` degli studi di Sassari Universita ` DI AGRARIA FACOLTA Dipartimento di Scienze Agronomiche e Genetica Vegetale Agraria Corso di Laurea Magistrale in Sistemi Agrari
Caratterizzazione di germoplasma locale sardo di pomodoro (Solanum lycopersicum L.) attraverso analisi fenotipiche e molecolari
Relatore: Prof.ssa Giovanna Attene
Tesi di laurea di: Alessandro Scintu
Correlatore: Dott.ssa Monica Rodriguez
Anno Accademico 2010/2011
Indice 1 Introduzione 1.1 La biodiversit`a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.1 Origine e domesticazione delle specie coltivate . . . . . 1.1.2 Dalla domesticazione all’erosione genetica . . . . . . . 1.1.3 La biodiversit`a: dal concetto alla crisi . . . . . . . . . 1.2 Il pomodoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.1 Cenni storici, origine e domesticazione . . . . . . . . . 1.2.2 Caratteristiche botaniche . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.3 Miglioramento genetico moderno . . . . . . . . . . . . 1.3 Genetica e genomica in pomodoro . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Analisi genetica attraverso marcatori morfo-fenologici 1.3.2 Analisi del genoma attraverso marcatori molecolari . . 1.4 Biodiversit`a in pomodoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.1 Risorse genetiche di pomodoro nel panorama italiano . 1.4.2 Risorse genetiche di pomodoro in Sardegna . . . . . .
9 9 9 11 12 17 17 20 23 25 25 26 30 32 33
2 Scopo della ricerca
37
3 Materiali e metodi 3.1 Materiale vegetale . . . . 3.2 Analisi morfo-fenologiche 3.3 Analisi molecolari . . . . . 3.4 Analisi statistica dei dati
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
39 39 42 45 48
4 Risultati 51 4.1 Analisi morfo-fenologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 4.2 Analisi molecolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 4.3 Analisi di associazione tra caratteri morfologici e molecolari . 58 5 Discussione
63
6 Conclusioni
67
Bibliografia
69 5
6
A Materiali supplementari
INDICE
81
Riassunto Uno degli aspetti che accomuna le maggiori specie coltivate `e la ridotta diversit`a genetica rispetto a quella presente nelle specie selvatiche a loro affini a causa sia del processo di domesticazione e della successiva diffusione in nuovi ambienti, coinvolgendo quasi sempre piccoli campioni di seme o di piante, che dell’attivit`a di selezione imposta dal miglioramento genetico. I programmi di miglioramento genetico hanno a lungo trascurato la conservazione della diversit`a, portando spesso alla simultanea scomparsa di una moltitudine di tipi locali. Tuttavia affinch`e il miglioramento genetico possa avere buon esito `e necessario preservare le risorse genetiche agrarie da un inesorabile processo di erosione che `e in atto ormai da lungo tempo. A tal proposito, l’attivit` a di esplorazione, collezione e conservazione delle risorse genetiche con strategie in situ ed ex situ `e attualmente indispensabile al fine di salvaguardare la biodiversit`a vegetale. Tra le diverse categorie di risorse genetiche, le variet`a locali delle specie coltivate (landraces), rappresentano il materiale pi` u ricco di variabilit`a genetica e continuano ad evolversi geneticamente in risposta alle pressioni selettive degli agricoltori e dell’ambiente, caratteristiche che giustificano l’aumento dell’interesse scientifico per la loro conservazione e valorizzazione. La ricerca presentata in questa tesi di laurea `e stata condotta sul pomodoro, una delle specie ortive pi` u importanti in Sardegna la cui diffusione viene fatta risalire agli anni 1760-65 e che fino a qualche decennio fa vantava un ampio panorama di tipi locali. Lo scopo primario della ricerca `e stato quello di caratterizzare le accessioni collezionate in Sardegna e confrontarle sia con landrace di diversa provenienza che con variet`a commerciali e con specie selvatiche di pomodoro. A tal fine sono stati utilizzati descrittori mor7
RIASSUNTO
8
fologici di interesse agronomico e marcatori molecolari microsatelliti (Single Sequence Repeats, SSR). Questi possono essere sia associati a loci che controllano caratteri quantitativi (Quantitative Trait Loci, QTL) di particolare interesse (Q-SSR), quali la forma e la dimensione del frutto, che presunti neutrali, i.e. di cui non si conoscono associazioni a caratteri morfologici (NQ-SSR). I risultati del presente studio, hanno permesso di tracciare una prima carta d’identit` a delle variet`a locali collezionate in Sardegna e ne hanno evidenziato un buon livello di diversit`a, sia a livello fenotipico che molecolare. Particolarmente interessante si `e rivelata la determinazione nella collezione di alcuni morfotipi prevalenti a seguito dell’analisi congiunta di pi` u caratteri. Infine, sono state definite in modo efficace interessanti associazioni tra marcatori molecolari e alcuni dei caratteri fenotipici considerati, in particolare quelli legati alla caratteristiche del frutto. Il numero di associazioni rilevate `e risultato superiore per i marcatori Q-SSR.
Capitolo 1
Introduzione 1.1 1.1.1
La biodiversit` a Origine e domesticazione delle specie coltivate
La maggior parte delle conoscenze acquisite sulla nascita dell’agricoltura provengono da studi riguardanti l’origine delle maggiori specie coltivate. Secondo Alphonse De Candolle (1806-1893), il botanico svizzero che per primo condusse questo tipo di studi, a tal scopo `e innanzitutto necessario conoscere la distribuzione geografica delle specie selvatiche ancestrali (wild relatives). Questa fornisce un’idea di carattere generale circa il luogo dove la specie coltivata pu`o essersi verosimilmente originata. Successivamente le ricerche archeologiche possono mettere in evidenza caratteri peculiari inerenti alla transizione delle popolazioni dal periodo nomade di raccolta occasionale a quello stanziale basato sulla loro coltivazione. Negli anni compresi tra il 1916 e il 1930 il genetista russo Nicolai Vavilov sostenne che nella Terra esiste un numero limitato di aree geografiche dove le specie coltivate si sono originate e diversificate. Vavilov, studiando la distribuzione geografica delle pi` u importanti specie coltivate e delle specie selvatiche affini, trov` o che nell’area di distribuzione di una specie si possono rinvenire territori caratterizzati dal massimo addensamento delle forme pi` u diverse, mentre al di fuori di questa la variabilit`a si restringe moltissimo: questi territori vengono chiamati centri di origine (Fig. 1.1). Successivamente venne dimostrato che ad una grande variabilit`a di forme di una specie in un dato territorio non sempre corrisponde il suo centro di 9
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
10
Figura 1.1: I centri di origine delle principali specie coltivate individuati da Vavilov. origine (Gepts, 2003). Cos`Ĺ venne fatta distinzione tra centri di origine primari e centri di origine secondari: allontanandosi dal territorio in cui ha avuto realmente origine (centro primario), una specie pu`o avere trovato un territorio con nuove caratteristiche ecologiche in cui originare un’ulteriore variabilit`a di forme (centro secondario). A seguito del processo di domesticazione, per alcune piante coltivate l’areale di distribuzione `e rimasto limitato al loro centro di domesticazione originario. Per altre si `e esteso oltre i confini dei rispettivi centri di domesticazione, fino a stabilirsi, in alcuni casi, totalmente al di fuori di questi. Attualmente le principali specie coltivate mostrano una distribuzione molto vasta e la maggioranza di queste si riscontra lontano dai centri di domesticazione, come ad esempio il frumento, il riso, il mais e il fagiolo (Gepts, 2003). Come risultato sia del processo di domesticazione che di quello evolutivo, oggi le principali specie di interesse agrario sono diverse dalle rispettive specie ancestrali per diverse caratteristiche morfologiche e fisiologiche (Frary e Doganlar, 2003). Nel loro complesso, la modificazione di questi caratteri costituisce quella che `e comunemente chiamata sindrome di domesticazione (Harlan, 1992). Il cambiamento del carattere tipico delle forma sel-
` 1.1. LA BIODIVERSITA
11
vatica a quello caratteristico della forma domesticata, come ad esempio la perdita dei meccanismi di dispersione e di dormienza dei semi, `e il risultato della pressione selettiva conseguente alla coltivazione da parte dell’uomo. La domesticazione ha quindi determinato cambiamenti genetici nelle specie di interesse agrario, conferendo alle popolazioni il massimo adattamento alle condizioni specifiche degli ambienti di coltivazione e soddisfacendo al contempo le esigenze degli agricoltori (Doebley et al., 2006). Inoltre, le ricerche condotte in mais, riso, fagiolo e pomodoro hanno mostrato che il controllo genetico dei caratteri coinvolti nella domesticazione `e di solito semplice e coinvolge pochi geni (Frary e Doganlar, 2003), nonostante le notevoli differenze fenotipiche che questi comportano tra specie coltivate e specie selvatiche affini. Inoltre nei genomi delle specie domesticate i loci di questi geni sono concentrati in poche regioni cromosomiche (Frary e Doganlar, 2003). Al giorno d’oggi, la possibilit`a di sequenziare interi genomi pu`o fornire ulteriori e preziose informazioni per la comprensione dei processi evolutivi, oltre che per il miglioramento genetico delle specie coltivate. La disponibilit`a di genomi sequenziati consente, infatti, di indagare come specifiche landrace e variet`a oppure i loro ancestrali selvatici sono in grado di tollerare insetti ed altri patogeni, di sopravvivere in condizioni ambientali avverse e di mostrare peculiari caratteristiche nutrizionali (Barabaschi et al., 2011). Attraverso il confronto di sequenze di DNA di progenitori selvatici e dei discendenti coltivati `e inoltre possibile valutare a livello molecolare i processi di domesticazione delle pi` u importanti piante coltivate.
1.1.2
Dalla domesticazione all’erosione genetica
Uno degli aspetti che oggi accomuna le maggiori specie coltivate `e la ridotta diversit`a genetica rispetto a quella presente nelle specie selvatiche a loro affini (Frary e Doganlar, 2003; Doebly et al., 2006). Con l’avvio delle pratiche colturali l’uomo ha infatti cominciato a selezionare le piante con i caratteri desiderati, riducendo cos`ı la diversit`a genetica delle specie gi`a durante le fasi iniziali della loro domesticazione, alcune migliaia di anni fa. In seguito,
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
12
le specie di maggiore interesse agrario sono state portate in ambienti anche molto lontani e diversi dai loro centri di origine e domesticazione. La dispersione di queste specie ha quasi sempre coinvolto piccoli campioni di seme o di piante, riducendo cos`ı ulteriormente la loro variabilit`a genetica nel nuovo ambiente in cui venivano introdotte (Gepts, 2003). Il processo che porta all’affermazione di poche variet`a superiori ed alla scomparsa dalla coltivazione dei tipi locali, prende il nome di erosione genetica. Tale processo comporta la perdita di genotipi e geni che potrebbero rivelarsi utili per il miglioramento genetico qualora cambiassero le esigenze biologiche delle specie e/o le condizioni socio-economiche (Doebly et al., 2006).
1.1.3
La biodiversit` a: dal concetto alla crisi
La strada per Rio: la storia concettuale della biodiversit` a Il concetto di biodiversit` a ha acquisito importanza e centralit`a con il summit mondiale del 1992 a Rio de Janeiro, durante il quale venne adottata la Convenzione sulla Diversit`a Biologica (Convention on Biological Diversity, CBD ) che riconobbe l’importanza globale a tutti i livelli della biodiversit`a quale risorsa comune dell’umanit` a. L’articolo 2 della convenzione definisce infatti la biodiversit`a come “la variabilit` a fra tutti gli organismi viventi, inclusi ovviamente quelli del sottosuolo, dell’aria, gli ecosistemi acquatici, terrestri e marini ed i complessi ecologici dei quali loro sono parte; questa include la diversit` a all’interno di specie, tra specie ed ecosistemi”. Agli Stati aderenti viene riconosciuto il diritto di sfruttare le proprie risorse applicando una pertinente politica ambientale ed essi vengono ritenuti responsabili della conservazione della diversit`a biologica nel loro territorio e dell’utilizzazione durevole delle risorse biologiche. La CBD viene recepita in Italia con la legge 124 del 14 febbraio 1994. Il 27 aprile 2004 `e stato istituito, con Decreto del Ministro per le Politiche Comunitarie, un Comitato di Coordinamento Nazionale per la Biodiversit`a che si propone di ridurre il tasso di perdita di biodiversit`a coinvolgendo istituzioni, mondo scientifico, organizzazioni non governative, settore privato e cittadini.
