importanza all’interno delle strategie di sviluppo dell’azienda, sono le risorse umane. A tale scopo Lidl ha realizzato il Centro di Formazione, un intero edificio in attività dal 2005 e situato accanto alla sede centrale dell’azienda ad Arcole (Verona) in cui vengono erogati corsi sia da docenti interni sia da importanti istituti di formazione esterni. Un impegno quello della formazione, che ha fruttato a Lidl Italia la vittoria, per il quarto anno consecutivo, di Best Workplace, il premio istituito dal Great Place to Work Institute, l’istituto internazionale che individua le aziende capaci di creare un ambiente di lavoro eccellente. E non solo. L’insegna vanta per il secondo anno consecutivo della Certificazione “Top Employers Italia” e “Top Employers Europe”. In più, ha dedicato alle proprie risorse anche un’area aziendale chiamata “Personale e Sociale”. Tale area garantisce, ascolto, condivisione, coinvolgimento e motivazione del collaboratore. Grazie a questo ruolo ogni dipendente ha sempre a disposizione un interlocutore con il quale affrontare in totale privacy qualsiasi tematica in merito alle proprie esigenze in azienda. Un altro fiore all’occhiello, infine, è la comunicazione che, proprio in ottica evolutiva e innovatrice, punta in modo deciso sulle più avanzate piattaforme digitali, che si affiancheranno all’adv tradizionale. La pagina Facebook di Lidl Italia ha oltre 2 milioni di fan ed è la più frequentata della grande distribuzione italiana. Inoltre, nel marzo 2016 Lidl Italia ha allargato la sua presenza social, oltre a Facebook e Instagram, creando anche un apposito account ufficiale su Twitter.


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intervista a Peppino Marchese di Dino del Vescovo

Internazionalizzare per riprendere a crescere A parlarci di come reagire alla crisi del mercato interno è Peppino Marchese, Presidente di IANG e coordinatore settore PMI di Assoconsult-Confindustria findustria, di cui Iang è partner, ha visto anche la partecipazione dell’ex ministro delle politiche agricole Maurizio Martina e, come esempi di case histories, le aziende Nardini Spa, specializzata in grappe di vinaccia italiana, e Pedon Spa per il settore della lavorazione, confezionamento e distribuzione dei cereali. Quali aziende hanno più bisogno di ampliare il proprio business oltre i confini nazionali? In teoria tutte, in modo particolare i terzisti che producono tecnologia e componenti per grandi realtà industriali e multinazionali. Iang segue da anni Pmi che svolgono il loro lavoro in modo egregio, fornendo componenti ad aziende del calibro di Volkswagen, Audi, Porsche, Ferrari e Luxottica, solo per fare alcuni nomi. Se questi un giorno decideranno di rivolgersi altrove, per queste piccole realtà potrebbero aprirsi scenari critici. È successo a un’azienda di Pontedera che stampava lamiere per Piaggio quando questa ha spostato la produzione in India. Inizialmente spaesata, grazie al nostro supporto ha oggi una joint venture con gli indiani: questi mettono i capannoni, gli italiani l’inarrivabile know-how. L’internazionalizzazione aiuta quindi ad abbandonare modelli organizzativi e di business meramente artigianali e a diversificare la propria offerta, a rendersi conto di ciò che accade al di fuori dei propri cancelli e ad agire di conseguenza.

Quali i più recenti casi di successo? Potrei citarne diversi, oltre a quelli di cui parlavo poc’anzi. Fra i più recenti, citerei quello di un’azienda italiana che produce asce da tre generazioni e che, seguita dal nostro team, ha avviato e consolidato un mercato negli Usa, in Canada e in Inghilterra, persino nel punto vendita Harrods di Londra. O ancora un’impresa specializzata nella realizzazione di reti metalliche per cantieri alla quale abbiamo aperto le strade per il mercato spagnolo. Ricorderei infine un’importante azienda di Monza, produttrice di protesi, impianti medicali e strumenti chirurgici, che con Iang ha aumentato il suo fatturato estero oltre ad aver sviluppato, sempre oltre confine, nuove partnership e progetti ad alto valore aggiunto.

OCCORRE INDIVIDUARE OLTRE I CONFINI NAZIONALI NUOVI MERCATI E OPPORTUNITÀ

Cosa significa per un’impresa italiana internazionalizzarsi? Significa guardare oltre i confini nazionali perché il mercato interno è asfittico. E sfruttare a proprio vantaggio un momento poco favorevole per riorganizzarsi, cambiare mentalità e riprendere a crescere. Avere un buon prodotto, oggi, non basta più. Serve ampliare la propria cultura d’impresa per individuare nuovi mercati e opportunità. Se ne parla molto ma non sempre in modo chiaro... È vero, parlare di internazionalizzazione è quasi modaiolo, al punto che si fa anche tanta confusione. Non tutti però sono capaci di offrire alle Pmi gli strumenti teorici e pratici – come servizi di Temporary Management e profili qualificati di Export Manager – necessari per intraprendere il giusto percorso verso i mercati esteri. Abbiamo parlato di internazionalizzazione in modo preciso, se vogliamo anche semplice, al Marostica Business Day organizzato da Iang lo scorso 6 luglio 2017. L’evento, patrocinato da Assoconsult-Con-

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Il segreto per ottenere successo dall’internazionalizzazione sta nella capacità di “ascoltare” il mercato. Per farlo serve a volte mettere da parte le proprie convinzioni e cambiare mentalità

iang opera da oltre vent’anni al fianco delle pmi italiane guidandole nei mercati esteri, europei e oltreoceano

Cosa è Iang e verso quali mercati si rivolge? Iang è una società di consulenza che sviluppa progetti di internazionalizzazione, prendendo per mano gli imprenditori e aiutandoli ad ampliare il loro mercato oltre i confini nazionali. La nostra azienda si avvale di varie figure professionali, ognuna con il suo ruolo e le sue competenze. Aiutare le Pmi, che insieme producono l’80% del Pil nazionale e che fanno del Made in Italy qualcosa di unico al mondo, è la nostra missione. Quanto ai mercati cui ci rivolgiamo, direi che non ne escludiamo alcuno a priori. Siamo una vera e propria “finestra sul mondo”.

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uanto vale ancora il Made in Italy? Hanno le nostre aziende qualità e know-how per imporsi oltre i confini nazionali? Non ha dubbi Peppino Marchese, Presidente di Iang - International Advising Network Group, società di consulenza votata alla internazionalizzazione delle Pmi. Che ha definito il percorso verso i mercati esteri necessario a far fronte a una situazione interna che non assorbe più. Lo abbiamo incontrato nella sua sede, presso l’A&B Business Center di Cinisello Balsamo - Milano.

peppino marchese

Come si individuano nel mercato di destinazione interlocutori affidabili? È questo il presupposto su cui fonda qualsiasi processo di internazionalizzazione avviato da Iang. Che non è un’agenzia di import/export, ma un’azienda in grado di analizzare i mercati esteri nel minimo dettaglio. Il rischio quindi di incappare in interlocutori inaffidabili è praticamente nullo. Il trasferimento di cultura d’impresa che attuiamo verso i nostri clienti è il risultato di una serie di studi approfonditi che comprendono benchmarking, analisi di mercato e idee. Iang crea inoltre relazioni, coincidenze, joint venture finalizzate a garantire fatturati consolidati, destinati a crescere negli anni. L’internazionalizzazione è praticabile indistintamente da tutte le imprese? Chi può fruirne e a chi conviene? Se un’impresa produce e vende sul mercato nazionale, allora può vendere ovunque. Con questa premessa, l’internazionalizzazione è praticabile e conviene a chiunque. Non tutti i prodotti però sono facili da collocare, specie se privi di un valore aggiunto. Sta quindi all’azienda di consulenza individuare i modi e le strategie di marketing più convincenti in funzione dei mercati che intende avvicinare.


