Cesare Zavattini sceneggiatore di Umberto D.

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CESARE ZAVATTINI SCENEGGIATORE DI UMBERTO D.

Relatrice: PROF.SSA LUCIA CARDONE

Tesi di Laurea di: ALBERTO MULAS

ANNO ACCADEMICO 2010/2011


Indice

Introduzione Capitolo I. Biografia I.1 Origini, giornalismo e scrittura I.2. Storie, fumetti, Sceneggiature e collaborazioni cinematografiche I.3. Figura poliedrica: pittura, radio, regia e ancora sceneggiature

Capitolo II. Pensiero e teorie II.1 Il quotidiano e il reale II.2 Sceneggiatore: Come dovrebbero essere i nostri racconti?. II.3 Il Neorealismo: “l’umile racconto”

Capitolo III. Collaborazione con De Sica III.1 Modalità di collaborazione e obiettivi comuni

Capitolo IV. Umberto D. IV.1 Scelta tematica e ideazione dell’opera IV.2 Trascrizione cinematografica di alcune sequenze del film

Capitolo V. Reazione all’opera V.1 Critica e politica

Capitolo VI. Conclusioni VI.1 Un'eredità finalizzata alla descrizione e al miglioramento del sociale

Bibliografia Allegati: Il soggetto e Alcuni passi dalla sceneggiatura


Introduzione Ricordi che qualcuno ci diceva leggendo il copione: «Questo non è Cinema?». Nessuno di costoro amava il tuo cavallo bianco di Sciuscià e non volevano che il racconto finisse così tragicamente e nemmeno volevano che il furto di una povera bicicletta creasse tanto dolore e che gli altri tuoi personaggi, Totò il buono o il vecchio Umberto, disturbassero il quieto vivere di una collettività che aveva già dimenticato la guerra.1

Era il 6 Luglio del 1953 e Vittorio De Sica scriveva un‟appassionata lettera al caro amico Cesare Zavattini per giustificare la sua scarsa presenza al Circolo Romano del Cinema ma soprattutto per ribadire la stima e la fraterna amicizia nei confronti dello scrittore alla quale spesso critica, giornali e scettici avevano più volte attentato. La voglia di inchiesta, l‟interesse per il sociale e il tentativo di ridurre le distanze tra immaginazione e reale hanno reso Zavattini una figura emblematica della cultura e del cinema inteso come mezzo di comunicazione. Cesare Zavattini è un artista poliedrico e nella sua vita ha lasciato il segno in numerosi ambiti culturali: giornalismo, scrittura, fumetti, radio, pittura, poesia e regia. Il nucleo centrale della tesi sarà orientato all‟analisi della figura di Zavattini nell‟ambito della sceneggiatura e in particolare nella realizzazione dell‟opera “Umberto D.”. Parleremo delle modalità di sviluppo di una storia che trae la sua linfa vitale dal quotidiano. Una storia che punta il faro su una delle tante realtà umane del dopoguerra e che ne sottolinea, attraverso i gesti, le parole e le esperienze del protagonista, la fredda e concreta attualità. Andremo ad osservare uno Zavattini, conscio ormai delle sue mature capacità inventive; uno Zavattini che ripudia la scrittura di soggetti cinematografici che attingono da un bacino di pura fantasia decidendo coraggiosamente, come sottolinea De Sica nel

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Cesare Zavattini, Opere, a cura di V. Fortichiari e M. Argentieri, Milano, Bompiani, 2002, p. 154.

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passo della lettera sopra citato, di mettere uno specchio di fronte all‟Italia del dopoguerra scontrandosi con lo scetticismo dei critici e di chi voleva evitare di vedere il riflesso dell‟Italia post-bellica. In conclusione l‟obbiettivo della presente tesi è quello di visitare la realtà di un‟Italia coraggiosa che aveva fatto delle storie del quotidiano e dei valori umani il proprio obiettivo e in particolare di analizzare, prendendo come riferimento una delle sue più famose sceneggiature, l‟opera dell‟uomo che ha reso possibile con la sua lungimiranza e cocciutaggine quel movimento culturale che oggi il mondo conosce come “Neorealismo Italiano” ma che a detta dello stesso Zavattini non ha colmato ancora il suo debito anche a causa delle numerose opposizioni. La porta da passare era a mille metri da noi. Ci siamo fermati a novecento metri. E ora ci si muove per tornare indietro. Il coraggio dei primi novecento metri è stato grande, ma viene meno il coraggio degli ultimi cento metri [...] ci invidieranno tutti se avremo il coraggio...è dunque un crimine rallentare o interrompere il viaggio del cinema italiano verso la realtà che lo attira, una realtà che quantitativamente e qualitativamente non può essere che la realtà dell‟umile Italia.2

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Cesare Zavattini, Opere, a cura di V. Fortichiari e M. Argentieri, Milano, Bompiani 2002, p. 699.

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Capitolo I. Biografia di Cesare Zavattini I.1. Origini, giornalismo e scrittura Cesare Zavattini nasce a Luzzara, comune rivierasco del Po, il 20 Settembre 1902, da una famiglia di origine contadina da parte di madre e di caffettieri da parte di padre. Le origini dei due genitori lasciano già intravedere l‟innata convivenza di due aspetti fondamentali nel pensiero Zavattiniano ovvero: il lavoro e il sociale. Dopo aver frequentato le scuole elementari nella natìa Luzzara viene mandato dai genitori da una cugina Zavattini, maestra giardiniera, a Bergamo, dove conseguirà la licenza ginnasiale. In seguito al trasferimento dei genitori a Colleferro, poco distante da Roma, egli si sposta nella capitale per frequentare il liceo Umberto I. La sua scarsa presenza a scuola, sostituita da una frequentazione assidua del teatro lirico e di prosa, dove può ammirare Ermete Novelli, Raffaele Viviani e soprattutto Ettore Petrolini, è causa della sua bocciatura in seguito alla quale viene mandato nella città laziale di Alatri, a cento chilometri da Roma, presso il celebre Liceo Classico Conti Gentili di cui diviene bibliotecario e dove, dopo tre anni e dopo aver organizzato il primo sciopero “ciociaro” di studenti, consegue la licenza liceale. In questi anni viene enormemente colpito dalla lettura di Un uomo finito di Giovanni Papini, scrittore ex-garibaldino e anticlericale, che racconta sotto forma di autobiografia la storia di un giovane scrittore appena trentenne “nato con la malattia della grandezza” che si prefigge il compito di costruire un‟opera più grande di quella di Dante e di Shakespeare, mentre invece rimane deluso dal lavoro dello stesso Storia di Cristo, dove Papini annuncia la sua conversione spirituale.

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In questo periodo di formazione intellettuale e ricerca culturale Zavattini diventa nazionalista, seguace di Luigi Federzoni, famoso Dantista che era stato suo insegnante a Roma. In seguito torna a Luzzara e cambia idee politiche mentre i genitori in condizioni finanziarie disastrose assumono la gestione di un albergo sull‟Appennino reggiano a Gabellino. Zavattini trova un posto di istitutore presso il Collegio Maria Luigia di Parma, dopo essersi iscritto alla facoltà di legge di quella città. Nel collegio Maria Luigia Zavattini comincia a dare sfogo alla sua grande passione giornalistica creando il suo primo giornale umoristico e collaborando con Giovanni Guareschi, Attilio Bertolucci, Pietro Bianchi, Alessandro Minardi, A.A. Soldati, Erberto Carboni, Leonida Fietta e inoltre da Ugo Betti e Gino Salviotti. Comincia a collaborare con articoli al quotidiano La Gazzetta di Parma di cui diventa poi, dopo aver lasciato il Collegio, redattore di terza pagina. Nel 1925 nasce a Luzzara il suo primo figlio, Mario, da Olga Berni. Collabora con racconti umoristici al quotidiano romano Tevere, al settimanale Il Caffè e alla Fiera Letteraria. In seguito alla chiusura della Gazzetta di Parma che poi verrà convertita nel fascista Corriere Emiliano, Zavattini parte a Firenze per il servizio militare. Durante il 1929-1931, militare a Firenze, si lega con i collaboratori di Solaria, tra cui spiccano i nomi di Eugenio Montale, Alessandro Bonsanti e Raffaello Franchi. Sulla Fiera Letteraria è il primo a recensire Gli Indifferenti di Moravia. Viene in seguito congedato dal servizio militare per tornare a Luzzara dove il padre versa in cattiva salute. Qui comincia a scrivere il suo primo libro Parliamo tanto 5


di me. Stabilizzate le condizioni di salute del padre egli parte alla volta di Milano dove grazie alle intercessioni di Enrico Cavacchioli entra alla Rizzoli con un eccezzionale contratto di duemila lire al mese. Le condizioni del padre però peggiorano e Zavattini è costretto a tornare prima di firmare il contratto. Il padre muore di cirrosi epatica e la famiglia versa in condizioni finanziarie critiche. Ritornato a Milano Zavattini non trova più Cavacchioli e neanche il suo contratto da duemila lire ma solo uno da seicento lire come correttore di bozze. Fortunatamente Bompiani legge il suo libro e lo pubblica. Il lavoro di Zavattini riscuote un enorme successo di pubblico e critica scomodando anche Croce che interverrà in merito con una lettera, diventando un vero e proprio caso letterario. Comincia con Bompiani una lunga e proficua amicizia. Zavattini continua la sua collaborazione con Rizzoli e pubblica una serie di romanzi intitolata I Giovani. Intorno al 1932, nel momento in cui la collaborazione tra Rizzoli e Zavattini avrebbe dovuto avere la sua massima espressione con la nascita di un giornale umoristico, tra i due finisce l‟idillio a causa di un forte dissenso di carattere sindacale. Il settimanale uscirà comunque con Rizzoli, dal titolo Il Bertoldo e Zavattini passerà a Mondadori per il quale creerà un settimanale di grande successo; una versione rotocalco del quindicinale Le Grandi firme che due anni più tardi sarà soppresso dal regime fascista perché non indirizzato alla propaganda. Nel 1933 Zavattini, “Za” per gli amici, si iscrive al partito fascista. La sua è una scelta di comodo e non di condivisione degli ideali del regime. Il padre di Zavattini infatti, liberale estraneo al fascismo, era stato protetto da spiacevoli inconvenienti da 6


Max Mugnani, segretario del fascio a Luzzara. Zavattini sottolineerà sempre di essere stato libero nella sua collaborazione con Rizzoli e Mondadori e di non aver avuto nessuna pressione per prendere la tessera fascista.

I.2. Storie, fumetti, sceneggiature Tra il 1934 e il 1937 Zavattini comincia la sua carriera di soggettista cinematografico con Buoni per un giorno in collaborazione con Giaci Mondaini, e Cinque poveri in automobile. Il primo diverrà il soggetto per il film di Mario Camerini Darò un milione interpretato dal giovane attore di prosa Vittorio De Sica. Nel 1937 esce una edizione con nuovi approfondimenti critici di Parliamo tanto di me e sempre in quell‟anno Zavattini si dedica alla scrittura di parecchi canovacci per storie illustrate a fumetti: Saturno contro la terra, Zorro della metropoli, La Compagnia dei sette, La primula rossa del risorgimento. L‟attività di soggettista di fumetti ha inizio quando Zavattini lavora come direttore editoriale alla Disney Mondadori e il collega Federico Pedrocchi lo invita a scrivere delle storie vista la sua naturale fantasia e capacità narrativa. 1

Iniziano dunque un ciclo di storie dedicate a Saturno, plasmate sullo stile del Flash Gordon di Alex Raymond, che hanno come protagonista Rebo, il dittatore del pianeta. Con i disegni di Giovanni Scolari vengono pubblicate sotto forma di fumetti sui Tre porcellini e su Topolino. Dalle storie traspare lo spirito pacifista dell‟autore e un invito alla collaborazione tra i popoli. In questo periodo Umberto Mauri cugino di Valentino Bompiani ha anche la 7


pionieristica idea della Helicon ovvero un settore editoriale dove tradurre le storie del Fumetto Saturno contro la terra, per conquistare il mercato anglosassone. Il fumetto avrebbe preso il titolo di Saturn against Earth dalla letteraria traduzione in inglese. Sfortunatamente un bombardamento nel 1944 rase al suolo la sede della Helicon e il progetto non ha avuto un seguito. Lo stesso Zavattini in molte interviste rimpiange la non riuscita del progetto sostenendo che si sarebbe potuto confrontare con una realtà editoriale diversa.3 Nel 1938, dopo una breve pausa per curarsi da un esaurimento nervoso in cui comincia una modesta attività di pittore, dirige il settimanale umoristico Settebello, collaborando anche al Marc‟Aurelio. Nel 1939 a Milano, tramite il critico teatrale Adolfo Franci, conosce Vittorio de Sica che gli compra il soggetto cinematografico Diamo a tutti un cavallo a dondolo. Quest‟incontro segnerà le basi di una proficua collaborazione fino al 1974 anno della morte di De Sica. 1In

questi anni Zavattini pubblica dei racconti sul settimanale il Tempo e a

puntate il romanzo per ragazzi Totò il buono che in seguito uscirà presso Bompiani in volume illustrato da Mino Maccari nel 1941 e sempre nello stesso anno una raccolta di racconti dal titolo Io sono il Diavolo, sempre per Bompiani. Nel 1942 collabora a Teresa Venerdì di De Sica e nel 1943 inizia la vera e propria collaborazione tra i due con I bambini ci guardano tratto dal racconto Pricò di Giulio Cesare Viola e scrive il soggetto cinematografico della commedia drammatica Quattro passi fra le nuvole diretto da Blasetti ed interpretato da Gino Cervi. Da quel momento Zavattini diventerà il responsabile ufficiale dei testi nei film di 3

Cfr. <http://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Zavattini> 2011-05-05.

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De Sica e verrà consultato dal regista anche in fase di montaggio ed assiduamente anche fuori dal set. Nel 1943 durante l‟occupazione tedesca trasferisce la famiglia a Boville vicino Frosinone e in seguito De Sica manderà a prendere lui e la sua famiglia con una camion del Vaticano in occasione del progetto di un nuovo film, La porta del cielo, organizzato da Salvo d‟Angelo, che produrrà anche La terra trema. Sempre quest‟anno scrive Ipocrita 1943 e dopo la fuga dei nazisti pubblica un libretto minuscolo, Pitture di Zavattini. Tra il 1944 e il 1946 Zavattini si fà promotore di un nuovo modo di fare cinema che è la risultante inevitabile delle ultime drammatiche esperienze belliche. Durante un‟assemblea al cinema Imperiale di Roma indirizza attori come De Sica, Isa Miranda, Gino Cervi ad approcciarsi sempre di più ad un discorso autocritico. In questi anni Zavattini, oltre all‟attività di scrittore di storie, stende le basi ideologiche di quello che andrà a configurarsi come il movimento neorealistico italiano. Tra il 1947 e il 1950 Zavattini scrive i soggetti di alcuni dei film manifesto del Neorealismo cinematografico italiano: Sciuscià, ladri di biciclette, titolo tratto dal libro di Luigi Bartolini, Umberto D. e Miracolo a Milano, tratto dal romanzo Totò il buono. All‟attività di scrittore di storie Zavattini affianca la sua necessità di inchiesta e di cinema diretto: I misteri di Roma, Siamo donne, Le italiane e l’amore, L’amore in città. Nel 1951 progetta Italia mia, un condensato delle sue idee e teorie neorealistiche. A causa dell‟indisponibilità di De Sica, Rossellini si offre di realizzare il film ma tra i due nasce un conflitto di carattere politico che porterà all‟accantonamento del progetto. Nel 1955 Zavattini consolida la sua professione di scrittore unita all‟inclinazione 9


documentaristica. Di quest‟anno è infatti il lavoro: Un paese, pubblicato da Einaudi, testo accompagnato dalle foto, di Paul Strand, della natia Luzzara. Zavattini dirà senza modestia di aver fatto del suo paese natio una buona cassa di risonanza. Egli aveva anche organizzato una gara tra i suoi compaesani che aveva come scopo quella di raccontare storie umoristiche; un progetto dal nome Luzzara che ride da cui poi desume l‟idea di L’Italia che ride; ovvero lo stesso tipo di competizione ma su scale nazionale, raccogliendo numerosi giornalisti e letterati. Sempre in questo anno riceve il premio mondiale per la pace; nel1959 pubblica per Bompiani il testo teatrale Come si scrive un soggetto cinematografico e si reca a Cuba per collaborare con un‟associazione di giovani cineasti diretta da Alfredo Guevara. La sua attività comincia anche ad essere nota in Francia, in Spagna e nel resto d‟Europa. Tra il 1966 e il 1970 continua una proficua produzione di testi tra i quali vanno citati: Fiume Po con foto di William. M. Zanca, Straparole, Ligabue, Non libro più disco con Bompiani. Cura inoltre la rubrica L’Italia domanda per Mondadori, che contribuisce al lancio della rivista Epoca. Di pari passo in questi anni continua la sua attività nel cinema che Zavattini descriverà meno libera di quella della scrittura. Egli considera infatti l‟attività cinematografica più condizionata rispetto a quella della scrittura. Ciò nonostante continuerà a creare soggetti per il cinema comico e drammatico tra i quali ricordiamo: Bellissima, film del 1951 realizzato da Visconti, Prima comunione del 1950, Salviamo il panorama per Blasetti, Una domenica d’agosto per Emmer, Buongiorno elefante e Roma ore 11 per De Santis. 10


E ancora per De Sica: L’oro di Napoli del 1954, la ciociara del 1960, Ieri, oggi, domani del 1963. Zavattini sempre negli anni sessanta da il suo enorme contributo al cinema “utile” con discorsi e iniziative fondamentali tra cui: Il cinegiornale della pace, i cinegiornali liberi, il cinegiornale del proletariato che oltre ad avere un grande successo di pubblico contribuiscono a portare avanti il discorso “interrotto” del neorealismo.

I.3. Figura poliedrica: Pittura, Radio, regia e ancora sceneggiatura Alla fine degli anni sessanta viene invitato a numerose conferenze negli Stati Uniti e nell‟U.R.S.S. e partecipa anche alle lotte per un cinema libero a Venezia presiedendo l‟Associazione degli autori cinematografici. A conclusione di questi anni Zavattini, nell‟ambito della pittura, passa dal dilettantismo al professionismo riscuotendo enorme successo in varie mostre a Milano e a Roma. Il genio poliedrico di Zavattini và ad investire anche il mondo radiofonico conducendo nel 1977 il concorso Italia che ride e quello televisivo dove riscuote molto successo con la sceneggiatura di Ligabue diretto da Salvatore Nocita e con Flavio Bucci come attore protagonista. Anche il mondo della poesia non è immune dalla vorace fantasia e ispirazione di Zavattini che pubblica varie raccolte in versi: Stricarm’in d’na parola del 1973, Otto canzonette sporche, la raccolta Opere. Romanzi, diario, poesia del 1974, nel 1976 La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini, Al Macero e Un paese vent’anni dopo. Ritornando al cinema, Zavattini scrive ancora, per De Sica, il soggetto Lo chiameremo Andrea, la riduzione di Un cuore semplice, tratto da un racconto di

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Flaubert che era caro a De Sica ma che verrà realizzato da Giorgio Ferrara a causa della dipartita del celebre regista. Firmerà anche un soggetto per lo statunitense Hall Bartlett; una riduzione di un capolavoro moderno: I figli di Sanchez interpretato da Anthony Quinn. Nel 1974 a Parma viene organizzata una mostra sulla pittura di Zavattini che in quell‟occasione riceverà anche la cittadinanza onoraria. Altre mostre verrano realizzate a Barcellona e a Madrid. Nel 1975 è nominato presidente dell‟Associazione delle cooperative culturali e nel 1977 riceve un riconoscimento dalla Associazione Americana degli scrittori di cinema, riconoscimento attribuito prima di lui solo a Charlie Chaplin nel 1972. Gli anni ottanta sono costellati di premi alla carriera e monografie di svariati autori. Nel 1982 l‟instancabile mente di Zavattini lo porta ad esordire come regista e attore nell‟opera dal carattere testamentario La Veritàaaa. Sempre in quest‟anno riceverà il David di Donatello e il Leone d‟oro della biennale di Venezia. Cesare Zavattini si spegne il 13 ottobre 1989 all‟età di ottantasette anni nella sua casa romana di via Sant‟Angela Merici. Il funerale viene celebrato a Luzzara dove viene sepolto.