` 1.1. LA BIODIVERSITA
13
Il termine biodiversit`a `e di per s´e molto ampio e non pu`o essere circoscritto ad un solo livello di relazione. Per questo si distinguono tre differenti tipi di biodiversit`a: degli ecosistemi e dei geni, passando per la diversit`a a livello di specie. La biodiversit`a a livello degli ecosistemi `e il risultato delle interazioni tra gli organismi viventi (animali e vegetali) e tra questi e l’ambiente fisico, chimico e geo-morfologico in cui vivono, determinando l’esistenza di un’ampia variet`a di ecosistemi; la biodiversit`a a livello di specie `e quella pi` u generalmente associata al termine biodiversit`a poich´e si riferisce direttamente all’eterogeneit`a di forme viventi che popolano la Terra; infine, la biodiversit`a a livello genetico si manifesta attraverso differenze nella molecola del DNA. Su tali differenze agisce la selezione, determinando l’adattamento ai diversi ambienti. La crisi della biodiversit` a La diversit`a biologica del pianeta sta rapidamente diminuendo come conseguenza diretta o indiretta delle attivit`a umane. Secondo alcune stime (Singh, 2002), l’attuale tasso di estinzione `e 1000-10000 volte maggiore rispetto al tasso di riferimento che `e stato stabilito sui fossili. La dimensione del problema `e tale da essere definita come “sesta estinzione”, poich´e confrontabile con quella di altre estinzioni di massa documentate negli strati geologici (Pimm e Brooks, 1997). L’estinzione costituisce una fase naturale del processo evolutivo. Quando le estinzioni sono bilanciate dall’origine di nuove specie (speciazione), la biodiversit`a pu`o essere mantenuta. La perdita di specie attualmente sta seguendo un tasso molto elevato e ci si attende il 50% delle specie attuali sar`a estinto entro la fine del XXI secolo (Singh, 2002). Le cause scatenanti tali perdite sono molte. Tra queste rientrano l’accelerazione della crescita demografica, la distruzione e perdita degli habitat, l’introduzione di specie esotiche e l’inquinamento (industrie, scarichi civili, agricoltura, ecc.). La preservazione della biodiversit`a a livello mondiale `e divenuto ormai un argomento di interesse generale che desta preoccupazioni e che coinvolge
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
14
pienamente anche le maggiori specie coltivate. Conservare la biodiversit` a vegetale Le risorse genetiche agrarie possono essere definite come la “quota” di diversit`a biologica utilizzata o potenzialmente utilizzabile dall’uomo negli agroecosistemi. Per preservarle da un inesorabile processo di erosione che da molto tempo si sta progressivamente verificando, `e necessario partire dalla consapevolezza che la loro conservazione passa attraverso la comprensione delle interazioni tra patrimonio biologico, culturale ed economico di una societ`a (Attene e Rodriguez, 2008). Attualmente, la sfida da parte dei breeder `e quella di realizzare una nuova “rivoluzione verde” che passi attraverso la capacit` a da parte delle colture agrarie di continuare a fornire il fabbisogno alimentare, nonostante il continuo incremento demografico mondiale e i cambiamenti climatici globali (Zamir, 2008). Il potere di migliorare le nuove variet`a deve essere basato sulla disponiblit`a di un’ampia diversit`a genetica e sull’ausilio delle tecnologie genomiche attuali. La biodiversit` a va pertanto conservata nella sua globalit`a in quanto, oltre alle specie gi` a ampiamente coltivate, esistono molte altre specie poco note e non ancora domesticate che un giorno potrebbero rivelarsi utili. Alcune delle specie di interesse agrario sono state oggetto di studio per l’ottenimento di prodotti diversi da quelli abituali, come ad esempio la produzione di oli, carboidrati e loro derivati nonch´e di metaboliti secondari di interesse farmaceutico, cosmetico ed industriale (Pimentel et al., 1997). L’attivit` a di esplorazione, collezione e conservazione delle risorse genetiche naturali `e attualmente indispensabile al fine di salvaguardare la biodiversit`a e di poterla utilizzare per il miglioramento genetico. La continua utilizzazione delle risorse genetiche locali, ne garantisce il mantenimento e di conseguenza la possibilit` a di inserirle in opportuni programmi il cui obiettivo sia la loro conservazione in situ, ovvero nello stesso ambiente di coltivazione. La conservazione in situ `e un processo dinamico soggetto a fattori evolutivi quali mutazione, migrazione (flusso genico), deriva genetica, selezione e
` 1.1. LA BIODIVERSITA
15
ricombinazione che modellano la struttura genetica delle popolazioni determinando cambiamenti sia entro popolazioni che tra popolazioni (Brown, 2000). Tali cambiamenti sono spesso la risposta alle condizioni ambientali e agli attacchi di patogeni e parassiti e possono pertanto rappresentare una risposta adattativa utile in situazioni di marginalit`a e/o in condizioni di stress sia biotici che abiotici. Dal punto di vista genetico si pu`o dire che nuovi alleli o nuove combinazioni di alleli (nuovi genotipi) si generano e aumentano la loro frequenza, mentre altri possono scomparire. Gli agricoltori che riproducono on farm, ovvero nei loro campi, la semente delle variet`a locali destinata alla risemina, hanno un ruolo attivo sia nella selezione e conservazione dei materiali che nella conservazione della memoria storica, delle pratiche e dei sistemi colturali. Ci`o consente di mantenere le conoscenze sull’uso dei materiali, che fanno anche parte della cultura di quei luoghi (Brush, 2000). Le comunit`a scientifiche impegnate nella salvaguardia delle risorse genetiche hanno spesso attuato programmi di lavoro che passano attraverso: 1. il collezionamento; 2. la valutazione delle caratteristiche morfo-fenotipiche, genetiche e biochimiche; 3. la conservazione di campioni rappresentativi in banche di germoplasma e quindi ex situ, vale a dire fuori dall’ambiente di coltivazione. La diversit`a viene in tal modo “congelata” per preservarne le caratteristiche presenti all’atto del collezionamento e impedirne la scomparsa. Si tratta di attivit` a operata da enti pubblici e privati allo scopo di servire anche la ricerca di base e le attivit`a di miglioramento genetico. Le due strategie di conservazione (in situ ed ex situ) sono tra loro complementari e consentono il mantenimento del patrimonio genetico presente in una determinata area. La conservazione in situ non riguarda solo materiali non sottoposti a selezione, come gli ecotipi e le forme selvatiche, ma anche la coltivazione, nell’areale di adattamento, delle antiche variet`a locali
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
16
di specie coltivate. La conservazione on farm consente, oltre alla salvaguardia del patrimonio biologico, anche la conservazione delle tradizioni colturali e culturali delle popolazioni rurali (Brush, 2000). Utilizzazione delle variet` a locali come fonte di variabilit` a Ogni successo del miglioramento genetico ha alla sua base la disponibilit`a di variabilit`a. Il miglioramento genetico ha a lungo trascurato la conservazione della variabilit`a, anzi la sua riduzione `e uno degli obiettivi che sono stati pi` u fortemente perseguiti per ottenere una perfetta uniformit`a delle colture (Barcaccia e Falcinelli, 2005a). Questo ha spesso portato alla simultanea scomparsa di una moltitudine di tipi locali. Oggi molte delle risorse genetiche naturali sono scomparse definitivamente o restano diffuse solo nei Paesi ad agricoltura tradizionale e costituiscono nel loro complesso una fonte preziosa e non rinnovabile di geni utili. Tra le diverse categorie di risorse genetiche, si sono rivelate particolarmente interessanti le variet` a locali (landraces), ovvero antiche popolazioni costituitesi ed affermatesi in zone specifiche in seguito all’influenza dell’ambiente naturale e delle tecniche colturali imposte dall’uomo (Barcaccia e Falcinelli, 2005a). Le variet`a locali sono considerate il materiale coltivato pi` u ricco di variabilit`a genetica e continuano ad evolversi geneticamente in risposta alle pressioni selettive degli agricoltori e dell’ambiente (Brown, 2000), ma malgrado la loro importanza, solo recentemente si `e registrato un sensibile aumento dell’interesse scientifico per la loro conservazione e valorizzazione (Chable et al., 2009). Anche se in condizioni agronomiche marginali le antiche variet`a locali sono competitive con le moderne variet`a migliorate (Rodriguez et al., 2008), il loro impiego diretto in coltivazione `e sempre pi` u raro. Il destino della maggior parte delle popolazioni locali `e pertanto la loro conservazione in vista di una futura utilizzazione in programmi mirati di miglioramento genetico per poter rispondere a rinnovate esigenze (e.g. risposta a stress biotici e abiotici, sfruttamento di particolari componenti, ecc.). Un loro utilizzo immediato potrebbe essere quello destinato all’otteni-
1.2. IL POMODORO
17
mento di prodotti tipici locali in un circuito che valorizzi le culture locali, con ricadute connesse anche alla salvaguardia del patrimonio biologico, alla valorizzazione dell’ambiente rurale, allo sviluppo dell’agricoltura sostenibile e dell’agriturismo, alla creazione di nuove figure professionali sotto il punto di vista ambientale, agronomico e commerciale (Ceccarelli et al., 2000). La possibilit` a di identificare le variet`a locali di specie coltivate rappresenta un requisito fondamentale per razionalizzare ed economicizzare i programmi di conservazione sia in situ che ex situ ai fini della loro utilizzazione in un contesto produttivo e della loro valorizzazione a livello commerciale. La caratterizzazione del germoplasma mediante marcatori molecolari pu`o costituire sicuramente la premessa sia per la loro tracciabilit`a che per una corretta selezione dei genotipi pi` u idonei alla costituzione di nuove variet`a.
1.2 1.2.1
Il pomodoro Cenni storici, origine e domesticazione
“La scoperta del pomodoro ha rappresentato, nella storia dell’alimentazione, quello che, per lo sviluppo della coscienza sociale, `e stata la rivoluzione francese”. Cos`ı Luciano De Crescenzo, nel suo inconfondibile stile, celebra la comparsa sulle nostre tavole del pomodoro. Ovviamente lo scrittore napoletano ha in mente la cucina italiana ed in particolare quella partenopea, ma in generale il pomodoro `e tra le colture orticole che hanno conosciuto una crescente importanza e diffusione di impiego grazie alle bacche di pregiate caratteristiche organolettiche, consumate sia allo stato fresco che destinate ai diversi derivati dell’industria conserviera (Baldoni e Giardini, 2001). Il pomodoro1 (Solanum lycopersicum) appartiene alla famiglia delle Solanaceae, che include oltre 3000 specie originarie sia del Vecchio (melanzana in Cina e India) sia del Nuovo Mondo (pomodoro, peperone e patata nell’America Centrale e Meridionale). La classificazione filogenetica delle Solanaceae `e stata revisionata recentemente e il genere Lycopersicon `e stato reintegrato all’interno del genere Solanum con la sua nuova nomenclatura. La sezione 1
Il nome pomodoro `e attribuito al Mattioli, che lo chiama “mala aurea”, “poma amoris” o “pomi d’oro”. In quasi tutte le lingue conserva il nome, che gli veniva dato in America (“tomate”), diffuso anche in alcuni dialetti italiani.
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
18
Lycopersicon include il pomodoro coltivato (S. lycopersicum) e 12 specie selvatiche affini. Solanum lycopersicum `e l’unica specie domesticata (Peralta et al., 2006). Nonostante l’origine geografica delle specie selvatiche affini sia ben conosciuta (costa Ovest dell’America Latina, dall’Equador al Cile includendo Bolivia, Colombia, Per` u e le Isole Galapagos), il luogo in cui far risalire la sua domesticazione rimane incerto (Peralta e Spooner, 2007). A tal proposito, sono state avanzate due ipotesi. La prima si basa sulla diffusione in Messico di forme selvatiche di pomodoro a bacca tondo-piccola (detta anche cherry, incluse nella forma botanica S. lycopersicum var. cerasiforme) ed `e avvalorata da evidenze culturali, linguistiche, storiche e genetico-molecolari (Larry e Joannee, 2007). La seconda ipotesi individua invece il Per` u come area di domesticazione, anche in questo caso sulla base di argomentazioni di tipo botanico, storico e linguistico (De Candolle, 1883). Tuttavia si ritiene che il Messico sia molto probabilmente la regione di prima domesticazione, mentre il Per` u sarebbe il centro di diversit`a dei selvatici affini (Larry e Joanne, 2007).
Figura 1.2: La presunta origine del pomodoro sembra essere il Per` u. Successivamente, dal Messico, fu portato in Spagna per poi diffondersi in tutta Europa. Sebbene l’origine geografica del pomodoro coltivato sia tutt’ora irrisolta, `e maggiormente condivisa la sua origine botanica dalle forme spontanee di
1.2. IL POMODORO
19
S. lycopersicum var. cerasiforme, a cui hanno contribuito introgressioni da S. pimpinellifolium, in virt` u di indizi morfologici e fisiologici, nonch´e di tipo genetico e genetico-molecolare (Peralta e Spooner, 2007). Sindrome di domesticazione in pomodoro In pomodoro, la sindrome di domesticazione `e stata studiata su tratti riguardanti la tipologia di crescita (senescenza, precocit` a, altezza) e il frutto (dimensione, forma, colore, morfologia), fino all’identificazione dei geni qualitativi e dei loci preposti al controllo di caratteri quantitativi (QTL) che stanno alla base di questa sindrome (Grandillo e Tanksley, 1996; Doganlar et al., 2000; Frary e Doganlar, 2003; Tanksley, 2004). In particolare, la variazione della bacca da verde a pigmentata `e stata una delle manifestazioni pi` u evidenti della sindrome di domesticazione del pomodoro, probabilmente avvenuta 1 milione di anni fa e in modo monofiletico, cio`e un’unica volta durante la storia evolutiva della specie. La domesticazione ha inoltre portato alla perdita di incompatibilit`a e allogamia in favore di una sempre pi` u spiccata autocompatibilit`a e capacit`a di autofecondazione (autogamia) (Rick, 1978). A differenza del colore, la perdita di incompatibilit`a sembra essere insorta pi` u volte e indipendentemente, nel corso dell’evoluzione della sezione Lycopersicon, in quanto essa si riscontra anche in specie come S. pennellii e S. habrochaites che sono tassonomicamente pi` u lontane dalla specie coltivata. Un aspetto ovvio della domesticazione del pomodoro `e stato il notevole incremento delle dimensioni del frutto (Bai e Lindhout, 2007). Uno dei geni coinvolto maggiormente in questo processo `e stato identificato sul cromosoma 2 e corrisponde al QTL designato come fruit weight 2.2 (fw2.2 ) (Frary ` stato dimostrato come questo gene codifichi per un regolatoet al., 2000). E re negativo della divisione cellulare e quindi una sua variazione, selezionata nelle forme coltivate, consente maggiori divisioni cellulari e quindi maggiori dimensioni finali della bacca. Con l’aumento delle dimensioni, la domesticazione ha anche portato a una variabilit`a elevata nella forma della bacca, che da tondo-piccola e bi-
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
20
loculare, come si ritrova nei selvatici, assume forme che vanno dal tondo all’allungato, all’appiattito, a pera, a cuore, con grande variabilit`a nel numero di logge, nella costolatura e in altre caratteristiche esterne e interne ` stato dimostrato che una mutazione al locus ovate sul cromodel frutto. E soma 2 ha comportato la transizione da bacca tonda a bacca allungata a forma di pera (Liu et al., 2002). Alla forma allungata contribuisce anche la variazione allelica al locus sun, sul cromosoma 7, che codifica una proteina la cui funzione `e ancora oggi sconosciuta (Van der Knaap e Tanksley, 2001). Infine la domesticazione ha influito su dimensioni e colore del seme, generalmente pi` u grande rispetto a quello dei selvatici affini. Si tratta di caratteri correlati a un buon potere germinativo e al vigore del germinello (Doganlar et al., 2000). La domesticazione ha portato a un forte restringimento della base genetica della specie, legata anche agli spostamenti geografici (dalle Ande al Centro America e poi in Europa), a cause morfo-fisiologiche (l’acquisto dell’autogamia) e infine al moderno miglioramento genetico (Rick, 1976; Miller e Tanksley, 1990; Williams e St. Clair, 1993). Molti marcatori genetici, soprattutto a livello molecolare, hanno mostrato bassi livelli di variabilit`a nel pomodoro coltivato e nelle specie affini autocompatibili (Miller e Tanksley, 1990; Williams e St. Clair, 1993; Broun e Tanksley, 1996; Noli et al., 1999; Archak et al., 2002; Garc´ıa-Gusano et al., 2004). Questa perdita di variabilit`a `e stata aggravata dal fatto che la selezione nelle specie orticole viene spesso fatta su pianta singola o su un ridotto numero di piante.
1.2.2
Caratteristiche botaniche
Il pomodoro coltivato (Fig. 1.3), cos`ı come tutte le specie affini e ancestrali, ` una si presenta in forma diploide, con formula genomica 2n = 2x = 24. E pianta erbacea a tendenza perennante che si comporta come una pianta annuale in condizioni climatiche caratterizzate da temperature molto variabili nei diversi periodi dell’anno. Il portamento della pianta, originariamente espanso e strisciante, in seguito agli interventi del miglioramento genetico, `e divenuto pi` u raccolto, fino ad eretto (Baldoni e Giardini, 2001).
1.2. IL POMODORO
21
La radice `e fittonante, ma con un’ampia rete di radici laterali che si accrescono pi` u intensamente nella fase vegetativa (Baldoni e Giardini, 2001). Il fusto, eretto nei primi stadi vegetativi, poi decombente, `e di lunghezza variabile fino ad oltre 2 m, di circa 4 cm di diametro alla base, ed `e coperto da peli ghiandolari. Presenta numerose ramificazioni ascellari, pi` u abbondanti nella parte basale. La pianta presenta una crescita indeterminata che le conferisce l’habitus teoricamente perennante, anche se nelle regioni temperate si comporta da annuale. Dopo un periodo di crescita vegetativa, la pianta emette la prima infiorescenza. Successivamente viene emessa una nuova infiorescenza ogni tre internodi (foglie). Lo sviluppo del pomodoro `e simpodiale; ogni segmento termina con un’infiorescenza e la crescita continua dalla gemma ascellare pi` u alta. L’infiorescenza viene spinta lateralmente e la ripetizione
Figura 1.3: Raffigurazione deldi questo sviluppo conferisce un ha- le principali caratteristiche morbitus di crescita determinato (mu- fologiche del pomodoro (Fonte: tanti self pruning) in cui il ritmo di http://www.scientific-art.com). emissione delle infiorescenze `e pi` u rapido e la crescita simpodiale a un certo punto si arresta (Fig. 1.4). Le foglie sono pubescenti, composte, alterne, picciolate e irregolarmente pennatosette, con peli che producono secrezioni tipicamente aromatiche. All’ascella della foglia immediatamente sottostante l’infiorescenza, normalmente si sviluppa un germoglio (femminella) che accrescendosi reitera lo sviluppo simpodiale tipico dello stelo principale (Bianco e Pimpini, 1990). L’infiorescenza `e un racemo ascellare o terminale composto da un numero
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
22
Figura 1.4: Rappresentazione schematica di una pianta di pomodoro a crescita indeterminata (a sinistra) e a crescita determinata (a destra). variabile di fiori ad antesi scalare. Il fiore `e perfetto, generalmente pentamero, con corolla di colore giallo. Gli stami sono tipicamente saldati tra loro per formare un cono che, nelle variet`a coltivate, racchiude stilo e stigma (stigma inserto). In conseguenza della morfologia fiorale e della completa autocompatibilit`a, la fecondazione del pomodoro `e dovuta prevalentemente allâ&#x20AC;&#x2122;autoimpollinazione; la quota di fecondazione incrociata `e di solito molto bassa (< 0,5%). La crescita della bacca procede piuttosto rapidamente, richiedendo circa 35-60 giorni per raggiungere la maturazione fisologica, in relazione alla tipologia della bacca stessa. Nella bacca immatura la pigmentazione verde `e data dalla clorofilla, con la possibile formazione di striature verdi (green stripes) pi` u marcate che possono permanere fino alla maturazione (Fig. 1.5). Con lâ&#x20AC;&#x2122;inizio della maturazione (invaiatura) si ha la comparsa di due pigmenti, beta-carotene e licopene2 , dal cui equilibrio si hanno le tonalit`a del colore della bacca (Baldoni e Giardini, 2001). Il frutto a maturazione `e generalmente di colore rosso, sebbene esistano mutazioni o introgressioni di alleli selvatici che conferiscono colore giallo, arancione, marrone, viola. Forma e dimensioni della bacca differiscono a seconda delle cultivar, con ampia variabilit`a. Le forme principali sono tre: tonda, allungata e quadrata, ciascuna 2
Il colore arancio nel frutto semimaturo `e dovuto allâ&#x20AC;&#x2122;incremento del β-carotene, mentre il colore rosso del frutto maturo `e dovuto al cospicuo aumento del licopene, che rappresenta il 50-75% dei pigmenti.