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intervista a Federico Salina di Antonella Tereo

Piattaforme online multicanali: le opportunità per l’Italia La mission di Witailer (start-up 100% italiana) è aiutare a cogliere e massimizzare le performance di crescita sui maggiori marketplace internazionali lo sviluppo del business guadagnamo con un fee in percentuale. Dove facciamo consulenza non avrebbe senso, ma dove supportiamo operativamente e mettiamo le nostre risorse ed i nostri software per la gestione allora abbiamo una percentuale. Perché un modello di piattaforma come quello di Amazon, per esempio, risulta essere ancora difficile da seguire? Amazon è molto veloce nell’offrire tecnologie alle aziende. In Italia succede invece che - se la penetrazione online è ferma al 4% - nelle aziende non ci sono persone magari dedicate esplicitamente all’e-commerce, o magari hanno una persona sola che se ne occupa. Negli Usa ci sono interi team dedicati solo al marketplace. Quindi quello che accade è che Amazon mette a disposizione velocemente una tecnologia ma in Italia non ci sono ancora figure che sanno utilizzarla molto bene. Ecco perché non si cresce come fanno brand in Paesi stranieri pur avendo già una struttura magari in UK, Germania o altre nazioni.

scono magari per vendere solo su marketplace solo ad esempio perché ci sono costi distributivi inferiori, con una reach molto più alta e hanno già una strategia coerente di assortimento perché nascono già per i marketplace e sono molto più veloci nella crescita. Poi magari si prendono anche delle “nicchie” che non sono presidiate da grandi player. Dal mercato cinese, arriva qualche spunto utile in questo senso? La Cina non è propriamente un modello, lì c’è una distribuzione online che si è sviluppata prima, ma è sicuramente un grande mercato. TMall lavora molto bene con la creazione degli store, anche Amazon, quindi utilizzare questi canali come strumenti di branding fino a qualche tempo fa era sottovalutata come opzione, ora molte aziende stanno cominciando a darle valore. Crearsi un ambiente online, con il proprio posizionamento di marca su un marketplace oggi è possibile ed è un’opzione che sicuramente va sfruttata.

I MARKETPLACE OFFRONO TECNOLOGIE IN MODO VELOCE MA POCHI BRAND SONO PRONTI

Quali sono le peculiarità degli strumenti che fornite al cliente? Quello che facciamo è supportare le aziende a 360 gradi sul canale marketplace, quindi siamo molto verticali su questo canale. Ci vuole sempre uno specialista. Le dinamiche di un marketplace non sono le stesse di quelle di un brand di marca o dell’offline. Quindi definiamo una strategia con cui inserire questo canale all’interno dell’impronta commerciale, poi c’è il supporto dell’account manager per la crescita del business e infine la condivisione di dati per prendere decisioni su investimenti. Voi guadagnate sul valore aggiunto creato sullo stesso cliente. Come? È una delle forme di remunerazione, dipende dal progetto che svolgiamo: laddove accompagnamo

20 - aprile 2018

Le dinamiche di un marketplace non sono le stesse di quelle di un brand di marca o dell’offline. Quindi definiamo una strategia con cui inserire questo canale all’interno dell’impronta commerciale

Non solo una potenziale vetrina aggiuntiva ma vero e proprio luogo di business… Può essere entrambe le cose. Oggi il peso dei marketplace a livello mondiale è del 50% rispetto al fatturato fatto dall’e-commerce e la Cina in questo ha una grande scia. Però ad esempio molte aziende na-

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erché i marketplace sono importanti, come diventano parte di una strategie di sviluppo, quanto sono diffusi e considerati dalle aziende italiane e con quali ambizioni? Questi i quesiti che ruotano attorno ad una dimensione di marketing di vendita non ancora colta a pieno dai diversi settori merceologici già inseriti nel mercato digitale. Ma per Witailer, una start-up tutta italiana, la traccia da seguire è chiara: con l’obiettivo di aiutare le aziende a crescere sui grandi marketplace internazionali, la COO Jana Nurmukhanova e l’attuale CEO Federico Salina - entrambi ex-manager di Amazon e fondatori della start-up - la sfida parte dalle opportunità che il settore può ancora riservare. Così all’amministratore delegato Federico Salina rivolgiamo qualche domanda.

federico salina

Quali sono i criteri per creare una piattaforma ideale per un marketplace di successo? Non vado in ordine d’importanza ma senza dubbio sono queste: la strategia assortimentale dedicata per il canale, la definizione di come portare traffico verso quella selezione, la disponibilità del prodotto; bisogna poi spiegare perché bisogna comprare il prodotto su una piattaforma piuttosto che un’altra – perché non è detto che il cliente lo sappia, visto che l’assortimento online è molto più ampio di quello offline – e infine curare customer service e customer experience che sono fondamentali.

In quali settori merceologici ci sono margini di sviluppo? È difficile dirlo, perché su alcuni settori forse è già tardi per crescere, per esempio i media (Dvd e libri) o anche l’elettronica sono mercati ormai maturi. Ce ne sono altri settori come il mondo fashion, prodotti di consumo che sono totalmente da esplorare. Quali sono le prossime opportunità che i marketplace possono offrire? E quali sono invece i possibili ostacoli? Come opportunità sicuramente cito il concetto di vendita globale. La tecnologia messa a disposizione dai marketplace alle aziende è replicabile poi in diversi Paesi. Quindi avere un network globale di vendita è un’opportunità enorme. I limiti di contro sono solo quelli burocratici, commerciali, amministrativi che differenziano i mercati stessi. Che poi non sono veri e propri ostacoli, ma semplicemente diverse procedure di volta in volta da seguire.


il futuro è già qui

Il brand americano, leader mondiale nelle vendite di robot aspirapolvere, ha nell’avveniristica serie 900, la massima espressione della sua tecnologia. I Roomba serie 900 sono, infatti, in grado di legare tra loro le più recenti innovazioni provenienti dai mondi della robotica e della connettività. Basato sul sistema di navigazione iAdapt 2.0 con Visual Localization iAdapt Camera, la serie iRobot Roomba 900 utilizza un sistema di pulizia ad alta efficienza e una serie completa di sensori visivi per navigare e pulire in piena autonomia. Creando precisi punti di riferimento i Roomba non perdono mai la traccia della loro posizione e, grazie alla presenza del sensore ottico di riconoscimento suolo e alla funzione Carpet Boost, sono in grado di garantire le massime performance, anche su superfici difficili come tappeti e moquette. La connettività è garantita dall’app mobile iRobot Home che aiuta a impostare il programma più corretto di pulizia o a programmare il robot nello stesso modo in cui si imposta una sveglia sul telefono. www.irobot.it


di Dino del Vescovo

Dalla thinking economy alla digital disruption Quanto l’intelligenza artificiale aiuterà le imprese? Quali sono i rischi del machine learning sul capitale umano? Questi i temi trattati nel summit di Sap

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i è svolto a Cernobbio (Co) il summit annuale di Sap. Nei due giorni previsti dall’evento si è affrontato il tema dell’Intelligenza Artificiale (AI) applicata al business e al mondo delle imprese. L’argomento, interpretato in chiave di Digital Disruption, ossia di impatto che le nuove tecnologie digitali hanno sui modelli e i servizi già esistenti, modificandoli radicalmente, nonché di Thinking Economy, richiede prudenza ma allo stesso tempo ottimismo date le enormi potenzialità con le quali si propone. L’appuntamento quest’anno è inoltre coinciso con il raggiungimento di un importante traguardo da parte della software house tedesca: 30 anni di attività in Italia.