Nota: Per la stesura di questa sezione mi sono basato sulla biografia di Cesare Zavattini contenuta nel testo: Cesare Zavattini, Opere, a cura di V. Fortichiari e M. Argentieri, Milano, Bompiani, 2002.testo

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Capitolo II. Pensiero e teorie II.1 Il quotidiano e il reale Una donna incinta di otto mesi e con un bambino in braccio di due anni pochi giorni fa stava per buttarsi giù da un finestrone, appena saputa la condanna del marito a due anni e lei non ha un soldo in tasca. Abita in quelle catapecchie addossate alle mura di Porta Furba, verso Cinecittà[...] Vorrei fare un film in cui si vede lei da quando si alza, cosa dice al figlioletto di due anni, come si pettina, le prime parole che scambia con i vicini, il suo cibo, il suo lavoro, il suo sonno. Ci vuole pazienza, pedinarla [...] per fare un film di questa specie è necessaria una tecnica nuova, il neorealismo è la più seria prova di pazienza di fronte agli uomini che il cinema può dare.5

Il passo citato sopra mostra come lo spirito di inchiesta di Zavattini sia preponderante; se ne possono citare infatti numerosi altri nei quali sono descritte le indagini sul quotidiano e la vita del popolo attraverso testimonianze di prostitute, ragazzini, mogli, mariti. Ciò serve a delineare rapidamente l‟ideale cinematografico che Zavattini andava continuamente ricercando: la riduzione della distanza tra realtà e immaginazione. A tale proposito è molto chiaro ed illuminante il concetto riportato da Stefania Parigi, nel suo lavoro Fisiologia dell’immagine, frutto di una rielaborazione di Merlau-Ponty: L‟immagine non evoca o riproduce illusionisticamente una realtà assente ma attua una «ruminazione» – come la chiama Merleau-Ponty – del mondo, in cui si confondono, esistenza, immaginario e reale, visibile e invisibile, fino a produrre una vera e propria «deflagrazione» dell‟essere.6

L‟approccio di Zavattini al cinema è legato senza dubbio all‟inestinguibile voglia di raccontare ma a detta dello stesso è subentrata poi una coscienza del cinema che lo ha portato ad abbandonare il concetto di soggetto.

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Cesare Zavattini, Opere, a cura di V.Fortichiari e M. Argentieri, Milano, Bompiani, 2002. p. 116. Stefania Parigi, Fisiologia dell’immagine, il pensiero di Cesare Zavattini, Torino, Lindau, 2006, p. 27.5

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Per Zavattini infatti il cinema continuava ad essere spinto in un‟unica direzione ovvero verso quei soggetti figli dell‟immaginazione, esuli dunque dalla realtà immediata e diretta. Tutto era finalizzato allo spettacolo, all‟alimentazione della macchina cinematografica. Solo nei documentari, ma in maniera isolata, si è tentato di accorciare le distanze tra immaginazione e realtà. Come ricorda ancora Stefania Parigi: E nel ‟37, quando già la critica lo ha consacrato come fenomeno letterario, mettendogli accanto I nomi di Joyce e di Kafka, Zavattini dichiara perentoriamente a Valentino Bompiani: «Per me la vita è antiromanzo, vorrei ridurla a una nota; dal romanzo nascono tutte le illusioni e gli errori di proporzione».7

E la guerra acuisce questa modalità di costruire e pensare le storie facendo subentrare un fattore nuovo nel cinema, ossia la coscienza di una funzione sociale e culturale. Veniva meno la spettacolarità in favore della conoscenza della realtà diretta e immediata. Un meccanismo accelerato anche dalla diffusione crescente del reportage. “La macchina non deve fotografare ciò che abbiamo pensato, ma fotografare ciò che pensiamo nell‟atto stesso in cui vediamo”8 Zavattini dice “basta con i soggetti” perché inventando una storia egli sente di tradire l‟immediatezza e la freschezza della macchina che in quel momento mette in atto un meccanismo di traduzione della realtà e non di coesione ad essa. Una visione diaristica del cinema dove attraverso l‟annotazione di stampo documentaristico del quotidiano lo spettatore viene buttato in mezzo alla realtà e non in mezzo a un concetto

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Stefania Parigi, Fisiologia dell’immagine, il pensiero di Cesare Zavattini, Torino, Lindau, 2006, p. 25 Cesare Zavattini, Opere, a cura di V.Fortichiari e M. Argentieri, Milano, Bompiani, 2002. p. 689.

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di realtà. Zavattini sottolinea il ritardo con cui è stata attuata questa nuova modalità di fare cinema e inoltre attraverso una visione altamente democratica egli sostiene che non il soggetto ma la macchina da presa sia il mezzo da fornire ai giovani per mandarli in giro a testimoniare le infinite realtà. Il giovane scrittore o regista deve trasformarsi in un investigatore del quotidiano, un osservatore avido di realtà, un ricercatore di verità e una volta raccolte le informazioni e gli appunti risultanti da questa giornaliera esperienza deve divulgare con sensibilità e semplicità la materia viva di cui è stato attento osservatore. Il proposito comunicativo è il punto focale della visione cinematografica e letteraria di Zavattini, una visione maturata già con l‟esperienza giornalistica. Lo scrittore, pittore, giornalista e fumettista nutre la sua arte con un sensibile e sano voyersimo, forse ereditato geneticamente dai genitori caffettieri che basavano la loro vita sul rapporto quotidiano con i clienti. Non è difficile immaginare un giovane Zavattini che osserva i genitori lavorare e rapportarsi ogni giorno con le differenti realtà che potevano sedersi al bancone di una caffetteria. Quanto scritto fin qui porterà magari a pensare che si stia parlando di giornalismo e non di cinema o sceneggiatura; in realtà vi è un aspetto molto importante che definisce il nuovo modo di comunicare e fare cinema che andava teorizzando Zavattini, ovvero quello di riuscire a simulare sapientemente il distacco dalla materia trattata o meglio la descrizione oggettiva dei fatti. Quando uno spettatore o un lettore si rapporta con un‟opera di Zavattini vede la realtà, vede un vecchio pensionato, vede un attachino derubato della sua bicicletta, vede il vivere quotidiano entro il quale riconosce se stesso, ma lo vede attraverso la 15


sensibilità di Zavattini. Per un giornalista è doveroso rimanere ancorato alla visione oggettiva dei fatti. Zavattini è giornalista nella misura in cui osserva e sceglie i fatti, poi quando si tratta di costruire una storia, lo scrittore riesce a raccontare la vita e il pathos dileguandosi sapientemente nel racconto ma ponendo su ogni singolo frammento della scena la propria firma, la propria sensibilità. “La conoscenza si realizza sempre nei termini di un incontro simbiotico tra soggettività e oggettività.”9 La visione maturata da Zavattini ha del profetico considerando l‟ideazione e poi il copioso utilizzo odierno del sito “YouTube” da parte di milioni di persone nel mondo. Fuori dai luoghi comuni e dalla terminologia tecnica che differenzia una cinepresa da una telecamera, va sottolineata l‟importanza dell‟occhio umano e quindi di molteplici personalità che stanno dietro i due oggetti e dunque la democratica realizzazione della condivisione diaristica della realtà che ci circonda.

Un numero infinito di occhi può aspettare con qualche speranza di vedere il film che in una volta sola esprima tutta la verità, che significa tutto l‟amore per gl‟altri, un film da potersi proiettare sul cielo, visibile nello stesso istante in ogni parte della terra.10

Un messaggio rivoluzionario che lascia intravedere la lungimiranza dell‟ideale Zavattiniano di cinema come nobile mezzo di comunicazione. Un percorso culturale che smuova gli animi verso l‟osservazione del mondo nei suoi interstizi popolari. La funzione sociale diventa dunque il fine dell‟arte cinematografica, l‟obiettivo morale che non può reggersi sull‟ipocrisia di scelte tematiche che eludono il quotidiano

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Stefania Parigi, Fisiologia dell’immagine, il pensiero di Cesare Zavattini, Torino, Lindau, 2006, p. 32. Cesare Zavattini, Opere, a cura di V. Fortichiari e M. Argentieri, Milano, Bompiani, 2002. p. 692.

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e il suo dinamismo incessante. Conoscere la vita diventa un dovere. “Per noi colui che conosce è colui che partecipa, ovvero colui che costruisce”11 Forse Zavattini aveva intuito prima degli altri la rivoluzione sociale e politica che la descrizione sensibile del reale avrebbe potuto far nascere. L‟arte diventa a tutti gli effetti una “missione sociale”12, una forza mediatica che si fa portatrice della cultura e della verità alle masse. Non è più un mezzo evasivo ma è ora un mezzo per riflettere sulla realtà, sul mondo, sul destino degli uomini. Una depurazione dell‟arte cinematografica che sfiora paradossalmente il suo abolimento. La nudità fisiologica che l‟immagine zavattiniana vorrebbe raggiungere non è molto lontana dall‟idea di cinema puro che Bazin propone nel „49, a conclusione del suo celebre saggio su Ladri di biciclette: «Niente più attori, niente più storia, niente più messa in scena, cioè finalmente nell‟illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema».13

II.2. Sceneggiatore: “Come dovranno essere i nostri film?” Nel 1934 Zavattini lavora alla Rizzoli ed è rilevante l‟incontro con Giaci Mondaini, umorista e ottimo disegnatore, con il quale scrive il soggetto di Buoni per un giorno. Tale soggetto è da considerarsi la prima scrittura cinematografica ufficiale di Zavattini dalla quale verrà tratto il film Darò un milione, prodotto da Rizzoli e diretto dal regista Mario Camerini, col quale lo scrittore avrà numerosi scontri in seguito ai tagli subiti dall‟opera. Le differenze tra i due si basavano sul concetto di trama, dal quale Zavattini stava gradualemente allontanandosi, vedendola ormai come una trappola, un mezzo per

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Stefania Parigi, Fisiologia dell’immagine, il pensiero di Cesare Zavattini, Torino, Lindau, 2006, p. 10. Ivi. p. 39. 13 Ivi. p. 42. 12

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staccarsi dal reale e dalla sua immediatezza e spontaneità. Camerini di rimando non concepiva una storia senza una trama e una linea cronologica ben determinate. Zavattini sottolinea: [...] La trama è l‟ancora di salvezza dei film brutti, il coefficiente, il diversivo che trattiene l‟attenzione anche quando tutto va a rotoli. Ora io, e anche il resto della generazione di umoristi della quale ti ho parlato, ho un diverso concetto della trama. A me pare che il film comico moderno possa anche essere privo di trama narrativa, dialogata, cronologica, consequenziale. La trama più efficace è nella satira di tutto un ambiente; e così appunto era concepita la prima versione di Darò un milione.14

L‟attività di sceneggiatore prende dunque il via e cinque anni dopo “nel 1939” Vittorio De Sica acquista da Zavattini il soggetto di Diamo a tutti un cavallo a dondolo. Quest‟anno segnerà l‟incipit di un lunga collaborazione tra Zavattini e il regista. Nel 1940 Zavattini ha dei brevi contatti con Antonio de Curtis, alias, Totò, il cui personaggio ispirerà il testo Totò il buono, ovvero l‟embrione di Miracolo a Milano che verrà girato undici anni più tardi nel 1951. Il film non è mai stato girato, ma in un certo senso è stato fatto, perché ha successivamente influenzato un film (cioè un testo che avrebbe dovuto diventare un film)che io scrissi proprio in quegli anni, che si chiamava Totò il buono. Per il quale avevo chiamato Totò a fare da interprete.15

Il desiderio di fare incontrare le proprie storie con il cinema diventa uno degli obiettivi e bisogni fondamentali di Zavattini che rende la sua opera disponibile a numerosi registi, non senza qualche amara riflessione personale: Il mestiere dello scrittore di cinema è il più ingrato. La propria opera viene sommersa dall‟opera di altri e solitamente travisata. [...]Come una puttana, si va col primo che capita, oggi con un buon regista, domani con uno sciocco o un imbroglione. La tua fatica non nasce mai dalla radice del tuo cuore ma si adatta agli interessi, spesso poco puliti, o comunque spurii del commerciante.16 14

Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 29. 15 Ivi p. 45. 16 Ivi , p. 48.

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Il bisogno di raccontare va di pari passo con l‟eccessiva disponibilità. Egli collabora clandestinamente al film Teresa Venerdì di De Sica. Clandestinamente perché De Sica temeva la cattiva reazione degli sceneggiatori ufficiali che stavano lavorando al romanzo di Rudolf Torok da cui il soggetto prendeva ispirazione. Nel 1942, dal racconto Pricò di Giulio Cesare Viola trae il soggetto di I bambini ci guardano che verrà affidato alla regia sempre di De Sica. Uscii dall‟anonimato di Teresa Venerdì, e divenni parte di quelle ammuchiate di carattere sceneggiatoriale-italiano, equivoche, complesse, contraddittorie, dirottatrici, dovute, probabilmente ad una scarsa conoscenza professionale.17

Nel 1943, durante l‟occupazione tedesca, De Sica manda un camion col visto del Vaticano a prendere Zavattini e la famiglia, che si erano rifugiati a Boville, vicino Frosinone, per portarli a Roma dove si sta realizzando il film La Porta del cielo, organizzato da Salvo d‟Angelo, che produrrà in seguito un altro grande capolavoro del cinema neorealista: La terra trema. Ecco riportata qui sotto la lettera che De Sica scrive a Zavattini in occasione dell‟evento: “Caro Zavattini, ti vogliamo assolutamente a Roma. Ho finalmente trovato il mezzo per farti venire con tutti i tuoi. C‟è da fare un buon lavoro. Bardi ti accennerà a voce. Io ti dirò il resto. Io spero che ne sarai anche tu entusiasta. Se tu reputi che il viaggio non sia pericoloso vieni a Roma che ti aspettiamo a braccia aperte”.18

Tale lettera delinea il rapporto che andava costruendosi tra i due. Una collaborazione prima di tutto professionale, sulla quale entrambi investiranno, ma anche

17 18

Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti, p. 58., Ivi, p. 65.

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una stima e una grande considerazione umana reciproca. Roma

& Zavattini parliamo tanto di noi,

Zavattini stende la sceneggiatura supervisionato dal Centro Cattolico, in quanto il

soggetto ruota intorno alla figura della madonna di Loreto e dei miracoli. Caro Valentino, io sto ultimando la sceneggiatura di quel film su Loreto. [...] Quelli del Centro Cattolico mi dimostrano molta stima, anche per la serietà costante con la quale mi dedico a questo film e, permettendo la storia, vorrebbero poi fare un film tutto mio, lasciandomi totalmente libero, dico totalmente, purché il film si basi sulla morale cristiana, ma chi non è cristiano? Cristo è alle porte.19

Il film verrà poi realizzato da De Sica, ma il Centro Cattolico Cinematografico che l‟aveva commissionato si adoperò per eliminarlo dall circolazione, probabilmente per il fatto che il miracolo previsto e anticipato nella storia alla fine non avveniva. Un treno bianco parte alla volta di Loreto col suo carico di infermi. Tra questi, un ragazzo, un vecchio commerciante, una ragazza, un pianista, una vecchia domestica, un giovane cieco: tutte persone che tentano il viaggio animati da una segreta speranza: il miracolo. Vedremo poi che il miracolo non ci sarà, ma tutti avranno trovato in quel pellegrinaggio, al contatto dell‟infelicità altrui, la fede necessaria per sopportare la propria. 20

Nel 1944 in Zavattini inizia a maturare l‟esigenza di un cinema di inchiesta. Egli propone a Lattuada, Fabbri e Monicelli di andare in giro per l‟Italia e documentare la realtà post bellica, la distruzione, le reazioni della gente. [...]basta poco denaro, un camion con gli strumenti indispensabili, macchine da presa, rotoli di pellicola, qualche lampada, si partirà da Roma con pochissime pagine, [...] Il cinema deve tentare questa documentazione, ha i mezzi specifici per spostarsi così nello spazio e nel tempo, raccogliere dentro la pupilla dello spettatore il molteplice e il diverso, purché abbandoni i consueti modi narrativi e il suo linguaggio si adegui ai contenuti.21

Il 4 Giugno del 1944 gli americani entrano a Roma. Questa data segna

19

Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 67. 20 Ivi, p. 71. 21 Ivi, p. 71.

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idealmente l‟inizio dell‟avventura neorealista. Il film che apre questo nuovo capitolo del cinema italiano è Sciuscià. Il soggetto viene delineato inizialmente da Viola e Tamburella e in un secondo momento Zavattini viene incluso nell‟elaborazione della sceneggiatura. Con la sua grande sensibilità Zavattini si impossessa del soggetto facendolo suo senza interventi esterni. Io feci uno dei miei exploit, cioè nel giro di quarantott‟ore consegnai il soggetto. Potevo anche in ventiquattro. [...] il soggetto è stato un fatto esclusivamente mio, assolutamente, senza ingerenze di anima viva. Scrissi le diciannove pagine del soggetto di Sciuscià con l‟intenzione morale che fa da spiedo a tutto il film della solitudine dei ragazzi[...].22

La storia ruota attorno alla figura di due ragazzi nella realtà del dopoguerra, due lustrascarpe, da qui prende spunto il titolo del film che non è altro che l‟italianizzazione del termine americano “shoe-shine”. I giovani protagonisti riescono a comprare un cavallo, la loro passione, ma vengono in seguito accusati di un furto e per questo messi in prigione. La reclusione cambierà irrimediabilmente il loro carattere portando uno dei due alla morte. Zavattini riceverà a Roma il 31 dicembre del 1947 l‟Award assegnato dall‟accademia di Hollywood come soggettista di Sciuscià. La ricerca dell‟onestà è il punto focale della scrittura di Zavattini per il cinema. Egli matura una, termine coniato dallo stesso Zavattini,“coscienza cinematografica” che lo porta ad interrogarsi sui veri obiettivi del mezzo culturale e artistico al quale offre il suo contributo. Ogni mattina dalla borgata di San Basilio partono centinaia e centinaia di operai per Roma : i chilometri che separano la borgata dalla città sono percorsi dai più in bicicletta, da taluno a piedi, o con gli autobus. Antonio ha la bicicletta. Fa l‟attacchino. Parte al mattino presto e torna verso il

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Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti, 1997 pp. 77-78.