1.2. IL POMODORO
23
con alcune lievi differenze. La maggiore o minore regolarit` a della forma `e funzione del numero di carpelli che pu`o andare da un minimo di due nelle cultivar a frutto piccolo e di forma regolare, a 7-9 (fino a 14) in quelle pi` u tipicamente costolute (Bianco e Pimpini, 1990).
Figura 1.5: Le bacche di pomodoro Camone, oltre al colore aranciato, si caratterizzano per la presenza di striature verdi (green stripes) che permangono anche dopo la maturazione del frutto. I semi sono piatti, tondeggianti, ruvidi per la presenza di tegumento, provvisto di peli, ricchi di lipidi e di colore di norma giallo paglierino; la durata della facolt` a germinativa `e generalmente di 4 anni (Tesi, 1987). Il ciclo biologico delle comuni variet`a termina con il disseccamento delle foglie, le basali per prime, per concludersi con il disseccamento del fusto; l’intero ciclo richiede in coltura 140-170 giorni a seconda del tipo di sviluppo e delle condizioni di allevamento.
1.2.3
Miglioramento genetico moderno
Verosimilmente, sino agli anni ’40 del XX secolo non avvenne alcuno scambio genetico tra il pomodoro coltivato e le specie ancestrali selvatiche, con l’eccezione di S. pimpinellifolium. Da allora, grazie all’opera iniziata dal genetista americano Charles Rick all’Universit`a di Davis (California), si cap`ı che incroci interpecifici tra pomodoro coltivato e specie selvatiche potevano generare un’ampia gamma di nuove combinazioni geniche di interesse. Di conseguenza, l’introgressione di caratteri dalle specie selvatiche `e diventata una delle pratiche pi` u remunerative per dotare le nuove cultivar di caratteristiche desiderabili, soprattutto nel campo delle resistenze/tolleranze agli
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
24
stress biotici e abiotici. Questa tendenza `e confermata anche dal fatto che mentre in un rapporto del 1987 si stimava che le accessioni di germoplasma di pomodoro (e delle specie affini) conservate nelle banche del seme del mondo fossero pari a circa 32.000, oggi si stima che tale numero abbia superato le 75.000 accessioni, mantenute in pi` u di 120 Paesi (Robertson e Labate, 2007). Il pomodoro presenta un elevato numero di variet`a coltivate, data la sua ampia diffusione nel mondo e l’importanza economica della coltura. L’affermarsi della destinazione industriale determin`o l’inizio di un sistematico ed efficace lavoro di selezione sugli ecotipi locali, per primo il San Marzano, basato sulle progenie di singola pianta (selezione per linea pura). Agli inizi del XX secolo il miglioramento genetico si arricch`ı della possibilit`a di introdurre deliberatamente variabilit`a attraverso l’incrocio controllato, che consentiva di ricombinare caratteristiche di tipologie diverse di differente provenienza geografica e adattamento. L’impulso pi` u recente al miglioramento genetico del pomodoro `e stato dato dalla costituzione degli ibridi, che attualmente dominano il panorama varietale in tutti i Paesi ad agricoltura avanzata (Soressi e Mazzucato, 2010). Per il pomodoro, gli obiettivi specifici del miglioramento genetico dipendono dalle finalit`a agronomiche che a loro volta coincidono solitamente con la destinazione del prodotto. Si distingue a tal fine tra pomodori da industria allevati in pieno campo, pomodoro da mensa per il consumo fresco, per lo pi` u allevati in coltura protetta, e pomodori da serbo. La produttivit` a della coltura `e stata sempre uno degli obiettivi principali, nonch´e uno dei caratteri per cui si sono registrati i maggiori successi. La produttivit` a media delle cultivar da industria negli Stati Uniti tra il 1920 e il 1990 `e passata da 10 a oltre 70 t/ha. Di questo aumento si ritiene che circa il 50% sia dovuto al miglioramento genetico. La consistenza della bacca e la resistenza alla sovramaturazione sono risultati caratteri decisivi nello sviluppo delle moderne coltivazioni da industria che fanno uso esclusivo della raccolta meccanica in unica soluzione e richiedono la costituzione di tipologie con accrescimento determinato, porta-
1.3. GENETICA E GENOMICA IN POMODORO
25
mento compatto, fioritura concentrata e maturazione quasi contemporanea. Le cultivar di pomodoro da mensa, adatte all’allevamento con tutori in coltura protetta, solitamente includono genotipi con accrescimento indeterminato e conseguente produzione scalare, con raccolta delle singole bacche all’invaiatura o dell’intero grappolo a bacche rosse come `e possibile oggi con i nuovi ibridi long shelf life (LSL). Il carattere spalla verde `e tornato in auge (Soressi e Mazzucato, 2010), per cui oggi si trovano cultivar ibride sia di tipo uniform sia con striature verdi. Relativamente ai caratteri che condizionano la resistenza nei confronti di agenti biotici diversi, per circa 30 di questi (in particolare Fusarium spp., Verticillium spp., nematodi, alternaria e altri patogeni batterici e virali) sono stati identificati geni di resistenza, avendo come principale fonte di reperimento le specie selvatiche affini.
1.3
Genetica e genomica in pomodoro
Il pomodoro `e oggi una delle specie vegetali pi` u studiate a livello genetico e genomico, non solo a causa della sua notevole importanza economica, ma anche perch´e possiede un genoma relativamente piccolo (950Mb) che ha contribuito a farne un sistema modello per altre specie in generale e per tutta la famiglia delle Solanaceae in particolare. La determinazione della sequenza completa del genoma di pomodoro (http://solgenomics.net) rappresenter`a uno strumento formidabile per l’analisi dell’organizzazione e della funzionalit`a del genoma e per la comprensione dei meccanismi evolutivi alla base della diversificazione dell’intera famiglia delle Solanaceae.
1.3.1
Analisi genetica attraverso marcatori morfo-fenologici
I primi strumenti che hanno permesso di discriminare tra individui all’interno di una popolazione sono stati i marcatori morfo-fenologici, quali ad esempio i marcatori mendeliani del colore e forma delle cariossidi o dei fiori. Si tratta di marcatori identificati fenotipicamente, generalmente poco numerosi e il cui numero in natura dipende dalla specie di riferimento. I tradizionali protocolli di miglioramento genetico delle piante, basati
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
26
sulla selezione fenotipica, sono stati efficaci nell’incrementare la produttivit`a e la qualit`a delle colture nei decenni passati (Warren, 1998; Duvick, 1986; Duvick, 1996) e i tratti agro-morfologici, sia qualitativi che quantitativi, sono stati comunemente utilizzati per stimare la relazione tra genotipi (Goodman, 1972). Tuttavia, questi metodi non risultano pi` u essere efficienti in quanto richiedono troppo tempo per l’introduzione di una nuova variet`a sul mercato (dai 10 ai 15 anni), risentono fortemente dell’interazione ambientale e presentano non poche difficolt`a quale, ad esempio, la necessit`a di effettuare un numero elevato di reincroci ogni qualvolta si vogliono introdurre geni selvatici di interesse nelle variet`a coltivate. Tuttavia, l’avvento dei marcatori molecolari ha determinato lo sviluppo di nuovi metodi, che affiancano all’analisi fenotipica la possibilit`a di stabilire variazioni genetiche delle specie coltivate a livello del DNA.
1.3.2
Analisi del genoma attraverso marcatori molecolari
Un settore di notevole interesse e grandi potenzialit`a aperto dalle bioteconologie genetiche `e quello dell’analisi del genoma basata sulla rilevazione di marcatori molecolari. Un marcatore molecolare pu`o essere definito come quel locus genomico, rilevabile con sonde (probe) o inneschi (primer ) specifici che, in virt` u della sua presenza, contraddistingue in modo caratteristico ed inequivocabile il tratto cromosomico con il quale si identifica e le regioni che lo circondano alle estremit` a 5’ e 3’ (Barcaccia et al., 2000). Un marcatore molecolare `e un frammento di DNA cromosomico (di dimensione variabile generalmente da 50 a 3.000 pb) compreso tra due regioni oligonucleotidiche note (di 6-30 pb). Le due sequenze laterali sono quelle riconosciute da enzimi di restrizione oppure da inneschi della DNA polimerasi oppure da entrambi. I marcatori molecolari non sono generalmente riferibili all’attivit`a di specifici geni, ma si basano direttamente sulla rilevazione di differenze (polimorfismi) nella sequenza nucleotidica del DNA che costituisce il genoma di ogni indivuduo (dovute a inserzioni, delezioni, traslocazioni, duplicazioni, mutazioni puntiformi, ecc.). I marcatori molecolari presentano numerosi aspetti positivi:
1.3. GENETICA E GENOMICA IN POMODORO
27
• non subiscono interferenze da parte dell’ambiente, trattandosi di differenze a livello della molecola del DNA; • coprono qualsiasi parte del genoma, permettendo cos`ı di rilevare differenze anche tra individui geneticamente simili o fenotipicamente indistinguibili; • in molti casi hanno espressione codominante, consentendo cos`ı di distinguere l’eterozigote dagli omozigoti. ` inoltre possibile un’ulteriore distinzione tra: E • marcatori “multi-locus”, basati sull’analisi simultanea di molti loci genomici, che implicano l’amplificazione di tratti cromosomici casuali con inneschi oligonucleotidici a sequenza nota arbitraria; • marcatori “singolo-locus”, che invece prevedono l’ibridazione o l’amplificazione di tatti cromosomici a sequenza nota mediante l’utilizzo di sonde o inneschi specifici per determinati loci genomici. I primi sono marcatori di tipo dominante (ad ogni locus si pu` o evidenziare la presenza o l’assenza della banda, ma non `e possibile distinguere la situazione eterozigote da quella omozigote), mentre i secondi sono marcatori di tipo co-dominante (permettono cio`e di distinguere i loci omozigoti da quelli eterozigoti). In pomodoro diversi tra i marcatori pi` u conosciuti sono stati utilizzati per analisi di diversit`a genetica, tra cui i polimorfismi di lunghezza dei frammenti di restrizione (Restriction Fragment Length Polymorphisms, RFLP; Van der Beek et al., 1992), il DNA polimorfico amplificato a random (Random Amplified Polymorphic DNAs, RAPD; Egashira et al., 2000), i polimorfismi di lunghezza dei frammenti amplificati (Amplified Fragment Length Polymorphisms, AFLP; Park et al., 2004), i microsatelliti (Simple Sequence Repeats, SSR; Mazzucato et al., 2008), i polimorfismi di amplificazione sequenza-specifici (Sequence-Specific Amplification Polymorphisms, SSAP; Tam et al., 2005) e i polimorfismi di singoli nucleotidi (Single Nucleotide Polymorphisms, SNP; Suliman-Pollatschek et al., 2002). Ciascuna classe di
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
28
marcatori presenta peculiarit`a in termini di costo, riproducibilit`a, numerosit`a, polimorfismo, ecc. L’utilizzo delle diverse tipologie di marcatori molecolari ha consentito analisi di fingerprinting e caratterizzazione di collezioni di germoplasma. Marcatori molecolari PCR derivati: gli SSR Lo sviluppo dei marcatori molecolari ha subito un impulso importante in seguito alla scoperta, da parte di Mullis et al. (1986), della reazione a catena della DNA polimerasi (Polymerase Chain Reaction, PCR). La PCR `e un metodo che consente di sintetizzare ripetutamente (amplificare) uno o pi` u specifici segmenti di DNA situati tra due sequenze oligonucleotidiche note, producendone un numero elevato di copie (da milioni ad alcuni miliardi). Tale metodo prevede ripetuti cicli termici mediante l’utilizzo di un ciclizzatore termico (Thermal Cycler ). Per ogni ciclo avvengono tre reazioni principali (Fig. 1.6): i) denaturazione, mediante riscaldamento, del DNA; ii) ibridazione degli inneschi (primer ) nei siti del DNA stampo aventi sequenze complementari; iii) sintesi di un nuovo filamento di DNA, complemetare a quello stampo, a partire dagli inneschi e catalizzata dall’enzima DNA polimerasi3 . I pregi di velocit` a, semplicit` a, sensibilit`a e selettivit`a hanno reso la tecnica della PCR una procedura eccellente per esaminare la struttura e la funzione di un gran numero di alleli diversi in campioni di DNA quantitativamente limitati. Nell’ambito dei marcatori basati su tecniche di amplificazione (PCR derivati), gli SSR o Microsatelliti (Tautz, 1988; Dietrich et al., 1992; Morgante e Olivieri, 1993; Bell e Ecker, 1994) si sono rivelati particolarmente interessanti poich´e consentono di mettere in evidenza polimorfismi a livello delle sequenze ripetute di DNA. Infatti, disperse nel genoma, esistono sequenze 3
L’enzima attualmente impiegato per la PCR `e la Taq DNA polimerasi: una polimerasi DNA-dipendente, termostabile, capace di determinare l’allungamento di un corto filamento di DNA - l’innesco oligonucleotidico - se il filamento stesso `e legato in maniera complementare ad un filamento pi` u lungo di DNA che funge da stampo. Tale enzima aggiunge l’appropriato nucleotide all’estermit` a 3’ idrossilata dell’innesco che sar` a complementare al nucleotide posizionato sullo stampo.
1.3. GENETICA E GENOMICA IN POMODORO
29
Figura 1.6: La PCR consiste in tre fasi principali che si succedono durante ogni ciclo termico: denaturazione del DNA (DNA denaturation), appaiamento dei primer (primer annealing ) ed estensione dei primer (primer extension) con conseguente sintesi di un nuovo filamento di DNA. ripetute molto semplici, cio`e oligonucleotidi di 2-5 pb - tipo (CA)n , (GCC)n , (GATA)n , ecc. - chiamate, appunto, microsatelliti. Come illustrato in Fig. 1.7, i primer consentono di amplificare singoli microsatelliti che possono differire tra individui non per il motivo di base, ma per il numero di volte che questo `e ripetuto.
Figura 1.7: Rappresentazione schematica della natura del polimorfismo singololocus dei marcatori SSR. I modelli di bande sono diversi a seconda della situazione allelica: lâ&#x20AC;&#x2122;individuo eterozigote a/b mostra due bande mentre quelli omozigoti a/a e b/b soltanto una (da Barcaccia et al., 2000; modificata). Gli SSR sono marcatori molecolari co-dominanti capaci di mettere in evi-
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
30
denza una elevata diversit`a genetica poich´e i polimorfismi sono dovuti a varianti alleliche allo stesso locus. Tale caratteristica li rende particolarmente adatti alla tipizzazione genotipica e all’identificazione varietale. Attualmente, i marcatori SSR sono largamente utilizzati per la mappatura dei loci che controllano i caratteri quantitativi (Quantitative Trait Loci, QTL). Ad oggi moltissimi studi hanno riguardato la ricerca di QTL coinvolti nella determinazione di caratteristiche della bacca, quali forma e dimensione, ma anche componenti nutrizionali, metaboliti secondari e fattori responsabili delle propriet` a fisiche del frutto. L’uso della selezione assistita da marcatori (Marker Assisted Selection, MAS) risulta un mezzo di grande utilit`a per la selezione dei caratteri legati alla performance del frutto, che si rendono evidenti nel fenotipo solo a maturit`a, ma anche per tutti gli altri caratteri in cui la selezione fenotipica risulti costosa o poco efficiente (soprattutto resistenze e tolleranze che richiedono onerose tecniche di infezione artificiale).