LA SUPER INTELLIGENZA

Quattro le personalità di spicco che hanno intrattenuto la platea con i loro interventi nella prima giornata dedicata alla stampa alla quale abbiamo partecipato anche noi di Leader: Luisa Arienti, Amministratore Delegato di Sap Italia, Adaire Fox-Martin, Executive Board Member di Sap South Europe, Stuart J. Russel, Professore di Ingegneria Elettrica e Scienza dei Computer presso l’Università di California Berkeley e Gianmario Verona, Rettore dell’Università Bocconi di Milano. La domanda che tutti si sono posti è stata se e quanto l’Intelligenza Artificiale aiuterà l’impresa? A questa e alle sue molteplici risposte sono seguiti dibattiti sui rischi che una maggiore automazione dei servizi e dei software potrebbe comportare sul potenziale umano di ogni azienda. Lasciare infatti che una macchina, anziché una testa pensante, risponda a domande, partecipi a conversazioni e tratti argomenti specifici, è sì affascinante ma al tempo stesso rischioso. Secondo la Ceo Luisa Arienti l’Intelligenza Artificiale, se gestita con la dovuta cautela e prudenza, può creare opportunità e valore. Ricordando inoltre che alcune funzioni di AI sono già implementate nei software Sap, Arienti ha citato i risultati ottenuti da un’analisi condotta dalla società Ambrosetti

sul tema del Machine Learning secondo cui il 77% dei Ceo italiani considera l’AI un’opportunità di crescita per le proprie imprese mentre circa la metà (il 51%) ritiene che non ci si ancora la giusta consapevolezza in merito e che l’argomento vada ancora introdotto e spiegato. «Affiancare oggetti pensati per gli umani - continua il numero uno di Sap Italia - contribuirà a creare una sorta di super intelligenza, la stessa cui circa mezzo secolo fa ha fatto riferimento Alan Turing, padre dell’informatica, nel suo articolo “Can Machine Think?”». L’intervento si è concluso con rassicurazioni sull’approccio prudente che Sap mette in campo nei confronti dalla AI, da considerare piuttosto «qualcosa in più rispetto a ciò che già esiste e non un mezzo che rimpiazzerà completamente i vecchi sistemi».

IL RISCHIO “DISILLUSIONE”

Si collega a questi temi delicati anche il Professor Stuart J. Russel che, grazie a un approccio disincantato, si chiede se le macchine pensanti potrebbero rivelarsi una bolla, finendo più per disilludere che per offrire quel valore aggiunto in parte sperato, in parte temuto. Partendo dall’assunto che «Il Machine Learning riduce i requisiti nel senso che per l’apprendimento servirà una quantità di dati inferire», cita alcuni casi di insuccesso registrati nei decenni precedenti quando, va detto, la tecnologia non era matura come quella attuale. Ma poi, con un balzo in avanti, si porta ai giorni nostri analizzando un esempio attuale di disillusione parziale, riferendosi alle «modernissime auto a guida autonoma le quali, per quanto avanzate, talvolta si rivelano imperfette e insicure per le persone». Il riferimento è alla strada ancora da percorrere in merito alle relazioni fra pensiero e decisione applicate alle macchine, traslando le stesse perplessità al contesto aziendale laddove decisioni prese da macchine potrebbero rivelarsi sbagliate. Non meno attenzione viene posta sulla «possibilità tutt’altro che trascurabile che l’Intelligenza Artificiale sottragga lavoro agli umani, anche a fronte - conclu-

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NON SOSTITUIRÀ MA MIGLIORERÀ I VECCHI SISTEMI

luisa arienti

Occorre che le aziende cooperino fra loro e che le piattaforme siano aperte per essere sicure di vincere la sfida lanciata dal Machine Learning

adaire fox-martin, executive board member di sap per il sud europa, in uno degli interventi moderati da andrea cabrini (a sinistra), condirettore di milano finanza

22 - aprile 2018

de il Professore - di una crescita globale del Pil». Interessante infine l’intervento del Rettore Gianmario Verona, che per concludere la prima serie di appuntamenti, ricorda «i profondi cambiamenti che stanno investendo anche il mondo accademico. Cambiamenti di cui non possono non tener conto gli studenti di oggi - sottolinea - che saranno i manager di domani e per i quali il coding, ossia la capacità di programmare, potrebbe diventare il nuovo inglese».

LA STRATEGIA FIRMATA SAP

A parlarci di come le aziende dovranno affrontare il cambiamento, facendo convivere il vecchio con il nuovo, e di come Sap sta lavorando per offrire a queste gli strumenti più adeguati alla transizione, è l’Executive Board Member per il Sud Europa. Adair Fox-Martin, fatta la premessa che «Sap sa perfettamente come gestire la situazione poiché conosce gli aspetti dell’Intelligenza Artificiale necessari ad elaborare gli eventi e ad interpretare i fenomeni», ricorda, a dimostrazione del giusto percorso intrapreso, l’importante partnership siglata fra l’azienda tedesca e Google lo scorso gennaio 2018. «Solo con piattaforme aperte e con la cooperazione fra più aziende, è possibile vincere la sfida dell’Intelligenza Artificiale». Conclude ribadendo «ferma volontà di rispettare le normative, i diritti umani e le tappe per migliorare, anziché peggiorare, la vita delle persone».


di Luca Figini

ThinQ: l’intelligenza artificiale di LG parte da InnoFest 2018 La piattaforma capace di comprendere i bisogni dell’utente e dare vita a una “smarter home” arriva sui prodotti dei segmenti bianco e bruno

MOLTO PIÙ DI UN BRAND

ThinQ è anche la risposta per evitare qualsivoglia effetto commodity nei grandi elettrodomestici. «È interessante notare che stiamo iniziando a descrivere funzioni e contorni ben definiti della nostra piattaforma di intelligenza artificiale, della quale negli ultimi anni abbiamo parlato solo in termini più generici», spiega Francesco Oscar Salza, Sales Director Home Appliances di LG Italia. Il focus è però sul prodotto: «Gli asset di base rimangono la qualità e le peculiarità dei modelli che proponiamo sul mercato. Come integrazione a questi elementi essenziali, ci stiamo concentrando sull’IoT e sulla connettività intelligente. Il nostro approccio ai big data si trasforma in benefici concreti ai consumatori, tra cui semplicità d’uso e continua riduzione del risparmio energetico. Soprattutto su quest’ultimo aspetto vogliamo concentrarci

L’innovazione proposta da LG è il mezzo per portare nelle case prodotti capaci di rispondere efficacemente ai bisogni e per dare origine a nuove occasioni di business basate sulla conoscenza dei consumatori

sempre di più nel breve e medio periodo, perché gli elettrodomestici con l’intelligenza artificiale sono capaci di “imparare” anche a gestire in modo autonomo i consumi energetici». Come si origina un’innovazione capace di influire davvero sul mercato? Spiega Salza: «Investendo in ricerca e sviluppo per rendere l’innovazione uno strumento per portare tecnologie capaci di rispondere ai bisogni (effettivi e latenti) dei consumatori, si aprono nuove opportunità di business. Ne sia esempio il mondo dei frigoriferi combinati con classi energetiche elevate: in Italia genera circa 230 milioni di euro, pari al 35% del valore dei combinati. Tre anni fa questo segmento era pari a zero. Oggi ha permesso di aiutare a portare le vendite del bianco verso posizionamento di prezzo premium. LG ha un price index medio di 177 nel freddo, a dimostrazione che l’innovazione non è solo un concetto ma un mezzo per aprire nuove strade e rinnovare segmenti di prodotto, mantenendo un concetto di “giusto prezzo”».

I MODELLI CON IA SONO CAPACI DI GESTIRE I CONSUMI ENERGETICI IN AUTONOMIA

NUOVE LINEE DI PRODOTTO

a sinistra, la twinwash che permette di gestire due lavaggi in una volta sola. a destra, il pannello instaview dei nuovi frigoriferi di lg