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tramonto. Abita con la moglie e con un figlio in due camere mal ridotte.23

Inizia così il soggetto di Ladri di Biciclette, secondogenito neorealista della collaborazione di Zavattini e De Sica. Zavattini prende spunto per la storia e il titolo, da un libro di Luigi Bartolini, costruendo una storia completamente nuova, meno picaresca dell‟originale e successivamente propone il progetto al fidato amico e regista. De Sica non ha dubbi e trova tre produttori: Ercole Graziadei, Sergio Bernardi e il Conte Cicogna di Milano. Per dare un‟idea della meticolosità con la quale venivano realizzati i progetti di come venissero realizzati i progetti di De Sica e Zavattini riportiamo una testimonianza di Sergio Leone: C‟erano Amidei e Zavattini. Poi naturalmente la cosa naufragò e Amidei uscì fuori, ma quello che mi impressionò molto, nella ventina di minuti che mi trattenni con loro, fu Zavattini che diceva con il suo accento nordico: «Secondo me il protagonista deve uscire con uno sfilatino imbottito di mortadella incartato in un giornale su cui si legga “Unità”». [...] Dopo un attimo Amidei esplose in un «Porco Iddio, ma che cazzo c‟entra l‟Unità! Caso mai “tà” solamente!». [...] poi si udì De Sica che diceva: «Miei buoni amici, secondo me ci vorrebbe una mela rossa, di quelle variopinte, metà rosse e metà sfumate, e lui che esce di casa addentando questa mela!». Be‟, questa cosa mi sconvolse, perché cominciai a dirmi: caspita che problemi, quando per sceneggiare si sviscerano questo tipo di dettagli, ma allora deve essere una faccenda pazzesca!24

Ovviamente questi confronti non nascevano solo dall‟attenzione per i dettagli ma anche da differenze ideologiche che descrivono bene l‟Italia dell‟epoca. Sergio Amidei precisa: Non trovavo giusto in quel momento che un compagno, un comunista, un operaio che vive in una borgata, e al quale rubano la bicicletta, non andasse alla sezione del partito e non gli trovassero una bicicletta. Si ignorava questo

23

Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti,1997,p. 94. 24 Ivi, p. 98,99.

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tipo di solidarietà, che allora c‟era. Perché?25

La testimonianza sopra riportata lascerebbe intendere che Zavattini e di conseguenza De Sica volessero ignorare volontariamente questo aspetto dell‟Italia descritta nel film e in parte ciò è vero. Il soggetto di Zavattini vuole rimarcare la solitudine dell‟uomo sconfitto; un tema che verrà ripreso in seguito in Umberto D. Dal punto di vista commerciale e intellettuale il film ha un enorme successo internazionale ma non privo di polemiche; la più dura è quella mossa da Luigi Bartolini, lo scrittore del libro Ladri di biciclette, che rivendica l‟appartenenza morale dell‟opera. Zavattini fa gentilmente notare allo scrittore che il soggetto da lui scritto non ha niente a che fare con il libro e si meraviglia della reazione del letterato in quanto già precedentemente i due si erano messi d‟accordo per utilizzare ai fini cinematografici il titolo del libro. Bartolini viene fatto tacere con ducentocinquantamila lire. Come per Sciuscià gli attori scelti non sono professionisti ma persone comuni: Lamberto Maggiorani nella parte dell‟attachino derubato della propria bicicletta, mezzo indispensabile al suo mestiere e un giovanissimo Enzo Staiola nella parte del figlio che assiste al dramma del padre e di conseguenza della propria famiglia. Ricorda Zavattini: Gli attori presi dalla vita...non si può dire che cosa il cinema ha significato per loro. Ci sono state vite così diverse! Anche se qualcuno è finito male poteva finir male anche se faceva il calzolaio. Non ci sono rapporti così esatti tra la loro esperienza cinematografica e la loro storia sucessiva. Ma il fatto di uscire dalle formule era uno dei bisogni generali del cinema.26

Zavattini sottolineerà sempre questa nuova caratteristica che il cinema neorealistico stava sfruttando e in qualche maniera inaugurando, questa voglia di uscire dalle formule classiche del cinema e in questo caso dall‟utilizzo di attori professionisti

25

Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti,1997, p. 99. 26 Ivi, p. 104.

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che avevano imparato e sperimentato la finzione scenica. Egli ricorda quest‟aspetto sempre con una doverosa, quasi scrupolosa nota rivolta ai protagonisti dei film che in un certo senso venivano strappati alle loro vite normali e catapultati in un mondo a loro sconosciuto; una scelta che poteva avere anche conseguenze drammatiche sulla psiche di uomini semplici. Il film comincia a far venire fuori la tecnica del pedinamento teorizzata da Zavattini, l‟evidenziazione di scene che non sono funzionali alla trama ma riprendono essenzialmente il vissuto nella sua imprevedibilità, nella sua banalità e antieroicità. Ricorda Andrè Bazin: Che il bambino, nel bel mezzo di un inseguimento, abbia bruscamente voglia di fare pipì: fa pipì. Che un acquazzone costringa padre e figlio a rifugiarsi in un portone, ecco che dobbiamo, come loro, rinunciare all‟inchiesta per attendere la fine del temporale.27

Dopo ladri di biciclette Zavattini dona nuova vita al suo romanzo Totò il buono mettendolo nelle mani del fidato amico De Sica per la realizzazione del film I poveri disturbano, titolo considerato troppo polemico dai produttori e da alcuni politici e che verrà sostituito con quello di Miracolo a Milano. Il soggetto è essenzialmente una favola che ha per protagonista un ragazzo orfano e il suo ardente desiderio di un mondo migliore. Ecco l‟incipit del soggetto che Zavattini dà al giornale Il Momento nel 1950: C‟era una volta a Milano una signora molto buona, si chiamava Lolotta e aveva quasi ottant‟anni. Una mattina trovò nel suo orticello, sotto a un cavolo, un bambino appena nato e lo chiamò Totò. Vivevano felici e spesso, quando il latte bolliva nel pentolino, si incantavano a guardarlo mentre veniva su come una gran nube e mandava fumo, sibili e colava sul pavimento, un lungo rivolo che pareva un fiume attraverso la terra infinita; e allora la signora Lolotta e Totò dicevano: Com‟è grande la terra, c‟è posto davvero per tutti.28 27

Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti,1997, p. 117. 28 Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti,1997,p. 156.

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Nel soggetto e di conseguenza nel film sono presenti poveri e barboni alla testa dei quali si mette il giovane Totò che li guiderà versò una terra migliore a cavallo delle scope dei netturbini. Il soggetto viene considerato eversivo dalla stampa e dai politici; in Russia ne viene addiruttura bloccata la distribuzione. Il passaggio di un‟idea semplice come la solidarietà evidentemente spaventava gli organi di potere; ma questo è uno dei grandi meriti di Zavattini ovvero quello di smuovere gli orizzonti ideologici attraverso la scrittura di soggetti semplici ancorati alla realtà, essenzialmente quella umile e che più necessitava di essere raccontata o se vogliamo essere denunciata e di conseguenza anche quella che poteva avere più presa tra le masse. Al soggetto e al film la stampa rimprovera maggiormente la scelta della descrizione della cruda e desolata vita dei barboni in un atmosfera surreale che viene vista quasi come una speculazione sul dolore con tentativi di propaganda comunista. Come ricorda Zavattini: Miracolo a Milano nonostante le critiche spesso anche troppo aspre mi sembra malgrado tutto, un film importante di cui né De Sica né io ci dobbiamo pentire. [...] mi sono convinto che nel film c‟è qualche cosa che accomuna tutti: un desiderio di bontà e la immensa tristezza che deriva dall‟essere la vita come è, e non come dovrebbe essere. È una cosa che mi ha spaventato davvero: la paura che tanti hanno dimostrato di avere delle parole del Vangelo. Mi ha spaventato, ma capisco che in fondo è giusto; perché la parola del Vangelo è radicale nella sua semplicità; [...] E mi pare, anche, che la maggior parte dei pareri siano stati inquinati da passioni reali perché il nostro film tutto, anche se fabulistico, racchiude la realtà. E quando dico favola voglio dire non esagerazione della realtà ma semplificazione della realtà”.29

Zavattini si sofferma sui termini “semplice” e “radicale”. Su queste due colonne si sostiene infatti la nuova avventura neorealista, ovvero sull‟incapacità dell‟uomo di sostenere la realtà come essa è realmente.

29

Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti,1997, p. 181.

25


Dopo aver raccontato dei ragazzi e della loro solitudine in Sciuscià, del padre di famiglia che perde il lavoro in ladri di biciclette, dei barboni in Miracolo a Milano, Zavattini affronta il tema degli anziani e del loro triste destino da pensionati e lo fa con il soggetto di Umberto D. del quale parleremo in maniera più approfondita nel quarto capitolo. Dalle opere fino a questo punto descritte, si evince come Zavattini non voglia cadere nella trappola della storia eroica e della commozione facilmente suscitabile in un pubblico-popolo convalescente dopo le ferite della guerra e dunque facilmente influenzabile nella sua debolezza. Come dovranno essere allora i nostri film? I nostri film non saranno né lieti, né tristi, senza finale oserei dire; o quanto meno senza quei finali ai quali gli uomini si attaccano per viltà.30

Zavattini auspica un‟età dell‟oro del cinema italiano. Un cinema depurato dalle ipocrisie precedenti. Un cinema incontaminato e promettente dove la realtà comincia a venir fuori dal mito che la soffocava. Questo tipo di film che riproduce un fatto di cronaca nei luoghi dov‟è realmente avvenuto e che interpretano coloro stessi che ne sono stati i protagonisti, nasce dal mio vecchio desiderio di adoperare il cinema per conoscere ciò che succede intorno a noi, ma in un modo diretto e immediato [...] ho sempre provato una specie di ripugnanza a commuovermi per personaggi fittizzi quando esistono personaggi veri che reclamano in un modo più urgente la nostra commozione e quindi la nostra solidarietà [...] credo che la realtà abbia una forza di convincimento, di suggestione e di comunicativa che abbiamo tardato a sfruttare perché credevamo che il solo fatto inventato fosse materia nobile.31

II.3 Il Neorealismo di Zavattini: “l’umile racconto” Zavattini prima di essere un instancabile scrittore era un efficiente comunicatore e nelle sue riflessioni, nell‟analisi delle sue teorie e delle sue visioni vengono fuori delle

30 31

Cesare Zavattini, Polemica con il mio tempo, Milano, Bompiani, 1997, p. 57. Ivi, p. 73.

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massime che esplicano in maniera efficace la sua visione del cinema: Noi consideriamo il cinema, anziché una zona socialmente privilegiata, come l‟arte carica di doveri per la sua costante funzione articolare. Questa coscienza dovrà costituire l‟unità del cinema italiano anche rispetto al cinema straniero, dove il professionalismo talvolta, spesso la maniera, prosperano senza l‟urgenza dell‟umile racconto, che noi italiani dobbiamo cominciare, facendolo echeggiare di valori non soltanto spettacolari.32

Se andiamo ad analizzare il termine “umile” contenuto all‟interno del passo sopra citato vedremo come derivi dalla parola latina “humus” o “humilis” che sta a significare basso o della terra. Questa puntualizzazione serve a far capire essenzialmente di cosa Zavattini pensava il cinema italiano si dovesse occupare, ovvero di ciò che è terreno di ciò che stà in basso, non di concetti metafisici frutto di divagazioni mentali per nuovi soggetti cinematografici, ma di storie concrete riscontrabili nella vita quotidiana. Zavattini professa un modo nuovo di fare cinema, ma un modo nuovo che richiede il coraggio delle nuove leve. I giovani non devono sentirsi corrotti e indirizzati dalla vecchia o dalla nuova produzione ma devono orientarsi verso un modo originale di raccontare la vita, soprattutto in un momento di fermento e voglia di rinascita che viene dopo patimenti ed errori. Zavattini comincia a sentire l‟insofferenza del soggetto già durante la guerra, per questo inizia a preferire certi tipi di film e a maturare il concetto di diario. Egli voleva percorrere l‟Italia o il mondo fuoriuscendo dall‟ottica della ricerca mirata di un soggetto deciso a priori. Per esempio, quando propose a De Sica di andare in America a lavorare e tutti suggerivano dei temi come Brooklyn, Zavattini sostenne che bisognasse andare là

32

Cesare Zavattini ,Opere,a cura di V. Fortichiari e M.Argentieri, Milano, Bompiani, 2002, p. 667.

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senza idee perché avrebbero potuto trovare il loro soggetto in un ristorante quanto nella Quinta Strada. Da queste intuizioni nasce la sua peculiare idea di “Neorealismo” e la ricerca di artisti disposti a piegarsi umilmente al livello delle persone comuni e anzi di includerle all‟interno della narrazione e davanti alla macchina da presa. La realtà italiana, con i suoi dialetti, i suoi uomini e le sue donne senza formazione teatrale, diventa la fanteria del movimento neorealista guidata dalle menti illuminate di scrittori come Zavattini e registi come De sica, Rosselini, Lattuada, Germi, De Santis.

La caratteristica più importante e la più importante novità del Neorealismo mi sembra perciò quella di essersi accorti che la necessità della storia non era altro che un modo inconscio di mascherare una nostra sconfitta umana e che l‟immaginazione, così come era esercitata, non faceva altro che sovrapporre degli schemi morti a dei fatti sociali vivi. Di essersi accorti in sostanza che la realtà era enormemente ricca: bastava saperla guardare. E che il compito dell‟artista non era quello di portare l‟uomo a indignarsi o a commuoversi per dei traslati, ma quello di portarlo a riflettere (e se vuoi anche a indignarsi e commuoversi) sulle cose che fa e che gl‟altri fanno, sulle cose reali, insomma, lì precise come sono.33

Il cinema non deve essere la traduzione di un soggetto letterario precostituito ma deve coincidere con la visione immediata che si ha della realtà e la macchina da presa rende quest‟immediatezza in maniera efficace eludendo la corruzione del pensiero che si insinua mentre scriviamo. Le immagini catturate dalla macchina da presa marchiano la mente e la cultura dell‟ osservatore con prepotenza e Zavattini ne è consapevole. Zavattini interpreta il cinema come il centro propulsore e plasmatore di una nuova antropologia, ne intuisce le

33

Cesare Zavattini, Dal soggetto alla sceneggiatura, prefazione di L. Malerba e postfazione di G. De Santi, Parma, Mup, 2005, p. 5.

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potenzialità mediologiche34. Per questo motivo egli insiste così tanto nello spronare i giovani artisti e registi nel seguire questa direzione, perché intuisce la svolta epocale che il Neorealismo cinematografico può attuare nella società. Egli sostiene che tutti gli uomini sono potenziali creatori di immagini e di conseguenza tutti possibili artisti con eguale e democratico diritto di espressione. Questa è la vera rivoluzione che sta dietro al Neorealismo cinematografico teorizzato da Cesare Zavattini. Nessun altro mezzo espressivo infatti ha come il cinema la possibilità di far conoscere queste cose rapidamente e al maggior numero di persone. E poiché da questo suo enorme potere deriva anche la sua responsabilità è necessario un uso perfetto di ogni fotogramma. Intendendo per perfetto questo penetrare sempre di più nella quantità e nella qualità della realtà. Si può quindi affermare che il cinema è morale solo quando affronta in tal modo la realtà. E il problema morale (come quello artistico) sta nel saperla vedere questa realtà, non nell‟inventare al di fuori di essa, che è sempre una forma, come ho già detto di evasione. Era naturale che chi aveva intuito tutto questo, pur essendo ancora costretto a pensare per tante ragioni (alcune valide altre no) un racconto “inventato” secondo la tradizione, cercasse di inserire qualche scintilla di quella intuizione. Questo è stato il neorealismo effettivo in Italia attraverso alcuni uomini.35

34

Cfr. Stefania Parigi, Fisiologia dell’immagine il pensiero di Cesare Zavattini,Torino, Lindau, 2006. Cesare Zavattini, Dal soggetto alla sceneggiatura, prefazione di L. Malerba e postfazione di G. De Santi, Parma, Mup, 2005, p. 9. 35

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Capitolo III. Collaborazione con De Sica III.1 Modalità di collaborazione e obiettivi comuni Dal 1931 al 1940 interpretai 23 film e una quantità inverosimile di commedie sul palcoscenico. Poi la svolta decisiva: il primo film mio: Rose scarlatte. Dire oggi che fin da quel momento io pensassi al realismo, sarebbe forse presunzione; ma è verità che io avevo già intuito la possibilità di portare la macchina da presa fuori dagli stabilimenti, all‟aria aperta, dovunque fosse la vita vera degli uomini. D‟altronde il mio incontro con Zavattini era già avvenuto e fin dal 1939 avevo acquistato un suo soggetto. Avevamo capito subito che le nostre ideee camminavano insieme.36

Cesare Zavattini conosce Vittorio De Sica, all‟epoca attore di teatro, nel 1939 a Milano, tramite il critico Adolfo Franci. L‟incontro tra i due segnerà l‟inizio di una collaborazione trentennale che terminerà nel 1974, anno della morte di De Sica. E fu nella nuova abitazione, in via Ramazzini, neanche lontanissima dalla casa stretta e soffocante dove stavo prima, che incontrai di nuovo De Sica a Milano, dove lui era di passaggio come attore, nella compagnia che aveva con la Rissone e Melnati, nel 1939. Me lo portò Adolfo Franci, critico teatrale, toscano, colto, intelligente, simpatico, scettico, legatissimo a De Sica e legatissimo a me. Franci sosteneva che io e De Sica avremmo potuto lavorare insieme. Capimmo subito che aveva ragione. Simpatizzammo immediatamente. Io gli raccontai il soggetto di Diamo a tutti un cavallo a dondolo e lui me lo comprò, per quindicimila lire. De Sica era un attore sulla cresta dell‟onda, conosceva molti grandi personaggi del cinema.37

L‟idillio è dunque combinato e siglato dall‟intuizione di Adolfo Franci o forse dal destino che mette i due artisti sulla stessa strada. Zavattini è profondamente colpito dall‟apertura mentale di De Sica e dalla sua lungimiranza che lo porta alla convinzione di aver trovato nell‟aspirante regista un mezzo per trasformare le sue idee in immagini.

36

Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 27. 37 Ivi ,p. 40.