1.4
Biodiversit` a in pomodoro
L’importanza del pomodoro come coltura, cos`ı come la ragione della sua larga adozione negli studi su QTL, pu`o essere ricercata nella sua storia, che dimostra come la grande variabilit`a che esiste a livello fenotipico sia in realt`a dovuta ad un numero limitato di geni di “domesticazione”, che controllano soprattutto attributi dimensionali, strutturali, estetici e qualitativi del frutto (Grandillo et al., 1999; Tanksley, 2004). Per questo motivo, da quando le analisi molecolari hanno permesso di effettuare una stima della diversit`a genetica, si `e potuto osservare come il livello di polimorfismo intraspecifico presente nel pool genico del pomodoro coltivato sia generalmente molto basso rispetto a quello mostrato da altre specie autogame autocompatibili (Miller e Tanksley, 1990; Williams e St. Clair, 1993; Broun e Tanksley, 1996; Noli et al., 1999; Archak et al., 2002; Garc´ıa-Gusano et al., 2004). Esperimenti basati sull’utilizzo di marcatori SSR hanno mostrato un alto livello di polimorfismo intraspecifico in S. lycopersicum (Bredemeijer et
` IN POMODORO 1.4. BIODIVERSITA
31
al., 2002; Suliman-Pollatschek et al., 2002; He et al., 2003; Tam et al., 2005; Garc´ıa-Mart´ınez et al., 2006) e sono stati ampiamente sviluppati per gli studi genetici in pomodoro (Smulders et al., 1997; Areshchenkova, 2000; He et al., 2003; Frary et al., 2005; Tam et al., 2005; http://www.sgn.cornell.edu/). Il pomodoro selvatico presenta un’ampia diversit`a genetica, soprattutto all’interno delle specie auto-incompatibili come S. chilense e S. peruvianum (Rick, 1978). Tale variabilit`a genetica `e stata studiata intensamente per caratteri specifici ed `e stata sfruttata nel miglioramento genetico (e.g. Walter, 1967; Rick e Chetelat, 1995; Larry e Joanne, 2007). Al contrario, confrontato col ricco serbatoio delle specie selvatiche, il po` stato stimato che i genomi delle modoro coltivato `e geneticamente povero. E cultivar di pomodoro contengono meno del 5% della variabilit`a genetica dei loro selvatici associati (Miller e Tanksley, 1990). Nonostante l’utilizzo di marcatori estremamente polimorfici, all’interno del pool genetico del pomodoro coltivato `e stata identificata una ridotta diversit`a (Van der Beek et al., 1992; Villand et al., 1998; Park et al., 2004; Garcia-Martinez et al., 2006; Tam et al., 2005). Tale riduzione `e stata causata prevalentemente dal processo di domesticazione e dal bottleneck subito in seguito alla diffusione di questa coltura orticola dalle Ande all’America Centrale e da qui in Europa (Rick, 1976). Altri studi hanno invece messo in luce elevati livelli di diversit`a in collezioni di variet`a locali. Nello studio di Yi et al. (2008) sono state analizzate alcune landrace del Myanmar utilizzando 10 marcatori SSR, e riscontrando una elevata diversit`a genetica, nonostante il Myanmar non risulti essere un centro di origine per il pomodoro, imputabile soprattutto ai diversi sistemi di produzione utilizzati dai diversi gruppi etnici. Un’ampia variabilit`a `e stata riscontrata anche in una collezione di variet`a locali della Grecia sulla base di un’analisi con 36 caratteri morfologici (Terzopoulos e Bebeli, 2010), e su 20 landrace brasiliane tramite l’utilizzo di marcatori RAPD (Carelli et al., 2006).
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
32
1.4.1
Risorse genetiche di pomodoro nel panorama italiano
Lâ&#x20AC;&#x2122;Italia `e uno dei Paesi pi` u ricchi di antiche variet`a di pomodoro divenute tradizionali in diverse regioni. Gli italiani sono stati i primi a ottenere e allevare nuove cultivar con differenze nelle principali caratteristiche dei frutti. Le prime selezioni, fatte dagli ortolani senza alcun fondamento scientifico, potrebbero essere assimilate a una sorta di empirica selezione massale: venivano scelte, per la riproduzione, le piante pi` u belle e pi` u sane, i frutti pi` u colorati (prevalentemente rossi), pi` u grossi e pi` u sapidi, dalle forme pi` u disparate, secondo le preferenze del singolo coltivatore che teneva conto delle preferenze dei consumatori del luogo per poter meglio vendere il proprio raccolto. Da queste scelte legate al gusto degli ortolani, dei consumatori locali e quindi al territorio sono nate moltissime cultivar diversificate non solo per regione ma anche per confini comunali (Soressi, 1969). Nel tempo la specializzazione della coltivazione e il diffondersi della coltura protetta hanno portato sempre pi` u a una standardizzazione e a una riduzione delle tipologie coltivate. I difetti delle vecchie variet`a (agronomici e fisiologici) non oggetto di mirate azioni di miglioramento genetico, le ha rese non competitive nei confronti dei moderni ibridi F1 , pi` u produttivi e pi` u adatti alla coltura protetta. Tutto ci`o ha portato alla quasi scomparsa di alcune di esse, i cui frutti non sono facilmente reperibili. Lâ&#x20AC;&#x2122;obiettivo `e, quindi, quello di effettuare un certosino lavoro di recupero delle vecchie cultivar attraverso la pi` u ampia collezione possibile di accessioni diverse nel rispetto della tradizione. Conoscenza e studio dei vecchi materiali sono imprescindibili da un lavoro di miglioramento genetico (breeding) atto a rendere competitive queste vecchie e quasi del tutto abbandonate tipologie. Recupero, conoscenza e conservazione sono una garanzia di mantenimento mentre il miglioramento `e il primo passo per difendere e valorizzare un patrimonio tipico del nostro Paese (Maestrelli et al., 2007). Nellâ&#x20AC;&#x2122;ambito del panorama italiano, Mazzuccato et al. (2008) hanno studiato la diversit`a fenotipica e genetica su una collezione di variet`a locali di pomodoro del Centro Italia, considerando numerosi tratti a variazione quan-
` IN POMODORO 1.4. BIODIVERSITA
33
titativa quali la dimensione, la forma e la qualit`a del frutto. L’analisi della varianza su dati relativi a 22 tratti morfo-fenologici ha mostrato differenze significative tra i genotipi per tutti i caratteri considerati. Inoltre, a seguito di analisi del DNA di ogni genotipo tramite l’uso di 20 marcatori SSR, `e stata dimostrata l’esistenza di una pi` u elevata diversit`a molecolare nelle variet`a locali rispetto alle variet`a commerciali di controllo.
1.4.2
Risorse genetiche di pomodoro in Sardegna
Il pomodoro `e da sempre una delle specie orticole pi` u importanti della Sardegna, non tanto per le superfici investite, quanto perch`e contribuisce per circa il 29% alla determinazione della PLV orticola dell’isola (Madau, 2010). La sua diffusione viene fatta risalire agli anni 1760-65. Nella seconda met`a dell’800 nelle zone di Alghero e Sassari la coltura del pomodoro veniva praticata con “molta maestria” ed era gi`a in uso essicarne le bacche al sole o al forno. Viene riferito che alcuni orticoltori di Bosa ne abbiano poi diffuso la coltivazione in pieno campo nel Campidano di Oristano (Cherchi Paba, 1977). Dall’osservazione dei dati ISTAT degli ultimi trent’anni, si riscontra un notevole incremento della superfice di pomodoro coltivato in serra, passata dai circa 180 ha nel 1980 ai 560 ha nel 2010, a fronte di un andamento negativo per il pomodoro in piena area, passato da circa 2600 ha nel 1980 a 1056 nel 2009. Lo stesso trend si registra nelle produzioni totali nei medesimi anni passate da 19917 t a 61172 t per il pomodoro in serra e da 100960 t a 34495 t per il pomodoro in piena area. L’importanza di questa specie ortiva in Sardegna `e inoltre confermata dal prezioso patrimonio di agro-biodiversit`a ancora oggi presente, che pu`o rappresentare un’importante risorsa da utilizzare sia per le produzioni tipiche locali che come fonte di geni utili per il miglioramento genetico (Attene e Rodriguez, 2008). A tal proposito, nel 2006 ha preso avvio un progetto di ricerca presso il Centro per la Conservazione e Valorizzazione della Biodiversit`a Vegetale (CBV) dell’Universit`a degli Studi di Sassari, finanziato dalla Regione Au-
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
34
tonoma della Sardegna (Legge 23.12.1999, n. 499, art. 2 - Programma Interregionale Biodiversit`a) con lo scopo di affrontare il problema del censimento, collezionamento e caratterizzazione delle risorse genetiche di specie ortive nel territorio della Sardegna. Tale progetto ha consentito di visitare gran parte del territorio dell’Isola alla ricerca di accessioni di specie ortive localmente adattate e, allo stesso tempo, di rafforzare nelle comunit`a locali sarde “custodi” di tali risorse l’orgoglio e la consapevolezza dell’importanza di conservare tale patrimonio. In accordo con le indicazioni riportate in letteratura, i materiali sono stati collezionati se “l’agricoltore custode” dichiarava di averli coltivati e riprodotti personalmente per almeno trent’anni, presupposto su cui si pu`o ritenere locale una variet`a di una qualsiasi specie di interesse agrario (Louette, 2000). Il maggior numero di accessioni sono risultate essere proprio quelle di pomodoro (24 accessioni), nonch`e le pi` u diffuse sul territorio (17 siti). Il processo di collezionamento `e poi proseguito negli anni successivi fino a raggiungere, nei primi mesi del 2011, le 49 accessioni oggetto di studio di questo lavoro di tesi (Fig. 1.8).
` IN POMODORO 1.4. BIODIVERSITA
35
Figura 1.8: Distribuzione geografica dei siti in cui sono state reperite le 49 accessioni di pomodoro collezionate tra il 2006 e il 2011.
36
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
Capitolo 2
Scopo della ricerca Questo lavoro di tesi si colloca nellâ&#x20AC;&#x2122;ambito di una pi` u vasta attivit`a di ricerca focalizzata sulla salvaguardia e valorizzazione di risorse genetiche di specie ortive della Sardegna. Lo scopo primario della ricerca `e quello di caratterizzare geneticamente accessioni locali di pomodoro collezionate in Sardegna (Attene e Rodriguez, 2008) e confrontarle sia con landrace di diversa provenienza che con variet`a commerciali e con specie selvatiche di pomodoro. Per la caratterizzazione sono stati utilizzati marcatori molecolari SSR e tratti morfologici di interesse agronomico. Sono stati scelti marcatori che da precedenti studi risultano associati a QTL per caratteri di particolare interesse (Q-SSR), quali la forma e la dimensione del frutto, e marcatori di cui non si conoscono associazioni a caratteri morfologici (NQ-SSR). La scelta di marcatori Q-SSR e NQ-SSR consente di verificare se anche nelle variet`a locali sarde esista una reale associazione tra questi e i caratteri rilevati. Questo metodo si rivela unâ&#x20AC;&#x2122;analisi pi` u accurata del semplice fingerprinting in quanto permette di andare oltre la semplice valutazione del livello di diversit`a. Infatti i marcatori molecolari scelti e lâ&#x20AC;&#x2122;analisi contemporanea dei caratteri fenotipici possono permettere sia di determinare la struttura genetica della collezione studiata, che di valutare il grado di correlazione tra marcatore e carattere di interesse. Il successivo confronto con alcune delle landrace italiane consentir`a di valutare il livello di diversit`a ritrovato nella collezione sarda. 37
CAPITOLO 2. SCOPO DELLA RICERCA
38
Pertanto, lo scopo di questa ricerca `e di: • determinare il livello e la struttura della diversit`a genetica presenti nella collezione di pomodoro sardo; • determinare il grado di originalit`a del materiale autoctono rispetto ai materiali di controllo; • identificare i marcatori realmente correlati a caratteri di importanza agronomica ed economica, informazioni che potranno essere utili per una futura valorizzazione sia come prodotti tipici che per l’utilizzazione in futuri programmi di breeding.
Capitolo 3
Materiali e metodi 3.1
Materiale vegetale
Il materiale oggetto di questa ricerca `e rappresentato da 49 accessioni locali di pomodoro (un esempio di 2 variet`a locali `e riportato in Fig. 3.1) conservate presso il Centro per la Conservazione e Valorizzazione della Biodiversit`a Vegetale (CBV) dellâ&#x20AC;&#x2122;Universit`a di Sassari e collezionate in Sardegna presso campi di agricoltori che intervistati abbiano dichiarato di coltivarle da non meno di 30 anni.
Figura 3.1: Bacche di variet`a locali sarde: Arracadas di Ozieri (a sinistra) e Tommatis mannu de Bachis di Mamoiada (a destra). Nelle analisi sono state incluse 7 variet`a locali della penisola scelte tra le pi` u diffuse in Sardegna 30 anni fa, una della Corsica, 10 ibridi attualmente diffusi in coltivazione e 2 variet`a selvatiche che nel complesso rappresentano un controllo adeguato in relazione ai morfotipi delle variet`a locali analizzate. Lâ&#x20AC;&#x2122;elenco di tutte le variet`a analizzate `e riportato in Tab. 3.1. 39
40
CAPITOLO 3. MATERIALI E METODI
Tabella 3.1: Elenco delle variet`a di pomodoro analizzate. Variet` a Codice Localit` a ` locali della Sardegna Varieta Arracadas OZI AR Ozieri Lorighittas ALE LO Ales Grande costoluto ALE CO Ales Tundasa a siccu (A) GIB TO Giba Tundasa a siccu (B) GIB K Giba Lorigheddas de appicai GIB LO Giba Tamatta sarda GES IN Gesico Tamatta sarda (rosa) GES RS Gesico Tamatta siccada GES CO Gesico Pumatta antica LAE CO Laerru Tipu cirio LAE SM Laerru Galtell`ı De imbottigliare GAL SM Appimpirilloddi GAL AP Galtell`ı Kaki GAV K Gavoi Cuore GAV CB Gavoi Tamatta sarda GAV SA Gavoi Tamatta OLZ IN Olzai San Marzano BON SM Bonnannaro Costoluto BOS CO Bosa Marmande BOS MAR Bosa Supermarmande BOS SMAR Bosa Trematta CUG IN Cuglieri Tunda SCM TO Sc. Montiferro Tunda (A) VGS TOa VG Strisaili Tunda (B) VGS TOb VG Strisaili Tunda (C) VGS TOc VG Strisaili ’e prutone VGS SM VG Strisaili Tamatta SAD CO Sadali Ammelasa ammelasa SNG AMM SN Gerrei Cor ’e boi SNG CB SN Gerrei Kaki SNG K SN Gerrei Tommatis mannu MAM CO Mamoiada Kaki VNF Ka VN Franca Kaki 2 VNF Kb VN Franca Butirra (a pera) VNF PE VN Franca Cor ’e boi VNF CB VN Franca Cor ’e boi SAF CB S. Andrea Frius Tonda SAF TO S. Andrea Frius Sant’Isidoro 1 QUA MAR Quartucciu Sant’Isidoro 2 QUA CI Quartucciu Sant’Isidoro 3 QUA SM Quartucciu Groga de appiccai ESC GR Escolca Cor ’e boi ORI PB Oristano
Agr. custode (referente) Caragliu Ladoni Ladoni Mura Mura Mura Schirru Schirru Schirru Carta Carta Branca Fronteddu Satta Satta Satta Porcu Zamburri Anonimo Mannu Fadda Casule Cambula Seoni Seoni Seoni Seoni Deplano Porcu Porcu Porcu Solinas Caria Caria Caria Caria Serra Serra Piras (Agris) Piras (Agris) Piras (Agris) Atzeni (Agris) (CBV) continua...
