Il teatro vernacolare sassarese

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A.D. MDLXII

U N I VE RS I T À

D E G LI S TU DI D I S AS S A RI D IPARTIMENTO DI S TORIA , S CIENZE DELL ’U OMO E DELLA F ORMAZIONE (E X F ACOLTÀ DI L ETTERE E F ILOSOFIA ) ___________________________

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DEI BENI CULTURALI INDIRIZZO ETNOANTROPOLOGICO E AMBIENTALE

IL TEATRO VERNACOLARE SASSARESE

Relatore: PROF. MARIA MARGHERITA SATTA

Tesi di Laurea di: ANGELA COSSU

ANNO ACCADEMICO 2011/2012



Indice

Introduzione

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1. L'antropologia culturale e lo studio del teatro

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2. L'Ottocento sardo in letteratura

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2.1. Il risveglio della coscienza storica

7

2.2. Scrivere in lingua sarda

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3. Teatro e letteratura a Sassari

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3.1 L'influenza di Enrico Costa

11

3.2 Il Novecento sassarese e le origini del teatro vernacolare

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3.3 Il silenzio della parlata dialettale e del suo teatro

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4. Il teatro sassarese oggi

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4.1. La ripresa del teatro vernacolare sassarese e i suoi esponenti

22

4.2. Compagnie di Teatro Vernacolare presenti a Sassari

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4.3. Interviste ai rappresentanti delle compagnie

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4.3.1. Paco Mustela

28

4.3.2. La Quinta.

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4.3.3. Teatro Latto Dolce

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4.3.4. Teatro dell'Arca

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4.3.5. Compagnia La Frumentaria.

45

4.3.6. Compagnia Teatro Sassari

49

4.4.1. Me' Niboddi Clotilde

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4.4.2. Mar'a muri

56

4.4.3. Me' figlioru Palmiro Simone

60

4.4.4. Tre occi vedini megliu di dui

64

4.4.5. Lassa fa' a lu cabaglieri

70

4.4.6. Farendi in Turritana

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5. IdentitĂ , lingua e teatro sassarese

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Conclusioni

83

Ringraziamenti

88

Bibliografia

90


Introduzione

Il presente lavoro esamina il fenomeno delle rappresentazioni teatrali in vernacolo a Sassari, allo scopo di ricercarne, con gli strumenti dell'antropologia culturale, le origini e di rintracciare le trasformazioni avvenute nel tempo. Occorreva, infatti, indagare le cause, che, nonostante il fortunato esordio avvenuto nel lontano 1917 (e ad eccezione di qualche replica rappresentata nel 1921 e intorno agli anni cinquanta), hanno portato ad un silenzio del teatro sassarese in lingua durato, prima che il genere venisse nuovamente riproposto al pubblico, sessant’anni. La seconda e più duratura fase del teatro in lingua sassarese riprese infatti nel 1977. In questo lavoro sono stati analizzati quali autori e personaggi si sono avvicendati nel rilancio del fenomeno preso in esame e, in particolare, quanto ha influito l’aspetto antropologico dell'ironia e dell'autoironia propri della società sassarese nella produzione letteraria, in particolare per quanto riguarda un curioso genere culturale di ambito satirico-giornalistico, la cionfra. Si è cercato poi di indagare quali sono le compagnie teatrali che si occupano di lingua dialettale, com’erano in passato e come sono ai nostri giorni e come la scrittura, che ha il difficile compito di interpretare graficamente un suono, possa avere ancora oggi difficoltà a mettere d’accordo tra loro gli stessi scrittori. Parte di queste curiosità si cercherà di soddisfarle attraverso la ricerca bibliografica, altre ancora verranno analizzate tramite la ricerca sul campo con interviste a persone impegnate nell’appassionante arte del teatro dialettale e il cui impegno, come vedremo in seguito, nella maggior parte dei casi non si limita al mero fine del divertirsi e far divertire.

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1. L'antropologia culturale e lo studio del teatro L'Antropologia Teatrale è lo studio del comportamento scenico pre-espressivo che sta alla base dei differenti generi, stili, ruoli e delle tradizioni personali o collettive. [E. Barba 1993:23]

Nel 1966, il regista teatrale Richard Schechner (1934) utilizzò per la prima volta il termine antropologia teatrale in un saggio intitolato “Approaches to Theory/Criticism” contenuto nella rivista statunitense Tulane Drama Review. Nell'articolo,

Schechner

correlava

la

performance

teatrale

alle

forme

performative prima d'allora mai pensate come appartenenti alla stessa sfera artistica, come i giochi, i riti o lo sport. Si deve all'italiano Eugenio Barba (1936) la formulazione di un preciso metodo d'indagine nel campo dell' “antropologia teatrale” grazie alla fondazione, nel 1979, dell' “International School of Theatre Antropology”. Barba sostiene che non vi sono differenze tra un attore e un danzatore, così come tra teatro e danza, in quanto entrambi rappresentano l'uomo che si muove in uno spazio organizzato. Nello specifico, Barba (1993:25) individua tre livelli di organizzazione del lavoro dell'attore: 1. la personalità dell'attore, la sua sensibilità, la sua intelligenza artistica, la sua individualità sociale che rendono il singolo attore unico ed irripetibile; 2. La particolarità della tradizione scenica e del contesto storico-culturale attraverso cui l'irripetibile personalità dell'attore si manifesta; 3. L'utilizzo del corpo-mente secondo tecniche extra quotidiane basate su principi-che-ritornano transculturali. Questi principi-che-ritornano costituiscono quel che l'antropologia Teatrale definisce il campo della preespressività. I primi due aspetti si riferiscono a ciò che l'uomo riesce a esprimere con la sua 2


intelligenza artistica e come, in senso del tutto individuale, egli si pone al fine della rappresentazione. Il terzo, nello studio transculturale, individua precisi punti comuni a tutti i teatri; infatti, pur mantenendo le proprie capacità naturali l'attore osserva quello che viene definito il bios scenico, ossia quell'insieme di tecniche particolari che rientrano nella utilizzazione della presenza scenica. Come afferma a questo proposito Franco Ruffini, siamo inclini a ritenere che l'attore, nella situazione extraquotidiana della rappresentazione, sia impegnato solo nel compito di esprimere (sentimenti, passioni, concetti, ecc.). L'antropologia teatrale, invece, ha individuato un livello che non appartiene al quotidiano ma che non si situa neppure direttamente al livello dell'espressione. É il livello preespressivo, in cui l'attore non esprime niente: possiamo dire, accettando questo bisticcio linguistico, che esprime solo la sua presenza. Questo livello, dunque, appartiene alla situazione extraquotidiana della rappresentazione, ma precede (logicamente se non cronologicamente) il compito (e l'esito) finale dell'espressione. (Ruffini 1986:5-6)

Barba fa notare come l'egocentrismo che spesso si riscontra nella ricerca sul campo per l'antropologia culturale sia presente anche nell'antropologia teatrale, dove la propria cultura sia cosa ovvia, ma invita a riflettere sulla trasformazione in positivo della teoria affermando che “lo spaesamento educa lo sguardo alla partecipazione e al distacco in modo da gettare nuova luce anche sul proprio "paese" professionale.” [Barba 1993:25] Scardinando la distinzione tradizionale fra teatro Orientale e teatro Occidentale, Barba stabilisce la differenza sulla base non tanto della differente posizione geografica, come l'accezione del termine farebbe pensare, bensì riferendosi all'orientamento naturale o di carattere tecnico dell'attore, proponendo termini più appropriati e inequivocabili e riferendosi ad un Polo Nord e un Polo Sud. L'attore del Polo Nord è colui che opera utilizzando le regole tecniche con cui si è formato in ambito teatrale, quindi osserva nella sua performance quell'insieme di tecniche di cui alcune sono mutuate da altra cultura. L'attore del Polo Sud invece inserisce nella performance tecniche artigianali, ossia originate in modo autodidatta secondo la sua capacità intellettiva e personale. Senza dubbio l'attore del Polo Nord opera seguendo quelle che Barba definisce convenzioni riducendo 3


così, oltre che il dispendio di energia, anche il limite della performance. L'attore del Polo Sud assume un impegno più profondo, poiché la sua autonomia è gravata da un carico di maggiore responsabilità; infatti nell'astrazione della teoria egli deve tener conto comunque delle convenzioni e allo stesso tempo costruire il suo progetto secondo il suo stile e le sue naturali attitudini. In campo antropologico-teatrale, l'energia che l'attore impegna nella rappresentazione è ritenuta fondamentale per il buon esito della performance. A questo proposito Barba cita un aneddoto relativo ad uno dei suoi viaggi di conoscenza e ricerca su altre culture: Quando ero in Giappone con l'Odin Teatret 1 mi chiedevo cosa significasse l'espressione otsukarasama con cui gli spettatori ringraziavano gli attori alla fine dello spettacolo. Il significato di questa espressione - una delle tante formule dell'etichetta giapponese, particolarmente indicata per gli attori – è: "ti sei molto stancato per me".[Barba 1993:31]

Tra le tante sfaccettature dell'energia nell'attore, Barba ne classifica la polarizzazione percettiva di due elementi: uno vigoroso, forte, animus, e l'altro morbido, delicato anima. Si potrebbe pensare a un'appartenenza di genere, come se il primo interessi la sfera maschile e il secondo quella femminile, se si considera che nel teatro fin dall'antichità non di rado l'attore maschio ha assunto il ruolo di un personaggio femminile e viceversa. Per animus e anima s'intende uno stato dell'energia impiegato nella performance, il valore dell'uno non pregiudica il valore dell'altro, ma assume valore in base alla capacità dell'attore nel dosarne l'utilizzo. Il significato del teatro sta alla base del movimento del corpo in uno spazio organizzato alla presenza di spettatori. Il teatro è la sede indiscussa per la riproposizione di un evento già vissuto, è il luogo dove l'uomo rappresenta l'uomo così com'è impostato nella società, l'Antropologia trova correlazione con il Teatro nel momento che precede la performance detto livello pre-espressivo, inteso come livello di organizzazione virtualmente separabile dal livello espressivo. Così cita lo studioso Marco De Marinis, traducendo la collega Patrice 1 Odin Teatret: compagnia multiculturale fondata a Oslo da E.Barba nel 1964 , uno dei punti di riferimento dell'arte teatrale dei nostri anni. 4


Pavis: L'antropologia trova nel teatro un terreno di sperimentazione eccezionale, poiché essa ha sotto gli occhi, degli uomini che giocano a rappresentare altri uomini. Tale simulazione mira ad analizzare e a mostrare in che modo questi si comportino in società. Mettendo l'uomo in una situazione sperimentale, il teatro e l'antropologia teatrale si danno i mezzi per ricostruire la microsocietà e per valutare il legame dell'individuo con il gruppo: come rappresentarsi meglio un uomo che rappresentandolo? [De Marinis 1999:99]

L'antropologo Victor Turner (1920-1983), porta alla luce un nuovo aspetto dell'antropologia del teatro: il simbolismo che viene rappresentato attraverso il rito. Ebbe modo di osservare, durante un lungo soggiorno nella società Ndembu in Rhodesia (oggi Zambia,) la struttura sociale, basata su un duplice sistema di discendenza matrilineare e virilocale. Tale sistema genera dei conflitti , dovuti al fatto che alla morte del capogruppo la sua successione sarebbe passata al figlio della sorella e non ai figli propri. La normale conseguenza porta, secondo Turner, ad una condizione conflittuale che per assurdo vede i figli del capogruppo accusati di stregoneria, al fine di essere intercettati dalla comunità nelle loro probabili rivendicazioni per la successione. Questo avrebbe portato nei casi estremi a sanguinose quanto inutili lotte, inutili perché la successione matrilineare è un fatto obiettivamente anomalo a rigore di logica, ma non lo è nella cultura della società presa in esame. Come Turner sostiene, per evitare una realtà drammatica che mette a rischio la sopravvivenza oltre che dei suoi membri anche quella degli stessi caratteri identitari del gruppo, si trasforma il dramma in rito, dove secondo un cerimoniale ben definito si rappresentano i valori su cui si fonda la vita sociale. Mediante l'uso dei simboli, infatti, i riti mettono soprattutto in gioco le concezioni del mondo, le rappresentazioni dei principi vitali e quindi dei valori sui quali si fonda la vita sociale. Turner studia il significato dei tre livelli del simbolismo presenti nella società Ndembu, classificandoli [Fabietti 2001:200] in: •

Livello esegetico: interpretazione locale del significato dei simboli, connessione tra i simboli e i loro significati (mettendo in chiaro che la visione che i membri di una cultura hanno di quest'ultima non coincide con quella dell'antropologo). 5


• •

Livello operazionale: per studiare i simboli l'antropologo deve quindi osservare come vengono utilizzati dai membri di una società. Livello posizionale: i simboli sono in grado di significare cose diverse in relazione al contesto della loro utilizzazione.

Non a caso, e come l'esperienza degli antropologi esaminati insegna, i primi a fondare una disciplina antropologico-teatrale sono stati gli uomini di teatro. Riassume efficacmente, a questo proposito, Piergiorgio Giacché: Colin Turnbull è stato coinvolto dal suo compagno di scuola Peter Broock nella messa in scena di “The Iks” (1974), spettacolo tratto dalla monografia The Mountains People, nella quale l’antropologo relazionava una sua lunga ricerca sul campo. Turnbull ha assistito alle prove come consulente, ma anche come stupefatto studente dell’efficacia del teatro come strumento di traduzione e di trasmissione della vita di una cultura che credeva di conoscere ma che, senza il teatro, non arriva a comprendere. La vicenda di Victor Turner è più nota e magari più autonoma, visto che comincia dalla sua nascita di “figlio d’arte”, e che prosegue con la sua famosa e preziosa “teoria del dramma sociale”, dichiaratamente e scandalosamente modellata sul teatro. Turner, che all’università si era messo ad allestire etnodrammi, avendo scoperto l’utilità didattica del teatro, è stato poi conquistato dalla “teoria della performance” del regista e ricercatore Schechner, senza la quale non sarebbe entrato nel merito e perfino nel metodo di una vera e propria scienza del teatro. Infine l’antropologa danese Kirsten Hastrup deve il suo cauto e sempre più preciso interessamento professionale al teatro, alla diretta messa in scena della sua vicenda personale, presa a pretesto o messa a far da schermo in uno spettacolo dal titolo a dal sapore auto biografico –“Talabot” (1988)- in cui Barba aveva voluto ripercorrere la combinazione tra l’arte e la vita, nonché riepilogare la Storia della seconda metà del vecchio secolo, passando per il tramite di una giovane “storia di vita”(Giacché 2004:7)

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2. L'Ottocento sardo in letteratura 2.1. Il risveglio della coscienza storica Il diciannovesimo secolo segna in tutta l'Europa un'importante punto di ripresa della coscienza storica e, in questo periodo, le storie nazionali formano un binomio importante con i temi del Romanticismo. Anche la coscienza dei Sardi non si sottrae a questo movimento e di fatto la Sardegna recupera l'esigenza di parlare della propria identità e di costruire il percorso storico isolano. Non sono mancati illustri personaggi ad animare questo appuntamento con la storia, basti ricordare i nomi di Giuseppe Manno, Pasquale Tola, Pietro Martini, Giovanni Spano, Giovanni Siotto-Pintor, Vittorio Angius, Ludovico e Faustino Cesare Baille. Interrogandosi sulle cause di questo movimento, lo storico Manlio Brigaglia afferma che il fenomeno si può attribuire al progresso della cultura isolana, le problematiche del nazionalismo coinvolgono la società sarda che vuole, attraverso la parola scritta dai suoi maggiori esponenti intellettuali, tracciare e rendere degno di nota il proprio profilo identitario. Un'esigenza culturale che si esprime attraverso un lavoro di indagine sulla vita e sulla storia dell'isola che riempie di sé la prima metà del secolo. In "In presenza di tutte le lingue del mondo", Giuseppe Marci analizza alcuni fatti storici che hanno profondamente influito sulla letteratura sarda del periodo, nel quale "i sovrani sabaudi, sbarcati un anno prima nell’isola dalla quale i piemontesi erano stati cacciati nel 1794, avevano praticamente portato a termine il processo di normalizzazione e ripreso le redini del governo." [Marci 2006:196]

Infatti Per i quattrocentomila abitanti della Sardegna si chiude uno scenario di 7


oppressione (talmente grave da portare, ribellioni come quella di Thiesi contro il duca dell’Asinara, cui fece seguito un feroce intervento della truppa), di miseria (dovuta alle ricorrenti carestie, la peggiore delle quali si verificò nel 1812, ma non furono certo lievi quelle del1 816 e sabaudo del 1817), di sistematica spoliazione fiscale (le richieste di nuovi donativi si susseguono con ritmo frenetico), di insicurezza del vivere (le spedizioni barbaresche erano all’ordine del giorno e assunsero, talvolta, dimensioni imponenti), di soggezione a norme (l’editto delle chiudende venne emanato nel 1820) che violano antiche consuetudini provocano un profondo senso di disagio nelle popolazioni. [Marci 2006:196] In questo periodo, inoltre Il legame che s’era stretto nel periodo angioyano, tra l’intellettualità autonomistica e le campagne antifeudali si spezzò e occorreranno molte generazioni per ricrearne, e solo parzialmente, le condizioni. Le popolazioni rurali, nel loro isolamento e nel loro mutismo politico, non rinunciarono a lottare, in forme disgregate primitive ma dure, per scrollarsi di dosso il peso esorbitante della feudalità, della proprietà terriera assenteista, dello sfruttamento forestiero, della burocrazia piemontese e subalpina. [Cardia 1999:174]