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De Sica acquista da Zavattini il soggetto di Diamo a tutti un cavallo a dondolo che subirà una duplice evoluzione prima di essere realizzato, ispirando prima Totò il buono e raggiungendo infine la messa in scena con Miracolo a Milano. Il progetto infatti all‟inizio incontrò innumerevoli ostacoli da parte soprattutto della Direzione Generale della Cinematografia che vi intravedeva un‟istigazione alla lotta di classe e alla fine, anche in seguito alla guerra, fu accantonato per poi trovare nuova vita, anni più tardi, con Miracolo a Milano. Questo a dimostrazione del fatto che il clima sociale e politico in cui i due si trovavano, oltre che influenzare le loro idee artistiche, ne modificava anche le strutture, che paradossalmente beneficiavano dei momenti di stallo nei quali Zavattini integrava i suo scritti con nuove idee e una rinnovata sensibilità e visione della vita. La squadra è fatta: Zavattini alla sceneggiatura e De Sica alla regia. Zavattini pensava sempre all‟integrazione delle due attività nella sua persona, come perfetta rappresentazione dell‟artista moderno, ma intimamente si sentiva poco capace alla regia e dunque affidava fiduciosamente le sue idee all‟occhio di De Sica. La benzina che alimenta questo rapporto artistico e lo fortifica è però da ricercarsi nella fine della guerra e nei postumi da essa lasciati. I due sentono che l‟azzeramento prodotto dal conflitto mondiale ha spalancato un orizzonte nuovo con nuove possibilità di ricerca e di scoperta. Una terra dove essere pionieri di un nuovo movimento culturale. La guerra costituisce per tutti una rinascita, un ritrovato amore per lo scrivere, una ritrovata voglia di comunicare il senso di una vita scandito dai singoli gesti e dalle normali attività quotidiane sulle quali viene puntato il faro. Una riabilitazione potenziata da una nuova consapevolezza e dalla presunzione di essere i primi ad avere intuito la 31


grandezza dell‟opportunità che veniva concessa. Io stesso non sono mai stato così fidente nel nostro cinema. Io credo che noi siamo nelle condizioni migliori per preparare finalmente qualche messaggio degno del cinema del futuro, quello che avrà le nubi per schermo. Bisogna accantonare ormai gli eroi del cinematografo, ricavarne dei diversi dal centro del nostro carattere, la cui conoscenza abbiamo sistematicamente mistificato con la macchina da presa. Noi saremo i pionieri, pianteremo per primi il bastone in questa terra sconosciuta.38

La semplicità e il banale che “proprio per la sua carica di realtà” perde la sua banalità sono gli ingredienti della formula vincente. “Il banale sparisce proprio per la carica di responsabilità di cui è carico ogni momento.Ogni momento è infinitamente ricco. Il banale non esiste”.39

Da una parte Zavattini limita la sua smisurata fantasia al servizio del concreto e del reale e dall‟altra De Sica, senza sperimentalismi e interesse verso le possibilità linguistiche della macchina da presa, utilizza tradizionalmente il mezzo con la sua innata capacità di osservazione. La coppia Zavattini-De Sica rappresenta uno dei quattro punti di vista neorealisti. Ad essi vengono infatti affiancati le figure di Roberto Rossellini, di Luchino Visconti e di Giueppe De Santis. Ciò che distingue Zavattini e De Sica è la scelta di un nuovo modo di organizzare la struttura narrativa del film. Essi procedono per sottrazione, cercano di minimalizzare l‟intreccio drammatico a favore dei tempi morti, valorizzando il gesto minimo della quotidianità, seguono l‟individuo nella sua semplicità, cercando di scovare delle verità universalmente condivisibili. Vi è la volontà di incontrarsi intimamente con la realtà. L‟obiettivo di De Sica e Zavattini è quello di far aderire

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Gian Piero Brunetta, Cent’anni di cinema italiano, Roma, Editori Laterza, 2001, p. 68. Cesare Zavattini, Dal soggetto alla sceneggiatura, prefazione di L. Malerba e postfazione di G. De Santi, Parma, Mup, 2005, p. 17. 39 , p. 5. 39

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l‟occhio dello spettatore con la macchina da presa, annulando quella distanza che la messa in scena introduce tra chi guarda e l‟immagine cinematografica. In sintesi il loro intento è quello di ottenere una rappresentazione filmica ancorata al reale. Si matura la convinzione che non bisogna evadere dalla realtà anzi è necessario aderirvi il più possibile. Bisogna onorare una scoperta morale e divulgarla. Volendo fare un esempio, mentre prima chi pensava a un film, poniamo su uno sciopero, si sforzava immediatamente di inventare una trama che si potesse ben calare nello sciopero e a cui lo sciopero servisse da sfondo, oggi al contrario ci si mette in una condizione di rapporto e si vorrebbe raccontare lo sciopero in se stesso, cercando di far venire fuori dal fatto crudo, documentario, il maggior numero possibile dei valori umani, morali, sociali, economici, poetici che esso contiene.40

Zavattini e De Sica puntano a raccontare ed inquadrare la vita non più nei suoi momenti più appariscenti ma nei momenti semplici e genuini e fare di questi momenti il tema fondamentale della narrazione. Mentre prima dell‟avventura di due esseri che cercavano casa, si considerava solo il primo momento (l‟aspetto esterno, l‟azione) e si passava subito ad altro, oggi si può affermare che il semplice fatto di cercar casa può costituire l‟argomento di un film, qualora – s‟intende – questo fatto venga scandito in tutti i suoi momenti con tutti gli echi e i riflessi che ne derivano.41

Per questo è emblamatico pensare ad un film come Umberto D. dove viene descritta in tutti i suoi momenti la giornata di un pensionato che cerca semplicemente di sopravvivere con la misera pensione di cui dispone. La messa in scena della elementarità della vita. Ecco, anche su questo fatto elementare, si può fare un film. Basterà scoprire e far vedere tutti gli elementi che sono dentro questa banale avventura quotidiana, e subito essa diventerà degna di attenzione e quindi spettacolare. Per spettacolo naturalmente bisogna decidersi ad intendere non l‟eccezionale,ma il normale; cioè lo stupore deve derivare nell‟uomo dalla 40

Cesare Zavattini, Dal soggetto alla sceneggiatura, prefazione di L. Malerba e postfazione di G. De 40 Santi, Parma, Mup, 2005, p. 5. 41 Ivi, p. 7-8.

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conoscenza e dalla scoperta dell‟importanza di tutto ciò che ha sotto gli occhi ogni giorno, e di cui non si era mai accorto.42

Zavattini e De Sica hanno la lungimirante aspirazione che il cinema possa donare a tutti gli uomini una nuova morale, una nuova visione smitizzata della vita, dove la storia è fatta dalle persone comuni, eroi nascosti che operano individualmente per migliorare la propria vita. Il cinema deve illuminare la realtà facendola uscire dalla cortina di nebbia in cui la cultura tradizionale “dell‟eccezionale e della trama” l‟avevano relegata. Il cinema deve creare la storia (se ancora così si può chiamare) strada facendo [...] Il tentativo vero non è quello di inventare una storia che somigli alla realtà ma di raccontare la realtà come fosse una storia. Bisogna che lo spazio tra vita e spettacolo diventi nulla.43

42

Cesare Zavattini, Dal soggetto alla sceneggiatura, prefazione di L. Malerba e postfazione di G. De Santi, Parma, Mup, 2005, p. 11. 43 Ivi, p. 16.

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Capitolo IV. Umberto D. IV.1 Scelta tematica e idezione dell’opera. gennaio 1949

Caro Minardi, ieri credo di aver scritto un nuovo soggetto non meno commovente di Ladri di biciclette (questa volta a favore dei pensionati dello stato, guarda un po‟) imperniato su un vecchio e su un cane; vedrai che mi è davvero riuscito, sono contento, vedremo chi lo realizzerà.44

Così Zavattini comunica al giornalista e fraterno amico Alessandro Minardi, l‟ideazione del soggetto di Umberto D. che la stampa più tardi sosterrà essere stato ispirato dal padre di De Sica ma che lo scrittore prontamente smentirà: Mi venne in mente il titolo “Umberto D.” come mi sarebbe potuto venire in mente “Antonio D.” Poi cercai di giustificarlo con una brevissima scena sul Campidoglio in cui Umberto doveva dare il proprio nome e cognome ai dimostranti che avevano scelto casualmente lui con altri quattro o cinque per recarsi dal sindaco a protestare in nome dei proprietari di cani troppo tassati; e Umberto modestamente diceva: «Umberto Domenico Ferrari…ma può scrivere: Umberto D. Ferrari…basta». La prima idea fu quella di un vecchio che aveva sì un cane, ma sopratutto una figlia, per amore della quale pensava persino al delitto. Poi la figlia scomparve, restarono il vecchio e il cane, e venne alla luce la padrona di casa. Se la memoria non m‟inganna, la figura della padrona di casa trovò il suo spunto in un fatto che commosse tutta l‟Italia: per non incorrere in querele, dirò soltanto che si trattò di una padrona di casa così spietata da costringere al suicidio il suo inquilino. Ancora dalla vita ho preso il motivo per la giovane donna di servizio. Quando da Milano mi trasferii a Roma nel 1940 abitai in una camera d‟affitto e conobbi questa donna di servizio che telefonava anche di notte alle caserme di Roma intrecciando rapporti con carabinieri, genieri, cavalleggeri, e che so io. Era buona, candida e leggermente stupida.45

De Sica entusiasta per il soggetto e orgoglioso del titolo, nonostante Zavattini avesse precisato non fosse stato direttamente ispirato dal padre del regista, si mobilita

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Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti,1997, p. 187. 45 Ivi, p. 187-188. 45 Ivi, p. 187-188.

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immediatamente per trovare un produttore. La storia di quel vecchio pensionato, quella sua tragica solitudine, quella sua sconfinata tristezza e quei suoi patetici maldestri tentativi di riscaldarsi il cuore mi pareva avessero una sorta di universalità che chiunque avrebbe compreso. Poche volte mi è accaduto di appasionarmi a un soggetto quanto mi appassionai a quello di Umberto D. Tranne Sciuscià e Ladri di biciclette, per tutti gli altri ho avuto incertezze e tentennamenti; per Umberto D. nessuna. Esisteva infine l‟eterno problema del finanziamento.46

Rizzoli, dopo aver letto il soggetto e aver dato del pazzo a De Sica, concede al regista i cento milioni per Umberto D., fondando una società Rizzoli-De Sica e Amato, socio di Rizzoli, soldi che precedentemente sarebbero dovuti andare al regista per la direzione di un episodio di Don Camillo. I dubbi di Rizzoli sul soggetto fanno ben capire come i temi sociali affrontati in maniera così forte fossero quasi un tabù nell‟Italia del dopoguerra, qualcosa di improponibile. Zavattini lavora dunque alla sceneggiatura e De Sica studia con lui le riprese sulla carta. Delineata la messa in scena del film De Sica si reca all‟Aquila per iniziare i provini, in cerca, come ormai è divenuta tradizione, di attori non protagonisti. Ricorda Maria Pia Casilio, che nel film interpreta il ruolo della servetta: Ad un tratto, Nino Misiano, il direttore della produzione, indicando verso la galleria, urlò a De Sica: «Guarda Vittorio, guarda: l‟hai trovata»!. Mi fecero scendere in platea: De Sica volle conoscermi, sapere la mia età, con chi vivevo, cosa facevo...Quando rientrai a casa, mia nonna aveva già saputo da una persona del paese che ero andata in quel cinema dell‟Aquila e mi assestò un sonoro ceffone. Non immaginavo proprio che la cosa potesse avere un seguito. Invece i collaboratori di De Sica cominciarono a telefonare insistendo perchè facessi il provino. E alla fine la nonna mi lasciò andare a Roma, ufficialmente a scopo turistico, in compagnia di una zia. Al teatro 5 di cinecittà c‟erano centinaia di ragazze arrivate da tutta Italia ma Nino Misiano sembrava che aspettasse solo me: appena entrai mi consegnò un enorme mazzo di fiori. Mentre aspettavo il mio turno, una comparsa mi disse che aveva sentito De Sica dire al produttore Angelo Rizzoli: «O 46

Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti,1997, p. 188.

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prendiamo questa ragazzina o il film non lo faccio».47

Guidato dal suo istinto visivo, De Sica trova anche il suo pensionato “dall‟aria distinta” nel professore di glottologia Carlo Battisti. Uno mi viene incontro; lo vedo quando è a un metro di distanza, mi scanso con uno scarto a destra. [...]«Si Fermi, si Fermi, signore!» Mi fermo; mi volto. Fronteggio un uomo di mezza età, forse meno, dal viso intelligente, un po‟ contratto. Dietro a lui un secondo signore mi guarda intensamente, camminando. Un paio di passi più in là una giovane signora molto curata, assai espressiva, evidentemente emozionata mi fissa sgambettando con sorprendente agilità. I tre mi raggiungono, si scambiano una rapida occhiata, puntano su me gli indici: «È lui! È “Umberto D.”». Sono annichilito dalla sopresa; non ho reazioni; mi pare di essere una statua o un manichino, «Scusino, si sbagliano»; declino le mie generalità. Non giova, non convinco. Eppure non v‟è dubbio: Io non sono “Umberto D.”. Sono da un quarto di secolo professore universitario, da mezzo secolo faccio il linguista. [...] Non ho mai sofferto di amnesia al punto di straniarmi da me stesso. Di sdoppiamenti psichici non ho mai sofferto. [...] Involontariamente sale al labbro una domanda appena mormorata: polizia? Una franca risata cordiale ne è la reazione immediata.48

Il tema del film, anticipato sapientemente in fase di pre-produzione, attira l‟attenzione di alcuni media che intuiscono la portata sociale dell‟opera di Zavattini. Riportiamo qui un‟intervista rilasciata da Zavattini a Gianni Toti: GIANNI TOTI: Lo statale Umberto D., pensionato della Repubblica italiana ha lasciato in questi giorni la sua oscura miseria quotidiana per entrare nel cinema. Sotto la regia di Vittorio De Sica, egli circola in questi giorni tra le righe del soggetto di Cesare Zavattini, diventa una maschera del dramma della nostra società, nell‟anno 1951, si trasforma in attore, un terribile e grande attore, come dice Zavattini, della commedia italiana. Fra qualche mese forse il titolo di questo film sarà diventato un po‟ il simbolo dei pensionati italiani, assumerà un significato nuovo e si parlerà di Umberto D. come del rappresentante, nel mondo dell‟arte cinematografica, di quei cinquecento pensionati che lo scorso anno, come è stato denunciato dalla Federazione dei pensionati al Senato, hanno rinunciato alla loro esistenza disperata e di cui soltanto poche righe di giornali hanno comunicato alla società il suicidio. [...] Cesare Zavattini al quale abbiamo chiesto di parlare del suo personaggio ai nostri lettori, ai lavoratori cioè, ai pensionati stessi, agli statali. Nel suo studio ha cominciato a parlarci di 47

Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti,1997, 47 pp. 191-192 Ivi, p. 191-192 48 Ivi, pp. 196-197.

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Umberto D. come di un suo vecchio amico, di un nostro vecchio amico. CESARE: Umberto D. è un vecchio pensionato dello Stato, un vecchio funzionario, di quelli di cui si parla tanto in questi giorni. Veramente non so quale sia il suo grado, forse è un grande usciere, forse no, so soltanto che quando lavorava prendeva poco più o molto meno di trentamila lire al mese e oggi che è pensionato non riesce più a sbarcare il lunario, perché le sue decine di anni di lavoro, povero vecchio grande usciere dello Stato, non gli hanno garantito che una pensioncina miserabile. GIANNI TOTI: Un film amaro, dunque, un film di denuncia.... CESARE: Un film amaro, sì, ma non un film pessimista Io e De Sica non pensiamo affatto che Umberto D., e in generale questi nostri film, siano opere pessimiste. Crediamo proprio il contrario. Crediamo che siano film profondamente ottimisti proprio perché noi li facciamo per gli uomini, perché credano in una sorte migliore, perché vogliamo che gli uomini che li vanno a vedere ne traggano incitamento a far meglio, ciascuno nella propria parte, per una società in cui Umberto non sia più disperato.49

Quello di Zavattini è un invito alla solidarietà, all‟eguaglianza, alla vera e viva comunicazione tra gli uomini, attraverso la descrizione di attimi, gesti, momenti altamente rappresentativi della vita quotidiana, a volte difficile e ingiusta. Oggi è chiaro a molti che nei nostri films c‟è sempre una denuncia, c‟è sempre la più forte invocazione alla solidarietà, perché la mancanza di solidarietà è la cosa che mi stupisce e spaventa nella vita odierna.50

Quello di Umberto D. è un dramma vivo e contemporaneo allo scrittore che viene sottolineato da una narrazione lineare e una scomposizione delle azioni elementari (ad esempio la preparazione del caffè da parte di Maria Pia Casilio). Ogni singolo gesto ha un‟enorme valenza. Ogni immagine è un atomo che racchiude la forza del reale.

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Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti,1997, pp. 198-199. 50 Ivi, p. 210. 50 Ivi, p. 210.

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IV.2 Trascrizione cinematografica di alcune sequenze del film

SEQ. I. INQQ. 1- 38. ESTERNO GIORNO, UNA VIA CENTRALE DI ROMA. ESTERNO GIORNO, UNA VIA LATERALE. ESTERNO GIORNO, PIAZZETTA. ESTERNO GIORNO, L’INTERNO DI UN PORTONE.

Esterno giorno, una via centrale di Roma Inquadratura 1 ( 42’’ - 2’,01’’ durata 89’’) Visivo CL (dall‟alto). Dissolvenza in apertura. Esterno giorno, una via centrale di Roma viene percorsa da un corteo ordinato e pacifico. Il corteo viene diviso dal passaggio di un autobus. Il corteo svolta per una via laterale. Sonoro (M) un motivo musicale extradiegetico, lento e drammatico prosegue fino all’inq. 9. Corteo: «Aumento, aumento!» Note Sull‟inquadratura scorrono i titoli di testa alla fine dei quali vi è la dedica di De Sica al padre.

Esterno giorno, una via laterale Inquadratura 2 ( 2’,02’’ – 2’, 10’’ durata 8’’) Visivo CM (inquadratura ad altezza rialzata). Raccordo di movimento. Esterno giorno. Una via laterale. In campo vi sono i cartelli dei dimostranti sui quali è scritto: Abbiamo lavorato tutta la vita, aumentate le pensioni, giustizia per i pensionati, anche i vecchi devono mangiare. Sonoro Corteo: «Aumento, aumento!» 39


Inquadratura 3 ( 2’,11’’ – 2’,14’’ durata 3’’) Visivo PA. La mdp accompagna il movimento da sinistra a destra del corteo. Raccordo di movimento. Esterno giorno un via di Roma. In campo una parte dei manifestanti. L‟inquadratura tende ad evidenziare la figura di un vecchio sui sessant‟anni - Umberto D - che tiene nella mano destra un guinzaglio. Sonoro Corteo: «Aumento, aumento!» Note Umberto, ha un cappotto più chiaro rispetto agli altri manifestanti. Inquadratura 4 ( 2’,15’’ – 2’,23’’ durata 8”) Visivo MCL. Raccordo di movimento. Esterno giorno una via di Roma. Il corteo svolta a sinistra in direzione di una piazzetta. Sonoro Il corteo:« Aumento, Aumento!»

Esterno giorno, una piazzetta. Inquadratura 5 ( 2’,23’’ – 2’,25’’ durata 2’’) Visivo CM. Raccordo di movimento. Esterno giorno una piazzetta di Roma. Il corteo entra in campo da sinistra arrivando nella piazzetta e un commissario con alcune guardie cerca di contenerlo. Sonoro (R)La confusione dei manifestanti. Inquadratura 6 ( 2’,25’’ – 2’,27’’ durata 2’’) Visivo MFL. Raccordo sul movimento. Esterno giorno una piazzetta in prossimità del portone 40


di un grande edificio il commissario cerca di contenere il corteo. Sonoro (R) le proteste dei manifesanti indistinguibili nella grande confusione. Inquadratura 7 ( 2’,28’’ – 2’,29” durata 1”) Visivo MFS. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, piazzetta. Il vecchio col guinzaglio, precedentemente inquadrato, protesta contro il commissario e le guardie. Sonoro Umberto:« Vogliamo essere sentiti dal ministro!» Inquadratura 8 ( 2’,30” – 2’,37” durata 6”) Visivo PP. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, piazzetta. In campo uno dei tanti pensionati, un uomo robusto con un basco in testa, che protesta disperatamente. Sonoro Il pensionato robusto: «Come funzionario dello stato, ho fatto sempre il mio dovere, voglio essere ricevuto dal ministro, per dire la mia miseria». Inquadratura 9 ( 2’,37” – 2’,42” durata 5”) Visivo PP. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, piazzetta. Il pensionato continua a protestare con gli altri. Sonoro Umberto: «Vogliamo essere ricevuti dal ministro!» Il pensionato alto alla sua destra:« Siamo cittadini che paghiamo le tasse». Inquadratura 10 ( 2’,42” – 2’,45” durata 3”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, piazzetta. Un‟altro pensionato robusto e 41


con occhiali protesta in maniera disperata. Sonoro Il pensionato con gli occhiali: «voglio essere soltanto ascoltato!» Inquadratura 11 ( 2’,46” – 2’,51” durata 5”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, piazzetta. Il commissario intima al corteo di sciogliersi. Sonoro Commissario: «Silenzio! Non avete il permesso, dovete sciogliervi!» Inquadratura 12 ( 2’,52” – 2’,54” durata 2”) Visivo MFL. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, piazzetta. La folla si riversa sul commissario. Sonoro (R) Vociare e urla dei dimostranti Commissario: «Basta!» Inquadratura 13 ( 2’,54” – 2’,57” durata 3”) Visivo CM. Raccordo di movimento. Esterno giorno, piazzetta. I dimostranti rompono il blocco. Sonoro Corteo: «Andiamo!»