3.1. MATERIALE VEGETALE
41
...continua
Variet` a Codice ` locali della Sardegna Varieta Tonda ESC TO Tondo VNFO TO Costoluto SES CO Tondo SOR TO Mallica MAL TO Broccolittu da mensa AGR BR Cuore di Bue piriciola AGR CBpi Cuore di Bue AGR CB Cor ’e boi BUR CB Cuore di Bue afesciara AGR CBafe Cor ’e boi afriscilonada AGR CBafr
Localit` a
Agr. custode (referente)
Escolca VN Forru Sestu Sorgono
(COOP (COOP (COOP (COOP (Agris) (Agris) (Agris) (Agris) (Agris) (Agris) (Agris)
Burcei
SM SM SM SM
di di di di
Pula) Pula) Pula) Pula)
` locali di diversa provenienza Varieta Cocktail ORT CK Ortisei A peperone BOLS PEP Bolsena San Marzano scatolato BLOS SM Bolsena Costoluto fiorentino FIO CO Canestrino LUC CAN Lucca Pantano romanesco BAV PR Bavicchi Scatolone BLOS SC Bolsena Cuor di Bue ALB CB Albenga Cuore di Bue COR CB Corsica
(CBV) (Univ. di (Univ. di (Univ. di (Univ. di (Univ. di (Univ. di (Univ. di (Univ. di
` commerciali di controllo Varieta Ailsa Craig AIC CI VFNT VNFT CI Chico III CHICO SM m82 M82 SC Tombola insalataro TOMB IN Tomowak Cuore di Bue TOM CB Murano Cencara MUR SM Shiren SHI CI Stratos a grappolo STR CI Elliot San Marzano ELL SM Super Precoce Marmande ING MAR Cuore di Bue ING CB Costoluto Genovese ING CO San Marzano Lampadina ING SM Rio Grande ING RG Principe Borghese ING PB
(Univ. di Viterbo) (Univ. di Viterbo) (Univ. di Viterbo) (Univ. di Viterbo) (Biomura - Arborea) (Biomura - Arborea) (Biomura - Arborea) (Biomura - Arborea) (Biomura - Arborea) (Biomura - Arborea) Ingegnoli Ingegnoli Ingegnoli Ingegnoli Ingegnoli Ingegnoli
Specie selvatiche S. pimpinellifolium S. l. var. cerasiforme
(Univ. di Viterbo) (Univ. di Viterbo)
SEL PIMP SEL CER
Viterbo) Viterbo) Viterbo) Viterbo) Viterbo) Viterbo) Viterbo) Viterbo)
CAPITOLO 3. MATERIALI E METODI
42
3.2
Analisi morfo-fenologiche
Le variet`a sopra descritte sono state valutate in campo, presso il Centro per la Conservazione e Valorizzazione della Biodiversit`a Vegetale (CBV) dell’Universit`a di Sassari, sito a Surigheddu, Alghero. Per la prova sono state adottate le comuni pratiche agronomiche per la coltivazione del pomodoro. In particolare, la semina `e stata effettuata a mano a met`a aprile su plateaux di plastica utilizzando, come substrato, comune terriccio; anche i trapianti sono stati effettuati a mano a met`a maggio, con una media di 5 piante per ogni accessione (2 di bordo e 3 da esaminare), per un totale di circa 360 piante disposte su 5 file. Per garantire condizioni di crescita favorevoli, sono state effettuate periodiche irrigazioni tramite impianto a goccia. Non sono state effettuate concimazioni e le infestanti sono state rimosse mediante sarchiatura. Inoltre, sono stati effettuati alcuni trattamenti contro le principali avversit`a biotiche (Tuta absoluta, Trialeurodes vaporariorum, afidi, acari, peronospora). I rilievi a cadenza bi-settimanale hanno riguardato tutte le piante escluse quelle di bordo, e sono iniziati con la registrazione della data di fioritura (primi di giugno) per poi proseguire con le diverse misurazioni previste (numero di fiori per infiorescenza, dimensioni fogliari, peso dei frutti, ecc.). La raccolta delle bacche mature `e iniziata a luglio sulle variet`a pi` u precoci, per terminare a met`a settembre. La caratterizzazione fenotipica ha previsto l’utilizzo di descrittori morfofenologici, prevalentemente basati sulle linee-guida dell’International Plant Genetic Resources Institute (IPGRI; http://www.bioversityinternational.org). I caratteri registrati includono sia descrittori fenologici e morfologici della pianta (es. tipo di infiorescenza, intervallo tra fioritura e maturazione, dimensioni fogliari) che descrittori del frutto (es. dimensione del frutto, colore, numero di logge). Essi si suddividono in quantitativi (variazione continua del dato) e qualitativi, sia ordinali (es. numero di logge) che nominali (es. colore e forma del frutto). L’elenco dei caratteri `e riportato in Tab. 3.2, un esempio dettagliato `e riportato in Fig. 3.2.
Tabella 3.2: Elenco dei descrittori IPGRI utilizzati per la caratterizzazione fenotipica delle variet` a analizzate. Varianti
IDV ITP
Portamento delle fogliole (Leaf attitude) Divisione della lamina fogliare (Leaf division of blade) Tipo di accrescimento della pianta (Plant growth type) Colore esterno del frutto (Fruit colour ) Spalla verde (Green shoulder ) Forma del frutto (Fruit shape)
LAT LDB PGT FCO GRS FSH
Forma della cicatrice pistillare (Shape of pistil scar ) Forma della zona stilare (Shape at blossom end) Forma della sezione trasversale (Fruit cross-sectional shape) Scatolatura (Puffiness) Numero di fiori per infiorescenza (Number of flowers per inflorescence) Numero di logge (Number of locules)
SPS SBE FSS PUF NFI NOL
1 = completa, 2 = con foglioline 1 = prevalentemente unipara, 3 = prevalentemente multipara, 2 = mista 3 = eretto, 5 = orizzontale; 7 = cadente 1 = pennata, 2 = bipennata 2 = determinato, 4 = indeterminato 1 = verde, 2 = giallo, 3 = arancione, 4 = rosa, 5 = rosso 0 = assente, 1 = presente 1 = appiattita, 2 = leggermente appiattita, 3 = arrotondata, 4 = arrotondata allungata, 5 = a cuore, 6 = cilindrica, 7 = piriforme, 8 = ellissoidale 1 = puntiforme, 2 = stellata, 3 = lineare, 4 = irregolare 1 = concava, 2 = appiattita, 3 = appuntita 1 = circolare, 2 = angolare, 3 = irregolare 3 = leggera, 5 = intermedia, 7 = elevata 3 = 2-4, 5 = 5-10, 7 = > 10 1 = 2, 2 = 2-3, 3 = 3-4, 4 = 4-6, 5 = > 6
Caratteri quantitativi Giorni alla fioritura dalla semina (Days to flowering from sowing ) Giorni alla fioritura dal trapianto (Days to flowering from transplantation) Intervallo fioritura-maturazione (Flowering-ripening interval) Lunghezza della foglia (Leaf lenght) Larghezza della foglia (Leaf width) Rapporto lunghezza/larghezza della foglia (Leaf length/width) Peso del frutto (Fruit weight) Lunghezza del frutto (Fruit length) Larghezza del frutto (Fruit width) Rapporto lunghezza/larghezza del frutto (Fruit lenght/width)
DTFs DTFt FRI LLE LWI LL/W FWG FLE FWI FL/W
43
Codice
3.2. ANALISI MORFO-FENOLOGICHE
Descrittore Caratteri qualitativi Tipo di sviluppo dellâ&#x20AC;&#x2122;infiorescenza (Inflorescence development) Tipo di infiorescenza (Inflorescence type)
44
CAPITOLO 3. MATERIALI E METODI
Figura 3.2: Esempio di descrittori IPGRI utilizzati nellâ&#x20AC;&#x2122;ambito delle analisi morfologiche: dallâ&#x20AC;&#x2122;alto veso il basso, forma del frutto (FSH), forma della sezione trasversale (FSS) e forma della zona stilare (SBE).
3.3. ANALISI MOLECOLARI
3.3
45
Analisi molecolari
L’estrazione del DNA genomico `e stata effettuata da 3 diverse piante per ciascuna variet`a, per un totale di 224 campioni. Il DNA `e stato estratto da foglie giovani prelevando circa 100-300 mg di tessuto per accessione e secondo il protocollo di estrazione di Doyle e Doyle (1987). La concentrazione e la purezza del DNA estratto sono state determinate attraverso lettura spettrofotometrica (GENEQUANT II; Pharmacia Biotech LTD). Tutti i campioni di DNA estratti sono stati conservati a −20 ◦ C. Considerato l’elevato numero di campioni, le analisi molecolari sono state eseguite su 40 accessioni e condotte con 10 marcatori SSR, di cui 5 Q-SSR e 5 NQ-SSR (Tab. 3.3). I dettagli sulle sequenze di ogni primer sono illustrati in Tab. 3.4. Ulteriori specifiche possono essere ritrovate in Mazzuccato et al. (2008). Per valutare il livello di polimorfismo dei primer `e stato effettuato un primo screening su 6 accessioni. Come genotipi test sono state utilizzate 3 variet`a locali e 3 variet`a commerciali scelte tra le pi` u diverse in base alle analisi morfologiche preesistenti. La reazione PCR `e stata eseguita su un volume finale di 20 µl contenente 25 ng di DNA genomico, 20 pmol di ognuno dei due primer (forward e reverse), 200 µM di dNTPs, 1,5 mM di MgCl2 , 1× di buffer e 1 U di Taq DNA polimerasi (Invitrogen, recombinant). Le amplificazioni sono state condotte usando la macchina per PCR Perkin-Elmer (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA), con un programma standard: un ciclo iniziale di 5 min a 94 ◦ C seguito da 30 cicli di 30 s a 94 ◦ C, 30 s a X ◦ C e 30 s a 72 ◦ C, pi` u 15 min a 72 ◦ C. X ◦ C si rifersice alla temperatura di annealing variabile per i diversi primer utilizzati (Tab. 3.4). I prodotti di amplificazione sono stati separati attraverso elettroforesi su gel denaturante di poliacrilammide al 6% (peso/volume) e visualizzati attraverso un protocollo di colorazione con nitrato d’argento (Bassam et al., 1991). Ogni individuo `e stato genotipizzato attraverso lo scoring delle bande utilizzando come riferimento un ladder con peso molecolare noto. Un esempio di pattern di amplificazione `e mostrato in Fig. 3.3.
CAPITOLO 3. MATERIALI E METODI
Tabella 3.3: Elenco e dettagli dei loci SSR scelti per le analisi. Locus
Codice primer
Cromosoma
TMS63 Tom59-60
6 18
1 3
EST253712 Tom236-237 TMS52 Tom162-163 LEMDDNa LE20592 EST245053 Tom47-48
8 20 2 19 15 10 7 17
6 9 12 1 5 11 1 3
Linkage con QTL per peso e/o forma del frutto fw1.1, sblk1.1, hrt1.1, nsf1.1, nfl1.1 fw3.1, ljfs3, sblk3.1, hrt3.1, fw3.2, nsf3.1, lcn3.1, nfl3.1 MF6a nsf9.1, nfl9.3 sblk12.1, nsf12.1, lcn12.1
Polimorfico nel presente studio SI SI SI SI SI SI SI SI SI NO NO
N. di alleli in letteratura (presente studio) 3 (5) n.s. (3) n.s. (3) 4 (3) 3 (5) 3 (2) n.s. (2) 4-7 (2) 4-7 (2) 2 (1) n.s. (1)
46
Codici QTLs: bell, forma â&#x20AC;&#x153;a peraâ&#x20AC;?; bpi, costolatura; fs, forma del frutto; fw, peso del frutto; hrt, forma a cuore; lcn, numero di logge; ljfs, forma del frutto estremamente allungata; MF, massa per frutto; nfl, fiori per infiorescenza; nsf, numero di semi per frutto; sblk, stem-end blockiness. n.s. = non specificato.
Codice 2
Sequenza 5’→3’ TTCTATCTCATTTGGCTTCTTC TTACCTTGAGAATGGCCTTG
Ta 55.0
Codice 18
Sequenza 5’→3’ TAACACATGAACATTAGTTTGA CACGTAAAATAAAGAAGGAAT
F R
6
GCAGGTACGCACGCATATAT GCTCCGTCAGGAATTCTCTC
8
Ta 48.0
F R
F R
60.0
19
TCTCAACCACTTAATCAATCTC CCCCAAGTAGCAACATAAATCT
F R
48.0
GAAATGAAGCTCTGACATCAAA TCATTGCTTGCATATGTTCATG
F R
55.0
20
GTTTTTTCAACATCAAAGAGCT GGATAGGTTTCGTTAGTGAACT
F R
47.0
10
CATTTTATCATTTATTTGTGTCTTG ACAAAAAAAGGTGACGATACA
F R
55.0
7
CCATTTAAATGACCCTATGCT AATCAAAAAGAATCTAAGCCCT
F R
58.0
15
ATTCAAGGAACTTTTAGCTCC TGCATTAAGGTTCATAAATGA
F R
54.5
17
CAAGTTGATTGCATTACCTATTG TACAACAACATTTCTTCTTCCTT
F R
48.0
3.3. ANALISI MOLECOLARI
Tabella 3.4: Elenco e sequenze dei primer utilizzati nelle analisi molecolari.
Ta = temperatura di annealing. F = forward, R = reverse.
47
CAPITOLO 3. MATERIALI E METODI
48
Figura 3.3: Esempio del pattern di amplificazione ottenuto con il primer Tom 236-237.
3.4
Analisi statistica dei dati
Il livello di diversit`a dei caratteri fenotipici `e stato determinato attraverso l’H di Nei (1973) utilizzando il software Popgen 32 v. 1.32 (Yeh et al., 1999). Il grado di correlazione tra caratteri morfologici `e stato valutato attraverso la correlazione di Pearson per i caratteri quantitativi, con la correlazione di Spearman per quelli qualitativi e con un’analisi ANOVA per il confronto tra le due tipologie di caratteri (JMP 7, SAS Institute Inc. 2002). La distanza tra variet`a `e stata valutata attraverso un’analisi cluster con il metodo WARD (JMP 7). Per determinare il numero di gruppi pi` u probabile in cui si suddivide la popolazione `e stata utilizzata un’analisi della varianza multivariata (MANOVA). Successivamente per determinare il criterio con cui gli individui si sono raggruppati nei diversi cluster, `e stata effettuata un’analisi ANOVA tra il numero di gruppi pi` u probabili e i diversi caratteri fenotipici. Per riassumere in modo pi` u sintetico i risultati dell’analisi cluster `e stata anche effettuata un’analisi delle componenti principali (PCA) attraverso il software JMP 7. I dati molecolari sono stati inizialmente utilizzati per determinare le principali statistiche descrittive attraverso il software Arlequin v. 3.5.1.2 (Excoffier e Lischer, 2010). Sono stati calcolati il numero di alleli osservati (na ), il numero di aplotipi, la diversit`a genica media (HE ; Nei, 1978) e la diversit`a genotipica (Inor ; Shannon e Weaver, 1949). Inoltre `e stata valutata la diversit`a genetica tra ed entro i due gruppi di variet`a (locali e commerciali) attraverso un’analisi AMOVA. Per delineare il raggruppamento degli individui sulla base dei loro genotipi a molteplici loci `e stato utilizzato il software Structure v. 2.3.1 (Pritchard et al., 2000; Falush et al., 2003, 2007; Hubisz et al., 2009). Tale software
3.4. ANALISI STATISTICA DEI DATI
49
permette di studiare se siano presenti gruppi genetici diversi nella collezione considerata. La stima del numero pi` u probabile di gruppi genetici (K) `e stata fatta seguendo la procedura di Evanno et al. (2005). Per le analisi sono state utilizzate le impostazioni di default (modello con admixture, frequenze alleliche correlate tra popolazioni, alpha dedotto dai dati e lambda = 1). Per ogni K sono state eseguite 20 ripetizioni (200.000 burn-in, 200.000 Monte Carlo Marchov Chain). L’attribuzione degli individui ai diversi gruppi genetici `e determinata dai coefficienti di attribuzione q (range tra 0 e 1). Ogni individuo sar`a assegnato al gruppo per il quale mostra il valore di q pi` u elevato. Per valutare se esista una diversa struttura morfologica tra i gruppi genetici ottenuti con Structure `e stata effettuata un’analisi di contingenza (JMP 7). Per identificare le probabili associazioni tra caratteri morfologici e molecolari sono stati utilizzati due test, il test non parametrico Kruskal-Wallis ed il test parametrico di regressione logistica implementato in Tassel, che tiene anche conto della struttura della popolazione. Per tale analisi, i dati morfologici quantitativi sono stati categorizzati in 5 classi di distanza definite sulla base della media (m) e della deviazione standard (σ) (Mazzucato, 1995): classe 1 < (m − 3/2σ) classe 2 ≥ (m − 3/2σ), < (m − 1/2σ) classe 3 ≥ (m − 1/2σ), < (m + 1/2σ) classe 4 ≥ (m + 1/2σ), < (m + 3/2σ) classe 5 ≥ (m + 3/2σ)
50
CAPITOLO 3. MATERIALI E METODI
Capitolo 4
Risultati 4.1
Analisi morfo-fenologiche
L’analisi della varianza ha mostrato dif- Tabella 4.1: Livello di diverferenze statisticamente significative tra i sit`a morfologica (H; Nei, 1973) osservata nei diversi individui genotipi della collezione per tutti i 24 analizzati. tratti morfo-fenologici analizzati (P < 0,001 per tutti i caratteri). Inoltre l’analisi di diversit`a (H ; Nei, 1973) ha evidenziato un livello di polimorfismo variabile per i caratteri investigati (Tab. 4.1), con valori di H compresi tra 0,08 (PGT) e 0,83 (FSH). L’analisi di correlazione tra i caratteri quantitativi ha evidenziato associazioni altamente significative tra i diversi caratteri analizzati (Fig. 4.1). In particolare la correlazione positiva (r = 0,46; P < 0,001) tra il peso del frutto (FWG) e l’intervallo maturazione-fioritura (FRI), `e confermata dall’associazione significativa e negativa (r = -0,33; P < 0,01) tra l’intervallo fioritura-maturazione (FRI) e il rapporto lunghezza/larghezza del frutto 51
Carattere DTFs DTFt FRI NFI IDV ITP LAT LLE LWI LL/W LDB PGT FWG FLE FWI FL/W FCO GRS FSH SPS SBE FSS NOL PUF
No. individui 75 75 75 75 75 75 75 75 75 75 75 75 81 81 81 81 81 81 81 81 81 81 81 75
H 0,34 0,73 0,69 0,64 0,35 0,60 0,63 0,67 0,70 0,74 0,12 0,08 0,70 0,72 0,72 0,69 0,64 0,47 0,83 0,62 0,41 0,57 0,65 0,53
CAPITOLO 4. RISULTATI
52
(FL/W), come mostrato in Fig. 4.1.