La cultura e la letteratura della Sardegna non possono che essere influenzate dagli avvenimenti del periodo, con la ripresa dell’interesse storico (in realtà, mai venuto meno, almeno a partire dal Cinquecento), che in questo periodo si fa più sistematico. Del resto il secolo diciannovesimo fu, un po’ dovunque in Europa, l’età delle grandi opere sistemiche delle monumentali storie nazionali e delle altrettanto corpose storie della letteratura che avevano la funzione di tracciare una sorta di autoritratto nel quale le singole nazioni potessero riconoscersi, specchiandosi in quelle caratteristiche che giudicavano essere la componente essenziale della loro immagine. [Marci 2006:196] Per cui Per un caso che non è poi tanto paradossale, a partire dalla metà del secolo, saranno in prevalenza i romanzieri a sostenere il bisogno, tutto politico, di ricostruzione e interpretazione della storia sarda intesa come storia di una terra e dei suoi abitanti, non come sequenza di informazioni riguardanti le potenze dominatrici: una posizione capace per certi versi, di anticipare visioni storiografiche moderne è, ad esempio, quella di Enrico Costa che sul finire del secolo afferma: “E’ inesatto quanto molti asseriscono: che la Sardegna non abbia storia. La storia ce l’ha, ma è ignorata o non fu scritta. Non vi ha popolo senza storia, e le storie si assomigliano tutte, poiché in fondo esse non compendiano che una serie di lotte, più o meno fortunate, fra oppressi ed oppressori, fra deboli e prepotenti. [Marci 2006:196/7] 8


2.2. Scrivere in lingua sarda Un altro importante aspetto nella questione sarda è dato dal bisogno di scrivere in lingua, facendo riferimento ad una grammatica di supporto, necessaria alla produzione letteraria. Fu il cagliaritano Vincenzo Raimondo Porru (1773-1836) con la pubblicazione di un Saggio di grammatica sul dialetto sardo-meridionale cui fece seguito il Nou dizionariu universali sardu-italianu. (1811) , ad aprire la strada. Se Porru ha prodotto una grammatica che interessa geograficamente l’area meridionale della Sardegna [Marci 2006:204], fu il canonico Giovanni Spano (1803-1878) ad esprimersi nei confronti della parlata in uso nel nord dell’isola, la lingua logudorese. Gli studi dello Spano portarono alla compilazione del vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo (1851-1852) e la Ortografia sarda nazionale, ossia grammatica della lingua logudorese paragonata all’italiana. La lingua sassarese, invece, come scrive il linguista Leonardo Sole, per effetto della dominazione straniera andò perdendo prestigio, a vantaggio delle lingue sostenute dal potere politico e dalle armi (come il catalano e lo spagnolo), o da quello culturale (come l’italiano), divenendo sempre più emarginata ed emarginante. Il sassarese poté per secoli conservare i suoi ampi spazi di comunicazione a tutti i livelli e per tutti i registri (non solo quelli popolari) anche tra le classi colte. Che fosse ancora nel secolo XIX la lingua delle classi popolari è dimostrato da uno dei rarissimi documenti, il primo in assoluto scritto in sassarese, come testimonia lo Spano, per volontà dell’arcivescovo Varesini, il quale intendeva non solo colmare la distanza linguistica e culturale tra le classi colte e il popolo dei fedeli, ma anche orientare in senso univoco la formazione religiosa dei sassaresi. Una sola verità “un solu faveddu” era questa la massima dell’arcivescovo e dell’anonimo traduttore del catechismo, che così motiva la sua introduzione del Brevi Catechismu.2 [Sole 2003:78] Oltre al primo testo in lingua sassarese voluta dall'arcivescovo Varesini, ha inizio un nuovo genere letterario. Lo propone Pompeo Calvia ( Sassari 18572 Sole 2003/78

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1919), uno tra i più notevoli della produzione dialettale isolana di tutti i tempi che, dopo essersi dedicato al romanzo storico con l'opera Rosa Quiteira, si dedicò con passione al genere poetico in dialetto sassarese. Centrale fu, per un periodo non breve della sua vita e della sua formazione culturale e umana, la figura del padre, vero archetipo di Mentore. Poeta scrittore e artista, osservatore sagace e ironico dei costumi sociali, fece parte del gruppo che, intorno a Enrico Costa e ai più giovani Sebastiano Satta, Luigi Falchi, Antonio Ballero animò la vita culturale sassarese. Calvia usa la postazione di lavoro, l’ufficio protocollo del Comune, come osservatorio privilegiato sul mondo, da cui prende ispirazione per tratteggiare le diverse varietà umane che compongono il microcosmo cittadino: "ministri e istrazzoni, mammi affligiddi e generali" (ministri, straccioni, madri afflitte e generali) sono i personaggi che affollano il suo Sassari Mannu. Tra i suoi migliori talenti letterari Sassari vanta l'autorevole figura di Salvatotor Ruju (1878-1966) che dopo la laurea in giurisprudenza conseguita a Sassari si trasferisce a Roma. Riprende gli studi universitari alla Facoltà di Lettere e contestualmente collabora con il giornale isolano per il quale scrive articoli di critica letteraria su La Nuova Sardegna. Ha l'opportunità grazie alla Deledda, di frequentare, inserendovisi con successo, i migliori ambienti culturali di quegli anni. Per ovvi motivi è necessario omettere il lungo elenco della produzione del Ruju ma è utile sapere che l'autore, nel 1921, quando era impegnato nella stesura di Le rime spirituali di suor Maria Rosalia Merlo, contemporaneamente coltiva la sua passione per il sassarese. Infatti, con la collaborazione di Giosuè Muzzo, attende alla redazione, nel 1955, del Supplemento al dizionario italiano-sassarese. Scrive in lingua sassarese, con lo pseudonimo di Agniru Canu le raccolte di versi Agnireddu e Rosina (1956) e Sassari veccìa e nòba (1957).

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3. Teatro e letteratura a Sassari

3.1 L'influenza di Enrico Costa Non è esagerato dire che, come esiste la questione sarda, ossia tutto ciò che è proprio, in termini politici, storici, culturali, letterari della regione, si può altrettanto dire della questione sassarese. A questo proposito, Sassari vede il suo personaggio chiave nella figura di Enrico Costa. Sembra logico citare Costa perché rappresenta il punto di massima espressione culturale per Sassari, che ha bisogno di affermare la sua presenza nel tessuto culturale sardo. Nel suo costante impegno volto alla ricostruzione della storia civica, Costa offre un panorama chiaro della società sassarese e con le sue opere traccia un profilo storico ben definito. Chi più d’ogni altro, interpretò lo spirito dell’Ottocento letterario sardo, e contribuì a plasmarlo dandogli forza di giungere fino al Novecento ancora capace di segnare con il suo timbro racconti e romanzi, fu il sassarese Enrico Costa. “ scrittore dilettante nel senso migliore della parola-afferma Manlio Brigaglia- svolse un’attività straordinaria instancabile, orientata e spesso dissipata in diverse direzioni. Da qui occorre partire per comprendere la personalità del Costa: dalla straordinaria latitudine dei suoi interessi che comprendono la storia e la geografia, il folklore e la musica, e naturalmente la letteratura. Nato nel 1841 (a Sassari dove morì nel 1909), il Costa esordì come autore teatrale e come poeta. Solo nel 1874 pubblicò la sua prima opera narrativa, il romanzo Paolina che, dopo l’iniziale edizione sassarese, nel giro di dieci anni fu ristampato due volte, nel 1875 a Genova e nel 1884 a Milano. (Marci 2006:231-2)

Costa risponde alla definizione di eclettico; un instancabile curioso, un grande artigiano-artista della

letteratura italiana. Non a caso, palesa la sua grande

soddisfazione quando ottiene, dopo vari tentativi, l'agognato incarico di archivista, per lungo tempo si muove nelle polverose stanze di Palazzo Ducale. In questa sede, l’incontro a volte casuale con altri scrittori divenne però fonte di 11


ispirazione per Costa di componimenti letterari in lingua dialettale per sé e per i colleghi con i quali si trovò a collaborare nella complessa macchina municipale. Dopo la riforma del Regolamento organico del 1883, la gestione dell’archivio municipale era stata sempre affidata, stando alle nomine e alle modificazioni della pianta organica del Comune, a personale amministrativo. L’archivio sembrava costituire una sorta di trampolino di lancio per altri più prestigiosi uffici, come l’Economato o la Tesoreria. La svolta avviene con la chiamata di Enrico Costa alla direzione della III Sezione della Segreteria Amministrativa dove viene affiancato da due applicati, un impiegato straordinario e dall’ufficiale d’ordine Pompeo Calvia. Dopo varie esperienze di lavoro che spaziano in ordine cronologico con cambio di indirizzo professionale ogni tre anni più o meno: a dieci anni lavora in un forno di pane che la madre possedeva a Cagliari, tornato a Sassari “il ragazzo di negozio” poi lo scritturale, il disegnatore presso una società francese operante in città nel settore delle infrastrutture ed anche presso il Catasto. L’impiego presso la Regia Tesoreria aveva affinato i suoi rudimenti in ragioneria, la disciplina gli consente di vivere più che dignitosamente con incarichi nel settore del credito sino alla fine del secolo. Dal 1865 al1873 lavora nella filiale sassarese della Banca Nazionale, poi alla neonata Banca Commerciale Sarda. Dal1879 al1882, passa a svolgere le funzioni di tesoriere reggente del Comune di Sassari per poi tornare presso la Banca Nazionale, la Banca Commerciale Sarda, la Banca Agricola Sarda dove resta fino al 1889. L’ultimo impiego creditizio lo svolge alla Cassa di risparmio di Sassari. Seguirono tre anni in cui fu regio commissario straordinario del comune di Buddusò poi delegato provinciale all'amministrazione dell’ospedale civile d’Ozieri. In tutto il suo fu un peregrinare (tra banche e banchette, così le chiamava), lungo trent’anni. Con una chiusura per così dire da manager pubblico. (Cau 2009:17)

Enrico Costa arriva all’Archivio Comunale di Sassari all’età di cinquant’anni. Più che di un approdo si potrebbe parlare di un ambito traguardo: egli raggiunse questa meta quando già veniva considerato una personalità nel contesto letterario sardo e, soprattutto, quale campo di ricerca migliore poteva desiderare, chi come lui, aveva fondato il fine delle sue opere alla ricostruzione dell'identità sassarese? Il suo compito di riordino delle carte civiche della città si rivela difficilissimo, in quanto lo stato del materiale cartaceo si presenta fatiscente per l’incuria e l’abbandono subito per lungo tempo. Si pensi che il Costa nel 1878 riportò alla

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luce trenta volumi, quasi tutti risalenti alla metà del ‘500 e del ‘600 che divennero polvere una volta maneggiati. Le testimonianze di Filippo Figari vedono Enrichetto (lo chiamavano cosi per la sua figura sottile) chiuso, per lunghe ore tutti i giorni, in stanze polverose piene di vecchi documenti da esaminare. Costa si interessò alla parlata sassarese riconoscendola come variante linguistica di derivazione italiana, concordando e a volte contrastando quanto già detto da studiosi suoi predecessori, fino ad arrivare alla conclusione che il sassarese conservava ancora nel XIV e XV secolo la struttura sintattica della lingua madre, nonostante avesse a più riprese subito una corruzione linguistica che, per vicinanza o per dominanza, si è verificata nel sassarese con il corso e il catalano. Afferma infine che il ceto medio e il patriziato sassarese non parlasse la lingua sarda, attribuendo ai sassaresi un'eccessiva e fuori luogo appartenenza all'italianità

nel suo

linguaggio

[Sole

2003]. Queste

affermazioni si

contrappongono a dati ormai risaputi, infatti è accertato che alcuni statuti di Sassari scritti ne1 1295 in latino vennero tradotti in volgare sardo nel 1316 solamente per essere meglio intesi nei borghi della curatoria, i cui abitanti parlavano la lingua del Logudoro. A tal proposito viene spontaneo pensare che nel nord-ovest della Sardegna in una piccola comunità stanziale originata da persone che dall'entroterra si avvicinava alle coste, si intraprese una relazione di scambio commerciale con Pisani e Genovesi per cui, come spesso accade, l'interazione linguistica volge a favore del gruppo dominante, considerando inoltre che il passare del tempo porta la comunità ormai ampliata per l'inurbamento delle popolazioni circostanti, a un'ulteriore corruzione della loro lingua sassarese. Sembrerebbe che il Costa si interessasse al sassarese solo per fini di studio atti alla ricostruzione della storia di Sassari, e la parlata locale non costituiva oggetto fondamentale alla sua produzione letteraria. Costa scriveva in italiano oltre che per il bisogno di far conoscere le sue opere fuori dall'isola [come nel romanzo d'appendice Paolina], anche per la preferenza linguistica che accordava 13


al sistema monarchico allora vigente. Pur non scrivendo in sassarese, Enrico Costa risente profondamente dell'influenza di uno dei due applicati avuti in affiancamento nella direzione della III Sezione della Segreteria Amministrativa, Pompeo Calvia. Scrive a questo proposito, nell'introduzione al volume "Enrico Costa" (2009,) Paolo Cau, direttore dell’Archivio Storico Comunale di Sassari: Oltre che nel rapporto col lavoro, i due (Calvia e Costa) erano sostanzialmente diversi anche sul piano umano e con differenti visioni della loro amata Sassari, dopo le repentine trasformazioni subite dalla città in campo economico e sociale: l’uno (Costa) proiettato verso un futuro portatore di progresso quanto l’altro (Calvia) era rivolto a un modello dejavou che affondava nelle radici contadine. (Cau 2009:20/1)

Eppure lo struggente sonetto Lu taulinu d’Enrichettu che Pompeo Calvia dedica a Enrico Costa di ritorno dall’accompagnamento funebre va ben oltre il ricordo, anche affettuoso, verso il superiore gerarchico: è l’ultimo saluto al caro amico e con lui all’incommensurabile atmosfera fondata sulla, per altri versi banale, condivisione degli spazi fisici di lavoro. Si potrebbe affermare senza tema di smentita che mai l’Archivio Comunale abbia potuto contare sulla presenza contemporanea in organico di due intellettuali così prestigiosi, prestati per così dire all’Amministrazione: senz’altro i più citati ai tempi nostri, talvolta male e a sproposito.

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3.2 Il Novecento sassarese e le origini del teatro vernacolare

Successivamente all'interesse che Calvia dimostra per la composizione in lingua dialettale altri personaggi si occupano del fenomeno. In ambito teatrale, la parlata sassarese viene messa in risalto grazie alla geniale pensata di Battista Ardau Cannas (Cagliari 1893, La Maddalena 1984). Il personaggio B.A.C. (iniziali e pseudonimo) ha rappresentato certamente una delle figure più singolari del teatro dialettale sassarese. La sua fama non si limitava solamente alla letteratura: impiegato del telegrafo, da autodidatta, nelle ore libere che il lavoro gli lasciava, prese a scrivere e a dipingere con lo pseudonimo di B.A.C.. Come scrittore fu poeta di buon livello e soprattutto autore di gustose commedie in sardo, si segnalò con le farse in sassarese, prima fra tutte Farendi in Turritana, rappresentata al Teatro Civico nel 1917, della quale fu regista. Dopo questa prima rappresentazione avvenuta nel 1917, pur non trattandosi di un silenzio totale, si può dire che il teatro in vernacolo sassarese e qualche replica del 1921, va incontro ad un forte rallentamento nella sua divulgazione. Due possono essere le cause: la prima lascia supporre che l'autore del fortunato esordio in vernacolo non si dedicasse esclusivamente al dialetto, ma anche ad altro genere letterario, la commedia sassarese poteva rappresentare una parentesi della sua carriera, si occupava anche di arte incisoria. La seconda ipotesi potrebbe attribuirsi alla censura, infatti per lo stesso periodo o poco dopo, non si è riusciti a reperire testi di questo genere relativi ad altri commediografi. Nonostante l'opera di Ardau Cannas avesse riscosso gran successo, la censura con probabilità scoraggiò altri autori ad inoltrarsi nella produzione di testi drammaturgici o farseschi in sassarese; costringendo così il fenomeno a cadere nell'oblìo per alcuni decenni. In "Censura teatrale e fascismo (1931-1944). La storia, l'archivio, l'inventario" (2004), a cura di Patrizia Ferrara, Paola Carucci scrive Durante il fascismo, a seguito della legge 6 giugno 1931, n.599 con la quale 15


il servizio di censura teatrale fino allora affidato alle prefetture, viene centralizzato in un Ufficio per la revisione teatrale presso il Ministero dell'interno, successivamente trasferito al Sottosegretariato per la stampa e propaganda, poi Ministero della cultura popolare tutte le opere destinate al teatro o alla radio, queste dovevano essere approvate dal Ministero dell'Interno, che poteva avvalersi di una commissione presieduta dal capo della polizia. Si constata come la censura fascista vada ad innestarsi su un sistema preesistente, modificandone a poco a poco i presupposti su cui su cui si era basato nel corso dei decenni. Permane la disposizione crispina circa la valutazione preventiva “sotto il riflesso della morale e dell'ordine pubblico”, ma le rappresentazioni teatrali e radiofoniche entrano nel progetto di propaganda di massa che utilizza la cultura a fini di educazione nazionale e di riorganizzazione del consenso. [Carucci in Ferrara 2004:VIII]