Inquadratura 14 ( 2’,57” - 3’,00” durata 3”) Visivo MFL. Raccordo di movimento. Esterno giorno, piazzetta. Il commissario riesce a stento a contenere il corteo. 42


Sonoro (R) Il vociare dei manifestanti

Inquadratura 15 ( 3’,00” – 3’,03” durata 3”) Visivo CM. Stacco. Esterno giorno. Da un‟altra via che collega alla piazza arrivano le jeep della polizia a sirene spiegate entrando in campo da destra. Sonoro (R) le sirene della polizia (ic) Inquadratura 16 (3’,03” – 3’,08 durata 5”) Visivo CM. Raccordo di movimento. Esterno giorno, piazzetta. Le jeep vanno verso i manifestanti con i polizziotti che intimano ai vecchi manifestanti di allontanarsi. Sonoro (R) le sirene della polizia, le voci dei poliziotti e quelle dei pensionati Inquadratura 17 (3’,09”- 3’,11” durata 2”) Visivo CL (dall‟alto). Raccordo di movimento. Esterno giorno piazzetta. Le Jeep vanno evoluzioni a destra e sinistra per far sciogliere il corteo. Sonoro (R) Le sirene della polizia e le voci dei manifestanti e dei poliziotti Inquadratura 18 (3’,12” – 3’,19” durata 7”) Visivo CM. La mdp accompagna il movimento di una jeep da sinistra a destra. Raccordo di movimento. Esterno giorno, piazzetta. I poliziotti intimano ai pensionati di ritornare alle proprie case. Sonoro 43


I poliziotti:« Andiamo a casa, andiamo!»

Inquadratura 19 (3’,19” – 3’, 26” durata 7”) Visivo MFL. Mdp posizionata dulla jeep che segue da dietro i pensionati. raccordo di movimento. Esterno giorno, piazzetta. Una parte dei pensionati seguiti da una jeep comincia ad andarsene, protestando. Il pensionato robusto, con il basco già precedentemente inquadrato, si leva il cappello e tenta in maniera patetica di bloccare la jeep con il proprio corpo. Sonoro Il pensionato robusto col basco che tenta di bloccare la jeep:« Sono stato un funzionario del ministero delle finanze, è una vergogna trattarmi così». (R) strombettio del clackson di una jeep (ic). Inquadratura 20 (3’,26 – 3’,28” durata 2”) Visivo PA. Raccordo sullo sguardo. I poliziotti dalla jeep intimano ai pensionati di andarsene. Sonoro Poliziotti: «andiamo a casa!» (R) proteste dei pensionati.

Inquadratura 21 (3’,29”- 3’,34” durata 5”) Visivo MFL. Mdp sulla jeep che segue da dietro il movimento dei pensionati. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno piazzetta. I poliziotti ora con superiorità intimano ai pensionati e in particolare a quello che cerca di bloccare la jeep, di andarsene a casa. Sonoro Un poliziotto: «Ma va’ a casa vai!»

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Inquadratura 22 (3’,34” – 3’,38” durata 4”) Visivo CM. Mdp che segue il movimento di una jeep che si allontana. Raccordo di movimento. I poliziotti continuano a sciogliere il corteo che rassegnato comincia a prendere vie adiacenti alla piazzetta per allontanarsi. Sonoro (R) proteste dei pensionati, intimidazioni dei poliziotti . Inquadratura 23 (3’,38” – 3’43” durata 5”) Visivo CM. Mdp sulla jeep che segue da dietro i pensionati. Raccordo di movimento. Esterno giorno, piazzetta. Una jeep accelera mentre suona il clackson, dietro un gruppo di pensionati. Sonoro (R) il rumore del clackson e le voci dei pensionati.

Inquadratura 24 (3’,43” – 3’,49” durata 6”) Visivo MCL. Raccordo di movimento. Esterno giorno, una via adiacente alla piazzetta. Una parte dei pensionati ancora con i cartelli in mano fugge all‟interno di una via molto stretta. Sonoro (R) le voci dei pensionati. Esterno giorno, l’interno di un portone Inquadratura 25 (3’,50” – 3’,58” durata 8”) Visivo T. raccordo di movimento. Esterno giorno, l‟interno di un portone. Umberto con il cane, seguito da altri due, si rifugia dentro un portone. Sonoro. 45


(R) I rumori del corteo che fugge e il terzo vecchio che ansima.

Inquadratura 26 (3’,59” – 4’,07” durata 8”) Visivo. PA. Raccordo di movimento. Esterno giorno, l‟interno di un portone. Sulle scale di un portone il vecchio alto arrivato per ultimo si asciuga la fronte madida di sudore mentre osserva attento l‟evolversi del contenimento della protesta. Sonoro (R) La confusione della protesta che viene placata. Inquadratura 27 (4’,07” – 4’,09 durata 2”) Visivo PP. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, l‟interno di un portone. Il cane abbaia in maniera insistente verso la confusione all‟esterno.

Sonoro (R) L’abbaiare del cane (ic) Note Il cane è di piccola taglia, bianco e nero. Inquadratura 28 (4’,09” – 4’,11” durata 2”) Visivo PA. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, l‟interno di un portone. Il vecchio alto posizionato sulle scale intima al padrone del cane di farlo smettere di abbaiare. Sonoro (R) l’Abbaiare del cane (fc) Il vecchio alto sulle scale: Lo faccia tacere, perdio!

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Inquadratura 29 (4’,11” – 4’,19”) Visivo FI.

Mdp che accompagna il movimento dei

due pensionati da destra a sinistra.

Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, l‟interno di un portone. Il padrone tranquillizza il cane spaventato dalla confusione. Sonoro Umberto: «Zitto Flike, basta!» Inquadratura 30 (4’,19” – 4’.21” durata 2”) Visivo MFS. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, l‟interno di un portone. Il vecchio alto impreca. Sonoro Il vecchio alto: «Mascalzoni, canaglie!» Inquadratura 31 (4’,22” – 4’,24” durata 2”) Visivo MFS. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, l‟interno di un portone. Un‟altro pensionato più basso, vicino ad Umberto, consiglia al signore che impreca di non farsi sentire dalle guardie. Sonoro Pensionato:« Per carità non si faccia sentire, sennò lo portano dentro!»

Inquadratura 32 ( 4’,25” – 4’,31” durata 6”) Visivo MFS. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, l‟interno di un portone. Il pensionato spiega agl‟altri due interlocutori sull‟altra scalinata che le sue imprecazione sono rivolte agli organizzatori del corteo che non avevano il permesso. Sonoro Il vecchio alto:«Non dico alle guardie, ma agli organizzatori del corteo...ci voleva il 47


permesso!»

Inquadrtura 33 (4’,32” – 4’,34” durata 2”) Visivo MFS. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, l‟interno di un portone. Umberto risponde dicendo che il permesso non era stato concesso. Sonoro Umberto:« Non ce l’hanno voluto dare». Inquadratura 34 (4’,34” – 4’,35” durata 1”) Visivo MFS. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, l‟interno di un portone. Il pensionato che imprecava risponde che bisognava stare a casa. Sonoro Pensionato: «Allora bisognava stare a casa!» Inquadratura 35 (4’,35” – 4’,44” durata 9”) Visivo MFS. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, l‟interno di un portone.

Umberto

descrive la misera condizione finanziaria in cui versa al suo interlocutore. Sonoro Umberto: «Io ho bisogno del venti per cento di aumento e metto a posto i miei debiti in un anno».

Inquadratura 36 (4’,45” – 4’,48” durata 3”) Visivo MFS. Raccordo sullo sguardo. Il pensionato che imprecava si leva il cappello e appoggia la mano sulla fronte dicendo, mentre sospira stanco, di non avere debiti. Sonoro Il vecchio alto:« Io debiti non ne ho». 48


Inquadratura 37 (4’49” – 4’52” durata 3”) Visivo MFS. Raccordo sullo sguardo. Il terzo pensionato più basso vicino ad Umberto dice anche lui di non avere debiti. Sonoro Il vecchio basso: «Per la verità neanche io, io non ho debiti». Inquadratura 38 ( 4’,53” – 5’,14” durata 21”) Visivo CM. Controcampo. I pensionati entrano in campo da destra e da sinistra e dopo essersi assicurati che la polizia sia andata via, escono fuori dal portone e salutandosi vanno via. Il pensionato alto levandosi il cappello saluta

Umberto e il vecchio basso che

ricambiano il saluto togliendosi educatamente anche loro il cappello e che, dopo aver esitato un attimo sulla soglia, escono fuori campo da sinistra. Sonoro Una parte dei pensionati: «É il momento buono, possiamo andare». Il vecchio alto:«Buongiorno!» Umberto con il pensionato basso:«Buongiorno!»

SEQUENZA II. INQQ. 39 – 47 ESTERNO GIORNO, STRADA NEI PRESSI DEL VIMINALE. Inquadratura 39 (5’,15” – 5’,43” durata 28”) Visivo PA. La mdp accompagna il movimento dei due pensionati da destra a sinistra. Raccordo di movimento. Esterno giorno, strada nei pressi del viminale. Umberto con il cane assieme al vecchio basso percorrono una via di Roma. Il pensionato con il cane descrive in breve la sua situazione, poi i due si presentano e quello con il cane propone all‟altro pensionato l‟acquisto di un orologio. 49


Sonoro (M) Un motivo musicale extradiegetico prosegue fino all’inq.47. Umberto:« Non ho più nessuno, né un figlio né un fratello che possa aiutarmi, sono un vecchio buono a nulla» L’altro pensionato:«Orazio Valenti». Umberto:«Umberto Domenico Ferrari». E continua:«Chi vive oggi con diciottomila lire al mese? Diecimila me le prende la padrona di casa, mi ha anche aumentato l’affitto quella...mi scusi» L’altro pensionato:«Dica pure...dica pure...siamo tra uomini...puttana, puttana». Umberto:«Avrebbe bisogno di un orologio lei? Inquadratura 40 (5’,44”- 5’,47” durata 3”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Esterno giono, strada nei pressi del viminale. Il vecchio basso cambia espressione e risponde che possiede già un orologio, ma al momento non lo ha con sé. Sonoro Il vecchio basso:«Eh no, ce l’ho, ce l’ho l’orologio. Non ce l’ho qui, ma ce l’ho. Un bell’orologio» Inquadratura 41 (5’,47” – 5’,52” durata 5”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, strada nei pressi del viminale. Umberto Mostra all‟altro pensionato l‟orologio mentre ne ascolta il ticchettio all‟orecchio, sostenendo che lo vuole vendere perchè ne ha due. Sonoro Umberto: «Io ne ho due e per questo lo vendo. Tic tac, tic tac».

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Inquadratura 42 (5’,52” – 5’,56” durata 4”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Il vecchio basso distoglie lo sguardo infastidito dal gesto di Umberto. Sonoro Umberto:« Tic tac, tic tac, tic tac...» (fc) Inquadratura 43 (5’,56” – 5’57” durata 1”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Esterno giorno, una strada nei pressi del viminale. Umberto vuole sapere dall‟altro pensionato la marca del suo orologio. Sonoro Umberto: «E il suo che marca è?»

Inquadratura 44 (5’,58” – 6’,02” durata 3”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Il vecchio basso risponde che la marca del suo orologio è una marca buona e che è arrivato a casa. Sonoro Il vecchio basso: «Eh...buona...ha anche la cassa d’oro, io sono arrivato, abito qui». Inquadratura 45 (6’,03” – 6’,19 durata 16”) Visivo MF/FI. Raccordo sullo sguardo. Il vecchio basso saluta Umberto ed entra in un portone. Umberto continua per la sua strada e dopo pochi passi si abbassa per aggiustare il guinzaglio del cane. Sonoro Il vecchio basso: «Buon giorno!» Umberto: «Buon giorno!»

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Inquadratura 46 (6’,20” – 6’,27” durata 7”) Visivo CM. Raccordo sul gesto. Mentre Umberto mette a posto il guinzaglio di Flike il vecchio basso esce fuori dal portone in cui era entrato. Umberto voltandosi di sfuggita lo riconosce, e l‟altro riconoscendolo a sua volta si allontana velocemente nella direzione opposta Sonoro (R) il rumore del traffico (ic) Inquadratura 47 (6’,28” – 6’,47 durata 19”) Visivo MF/MCL. Raccordo sullo sguardo. Umberto guarda indignato il vecchio che si allontana, poi si volta, cammina, si ferma per controllare dei documeni nella tasca del cappotto e poi riprende la sua strada con Flike. Nel mentre degli operai smettono di lavorare su un ponteggio e scendono per mangiare. L‟inquadratura termina con una dissolvenza incrociata Sonoro (R) Il suono una di una sirena (fc)

SEQUENZA III. INQQ. 48 – 69 INTERNO GIORNO, SALONE MENSA ECONOMICA ESTERNO GIORNO, PIAZZA DEL POPOLO Interno giorno, salone mensa economica Inquadratura 48 (6’,48” – 7’,06” durata 28”) Visivo. MFL. Dissolvenza incrociata. Interno giorno, salone mensa economica. Umberto fa cenno al vicino di mensa – atteggiando il volto a preghiera - di spostarsi più a destra e gli indica di guardare alla sua sinistra. Sonoro (M) Motivo musicale extradiegetico che prosegue fino all’inq.67. 52


Inquadratura 49 (7’,06” – 7’,17” durata 11”) Visivo MFL. Raccordo sullo sguardo. Il vicino di mensa si volta e successivamente si sposta a destra consentendo ad Umberto di abbassarsi sotto il tavolo senza farsi vedere per dare da mangiare a Flike. Sonoro (R) rumori di posate (fc) Inquadratura 50 (7’,18” – 7’,21” durata 3”) Visivo PA. Inquadratura ribassata. Raccordo di movimento. Umberto sotto il tavolo porge il piatto a Flike per farlo mangiare. Sonoro (R) Rumori di posate (fc) Inquadratura 51 (7’,22” – 7, 39” durata 17”) Visivo MPP/PA. Stacco della mdp su un signore che si allontana dal bancone con il piatto vuoto e che si dirige dietro Umberto e il suo vicino verso la parte sinistra dell‟inquadratura. Nel mentre la cameriera si avvicina al tavolo di Umberto e Umberto gentilmente le passa i piatti delle persone che lì sono sedute. La cameriera ritira i piatti ed esce fuori campo da destra. Il signore vicino ad Umberto si lamenta perchè non aveva ancora finito. Sonoro Cameriera: «Chi ha finito?...Chi ha finito?...grazie grazie». Il vicino di Umberto: «Ma che maniere».

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Inquadratura 52 (7’,40” – 7’,42 durata 2”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Il vicino di Umberto chiama la cameriera. Sonoro Vicino di Umberto: «Cameriera...cameriera!» Inquadratura 53 (7’,43” – 7’,57 durata 14”) Visivo MFS. Stacco della mdp sul protagonista. Umberto appoggia l‟orologio sull‟orecchio del vicino alla sua destra, un signore con il cappello, col volto ossuto e la barba lunga. Umberto lo invita a sentire il ticchettio del so orologio e rende noto come un orogologio come quello valga in un negozio ventimila lire. Il suo vicino lo passa ad un altro di fronte che chiede ad Umberto a quanto vorrebbe venderlo. Sonoro Umberto: Senta, in negozio costa ventimila lire. Commensale seduto di fronte: Quanto ne vuole? Inquadratura 54 (7’58” – 8’,00” durata 2”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Umberto pensa a quanto chiedere per l‟orologio e poi risponde timidamente. Sonoro Umberto: «Cinquemila lire». Inquadratura 55 (8’,00” – 8’03” durata 3”) Visivo MPP. Raccordo sul gesto. L‟altro commensale restituisce l‟orologio ad Umberto. Sonoro (R) Rumori di piatti e posate (ic) 54


Inquadratura 56 (8’,03” – 8’,04” durata 1”) Visivo MPP. Stacco della mdp sul vicino di Umberto che prende un‟altra portata e la poggia sul bancone. Sonoro (R) Rumore del piatto sul bancone (ic)

Inquadratura 57 (8’,05” – 8’,06” durata 1”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Umberto mostra l‟orologio anche al suo vicino. Sonoro (R) I rumori della mensa (fc) Inquadratura 58 (8’,07”- 8’,10” durata 3”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Il vicino di Umberto estrae il suo orologio dal taschino. Sonoro (R) I rumori della mensa (fc) Inquadratura 59 (8’,11” – 8’,14” durata 3”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. L‟altro vicino di Umberto, seduto alla sua destra, con la barba lunga e il cappello, ride, mentre Umberto tossisce. Sonoro (R) La risata dell‟uomo con barba lunga e il cappello (ic) (R) La tosse di Umberto (ic) Inquadratura 60 (8’,14” - 8’,15” durata 1”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Il vecchio con gli occhiali seduto alla sinistra di Umberto 55


si volta verso Umberto. Sonoro (R) I rumori della mensa (fc) Inquadratura 61 (8’,15 – 8’18” durata 3”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Umberto lamenta di avere la sensazione di un po‟ di sabbia in gola. Sonoro Umberto: «Ho come un po’ di sabbia in gola». Inquadratura 62 (8’,19 – 8’,22” – durata 3”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Il vicino a destra di Umberto risponde con una frase di cisrcostanza. Sonoro Il Vicino con gli occhiali:« Che ci vuol fare, pazienza...passerà...speriamo». Inquadratura 63 (8’,23” – 8, 29” durata 6”) Visivo MF. Raccordo sullo sguardo. Umberto si mette il cappello e dopo aver dato una breve occhiata in giro per evitare di essere visto si abbassa per prendere Flaik da sotto il tavolo. Sonoro (R) Il rumore della sedia che Umberto sposta per alzarsi (ic). Inquadratura 64 (8’,29” – 9’,00” durata 41”) Visivo CM. Raccordo sul gesto. Umberto si rialza, recupera il piatto, prende Flike al guinzaglio e saluta. Il suo vicino a sinistra, quello con la barba lunga e il cappello, dopo aver bevuto, si alza anche lui e lo segue facendo i complimenti per il cane. Mentre stanno per 56


uscire la direttrice della mensa ammonisce Umberto riguardo al cane e gli intima di non ripresentarsi con l‟animale in futuro o lo sbatterà fuori. Il vecchio con la barba lunga e il cappello prende le difese di Umberto e chiede se possono fare la strada assieme. Sonoro Umberto: «Arrivederci, a domani». Gli altri commensali:«A domani». Il vecchio con barba lunga e cappello:«Oh eccoci qua...carino». La direttrice della mensa:« Hey...Ho visto sa’...domani sbatto fuori lei e il cane». Il vecchio con barba lunga e cappello:« Eeee...» La direttrice della mensa:«Sbatto fuori, sbatto fuori!» Il vecchio con barba lunga e cappello:«Che esagerazione, così perdono tutti li clienti...non ce faccia caso per l’amor di Dio....permette che l’accompagni?» Umberto: «Si!»