anni fa la frequenza era dimezzata. Questo ha inciso sulla longevità effettiva della lavatrice. Così abbiamo ideato un modello a doppio cestello differenziato per rispondere alla domanda di maggiore utilizzo, senza incidere in alcun modo sulla vita utile del prodotto. In più, accorciamo i tempi di lavaggio e ottimizziamo i consumi». Le novità portate su TwinWash partono dall’introduzione della tecnologia Next TurboWash, in cui ogni angolo del cestello interno presenta ugelli che spruzzano acqua pulita sui capi mentre il “3D jet motion” regola la potenza del getto sincronizzandosi perfettamente con i movimenti del cestello. Ciò porta a un superiore effetto detergente in un ciclo di lavaggio di soli 39 minuti. Dal canto suo, LG InstaView è il figorifero door-in-door elegante e innovativo. Il pannello in vetro anteriore si attiva con la funzione “toc-toc”, che illumina l’interno del vano per mostrarne il contenuto senza dovere aprire lo sportello. InstaView è ora disponibile anche sulle versioni multi-door: in entrambi i formati, si riducono le fuoriuscite di aria fredda fino al 41%. Il motore di funzionamento dei frigoriferi si basa sul compressore Lineare Inverter, che vanta garanzia di 10 anni. La somma di queste funzioni permette ai modelli del brand coreano di ridurre del 32% il consumo energetico medio e del 25% il rumore, con conseguente affidabilità e durata superiori. Con la tecnologia ThinQ si controlla a distanza l’elettrodomestico per impostare le temperature oppure attivando la funzione “express freeze”, per velocizzare il raffreddamento di alimenti e bottiglie. Chiudiamo la rassegna con l’asciugatrice Dual Inverter Heat Pump (RC90U2AV2W) che risponde all’esigenza di proteggere i propri capi riducendo i costi grazie all’efficienza energetica. L’etichetta energetica A+++-10% è frutto del compressore Dual Inverter (garanzia 10 anni) che consente diverse opzioni EcoHybrid: con Time Mode il tempo di asciugatura si riduce fino a 18 minuti per chilogrammo; con l’Energy Mode si risparmia energia. C’è infine la ThinQ per configurare in remoto la scelta dei programmi e la rapida diagnosi alla ricerca di eventuali problemi di funzionamento.

InnoFest 2018 è stato il palcoscenico per presentare le nuove gamme di prodotto. Dei nuovi Tv Oled con Alpha 9 e dei modelli Super UHD parliamo approfonditamente in questa pagina: igizmo.it/lg-oled-2018. In questa sede ci concentriamo su tre prodotti del bianco destinati a fare la differenza, anche perché tutti dotati di connettività Wi-Fi. A iniziare dalle nuove funzioni per la LG TwinWash. Spiega Salza: «La media dei lavaggi in Italia è di sei volte la settimana; dieci

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n una giornata di pieno sole in Costa Azzurra, ThinQ debutta ufficialmente sulla gamma di prodotti di LG. L’intelligenza artificiale al servizio di smartphone, Tv ed elettrodomestici parte da Cannes e si mostra in una gremita sala al Palais des Festivals. In questa sede si è svolto InnoFest 2018, l’ormai celebre evento annuale con il quale LG presenta a partner e addetti ai lavoro i trend tecnologici che vedranno la luce nei successivi mesi. Il focus è tutto sulla piattaforma ThinQ, finora tenuta come elemento aggregante per l’IoT e marchio su cui costruire un ecosistema basato sulla connettività. Ora il brand coreano esce allo scoperto e si affida all’intelligenza artificiale per creare una “smarter home” nella quale ogni apparecchio è in grado di comunicare con gli altri. Di più: apprende dall’uso sia per comprendere e anticipare i bisogni dell’utente, sia per instaurare un dialogo virtuoso tra i dispositivi.

23 - aprile 2018


di Luca Figini

L’identikit del consumatore nell’epoca digitale Aumenta l’abitudine ad acquistare sul Web: in Italia sale al 56% perché il prezzo ha sempre maggiore importanza (75%). Gli italiani prediligono canali neutrali

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e-commerce in Italia è in costante crescita. Non è una novità, ma traduciamo il concetto in numeri: sono poco meno di 20mila le aziende che nel nostro Paese operano nello shopping online. E continuano ad aumentare. A fronte di un’offerta in rapida espansione, c’è una domanda in continua evoluzione che detta trend e comportamenti d’acquisto di totale rottura rispetto al passato. Per tracciare l’identikit del consumatore nell’era digitale ci siamo affidati a vari dati, tra cui la ricerca firmata da Idealo. Emerge subito il dato sulla frequenza di acquisto tramite il Web, che aiuta a rappresentare una prima stima del fenomeno e delle sue trasformazioni rispetto agli anni passati. A trainare il mercato dell’e-commerce italiano sono i cosiddetti “consumatori abituali”, che comprano almeno una volta al mese: sono il 56% degli italiani, con un incremento del 4,6% nel 2017 sul 2016. Seguono i “consumatori intensivi”, che entrano in azione una o più volte su base settimanale (22%) e poi gli “sporadici”, con cadenze almeno trimestrale (22%). Organizzando i dati in modo ragionato, si evince che chi si rivolge al Web per acquisti di almeno una volta al mese è pari al 78% degli italiani: l’e-commerce ha già il suo e-consumer collaudato e fedele.

DOMINANZA MASCHILE

In Italia gli uomini che acquistano online sono in maggioranza rispetto alle donne: 61,3% rispetto al 38,7%. Comparando il dato con quelli di altri Paesi europei, risulta che la Penisola è quella con la minore partecipazione femminile nello shopping online. Il Paese dove c’è più parità di genere rispetto al fenomeno e dove le donne sono più attive è la Spagna (uomini al 53,8% e donne al 46,2%). Nella distribuzione geografica, la situazione rimane invariata rispetto all’andamento storico: c’è sempre una evidente correlazione tra frequenza di acquisto e grandezza delle città. Più grande è il centro urbano, maggiore è la concentrazione di consumatori digitali intensivi. Spiccano Milano e Roma, mentre nei centri più piccoli (con meno di 10 mila abitanti) sono in maggioranza gli acquirenti sporadici. Passando alle fasce d’età, il consumatore digitale tipo ha tra 35 e 44 anni (26,9%). Il segmento tra 45 e 54 anni copre il 21,3%. Cresce l’interesse da parte dei giovani da 25 a 34 anni (20,5%). Considerando le due fasce più estreme (da 18 e 24 anni e sopra i 55 anni) si nota come siano meno coinvolte per due fattori differenti: da una parte le minori possibilità economiche, dall’altra una inferiore propensione all’uso degli store digitali. Solo in Paesi come Austria, Germania e Francia si riscontrano percentuali più significative per il coinvolgimento dei giovani dai

25 ai 34 anni nel mercato digitale (rispettivamente al 26,1%, al 25,3% e al 24,7%). La principale motivazione che spinge un consumatore a preferire l’acquisto online è legata alla possibilità di trovare prezzi più vantaggiosi. Questa spinta vale sia per gli italiani, sia per gli abitanti degli altri Paesi europei. La ricerca di prezzi più convenienti è il motivo principale per il 75% degli intervistati (in crescita rispetto al 63% del precedente dato riferito al 2016). Tra le altre motivazioni, quelle più gettonate sono la possibilità di confrontare facilmente i prodotti (41%) e di leggere il parere di altri utenti grazie a commenti e recensioni (40%). Infine, tra i mezzi preferiti per confrontare i prezzi resta forte la presenza dei marketplace (dall’indagine Amazon è al 56% mentre altri siti di e-commerce sono al 46%), ma colpisce la crescita dell’uso delle piattaforme di comparazione prezzi. Il 50% degli intervistati dichiara di utilizzare un comparatore online: l’evoluzione comportamentale sta tutta in questo dato, perché lascia intravvedere la volontà degli e-consumer ad affidarsi a canali che sono considerati (almeno come percezione) più neutrali e trasparenti.

CATEGORIE MERCEOLOGICHE

Un consumatore su quattro in Italia utilizza dispositivi mobili per l’e-commerce. C’è però una differenza tra finalizzazione dell’acquisto e ricerca pura. Il dispositivo privilegiato per concludere un acquisto digitale resta ancora il pc (91%), ma il 29% finalizza direttamente dal proprio smartphone o dal proprio tablet (22%). Parlando di dispositivi preferiti quando si tratta di navigare e informarsi, invece, i dati mostrano una segmentazione che va verso la navigazione “in mobilità”: se il 46,2% preferisce l’uso del computer, il 43,8% si informa tramite smartphone e il 10% tramite tablet. Nel confronto con le altre nazioni, l’Italia guadagna un primato: è il Paese dove il mobile è lo strumento preferito per l’e-commerce. Le categorie merceologiche su cui gli italiani sono propensi a spendere con maggiore frequenza sono relativi a cultura e intrattenimento (65%), abbigliamento (64%), elettronica (65%), articoli sportivi (46%), casa e giardino (46%), cosmetici (40%), giochi e giocattoli (38%), valigeria (35%), auto e moto (32%), cronografi e preziosi (31%), arredamento (27%), articoli per animali (24%), alimentari (20%), prodotti per la salute (18%) e prodotti per bambini e neonati (14%). In particolare, la tecnologia (con il 66%) e l’abbigliamento (con il 48%) sono i segmenti su cui incide maggiormente la logica di comparazione dei prezzi per ottenere risparmi più consistenti.