Infatti All'indomani del 28 ottobre 1922, le norme per regolamentare la censura teatrale erano ancora quelle emanate da Crispi nell'ormai lontano 1889. E nel 1926, il nuovo testo unico di pubblica sicurezza aveva confermato ancora una volta la delega ai prefetti in materia di morale e ordine pubblico degli spettacoli. Disposizioni più specifiche sui divieti da produrre vennero invece introdotte nel 1929, con l'obiettivo di uniformare i criteri di censura delle prefetture: (…) è vietata ogni rappresentazione: 1) che faccia l'apologia di un vizio o di un delitto o che miri ad eccitare l'odio e l'avversione tra le classi sociali; 2) che offenda, anche con allusioni, la sacra persona del Re Imperatore, il Sommo Pontefice, il capo del governo, le persone dei ministri, le istituzioni dello Stato oppure i sovrani o i rappresentanti delle potenze estere; 3) che ecciti nelle moltitudini il disprezzo nazionale o religioso o che possa turbare i rapporti internazionali [Carucci in Ferrara 2004:19]

Nell'inventario dei copioni sottoposti a censura di Patrizia Ferrara [Ferrara 2004:19] troviamo alcune opere presentate da Battista Ardau Cannas: • • • • •

Falange straniera, 1938. T/Commedia pp.37 (54/971) La scalata al paradiso, 1938. T/Commedia (54/966) L'aurora sul bivio, 1939. T/Poema drammatico. Respinto (594/11299) L'ombra, 1939. T/Dramma. (594/11301) L'orda,1939. T/Dramma. (594/11300). Si può notare come

nessuno fra i titoli elencati faccia riferimento a

espressione linguistica dialettale, inoltre il terzo punto

riporta la dicitura

"respinto", a riprova di quello che era il rigoroso sistema di controllo dell'Ovra,

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polizia segreta dell'Italia fascista dal 1930 al 1943 il cui compito era la vigilanza e la repressione di organizzazioni sovversive, giornali e gruppi di stranieri contro lo stato. Da queste informazioni, si ricava che Battista Ardau Cannas, durante il periodo fascista, fu costretto a scrivere in italiano commedie e drammi piccoloborghesi di non elevato livello, e collaborò con le riviste ”Il Nuraghe” e “Fontana Viva”. Nel secondo dopoguerra riprese con successo a scrivere in sassarese: di quegli anni sono “L’abbagliu” e “La ruina”. Battista Ardau Cannas rappresenta la figura chiave del teatro vernacolare sassarese, la sua personalità simpatica ed estroversa si può rilevare nell'intervista che seguirà. Proprio nell'intervista, dal tono della voce si capisce che l'autore di Farendi in turritana coglie, antropologicamente parlando, tutti i particolari, dalla gestualità alla mimica facciale, tipici dei sassaresi. Ne traccia, inoltre, un reale profilo di usi e costumi dei primi '900. Probabilmente nel suo modo di lavorare amava la perfezione che lo portava a fare delle verifiche sul suo stesso operato, l'aneddoto raccontato da Tino Grindi di seguito esposto conferma la supposizione: Si dice di lui……..durante le prime rappresentazioni si confondeva tra il pubblico del loggione (non si sa se per timidezza o per verificare l’autenticità delle scene), una di queste volte, si ritrovò al fianco uno spettatore che alla prima scena (quella in cui Jpiranza tenta di attizzare il carbone sul bracere…sbuffa perché non vi riesce…), sbotta dicendo: aggiu pagaddu pa’ vidè la commedia.. e m’acciappu a vidè lu chi v’è in carrera meja dugna di senza pagà nudda -Ho pagato per vedere la commedia e mi ritrovo a vedere ciò che c’è nella mia via, tutti i giorni, senza pagare nulla.

Teatro alla Radio: intervista a Battista Ardau Cannas B.A.C.3 [Link: www.sardegnadigitallibrary.it] B.A.C.- allora non so come…comee la gente ehh ascoltasse il teatro alla radio, certo oggi è uno dei modi per far avvicinare la gente al teatro attraverso la radio, è proprio questo della diretta. Io per esempio personalmente, se oggi mi chiedessero di farlo lo rifarei proprio il teatro alla radio, proprio nel teatro fuori dagli studi televisivi e gli studi radiofonici nel 3 La difficoltà audio non permette di individuare in modo corretto alcune parti del discorso, mi scuso anticipatamente con chi legge ciò che verrà riportato di seguito).

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senso che andrebbe… accompagnato…accompagnato da un commento, in qualche misura… da uno spettatore che ti guida ma che ci lascia tutto… diciamo sapore dei piani sonori che non sono quelli di uno studio radiofonico che non sono quelli allontanati e avvicinati dal microfono ma è un unico microfono che in qualche modo diciamo panoramico che prende i piani sonori così come sono, sa i piani sonori sono sempre costruiti allontanati-avvicinati (… si ode un canto lirico) giochiamo a fare il teatro.

- Professore…mi dica, noi abbiamo ripreso in mano, rispolverato la Sua Farendi in Turritana nel leggerla e nel farla recitare dai nostri amici dilettanti ci siamo divertiti moltissimo perché è rimasta talmente fresca, talmente viva che sembra scritta ieri, ma la cosa mi ha meravigliato di più è che Farendi in turritana sia stata scritta da un cagliaritano, perché Lei non è sassarese lei è cagliaritano. B.A.C.- la sorprenderà di più quando sentirà che Farendi in turritana è nata un anno e qualche mese dopo che io rivivevo a Sassari quando sono venuto a Sassari per me il sassarese era un po’ ostico, non ci capivo proprio niente, e stata la volontà di far della beneficenza eee.. Croce rossa ..una società josto, (una società di ginnastica)che esisteva allora che mi ha inclinato a visitare il solito lavoro in lingua e allora diciamo, facciamo del teatro dialettale..teatro dialettale… non-ne-esisteva e allora ci siamo messi d’impegno e lo abbiamo fatto in dialetto ma il dialetto di allora si parlava in puro…in purezza e la bellezza di sessant’anni fa’, perché la prima recita era datata il 13 maggio 1917 la bellezza di sessant’anni.

- Prof. Cannas….. mi spieghi come mai in un anno e mezzo di permanenza a Sassari Lei ha tirato fuori un sassarese che.. diciamo che forse è il più puro il più vero che ancora oggi riscontriamo. B.A.C.- ascolti.. quando si trattava della mia Sassari l’illuminazione era a gas e la notte non accendeva, eee la notte si camminava praticamente al buio con l’illuminazione del gas molto relativa e c’era questo fatto,quando l’operaio smetteva di lavorare si raccoglieva in gruppo..in massa sotto l’orologio del teatro civico, ora io potevo fermarmi tra i gruppi e prender nota e sentire..notare persino la differenze che potevano correre da quartiere e quartiere io sentivo tutte queste belle espressioni le raccoglievo proprio dalla bocca del prossimo…. del popolo io alla radio sono molto affezionato per un motivo molto semplice nel 1977 questa sede di Sassari ha allestito ha realizzato farendi in turritana che è un po’ un classico del dialetto sassarese era un testo che mancava dalle scene sassareseìi non meno di un…ventiventicinque anni quella trasmissione, continua Ardau Cannas, ha avuto il merito di farmi incontrare in questa città alcuni elementi che poi avrebbero costituito, dopo quel primo successo radiofonico le basi della compagnia teatro sassari quella compagnia che oggi è sicuramente fra le più grosse in Sardegna che da poco, dopo ventisei anni da attività ha avuto il piacere di essere riconosciuta da l ministero dello spettacolo come compagnia di innovazione linguistica appunto per il suo lavoro diciamo in ambito regionale e soprattutto con l’etnia regionale.

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In trasmissione viene poi invitato Aldo Cesaraccio, che così si esprime a proposito dell'uso della lingua sassarese in città: Era un punto d’orgoglio, parlare il sassarese nelle famiglie che si direbbero oggi famiglie bene, che allora si chiamavano lu signoriu famiglie aristocratiche e signorili, si parlava in dialetto, altrochè, si parlava il dialetto nell’università... professori, parlavano il dialetto gli avvocati il fior-fiore della cittadinanza sassarese eh….rispondeva allora alla qualifica generica degli intellettuali, l’amore per il dialetto ha permesso Battista Ardau Cannas di reiterarci, ecco reiterarci perché per noi era roba perduta dei tipi colti dal vivo, dell’autentica Sassari, della Sassari vecchia, la Sassari che fondava la sua vitalità su un binomio per me insostituibile che è quello del lavoro dei campi e dello studio, la campagna la vigna da una parte lu colleziu l’università dall’altra.

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3.3 Il silenzio della parlata dialettale e del suo teatro

Nonostante il lungo silenzio del teatro in vernacolo la popolazione sassarese non interrompe quel flusso di energia satirica che la contraddistingue, quel ridere di se', degli altri, di tutto e di tutti. Scrive a questo proposito Bruno Merella: "La satira a Sassari non è mai mancata anche negli anni del fascismo: aveva soltanto messo la sordina perché l'Ovra era in ascolto". [Bruno Merella, da appunti di T. Grindi]

La città di Sassari, negli anni cinquanta-sessanta del secolo scorso, esce dalla sua cinta muraria per espandersi in nuovi quartieri e borgate: Monte Rosello, Latte Dolce, Cappucini, Luna e Sole, Monserrato, Rizzeddu, S.Orsola, Li Punti, Ottava. Buona parte della società sassarese si trasferisce nei nuovi quartieri integrandosi alla nuova realtà, ma sono ancora tante le persone che abitano o frequentano il centro storico, ancora per un po' di anni vanno avanti le vecchie abitudini dei sassaresi di incontrarsi con i compagni nei circoli dopolavoro. La socializzazione aveva sede prevalentemente nell'asse che va da P.zza S.Antonio fino a P.zza D'Italia. Le viuzze ricche di vindioli (osterie) erano i punti di ritrovo di Porta S.Antonio e tutta la parte bassa del corso Vittorio Emanuele. La città inizia con fatica la sua ripresa economica, alcune corporazioni che pochi decenni prima costituivano il volano dell'economia sassarese si avviano al loro declino, ma ancora vivono per appropriarsi di alcune pagine di cultura cittadina. Infatti nei salotti sassaresi (vedi il bar “La gabbia" in P.zza Azuni) stanno a perfetto agio intellettuali, artigiani e agricoltori in quel teatro a cielo aperto che apre il suo sipario nelle ore serali, si parla di cronaca, di politica, di economia. In una strana alchimia fatta di intellettuali e giovani giornalisti, scrittori e politici, si sono scritte storie e aneddoti, caricature di figure tipiche; autentici spaccati di vita della Sassari “cionfraiola”. Un personaggio gallurese, ma sassarese di adozione, Mario Grindi, che già aveva collaborato come corrispondente al “Corriere dell'Isola” (quotidiano locale che chiuse i battenti negli anni '50), ebbe la brillante idea di fondare una 20


particolare testata

giornalistica improntata sulla satira cittadina, che non

difettava certamente di argomenti. La produzione della rivista era mutuata in senso finanziario da quelli che oggi potremmo chiamare sponsor pubblicitari, gli articoli non di rado venivano redatti da persone che già scrivevano per quotidiani locali e per ovvie ragioni si firmavano con pseudonimi. Gli articoli prendevano spunto da fatti accaduti in città e riguardavano figure che per una ragione o per l'altra saltavano agli onori della cronaca e che venivano immediatamente messi alla berlina con fare grottesco dagli anonimi giornalisti che simpaticamente definirei “i carbonari della cionfra”. La Cionfra va avanti a numeri unici non è quindi un periodico, ma si afferma lasciando un segno profondo nei ricordi dei sassaresi che all'epoca correvano in edicola appena il nuovo numero vedeva la luce. Le sue caricature erano il punto di forza del giornale, vera palestra per i giovani disegnatori che stanno per costruire un futuro di successi in campo artistico: Gavino Sanna (poi diventato pubblicitatrio di fama internazionale) che firma le vignette del primo numero. Ma anche altre matite felici lavorano alla cionfra, dopo cinquant'anni vanno tutti ricordati: Paolo Galleri, Nino Castangia, Armando Tanca, Eros Kara, Giuseppe Silecchia, Claudio Pulli, Tore Cau, Peppino Congiattu, Walter Sarritzu ecc. [Buno Merella da appunti di Tino Grindi]

“La cionfra” veniva pubblicato dal 1958 al 1965 , il numero di pagine era 24. Non si può ignorare che i suoi lettori attendessero con curiosità la sua uscita, infatti i sassaresi ancora risentivano degli effetti del dopoguerra, probabilmente la voglia di ridere e divertirsi, ancora assopita, veniva in parte appagata dal contributo che Mario Grindi ha saputo donare alla sua città di adozione.

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4. Il teatro sassarese oggi 4.1. La ripresa del teatro vernacolare sassarese e i suoi esponenti In una puntata di una fortunata serie radiofonica del 1976, ideata da Giampiero Cubeddu e Sergio Calvi e intitolata “Giochiamo a fare il teatro”, venne registrata “Farendi in turritana” di Battista Ardau Cannas. Questa idea di Cubeddu segna la ripresa della commedia sassarese, infatti il 14 ottobre 1977 si ha il debutto al Teatro Civico della commedia in due atti unici di Giovanni Enna “Tziu Luiginu e li tempi nobi”(zio Luigino e i tempi nuovi o moderni) e “Paj vinzì vi bò la sthumbadda” (per vincere ci vuole la testata). Giovanni Enna riapre la strada ad un fenomeno culturale particolarmente gradito alla società sassarese. Il consenso di pubblico persiste ancora oggi, anche se con qualche leggera flessione intorno agli anni Novanta, e si tratta comunque di un genere ancora attivo grazie agli autori che si sono impegnati nella produzione di testi in lingua. Della lunga lista ne citiamo alcuni che fanno parte della produzione in lingua sassarese, non si parlerà di autori o di opere dei quali sia stato tradotto e adattato testo da altra lingua. •

Giovanni Enna(1932-2004): uno dei più importanti commediografi sardi, i suoi lavori hanno quasi sempre un occhio rivolto a rinverdire la tradizione della città, si fanno apprezzare per la salacità delle battute, per l'intreccio e la costruzione dei dialoghi di cui Enna era un maestro indiscusso.

Cesarino Mastino (1904-1980): poeta finissimo e cantore della Sassari zappatorina, usa lo strumento del suo vernacolo, sapendo di parlare un linguaggio antichissimo. Afferma che una società deve conservare le sue tradizioni soprattutto attraverso la conservazione del Ricordiamo la commedia Lu patiu. 22

suo dialetto.


Leonardo Sole (1934): linguista semiologo, drammaturgo, critico teatrale, poeta. Specialista dei problemi linguistici delle minoranze, come linguista ha dato risposta risolutiva all'annoso problema delle origini della lingua sassarese Ha scritto molto sul teatro e dedicato numerosi saggi ai rapporti tra oralità e scrittura. Ricordiamo la commedia Lu viziu di masthr'antoni, Occi mei occi toi, Cumpari.

Nino Costa: noto come Mimo di Sassari, fu attore, cantante e pregevole pittore, il suo modello è fonte di ispirazione per alcuni registi di compagnie a tutt'oggi operanti a Sassari. Ricordiamo una delle sue commedie Eh lu gioggu

Gian Paolo Bazzoni: linguista e commediografo, ha pubblicato la raccolta di versi Cosi e passunàggi di Polthudòrra, il romanzo Una fabbrica di sogni e una decina di commedie in vernacolo sassarese, oltre a numerosi saggi sulla linguistica e la fraseologia della lingua turritana. Ricordiamo una delle sue commedie Lu ricattu

Fabrizio Ara e Alessandro Pulina: sono i due autori della tragedia sassarese in due atti La casa di li faddi (la casa delle fate) che ha vinto il primo premio Drammaturgia Sarda “Giampiero Cubeddu” (Sassari, 28 dicembre 2009). La trama della commedia, mai rappresentata, mette in luce un aspetto antropologico ricorrente nella società sassarese la vecchia credenza popolare identificata nel sortilegio, la maìa. Per questi autori, il dizionario di riferimento è di G.P. Bazzoni. Riporto di seguito il giudizio della commissione : L'intreccio è ben strutturato, l'impianto drammaturgico dimostra una scrittura teatrale corretta e un'ottima conoscenza della lingua sassarese. I dialoghi delle singole scene sono costruiti con una intelligente conoscenza teatrale. La precisa ricostruzione storica dimostra un'approfondimento antropologico della cultura identitaria sassarese. I personaggi sono ben delineati. Ottimo

L'opera degli autori Ara e Pulina per ovvie ragioni non è andata in scena, ma ritengo poco importante la mancata rappresentazione in quanto il testo,

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per la perfezione nei suoi aspetti tecnici (concordo in tutte le parti prese in esame dalla commissione) si presta senza dubbio ad una gradevole lettura della quale si può ammirare, come ad un'opera pittorica la precisione che gli artisti hanno saputo osservare nelle 103 pagine del componimento. Altri autori delle compagnie teatrali censite nel presente lavoro, vengono citati nel capitolo a loro dedicato, tenendo presente che per i propri testi ciascuno di essi ha scelto un dizionario di riferimento, infatti per chi è addentrato in materia di lingua sassarese è possibile riconoscere nei tre dizionari più accreditati lo stile che contraddistingue: Giosuè Muzzo e Salvator Ruju (1953); Vito Lanza (1980); Gian Paolo Bazzoni “Dizionario fraseologico sassarese-italiano” (2001), “Dizionario

fondamentale

sassarese-italiano”

grammatica” (2008).