Esterno giorno, piazza del popolo Inquadratura 65 (9’,00” – 9’,13” durata 13”) Visivo PA. La mdp segue il movimento delle figure in campo da destra verso sinistra. Dissolvenza incrociata. Esterno giorno, Piazza del popolo. Umberto e il signore contrattano il prezzo dell‟orologio. Sonoro Umberto: «Guardi, a lei glielo do per quattromila». Il vecchio con barba lunga e cappello: «Quattromila, è una parola quattromila, so’ tanti». Umberto: «Già, ma un’orologio dura sempre, senta». Il vecchio con barba lunga e cappello:« Ma non è il caso, guardi io gliene do tremila». Inquadratura 66 (9’,14” – 9’,17” durata 3”) Visivo P. Raccordo sul gesto. Il vecchio con cui Umberto contratta mostra i soldi dall‟interno 57


di un borsello che porta legato alla vita. Sonoro Il vecchio che mostra i soldi: «Ecco...tremila e rotti...so’ tutti spicci purtroppo». Inquadratura 67 (9’,18” – 9’37 durata 19”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Umberto rassegnato accetta le tremila lire e Il signore con cui fa l‟affare gli lascia la borsa con i soldi con la promessa di rivedersi il giorno seguente alla mensa per la restituzione della borsa. Concluso l‟affare il signore si toglie il cappello e chiede l‟elemosina destando la meraviglia di Umberto. Sonoro Umberto: «Ho detto quattromila». Il signore della mensa: «Stanno tutti qui...facciamo così...io le do la borsa, lei me la riporta alla mensa, mi dia l’orologio e arrivederci». Umberto: «Arrivederci». Il signore della mensa: «Fate la carità». Inquadratura 68 (9’,38” – 9’,44” durata 5”) Visivo PA. Raccordo sul gesto. Il signore continua a fare l‟elemosina mentre Umberto lo guarda sorpreso. I due si salutano. Sonoro Signore della mensa: «Fate la carità...arrivederci». Umberto:«Arrivederci». Inquadratura 69 (9’,45” – 9’,52 durata 7”) Visivo CM. Raccordo di movimento. Umberto si allontana dal compagno di mensa dirigendosi verso piazza del popolo. Il signore continua a fare la carità e Umberto mentre si allontana si volta per guardarlo. 58


Sonoro Signore della mensa: «Fate la carità».

SEQUENZA IV. INQQ. 70 – 102 INTERNO GIORNO, CORRIDOIO CASA UMBERTO. INTERNO GIORNO, CUCINA CASA UMBERTO Interno giorno, corridoio casa Umberto Inquadratura 70 (9’,52” – 10’,09” durata 11”) Visivo D/MPP. Dissolvenza incrociata. Interno giorno, corridoio casa Umberto. La mdp inquadra in D. una scritta in latino sulla porta, dalla quale, una volta aperta verso l‟interno, entra Umberto inquadrato in MPP. Umberto, attraversato il corridoio, tenta di aprire la porta del suo appartamento che sembra bloccata dall‟interno. Sonoro (M) Un motivo lirico continua fino all’inc 72 (fc) Note Sull porta del corridoio vi è un cartello con la scritta “Parva domus sed capta mihi”. Inquadratura 71 (10’,10” – 10’,13 durata 3”) Visivo MFL/MPP. Raccordo sul gesto. La mdp dopo aver inquadrto Umberto in MFL ruota velocemente verso destra inquadrando prima un uomo e poi una donna in MPP sdraiati sul letto della camera di Umberto. Umberto riesce ad aprire la porta che è bloccata d una sedia e trova con suo gran stupore, un uomo e una donna sdraiati nel suo letto. Sonoro (R) Rumore della porta che viene aperta da Umberto (ic) Inquadratura 72 (10’,14” – 10’,17” durata 3”) Visivo MFS. Raccordo sul gesto. Umberto chiude la porta e protesta in corridoio. 59


Sonoro Umberto: «Chi c‟è nella mia camera?» Inquadratura 73 (10’,18” – 10’,28 durata 10”) Visivo T. Controcampo. La mdp inquadra Umberto da dietro mostrando l‟intero corridoio del palazzo in cui Umberto è affittuario. Mentre Umberto protesta dalla porta alla sua destra esce la servetta alla quale egli chiede chi ci sia nella sua camera. Dalla stanza in fondo esce la padrona di casa che intima ad Umberto di tacere e lo accompagna in cucina. Sonoro Umberto:«Chi c’è nella mia camera?» La servetta:«Che ne so!» La padrona di casa: «Ma che urla». Umberto: «Chi c’è nella mia camera?» Padrona di casa: «Ma che strilla, stia zitto, mi faccia il piacere...ma che è modo questo di gridare...avanti senta un po’...stia zitto!»

Interno giorno, cucina casa di Umberto. Inquadratura 74 (10’,29” – 10’,34” durata 5”) Visivo T. Raccordo di movimento. Interno giorno, cucina casa di Umberto. Umberto, la servetta e al padrona entrano in cucina e discutono animatamente. Sonoro Padrona di casa: «Ma mi faccia il piacere...la camera non è sua, la camera è mia!» Umberto: «Ma che sua». Inquadratura 75 (10’,35” – 10’ 40” durata 5”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. La padrona si giustifica con Umberto sostenendo che le persone che il vecchio ha trovato nella sua camera sono due amici cari. 60


Sonoro Padrona di casa: «Sono amici, amici cari, riposano un minuto...e poi è inutile che lei protesti...lei lo sa che alla fine del mese se ne va». Inquadratura 76 (10’,40”- 10’,46” durata 6”) Visivo PP. Raccordo sullo sguardo. Umberto risponde che non è giusto mandare via di casa un uomo dopo vent‟anni. Sonoro Umberto: «Se ne va, se ne va....sarebbe comodo buttar fuori un uomo dopo vent‟anni». Inquadratura 77 (10’,47 – 10’,50” durata 3”) Visivo PP. Raccordo sullo sguardo. La padrona invita Umberto a pagare gli aretrati. Sonoro Padrona di casa: «E vedrà, vedrà...e intanto paghi gli aretrati!». Inquadratura 78 (10’,50” – 10’,53” durata 3”) Visivo PP. Raccordo sullo sguardo. Umberto mostra i soldi e dice che pagherà. Sonoro Umberto: «Pago, pago...ho qui i soldi, pago!» Inquadratura 79 (10’,53” – 10’,57” durata 4”) Visivo PP. Raccordo sullo sguardo. La padrona di casa dice ad Umberto di non urlare e alla fine si schiarisce la voce. Sonoro Padrona di casa: «E non gridi!». (R) la padrona si schiarisce la voce (ic) 61


Inquadratura 80 (10’,57” – 11’,01” durata 4”) Visivo T. Raccordo di movimento. Mentre si schiarisce la voce ripetutamente la padrona di casa esce dalla cucina. Sonoro (R) la padrona si schiarisce la voce (ic) (R) Il rumore della porta che si apre (ic) Inquadratura 81 (11’,02” – 10’,05” durata 3”) Visivo T. Raccordo di movimento. La padrona chiude la porta della cucina, bussa alla porta della stanza di Umberto dove sono i due amanti e prosegue per il corridoio. Sonoro (R) Rumore della porta chiusa (ic) (R) La padrona che bussa alla porta (ic) (R) Voci dalla stanza di Umberto dove sono rintanati i due amanti (fc) Inquadratura 82 (11’,05” – 11’ 25” durata 20”) Visivo PM/T. Stacco della mdp dentro la cucina dove è rimasto Umberto con la servetta. Umberto maledice la padrona di casa e poi va a chiudere il finestrone ( la mdp passa in T) Sonoro Umberto: «A chi caccia via...dove vado? Ti pigliano tutti per il collo! Ventimila lire per un buco così...e ci sono pure i topi» (M) motivo lirico extradiegetico che prosegue fino all’inq.88. Servetta:« Eh lo so». Umberto: «Caccia via!»

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Inquadratura 83 (11’,25 – 11’,29” durata 4”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. La servetta, mentre spiuma meccanicamente un pollo, guarda fissa Umberto. Sonoro (R) Rumore della finestra che viene chiusa da Umberto (fc). Inquadratura 84 (11’,30” – 11’,35” durata 5”) Visivo T. Raccordo sullo sguardo. Umberto seduto vicino alla finestra si abbassa per togliere il guinzaglio a Flike. Sonoro Umberto: «Caccia via!» Inquadratura 85 (11’,36” – 12’,16” durata 40”) Visivo. MPP/FI. Raccordo sullo sguardo. La servetta controlla fuori dalla porta per vedere se la padrona è davvero andata via, poi riempie un recipiente pieno d‟acqua e lo porge al cane. Sonoro La servetta: «Lei si fa pagare mille lire all’ora, ha capito?...mille lire tutte le volte». Inquadratura 86 (12’17” – 12’, 27” durata 10”) Visivo MPP. Stacco della mdp su Umberto. Umberto tossisce e chiede alla servetta un termometro. Sonoro (R) La tosse di Umberto (ic) Umberto:« Hai un termometro?»

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Inquadratura 87 (12’,27” – 12’,46 durata 19”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. La mdp segue il movimento della servetta che prende un termometro dalla credenza, si ferma per sentire che i due amanti hanno chiuso la porta e se ne sono andati e poi esce di campo verso destra. Sonoro (R) I rumori della servetta che prende il termometro (ic) (R) Il rumore della porta della camera fuori che si chiude (fc) Inquadratura 88 (12’,47” – 13’,15” durata 38”) Visivo PM. Raccordo di movimento. La serva si avvicina ad Umberto gli porge il termometro, che Umberto agita velocemente, e gli comunica che la sua camera è libera perchè la padrona ha messo i due amanti nel salotto. Umberto impreca in maniera incomprensibile. Sonoro La servetta:« Té...stai male?...piano...l’hai sentita prima la porta?» Umberto:« Si!» La servetta:«Li ha messi nel salotto!» Umberto: «Poteva metterceli prima». La servetta: «E come poteva ce n’erano altri due». Umberto (a bassa voce): «Vergogna...che mestiere» Inquadratura 89 (13’,16” – 13’,18” durata 2) Visivo MPP. Stacco della mdp sulla servetta. La servetta riempie un recipiente d‟acqua e poi si volta per guardare la parte alta del muro alla sua destra. Sonoro (R) Il rumore dell’acqua nel recipiente (ic)

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Inquadratura 90 (13’,18” –13’,20” durata 2”) Visivo D. Raccordo sullo sguardo. Delle formiche cammincano sul muro. Sonoro (R) Rumore dell’accqua nel recipiente (fc) Inquadratura 91 (13’,21” – 13’,24” durata 3”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. La servetta rivolge il getto del rubinetto verso il muro dove stanno le formiche Sonoro (R) Rumore del getto d’acqua (ic) Inquadratura 92 ( 13’,25” – 13’26” durata 1”) Visivo D. Raccordo sullo sguardo. Le formiche vengno spazzate via dal getto d‟acqua. Sonoro (R) Rumore del getto d’acqua (fc) Inquadratura 93 (13’,27” – 13’,40” durata 13”) Visivo MPP. Raccordo sul gesto. La servetta chiude il rubinetto e poi si rivolge ad Umberto chiedendogli se riesce a vedere il ventre un pò più gonfio. Sonoro La servetta: «Ha visto quante formiche...signor Umberto...si vede niente?» Inquadratura 94 (13’,41” – 13’,44” durata 3”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Umberto risponde che non vede niente. Sonoro 65


Umberto:« Niente!» Inquadratura 95 (13’,44” – 13’,48” durata 4”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. La servetta comunica a Umberto che è incinta. Sonoro La servetta: «Eh...un po’ si...lo sai che sono incinta». Inquadratura 96 (13’,48 – 13’,54” durata 6”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Umberto rimane sopreso. Sonoro Umberto:« Dio mio....e lo dici così». Inquadratura 97 (13’,55 – 13’,58” durata 3”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. La servetta nella sua semplicità dice che non ci siano altre maniere per dirlo. Sonoro La servetta: «E come lo tengo a di’?» Inquadratura 98 (13’,58” – 14’,04” durata 5”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Umberto abbassa la testa pensieroso e poi chiede alla servetta se la padrona sa della cosa. Sonoro Umberto:« E lei lo sa?»

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Inquadratura 99 (14’,04” – 14’,06” durata 2”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. La servetta dice che è meglio che la padrona non lo sappia. Sonoro La servetta: «Per carità!» (M) Motivo musicale extradiegetico che prosegue fino all’inq. 104. Inquadratura 100 (14’,07” – 14’.13” durata 6”) Visivo MPP. Raccordo sullo sguardo. Umberto si lascia cadere sconsolato sulla sedia. Sonoro (M) motivo musicale extradiegetico Inquadratura 101 (14’,14” – 14’,40” durata 26”) Visivo MPP/PA. Stacco della mdp sulla servetta che si avvicina ad Umberto, prende un foglio di giornale da un cassetto, lo brucia con il fornello e lo passa sul muro dove erano le formiche. Sonoro (R) rumore del giornale accortocciato e bruciato (ic) Inquadratura 102 (14’,41” – 14’,42” durata 1”) Visivo MPP. Stacco della mdp su Umberto che guardando la servetta sembra sti per dire qualcosa ma viene interrotto dalla voce della padrona di casa che bussa alla porta. Sonoro (R) La padrone bussa alla porta (fc). Inquadratura 103 (14’,43 – 15’,02 durata 29”) 67


Visivo PA. Raccordo sonoro. La padrona comunica ad Umberto che la stanza è libera. Umberto si alza e prima di uscire chiede alla servetta se è sicura di essere incinta. Sonoro La padrona: «Può entrare!» Umberto alla servetta:« Sei sicura che è così?» La servetta: «tre mesi signor Umberto». Inquadratura 104 (15’,02 – 15’,07 durata 5”) Visivo T. Raccordo di movimento. Mentre la servetta continua ad ammazzare le formiche col fuoco Umberto e Flike escono dalla cucina. Sonoro (R) Umberto che apre la porta (ic).

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Capitolo V. Reazione all’opera V.1 Critica e politica L‟opera di Zavattini e De Sica, così forte e reale, porta la stampa e addirittura la politica ad interventi critici attraverso vari articoli e recensioni. Bisogna ricordare infatti che un anno prima della realizzazione del film cinquecento pensionati in Italia si erano suicidati non riuscendo a sostenere la loro esistenza disperata e solo pochi giornali avevano comunicato il fatto. Zavattini da bravo osservatore del sociale imposta su queste basi l‟amara storia di Umberto Domenico Ferrari, pensionato dello stato che non riesce a vivere con la sua misera pensione. La critica più importante e pesante, per la sua valenza politica e sociale, è quella di Giulio Andreotti che sottilmente comunica, rivolgendosi soprattutto a De Sica, il suo disappunto nei confronti del film, in quanto sarebbe orientato verso una descrizione eccesivamente negativa dell‟Italia. Riportiamo qui una parte del testo di Adreotti: [...] Il nome di Vittorio De Sica è tra i pochi della cultura italiana contemporanea che hanno internazionalmente grande notorietà e forti, progressive correnti di simpatia. Siamo lietissimi di constatarlo tanto più che – sia pure parzialmente, per ragioni di indiretta ploemica – questa fama è condivisa anche in paesi dai quail non siamo abituati a vedere esaltati uomini di pensiero e di scienza italiani se non appartengano e fin tanto che restino aderenti ad un qualificato partito nazional-internazionalista. Ogni film di De Sica è riguardato da noi con la premessa interiore che il mondo, vedendolo, parlerà oltre che di arte e di tecnica, dell‟Italia di oggi. A questo punto qualcuno ci domanderà: ma non siete soddisfatti che De Sica abbia da tempo smentito di essere comunista e che di recente abbia preventivamente declinato la candidatura ai premi Stalin per la cosiddetta lotta per la pace? Come cattolici e come iscritti ad un partito che ha quello comunista come l‟avversario più forte siamo stati veramente soddisfatti delle dichiarazioni di De Sica, [...] ma il problema di De Sica come uomo è – del tutto secondario nei confronti della sua produzione, così come oggettivamente appare [...] De Sica ha voluto dipingere una piaga sociale e l‟ha fatto con valente maestria, ma nulla ci mostra nel film che dia quel minimo di inesgnamento che giovi nella realtà a rendere domani meno freddo l‟ambiente che circonda le moltitudini di quanti in silenzio, soffrono e muoiono. E se è vero che il male

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si può combattere anche mettendone duramente a nudo gli aspetti più crudi, è pur vero che se nel mondo si sarà indotti – erroneamente – a ritenere che quella di Umberto D. è l‟Italia della metà del secolo ventesimo, De Sica avrà reso un pessimo servizio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita legislazione sociale.51

In sintesi Andreotti, che conosce la rilevanza artistica di De Sica a livello mondiale, vuole mandare un messaggio politico, tramite la critica al film e al regista. Egli vuole difendere la classe politica di cui fa parte e che amministra l‟Italia ed evitare di fare una misera figura all‟estero, dove il film viene molto apprezzato. In contrasto con la critica di Andreotti è quella di Giancarlo Pajetta: Ma non sono proprio gli Andreotti e i loro compari ad impedire con le armi più sottili che i nostri artisti prendano contatto con questo mondo positivo e lo assumano a soggetto della propria arte? Non sono proprio loro che esercitano una insidiosa censura – quella che taglia film già fatti e quella, fatta di minacce preventive, di intimidazioni segrete, di campagne denigratorie - tese a soffocare la ricerca, la conoscenza, il racconto di questa Italia nuova che nasce nelle sofferenze e nella lotta?52

Nell‟ambito della critica cinematografica è doveroso ricordare la denigrazione di Umberto D. da parte del giornalista Vittorio Sala al festival di Punta del Este, contenuta nella rubrica Ciak del 10 Febbraio 1952: [...]«Lo chiamerei il festival delle sorprese. Considerato come il migliore il film giapponese Rasciomon, la giuria dei critici ha assegnato al contrario all‟ultimo momento il suo premio a Umberto D. [...] La più grande delle sorprese è stata l‟assenza di film interessanti. Li abbiamo dovuti cercare con il lanternino per i venti giorni del festival, ma senza frutto. Dimenticavo la più grande delle sorprese: il cane Flike di Umberto D.: il cane Flike è veramente un acquisto per il nostro cinema».53

L‟aver sostenuto che il cane, nel film, fosse il miglior attore e che il Festival

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Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti,1997, pp. 218-219-220. 52 Ivi, p. 223. 53 Ivi, p. 225-226.

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internazionale di Punta del Este non avesse film interesanti, dopo che Umberto D. era stato premiato con dieci voti su undici, infastidisce molto Zavattini e De Sica che invitano la Rai a pubblicare senza omissioni l‟intervista a Sala, a cui viene allegata anche la risposta del presidente della Rai che difende il film e fa notare come Sala avesse snobbato numerosi film tra cui anche Bellissima di Visconti, facendo notare definitivamente la scarsa competenza del giornalista. Non mancano ovviamente le critiche positive. Ricordiamo quella di Vittorio Bonicelli che esemplifica il servizio culturale offerto da De Sica e Zavattini: [...]De Sica e Zavattini hanno sempre avuto la capacità rara di identificare e isolare i problemi dominanti del tempo che viviamo, riducendoli alla semplicità di una parabola. In questo caso, lo sforzo di ridurre la vicenda entro le linee essenziali è più palese che nel passato. Il vecchio pensionato resiste come può e finchè può alle angherie del mondo a lui ostile: la padrona di casa, lo stato, le autorità di un ospedale, gli stessi compagni di sventura. La società è per lui un campo di eliminazione, una camera a gas, con l‟aggravante dell‟ipocrisia; una società civile tormentata da oscuri rimpianti di barbarie. E non accade quasi nulla nel film: lenta azione, scarso intreccio, lievissima concatenazione di fatti. E che diavolo potrebbe mai accadere? C‟è un vecchio che non si risolve a morire, c‟è gente che aspetta che muoia.54

E inoltre quella di Guido Aristarco: Il motivo dominante di Umberto D. – dominante e determinante – è invece la drammatica, inersorabile, completa solitudine del protagonista: la solitudine, si badi bene, non della vecchiaia, ma di una certa vecchiaia senza speranza. Quella di chi ha lavorato trent‟anni, quarant‟anni «fedele allo stato, curvando la schiena per il miraggio di un crepuscolo tranquillo».Umberto D. è uno di questi illusi e la sua vecchiaia è piena di umiliazioni.55

Un‟opera che spacca la critica, ma che nel bene e nel male riesce a far parlare di se alimentando un dibattito, vivo ancora oggi, che riguarda la comunicazione e le varie

54

Paolo Nuzzi, Ottavio Iemma, De Sica & Zavattini parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti,1997, p 217. 55 Ivi, p. 228.