Figura 4.1: Correlazione tra i caratteri morfologici quantitativi analizzati. Colori diversi indicano valori di significativit`a differenti, come illustrato nella scala a lato. I valori di r sono indicati per le correlazioni significative. Le analisi di correlazione tra caratteri qualitativi (metodo Spearman) e lâ&#x20AC;&#x2122;analisi tra caratteri qualitativi e quantitativi (ANOVA) hanno mostrato risultati in linea con quanto riportato in altri lavori in cui sono state studiate caratteristiche morfo-fenotipiche in pomodoro (Mazzucato et al., 2008; Van der Knaap e Tanksley, 2003; Tam et al., 2005). In particolare, per quanto riguarda i dati morfologici e vegetativi della pianta, `e stato evidenziato che le foglie bipennate sono anche quelle che mostrano dimensioni maggiori (Tab. A.1, Appendice A). Un numero maggiore di fiori per infiorescenza (NFI) risulta associato a intervalli fiorituramaturazione (FRI) pi` u brevi e a minore dimensione delle foglie (Tab. A.1). Questo tipo di infiorescenza d`a generalmente origine a frutti piccoli, mentre infiorescenze miste o multipare a frutti di maggiori dimensioni. Il tipo di infiorescenza con foglioline `e in genere associato a dimensioni fogliari maggiori
4.1. ANALISI MORFO-FENOLOGICHE
53
(Tab. A.1). Per quanto riguarda i descrittori del frutto, nonostante i pattern di associazione tra i vari caratteri siano complessi (Tab. A.1 e Tab. A.2) `e stato possibile tracciare le linee guida di diversi morfotipi cui ascrivere le diverse variet`a analizzate (Fig. 4.2).
Figura 4.2: Rappresentazione dei morfotipi prevalenti basati sullâ&#x20AC;&#x2122;analisi contemporanea dei seguenti caratteri: colore del frutto (FCO), forma del frutto (FSH), forma della zona stilare (SBE), forma della cicatrice pistillare (SPS), forma della sezione trasversale (FSS) e peso del frutto (FWG). I numeri corrispondono alle possibili varianti elencate in Tab. 3.2. ` stato osservato che frutti di maggiori dimensioni sono in genere caE ratterizzati da forma appiattita o a cuore e da sezione irregolare, mentre dimensioni inferiori si riscontrano per frutti con forma â&#x20AC;&#x153;a peraâ&#x20AC;?, tondi, rotondeggiandi allungati (High rounded) o tipo San Marzano (Fig. 4.2). I frutti di dimensioni medio/elevate presentano spesso striature verdi, sono
CAPITOLO 4. RISULTATI
54
generalmente polposi (PUF basso), con base piatta o a volte concava (SBE uguale a 2 o 1 rispettivamente), cicatrice irregolare (SPS uguale a 4) ed hanno un maggior numero di logge (Fig. 4.2). I frutti di minore dimensione sono invece caratterizzati da assenza di striature verdi, base piatta e sezione rotondeggiante (es. Arraccadas di Ozieri) o base appuntita con sezione squadrata (e.g. pomodoro “Tipu cirio” di Laerru) (Fig. 4.2). Il numero di logge `e basso e la scatolatura del frutto pu`o essere pi` u o meno presente (Tab. A.1). Il colore dei frutti `e variabile: in genere Tabella 4.2: Risultati dell’analiil colore rosa `e associato alla forma a cuo- si ANOVA tra i 4 gruppi cluster e i caratteri fenotipici in esame. re mentre l’arancione `e prevalente nei frutti appiattiti o leggermente appiattiti (Fig. 4.2). I frutti rossi sono generalmente piccoli, a forma “kaki” (come definita dagli agricoltori) o allungati, come il San Marzano (Fig. 4.2). Sono anche presenti in collezione variet`a con frutti “fuori tipo” perch´e di colore giallo (a peperone) o rosa-aranciato (tondeggianti). L’analisi cluster ha permesso di evidenziare che in base ai 24 tratti morfologici in esame il dataset si divide in 4 gruppi principali (Fig.
4.3).
L’analisi MA-
NOVA ha mostrato che questa divisione `e prevalentemente determinata dall’intervallo fioritura-maturazione (FRI) ed il peso del frutto (FWG) (dati non mostrati). Osser-
Carattere NOL SPS FL/W FWI FSH FSS FWG LWI LLE ITP FLE SBE LAT FRI PGT LL/W FCO PUF DTFt GRS IDV LDB NFI
P <,0001 <,0001 <,0001 <,0001 <,0001 <,0001 <,0001 <,0001 <,0001 <,0001 <,0001 <,0001 0,001 0,003 0,005 0,005 0,036 0,059 0,060 0,085 0,102 0,141 0,389
R2 0,76 0,74 0,70 0,68 0,64 0,63 0,56 0,46 0,45 0,43 0,42 0,31 0,21 0,17 0,17 0,17 0,11 0,10 0,09 0,09 0,08 0,07 0,04
vando le variet`a incluse nei diversi gruppi si nota infatti che le variet`a dei gruppi 1 e 2 mostrano pesi maggiori e tempi di maturazione pi` u lunghi rispetto a quelle incluse nei gruppi 3 e 4 (Fig. 4.3). L’ANOVA (Tab. 4.2) ha inoltre mostrato che associazioni significative
4.1. ANALISI MORFO-FENOLOGICHE
55
Figura 4.3: Dendogramma ottenuto col metodo WARD utilizzando 23 marcatori morfologici su 75 variet`a (il valore DTFs non `e stato preso in considerazione perch´e non disponibile per alcune variet`a).
CAPITOLO 4. RISULTATI
56
esistono con altri caratteri, ad esempio il numero di logge (NOL), la forma della cicatrice pistillare (SPS), la forma della sezione del frutto (FSS) e la forma del frutto (FSH). Questo determina l’attribuzione di frutti con forme, colori o base del frutto diversi all’interno dello stesso gruppo (ad esempio, il gruppo 3 include S. pimpinellifolium ed un pomodoro a grappolo). Ci`o dimostra che la differenziazione tra variet`a `e dovuta a numerosi fattori che non possono essere facilmente sintetizzati. L’analisi delle componenti principali (PCA) riassume in modo pi` u sintetico il pattern evidenziato dall’analisi cluster. Infatti la maggior quota di variabilit`a spiegata dalla prima componente (PC1 = 27.6%) `e anche maggiormente associata a dimensioni e tempo di maturazione del frutto. La seconda componente (PC2 = 15,9%), pur facendo intravedere una ulteriore suddivisione del dataset, risulta meno definita rispetto alla prima. Come mostrato in Fig. 4.4, la PC1 suddivide le variet`a in due gruppi principali (rosa/blu vs. arancione/verde) che, come evidenziato nell’analisi cluster (Fig. 4.3 e Tab. 4.2), sono caratterizzati da LLE, LWI, FWG, FLE, FWI e FRI pi` u elevati (a destra) o pi` u bassi (a sinistra).
Figura 4.4: Diagramma ottenuto con l’analisi delle componenti principali (PCA). I colori ed i simboli che identificano le differenti accessioni sono gli stessi utilizzati in Fig. 4.3. Sono stati cerchiati gli individui appartenenti allo stesso gruppo.
4.2. ANALISI MOLECOLARI
4.2
57
Analisi molecolari
Dei 10 primer SSR utilizzati per le analisi molocolari, 8 sono risultati polimorfici e 2 monomorfici per un totale di 26 alleli rilevati. L’analisi dei dati `e stata effettuata su 34 individui in seguito all’esclusione dal dataset di 6 individui in cui vi era un numero elevato di dati mancanti. Le statistiche di diversit`a genetica sono state calcolate utilizzando sia i loci polimorfici (8) che quelli monomorfici (2) (Tab. 4.3). L’analisi ha mostrato un elevato livello di polimorfismo all’interno dei 2 gruppi (70,4% per le variet`a locali e 85,2% per quelle commerciali), un maggior numero di alleli privati nelle variet`a locali (6) rispetto a quelle commerciali (2) ma uno stesso livello di diversit`a genica media (HE = 0,30). Il numero di aplotipi condivisi tra i due gruppi `e pari a 2 e la diversit`a genotipica (Inor ) `e maggiore nelle variet`a commerciali (0,22) rispetto alle locali (0,13). Il valore di FST osservato tra variet`a locali e commerciali (0,09, P < 0,05) indica che soltanto il 9% della diversit`a genetica `e presente tra questi due gruppi, mentre la maggior percentuale di variazione (91%) `e osservabile all’interno di essi (Tab. 4.4). Tabella 4.3: Diversit` a genetica ottenuta con i dati SSR. Le statistiche sono state calcolate sia all’interno dei due gruppi varietali che sul totale delle variet`a. Tra parentesi sono indicati gli aplotipi condivisi tra i 2 gruppi. Gruppo
N. individui
Var. L Var. C
28 6
Loci polimorfici n. % 19 70,4 23 85,2
Totale
34
25
92,6
na
N. alleli privati
1,7 0,5
6 2
1,9
-
HE
N. aplotipi
Inor
0,30 0,30
totali 25 6
condivisi 3 (2) 0 (2)
0,13 0,22
0,28
31
5
0,12
Var. L = variet` a locali, Var. C = variet` a commerciali
L’analisi Structure `e stata condotta sia utilizzando gli 8 SSR polimorfici, sia analizzando separatamente i 5 Q-SSR ed i 3 NQ-SSR. I risultati delle tre analisi hanno evidenziato che il numero pi` u probabile di gruppi genetici presenti nella collezione `e 4. Dalle analisi effettuate sia con gli 8 SSR che con i 5 Q-SSR `e evidente una attribuzione molto simile dei vari individui ai
CAPITOLO 4. RISULTATI
58
Tabella 4.4: Risultati dell’analisi AMOVA (Analysis of Molecular Variance) per valutare la diversit` a molecolare SSR tra ed entro i due gruppi considerati (variet`a locali e variet` a commerciali). Fonte di variazione Tra gruppi Entro gruppi
g.l. 1 32
Devianza 3,46 56,19
Varianza 0,17 1,76
Totale
33
59,65
1,93
% di variazione 8,9* 91,1*
* = P < 0,05; ** = P < 0,01; *** = P < 0,001.
4 gruppi genetici, mentre l’analisi con i 3 NQ-SSR ha mostrato valori di q variabili e spesso non `e stato possibile attribuire con certezza gli individui ad alcun gruppo (dati non mostrati). Questo indica che un numero pi` u elevato di marcatori e di individui `e necessario per arrivare ad una descrizione pi` u approfondita della struttura genetica. In Fig. 4.5 sono mostrati per brevit`a soltanto i risultati dell’analisi Structure ottenuta con gli 8 SSR polimorfici. La Fig. 4.5 mostra che 14 individui su 34 sono attribuiti con valori di q molto elevati (q > 0,8) ad un unico gruppo genetico (6 individui al gruppo 1 e 7 al gruppo 4) mentre 20 individui mostrano una maggiore eterogeneit`a (valori di q variabili dal 40 al 60% prevalentemente per i gruppi 2 e 3). Questo dimostra una complessa struttura genetica della collezione e un livello di admixture per questi individui abbastanza elevato.
4.3
Analisi di associazione tra caratteri morfologici e molecolari
L’analisi di contingenza (Fig. 4.6) effettuata per verificare l’associazione tra gruppi genetici e gruppi morfologici ha evidenziato che i gruppi genetici 1 e 3 sono costituiti da individui provenienti da 2 differenti gruppi morfologici. In particolare, il gruppo genetico 1 `e principalmente costituito da individui con le caratteristiche morfologiche del cluster 2 (in sintesi, variet`a caratterizzate da frutti di dimensioni medie) ed alcuni individui del gruppo morfologico 4 (frutti piccoli). Il gruppo genetico 3 `e principalmente costituito da variet`a con caratteristiche associate al gruppo morfologico 1 e 2 (quindi intervalli di maturazione pi` u lunghi e frutti di maggior dimensione e peso). I gruppi
4.3. ANALISI DI ASSOCIAZIONE TRA CARATTERI MORFOLOGICI E MOLECOLARI 59
Figura 4.5: Risultato dellâ&#x20AC;&#x2122;analisi Structure: ogni individuo `e rappresentato da una sbarra orizzontale suddivisa in 4 segmenti di colori, diversi per ciascun gruppo. La lunghezza di ogni segmento `e determinata dal valore di q per il gruppo considerato (in ascissa sono indicati i valori di q). I codici utilizzati per le accessioni sono riportati nella Tab. 3.1.
CAPITOLO 4. RISULTATI
60
genetici 2 e 4 risultano invece pi` u eterogenei essendo costituiti da individui provenienti dai diversi cluster morfologici.
Figura 4.6: Risultato dell’analisi di contingenza che mostra l’associazione tra gruppi genetici e morfologici. Ogni colore fa riferimento ad un gruppo morfologico differente. Per verificare le associazioni marcatore-carattere fenotipico, sono stati utilizzati i metodi Kruskal-Wallis, che non tiene conto della struttura genetica, e Tassel, che invece ne tiene conto. L’analisi K-W ha rivelato un numero pi` u elevato di associazioni significative rispetto all’analisi Tassel che `e risultata di conseguenza pi` u conservativa (Tab. 4.5 Fig. 4.7). Come evidenziato da Mazzucato et al. (2008), il metodo K-W potrebbe in effetti nascondere dei falsi positivi ma non prenderle in considerazione potrebbe al contrario rivelarsi troppo conservativo e portare ad escludere associazioni potenzialmente interessanti in studi futuri. I risultati di questo studio mostrano che alcuni dei marcatori Q-SSR, che in letteratura sono correlati a QTL che controllano il peso o le dimensioni del frutto, confermano queste associazioni. Ad esempio il locus EST253712 che in letteratura `e associato alla dimensione e peso del frutto, in questo studio ha mostrato un’associazione significativa con il numero di logge (NOL), il peso del frutto (FWG) e il rapporto lunghezza/larghezza del frutto (FL/W). Il locus Tom 59-60 ha mostrato associazione con la lunghezza del frutto ed il numero di fiori per infiorescenza. Il locus Tom 236-237 ha mostrato associazione con il grado di scatolatura (PUF)(Tab. 4.5).
4.3. ANALISI DI ASSOCIAZIONE TRA CARATTERI MORFOLOGICI E MOLECOLARI 61
Tabella 4.5: Associazioni tra marcatori molecolari e caratteri morfologici ottenute con le analisi Kruskal-Wallis e Tassel. Per il locus LEMDDNa (NQ-SSR) non `e stata trovata alcuna associazione significativa. Tipo marcatore
Locus
Codice
Q-SSR
TMS63
6
EST253712
8
Tom 59-60 Tom236-237 TMS52
18 20 2
Tom162-163 LE20592
19 10
NQ-SSR
Associazioni significative K-W Tassel LLE**, FCO*, LLE** FWI*, LWI* NOL*, FWG * NOL**, FL/W** FWI* FSH*, FLE* FLE*, NFI* PUF* PUF*, FLE* FWI**, FWG* NFI**, FSH** FLE**, FL/W* SBE*
FWI*, FSH* FLE*
* = P < 0,05; ** = P < 0,01; *** = P < 0,001.
I marcatori NQ-SSR, anche se in misura inferiore, hanno anchâ&#x20AC;&#x2122;essi evidenziato delle associazioni con alcuni dei caratteri analizzati, tra cui dimensioni e forma del frutto. Solo per il locus LEMDDNa non sono state riscontrate associazioni (Tab. 4.5).
Figura 4.7: Percentuale di coppie marcatore-tratto significativamente associati (P < 0,05) cos`Äą come evidenziato dalle analisi Kruskal-Wallis (K-W) e Tassel. Ogni barra rappresenta la percentuali di associazioni tra caratteri morfologici e marcatori Q-SSR (in viola) o NQ-SSR (in verde).