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(2006)

e

“Vocabolario


4.2. Compagnie di Teatro Vernacolare presenti a Sassari PACO MUSTELA (amatoriale): guidata da Pierangelo Sanna è nata dallo scioglimento di una delle compagnie amatoriali storiche, “ Il nuovo sipario ‘78”, di cui il Sanna era direttore artistico e regista. Gli autori di riferimento erano Giovanni Enna, il poeta in lingua sassarese Mario Scanu, che curava le traduzioni delle opere di Eduardo De Filippo, e lo scrittore per ragazzi Franco Enna. LA QUINTA (amatoriale) diretta da Mario Olivieri ed Eleonora De Nurra, ha messo in scena diversi lavori legati al mondo della città vecchia, con una visione nostalgica della Sassari di una volta. “Sassari in casthurina” di Salvino Pischedda e “Giogli meju” di Elio Caria sono due testi emblematici, rievocativi di una Sassari legata alle tradizioni. Gli ultimi lavori rappresentati sono stati scritti da Mario Olivieri. Sono testi che si rifanno allo spirito della sassareseria e della cionfra. TEATRO LATTE DOLCE (amatoriale), nata intorno alla Parrocchia dei Salesiani grazie al lavoro di Ugo Niedda, che della compagnia è motore e anima, mette in scena testi scritti e diretti dallo stesso Niedda. I lavori, spesso di critica del costume, si fanno apprezzare per la loro comicità. Va riconosciuto inoltre al Niedda il merito di avvicinare i giovani di un quartiere, difficile e pieno di contraddizioni, al teatro. IL TEATRO DELL’ARCA (amatoriale) diretto da Mario Dettori e Silvana Ganga, mette in scena opere tradotte e ridotte nella versione in lingua sassarese di autori quali Gilberto Govi e Eduardo De Filippo. Da diversi anni, oltre ai drammaturghi menzionati, mette in scena le commedie di Gian Paolo Bazzoni di Porto Torres, poeta e fine studioso della lingua, nonché autore di un dizionario molto apprezzato sulla lingua sassarese e che come autore teatrale si contraddistingue per un umorismo intelligente dai risvolti amari e per una costruzione precisa e puntuale dei personaggi. LA FRUMENTARIA (amatoriale) diretto da Anna Porcheddu Santona ha come autore di riferimento principale uno dei più importanti commediografi sardi, 25


Giovanni Enna, che fu tra i fondatori della compagnia Teatro Sassari. Per La Frumentaria ha scritto diverse opere edite e inedite da Lassa fa’ a lu cabaglieri a La passioni sigundu lu d’affacu, da La cussenzia d’Odoricu a Z’è mancaddu lu ribiccu. Questi lavori, che hanno quasi sempre un occhio rivolto a rinverdire la tradizione della città, si fanno apprezzare per la salacità delle battute, per l’intreccio e la costruzione dei dialoghi di cui Giovanni Enna era un maestro indiscusso. COMPAGNIA TEATRO SASSARI (professionisti) diretta da Gian Piero Cubeddu, fu la prima a riaprire le scene sul teatro in lingua sassarese. Debutta il 14 ottobre 1977 al Civico di Sassari con due atti unici di Giovanni Enna: Tziu Luiginu e li tempi nobi e Paj vinzì vi bo’ la sthumbadda. Gianpiero Cubeddu riscopre l’antica tradizione delle “gobbule”4. Con la riscoperta delle “gobbule” nacque la collaborazione con Leonardo Sole che di qugli antichi canti fu lo scopritore insieme all’etno-musicologo Pietro Sassu. Alla Compagnia teatro Sassari la collaborazione con Leonardo Sole, senza dubbio il più importante drammaturgo sardo vivente, ha consentito un ulteriore crescita professionale permettendo il confronto con altre drammaturgie più articolate e complesse quali quella napoletana e quella siciliana, che hanno permesso la verifica scenica della variante linguistica sassarese. Ambiti di sperimentazione sono anche il fortunato filone del teatro di piazza, nato da una felice e geniale intuizione del regista Cubeddu che ha utilizzato come 4 Si tratta di filastrocche che venivano cantate per le strade in occasione del Natale del Capodanno dell'epifania e del carnevale. La produzione delle gobbule non è avvenuta solo per mano di illustri poeti come Salvator Ruju, ma ha trovato larga produzione da anonimi quanto modesti (in campo letterario) cittadini, tanto che per molti componimenti non si conosce l'autore, addiritura alcuni anziani si impegnavano ad insegnarle ai bambini, essi le utilizzavano come canti di questua nell'epifania per ottenere dolci e frutta secca presso le famiglie che andavano a visitare. Nella prima metà del '900 la società maschile sassarese nelle ore serali soleva riunirsi nei circoli, dove si beve e si discute, qui gruppi composti da lavoratori e intellettuali, organizzavano anche buone serate di cultura, il componimento “gobbulino” si creava più per spirito di divertimento che per voglia di affermarsi in campo poetico, forse per questo come si diceva prima, molte di queste filastrocche non portano firma. Le gobbule trovano riscontro nella poesia dialettale sono dei poemetti che esplicano i suoni della grafia sassarese e nel tempo è diventata interessante oggetto di ricerca per numerosi studiosi di fonetica del linguaggio sassarese.

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palcoscenico gli scenari naturali dei vecchi patii del Centro Storico e delle viuzze adiacenti, mettendo in scena due opere “Lu patiu” di Cesarino Mastino, cantore della Sassari “zappadorina” e Lu viziu di masthr’Antoni di Leonardo Sole Si è curato anche il filone della teatralità storica, cioè la rievocazione di fatti e personaggi che hanno fatto parte della nostra storia, ambientati nei luoghi in cui sono avvenuti. Si ricorda l’entrata trionfale di Giovanni Maria Angioj in città ricostruita secondo gli affreschi della sala Sciuti siti nel palazzo della Provincia, la feroce repressione perpetrata da piemontesi in piazza Tola nei confronti dei seguaci che furono torturati e impiccati, il matrimonio di Eleonora D’arborea con Brancaleone Doria ambientato nel centro storico di Castelsardo, il martirio di Proto Gianuario e Gavino, nella versione sassarese Andendi a Balai di Leonardo Sole, ambientata nelle rovine del palazzo di re Barbaro a Porto Torres. Ma la chiave di volta fu l’assunzione del Teatro Olimpia di Porto Torres, oggi completamente restaurato e intitolato ad Andrea Parodi dove fu costituito il “Centro permanente per la diffusione del teatro d’etnia” creando una struttura stabile che produce e distribuisce spettacoli di autori sardi. Partendo da questi presupposti si istituì il “Festival etnia e teatralità” in cui vengono ospitati gruppi teatrali, musicali e di danza che operano nell’ambito del recupero della cultura e dell’identità. Si ha informazione di altre compagnie teatrali a Sassari: alcune non è stato possibile contattarle, altre sono di formazione recente per cui non è stato possibile inserirle nella ricerca, mi scuso tuttavia con gli interessati a questo impedimento che nulla ha in comune con atteggiamenti discriminanti.

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4.3. Interviste ai rappresentanti delle compagnie

4.3.1. Paco Mustela La compagna amatoriale "Paco Mustela" è guidata da Pierangelo Sanna. Per un funzionario comunale con incarico in campo sociale, viene spontaneo interessarsi ed agire in quegli ambiti che nel quotidiano diventano fonte di ispirazione. Pierangelo Sanna, con titoli di scuola magistrale e da ragioniere e tanta esperienza in campo teatrale (proviene dalla compagnia Nuovo sipario '78). Riparte nel 2008 con una nuova formazione e un forte entusiasmo originato dalla voglia di produrre testi, recitare, dedicarsi al recupero di persone (le cui pratiche si trovano, per essere evase, tutti i giorni sulla sua scrivania), che vivono il disagio sociale, in particolare modo il suo impegno artistico si sviluppa prevalentemente

sul tema della malattia mentale. Si occupa di teatro, con

l’ausilio dei suoi familiari di cui una figlia specializzata in studi sociali. Sanna si propone al pubblico dando un nome non comune alla sua compagnia. Paco Mustela altro non è che una piccola frase che girava all’interno della sua famiglia nei discorsi familiari tra i componenti, è solo una formula, non ha un significato ben definito. Inoltre è obiettivo di Sanna unire la compagnia con l’ultima nata, che risponde al nome di Compagnia Teatro Instabile, dove si auspica anche la fluida interazione tra attori un po’ particolari e attori più comuni, spesso nel cast recitano persone portatrici di handicap la teatro-terapia è il fine che si pone la compagnia. P. Sanna è autore di buona parte dei testi che porta in scena, il suo modo di fare teatro opera una svolta rispetto a quello tradizionale, proprio perché gli attori formano un gruppo misto ed anche perché le scene si differenziano grazie all’introduzione di brani musicali e coreografie, che fino ad ora non venivano contemplate nel teatro sassarese. Inoltre la stessa commedia si può recitare nella versione sassarese ed in lingua italiana. Così Pierangelo Sanna descrive la nascita della propria compagnia: Allora dicevo che la nostra compagnia nasce nel 2008.. prima che venisse fondata la compagnia "Paco Mustela" era la compagnia "Nuovo sipario'78". 28


Compagnia che ha iniziato ad operare a Sassari nel 1978, appena dopo la Compagnia Teatro Sassari. Sipario ’78 compagnia di grandi tradizioni … abbiamo portato in scena oltre a testi ordinali del teatro sassarese, anche adattamenti e traduzioni dal teatro genovese di Gilberto Govi, il teatro napoletano, con riferimento al teatro di Eduoardo e Peppino de Filippo. Con la nuova gestione, la compagnia Paco mustela, ci siamo un pochino, come dire... abbiamo cambiato un po’ natura sociale dell’associazione, ci occupiamo di teatro sociale nel senso che…operiamo con delle convenzioni per esempio con la ASL di sassari nello specifico con il dipartimento di salute mentale, organizzando corsi di teatro terapia per persone con disabilità mentale, insomma utilizziamo il teatro anche come veicolo-terapia per quelle patologie.

- Dalle informazioni raccolte, risulta che la vostra compagnia si dirige ad una svolta nel fenomeno culturale del teatro sassarese, come, per esempio, l’introduzione di nuovi elementi nella rappresentazione, nello specifico brani musicali e danze, oltre naturalmente alla recita. Diciamo che…la novità sta soprattutto nei testi che stiamo approfondendo per portare in scena… perché non ci limitiamo più a fare i vecchi testi della sassareseria così come vengono interpretati, ma abbiamo preferito promuovere lo studio del linguaggio sassarese proprio perché non rimanesse una lingua ferma, quindi ci sono nuovi autori che stanno collaborando con noi…. che scrivono, io stesso scrivo degli spettacoli teatrali, tenendo conto della realtà di oggi di Sassari. Mentre prima si focalizzava l’attenzione sul centro storico oggi teniamo conto di quelle che sono le realtà periferiche della nostra città, ormai molto diversa da quella che veniva tramandata dai vecchi autori, per esempio Ardau Cannas, Giovanni Enna ecc. Noi insomma stiamo integrando il testo di parola con aspetti musicali addirittura coreografici, insomma stiamo cercando di evolverci nella nostra permanenza in ambito teatrale offrendo una diversificazione sul genere, nell’interesse del nostro pubblico che ci segue ormai da molti anni. In passato il teatro sassarese si rivolgeva al pubblico contadino, oggi quella realtà non esiste più se rimanessimo su quella dimensione finiremmo per ripetere storie già trattate , quindi stiamo cercando un pochino di rinnovare la nostra dimensione teatrale.

- Da quante persone è composta la vostra compagnia? Nel mio gruppo siamo circa 15 persone in pianta stabile, poi diciamo che ci sono altre figure che ruotano in base alla necessità.

- Quali fasce d’età? Dai 17 fino ai 60 anni - Che titolo di studio? Misto.. dal laureato, allo studente, alla licenza media inferiore - Trovano difficoltà di espressione nella lingua sassarese gli attori più giovani? No, assolutamente, i giovani si adeguano, sono portati ad integrarsi con 29


facilità nella parlata sassarese

- Da dove provengono vostri attori? I più giovani sono persone che hanno avuto modo di seguire ed appassionarsi al teatro sassarese, decidendo poi di prenderne parte nella recitazione, mentre le persone più avanti negli anni sono prevalentemente coloro che già avevano lavorato ed ho avuto modo di conoscere nell’esperienza teatrale di Sipario ‘78.

- Alla compagnia prendono parte anche membri della sua famiglia? Sì, mia moglie ed anche mia figlia, quest’ultima mi segue come fondatrice di questo gruppo e poi come professionista poiché lavora in campo di assistenza sociale per ciò che riguarda la riabilitazione di soggetti con problemi psichici.

- Quali sono i ruoli da lei ricoperti all’interno della compagnia? Presidente e regista, commediografo - Lei non recita? Sì, recito, ma raramente - Quali sono i testi preferiti dalla vostra compagnia? Noi ci rifacciamo a quello che è il teatro napoletano e genovese, i testi sono quelli di ambiti familiari, che vivono situazioni particolari... Che ne so... per esempio tra gli altri aspetti abbiamo trattato il tema della jettatura ci siamo esibiti in gag che ruotano su questo tema, un altro è la povertà diventata ricchezza con tutto ciò che si porta appresso

- Quale di questi messaggi, sociale, identitario, politico, intendete far pervenire al vostro pubblico? Il tema sociale si trasforma in politico, insomma si discute di quelli che sono i problemi che interessano alla gente

- Avete prodotto personalmente testi che interessano il vostro teatro? Ultimamente con la "Paco mustela" stiamo elaborando soprattutto testi nostri, alcuni scritti da me in particolare in quanto sono l’autore di ciò che si produce in questa compagnia.

- Cosa l’ha spinta ad interessarsi a questo fenomeno culturale? La voglia di interrompere un ambito ormai sviscerato in tutti i modi per poter proporre al suo posto l’evoluzione del fenomeno stesso.

- Ciò che viene rappresento in scena costituisce interamente il linguaggio sassarese ? No, vi sono anche intermezzi in italiano, la parlata è mista,….vorrei riagganciarmi a quanto detto prima la nostra compagnia tratta la malattia mentale, infatti abbiamo portato in scena tre testi scritti da me per ciò che riguarda l’ambito di studio della malattia mentale, l’ultimo che stiamo portando in scena è Me nipoddi clotilde , un altro testo sul genere è Me ziu poni a cabbu, inoltre abbiamo tradotto in sassarese Il medico dei pazzi di 30


Scarpetta tutto ciò serve per portare avanti un progetto ……

- Quindi, non so se posso usare il termine…siete sponsorizzati dall’ASL Sì, il termine si può usare ma sarebbe meglio dire che, con la ASL si ha una sorta di convenzione, perché poi …sponsorizzati è un termine che…non ci appartiene in quanto soldi non ne riceviamo, per convenzione si intende che… si lavora con alcuni attori impegnati in campo psichiatrico inoltre, medici e paramedici che mettono a disposizione le proprie competenze nella guida il nostro progetto in campo sociale

- In quale sede si raduna la compagnia per effettuare le prove? In via Carso a Sassari, 300mq. di locali oltre che sala prove, risulta essere la sede legale della stessa compagnia. - Che cosa l’ha spinta ad intraprendere questo tipo di spettacolo? La pura passione per il teatro. L’aspetto identitario della lingua è arrivato di conseguenza.

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4.3.2. La Quinta. La compagnia "La quinta" è diretta da Mario Olivieri ed Eleonora De Nurra. Tutto si potrebbe pensare di Mario Olivieri, ma pochi arriverebbero anche solo ad immaginare un severo dirigente scolastico alle prese con la burocrazia scolastica e studenti da mettere “in riga”. Certo (come lui dice) le sue grandi passioni sono tre: la scuola, il teatro e la famiglia (dalla sua intervista emerge la costrizione di mettere sullo stesso piano i tre fattori), ma il teatro prende senz’altro il primo posto tra questi valori. L’intervista ha portato in luce la forte personalità di Mario Olivieri: un fare giocoso, tra cultura e grande conoscenza della vecchia Sassari ( che sente addosso come il più comodo degli abiti), vissuta personalmente, tra i vicoli della città vecchia dove il teatro si poteva godere dal vivo e a tutte le ore. Quel teatro Mario Olivieri non l’ha vissuto solo da ragazzo, egli lo vive ancora oggi con la stessa curiosità di allora, la sua attenzione non è mai diminuita su ciò che sono vicende fatti e personaggi sassaresi. Vivere in modo così intenso la propria città, ha fatto si, che dalla stessa Sassari il preside commediografo potesse trarre ispirazioni per gli innumerevoli testi da Lui composti, la sua produzione teatrale spazia da fatti lontani nel tempo ed occupa uno spazio temporale che arriva ai nostri giorni. Le situazioni scelte per i suo testi sono un po’ paradossali; ecco alcuni titoli: Li culombi (Le colombe): due genitori scoprono di avere un figlio omosessuale, accettano e decidono di assecondarne la condizione, comportandosi di conseguenza e affrontando i problemi che il caso comporta. Questo testo è stato scritto nell’83, un momento ancora lontano, per la società, dal superamento del fenomeno dell’omosessualità, come invece avviene ai nostri giorni. Ancora, Maradettu a lu joggu (maledetto il gioco), tratta la debolezza umana, quella che oggi viene definita “dipendenza”, dove un giocatore incallito arriva a “giocarsi” persino la moglie e con uno stratagemma riesce a cavarsi dall’impiccio, e il divertente finale a sorpresa non nasconde tuttavia la gravità del problema relativo