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tipologie di utilizzo degli strumenti mediatici, in primis il cinema. Non a caso il film attira l‟attenzione della politica e dei media a livello internazionale.

Capitolo VI. Conclusioni VI.1 Un'eredità finalizzata alla descrizione e al miglioramento del sociale L‟opera Umberto D. col suo estremo realismo non concede a chi affronta il film, sintesi di un meticoloso lavoro di analisi e osservazione del quotidiano, alcuna scappatoia. Le barriere di una vita ostile, quella di un pensionato che prova a sopravvivere, non concedono divagazioni oniriche o di natura metafisica. La realtà, nuda, cruda, agonizzante, è l‟unico elemento di cui lo spettatore può fare esperienza. L‟aspetto cruciale e rivoluzionario dell‟opera è l‟idea di simulare una dinamica random che, prima con l‟occhio dello sceneggiatore e poi con quello del regista, vada a scovare una storia umana, una singola voce, una vita. Osservando il film o leggendo la sceneggiatura notiamo come il corteo dei pensionati che introduce la storia venga smembrato in gruppi sempre più piccoli, fino alla decisiva scelta di isolare un unico membro del corteo e con lui la sua vita. Un movimento di discesa verso la realtà come sottolinea la macchina da presa all‟inizio del film. Le stesse vie che canalizzano il corteo verso la piazzetta diventano per lo spettatore il simbolo dell‟inesorabilità della vita e il bus che divide per la prima volta i vecchi manifestanti, sottolineandone la debole determinazione, chiarifica come l‟altruismo e la solidarietà vadano in un altro senso di marcia. Una storia, quella di Umberto, che ne riassume esemplarmente centinaia. Un 72


uomo che presta la sua esistenza ad una fredda analisi sociale. Ogni gesto, anche il più elementare, diventa carico di significato ed elevato a grado di gesto drammatico. Con Umberto D. il cinema si sposta dallo schematismo di una trama sicura e delineata all‟analisi dei singoli gesti quotidiani, precedentemente considerati banali e privi di carica narrativa. Mentre prima un‟azione come quella di girovagare in cerca dei soldi per sopravvivere costituiva esclusivamente un singolo episodio di una trama, con il neorealismo e opere come Umberto D., cercare di sopravvivere diventa l‟argomento principale di un film. La sottolineazione dei gesti minimi, spontanei e patetici, come la servetta che ripulisce il muro dalla formiche o le imprecazioni trattenute del protagonista, che non hanno niente di spettacolare, servono a far calare chi osserva il film nel ritmo della realtà, nei suoi tempi morti. La guerra, con i suoi lutti e le sue ingiustizie, scandisce un nuovo orizzonte della narrazione cinematografica. Dall‟elaborazione lenta del conflitto mondiale e dei suoi postumi Zavattini e De Sica trovano l‟energia e il coraggio di chi vuole ricostruire una coscienza nazionale e internazionale basata sopratutto sull‟altruismo. Essi convogliano le loro capacità e la loro sensibilità in un ambito morale, consapevoli, per ammissione degli degli stessi, di far parte e forse essere gli artefici della fase inaugurale di una rivoluzione culturale. L‟Attenzione sociale è il mezzo per far conoscere alle persone la realtà e conoscere la realtà implica una spinta verso il suo miglioramento. La realtà è spesso un pugno nello stomaco. Ignorarne gli aspetti drammatici e veri quando si sente il bisogno morale di denunciarli

costituisce un‟imperdonabile scelta involutiva.

Zavattini e De Sica sono consapevoli di questo e scelgono la via del film di denuncia per spronare gli uomini a migliorarsi socialmente e culturalmente. Una scelta controcorrente che attira numerose critiche soprattutto dagli organi di potere che vedono 73


smascherata la loro incapacità e inutilità. La semplicità e l‟elementarietà sono i capisaldi di un cinema che deve arrivare a tutti e la miseria che in esso è raccontata eprime naturalmente l‟essenzialità drammatica della vita. In conclusione, Zavattini assieme a De Sica ha avuto il merito di aver portato il cinema mondiale verso una riflessione sulle potenzialità comunicative del mezzo cinematografico che oltre a produrre opere spettacolari ha anche la capacità e il dovere morale di smuovere le coscenze verso il miglioramento sociale.

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Bibliografia Ambrosini, M., Cardone, L., Cuccu, L. (2003) Introduzione al linguaggio del film, Roma, Carocci. Argentieri, M. (ed) (1997) Cesare Zavattini. Polemica con il mio tempo, Milano, Bompiani Bertetto, P. (ed) (2002) Introduzione alla storia del cinema, Torino, Utet Libreria Brunetta, G.P. (2001) Cent’anni di cinema italiano, Bari, Editori Laterza. Bruni, D. (2006) Il cinema trascritto. Strumenti per l’analisi del film, Roma, Bulzoni. Fortichiari, V., Argentieri, M. (ed) (2002) Cesare Zavattini. Opere, Milano, Bompiani. Jandelli, C. (2002) La scena pensante. Cesare Zavattini fra teatro e cinema, Roma, Bulzoni. Nuzzi, P., Iemma, O. (1997) De Sica & Zavattini. Parliamo tanto di noi, Roma, Editori Riuniti. Parigi, S. (2006) Fisiologia dell’immagine. Il Pensiero di Cesare Zavattini, Torino, Lindau. Wikipedia (2011- 05- 05) <http://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Zavattini>. Zavattini, C. (2002) Dal soggetto alla sceneggiatura. Come si scrive un capolavoro: Umberto D., Milano, Bompiani.

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Allegati Il soggetto Che cos’è un vecchio? I vecchi puzzano, disse una volta un ragazzo. Io temo che sui vecchi non la pensino diversamente molti che questa frase crudele non hanno mai detto. Esagero? Io voglio raccontarvi la storia di un vecchio e mi auguro alla fine che non direte che l’ho inventata. Si chiama Umberto D., ha sessant’anni e una faccia sorridente perché ama la vita,l’ama tanto che protesta con tutte le forze contro il governo che non vuole aumentare la sua magra pensione. Non meravigliatevi quindi se lo vediamo a un ordinato corteo di vecchi che attraversano la città con dei cartelli sui quali è scritto “Vogliamo soltanto il necessario per vivere”. Ma le guardie hanno avuto l’ordine di proibire ai dimostranti di proseguire e i dimostranti cercano allora di forzare il cordone. Ne nasce un parapiglia. Niente di grave per fortuna. Il nostro Umberto con le sue gambe un pò arruginite fugge per una traversa; quasi pentito, certamente meravigliato, di avere osato tanto. A un angolo della strada incontra altri vecchi che corrono, e con loro si rifugia in un portone. La speranza li sorregge. Hanno lavorato trent’anni, quarant’anni fedeli allo stato, curvando la schiena per il miraggio di una vecchiaia tranquilla. La loro vecchiaia invece è piena

di

umiliazioni. Umberto abita presso una donna che affitta camere. Le affitta a ore, e voi sapete cosa significa: i frequentatori della casa sono amanti, adulteri, uomini anziani con giovanette o giovani con donne anziane. Umberto ha una camera tutta per lui, la prese in affitto anni fa, ma la nuova padrona vorrebbe cacciare via Umberto cui rivolge la parola soltanto per offenderlo. Tanto più che Umberto ha un cane e la odia il padrone. É

signora Antonia odia il cane perché

un cane bastardo, attacatissimo a Umberto.

Umberto gli vuole bene come a un figlio. Alla sera Umberto si siede vicino alla finestra e il cane si accovaccia ai suoi piedi. La finestra dà sopra tetti, ballatoi, terrazze e una

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grande cupola. É la cupola di un cinematografo. Quando la cupola si apre vengono fuori i suoni, le voci della settimana Incom o del film. Dalle camere vicino giungono invece risate, sospiri, pianti e il vecchio osa perfino guardare nel buco della serratura, non perché ami le cose sconce ma per una curiosità più profonda. Vuol vedere in faccia i protagonisti delle vicende d’amore che appaiono e scompaiono in quella casa come meteore. La signora Antonia non è brutta, ma non vede che il proprio tornaconto e gli uomini che le piacciono è sempre innamorata pazza di qualcuno, però si abbandona alle sue passioni con cautela di fronte al mondo, fuorché di fronte al vecchio che cerca, anzi, di scandalizzare, perché se ne vada. C’è anche una domestica di vent’anni, venuta dalla campagna, che si sta corrompendo, sempre alla finestra a parlare coi carabinieri della caserma di fronte che introduce in casa di nascosto. Umberto vive in mezzo a queste donne assillato da un problema: il suo problema è quello del mangiare, e più tempo passa meno si mangia. I giornali, i partiti, gli hanno promesso che le pensioni aumenteranno. Egli ci crede e si ferma

qualche volta

perfino in Piazza Montecitorio a domandare notizie, con l’illusione che durante la seduta parlamentare di quel giorno il tema dell’aumento delle pensioni si affronti e si risolva. Gli pare impossibile che là non si rendano conto che una settimana di ritardo può significare la morte, o, se non vogliamo esagerare, chissà quali nuove pene per un povero vecchio. Infatti Umberto ha qualche arretrato da pagare,e, se non paga, la signora Antonia gli farà trovare, con diritto, la valigia fuori dall’uscio, un giorno o l’altro. E dove andrà? E proprio in questi giorni gli sfuma l’ultima risorsa: il vecchio insegnava per qualche ora alla settimana in una scuola di analfabeti, gente con barba e baffi, ma sono nate, tra questi scolari, discussioni e liti politiche e la scuola si è chiusa. Ora se non vince al lotto,il resto della sua vita sarà ancora più duro. Una mattina Umberto si sente male, ma non lo vuole riconoscere. Quando è obbligato a riconoscerlo, decide di andarsene

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all’ospedale. La padrona gli nega anche un bicchier d’acqua e la serva, che non è malvagia, ha smarrito la testa in quei giorni perché si accorge di essere incinta di quale dei due carabinieri? Non lo sa. Meglio andare all’ospedale pensa il vecchio. Raccomanda il cane alla serva e eccolo il nostro Umberto, in una corsia d’ospedale. Qui tutti si lamentano, dicono che il cibo è scarso, vogliono fare una clamorosa protesta. In quei giardini un po’ desolati, nelle corsie, i malati si aggirano nelle loro camicie, nei larghi pigiama di tela rigata, complottando. Il nostro Umberto pensa che hanno ragione ma si accontenterebbe, lui, del poco che gli danno; perché qui mangia almeno tre volte al giorno. E fingerà di essere malato più di quello che non sia, per restare lì qualche giorno ancora. I malati decino di rifiutare il cibo, si asserragliano nelle corsie impedendo agli infermieri di entrare. Anche Umberto deve dare il suo contributo barricando le porte. Ma vengono chiamati i pompieri che sconfiggono in un baleno i ribelli. Vengono naturalmente mandati via dall’ospedale tutti i malati (non gravi si capisce) che hanno partecipato alla sommossa. Con la sua valiegetta Umberto D. se ne torna a casa. Lungo le scale si imbatte in un ragazzo con un sacco in spalla. Il sacco si mette ad abbaiare. C’è dentro il cane. Lo portano al fiume per ordine della padrona. Il vecchio diventa forte come un leone. Fa scappare il ragazzo, libera il cane. Quando la padrona se li vede davanti tutti e due, dice che entro ventiquattr’ore lui deve saldare tutti gli arretrati o altrimenti verrà un nuovo inquilino. Umberto capisce che questa volta sarà proprio così. Non ha più niente da vendere. A poco a poco ha venduto quello che aveva. E non avrebbe bisogno di una grande cifra, ma di poche migliaia di lire. Potrebbe domandarle in prestito. A chi? La città ha centinaia di migliaia di abitanti ma sembra spopolata quando ci decidiamo a credere un prestito. A mezzogiorno Umberto va al ministero dove ha lavorato tanti anni. Aspetta l’uscita degli impiegati. Qualcuno lo ricorda ancora. A chi domandare il prestito? A questo? A quello? Pedina un tale

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per un lungo pezzo di strada, finalmente si decide a fermarlo, e gli parla di tutt’altro. Mio Dio com’è difficile. Va da un veccio amico, ma lo vede uscire in punta di piedi da un’altra parte: gli ha fatto dire che non è in ufficio, perché ha capito che cosa vuole da lui Umberto. Dalla faccia di Umberto il sorriso comincia a scomparire, per il dolore sopraututto di dichiararsi vinto davanti a una donna come Antonia. Egli farebbe perfino qualche azione cattiva per avere in mano un po’ di danaro e darlo con indifferenza, come lui ne avesse molto, alla grande nemica che non potrebbe più cacciarlo via. Pensa perfino di domandare l’elemosina. Guarda a lungo i mendicanti, fa i conti di quanto possono incassare in un giorno e impara che ci sono posti che fruttano e i posti che fruttano meno. Sceglie un quartiere lontano dal suo e finalmente di decide. Lungo una strada non troppo frequentata Umberto si appoggia al muro come fanno i mendicanti. Stende la mano in un modo che potrebbe parere che non la stenda. Il cane giuoca con un sasso lì vicino. Passano alcune persone e non gli danno niente, poi si avvicina qualcuno che fa sobbalzare Umberto; lo conosce, abita nella sua stessa strada. Umberto lo saluta con esagerata cordialità e lo costringe a prendere un caffè con lui nel bar vicino per dimostrargli che lui non ha bisogno di niente, se per caso avesse sospettato qualcosa. Poi se ne va in trattoria. Ma in trattoria va perché il cane mangia tutti i giorni e in trattoria danno al vecchio da tanto tempo gli avanzi per il suo cane. Lungo la strada che percorre un po’ intontito per i suoi pensieri, è improvvisamente assalito da un uomo che grida:« non voltarti, cammina dritto». L’uomo ha la faccia talmente esaltata che Umberto non si volta. Cammina dritto e si volta quando è lontano, e vede un gruppo di attori che stanno recitando una scena in mezzo alla strada agli ordini di un regista. É stanco. Deve tornare a casa? Uscendo ha detto alla padrona:«Pagherò». E invece non può pagare. Ha duemila lire in tasca e mancano ancora parecchi giorni al 27. Già pensa, bisogna che mi ammazzi. Si ferma e per poco un’auto non lo

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investe.«Debbo buttarmi dal muraglione del Pincio?». Ci va al Pincio, non è il tipo di morte che preferirebbe. Chiude la bocca in una smorfia di paura guardando giù dal muraglione. Una prostituta piuttosto malandata gli sorride. Umberto vorrebbe passare un’ora di gioia prima di lasciare questa terra così bella, vorrebbe divertirsi, spendere tutto ciò che ha. Si siede vicino alla donna. Lei desidera andare in carrozzella. In carrozzella lei fa delle moine e Umberto sente vergogna, gliela fanno nascere dei giovani che ridono a vederlo accarezzato dalla ragazza. Paga, lascia la carrozzella, scende dal Pincio verso la sua casa, seguito dal cane. É la notte. Troviamo Umberto seduto alla finestra della sua camera, il gran silenzio rotto dal rumore degli ossi stritolati dal cane. Si alza, si mette il pigiama, scrive una grande parola offensiva sul muro, mette la sua camera in ordine con molta meticolosità mentre dalla finestra entrano i suoni e le parole della Settimana Incom, poi prepara tante striscioline di carta. Per tappare i buchi. Infatti si ucciderà in cucina, in una cucina stretta, tutto sarà facile e finirà presto. Entra in cucina, apre il rubinetto del gas per prova. La padrona lo ha udito. Arriva ciabattando. Il vecchio ha chiuso il rubinetto del gas in fretta e ora finge di bere un bicchiere d’acqua. La padrona fiuta l’aria, e torna in camera sua dopo aver spento la luce della cucina per dispetto. Il vecchio aspetta un poco, poi con tutte le precauzioni possibili si rimette a tappare le fessure della porta. Ma a un tratto il cane raspa contro la porta. Umberto ha dimenticato il suo amico. Apre la porta e il cane gli salta addosso festosamente. Può lasciare il cane in quella casa dove lo metterebbero nel sacco per buttarlo nel fiume? Tira via le striscioline di carta, cancella la parolaccia sul muro, e tutto è rimandato a domani. Deve pensare al cane, al suo avvenire, prima di lasciare questa terra. Il mattino dopo si alza presto e va al canile a domandare informazioni, ma ne ha di piuttosto brutte. Non c’è niente da fare. Al canile li ammazzano col gas, come vuole fare lui con se

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medesimo. S’incammina verso i giardini pubblici. Là tutti lo conoscono, il cane è famoso, una di quelle famiglie ricche forse lo prenderà. Infatti una bambina lo vorrebbe, ma la madre no, nasce una scenata con un gran pianto della bambina. Il cane sguazza nella vasca tra le navicelle di carta. Il vecchio pensa allora di allontanarsi senza essere visto dal cane, e finire così. Ma non ha il coraggio di allontanarsi, si nasconde dietro gli alberi e guarda. Dopo un poco, il cane rizza le orecchie e cerca il padrone, lo cerca di qua e di là. Il vecchio non resiste, e si fa vedere. Il cane abbaia di gioia. E se morissero assieme, lui e il cane? Lì vicino c’è un passaggio a livello. Il vecchio ci va, prende in braccio il cane, e aspetta chiaccherando col casellante. Un osservatore meno distratto del casellante si accorgerebbe che la faccia del vecchio è molto pallida e che il vecchio non fa dei ragionamenti troppo filati. Gente che va e viene e attraversa la strada ferrata, a piedi, in automobile, in bicicletta, si chiudono lentamente le sbarre e si ode lontanto il fragore del treno. Ma il cane non c’è, il vecchio lo ha messo a terra un momento prima, il cane ha fatto pipì, ha inseguito una cagna. Il vecchio lo cerca, potremmo dire affanosamente. Eccolo là. Fischia per chiamarlo a sé, e il cane corre. Se lo prende di nuovo in braccio e si avvicina alla strada ferrata. Il casellante ha in mano la bandierina e continua il discorso interrotto col vecchio. Il quale è diventato di cera, ha gli occhi dilatati. Il treno appare in fondo. Il vecchio trema, stringe fortemente a sé il cane, tanto forte che il cane gli scappa ancora più lontano e poi si ferma e si volta verso il padrone. Forse la bestia ha capito? Alle spalle del vecchio passa il treno sollevando carta e polvere. Il cane è scomparso

tra gli alberi. Ora è il cane

che si nasconde. Il vecchio lo cerca a destra e a sinistra fischiettando il richiamo. Finalmente lo ritrova, il cane si lascia finalmente avvicinare dal padrone. Il padrone sembra che abbia vergogna di fronte alla bestia. Ne stava per fare una grossa, si sente colpevole come se avesse attentato alla vita di una creatura umana. Il vecchio prende una pigna tra l’erba e la

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butta lontano, il cane si precipita a raccoglierla e la riporta al padrone. Dei ragazzi che stanno prendendo a calci un barattolo si fermano per vedere quel vecchio che corre fortissimo tra gli alberi giuocando con il cane.