62
CAPITOLO 4. RISULTATI
Capitolo 5
Discussione Le analisi effettuate sui 24 caratteri morfologici e gli 8 loci SSR hanno evidenziato che le variet`a locali di pomodoro collezionate in Sardegna sono caratterizzate da un elevato polimorfismo e da un buon livello di diversit`a, sia a livello fenotipico che molecolare (Tab. 4.1 e Tab. 4.3). L’analisi dei caratteri morfologici ha permesso di caratterizzare le variet`a e di tracciare una loro carta d’identit`a. Fatto importante e nuovo per le variet`a locali di pomodoro collezionate in Sardegna, che ne consente la distinguibilit` a e la tracciabilit`a in un’ottica di valorizzazione sia per un utilizzo immediato come produzioni tipiche locali, sia come fonte di geni utili in futuri programmi di miglioramento genetico per la costituzione di nuove variet`a. L’analisi contemporanea di pi` u caratteri ha permesso di evidenziare che nella collezione sono presenti alcuni morfotipi prevalenti. Nell’analisi cluster `e stato evidenziato che il pomodoro definito genericamente come “tamatta sarda” `e un frutto aranciato (a volte rosso) di dimensioni elevate (alcuni frutti possono arrivare fino a 700-800 g di peso) con elevato numero di logge, generalmente dalla forma appiattita che presenta spesso striature verdi. Il grado di scatolatura `e generalmente basso con base del frutto piatta (a volte concava) ed una cicatrice irregolare. La sezione di questi frutti `e generalmente irregolare. Frutti di elevate dimensioni (peso superiore ai 250 g) includono anche quelli a forma di cuore, di colore rosa, spesso con striature verdi con base 63
CAPITOLO 5. DISCUSSIONE
64
piatta o allungata ed una cicatrice irregolare. I frutti di dimensione media (peso compreso fra 100 g e 250 g) sono di forma variabile. Possono essere tondeggianti o a pera con colore rosso o aranciato. La forma della cicatrice `e di solito stellata o irregolare con base piatta. I frutti di minore dimensione sono anch’essi caratterizzati da forme diverse, rotondeggianti, a pera, squadrati o allungati tipo “San Marzano”. Le striature verdi possono essere assenti o presenti nei frutti rotondeggianti. La cicatrice `e spesso puntinata o a stella. Il numero di logge `e basso e la forma della sezione trasversale pu`o essere squadrata per i frutti allungati o rotonda per i frutti tondi o rotondeggianti. La scatolatura del frutto pu`o essere pi` u o meno assente. L’analisi cluster e delle componenti principali mostrano che le variet`a locali non sono chiaramente differenziate dalla variet`a commerciali su sola base morfo-fenologica. Sia nel grafico delle PCA che nell’analisi cluster queste ultime sono infatti distribuite tra gruppi diversi e all’interno dei gruppi, in prossimit` a di variet`a locali. Le principali statistiche descrittive su base molecolare (Tab. 4.3) hanno anch’esse evidenziato un interessante livello di diversit`a genetica nel gruppo delle 28 variet`a locali esaminate. Questo `e confermato dalla presenza, al loro interno, di un elevato numero di alleli privati (22%). Inoltre, dal confronto tra variet`a locali e commerciali `e stato evidenziato che la maggior quota di variabilit`a genetica `e presente all’interno dei gruppi piuttosto che tra i gruppi (Tab. 4.4). Dalle analisi molecolari `e emerso che 2 variet`a locali condividono lo stesso aplotipo con 2 diverse variet`a commerciali (SNG CB con ING CB e BOS SMAR con ING MAR, dati non mostrati), fatto che lascia supporre che ci` o che l’agricoltore di Bosa definisce “tipu marmande” `e in realt`a la variet`a commerciale Marmande, e lo stesso per la variet`a definita “Cor ’e Boi” dell’agricoltore di San Nicol`o Gerrei. Quando le analisi molecolari saranno estese ad un numero pi` u elevato di variet`a Cuore di Bue, consentiranno di valutare in modo pi` u preciso se questa relazione `e reale e se tutte le altre “Cor ’e Boi” in collezione siano uguali o diverse tra loro e/o
65
con le variet`a commerciali. L’analisi Structure condotta utilizzando gli 8 SSR polimorfici (5 Q-SSR e 3 NQ-SSR) ha evidenziato che i gruppi genetici 2 e 3 presentano un livello di admixture abbastanza elevato. Questo lascia intuire che la struttura genetica della collezione `e complessa e che l’analisi di un numero di marcatori e individui pi` u elevato consentir`a di aggiungere informazioni utili su di essa. Nonostante il numero di accessioni su cui `e stata effettuata l’analisi molecolare sia inferiore a quello per i rilievi morfologici ed il numero di marcatori debba essere ulteriormente incrementato, `e stato possibile definire un’associazione interessante (Mazzucato et al., 2008; San-San-Yi et al., 2008; Terzopoulos e Bebeli, 2010) tra caratteri morfologici e molecolari ed in linea con precedenti studi. Una delle critiche spesso riportate a riguardo degli studi di associazione `e il fatto che si possano trovare dei falsi positivi (associazioni tra caratteri fenotipici e marcatori molecolari in realt`a inesistenti) spesso determinati dal fatto che non `e stata definita la struttura genetica della collezione analizzata (Flint-Garcia et al., 2005). Per limitare gli errori dovuti al rilevamento di falsi positivi in questo studio, oltre all’analisi della struttura genetica, sono stati anche utilizzati alcuni marcatori molecolari di cui `e nota l’associazione con QTL sulla tipologia del frutto e alcune caratteristiche della pianta (Aranzana et al., 2005). I risultati hanno mostrato che questo approccio `e altamente efficace perch´e il numero di associazioni rilevate dai marcatori QSSR tende ad essere superiore a quella rilevata dai NQ-SSR e maggiormente associata ai caratteri del frutto. Inoltre il fatto che siano state trovate delle correlazioni tra alcuni caratteri morfologici e marcatori NQ-SSR potrebbe suggerire la presenza di altre associazioni degne di ulteriori indagini. I risultati di questo studio forniscono pertanto informazioni utili sulla scelta di marcatori e tratti morfologici per ulteriori studi di associazione che consentano di determinare il ruolo di alcuni QTL sulle variazioni fenotipiche dei genotipi prescelti. In questo modo sarebbe possibile ottenere dei preziosi strumenti per l’applicazione della Marker Assisted Selection (MAS) nel miglioramento genetico. In pratica risulta possibile selezionare i genotipi
CAPITOLO 5. DISCUSSIONE
66
individuando un marcatore molecolare strettamente associato al carattere di interesse. Come gi` a accennato, attraverso questo studio `e stato possibile tracciare una prima carta d’identit` a delle variet`a locali collezionate in Sardegna. Ulteriori dettagli sulle caratteristiche e sulla eventuale unicit`a di questi materiali potranno essere rivelati dall’estensione delle analisi di genotipizzazione a tutte le circa 80 accessioni in collezione. I risultati di tali analisi potranno avere riscontri significativi sia nell’attivit`a di miglioramento genetico che nell’identificazione delle variet`a locali sarde rispetto a quelle presenti in commercio.
Capitolo 6
Conclusioni Le analisi molecolari e morfologiche effettuate sulla collezione di variet`a locali di pomodoro ed altre variet`a usate come confronto, hanno mostrato un interessante livello di diversit`a. L’analisi contemporanea di pi` u caratteri ha permesso di tracciare le caratteristiche di tre diversi morfotipi prevalenti nella collezione, sebbene siano presenti alcuni fuori tipo (es. pomodoro giallo a forma di peperone o piccolo tondo di colore rosa/aranciato). In particolare gli studi sui caratteri morfologici hanno consentito di tracciare una carta d’identit` a preliminare delle variet`a locali collezionate in Sardegna. Questi risultati sono di particolare interesse in quanto, su base bibliografica, non risultano effettuate analisi genetiche e morfologiche approfondite su questi materiali. L’analisi della struttura genetica e l’utilizzo di marcatori molecolari associati a caratteri morfologici (tipologia del frutto e alcune caratteristiche della pianta) e non, hanno permesso di definire in modo efficace alcune interessanti associazioni con i caratteri fenotipici oggetto di questo studio. La bont` a di tali analisi `e stata confermata dal maggior numero di associazioni osservato tra Q-SSR e caratteri fenotipici rispetto ai marcatori neutrali. Inoltre, il riscontro di due coppie d’identit`a tra variet` a locali e commerciali sottolinea l’efficacia di questi studi e l’importanza di estendere queste analisi alle altre variet`a della collezione. Ci`o potrebbe infatti avere riscontri significativi per determinare l’eventuale unicit`a di questi materiali. I risultati del presente lavoro consentiranno in futuro di delineare la 67
68
CAPITOLO 6. CONCLUSIONI
distinguibilit` a e la tracciabilit`a di queste accessioni in unâ&#x20AC;&#x2122;ottica di valorizzazione sia per un utilizzo immediato come produzioni tipiche locali, sia come fonte di geni utili nei programmi di miglioramento genetico e in applicazioni della selezione assistita da marcatori per la costituzione di nuove variet`a.
Bibliografia [1] Aranzana, M. J., S. Kim, K. Zhao, E. Bakker, M. Horton, K. Jakob, C. Lister, J. Molitor, C. Shindo, C. Tang, C. Toomajian, B. Traw, H. Zheng, J. Bergelson, C. Dean, P. Marjoram, M. Nordborg M (2005). Genomewide association mapping in Arabidopsis identifies previously known flowering time and pathogen resistance genes. PLoS Genet, 1: 531â&#x20AC;&#x201C;539. doi:10.1371/journal.pgen.0010060. [2] Archak, S., J. L. Karihaloo, A. Jain (2002). RAPD markers reveal narrowing genetic base of Indian tomato cultivars. Curr Sci, 82: 1139â&#x20AC;&#x201C;1143. [3] Areshchenkova, T. (2000). Isolation, characterization and mapping of microsatellites from the tomato genome and their application in molecular analysis of centromeric regions. Ph.D. Dissertation, University of Sachsen-Anhalt, Germany. [4] Attene, G., M. Rodriguez (2008). Risorse genetiche di specie ortive della Sardegna. Euro Editrice. [5] Bai, Y., P. Lindhout (2007). Domestication and breeding of tomatoes: what have we gained and what can we gain in the future?. Annals of Botany, 100: 1085-1094. [6] Baldoni, R., L. Giardini (2001). Coltivazioni erbacee. Piante oleifere, da zucchero, da fibra, orticole e aromatiche. Patron Editore. [7] Barcaccia, G., M. Lucchin, P. Parrini (2000). Analisi del genoma mediante marcatori molecolari: i fondamenti metodologici. Riv. di Sem. El., 5: 5-15. 69
BIBLIOGRAFIA
70
[8] Barcaccia, G., M. Falcinelli (2005). Genetica e genomica. Miglioramento genetico. Liguori Editore. [9] Bassam, B. J., G. Caetano-Anoll´es, P. M. Gresshoff (1991). Fast and sensitive silver staining of DNA in polyacrylamide gels. Anal. Biochem., 196: 80-83. [10] Bell, C. J., J. R. Ecker (1994). Assignment of 30 microsatellite loci to the linkage map of Arabidopsis. Genomics, 19: 137-144. [11] Barabaschi, D., D. Guerra, K. Lacrima, P. Laino, V. Michelotti, S. Urso, J. Val`e, L. Cattivelli (2011). Emeging knowledge from genome sequencing of crops species. Mol Biotechnol, DOI: 10.1007/s12033-01194443-1. [12] Bianco, V. V., F. Pimpini (1990). Orticoltura. Patron Editore. [13] Bredemeijer, G., R. Cooke, M. Ganal, R. Peeters, P. Isaac, Y. Noordijk, S. Rendell, J. Jackson, M. S. R¨oder, K. Wendehake, M. Dijcks, M. Amelaine, V. Wickaert, L. Bertrand, B. Vosman (2002). Construction and testing of a microsatellite database containing more than 500 tomato varieties. Theor Appl Genet, 105: 1019–1026. [14] Broun, P., S. D. Tanksley (1996). Characterization and genetic mapping of simple repeat sequences in the tomato genome. Mol Gen Genet, 250: 39–49. [15] Brown, A. H. D. (2000). The genetic structure of crop landraces and the challenge to conserve them in situ on farms. In: Genes in the field. Onfarm conservation of crop diversity. Edited by Stephen B. Brush, 2000. International Development Research Centre and International Plant Genetic Resources Institute, pp. 29-48. [16] Brush, S. B. (2000). The issues of in situ conservation of crop genetic resources. In: Genes in the field. On-farm conservation of crop diversity. Edited by Stephen B. Brush, 2000. International Development Research Centre and International Plant Genetic Resources Institute, pp. 3-26.
BIBLIOGRAFIA
71
[17] Carelli, B. P., L. T. S. Gerald, F. G. Grazziotin, S. Echeverrigaray (2006). Genetic diversity among Brazilian cultivars and landraces of tomato Lycopersicon esculentum Mill. revealed by RAPD markers. Genetic Resources and Crop Evolution, 53: 395–400. [18] Ceccarelli, S., S. Grando, R. Tutwiler, J. Baha, M. Martini, H. Salahieh, A. Goodchild, M. Michael (2000). A methodological study on partecipatory barley breeding I. Selection phase. Euphytica, 111: 91-104. [19] Chable, V., I. Goldringer, J. Dawson, R. Bocci, E. Lammerts van Bueren, E. Serpolay, J. M. Gonzalez, T. Valero, T. Levillain, J. W. Van der Burg, M. Pimbert, S. Pino, C. Kik (2009). Farm seed opportunities: a project to promote landraces use and renew biodiversity. In: European landraces: on farm conservation, management and use. M. vetel¨ ainen, V. Negri, N. Maxted (eds). Bioversity Technical Bulletin No. 15. Bioversity International, Rome, Italy: 266-274. [20] Cherchi Paba, F. (1977). Evoluzione storica dell’attivit` a industriale agricola caccia e pesca in Sardegna. Cagliari, Fossataro. [21] De Candolle, A. P. (1883). Origine des plantes cultiv´ees. Librairie Germer Bailli`ere et Cie, Paris, pp. 75-76. [22] Dietrich, W., H. Katz, S. E. Lincoln, H. S. Shin, J. Friedman, N. C. Dracopoli, E. S. Lander (1992). A genetic map of mouse suitable for typing intraspecific crosses. Genetics, 131: 423-447. [23] Doebley, J. F., B. S. Gaut, B. D. Smith (2006). The molecular genetics of crop domestication. Cell, 127: 1309-1321. [24] Doyle, J. J., J. L. Doyle (1987). A rapid DNA isolation procedure for small quantities of fresh leaf tissue. Phytochemical Bulletin, 19: 11-15. [25] Duvick, D. N. (1986). Plant breeding:
past achievements and
expectations for the future. Economy Botany, 40: 289-297. [26] Duvick, D. N. (1996). Personal perspective plant breeding, an evolutionary concept. Crop Science, 36: 539-548.
BIBLIOGRAFIA
72
[27] Doganlar, S., A. Frary, S. D. Tanksley (2000). The genetic basis of seedweight variation: tomato as a model system. Theoretical and Applied Genetics, 100: 1267–1273. [28] Egashira, H., H. Ishihara, T. Takshina, S. Imanishi (2000). Genetic diversity of the ‘peruvianum-complex’ (Lycopersicon peruvianum (L.) Mill. and L. chilense Dun.) revealed by RAPD analysis. Euphytica, 116: 23–31. [29] Evanno, G., S. Regnaut, J. Goudet (2005). Detecting the number of clusters of individuals using the software STRUCTURE: a simulation study. Molecular Ecology, 14: 2611-2620. [30] Excoffier, L., H. E. Lischer (2010). Arlequin suite ver. 3.5: a new series of programs to perform population genetics analysis under linux and windows. Molecular Ecology Resources, 10(3): 564-567. [31] Falush D., M. Stephens, J. K. Pritchard (2003). Inference of population structure using multilocus genotype data: linked loci and correlated allele frequencies. Genetics, 164: 1567-1587. [32] Falush D., M. Stephens, J. K. Pritchard (2007). Inference of population structure using multilocus genotype data: dominant markers and null alleles. Molecular Ecology Notes DOI: 10.1111/j.14718286.2007.01758.x. [33] Flint-Garcia, S. A., A-C. Thuillet, J. Yu, G. Pressoir, S. M. Romero, S. E. Mitchell, J. Doebley, S. Kresovich, M. M. Goodman, E. S. Buckler (2005). Maize association population: a high-resolution platform for quantitative trait locus dissection. Plant J, 44: 1054–1064. [34] Frary, A., T. C. Nesbitt, S. Grandillo, E. Van der Knaap, B. Cong, J. Liu, J. Meller, R. Elber, K. B. Alpert, S. D. Tanksley (2000). fw2.2: a quantitative trait locus key to the evolution of tomato fruit size. Science, 289: 85–88.