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alla dipendenza dal gioco. Un altro testo è Cori di babbu (Cuore di padre), una famiglia di poveracci che possiede un “sacro cuore” (dicasi di statua in gesso alta circa 80cm raffigurante il Cristo, tante erano le famiglie che negli anni 40/50 ne possedevano un esemplare). La statua improvvisamente prende a parlare ma può sentire solo il protagonista, il santo soddisfa i suoi desideri, ma una maga approfitta del caso... L’ultimo lavoro di Mario Olivieri è la commedia preddumasciu (maschiaccio, secondo una espressione tipica sassarese), scritta per la figlia (che recita nella compagnia e, nella parte di preddumasciu ha vinto il "Premio teatro sardo", che si è svolto a Guspini nel 2010). Parla di una ragazza che si abbiglia e si comporta come un ragazzaccio, però incontra l’amore in un giovane distinto e si vede costretta a modificare il suo aspetto. Viene aiutata da tre zii sarti, due donne e un uomo gay (non si risparmiano le battute salaci), che si avvicendano per ingentilire nei modi e nell’aspetto la figura dell’amata nipote. Così descrive Olivieri la nascita della compagnia: Allora, la nostra compagnia….io ne ho diretto altre, comunque questa nasce nel 1999 ed è l’unica compagnia sassarese che ha il nome in ditta… si dice, ossia una compagnia con il nome dei responsabili: La quinta di Mario Olivieri ed Eleonora Denurra nel logo come ad es. la compagni Foà, Randone ecc. proprio perché venisse subiti identificata anche perché bene o male io sono fra quelli che hanno cominciato a fare teatro da quando avevo 14 anni ora ne ho 66

- É stato associato ad altre compagnia prima di fondare la propria? Sì, certo, ho collaborato con Giampiero Cubeddu nel lontano 1965... Lo chiamavamo teatro d’avanguardia e veniva "ad avanguardarci" poca gente (sorride). Però-però io ho continuato a fare lavoro per conto mio, cabaret, presentazioni... poi la commedia teatrale. Sono entrato con Nuovo teatro sassarese con Salvatore Carta, la compagnia che ora non c’è più per sette anni. Poi sono entrato nella compagnia di Nino Costa quando c’era regista Angelo Padiglia (questo lei non ce l’ha)... La compagnia Nino Costa è stato colui che ha dato l’impronta a quasi tutte le compagnie sassaresi. Facciamo il premio Nino Costa, questo premio è nato nel 2008 per ricordare il personaggio, allora c’era il consorzio delle compagnie sassaresi, 7 gruppi unitisi per contrastare la Compagnia Teatro Sassari (che la faceva da padrone), ma soprattutto per poter ottenere delle sovvenzioni dall’amministrazione comunale. Facevo il presidente di questo insieme, che però si è sciolto a causa delle solite incomprensioni che si verificano in questi casi. Io ora mi sto dedicando ad organizzare il "Concorso Nino Costa" 33


che è biennale con la compagnia teatrale La Quinta, riprendendo un opera teatrale che avevo fatto 20 anni prima Sassari in calthurina di Salvino Pischedda (che è a quest’ora vivente). Andrà in scena a dicembre anche per onorare Eleonora Denurra che se n’è andata nel settembre scorso lasciandoci questa compagnia sulle spalle, meno male ci sono i nostri figli che lavorano con noi nella... andiamo avanti lo stesso e speriamo che così facciano i nostri figli negli anni futuri. Abbiamo fatto cose impegnative ed anche cose serie (lo dice mostrando le locandine raffiguranti il titolo dell’opera rappresentata, appese alla parete della sala di prova). L’ultima fatica sarà l’opera che metteremo in scena a dicembre rispettando la tradizione sassarese ma con un sintomo di modernità.

- Qual è il suo ruolo all’interno della compagnia? Sono una sorta di capocomico alla Edoardo de Filippo, amministratore, regista, commediografo “faccio il pubblico…..porto i pacchi ..attacco le locandine..” (sorride). Perché contemporaneamente alla mia professione che ho lasciato il 1° di settembre, facevo teatro e per hobby il dirigente scolastico. Il ’99 era un momento abbastanza buono per la nascita della compagnia perché, si, se ne formavano tante ma poche andavano avanti, c’era poi il fenomeno della gemmazione per cui chi andava via dall’una finiva per impiantare poi qualcosa di proprio altrove. Negli anni ’70 i teatri sassaresi erano esauriti per settimane, con il proliferare delle compagnie il pubblico ha avuto un’overdose per cui si è perso un po’ l’interesse al fenomeno, oggi è difficile avere tanta affluenza di pubblico che da’ preminenza ad altre cose, ma noi andiamo avanti lo stesso, il nostro ruolo quello delle compagnie amatoriali (ora lasciamo perdere il Teatro Sassari che lo fa per denaro). Noi lo facciamo per il piacere di farlo, probabilmente la conservazione della lingua è dovuta a quelli che si impegnano in senso amatoriale, insomma per pura passione e divertimento. Accogliamo giovani che hanno voglia di sacrificarsi un pochino, le prove richiedono impegno per 3/4volte la settimana, è un po’ difficile trovare giovani che siano disposti a ciò, però qualcuno si trova.

- Da quante persone è composto il suo gruppo? 16 attori - Vengono utilizzati tutti oppure turnano? Non vengono utilizzati tutti in ogni rappresentazione, ma in compagnia c’è sempre da fare, se uno non recita fa comunque altre cose es. suggeritore trovarobe, amministrazione, c’è chi arriva in compagnia con l’idea di recitare soltanto, c’è anche chi sta bene all’interno della compagnia e si rende utile pur non recitando.

- Lei insegna recitazione? Faccio insegnamento per imitazione, non si tratta di una vera e propria scuola di recitazione - Quali fasce di età compongono la sua compagnia? Di solito dai 30, fino ad arrivare ai 70, abbiamo qualche giovane ma viene utilizzato solo in poche occasioni 34


- Di quale settore occupativo fanno parte? Mah... solitamente abbiamo persone in pensione, qualche avvocato, io che fino a poco tempo fa ero dirigente scolastico, ex bancari, Annamaria che è segretaria alla galleria Auchan . - Com’è l’inquadramento della compagnia? La nostra compagnia è amatoriale..professionale (sorride), come si dice oggi no profit, certo ci facciamo pagare ma i guadagni vanno prevalentemente reinvestiti in arredi costumi e acquisti vari.

- La compagnia lavora in un teatro a lei assegnato? No nessuna compagnia a Sassari ha un teatro assegnato, ma grazie a Dio ora di teatri a Sassari ce ne sono anche troppi e non c’è difficoltà a trovarne liberi.

- Voi pagate il teatro? A volte sì, a volte lo cede il comune gratuitamente, Teatro civico, Ferroviario, sala Sassu, inoltre è in programma la riapertura del cinema Astra che, pare, sia destinato ad ospitare le rappresentazioni in vernacolo.

- Dove si effettuano le prove? Qui (via Rizzeddu, nei locali che in passato costituivano la camera mortuaria e la sala delle autopsie dell’ospedale psichiatrico di Sassari), quando ero preside si effettuavano nell’auditorium dell’istituto. Fare le prove e le commedie stesse non necessitano di grandi spazi, basta una camera. - Quanto tempo è necessario per poter preparare una rappresentazione? Circa 2 mesi. - Quali emozioni prova prima durante e dopo la rappresentazione? Sono sempre tesissimo “grazie a Dio”, guai all’artista che non ha un po’ di adrenalina prima di entrare in scena, il giorno che non proverò questo tipo di emozioni mi dedicherò a tutt’altro, le mie emozioni sono gravate dal peso della responsabilità nel far si che tutto e tutti vada per il verso giusto

- Quante repliche di ogni commedia? Dipende, non sono mai lo stesso numero, però posso dire che facciamo una trentina di recite l’anno, di vari testi. - Quale messaggio la compagnia intende veicolare con le sue commedie? Io sono sassaresu in ciabi da generazioni e babbu meu era baiberi , il mio scopo intanto è quello di divertire, niente politica, a me piace molto la battuta, l’umorismo qualche volta forse... come dire…un po’ pepatino, la parolaccina che in fondo non ci sta male, senza esagerare il tanto che serve per fare colore - Quali vicende la ispirano per comporre i suoi testi? 35


Faccio un esempio: una famiglia campava dalla pensione di un’anziana familiare ormai morta, quindi veniva messa e tolta dal congelatore a seconda della necessità e… Preddu Masciu, personaggio femminile sassarese con sembianze e atteggiamenti da ragazzaccio di strada, questa parte ha conferito a mia figlia il premio "Teatro sardo" al festival che si è svolto a Guspini nel 2010

- Cosa l’ha spinta ad interessarsi a questo fenomeno culturale? Il sacro fuoco, o ce l’hai o non ce l’hai, io ce l’ho da quando sono nato, come succede ai grandi artisti, modestamente (…scherza e sorride) a Sassari c’era Nino Costa e adesso ci sono io. Scherzi a parte, non potrei vivere senza il teatro e le emozioni che provo, pensi che un giorno ho fatto una graduatoria che ha scandalizzato chi mi ascoltava…allora primo il teatro, seconda la scuola, terza la famiglia. Ho aggiustato il tiro dicendo che le tre cose erano di pari valore…..perché rischiavo grosso.

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4.3.3. Teatro Latto Dolce La Compagnia Teatro Latto Dolce, nata intorno alla Parrocchia dei Salesiani grazie al lavoro di Ugo Niedda, che della compagnia è motore e anima, mette in scena testi scritti e diretti dallo stesso Niedda. Quando giovanissimo, Niedda, frequentava l’oratorio Salesiano e ricevette la proposta, dall’allora chierico Gigi Muresu, di mettere in scena uno spettacolo musicale, da tenersi presso il cinema parrocchiale. Lo spirito dell’iniziativa era da riferirsi al fondatore dell’opera salesiana Don Bosco. A Ugo Niedda il merito di aver contribuito all’allontanamento di molti giovani dal rischio di devianze, in un quartiere problematico com’è stato il Latte Dolce (dal quale la compagnia prende il nome). Ancora oggi, oltre al suo lavoro di bancario, si dedica a al tetro per guidare, comporre, recitare, così Ugo Niedda si interessava all’intrattenimento dei giovani coinvolgendoli nella recitazione. Siamo negli anni ’80, un quartiere costituito prevalentemente da edilizia popolare che raccoglieva e riuniva, come popolazione, famiglie provenienti da quartieri-ghetto abbattuti immediatamente dopo il loro trasferimento, fu in quel periodo che il Niedda compose la sua prima commedia con l’ausilio di alcuni amici studenti con i quali soleva ritrovarsi la sera al bar, dice che proprio durante quegli incontri tra una battuta e una risata, inizia la sua storia di commediografo. Ugo Niedda è una persona come si dice “diretta”, si potrebbe pensare di lui di persona incline a un atteggiamento così realista nella scena come nel vivere quotidiano. Si trova a suo agio nel quartiere che lo ha ospitato fin da ragazzo e che lo ha visto crescere come autore di numerosi testi di teatro in lingua sassarese, sono ormai venticinque le opere da lui prodotte. I primi tempi le rappresentazioni si tenevano nell’oratorio, successivamente ebbe la possibilità di fare spettacolo in teatri veri e propri di Sassari e centri limitrofi come Sorso, Porto Torres, dove la parlata poteva essere comprensibile al suo pubblico. A tutt’oggi la sede della compagnia si trova nel centro sociale del Latte Dolce, qui si fanno le prove e si tiene anche il deposito dei materiali di scena. Ha visto svilupparsi nel tempo il suo quartiere con edilizia pubblica e privata e 37


l’insediamento di nuova popolazione questo aspetto ha permesso che questa periferia potesse alleggerirsi dello stigma di “quartiere ghetto”. La commedia Pidocci azzaddi tratta proprio il tema del riscatto sociale. I lavori di Ugo Niedda nascono da "spaccati di vita" fortemente legati all’evolversi di usi e costumi propri di una società, attentamente osservati e presi in esame dall’autore. Nel programma della compagnia vi erano tre punti fondamentali e irrinunciabili: 1. Fare teatro divertendo gli altri e divertendosi a loro volta; 2. Gli incassi sarebbero stati devoluti a organizzazioni di beneficenza ed in primo luogo all’Oratorio Salesiano di Sassari e ad altri situati all’estero; 3. Impegnare il tempo libero a disposizione del teatro e dei giovani. Nell'intervista, Ugo Nieddu descrive i primi passi della Compagnia, fondata il 6 gennaio 1978. - Il vostro nucleo fondativo da chi era diretto? Sempre da me Ugo Niedda, nel senso che inizialmente abbiamo messo un sacerdote che era il direttore dell’oratorio, che poi andando via ho preso in mano la situazione, visto che già da allora scrivevo i testi.

- Ho letto che lei ha scritto, ad ora , il suo venticinquesimo testo...

Il più

prolifico…non ne trova altri - Da quante persone è composto il vostro gruppo attualmente? Da noi son passati circa 350 attori, del nucleo fondativo siamo rimasti in pochi, il numero medio di componenti è intorno alle 16 persone. L'avvicendarsi degli attori è continuo, nonostante gli impegni che la vita ci mette davanti io dico che il teatro lo puoi fare solo se lo ami. Sa, poi nella vita può capitare qualsiasi cosa, siccome a me piace, è il mio hobby... e quindi lo porto avanti con costanza e passione.

- Le fasce d’età? U.n quando ho bisogno di bambini si trovano pure, per esempio nella faradda ce n’erano otto-nove, vengono facilmente più i bambini che gli adulti, le fasce di età per gli attori adulti vanno dalla maggiore età in poi... - Di quale settore occupativo facevano parte attori nel nucleo fondativo, e quelli del nucleo attuale? Inizialmente si era tutti studenti, nel tempo ora sono per la maggior parte liberi professionisti, insegnanti, bancari, geometri ecc., attualmente abbiamo partecipanti provenienti provenienti da diverse realtà lavorative, insomma di tutto un po', dalla casalinga al commerciante, persone impegnate in campo 38


sociale, liberi professionisti, operai ecc.

- La vostra compagnia fa parte di un’inquadramento strutturale come Teatro di interesse regionale? La nostra è una compagnia amatoriale no-profit, ci dedichiamo e lavoriamo nel teatro per puro divertimento. Se qualcosa si guadagna si fa in modo che rimanga qua dentro per ciò che occorre agli allestimenti di scena e spese varie, tutto ciò che vede qua dentro, ristrutturazione compresa, è stato fatto e acquistato con il lavoro della Compagnia, senza considerare che buona parte degli incassi vanno e sono andati in beneficenza. Abbiamo aiutato le parrocchie, abbiamo aiutato persone che dovevano compiere viaggi a Lourdes, insomma siamo sensibili verso chi sta peggio, ciò non toglie che la professionalità non è da confondere con la capacità, infatti noi non siamo riconosciuti come attori professionisti, ossia non timbriamo il cartellino di presenza, ma questo non significa che siamo meno capaci di altri.

- Quali sono le sue emozioni prima di entrare in scena? Provo emozione doppia perché, primo mi preoccupo che la commedia possa o no piacere, secondo devo concentrarmi nel recitare al meglio quella che è la mia parte e quella dei miei personaggi, insomma c’è un po’ di tensione, come è normale che sia.

- Cosa ricerca per poter comporre i suoi testi?dico in senso morale..qual’è il messaggio che intende veicolare per il suo auditorio? Quando uno scrive mette se stesso (..intende i propri valori), pensa di dare una sua esperienza e cerca di portarla nel modo migliore io l’ho fatto con le commedie, con le poesie ho vinto qualche concorso , certamente sono spunti nati da ciò che mi capita intorno, caratterizzo i personaggi mettendo in evidenza la parte comica per poter divertire il pubblico.

- Parliamo ancora dei suoi testi, riportano fatti o vicende del passato oppure predilige fatti o vicende relative ai tempi d’oggi? Ho composto sempre su temi di attualità relativamente al momento, la mia prima composizione era ambientata in un bar dove mi incontravo con degli amici ed è proprio li che l’ho scritta, e la voglia di vincere al Lotto è più attuale oggi che al momento in cui l’ho scritta, "La vinzida", (1979). "Cuntisthazioni (1980), gli hippies che si scontrano con la generazione precedente. L’ipiritu di la pazi, 1982 la gente che a tutt’oggi continua a credere nelle stupidaggini, tipo il malocchio. Ad esempio questa, Me figlioru Palmiro Simone è lo scontro tra cattolici e comunisti un padre comunista si ritrova con un figlio che si vuol fare prete, la madre bigotta, e lì nasce lo scontro. Un po’ tutto, ad esempio, Pidocci azzaddi tema molto ricorrente a Sassari, un classico, il povero arricchito... Il nostro quartiere, che è sempre stato denigrato da molti, senza considerare che ormai il quartiere stesso ha subito un’evoluzione tale che lo riscatta dal suo 39


stereotipo.

- Lei è un commediografo ed un attore nel momento della recita, come fa a far convivere le due cose? In quel momento faccio l’attore, come commediografo faccio in modo che i personaggi vengano fatti propri da chi ne deve recitare la parte, è consentito anche stravolgere le battute (sotto la mia guida) affinché si possa acquisire una certa autonomia e quindi evitare forzature ed inutili patemi d’animo per il sottoscritto, questo accorgimento viene utilizzato pochissimo in altre compagnie. Noi non abbiamo suggeritori, perché grazie a questo stratagemma si riesce a rendere spontanea la recitazione.

- Quante repliche si fanno in genere di ogni commedia per stagione? Poche, normalmente le repliche si fanno in altri centri vicini, la città non risponde ad una eccessiva offerta, e poi personalmente in questo modo mi annoio, inoltre l’Ammistrazione comunale da’ molto spazio a rappresentazioni tipo saggi di danza o cose di questo genere recite scolastiche, per noi non c’è più tanto “spazio”.