24 - aprile 2018

METODI DI PAGAMENTO

Le scelte del metodo di pagamento e di consegna rivelano particolari abitudini e tendenze tutt’altro che secondarie. Non sono ancora molti i consumatori che pagano online con carta di credito (usata dal 22% degli intervistati, un dato comunque in aumento rispetto al 20% del 2016). Diminuisce la preferenza accordata a PayPal (al 54%, invece del 60% del 2016) e aumenta l’adozione di carte prepagate Postepay (al 16%, +2% rispetto al 2016) e di pagamenti in contrassegno e tramite bonifico. Bartolini resta il corriere preferito per le consegne nel nostro Paese (stabile al 38%); le quote di mercato degli altri operatori si distribuiscono tra le italiane SDA (al 12%) e Poste Italiane (all’8%), l’americana Fedex-TNT (al 6%) e le tedesche DHL (al 19%) e GLS (al 13%).


Un nuovo Magazine

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L

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E DA

dedicato agli Store della Consumer Electronics Coming Soon Indovina il nome della nuova testata dedicata ai retailer dell’elettronica di consumo. Indizio: un tabloid dedicato agli imprenditori, agli store manager e agli addetti alla vendita che operano sulle superfici delle insegne. Premio: ai primi cinque che indovinano avranno diritto ad avere una pagina a loro dedicata sul primo numero. Contatti: redazione@publiedim.com


di Roberto Bonin

Hong Kong, porta d’Oriente “Il Tuo Business. La nostra Missione” è il claim dell’Hong Kong Trade Development Council: una piattaforma per chi vuole conquistare i mercati orientali

AL SERVIZIO DELL’AZIENDA

Istituito nel lontano 1966, l’Hong Kong Trade Development Council è l’ente responsabile della promozione del commercio estero del Paese asiatico, con 48 uffici in tutto il mondo e all’attivo più di 30 eventi fieristici di richiamo mondiale che coprono un po’ tutti i principali settori merceologici attualmente più richiesti, dalla tecnologia al tessile fino ad arrivare agli orologi e ai gioielli. Tra le 30 fiere organizzate da HKTDC, 11 sono tra le più importanti in tutta l’Asia e ben 5 le più grandi a livello mondiale.

26 - aprile 2018

L’approccio integrato tra offline (gli eventi fieristici) e online non si esaurisce con l’utilizzo della app, ma è rappresentato anche dal servizio SmallOrders, un canale e-commerce

alcune immagini della fiera che permette di entrare in contatto con numerose società locali: un modo per ampliare il mercato alle aziende occidentali

«Negli ultimi anni le nostre fiere hanno registrato risultati particolarmente positivi», spiega Gianluca Mirante, Direttore Italia di Hong Kong Trade Development Council. «Oltre 39mila espositori provenienti da più di 90 Paesi e circa 740mila visitatori da 200 Paesi hanno difatti affollato i saloni della fiera di Hong Kong. Tra questi, 560 espositori e 4.900 visitatori provenienti dall’Italia, numero record tra i Paesi europei, grazie alla collaborazione con diversi partner, tra cui ICE». «Tutte le nostre fiere stanno man mano evolvendo, rispondendo ai più recenti trend di mercato. La fiera dell’elettronica, per esempio, una delle più grandi al mondo, si sta aprendo a nuove tematiche come quella delle smart city, e alle innovazioni presentate dalle giovani start-up, che partecipano alla fiera dell’elettronica anche per ottenere visibilità nei confronti di potenziali investitori», ci tiene a precisare Mirante. «Non è quindi più solo un discorso di esporre e vendere, ma di capire come cogliere al meglio le opportunità offerte dal mercato». Le opportunità si sono in effetti amplificate grazie anche all’importante progetto strategico “Belt and Road”, la nuova “Via della Seta”, voluto dal Governo cinese per il miglioramento dei collegamenti e della

cooperazione tra Paesi nell’Eurasia, un’iniziativa che comprende al suo interno le direttrici terrestri della “zona economica della via della seta” e la “via della seta marittima del XXI secolo”.

SIA OFFLINE CHE ONLINE

Con l’obiettivo di facilitare i rapporti commerciali Hong Kong Trade Development Council ha messo a punto un marketplace online sempre più innovativo. Il portale www.hktdc. com si è infatti completato di un’app mobile all’avanguardia che continua a far registrare risultati davvero d’eccezione: 1,8 milioni di buyer registrati, circa 5 milioni di transazioni e attività mensili e un totale annuo di 24 milioni di ‘connessioni business’. Non solo. Circa 2.000 articoli pubblicati ogni anno e disponibili online garantiscono un aggiornamento costante sulle nuove tendenze nei singoli settori e nei maggiori mercati asiatici. «Il nostro approccio sinergico tra offline, le nostre fiere appunto, e online, non si esaurisce con l’utilizzo della nostra app, ma è rappresentata anche dal servizio SmallOrders, un canale e-commerce integrato con una visibilità espositiva a costi assolutamente contenuti».

TUTTE LE FIERE STANNO EVOLVENDO PER RISPONDERE AI TREND CHE EMERGONO DAL MERCATO

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l suo ruolo di “porta d’ingresso per l’Estremo Oriente” non sembra per nulla offuscarsi, nonostante gli innumerevoli cambiamenti degli equilibri socio-politici internazionali. Anzi, Hong Kong ha consolidato nel tempo la sua fama di piazza privilegiata non solo per i mercati del Sud-Est asiatico, ma anche da vero e proprio “corridoio d’accesso” verso tutti gli importanti scenari del Pacifico e dell’Oceania. Un ruolo, questo, che non può non interessare le realtà imprenditoriali del nostro Paese che fanno dell’export una voce di assoluto rilievo del proprio business, tanto è vero che l’Italia è ormai divenuto il 18esimo partner commerciale del Paese asiatico, con un valore complessivo degli scambi che ha raggiunto i 9,4 miliardi di dollari, in crescita dello 0,1% rispetto all’anno precedente. Di questi, 3,3 miliardi di dollari è il valore delle esportazioni da Hong Kong verso l’Italia, che posiziona il nostro Paese al 21esimo posto, mentre 6,1 miliardi di dollari è il valore delle importazioni, ponendo l’Italia al 16esimo posto per quanto riguarda l’import. Di pari passo è andata anche la crescita di Hong Kong come piattaforma di business internazionale, con all’attivo un numero sempre maggiore di visitatori stranieri, che nell’anno 2017 ha toccato quota 56,7 milioni, per una spesa di ben 141,7 miliardi di dollari nella sola prima parte dell’anno. Anche gli espositori ai principali eventi fieristici sono cresciuti in modo esponenziale, aumentando negli ultimi 10 anni di ben il 40%, così come i trade buyer intervenuti ai principali appuntamenti di richiamo internazionale, che nel 2016 hanno superato le 710mila unità.


di Roberto Bonin

Elettrodomestici: le conferme di un settore “inossidabile” In concomitanza con Eurocucina il settore del bianco si trova a confrontarsi con le ultime tendenze tecnologiche, di design e di mercato