Alcuni passi dalla sceneggiatura UNA STRADA CENTRALE DI ROMA – ESTERNO GIORNO Un corteo ordinato e pacifico percorre una strada centrale. Il corteo è composto sopratutto di vecchi e vecchissimi. Ce ne sono dei curvi, degli zoppicanti, di quelli che faticano a seguire il corteo e fanno delle brevi corsettine per stare a fianco degli altri. Quelli di testa hanno dei grandi cartelli sui quali è scritto: Abbiamo lavorato tutta la vita. Anche i vecchi devono mangiare. Giustizia per i pensionati. Siamo i paria della nazione. Aumentate le pensioni. La gente ai alti della strada guarda indifferente questo corteo. Qualcuno sorride. Qualche guardia segue e sorveglia con discrezione i dimostranti. Un Autobus sopraggiunge da Piazza Venezia con un grande strombettio obbliga il corteo a un rapido scioglimento. Strombettio dell’autobus. L’autobus prosegue portandosi dietro una scia di proteste del corteo che si ricompone in fretta. Imprecazioni, grida dei dimostranti

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Il corteo svolta per una via laterale. VIA LATERALE – ESTERNO GIORNO Il corteo sta dirigendosi verso una piazzetta. Là in fondo appare un nugolo di guardie su camionette che sbarrano la strada. Il corteo prosegue in silenzio. Abbaimento del bambino. Un bambino dal marciapiede abbaia verso un cane che un vecchio sui sessant’anni – Umberto D. – (un vecchietto molto simpatico, sempre un po’ imbarazzato, vestito modestamente ma con dignità) tiene al guinzaglio. Il cane risponde abbaiando e cercando di svincolarsi dal guinzaglio per correre contro il bambino. Abbaiamento del cane. Il bambino sul marciapiede gli cammina a fianco continuando ad aizzarlo con abbaimenti. Il vecchio a disagio per l’abbaimento del cane, guarda i suoi vicini di corteo con l’aria di chi vuole domandare scusa: poiché il cane continua ad abbaiare, Umberto D. minaccia di inseguire il bambino, batte i piedi. Il bambino scappa via mentre... ...tutti i dimostranti cominciano a scandire in coro le loro proteste.

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Coro proteste: Au-men-to! Au-men-to! Au-men-to! Au-men-to! Pensio-ni! Pen-sio-ni! Il vecchio si associa anche lui al coro dei dimostranti dopo un attimo di esitazione come a prendere coraggio, mostrando cosÏ la sua timidezza. PIAZZETTA – ESTERNO GIORNO Il corteo sbocca nella piazzetta. Un commissario con alcune guardie va incontro al corteo facendo segni che si fermi. Il corteo si ferma. Il commissario: Dovete sciogliervi non avete il permesso. Alle spalle del commissario stanno arrivando a passo d’uomo alcune jeep. I dimostranti circondano il commissario gridando le loro proteste. Voci dimostranti: Vogliamo essere ascoltati. Siamo cittadini che pagano le tasse. Moriamo di fame. Siamo stanchi di aspettare... I primi investono le guardie mentre dal fondo si odono le voci di quelli che spingono. Voci: Avanti! Avanti! Avanti! Il commissario e le guardie sono travolti dai dimostranti. Allora le jeep suonano le sirene, e con lo scappamento aperto cominciano a fare evoluzioni a destra e a sinistra. I vecchi si spaventano e fuggono in tutte le direzioni.

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Sirene delle jeep – fragori degli scappamenti – sibili dei fischietti della polizia – urla grida. I vecchi sono inseguiti dalle guardie e dalle jeep. Qualche vecchio attraversa la piazzetta con una velocità soprendente. Altri vecchi schizzano via davanti alle jeep come ranocchi. Parecchi si rifugiano nei portoni o nei negozi. Umberto D., col cane al guinzaglio che abbaia, corre più forte degli altri. Entra anche lui in un portone precedendo altri due vecchi. INTERNO PORTONE – ESTERNO, GIORNO I tre vecchi ansimano, sono molto spaventati. Si guardano in faccia senza parlare. Il cane di Umberto abbaiando si mostra sul portone. Il vecchio basso fa segno ad UmbertoD. Affinché tiri dentro il cane e lo faccia tacere. I due vecchi: Sssss...sss... Il vecchio alto: Lo faccia tacere, perdio... Umberto: Zitto Flike, basta... Umberto lo tira dentro con uno strattone ma il cane continua a abbaiare. I due vecchi temono che l’abbaimento del cane richiami su di loro l’attenzione della polizia: perciò si sforzano di fare tacere il cane con degli zittii come fosse una persona.

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Umberto riesce a far tacere il cane con una sculacciata, mentre il vecchio alto si fa cautamente sul portone borbottando. Il vecchio alto (ansimando): Mascalzoni! Canaglie! Il vecchio basso (ansimando anche lui e facendogli segno di parlare piano): non si faccia sentire, la portano dentro. Il vecchio alto: Non dico alle guardie, ma agli organizzatori del corteo. Ci voleva il permesso. Il vecchio alto fa delle lunghe pause fra una parola e l’altra perché gli viene meno il respiro. Umberto D.: Non l’hanno voluto dare Il vecchio alto: Allora...si stava a casa... Il vecchio basso agita ripetutamente la testa in segno di assenso. Il vecchio basso: giusto, giusto. Umberto D.: A me basterebbe l’aumento del venti per cento per mettere a posto i miei debiti. Il vecchio alto: Io debiti non ne ho. Passa di corsa qualche vecchio davanti al portone voltandosi indietro spaventato. Si continuano a udire i rumori delle jeep e delle sirene. Il vecchio basso: per la verità neanch’io... Il vecchio alto spia per la seconda volta fuori dal portone. Visto il momento buono, esce in fretta dal portone senza

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salutare. Appena fuori dal portone assume l’aria di un cittadino tranquillo e si allontana. Il vecchio basso guarda anche lui con cautela fuori del portone, poi fa segno ad Umberto per dirgli: possiamo andare anche noi. Si avvia quindi con ostentata indifferenza, seguito da Umberto. STRADA NEI PRESSI DEL VIMINALE – ESTERNO, GIORNO I due vecchi camminano con una certa fretta voltandosi indietro di quando in quando con un po’ di apprensione. La piazza è ormai quasi deserta. C’è solo una camionetta che ronza qua e là. Umberto (come parlando con se stesso): Io ho bisogno della’aumento...Domando il permesso alla questura e faccio un corteo da solo. Il vecchio basso scoppia in una risatina e si presenta a Umberto continuando a camminare. Il vecchio basso (mormora il nome che non si capisce). Umberto: Umberto Domenico Ferrari... ...Chi ci vive con 18.000 lire? Dieci me le piglia la padrona...mi ha aumentato anche l’affitto quella...puttana...Ma...scusi... Umberto alza le spalle come per dire che rinuncia a pronunciare quell’offesa e continua a camminare in silenzio lungo la strada affollata a fianco del vecchio basso. Umberto dà un occhiata al cane, poi incoraggiato dalla cordialità del compagno prende

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fuori un grosso orologio. Il vecchio basso (incoraggiante): Dica pure...dica pure...siamo tra uomini... Umberto guarda l’ora, ma tarda a rimetterlo in tasca come chi ha qualche altra cosa da dire e da fare con quell’orologio. Infatti dopo un po’ di esitazione gli offre l’orologio. Umberto: Non avrebbe bisogno di un orologio lei? Il vecchio basso, che ha ancora il sorriso sulle labbra, cambia espressione. Non ha l’orologio e gli dispiace di doverlo far sapere. Il vecchio basso: Eh no. Ce l’ho, ce l’ho l’orologio. Non ce l’ho qui, ma ce l’ho. Un bell’orologio. Umberto: Io ne ho due. E allora uno lo vendo. Senta (mettendo l’orologio all’orecchio del vicino), sembra un martello. Il vecchio basso, mentre Umberto gli tiene l’orologio sull’orecchio, fa una faccia esageratamente ammirata. Umberto glielo mette davanti agli occhi così vicino che il vecchio basso per vederlo deve arretrare la testa, Umberto: No...no...non è svizzero...Uno dei pochi orologi che non siano svizzeri (con elogio). Il suo che marca è? Il vecchio basso: Eh...buona...Con la cassa d’oro... Sì, sì...io sono arrivato..Io sto qui...Arrivederci... Il vecchio basso stringe la mano a Umberto ed entra in un portone voltandosi a salutare col cappello ancora una volta

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prima di sparire. Umberto, un po’ stupito per il brusco congedo, risponde al saluto poi prosegue. Ha fatto appena pochi passi che... ...Il vecchio basso esce dal portone assicurandosi che Umberto non lo veda e si incammina rapido per un’altra parte. Umberto si china a liberare la gambetta del cane dal laccio; nel piegarsi si accorge del... ...vecchio basso che sta allontanandosi. Allora resta per un attimo a guardarlo. Ma l’improvviso suono di una sirena lo scuote. Si drizza e si avvia mentre dei muratori davanti a una casa in costruzione smettono istantaneamente di lavorare e altri scendono dall’impalcatura. SALONE MENSA ECONOMICA – INTERNO, GIORNO. Siamo nel vasto salone di una mensa economica con una quarantina di tavoli occupati da gente di condizioni modeste: i clienti sono serviti da cameriere giovani e anziane. Vocio, acciotolio, ordini della cameriere. Una donna sui quaranta mangia con compunzione, raccogliendo le briciole sul tavolo col dito, sembra un passerotto che becca. Un vecchio dal colletto molto alto confronta con lo sguardo la sua porzione con quella del vicino, mentre la cameriera gliela mette davanti. Alcuni clienti stanno comprando il tagliando per il pasto alla cassa: la cassiera è giovane, energica.

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Uno di questi, un uomo alto di tipo impiegaztizio, va a sedersi a un tavolo non lontano. Improvvisamente la faccia dell’uomo alto si riempie di stupore guardando di fronte a sé perché vede Umberto seduto allo stesso tavolo che gli fa segno – atteggiando il volto a preghiera -

di

spostarsi più a destra. L’uomo alto si sposta ubbidendo meccanicamente. Umberto allora fa per chinarsi col piatto, per darlo di nascosto...al cane che è acquattato ai suoi piedi. Ma il sopraggiungere di una cameriera gli fa rimettere precipitosamente il piatto sul tavolo. La cameriera porta su un vassoio molti quartini di vino chiedendo chi vuole vino. Cameriera: Lei? Lei? Umberto tira fuori dal taschino un po’ di carta moneta e la conta con un’occhiata come chi non vuol farsi vedere in questo gesto da povero. Poi guarda la cameriera, è incerto se prendere o no il vino. Umberto: No...sì sì sì...no no Cameriera: Sì o no? Umberto: No. La cameriera se ne va e Umberto con un gesto fulmineo...mette il piatto davanti al cane. [...]

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Umberto (voce F.C.): In negozio costa ventimila lire... Umberto sta tenendo il suo grosso orologio sull’orecchio del suo vicino di destra. Il vicino di destra ne ascolta i battiti con ammirazione, guardando gli astanti per convincerli, sbarrando gli occhi, della straordinaria qualità dell’orologio. Un altro commensale mal vestito, allunga la mano e prende l’orologio. Lo guarda e lo riguarda con l’espressione di chi vuole svalutare l’oggetto. Umberto: Lo dò a poco perchè ne ho due: cinquemila lire... L’uomo vesito male restituisce l’orologio con l’aria di chi vuol dire: no, no, lei è pazzo. Umberto dà uno sguardo ali altri commensali per chiedere alleanza e anche per vedere se qualcuno è disposto a entrare in trattative. Quello di fronte gli mostra il polso con l’orologio. Un altro vestito pulito ma poveramente scuote la testa e con accento spiccatamente toscano: Il commensalo toscano: Chi ha l’orologio è servo...Deve dire l’ora a tutti, anche quando c’è un freddo birbone. Ah no, caro signore (ride). I commensali: (Risate). Umberto resta un po’ male. Ma improvvisamente si mette a fare dei vocalizzi toccandosi col pollice e con l’indice la gola.

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Umberto (vocalizzi): Ah, ah... Tutti lo guardano meravigliati. Umberto si giustifica accennando alla gola. Umberto: Ho qualche cosa in gola come della sabbia. Un po’ gonfio anche Lei si intende di febbre? Umberto porge il polso al vicino di sinistra. Il vicino di sinistra prende in mano il polso di Umberto. Umberto aspetta il responso con una certa ansia. Il vicino di sinistra scuote la testa. Il vicino di sinistra: Non me ne intendo... [...] Umberto giunge sulla porta seguito intenzionalmente dall’uomo mal vestito. Sta per uscire quando la cassiera gli appare improvvisamente al fianco – proprio mentre Umberto fa dei nuovi vocalizzi e si tocca ancora più preoccupato la gola – e gli picchia una mano sulla spalla. Umberto (vocalizzi): ahahah... La cassiera: Ho visto. Domani sbatto fuori lei e il cane. Umberto per l’inaspettato assalto non sa che cosa risponderle.

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Ma l’uomo mal vestito viene in suo soccorso con un’esclamazione e un gesto che vuole significare: non esageri, non esagari [...]

VIA NAZIONALE – ESTERNO, GIORNO

Umberto e l’uomo mal vestito, usciti dalla mensa, camminano lentamente lungo via Nazionale affollata, dalla parte dell’ombra. Il cane, senza museruola, li segue fiutando il terreno. Umberto ha un brivido freddo. Umberto: Passo di là perché c’è il sole...ah...ah...(vocalizzo). I due si muovono per attraversare la strada. L’uomo mal vestito (con intenzione): Che ore sono? Umberto (estraendo l’orologio): Le due. Uomo mal vestito (alludendo all’orologio): Non è brutto, ma è troppo grosso. Fa un malloppo nel gilet... Umberto: Basta tenere chiusa la giacca, un bottone io ce lo tengo sempre. [...] Uomo mal vestito: Led dò tutto quello che ho...sono tremila...tremila e rotti... Umberto (guardando sorpreso la borsa e l’uomo): No, no, ho detto quattro...

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L’uomo mal vestito spalanca la borsa davanti agli occhi di Umberto. Uomo mal vestito:...Sono tutti qui... Umberto guarda imbarazzato tutta quella carta moneta. L’uomo mal vestito: le lascio la borsa...Me la porta alla mensa. L’uomo mal vestito si stacca la borsa e la consegna a Umberto, mentre Umberto gli consegna l’orologio. Umberto è un pò incerto, ma la decisione dell’altro lo domina. Uomo mal vestito: Arrivederci, allora... Umberto: Arrivederci. Umberto sta per avviarsi mentre l’uomo si appoggia al muro, si leva il cappello e assume la classica posizione del mendicante con il cappello teso ai passanti. Umberto resta un attimo col fiato mozzo dalla sopresa poi prosegue, cominciando a contare il denaro nella borsa. CORRIDOIO CASA UMBERTO – INTERNO, GIORNO La porta d’ingresso si apre e appare Umberto. Umberto entra nel lungo corridoio un po’ buio che riceve luce da un alto lucernario. Si ode subito il canto di un tenore con l’accompagnamento di piano (il canto di un bravo dilettante) Canto: Verrano a te sull’aure... Dopo pochi secondi si ode anche il canto di una donna. Si tratta di un duetto della Lucia di Lammermour.

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Umberto chiude la porta alle spalle con molta discrezione. Umberto apre l’uscio della sua camera a pochi passi da quello di ingresso, ma un grido improvviso lo fa spaventare. Un uomo e una donna, sdraiati su un letto, saltano in piedi. Sono seminudi. Umberto chiude con forza l’uscio balzando indietro nel corridoio. Subito un uscio di fronte si apre – quello della cucina – e appare una ragazza di circa 18 anni, non brutta, dal volto contadinesco un po’ trasognato con un pollo mezzo spennato in mano. In fondo al corridoio si spalanca un altro uscio e appare una donna sui quarant’anni, la padrona di casa di Umberto, e, dietro a lei, le testi di due uomini che guardano incuriositi. La padrona chiude forte l’uscio alle sue spalle e viene avanti... ...verso Umberto con un aria minacciosa. Non è brutta, ma è senza dubbio cattiva. Umberto (gridando): Ma chi c’è nella mia camera? Chi c’è nella mia camera? La padrona spinge Umberto dentro l’uscio davanti al quale è apparsa la ragazza diciottenne. La padrona: Non gridi. La camera non è sua, la camera è mia. CUCINA CASA UMBERTO – INTERNO, GIORNO La camera dentro cui è stato spinto Umberto è la cucina. La ragazza continua meccanicamente a spennare il pollo, si vede che ha soggezione della padrona.

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La padrona chiude alle sue spalle anche l’uscio della cucina e parla con voce decisa ma bassa, perchè non vorrebbe far sentire l’alterco ai suoi clienti. La padrona: Sono amici, amici cari...riposano un minuto...E poi è inutile che protesti. Alla fine del mese lei se ne va. Umberto: Se ne va! Se ne va! Sarebbe comodo...si manda via, uno, così, dopo vent’anni...sarebbe comodo. La padrona: Vedrà!...Vedrà!..Ah ah! E intanto paghi gli arretrati. Umberto (gridando): Pago...pago...ho i soldi...pago... La padrona: Non gridi!... La padrona, per interrompere le grida di Umberto, se ne va sbattendo l’uscio dietro di sé. Umberto (alla ragazza): Caccia via! Dove vado? Ti pigliano tutti per il collo! Ventimila lire un buco così...e ci sono i topi. La ragazza ascolta all’uscio per sentire se la padrona è veramente andata, poi prende un recipiente pieno d’acqua e lo da al cane. La serva con aria di grande meraviglia: La serva:...Lei si fa pagare 1000 lire all’ora, ha capito?...1000 lire tutte le volte. Umberto: Sì...sì...la conosco...ma con Ferrari...deve stare attenta...fammi pagare gli arretrati e ho la legge con me! [...] La serva: Signor Umberto, si vede niente?

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Umberto senza dare peso. Umberto: Niente! La serva contina a guardarsi la pancia. La serva: Eh...un po’ sì! Lo sa che sono incinta? Umberto da un volto costernato. Spalanca gli occhi, guarda a lungo in silenzio la ragazza. Umberto: E lo dici così? La serva (come uno scolaro rimproverato che risponde al maestro): E come lo devo dire? Umberto: Lo sa...quella lì? La serva: Per carità! La serva come avesse già dimenticato il suo dramma, accende un foglio di carta al gas sul quale sta bollendo una pentola e con la carta accesa assalta una seconda fila... La Serva: Chissà da dove vengono...guardi quante... ...delle formiche in un angolo della cucina. Umberto invece è rimasto talmene colpito dalla notizia che continua a guardare la serva come chi non vuole credere alla realtà. Improvvisamente si ode la voce secca della padrona nel corridoio.

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La padrona: Può entrare. Umberto e la serva hanno un sobbalzo. Umberto: Sei proprio sicura...che sei...così? La serva: Tre mesi, signor Umberto. Umberto apre l’uscio e dà una ultima occhiata alla serva, tenendo il braccio destro stretto al corpo perchè il termometro non gli cada mentre...la serva continua a cacciare le formiche e la cucina si riempie di fumo e di carta bruciata che vola.

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