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4.3.4. Teatro dell'Arca La Compagnia è diretta da Mario Dettori e Silvana Ganga. La coppia DettoriGanga familiarizza con il teatro fin da quando i loro figli frequentavano la parrocchia dei frati cappuccini. Luii perito agrario, lei insegnante di francese, mossero i primi passi sulle scene negli anni '70 nel piccolo teatrino parrocchiale che qualcuno ricorda con il nome di teatro belvedere, sollecitati dai sacerdoti affinché potessero dare un aiuto nell’intrattenimento dei numerosi giovani e ragazzi che popolavano il quartiere, non è stato difficile per la coppia percorrere la strada della recitazione, il teatro faceva già parte del loro essere. Silvana Ganga è stata ed è tra i due, colei che si occupa della regia, già esperta nella guida dell’apprendimento, ha esercitato il ruolo di insegnante anche per i suoi attori nel prepararli alla scena. Si dice di lei: Silvana riesce a far recitare al meglio anche i crasti (sassi) e quando i crasti se ne vanno, lontano da lei ritornano ad essere crasti. A lei si deve ogni performance degli attori, molto attenta e accurata nella scelta degli allestimenti e degli abiti e di ogni componente scenica. Oltre che moglie, nel privato, è nella regia l’inseparabile compagna di Mario Dettori, un binomio perfetto del teatro locale. Mario Dettori, che abbia a cuore la parlata sassarese non v’è dubbio. Questo si palesa nell’intervista già dalle prime domande a lui rivolte, attore nella compagnia, diventa interprete dei propri testi. Come larga parte degli scrittori di commedie in vernacolo, è sempre stato acuto osservatore dal vero nei quartieri più autentici, quando da ragazzino per la sua timidezza poteva sembrare anche un po’ scontroso, già da allora focalizzava la sua attenzione sul modo di parlare a Sassari. Nelle sue composizioni si nota la puntuale ricercatezza dei vocaboli, non è un caso che la sua figura di riferimento sia il commediografo Gian Paolo Bazzoni, oltre che per alcuni suoi testi portati in scena, ma soprattutto perché riconosce in lui uno tra i più accreditati studiosi del dialetto sassarese. Come autore teatrale si contraddistingue per un umorismo intelligente dai risvolti amari e per una costruzione precisa e puntuale dei personaggi. Affascinato dai suoi

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colleghi della penisola non ha avuto difficoltà a tradurre e portare in scena testi di Eduardo de Filippo e del genovese Gilberto Govi del quale ha tradotto e adattato A passu di sindacaddu. Come spiega il signor Dettori nell'intervista, la Compagnia nasce nel 1990: - In quale anno è nata la compagnia? m.d. il nostro statuto nasce nel settembre 1990 esordisce nella rappresentazione esattamente un anno dopo nel settembre 1991. Se le può interessare le dico che, sia io che mia moglie, eravamo reduci della compagnia, sempre creata da noi, nuovo sipario ’78 , abbiamo lasciato la compagnia nell’ '88. Si aveva intenzione di smettere poi chi ci conosceva e apprezzava i nostri lavori ci ha convinti a riprendere e così come si diceva prima nel ’90 abbiamo ricominciato. Il nuovo sipario ’78 ha continuato senza di noi e si è sciolto circa due anni fa.

- Da chi era costituito il primo nucleo fondativo, come "Nuovo Sipario '78"? Mah, son passate tante persone, comunque.. Il male, o non so se dire la parte più difficile nella commedia dialettale, è proprio questa, riuscire a mantenere insieme e a lungo lo stesso gruppo nel tempo, sii abbiamo avuto persone che son rimaste più a lungo rispetto ad altre, ma nella maggior parte la gente si stanca, non so forse è il nostro modo di far teatro che magari non regge dopo l’entusiasmo iniziale (…lo dice un po’ scoraggiato), sa noi siamo un’associazione no-profit, non dico amatoriale ma ….professionali nel teatro. Non professionisti in quanto non riceviamo finanziamenti, e non facciamo del teatro la nostra fonte di reddito.

- Perché vi dedicate a questa forma di spettacolo? Per il piacere di fare teatro e soprattutto per mantenere vivo il più possibile l’interesse alla conservazione della lingua sassarese. La divulgazione di una lingua trova la giusta dimensione nel teatro quale mezzo può essere migliore? Questo tipo di comunicazione diventa anche una responsabilità sotto l’aspetto linguistico, dipende anche da quello che si offre, se lo scopo è quello di tenere alta la lingua possiamo dire che il testo va curato nei minimi particolari linguistici, grammaticalmente corretta. Quando si offre uno spettacolo, si offre anche la lingua non solo in senso verbale, ma, anche per iscritto, infatti a proposito di lingua scritta ci sono stati diversi tentativi per incanalare il modo affinché la si scriva tutti nello stesso modo. Se per esempio andassimo a leggere delle poesie in sassarese, scritte da illustri poeti, spesso potremmo vedere che l’uno non scrive lo stesso termine uguale ad un altro, vediamo che ognuno cerca di dare interpretazione a tutti quei suoni strani contenuti nel linguaggio sassarese. Colgo l’occasione nel dire che c’è uno studio approfondito in ciò che scrive Gian Paolo Bazzoni , la nostra compagnia si avvale prevalentemente ( poiché si porta in scena anche qualcosa scritta da me) dei suoi testi in quanto ritiene l’autore uno dei migliori commediografi contemporanei in materia di teatro sassarese... Lo stesso Bazzoni ha prodotto un dizionario è andato oltre creando il dizionario 42


fraseologico sassarese in un libro che s’intitola Pa modu di dì proponendo così un indirizzo grammaticale comune della parlata stessa, il problema non è codificare il termine ma piuttosto mettersi d’accordo. I sassaresi in tal senso sono a volte presuntuosi e lo sono proprio coloro che pensano convincendosi di saper scrivere meglio di altri.

- Da quanti elementi è composta attualmente la sua compagnia? Poche persone, questo è dovuto al fatto che un anno fa, un problema di salute mi ha costretto a rallentare, possiamo dire anche sospendere l’attività teatrale. Abbiamo sempre fatto commedie corpose con otto-dieci attori. Portare avanti dieci attori potrebbe significare prendersi il malanno che mi sono preso io. Sono trentacinque anni che noi si fa teatro ufficialmente , ma la cosa inizia anche prima da quando si avevano i figli che frequentavano la parrocchia dei Cappuccini, il parroco ci invitò ad una collaborazione per intrattenere giovani e ragazzi del quartiere e così prendemmo la strada della recitazione

- Che fasce d’età? Nei primi anni si avevano partecipanti di giovane età, io e mia moglie eravamo “i più anziani” poi col tempo le fasce d’età sono diventate varie , in questi ultimi anni è stato difficile trovare giovani che si siano appassionati al teatro sassarese, se pensa che fino all’anno scorso recitava con noi una donna che aveva oltrepassato gli 80, e c’è da dire che non aveva nulla da invidiare a gente molto più giovane.

- Quale occupazione e quale titolo di studio? Io sono un perito agrario ormai in pensione, mia moglie ha sempre insegnato francese, nell’ultima formazione erano quasi tutti titolati, non per selezione o esigenza da parte nostra, ma per caso, si avvicinava al teatro chi ne sentiva la passione e decideva di unirsi al gruppo, avvocati, medici ma soprattutto persone impegnate nel campo dell’istruzione.

- I vostri locali di prova sono sempre stati nel quartiere Cappuccini? Sì, fin dai tempi della parrocchia, si utilizzavano dei locali dove poi si è creato un teatrino che esisteva già da prima che iniziassimo con il Nuovo Sipario '78. Anche adesso abbiamo dei locali in Via Carso. Per le rappresentazioni abbiamo avuto più volte i locali del teatro civico. Quando il pubblico ha iniziato a diventare più numeroso si è lavorato allo Smeraldo, ed ancora dopo circa dieci anni di attività teatrale abbiamo avuto più volte il Verdi, in quel periodo si aveva molta affluenza di pubblico

- Quanto tempo è necessario per la preparazione di un testo? Due-tre mesi. - Quali emozioni prova? É molto difficile parlare di emozioni, perché non sono per tutti uguali, anche se si recita da molti anni, ogni volta è unica, guai se non ci fosse l’emozione in questi momenti, perché si perderebbe l’incanto, la maggior parte di noi ha sempre la paura di non ricordare la parte... la tensione è tanta prima di entrare in scena..ma poi tutto cambia. 43


- Avete fatto rappresentazioni all’aperto? Sì, nelle piazze del centro storico, abbiamo recitato in Piazza Fiume, anche s’è un po più fredda, però è andata bene ugualmente. - Quale messaggio volete far arrivare al vostro pubblico? Politica no... messaggi che guardano al sociale. Noi abbiamo una grande commedia, A passu di sindacaddu , trasposizione di un testo di Gilberto Govi che io stesso ho avuto modo di elaborare dal dialetto genovese...

- Cosa l’ha spinta ad occuparsi di questo fenomeno culturale? Mah... io sono molto timido, lo ero fin da bambino, finché mi trovavo in un ambiente familiare ridevo e scherzavo, mentre in un ambiente più ampio e con tanta gente non mi esponevo, diciamo che questa riservatezza ce l’ho, se lei mi avesse chiesto l’intervista quarant’anni fa non so se avrei accettato. Per buona parte ho superato quest’aspetto del mo carattere grazie al teatro. Ma non ho fatto teatro per vincere la mia sfida alla timidezza, sia ben chiaro. La mia passione per il teatro, come dicevo prima, nasce come fenomeno culturale identitario…

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4.3.5. Compagnia La Frumentaria. La compagnia amatoriale La Frumentaria è diretta da Anna Porcheddu. Fin da quando insegnava alle scuole elementari del 9° circolo, nel quartiere Latte Dolce, la maestra Anna, così la chiamavano i suoi alunni, aveva individuato ciò che era necessario per intrattenere, i numerosi ragazzini che fuori dall’orario scolastico si perdevano nelle strade del quartiere. Chiede e ottiene di poter istituire un centro di aggregazione laico che avrebbe operato nei locali sottostanti la scuola. In questa sede organizza delle recite in lingua sassarese da mettere in prova dopo le ore destinate alla didattica, coinvolgendo i familiari dei bambini per il confezionamento di costumi e materiali utili allo scenario, guida autorevole di un piccolo esercito formato da genitori e bambini e ragazzi, quegli stessi che ora, da adulti la ricordano con affetto, simpatia e soprattutto rispetto. Così nasce il modo di fare teatro per Anna Santona Porcheddu. Una collega la esorta a continuare questo tipo di attività presentandola a suo fratello Elio Caria, che già da allora si occupava di teatro dialettale. Proprio di Elio Caria era La bocca no’ sejvi soru pa cascha (la bocca non serve solo per sbadigliare) il primo testo portato in scena dalla nascente Compagnia la Frumentaria. A seguito della malattia dell’autore, La Santona fu costretta a valutare altri scrittori di riferimento la scelta cadde su un’ illustre personalità nel teatro sassarese: Giovanni Enna. Dal 1984 Anna Santona è presidente della Frumentaria. Non è un problema per i soci doverle rinnovare l’incarico ad ogni scadenza, affidandole non solo la regia, ma tutto il gravoso lavoro di ordine burocratico ed anche la parte amministrativa che spesso è la più difficile da gestire, soprattutto ora che per raggiunti limiti di età ha lasciato l’insegnamento e si dedica maggiormente all’attività teatrale con la stessa passione di quando era più giovane. Ha sempre cercato in tutti i modi di far sopravvivere la sua compagnia, anche nei momenti più difficili, rivolgendosi dove è stato necessario, a enti o amministrazioni pubbliche per ottenere sostegno finanziario. Il suo messaggio tende ad evidenziare aspetti antropologici, sociali e culturali di Sassari, delle tradizioni zappadorine, curando il recupero del linguaggio arcaico e puro, in un epoca in cui 45


le influenze italianeggianti ne hanno influenzato l’originalità. Così Anna Santona descrive l'operato della Compagnia: -In quale anno nasce la compagnia? Nasce nel 1984 come statuto, ma si recitava già due anni prima con una commedia inedita di Elio Caria intitolata la bocca no’ sejvi soru pa cascha, dopo di che abbiamo fondato la nostra compagnia , Elio Caria si è ammalato e quindi abbiamo continuato con Giovanni Enna che è stato un nostro socio fondatore e l’autore delle principali commedie.

- Qual è il suo ruolo all’interno della compagnia? Sono presidente e il mio incarico viene rinnovato ogni quattro anni con voto unanime dai soci. Sono anche regista. Il lavoro da fare è tanto oltre all’attività teatrale svolgo il compito burocratico e attività informatica, dal momento che sono in pensione posso dedicarmi a queste mansioni più di qualche altro.

- Da chi era composto il nucleo fondativo? Da alcune persone che ora sono scomparse, come Salvatore Carta e Giovanni Enna. Gavino Nipponi, io, Graziano Simula, Albina Branca insomma circa una decina di attori e sempre così siamo rimasti a lungo, ah la compagnia si articola in due tronconi: un gruppo dirigente di quattro persone e un gruppo di coordinatori che sono i soci fondatori, man mano che decadono vengono inseriti nuovi soci quindi abbiamo questo prolungarsi di presenze.

- Attualmente il gruppo di attori da chi è composto? Dunque... Anna Santona, Giuseppe Falchi, Graziano Simula sempre, Nadia Cabeccia, Cristian Galleri, Bruno Falchi, Roberta Tola, e poi ancora Roberto Delogu, Barbara Piu, Franco Sale ecc

- L’età dei partecipanti? Allora partono dai ,abbiamo avuto due attori nuovi che hanno esordito all’età di diciannove anni e ventitrè anni , gli altri sono in età più adulta come un componente che ora si è aggiunto, proveniente dalla compagnia Nino Costa che si è sciolta.

- Di quale settore occupativo fanno parte e qual’ è il loro titolo di studio? Dal libero professionista, all’operaio, artigiani, studenti. Titolo di studio… laurea , diploma scuola media superiore , licenza media un po’ tutto. E’ un gruppo eterogeneo.

- Quali difficoltà si presentano nel gruppo durante le prove? Alcuni componenti hanno difficoltà nella lettura del dialetto, è un impegno notevole da parte di chi guida, assicurarsi che non vi siano storture nella parlata sassarese quando si recita , diciamo che la maggior parte degli attori sono esperti, questo aspetto non vale per tutti. Il compito della regia l’ho

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ereditato da Salvatore Carta…mi ha sempre voluto vicina come aiuto regista ora che lui non c’è più…faccio io (2003), dopo è mancato Giovanni Enna, purtroppo in pochi anni abbiamo perso tre figure importantissime infatti l’ultimo della serie era l’attrezzista che oltre ad organizzare e piazzare l’arredo della scena era anche trovarobe ineguagliabile Lorenzo Falchi

- La vostra compagnia è strutturata? No, la nostra compagnia è autonoma e indipendente, per un periodo ci siamo rivolti alla Regione per ottenere un contributo per gli spettacoli, ma non era possibile mantenere un rapporto con la regione in quanto…se chiedo un contributo alla regione lo voglio subito immediato da spendere e non fra dieci anni quando le banche dopo averlo anticipato lo hanno poi risucchiato in poco tempo. Invece abbiamo sponsorizzato.

- La compagnia ha una sede teatrale fissa, per esempio assegnata dal comune? No, non abbiamo un teatro né locali fissi, facciamo richiesta del teatro cercando una data in cui sia libero e lo si prenota, questo è il modo per pianificare le rappresentazioni. - Trova riduttivo che la sua compagnia venga definita amatoriale piuttosto che composta da attori strutturati e quindi riconosciuti come professionisti ? Noi ci riteniamo professionisti in quanto facciamo le cose con serietà e professionalità…poi…a livello retributivo ci riteniamo amatoriali. Quello che più ci dà fastidio è che chi ha gomiti robusti, riesce ad ottenere finanziamenti evidentemente i nostri gomiti non lo sono altrettanto, lavoriamo con le nostre forze e i nostri teatri sono sempre pieni….se’ poi non si paga lo sono ancora di più.

- Dove effettuate le vostre prove? Nei locali di don Sini (parrocchia di S.Maria di Pisa), oppure a casa mia (in campagna), li c’è una grande veranda ed un magazzino dove teniamo gli scenari.

- Quanto tempo è necessario per preparare una commedia? Se i partecipanti studiano bene a casa ci vogliono due mesi, visto che la memoria l’abbiamo tutti, per le movenze possono bastare sei prove dato che il nostro gruppo a ben affiatato. Il gruppo portante sta insieme da 25 anni. - Che emozioni prova un attore prima, durante, dopo la rappresentazione? Prima di entrare in scena la paura classica di non ricordare le battute, quando entri in scena….non sei più tu, entri nella parte anche se ti dimentichi qualcosa sai allo stesso tempo come arrangiarti in questi casi interviene il compagno che aiuta, con una battuta anche improvvisata, a rimediare la situazione in questi momenti è di fondamentale importanza l’affiatamento del gruppo.

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- Quante repliche si fanno per ogni commedia? Io non sono la persona che presenta una commedia al mese, la commedia va “maturata” e come una buona pasta va lasciata “lievitare”, dopo di che si può esibire nel senso che una commedia…..faccio un esempio: A platamona andemmu ho messo tre anni prima di portarla in scena, questo seguendo i consigli e la scuola di Giovanni Enna, ogni volta che trovavo l’idea, il personaggio e le battute, “buttavo giù” e mettevo da parte, però il risultato è stato un successone.