S

emplicità d’utilizzo, connettività, design e garanzia dei risultati. Sono questi i principali trend del mercato degli elettrodomestici che, secondo il più recente report dell’Osservatorio mensile di Findomestic, sembra lasciarsi pian piano alle spalle la crisi degli anni passati, registrando nei primi mesi dell’anno crescite via via sempre più consistenti, segno non solo di una - seppur lenta - ripresa ma anche di scelte più oculate da parte dei consumatori finali, orientati verso prodotti più performanti e di fascia più elevata. Ne sono testimonianza gli ottimi risultati fatti registrare da particolari segmenti come apparecchi connessi ed elettrodomestici (grandi e piccoli) dalle dotazioni semi-professionali, in grado di garantire risultati degni di veri e propri chef stellati. Se si vuole difatti trovare un ipotetico leit motiv all’andamento dei comparti preparazione e cottura dei cibi, il migliore non potrebbe che essere “un chef tra le mura di casa”: un settore che predilige prodotti che, unitamente alla garanzia di eccellenti risultati, possano anche affiancare semplicità d’uso e velocità di esecuzione. Argomenti di vendita, questi, che negli ultimi tempi hanno affiancato, in uguale misura e con uguale importanza, altri aspetti di assoluto rilievo come risparmio ed efficienza energetica. E di risparmio si parla anche nel settore del freddo, e non solo in fatto di consumi elettrici, ma anche e soprattutto in fatto di conservazione dei cibi, un aspetto che vuoi la stretta economica vuoi i ritmi serrati im-

posti dalla frenetica vita moderna, sta guadagnando sempre più importanza nelle preferenze dei consumatori. Il tutto, ovviamente condito dalla rinata voglia di salute e benessere, soprattutto a livello alimentare. Proprio su quest’ultimo aspetto è bene spendere due parole, soprattutto in merito alle più recenti innovazioni offerte dal mondo del piccolo elettrodomestico, tutte caratterizzate da una vocazione salutistica e detox, sospinta da una più sana e più salubre cura del proprio organismo. Il “volersi bene” è difatti uno dei trend più importanti e attuali del mercato del ped che, alla crescita dei prodotti per la cottura e preparazione dei cibi affianca anche quella dei prodotti per la bellezza e la cura del corpo. Cura del corpo che comprende anche la cura del palato, giustificate dalle ottime performance fatte registrare dalle macchine per caffè: un segmento che, tra alti e bassi, non ha mai smesso di far sentire il suo non indifferente peso e sostegno all’intero settore. Stabili con anche qualche segno di contrazione, invece, i comparti dello stiro e dell’home care che, pur forieri di grandi e interessanti novità, soprattutto a livello di tecnologia, non riescono a compiere quel salto di qualità che tutti si attendono. Last but not least, vi è poi, l’aspetto della connettività, inteso non tanto come motivo di distinzione o nuovo status symbol, ma come elemento imprescindibile per l’integrazione all’interno dell’universo smart home, una tendenza destinata a divenire la normalità in

un futuro assai prossimo. Proprio in quest’ottica, l’elettrodomestico diventa infatti non solo uno strumento di lavoro e di servizio per la casa, ma un vero e proprio componente di un complesso sistema, utile al benessere e al comfort del nucleo famigliare, in grado di sottendere sia ai bisogni più elementari della casa sia ai bisogni di ogni singolo individuo. Mettendo ovviamente in comunicazione la casa, la famiglia e l’individuo con il resto del “villaggio globale”.

TECNOLOGICI, EFFICIENTI... MA SOPRATTUTTO “BELLI”

Ma veniamo al design. Se fino a solo un decennio fa era paragonabile a un semplice “di più”, riservato ad architetti, design d’interni o ad esigenti esteti dai gusti sopraffini, oggi è praticamente una prerogativa pressoché imprescindibile, anche nelle fasce più basse del mercato. A farla da padrone nel grande elettrodomestico sono ancora le linee classiche ed essenziali dello stile moderno, ben interpretate dall’eleganza indiscussa dell’alluminio e dell’acciaio inox a cui si affiancano, a seconda dello stile e della tradizione progettistica del produttore, inserti in legno o in materiali laccati con colorazioni per lo più neutre. A fungere da segno e simbolo dell’innovazione tecnologica, invece, display touch di ultimissima generazione e quadri di comandi interattivi, la cui presenza è un “elemento di rottura” in grado di completarne le linee quasi fosse un criterio di continuità tra passato e futuro. Diverso invece appare l’orientamento di design adottato nel piccolo elettrodomestico, dove la voglia di nuovo e innovativo sfocia in forme e disegni che ben si rifanno alle mode e agli stili dei decenni passati, aggregando a sé elementi del movimento futurista, della pop-art e del post-moderno, in cui colorazioni pastello e tonalità sperimentali la fanno da padrone. Da segnalare, in questo caso, anche un ritorno alla voglia di nero, intesa come una rivisitazione alternativa e in chiave moderna del classicismo retrò dello stile Liberty e del fascino misterioso del dark gotico.

27 - aprile 2018


C O A C H I N G

di Alessandro Frè e Federico Ott

Il retail del futuro è già qui Store fisico e negozio on-line: l’alba di una nuova era tra innovazione e mantenimento della storicità e della tradizione

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in dalla notte dei tempi a ogni innovazione corrisponde, quasi sempre, un incauto allarmismo. Pensiamo alla radio che, prima di essere minacciata dalla televisione, era stata considerata per diversi anni una vera e propria spada di Damocle sulla vitalità del libro. Sommosse, guerre ideologiche e crociate contro l’avanguardia accompagnano da sempre l’avvento di una novità destinata a scardinare gli schemi precostituiti su cui la mente umana ama adagiarsi di buon grado. Salvo poi constatare, quando l’occhio del ciclone s’è posato su altri panorami, che niente è perduto per sempre e che, anzi, i nuovi linguaggi possono aiutare - se non a dare nuovo lustro - almeno a infondere nuova energia vitale a stilemi appesantiti dalla mano impietosa del tempo. E non è raro rendersi conto che il nostro modo di percepire alcuni fenomeni, che spesso coincide con un sentire diffuso e mainstream, non appena lo si analizza attraverso le lenti del razionale, si rivela più o meno fallace. Le trasformazioni che negli ultimi anni hanno accompagnato il mondo del retail rappresentano in modo quasi scientifico questa distorsione percettiva e sono senz’altro uno dei pochi casi che è riuscito a scuotere tanto gli addetti ai lavori quanto l’opinione pubblica. Partiamo dal pensiero mainstream. Non siamo certo noi i primi a salutare - con tanto di fazzoletto bianco e di lacrima all’angolo dell’occhio sinistro - il mondo del retail, destinato a soccombere ai nuovi linguaggi che altro non possono fare se non distruggerlo in perpetuo. Ma nel mondo reale i contorni assumono sfumature diverse. Da un lato, certo, la situazione oggi è critica: i fronti sotto attacco si sommano e si complicano e il competitor più feroce ha smesso da lungo tempo di essere lo sgargiante e imponente negozio dirimpetto. Ma dall’altro non si può che prenderne atto: questo mondo del retail non è impermeabile alle sue stesse evoluzioni e difficoltà ma sta anzi sviluppando forme di reazione innovative, basate sulla creatività e sul coraggio, con l’obiettivo di cogliere opportunità che sino a qualche tempo fa non erano minimamente ipotizzabili.

IL CONSUMATORE, PRIMA DI TUTTO

Il futuro è già qui e, anzi, sembra ormai passato. L’avvento, ma è più giusto parlare di consolidamento, dei negozi online si è abbattuto come un vero e proprio tornado sul mondo del retail. Ma ucciderà davvero gli store fisici? La questione dev’essere analizzata più nel profondo, partendo da una considerazione fondamentale: prima di ridisegnare i processi di vendita, analizzare dati e scomodare animi fatalisti, bisogna avere ben chiaro che se il consumatore non diventa il focus della strategia si è destinati a fallire, a prescindere dal dirompente dilagare del digitale. Anche perché sarebbe sbagliato vedere l’online come la Terra Promessa in cui tutto è semplice e non esistono difficoltà di sorta. Gli e-commerce hanno le proprie magagne. Una su tutte: i costi legati alla logistica e alla consegna fisica dei prodotti. Il negozio di domani allora non deve imbracciare i fucili e imbarcarsi in una feroce crociata contro il digitale. Più costruttivo e lungimirante sarebbe invece fare tesoro dei preziosi insegnamenti che l’online può regalare. Dalle abitudini di consumo del cliente finale all’orientamento all’acquisto fino alle curiosità più personali: sono davvero tantissimi gli insight che il digitale permette di raccogliere e che si possono trasporre nel negozio fisico. L’obiettivo? Tramutarlo in un vero e proprio hub esperienziale. Un luogo d’elezione dove il consumatore non si reca unicamente per finalizzare un acquisto tra i tanti, ma anche e soprattutto per vivere una vera e propria esperienza. Un’esperienza che in buona sostanza non si ricrea altrove e che ha il potere di fidelizzarlo e legarlo indissolubilmente al brand. E quest’ultimo, in questo nuovo ed elettrico circuito, ha un enorme vantaggio: non venire più percepito come una realtà astratta e distante, ma come un’entità vicina, che conosce il cliente, lo ascolta e ne intercetta e soddisfa i bisogni più specifici.