BIBLIOGRAFIA
73
[35] Frary, A., S. Doganlar (2003). Comparative genetics of crop plant domestication and evolution. Turkish Journal of Agricultural Forestry 27: 59–69. [36] Frary, A., Y. Xu, J. Liu, S. Mitchell, E. Tedeschi, S. D. Tanksley (2005). Development of a set of PCR-based anchor markers encompassing the tomato genome and evaluation of their usefulness for genetics and breeding experiments. Theor Appl Genet, 111: 291– 312. [37] Garc´ıa-Gusano, M., S. Garc´ıa-Mart´ınez, J. J. Ruiz (2004). Use of SNP markers to genotype commercial hybrids and Spanish local cultivars of tomato. Tomato Genet Coop Rep, 54: 12–15. [38] Garcia-Martinez, S., L. Andreani, M. Garcia-Gusano, F. Geuna, J. J. Ruiz (2006). Evaluation of amplified fragment length polymorphism and simple sequence repeats for tomato germplasm fingerprinting: utility for grouping closely related traditional cultivars. Genome, 49: 648–656. [39] Gepts, P. (2003). Ten thousand years of crop evolution. In: Plants, genes and crop biotechnology (M. J. Chrispeels e D. E. Sadava ed.). Jones and Bartlett Publishers, Sudbury, MA., pp. 328-350. [40] Goodman, M. M. (1972). Distance analysis in biology. Syst. Zool. 21, 174–186. markers. Theor. Appl. Genet. 102, 157–162. [41] Grandillo, S., H. M. Ku, S. D. Tanksley (1996). Characterization of fs8.1, a major QTL influencing fruit shape in tomato. Mol Breed, 2: 251– 260. [42] Grandillo, S., H. M. Ku, S. D. Tanksley (1999). Identifying the loci responsible for natural variation in fruit size and shape in tomato. Theor Appl Genet, 99: 978–987. [43] Harlan, J. R. (1992). Crops and Man. American Society of Agronomy and Crop Science Society of America, Madison, WI, USA.
BIBLIOGRAFIA
74
[44] He, C., V. Poysa, K. Yu (2003). Development and characterization of simple sequence repeat (SSR) markers and their use in determining relationships among Lycopersicon esculentum cultivars. Theor Appl Genet, 106: 363–373. [45] Hubisz, M. J., D. Falush., M. Stephens, J. K. Pritchard (2009). Inferring weak population structure with the assistance of sample group information. Molecular Ecology Resources, 9: 1322-1332. [46] Larry, R., L. Joanne (2007). Genetic resources of tomato. In: Razdan M. K., Mattoo A. K., Genetic improvement of solanaceous crops. Vol. 2. Tomato. Enfield, N. H.: Science Publishers. [47] Liu, J., J. Van Eck, B. Cong, S. D. Tanksley (2002). A new class of regulatory genes underlying the cause of pear-shaped tomato fruit. Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA 99: 13302–13306. [48] Louette, D. (2000). Traditional management of seed and genetic diversity: what is a landrace?. In: Genes in the field. On-farm conservation of crop diversity. Edited by Stephen B. Brush, 2000. International Development Research Centre and International Plant Genetic Resources Institute. [49] Madau, F. A. (2010). Aspetti economici dell’agricoltura irrigua in Sardegna. INEA. [50] Maestrelli, A., G. Costa, M. Noferini, G. Fiori, D. Valentino, G. Tamietti, E. Sabatini (2007). Surveyng, characterization and improvement of local Italian tomato varieties for fresh market. Italus Hortus, 14(2): 74-84. [51] Mazzucato, A. (1995). Italian germoplasm of Poa pratensis L. I. Variability and mode of reproduction. J. Genet. & Breed., 49: 11-118. [52] Mazzucato, A., R. Papa, E. Bitocchi, P. Mosconi, L. Nanni, V. Negri, M. E. Picarella, F. Siligato, G. P. Soressi, B. Tiranti, F. Veronesi (2008).
BIBLIOGRAFIA
75
Genetic diversity, structure and marker-trait associations in a collection of Italian tomato (Solanum lycopersicum L.) landraces. Theoretical and Applied Genetics, 116: 657-669. [53] Miller, J. C., S. D. Tanksley (1990). RFLP analysis of phylogenetic relation- ships and genetic variation in the genus Lycopersicon. Theoretical and Applied Genetics, 80: 437–448. [54] Morgante, M., A. M. Olivieri (1993). PCR-amplified microsatellites as markers in plant genetics. The Plant Journal 3: 175-182. [55] Mullis, K. B., F. A. Faloona, S. J. Scharf, K. Saiki, G. T. Horn, H. A. Herlich (1986). Specific enzymatic amplification of DNA in vitro: the polymerase chain reaction. Cold Spring Harbor Symp. Quant. Biol., 51: 263-273. [56] Nei, M. (1973). Analysis of gene diversity in subdivided populations. Proc. Nat. Acad. Sci. USA, Vol. 70, No. 12, Part I: 3321-3323. [57] Nei, M. (1978). Estimation of average heterozygosity and genetic distance from a small number of individuals. Genetics, 89: 583-590. [58] Noli, E., S. Conti, M. Maccaferri, M. C. Sanguineti (1999). Molecular characterization of tomato cultivars. Seed Sci Technol, 27: 1–10. [59] Park, Y. H., M. A .L. West, D. A. St Clair (2004). Evolution of AFLPs for germplasm fingerprinting and assessment of genetic diversity in cultivars of tomato (Lycopersicon esculentum L.). Genome, 47: 510–518. [60] Peralta, I. E., S. Knapp, D. M. Spooner (2006). Nomenclature for wild and cultivated tomatoes. Tomato Genetics Cooperative Report, 56: 612. [61] Peralta, I. E., D. M. Spooner (2007). History, origin and early cultivation of tomato (Solanaceae). In: Razdan M. K., Mattoo A. K., Genetic improvement of solanaceous crops. Vol. 2. Tomato. Enfield, N. H.: Science Publishers, pp. 1–27.
BIBLIOGRAFIA
76
[62] Pimentel, D., C. Wilson, C. McCullum, R. Huang, P. Dwen, J. Flack, Q. Tran, T. Saltman, B. Cliff (1997). Economic and enviromental benefits of biodiversity. Bioscience, 47(11): 747-757. [63] Pimm, S. L., T. M. Brooks (1997). The sixth extinction: how large, where, and when?. In: P. H. Raven, T. Williams, Nature and Human Society. National Academy Press, Washington, D.C. [64] Pritchard, J. K., M. Stephens, P. Donnelly (2000). Inference of population structure using multilocus genotype data. Genetics, 155: 945-59. [65] Rick, C. M. (1976). Tomato, Lycopersicon esculentum (Solanaceae). In: Simmonds NW (eds) Evolution of crop plants. Longman Group, London, pp. 268–273. [66] Rick, C. M. (1978). The tomato. Scientific American, 239: 77-87. [67] Rick, C. M., R. T. Chetelat (1995). Utilization of related wild species for tomato improvement. Acta Horticulturae, 412: 21–38. [68] Robertson, L. D., J. A. Labate (2007). Genetic resources of tomato (Lycopersicon esculentum Mill.) and wild relatives. In: Razdan M. K., Mattoo A. K. (eds), Genetic Improvement of Solanaceous Crops (vol. 2): Tomato. Science Publishers, Enfield, NH, USA, pp. 25-75. [69] Rodriguez, M., D. Rau, R. Papa, G. Attente (2008). Genotype by environment interactions in barley (Hordeum vulgare L.): different responses of landraces, recombinant inbred lines and varieties to Mediterranean environment. Euphytica, 163: 231-247. [70] San-San-Yi, S. A. Jatoi, T. Fujimura, S. Yamanaka, J. Watanabe, K. N. Watanabe (2008). Potential loss of unique genetic diversity in tomato landraces by genetic colonization of modern cultivars at a non-center of origin. Plant Breeding, 127: 189—196. [71] Shannon, C. E., W. Weaver (1949). The mathematical theory of communication. University of Illinois Press, Urbana.
BIBLIOGRAFIA
77
[72] Singh, J. S. (2002). The biodiversity crisis: A multifaceted review. Current Science, 82: 638-647. [73] Smulders, M. J. M., G. Bredemeijer, W. Rus-Kortekaas, P. Arens, B. Vosman (1997). Use of short microsatellites from database sequences to generate polymorphisms among Lycopersicon esculentum cultivars and accessions of other Lycopersicon species. Theor Appl Genet, 94: 264–272. [74] Soressi, G. (1969). Il pomodoro. Edagricole, Bologna. [75] Soressi, G., A. Mazzucato (2010). Miglioramento genetico. In:
Il
Pomodoro, Ed. Script, Bologna: 392-407. [76] Suliman-Pollatschek, S., K. Kashkush, H. Shats, J. Hillel, U. Lavi (2002). Generation and mapping of AFLP, SSRs and SNPs in Lycopersicon esculentum. Cell Mol Biol Lett, 7: 583–597. [77] Tam, S. M., C. Mhiri, A. Vogelaar, M. Kerkveld, S. R. Pearce, M. A. Grandbastien (2005). Comparative analysis of genetic diversities within tomato and pepper collections detected by retrotransposon-based SSAP, AFLP and SSR. Theoretical and Applied Genetics, 110: 819 – 831. [78] Tanksley, S. D. (2004). The genetic, developmental and molecular bases of fruit size and shape variation in tomato. The Plant Cell 16: S181 – S189. [79] Tautz, D. (1988). Hypervariability of simple sequences as a general source for polymorphic DNA markers. Nucleic Acids Res. 17: 6463-6471. [80] Terzopoulos, P. J., P. J. Bebeli (2010). Phenotypic diversity in Greek tomato (Solanum lycopersicum L.) landraces. Scientia Horticulturae, 126: 138–144 . [81] Tesi, R. (1987). Principi di orticoltura e ortaggi d’italia. Edagricole.
BIBLIOGRAFIA
78
[82] Van der Beek, J. G., R. Verkerk, P. Zabel, P. Lindhout (1992). Mapping strategy for resistance genes in tomato based on RFLPs between cultivars: Cf 9 (resistance to Cladosporium fulvum) on chromosome 1. Theoretical and Applied Genenetics, 84: 106–112. [83] Van der Knaap, E., S. D. Tanksley (2001). Identification and characterization of a novel locus controlling early fruit development in tomato. Theoretical and Applied Genetics 103: 353–358. [84] Van der Knaap, E., S. D. Tanksley (2003). The making of a bell peppershaped tomato fruit: identification of loci controlling fruit morphology in Yellow Stuffer tomato. Theor Appl Genet, 107: 139– 147. [85] Villand, J., P. W. Skroch, T. Lai, P. Hanson, C. G. Kuo, J. Nienhuis (1998). Genetic variation among tomato accessions from primary and second- ary centers of diversity. Crop Science, 38: 1339–1347. [86] Walter, J. M. (1967). Heredity resistance to disease in tomato. Annual Reviewers, 5: 131–160. [87] Warren, G. F. (1998). Spectacular increases in crop yields in the United States in the twentieth century. Weed Technology, 12: 752-760. [88] Williams, C. E., D. A. St. Clair (1993). Phenetic relationships and levels of variability detected by restriction fragment length polymorphism and random amplified polymorphic DNA analysis of cultivated and wild accessions of Lycopersicon esculentum. Genome, 36: 619–630. [89] Yeh, 1.32.
F. C.,
R. Young,
Microsoft
tic analysis.
T. Boyle (1999). Popgene,
Windows-based
University
of
freeware
Alberta,
for
popultaion
Edmonton.
version gene-
Avaiable
at:
http://www.ualberta.ca/ fyeh/index.htm. [90] Yi, S. S., S. A. Jatoi, T. Fujimura, S. Yamanaka, J. Watanabe, K. N. Watanabe (2008). Potential loss of unique genetic diversity in tomato landraces by genetic colonization of modern cultivars at a non-center of origin. Plant Breeding, 127: 189—196.
BIBLIOGRAFIA
79
[91] Zamir, D. (2008). Plant breeders go back to nature. Nature Genetics, 40: 269â&#x20AC;&#x201C;270.
80
BIBLIOGRAFIA
Appendice A
Materiali supplementari
81
APPENDICE A. MATERIALI SUPPLEMENTARI
Tabella A.1: Valori di R2 e significativit`a dell’analisi ANOVA tra i caratteri qualitatitivi e quelli quantitativi.
NFI IDV ITP LAT LDB PGT FCO GRS FSH SPS SBE FSS NOL PUF
DTFs 0,11 0,00 0,06 0,02 0,00 0,00 0,01 0,01 0,17 0,11 0,00 0,06 0,11 0,08
DTFt 0,18** 0,00 0,03 0,07 0,04 0,00 0,05 0,00 0,28** 0,12 0,01 0,04 0,08 0,08
FRI 0,15* 0,04 0,11* 0,06 0,03 0,05* 0,10 0,04 0,25** 0,15* 0,03 0,10 0,23** 0,03
82
* = P < 0,05; ** = P < 0,01; *** = P < 0,001.
LLE 0,12 0,06* 0,02 0,07 0,22*** 0,01 0,09 0,01 0,32** 0,14* 0,02 0,06 0,21** 0,02
LWI 0,13* 0,01 0,01 0,02 0,12** 0,04 0,11 0,02 0,29** 0,15* 0,02 0,07 0,19** 0,04
LL/W 0,07 0,00 0,01 0,02 0,00 0,05* 0,06 0,03 0,11 0,10 0,00 0,06 0,08 0,03
FWG 0,13* 0,03 0,35*** 0,07 0,00 0,04 0,09 0,11** 0,61*** 0,59*** 0,05 0,52*** 0,63*** 0,13*
FLE 0,18** 0,02 0,04 0,05 0,07* 0,00 0,13* 0,11** 0,61*** 0,07 0,21** 0,16** 0,20** 0,14*
FWI 0,21** 0,05 0,40*** 0,05 0,01 0,05 0,08 0,10** 0,74*** 0,63*** 0,07 0,58*** 0,76*** 0,12
FL/W 0,10 0,01 0,27*** 0,02 0,01 0,04 0,01 0,00 0,77*** 0,35*** 0,48*** 0,28*** 0,49*** 0,13*
Tabella A.2: Coefficienti di correlazione calcolati secondo il metodo Spearman per i caratteri qualitativi esaminati.
NFI IDV ITP LAT LDB PGT FCO GRS FSH SPS SBE FSS NOL PUF
NFI 1,00 -0,02 0,16 0,11 -0,06 -0,13 -0,04 0,03 -0,05 0,04 -0,10 0,07 -0,11 -0,05
IDV -0,02 1,00 0,14 0,16 0,02 0,11 -0,06 -0,06 0,04 0,19 -0,10 0,17 0,28** 0,16
ITP 0,16 0,14 1,00 0,10 0,09 0,21 -0,14 0,35** -0,39*** 0,56*** -0,21*** 0,67*** 0,70*** 0,02
LAT 0,11 0,16 0,10 1,00 0,19 0,15 -0,28** 0,21 0,29** 0,25* 0,03 0,22 0,17 -0,08
LDB -0,06 0,02 0,09 0,19 1,00 -0,05 -0,19 0,08 0,16 -0,01 0,09 0,00 0,02 -0,02
PGT -0,13 0,11 0,21 0,15 -0,05 1,00 -0,05 0,15 -0,17 0,22 -0,23* 0,14 0,24* 0,03
FCO -0,04 -0,06 -0,14 -0,28 -0,19 -0,05 1,00 -0,05 -0,12 -0,20 -0,10 -0,17 -0,16 -0,15
GRS 0,03 -0,06 0,35 0,21 0,08 0,15 -0,05 1,00 0,01 0,25* -0,04 0,36** 0,28* -0,02
FSH -0,05 0,04 -0,39 0,29 0,16 -0,17 -0,12 0,01 1,00 -0,49*** 0,40 -0,26* -0,44*** 0,19
SPS 0,04 0,19 0,56 0,25 -0,01 0,22 -0,20 0,25 -0,49 1,00 -0,28** 0,68*** 0,84*** -0,07
SBE -0,10 -0,10 -0,21 0,03 0,09 -0,23 -0,10 -0,04 0,40 -0,28 1,00 -0,31** -0,33** 0,07
FSS 0,07 0,17 0,67 0,22 0,00 0,14 -0,17 0,36 -0,26 0,68 -0,31 1,00 0,75*** 0,23*
NOL -0,11 0,28 0,70 0,17 0,02 0,24 -0,16 0,28 -0,44 0,84 -0,33 0,75 1,00 0,07
PUF -0,05 0,16 0,02 -0,08 -0,02 0,03 -0,15 -0,02 0,19 -0,07 0,07 0,23 0,07 1,00
* = P < 0,05; ** = P < 0,01; *** = P < 0,001.
83
84
APPENDICE A. MATERIALI SUPPLEMENTARI