- Quale messaggio intendete inviare al vostro pubblico con il vostro lavoro? Allora…ci sono vari modi per comunicare, si comunica con i gesti, con il discorso a fine commedia dove si ringrazia il pubblico, sottolineando il piacere di incontrarsi, la solidarietà la condivisione del fine morale che senza dubbio è contenuto in ogni commedia, la comunicazione è continua, curiamo molto la compostezza dei modi e nel linguaggio…..non è vero che il sassarese è sempre volgare, bisogna non renderlo volgare, certo la lingua sassarese si presta ad una evidente libertà di espressione e…. a volte scappa la parolaccia che non si nega…. è tipica della parlata locale, fa parte del gioco. Inoltre come si diceva prima il nostro messaggio, più che un messaggio è un invito alla socializzazione, il piacere di stare insieme e condividere il gusto di portare avanti la tradizione sassarese attraverso la rappresentazione teatrale. Pensi che a volte mi capita di vedere tra il pubblico persone che sono venute a vedere la stessa commedia, la stessa tante altre volte, a fine recita non ho potute fare a meno di invitarle a salire sul palcoscenico tra i sorrisi e il divertimento di tutti noi compresi.

- Perché ha scelto di fare teatro? Ho sempre fatto teatro fin da quando insegnavo alla scuola elementare del latte dolce mi creavo io stessa le commediole (testi) e ne curavo la regia, sa... Natale, Carnevale, si metteva su la commedia insieme ad altre colleghe... Quindi tre classi e 60 bambini, i costumi costruiti da noi con la carta crespa, si poteva fare perché io ero inserita nel tempo pieno. Dopo la prime recite, mi son resa conto che in quel quartiere molti dei bambini erano sbandati dopo le ore scolastiche, il rione era in continua espansione con l’edilizia popolare, infatti i bambini appartenevano a famiglie di ceti meno abbienti il problema era dato non tanto dalla povertà materiale spesso lo era sul piano morale. Bambini che quando non c’era il tempo pieno dopo la scuola continuavano a stare davanti all’istituto ed alcuni pranzavano con un panino, questo fatto ci aveva fatto riflettere, si doveva fare qualcosa allora con le colleghe decidemmo di creare un centro di aggregazione per i ragazzi del quartiere ed impegnarli con attività ricreative fra le quali anche quella teatrale, a seguito di questo , una collega mi aveva invitato a conoscere suo fratello che si occupava di teatro dialettale dicendo che aveva bisogno di persone che potessero collaborare con lui, si trattava di Elio Caria e il resto ……..l’abbiamo già detto prima.

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4.3.6. Compagnia Teatro Sassari Giampiero Cubeddu ha rappresentato, fin dalla sua fondazione, l'anima della Compagnia Teatro Sassari. A tutt'oggi i suoi preziosi insegnamenti vivono indelebili all'interno della compagnia. Si è parlato di Giampiero Cubeddu in una informale chiaccherata con suo figlio Marcello, anch'egli impegnato nel teatro come tecnico delle luci, ruolo di cui si occupa fin da ragazzo. Gianmpiero è sempre stato un personaggio, un ragazzo che mai esauriva la sua curiosità, questo aspetto del suo carattere era presente in ogni momento, proviene da studi classici, le sue conoscenze letterarie spaziano da Jacopone da Todi a Gabriele D’Annunzio, da artista qual'era, non perdeva occasione nel costruire quei famosi puzzle di cui era indiscusso autore raffinato, intuitivo nel cogliere ogni particolare utile alla realizzazione del suo progetto, in qualsiasi campo. Dice Marcello: era come un'appassionato stilista, cuciva addosso al progetto tutto ciò che raccoglieva nel corso delle numerose ricerche fatte su testi, vicende, periodi storici, comportamenti, creando una perfetta sinfonia di tutti gli elementi, riceveva c riscontro con grandi consensi di pubblico. Ha portato avanti con successo la trasmissione radiofonica giochiamo a fare il teatro , ed anche il suo progetto ambizioso di creare due compagnie: Cooperativa teatro e/o musica e Compagnia Teatro Sassari, la prima si occupava di musica e di teatro, dall'opera buffa all'operetta, dalla musica da camera a quella sinfonica, ciò avveniva, spesso in collaborazione del noto musicologo Pietro Sassu con il quale ha anche prodotto Il documentario del Lunissanti , nel secondo progetto si è occupato di teatro in generale con riferimento alla rappresentazione in lingua, nella variante sassarese. Le sue abilità spaziavano, come si dice, a trecentosessanta gradi, e, come un giocoliere, stava in equilibrio nel da far quadrare i conti in rapporto agli scarsi mezzi finanziari, anche la forzata attenzione per l'economia diveniva per lui motivo di stimolo professionale. Negli anni '80 ha vinto il concorso per programmisti-registi alla RAI, ma ha rifiutato

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essendo interessato a far crescere l'attività culturale della sua città. Guida stimata tra i compagni di lavoro attori, tecnici, ha saputo individuare le abilità di ogni singolo componente, riuscendo a utilizzare eventuali debolezze artistiche facendole diventare punti di forza. Il rispetto per i suoi collaboratori stava alla base di ogni sua azione o intervento, disponibile ad ascoltare le proposte e le teorie di chiunque, che analizzava con fare modesto anche se le reputava contrastabili. Non arretrava davanti alle difficoltà oggettive, ma diventava intransigente davanti ad eventuali comportamenti scorretti, soprattutto se venivano perpetrati all'interno del suo stesso gruppo. É stata inoltre condotta un'intervista a Mario Lubino, presidente e attore della compagnia Teatro Sassari - Come nasce la compagnia Teatro e Musica? Nasce nel 1976, grazie ad una fortunata serie radiofonica, ideata dal Giampiero Cubeddu e Sergio Calvi dal titolo “ Giochiamo a fare il Teatro”, in una puntata venne registrata “Farendi in Turritana” di Battista Ardau Cannas. Il successo fu clamoroso. Il debutto a teatro avvenne il 14 ottobre 1977 al Civico di Sassari con due atti unici di Giovanni Enna, Ziu Luiginu e li Tempi Nobi e Paj vinzì vi bo’ la Sthumbadda.

- Da chi era costituito il nucleo fondativo? Da Gian Piero Cubeddu (direttore artistico),Giovanni Enna (drammaturgo) , Nino Costa, Italo Delogu, Mario Lubino, Gaetano Lubino, Teresa Soro, Pier Franca Olivieri, Ernesto Carta, Mario Fedozzi, Alessandra Spiga.

- Da chi era diretto? Come dicevo prima da G.P. Cubeddu. - A quale autore si ispirava? Lui veniva dal teatro colto del ‘700 (l’Opera Buffa) per esempio la serva padrona di Giovanni Pergolesi. Con i testi di Giovanni Enna con i quali ebbe inizio la nostra storia, Cubeddu seguitò con la riscoperta delle antiche tradizioni delle “Gobbule”.

- Le opere rappresentate originano da un contesto locale? Tante ma non tutte, sono stati tradotti e portati in scena testi di ambito napoletano vedi Eduardo De Filippo con Filumena Marturano, siciliano, veneto.

- La vostra compagnia è strutturata? La nostra viene riconosciuta come “compagnia di professionisti” da parte della Regione autonoma della Sardegna come Compagnia di Interesse Regionale unica a Sassari .

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- Quali fasce d’età sono inserite nella compagnia? Un po’ tutte - In quale ambito sono o sono stati occupati i vostri attori? Nino Costa era un artigiano, Italo Delogu un commerciante, P.F. Olivieri operatore contabile. Mario Lubino bancario, Teresa Soro funzionario comunale. Insomma diverse provenienze.

- Qual è il messaggio che intendete veicolare con il vostro lavoro? Il nostro messaggio ha il fine di proporre la valorizzazione, il recupero e promuove la cultura dell’identità e l’autentica tradizione sassarese attraverso il formidabile mezzo di comunicazione rappresentato dalla lingua.

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4.4.1. Me' Niboddi Clotilde di Pierangelo Sanna, Compagnia Paco mustela

In una famiglia sassarese nasce lo scompiglio quando il padre decide di accogliere in casa propria Clotilde, figlia del fratello che non ne vuole sapere di riprenderla in casa, quando avviene la chiusura dei manicomi. Si tratta di una famiglia borghese composta da padre, madre e due figli. Si avvicendano il personaggio di Clotilde Pistidda, la nipote; Callisto Pistidda, suo zio; Giovanna, moglie di Callisto; Margherita, figlia di Callisto e Giovanna; Libero, suo fratello; Vannina, la cameriera; Carlo amico di Margherita; Franz, il cane della famiglia. Clotilde arriva a Casa Pistidda e già cominciano le frasi sibilline che Giovanna, contrariata dalla presenza della ragazza, rivolge a suo marito intimandogli di riportare la ragazza a casa di suo padre. Non sono meglio gli altri componenti della famiglia, i quali non intendono rinunciare alle proprie stanze per cederle alla loro cugina, si decide allora di allestire il ripostiglio (privo di finestre) come stanza dell’indesiderata ospite. La cameriera Vannina vive con terrore la presenza di Clotilde (era finita in manicomio perché pare avesse tentato di ammazzare, riuscendovi, il gatto, con una scarica elettrica data da l’asciugacapelli nel tentativo di asciugarlo dopo averlo lavato). Inoltre, racconta Libero, che una notte al suo rientro trova la casa inondata da un forte odore di gas, passa per tentativo di sterminio la dimenticanza di Clotilde nell’aver lasciato aperto il rubinetto del gas in cucina. Margherita trama di eliminare fisicamente la scomoda presenza ed escogita, come si avrà modo di vedere, ogni possibile stratagemma per “farla fuori”, ma non tutto va per il verso giusto… Facendosi aiutare da Carlo, prepara per Clotilde una limonata con dell’arsenico che non lascerebbe traccia a livello gastrico in una eventuale autopsia. Al momento del brindisi, lo stesso Carlo beve per errore la sostanza e finisce in ospedale. Fallisce così il primo tentativo di accoppare la poveretta. Il secondo tentativo viene suggerito da un articolo di giornale, l’arma del delitto avrebbe dovuto essere essere un martello, con un piano ben preciso. Anche stavolta il bersaglio non 52


viene centrato e a rimetterci è la povera domestica Vannina che viene scambiata per Clotilde da Margherita stessa. É la volta di Libero quando torna dall’ospedale dopo aver accompagnato la povera domestica (con la quale ha una relazione nascosta). Margherita imperterrita medita una scossa elettrica per Clotilde che ascolta ad alto volume musica su un vecchio giradischi dai cavi difettosi, la matta viene invitata da Libero a spegnere il giradischi ma lei non sente ragioni (balla sfrenatamente) allora lui va per spegnerlo e prende una forte scarica elettrica, finendo all’ospedale. Finisce miseramente anche il terzo tentativo. Ormai Margherita è frustrata dai tentativi falliti e si butta sul divano, ma ecco un’altra idea. Esce di corsa e torna con una scatola dalla quale estrae qualcosa che nasconde sotto i cuscini, Callisto siede sul divano ed estrae qualcosa di strano che lancia per aria, lo strano oggetto ricade su Giovanna, si tratta di un ragno velenoso che….punge i due coniugi, ancora si finisce in ospedale. L’ultima speranza per Margherita è quella di buttare giù dal 4° piano l’odiata cugina, si organizza dicendo che l’amato Carlo guarda in alto dalla strada per veder comparire sul balcone Clotilde e la stessa viene invitata da Margherita ad affacciarsi, magari sporgendosi un po’ di più, è il momento giusto….la sconsiderata prende la rincorsa nel suo folle proposito e va verso la cugina, Clotilde si sposta nel tentativo di vedere Carlo, Margherita si sbilancia e con un urlo disperato precipita nel vuoto. Clotilde assiste serafica alla scena e commenta fra sé: «E ora chi chiamo? Sono rimasta da sola, tutti se ne sono andati, pure il cane. ….Eh, a me non mi vuol bene nessuno» Alcune battute. Si presenta per Margherita il terzo tentativo di far fuori Clotilde: MARGHERITA: Cà l’hà azzesu lu giradischi? CLOTILDE: Eu cosa credi chi sia tonta? MARGHERITA: E acchì l’hai azzesu? CLOTILDE:- Sigundu te?

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MARGHERITA (una nuova idea la illumina): E si lu isthudu tu cosa fai? CLOTILDE: L’azzendu un’astrha vosthà! Ma ischusa, acchì lu voi isthudà? MARGHERITA: Pà vidè si è veru chi lu sai azzindì CLOTILDE: Ma cosa ti credi chi sia una cretina? MARGHERITA

No

lu

soggu....

eu

no

soggu

più

sigura

di

nienti……………………….. Chistha è la vostha chi no la ischampi, basthasdha! E no minn’affutti nudda si abarai a fini a lu Pronto Soccorso a Caramasciu! (armeggia coi cavi del giradischi) Appena tocca chisth’affari....(ride soddisfatta) CALLISTO: Cosa sei fendi? MARGHERITA Nienti!.. CALLISTO: No azzindì chissa marasosthi paj piazeri! MARGHERITA: E ca lu vo’ azzindì? CALLISTO: Tandu cosa sei fendi? MARGHERITA: Nienti…Era aggiusthendi un firu chi s’era isthaccaddu. Caschunu, chena abbizzassinni si pudìa piglià l’ischossa… *** Traduzione: MARGHERITA: Chi l’ha acceso il giradischi? CLOTILDE: Io! Cosa credi che sia tonta? MARGHERITA: Perché l’hai acceso? CLOTILDE: Secondo te? MARGHERITA: E se lo spengo, tu cosa fai? CLOTILDE: L’accendo ancora una volta! Ma scusa perché lo vuoi spegnere? MARGHERITA: Per vedere se lo sai accendere CLOTILDE: Ma cosa ti credi che sia una cretina? MARGHERITA: Non lo so… io non sono più sicura di niente…………………………. (Questa, è la volta che non la scampi, bastarda! E non me ne importa nulla se finirai al Pronto Soccorso o al cimitero). (Appena tocca quest’affare…….) CALLISTO:- Cosa fai? MARGHERITA:- Nulla!... 54


CALLISTO:- Non accendere quella malasorte per piacere! MARGHERITA:- E chi la vuole accendere? CALLISTO:- E allora cosa stai facendo? MARGHERITA:- Niente stavo aggiustando un filo che si era staccato. Qualcuno, senza accorgersi potrebbe prendere la scossa….

4° stratagemma da parte di Margherita per sbarazzarsi di Clotilde (il ragno) CALLISTO (infila casualmente la mano fra i cuscini): Ma cos’è chisthu? (solleva con orrore la mano a cui è attaccato un grosso ragno nero) Giovanna! (fra le urla generali scuote la mano; il ragno cade addosso a Giovanna. Verosimilmente i due vengono punti dall’insetto che, alla fine, viene catturato da Clotilde e lo schiaccia con il piede) CLOTILDE:- Tutt’a posthu! Mori ragnu ischifosu! Callisto e Giovanna sono riversi sul divano GIOVANNA:- Callì. M’intendu mari…no ridesciu a ripirà..Cos’era chissà cosu? CALLISTO:- Un ragnu…Mi gira lu cabbu..No veggu più…Mergherita!.. MARGHERITA:- Caimmi, andemmu a l’ipidali! GIOVANNA:- Callì... Er “la vedova…allegra”…? MARGHERITA:- No era “la vedova nera”, isthai tranquilla, ma però dubimmu andà in pressa a lu Pronto Soccorso! Appuggeddivi a me! *** Traduzione CALLISTO:- Ma cos’è questo?....Giovanna CLOTILDE:- Tutto a posto! Muori ragno schifoso! GIOVANNA:- Callì, Mi sento male…non riesco a respirare..Cos’era quel coso? CALLISTO:- Un ragno..Mi gira la testa..Non vedo più..Margherita!.. MARGHERITA:- Calmi, andiamo all’ospedale! GIOVANNA:- Callì..Era “la vedova. ..allegra”..? MARGHERITA:- Non era “la vedova nera”, stai tranquilla, però dobbiamo andare di fretta al Pronto Soccorso! Appoggiatevi a me!