28 - aprile 2018

MAKE IT “EXPERIENTIAL”

È il caso, per esempio, dello Huawei Experience Store, il negozio esperienziale che la nota casa cinese ha aperto nel nuovissimo City Life Business & Shopping District, l’ultimo centro commerciale sorto a Milano. “Make it possible” è il claim che dà voce a Huawei, un concetto accattivante che si cristallizza in pura realtà tra le pareti dello store meneghino. In questo hub esperienziale, il cliente non solo alimenta la propria passione per la tecnologia, ma trova opportunità concrete per svilupparla ulteriormente. Huawei ha pensato davvero a tutto per mettere il consumatore al centro dell’esperienza: non solo toccare con mano i prodotti – quello ormai lo offrono tutti gli electronics retail – ma anche disegnare, customizzare e rendere unico il device o l’accessorio scelto. Un vero e proprio laboratorio dove testare sul campo le soluzioni più innovative del settore e sperimentare un nuovo approccio che dia maggiore spazio ad esperienze personalizzate e create attorno a un cliente sempre più attento ed esigente. Le persone possono ritrovarsi, condividere i propri interessi, creare attraverso la tecnologia, sperimentare il nuovo in compagnia di esperti. Tutto lo store è disegnato per essere una vera esperienza: dalle pareti intelligenti che parlano più lingue al giardino interattivo che mixa piante e fiori led, fino al pavimento capace di trasformare il calpestio delle persone in energia elettrica. Ma l’esperienza, il digitale, riesce anche a crearla ex novo. Parliamo del caso più celebre ed eclatante: Amazon Go, lo store fisico di Amazon, l’esempio forse più forte della compenetrazione tra i rigidi schemi dello store fisico e la disintermediazione e smaterializzazione che caratterizzano quello online. Tutti i prodotti sono a portata di mano, adagiati su scaffali che le nostre sinapsi sono avvezze a collegare al ben noto negozio fisico. Ma le casse, le file,

perfino il nostro portafoglio così come lo conosciamo non ha più senso di esistere. È sufficiente aver collegato un metodo di pagamento al proprio account per potersi aggiudicare, legalmente, il cartone del latte. Ecco che allora non è difficile capire come questi negozi cerchino d’interpretare pro domo sua le tendenze per trasformarle in fatturato. Da una parte rispondono perfettamente alle abitudini delle nuove generazioni, per le quali fare acquisti via app e mobile è poco meno di un automatismo; dall’altra strizzano l’occhio a chi, per le ragioni più disparate che possono spaziare tra analfabetismo digitale, età, stereotipi o perfino scetticismo, non si è ancora convertito allo shopping online. La parola chiave è sempre una: il consumatore, con le sue necessità, il suo modus operandi, i suoi schemi di pensiero e interazione.

QUALI LEZIONI IMPARARE

“L’intelligenza è la capacità di adattarsi al cambiamento”, ha detto Stephen Hawking. E per cambiare senza dover rinnegare la propria natura o cadendo nello scopiazzamento più becero di formule customizzate sull’altrui realtà, bisogna partire da qui: risolvere i problemi concreti del consumatore e, allo stesso tempo, rendere l’esperienza di acquisto indimenticabile. Del resto, sono molte le formule digitali che possono arricchire l’esperienza fisica: dall’integrazione omnicanale all’offerta di nuovi servizi, passando per l’introduzione di innovazioni digitali e il lancio di nuovi format. Morte del retail, allora? Tutt’altro. Semmai, l’alba di una nuova era: la nascita di nuovi linguaggi, nuove prospettive e nuovi emozionanti orizzonti da esplorare.

Risorsa Uomo nasce a Milano nel 1985 dall’idea imprenditoriale di un gruppo di consulenti specializzati nelle aree della formazione commerciale e manageriale. Oggi Risorsa Uomo conta circa 50 consulenti e offre al cliente progetti personalizzati nell’ambito della consulenza, della formazione e della comunicazione integrata. “Vicini alle vostre esigenze per il miglioramento delle performance e della competitività”

federico ott

alessandro frè

Managing Partner di Risorsa Uomo. Dal 2012 al 2017 è stato Global HR Director del Gruppo Landi Renzo. Percorso professionale iniziato in IVECO come responsabile sindacale dei plant torinesi. Negli anni successivi, dopo una esperienza di due anni in area sviluppo Iveco worldwide, ricopre il ruolo di HR manager in stabilimenti strategici in Italia ed all’estero. Nel 2010 entra in Comau come HR Business Partner e Global HR Industrial Operations. Nel 2012 oltre ad una commedia, ha pubblicato “E’ tutto oro che cola”, il suo primo libro legato ad un progetto benefico.

Consulente e formatore esperto nelle riorganizzazioni commerciali, negoziazione, strategie di marketing, coaching e processi decisionali. Dagli anni ‘90 agli anni 2000 ha occupato la posizione di formatore e Management Consultant. Da 15 anni CEO & Partner di Risorsa Uomo Srl. Ha progettato e condotto più di 600 interventi di formazione e consulenza con metodologie innovative e lavorando con più di 80 primarie aziende italiane. Ha seguito e segue numerosi progetti in area commerciale, trade, manageriale e formazione formatori.


Foster Grant punta sull’Italia e parte dai department store Il brand di eyewear si contraddistingue per il rapporto tra prezzo e design di Luca Figini

guglielmo allogisi

Fujifilm vuole reinventare il mercato della fotografia Le mirrorless sommano eccellente qualità d’immagine e compattezza di Roberto Bonin

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na famosa frase di Mario Calabresi, dice che “Ci sono fatti, pezzi di storia, che esistono solo perché c’è una fotografia che li racconta”. Una citazione che ben rappresenta il nuovo corso – se di nuovo corso si vuol parlare – intrapreso da Fujifilm da qualche anno a questa parte. L’azienda giapponese ha infatti deciso di tornare a vendere la qualità, instaurando quel giusto rapporto tra produttore e consumatore, basato sulla fiducia, prima tra tutte quella dell’avere il prodotto giusto per le proprie esigenze. Addio quindi alle sole logiche di prezzo e promozionalità a cui, purtroppo, siamo ormai abituati, e, viceversa, un ritorno a una vendita ragionata, assistita e, soprattutto, redditizia, sia per il rivenditore che per il cliente finale. La visione di Fujifilm non lascia infatti adito a dubbi di sorta e, come tiene a sottolineare Guglielmo Allogisi, E.I General Manager di Fujifilm Italia, «mira a reinventare il mercato»; un mercato, quello delle fotografia, che, come è ben noto, negli ultimi tempi non ha riservato delle performance particolarmente esaltanti, ma che con la “ricetta” messa a punto dal marchio giapponese può dare invece delle soddisfazioni non indifferenti. La scelta non è stata solo di canale, tornando a presidiare in modo importante gli specialisti, ma anche e soprattutto di tecnologia, quella più nuova e innovativa delle mirroless che sta registrando ottime performance di quote e di vendita sul mercato. Più compatte e maneggevoli delle tradizionali reflex, difatti, le nuove fotocamere “senza specchio” sono in grado di assicurare standard qualitativi di assoluto rilievo, nonché un indotto in termini di accessori, assolutamente interessante e dall’elevata marginalità. Come più volte sottolineato dallo stesso Allogisi, però, si tratta di un progetto che non dovrebbe essere a totale appannaggio degli specializzati, ma coinvolgere anche i retailer dell’elettronica.

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egli Stati Uniti è sinonimo di eyewear. In Italia Foster Grant sta approcciando il mercato con prodotti dall’ottimo rapporto tra prezzo e qualità. Ossia, puntando a massimizzare la seconda mantenendo un occhio di riguardo al posizionamento. Anche in virtù della scelta del canale distributivo: la grande distribuzione, i department store e i negozi di accessori. Le collezioni si ispirano ai trend più attuali ma il brand vanta oltre 85 anni di esperienza nel settore. Ad oggi vanta uffici dedicati allo studio del desing a New York, Londra e Milano. Tutti gli occhiali da sole Foster Grant forniscono il massimo livello di protezione solare. Oltre a questo sono progettati per garantire una cal calzata confortevole. Come dimostra il nuovo modello capa capace di sommare in sé glamour e prezzo accessibile. Segna Segnatamente si chiama F3176/01 e appartiene alla collezione di punta P/E 2018 di Foster Grant. È un occhiale da sole a maschera con doppio ponte che punta tutto sulla qualità dei materiali. Al design unisex si aggiungono lenti che ga garantiscono la massima protezione dai raggi UV, con filtro 3. L’occhiale è in policarbonato antiurto, leggero, dalla cal calzata confortevole; è disponibile in due versioni nei colori marrone tartaruga e in versione nero con lenti gradient fumo. È distribuito in Italia al prezzo di 24,90 euro. Per completezza d’informazione, Foster Grant è un marchio di proprietà di FGX international. In Italia è distribuito da Polinelli Srl, una divisione di FGX International.

29 - aprile 2018


di Luca Figini

Auto connesse: la tecnologia non aiuta a vendere Un terzo degli automobilisti in Italia non usa la piattaforma di connettività del cruscotto. Le case costruttrici però sono ritenute più affidabili di Google e Apple

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e piattaforme di connettività in auto sono poco utilizzate non già perché poco diffuse, quanto piuttosto perché le persone non ne sanno cogliere i vantaggi. Perché, e questo fa scalpore, le case automobilistiche ancora oggi non riescono a comunicare in modo efficace i benefici effettivi di avere un sistema di infotainment in-car. Questa, in estrema sintesi, è la conclusione a cui si arriva leggendo il rapporto di Kantar Tns ottenuto dalla ricerca che ha coinvolto oltre 8.500 automobilisti in 13 Paesi (Europa, Nord America e Cina). I risultati a livello globale fanno pensare: il 25% delle persone non utilizza in modo attivo le tecnologie di connettività presenti in auto. La percentuale sale al 29% in Europa e addirittura al 32% in Italia. L’11% degli automobilisti a livello mondiale non sa nemmeno che il veicolo è dotato di tali tecnologie; in Italia la quota arriva al 16%. Questi dati fanno ragionare, perché sia sul fronte automotive sia su quello mobile (industria, operatori e aziende over the top) gli investimenti sulle connected car sono ingenti: nel 2020 il giro d’affari mondiali toccherà quota 113 miliardi di dollari. È uno sforzo tecnologico e anche concreto sia sul canale di vendita per la formazione degli addetti nei concessionari, sia in termini di dialettica comunicativa nei confronti dei consumatori. Il 68% degli utenti in Italia (sono il 56% nel mondo e il 58% in Europa), che ha provato questi servizi al momento dell’acquisto di un’auto, non è sicuro di sceglierli di nuovo e dichiara di non pensare di utilizzarli in futuro.

CONNECTED CAR SCONNESSA

Uno dei punti su cui ragionare è che dagli automobilisti la tecnologia in auto è ancora vista come un optional, non come parte integrante del veicolo. Quindi si genera una lacuna di percezione e funzionale agli occhi degli utenti, che sottovalutano come la connettività possa avere un ruolo determinante sulla sicurezza e sull’esperienza di guida. Secondo lo studio di Kantar, in Italia il 67% degli intervistati è pronto a pagare una aggiunta per servizi relativi ai conducenti, tra cui navigazione, intrattenimento e possibilità di fare interagire le app con il cruscotto dell’auto. Peccato che

30 - aprile 2018

sulla gran parte dei modelli nuovi e recenti queste soluzioni siano pressoché di serie. A essere particolarmente predisposti all’adozione e all’utilizzo delle funzioni di connettività sono i proprietari di auto recanti brand premium. E sale anche la predisposizione a pagare un’addizionale di prezzo per avere servizi di connettività di qualità superiore: passa dal 67% degli utenti con marchi più popolari al 74% nei possessori di auto di lusso. La classifica italiana delle caratteristiche più importanti relative all’automotive è così composta: sicurezza, tutela del trattamento dei dati, navigazione in auto, manutenzione, esperienza di guida, connettività, servizi e

informazione/intrattenimento. E la guida autonoma? Il 42% degli italiani è “informato ma non interessato” a questa categoria di veicoli. Spiega Andra Galimberti, Practice Head Automotive di Kantar Tns: «L’opportunità per i produttori di auto oggi è riuscire a rendere la connettività ancora più accessibile, personalizzata e utile per l’esperienza di guida. Ma per fare ciò hanno l’obbligo di dimostrare agli automobilisti l’impatto e il valore per aumentarne l’uso e creare fiducia. Probabilmente bisogna modificare il modo in cui si propongono queste funzioni, attraverso dimostrazioni di persona sull’utilizzo della nuova tecnologia e rendendo le tecnologie una dotazione di serie, non più un optional».

PUNTARE SUI VANTAGGI

L’opportunità per le case automobilistiche è puntare sul forte desiderio di acquisto di veicoli connessi. Il 60% degli italiani (sono il 53% in Europa e il 79% in Cina) ha dichiarato che il “prossimo veicolo” sarà connesso. La prevalenza di questi potenziali clienti vuole rivolgersi ai concessionari per ottenere indicazioni sulle tecnologie di nuova generazione. Interessante notare che in Cina solo il 25% si rivolgerà al canale per avere risposte sulla connettività, a dimostrazione che l’online in questo Paese sta dominando anche nel segmento automotive. Dunque diventa fondamentale che i brand puntino sulla semplicità e l’immediatezza delle piattaforme di infotainment presenti in auto. Altro elemento che servirà per intercettare la domanda latente dei consumatori consiste nel strutturare una comunicazione chiara centrata su benefici e dei vantaggi concreti offerti dai cruscotti connessi attraverso un marketing che passi anche e soprattutto dai concessionari. Nei mercati maturi come Europa e Nord America la rete di vendita fisica riveste un ruolo ancora determinante nel percorso di acquisto. Soprattutto se si guarda all’Italia, dove i car dealer nel 60% dei casi assurgono a ruolo di punto di riferimento quando è necessario ottenere risposte e informazioni attendibili. L’online sta crescendo prepotentemente e quindi riveste un ruolo di touchpoint essenziale per conquistare l’interesse dei potenziali acquirenti.

PUNTARE SULLA FIDUCIA

I brand automobilistici si trovano in una posizione di forza quando si tratta di percezione di sicurezza e tutela dei dati dei conducenti, poiché godono di una fiducia molto maggiore rispetto ai loro rivali tecnologici. A livello globale, il 37% dei consumatori (Europa 43%, Nord America 39%, Cina 32%) si fida più delle Case che dei marchi legati al mondo del digitale, per esempio Google e Facebook. Altro elemento interessante riguarda la capacità della tecnologia connessa di incidere sulla sicurezza: in Italia il 38% degli automobilisti si dichiara interessato alle connected car proprio perché più affidabili e capaci di tutelare meglio conducenti e passeggeri.



Perfect Black creates Perfect Colors Lo stato dell’arte della tecnologia è rappresentato ancora una volta da LG OLED TV, il TV OLED più venduto al mondo. Grazie ai suoi pixel autoilluminanti LG OLED TV raggiunge il Nero Perfetto, l’unico che può donare profondità ai colori.

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* LG OLED TV dal 2013 è il TV OLED più venduto al mondo. Fonte dati IHS Markit, Technology Group, TV Sets Market Tracker, Q4 2017. Il posizionamento non è un endorsement di LG. Eventuali rischi derivanti dall’uso di questi dati ricadono sulle terze parti fruitrici. Per maggiori dettagli www.technology.ihs.com


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