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4.4.2. Mar'a muri di Mario Olivieri, compagnia La Quinta

Un testo a cui Mario Olivieri è particolarmente affezionato è Mar’ a murì (lett. Dura a morire), fonte di ispirazione è l’anziana madre non vedente (93 anni) per la quale si percepisce pensione ed accompagnamento. Il caso ha fatto sì che in famiglia si ironizzasse sull’eventuale decesso dell’anziana, da qui a far nascere il paradosso e scrivere un'opera teatrale il passo è breve … Ecco Mario Olivieri nei panni del truffaldino Federico Bassu che insieme alla moglie Rosaria Braghetta in Bassu, la figlia (brutta e un po' "maccocca" espressione tipica sassarese per definire persona poco intelligente) Palmira, la figlia (bella) Samantha (non mancano le allusioni riguardanti la figlia brutta al confronto con la sorella più bella), il suo spasimante Gaetano Cerniera, l’anziana e ricca vedova Donna Lalla, il dott. Blasi medico di famiglia, la signora Mongiu assessore alla cultura, dott. Ganau sindaco, Domenica domestica a tutto servizio, Agneska badante polacca, Donna Rachele amica di donna Lalla. La famiglia Bassu inscena una parentela con un’anziana signora “un po’ svanita”, adducendo la parentela ad un figlio disperso, e ora ricomparso, di donna Lalla, la stessa si barcamena tra momenti di lucidità mentale e evidente smemoratezza. Il vantaggio è notevole in quanto la vecchia, oltre ad essere ricca, vanta rendite date da pensioni di varia provenienza. La famiglia si insedia in casa di Donna Lalla, inizia così lo strano mènage: l’intero gruppo spende e spande a piene mani sulla rendita della vecchia, la donna riceve assiduamente la visita del medico di famiglia che certifica il suo stato di salute al fine di giustificare l’affidamento della pensione al figlio Federico. Questo divide con i suoi familiari, sempre più sfrenati nello spendere, tutti i denari percepiti, ingannando la vecchia con delle banconote false che fungevano della parte a lei spettante. Inoltre, Donna Lalla, quasi centenaria, era stata designata dal servizio amministrativo comunale a ricevere un assegno per il suo compleanno. Un giorno la povera Donna Lalla si vede costretta ad ingoiare “la 56


minestrina di stelline” che rifiuta perché la mangia da tre giorni (la domestica ne aveva preparata troppa). Avviene che nella forzatura di dover ingoiare l’avvilente alimento la poveretta si strozza. Che fare? A questo punto inizia un’affannosa ricerca per trovare una soluzione. Si pensa di conservare il cadavere in congelatore per tirarlo fuori al momento della visita del medico dott. Blasi (divertente la scena in cui compare il medico, vede poco, e si lascia ad immaginare gli equivoci che si creano ) il genero Gaetano che fa il make-up artist (trucca i morti) avrebbe truccato la povera estinta. Nel frattempo la padrona di casa si sente male e la morta viene abbandonata a se stessa, quando si torna sul posto la morta non c’è più. Altro problema, la soluzione viene di conseguenza ... Una delle figlie si traveste da Donna Lalla e si mette in carrozzina con l’intento di fingere di morire davanti al sindaco che ormai avrebbe consegnato l’assegno che non potrà essere restituito. Alla visita del Sindaco, il giorno dopo, tutto è pronto ma… All’improvviso compare sulla scena Donna Lalla accompagnata dalla badante, e qui cade l’imbroglio. I due vengono cacciati, la domestica diventa la sua governante… e le pulizie chi le fa? La soluzione che la vecchia trova ribalta la situazione…Federico e la sua famiglia, diventano i domestici. Nell’ultima scena compaiono i truffaldini che indossano gli stessi abiti dei domestici. Siccome il lupo perde il pelo ma non il vizio, la commedia si conclude che Donna Lalla riceve la visita della sua amica Donna Rachele, anche questa putacaso ha perso un figlio e ne parla con l’amica, i due coniugi si scambiano un’occhiata si rivolgono alla donna… «Ma non è che mi assomiglia un pochino? La donna invita Federico ad andarla a trovare, l’uomo l’accompagna alla porta e domanda sottovoce: «Ma... mi scusi, lei a casa sua il congelatore ce l’ha?» Alcune battute Le sorelle Samantha e Palmira sono gemelle SAMANTHA: …………… Emmu, ba’…ritiradda l’hai la pira, chi aggiu visthu un beddu visthiri in d’una boutique di piazza.. PALMIRA: Eh, no! L’aggiu visthu primma eiu e chistha vostha no mi futti: tu ti 57


n’isciubareggi un asthru. FEDERICO: Mih, pai piazeri no ischuminzeddi a brià. Vorarà dì chi chistha vostha vi ni cumpareddi dui prizisi, cumenti cand’eraddi minori. No seddi cuppiori? (alla moglie sottovoce, mentre le due sorelle continuano a discutere). Cumenti fazini chisthi dui a assè cupiori si una pari la brutta copia dill’asthra. E a abbaiddalli be’ no z’assimigliani nemmancu. ROSARIA: Ma no dì isgiabbidduri, chi Palmira è prizisa a te e Samantha è lu ritrattu meiu di cand’era giobana. FEDERICO: E candu mai la più fea no assumigliaba a me! A dugna modu eiu aggiu sempri sabuddu chi li cupiori no si disthinghini unu dall’asthru. *** Traduzione: SAMANTHA: ba’ hai ritirato i soldi?, che ho visto un bel vestito in un negozio del Corso (per piazza s’intende il corso Vittorio Emanuele) PALMIRA: E no! L’ho visto prima io e questa volta non mi freghi: tu te ne scegli un altro. FEDERICO : Per piacere non iniziate a litigare. Vorrà dire che questa volta ve ne comprate due uguali, come quando eravate piccole? Come fanno queste due a essere gemelle se una sembra la brutta copia dell’altra. E a guardarle non ci assomigliano nemmeno. ROSARIA: Ma non dire stupidaggini, che Palmira e uguale a te e Samantha è il mio ritratto di quand’ero giovane. FEDERICO: E quando mai la più brutta non assomigliava a me! Ad ogni modo ho sempre saputo che i gemelli non si distinguono una dall’altro.

Palmira e Samantha scoprono e commentano l’imbroglio ordito da Federico ai danni di Donna Lalla. Il padre si giustifica, e la moglie lo appoggia. FEDERICO: ………….. E sia, ma però amminteddibi chi l’aggiu fattu soru paj voi, pa videvvi una dì sisthimaddi. Dunca… Vint’anni fazi voi eraddi criadduri ed aiu era sempri ivviaddu, tantu chi no v’abia mancu li dinà pa cumparà un chiru di pani e..(la commozione lo blocca). ROSARIA: E tandu la dì chi l’è capitaddu di liggì i lu giornale chi una vedova era zischendi lu figlioru “misteriosamente scomparso” da tant’anni, eddu s’è apprisintaddu e l’ha cunvinta d’assè lu figlioru ch’era zischendi. La veccia 58


primma primma ha criduddu di ricunnuscillu e z’ha accosthu tutti in casa soia, addaboi a ischuminzaddu a suipittà e ha dittu chi vi vuria vidè ciaru…. FEDERICO: … Cussì ha ciamaddu l’avvucaddu pa’ virificà la pusizioni meia e dichiarammi figlioru e erede leggittimu. E chissà digraziaddu d’avvucaddu no ha pratesu lu zesthificadu di nascita meiu, e cussì n’è isciddu a pizzu chi soggu figlioru du N.N. ROSARIA:… Pa no fabiddà di la fedina penale chi zi l’hani dubudda ippidì in dui vosthi….tantu è lu chi fa’ chi babbu vosthru ha sempre daddu a la giustizia..A la fini l’aggiu cunvinta a tinimmi cument’è governante, finz’a candu ha ischuminzaddu a no ammintassi più nudda, francu che in zesthi mamenti… PALMIRA: ….Aggiu cumpresu, cussì abà noi li semmu parenti da parte di Alzheimer e z’abemmu invintaddu librettu e dinà fazzi pa’ futtì la veccia. Zesthu chi vint’anni di truffa no so’ un’isgiabbiddura, eh…. *** Traduzione: FEDERICO: …E sia, però ricordatevi che l’ho fatto solo per voi, per vedervi un giorno sistemate. Dunque vent’anni fa’ voi eravate bambine ed io ero sempre disoccupato, tanto che non avevo soldi neppure per comprare un chilo di pane e…. ROSARIA:…E’ allora che gli è capitato di leggere sul giornale che una vedova cercava suo figlio “misteriosamente scomparso” da tanto tempo. Lui si è presentato e l’ha convinta di essere il figlio che cercava. La vecchia prima-prima ha creduto di riconoscerlo e ci ha accolto in casa sua, poi ha cominciato a sospettare e ha detto di voler vedere chiaro.. FEDERICO:…Così ha chiamato l’avvocato suo per verificare la mia posizione e dichiararmi figlio autentico ed erede legittimo. E quel disgraziato d’avvocato non mi ha preteso il certificato di nascita, e così è venuto fuori che sono figlio di N.N. ROSARIA:…Per non parlare della fedina penale che ce l’hanno dovuta spedire in due volte…tanto è, il da fare, che vostro padre ha dato alla giustizia Alla fine l’ho convinta a tenermi come governante, fino a quando a cominciato a non ricordarsi più nulla, esclusi certi momenti.. PALMIRA:..Ho capito, così ora noi siamo parenti per parte di Alzheimer e ci siamo inventati libretto e soldi falsi per fregare la vecchia. Certo che vent’anni di truffa non sono una stupidaggine, eh…

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4.4.3. Me' figlioru Palmiro Simone di Ugo Niedda Compagnia Teatro Latte Dolce Personaggi: Benedetto, il padre; Maria, la madre; Palmiro Simone, il figlio diciottenne; Lucia, la figlia; Luciano, il genero; Luisa amica e/o ragazza di Palmiro Simone; Il Parroco; Don Luigi sacerdote di altra parrocchia. La storia si ambienta in un quartiere popolare di Sassari nella seconda metà degli anni ‘70 I due genitori professano due religioni diametralmente opposte: Maria, donna piccola e grassoccia, frequenta assiduamente la parrocchia, chiede l’intercessione del parroco per informare Benedetto sulle intenzioni di suo figlio Palmiro Simone di farsi prete. Benedetto, comunista sfegatato, non perde occasione di screditare qualsiasi iniziativa della chiesa. Anche il nome del ragazzo è motivo di discussione: Palmiro è stato voluto dal padre in onore dell’ex leader comunista Palmiro Togliatti. I due si contendono l’appellativo del figlio anche in sua presenza, e il poveretto accetta qualsiasi nome o tutti e due pur di non sentirli litigare. Il parroco va a far visita in casa di Benedetto nell’intento di perorare la causa di Maria e di suo figlio. Benedetto scoraggia ogni tentativo del sacerdote con frasi tendenziose, al pover’uomo non rimane che allontanarsi con un nulla di fatto. Palmiro esce dalla stanza dove studia e domanda a sua madre se al padre sia stata data l’informazione, la donna si scusa dicendo che al suo tentativo di intavolare il discorso… facendo l’esempio del figlio d’una amica che intendeva farsi prete, il marito è saltato su tutte le furie dicendo che si tratta di un deficiente e chiudendo il discorso con i peggiori appellativi sul ragazzo. Simone vorrebbe affrontare lui il discorso, ma si rimanda tutto ad altra occasione. Simone riceve la visita di una compagna di studi, qualche tempo prima fra i due era nata una storia, la ragazza si trova li perché vorrebbe riallacciare i rapporti sentimentali, ma la riluttanza del giovane la porta ad insistere sul motivo del rifiuto, il ragazzo rivela la ragione per la quale non vuol tornare insieme a lei, la disapprovazione della ragazza è palese con pianti e minacce i due si salutano abbracciandosi, nello stesso momento entra in casa Benedetto che cade 60


nell’equivoco vedendo la scena dei due abbracciati. Ride sotto i baffi immaginando che il più givane dei suoi due figli possa essere colui che per primo potrebbe renderlo nonno. Maria parla del suo segreto con la figlia Lucia che si è recata con il marito nella casa paterna, la ragazza promette di sostenere la madre nell’impresa. Luciano nel frattempo, davanti a un bicchiere di cannonau, promette a Benedetto di sostenerlo quando rivelerà alla moglie ed al figlio (ignaro) di aver iscritto quest’ultimo al gioco del calcio nella sezione dei comunisti. La prima delle due rivelazioni è quella di Benedetto alla moglie… .adiratissima, appena ritirati in camera da letto la donna, di rimando rivela la verità sui propositi di Simone… l’uomo disperato si abbandona all’umiliazione del disonore, con tutte le imprecazioni possibili, tenendosi la testa tra le mani, grida al tradimento… ma un’idea balza nella sua mente sconvolta. Per dimostrare che il figlio non è guidato da un’autentica vocazione decide di farlo cadere nelle tentazioni del vizio, inoltre si accorda con un sacerdote di altra parrocchia (agli occhi del quale ribalta il suo intento come fosse quello di sua moglie) perché verifichi la reale vocazione del suo ragazzo. Scatta il piano di Benedetto che in accordo con Luciano decidono di farlo ubriacare e poi dargli da fumare dei sigari, il poveretto prende a bere un bicchiere dopo l’altro fino ad ubriacarsi, il padre esce per andare da Luciano. Nel frattempo arriva Don Luigi e vede una madre preoccupata che cerca di mettere a letto suo figlio ubriaco, lo accompagnano assieme e tornano sul luogo, ritorna anche Benedetto con Luciano; dopo un momento di imbarazzo Benedetto manda in camera la moglie e Luciano, per parlare liberamente con il sacerdote, Don Luigi dice di essere stato dal parroco per vedere chiaro sulla faccenda di famiglia, vedendosi scoperto Benedetto ammette le sue menzogne adducendo la scusa di aver tramato tutto per amore del figlio, in realtà l’opinione del parroco è che Palmiro Simone è ancora troppo giovane per poter decidere su una cosa così seria, la sua “vocazione” potrebbe essere dettata dal bisogno di sfuggire a due genitori oppressivi, ognuno per le proprie tendenze di fede. Arriva la madre di Luisa dicendo che la figlia dopo l’incontro con Pasi (così 61


chiama Palmiro Simone) è andata via lasciando un biglietto per lui nel quale chiede di essere raggiunta prima che si commetta l’irreparabile, il ragazzo spinto dal padre va da lei, e la madre della ragazza viene invitata a tornare a casa ad aspettarla. Il sacerdote si congeda dicendo ai due genitori di non giocare con la vita del proprio figlio in favore dei propri interessi, i due riflettono ad alta voce pentendosi del proprio operato nei confronti di tutt’e due i figli proponendosi di avere un comportamento più consono a loro. Benedetto, rimasto solo, parla con Dio, ammettendo di aver sempre creduto nella sua esistenza, facendo premessa tuttavia che non avrebbe cambiato la sua fede politica per niente al mondo. Alcune battute Nella stanza da letto Benedetto apprende, dalla moglie, l’intenzione di suo figlio Palmiro Simone di farsi prete… BENEDETTO (spalancando la porta della sua camera inizia a urlare come un forsennato): nooooo!, Nooooo! Chisthu no! Nooo, no mi lu dibia fa! (sempre più furioso si avvicina alla porta della camera del figlio e incomincia, cercando di sfondarla a calci urlando) Nooo!!! Vigliaccu! (Maria lo spinge giù per le scale ed esclama) MARIA: Muddu! Muddu chi isceddi tutta la carrera! Maccu! BENEDETTO (urlando ancora di più): Non minn’affutti nudda di la gènti! Anzi megliu chi si isceddani, cussì tutti sabarani chi in casa mea v’aggiu un nimigu! (facendo capolino sulla porta, Palmiro Simone dopo un attimo di esitazione scende le scale. P. SIMONE (come fosse caduto dalle nuvole): Cosa c’è? Babbo ti senti male? BENEDETTO: Sissignora chi isthoggu mari, (minaccioso) Lu sai cosa m’ha dittu mamma toia?? (riprendendo ad urlare) Chi tu, propriu tu, (indicandolo con l’indice) mè figlioru, voi fatti prèdi! P. SIMONE: Babbo io… BENEDETTO (interrompendolo lo abbraccia, e piagnucolando lo esorta): … Dillu a babbu toiu, dillu a babbu chi no è veru! Dillu a babbu!! P. SIMONE: Babbo io… BENEDETTO (interrompendolo di nuovo): No! Aisetta, primma lagami pusà (si siede e riprende) dillu a babbu! MARIA (scocciata): E abbasciami li bòzi chi sei un’ischandaru! Abà manca soru chi ti poni a pignì! *** Traduzione: BENEDETTO: Nooo! Nooo! Questo no! Nooo!!! Vigliacco! MARIA: Zitto! Zitto che svegli tutta la via! Matto! 62


BENEDETTO: Non mi importa nulla della gente! Anzi meglio che si sveglino, così tutti sapranno che in casa mia ho un nemico! P. SIMONE: Cosa c’è? Babbo ti senti male? BENEDETTO:- Certo che sto male, Lo sai cosa mi ha detto tua madre?? Che tu, proprio tu, mio figlio, vuoi farti prete! P.SIMONE:- Babbo io… BENEDETTO:-…Dillo a tuo padre, dillo a babbo che non è vero! Dillo a babbo!! P.SIMONE:- Babbo io… BENEDETTO:- ..No! Aspetta, prima lasciami sedere…. dillo a babbo! MARIA:- E abbassami le voci che sei uno scandalo! Adesso manca solo che ti metta a piangere!

Don Luigi va far visita in casa di Benedetto dopo essersi consultato con il parroco dal quale ha appreso come stanno realmente le cose….ed anche per restituire il giornale del partito che Benedetto ha fatto passare come appartenente a sua moglie Maria. BENEDETTO: Visthu chi no po’ fabiddà cun mè figlioru, si ha cosi di fà po’ puru andà! Vedarà chi a mè figlioru lu fozzu vinì in gesgia! DON LUIGI: (si alza e fa per andare, dopo qualche passo si ferma, si volta ed esclama ironicamente) Già che son qua le restituisco il suo giornale! BENEDETTO: Meu? Di mè muglieri! DON LUIGI: Stamattina, non sono andato a lezione, invece ho pensato fosse opportuno fare una visitina al suo parroco! BENEDETTO: Aggiu cumpresu! Zesthu chi abà mi dubaristhia fa un fossu, abenni la faccia in terra! E inveci no è cussì, acchì l’aggiu fattu pa mè figlioru! DON LUIGI: Anche mentire? Bastava dire la verità, io gli avrei parlato ugualmente a suo figlio! *** Traduzione: BENEDETTO: Visto che non può parlare con mio figlio, se ha cose da fare può pure andare! Vedrà che mio figlio lo faccio venire in chiesa! DON LUIGI: Già che son qua le restituisco il suo giornale! BENEDETTO: Mio? Di mia moglie! DON LUIGI: Stamattina, non sono andato a lezione, invece ho pensato fosse opportuno fare una visitina al suo parroco! BENEDETTO: Ho capito! Certo che ora mi dovrei fare un fosso, avere vergogna! E invece non è così, perché l’ho fatto per mio figlio! DON LUIGI: Anche mentire? Bastava dire la verità, io gli avrei parlato ugualmente a suo figlio.

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4.4.4. Tre occi vedini megliu di dui di Mario Dettori, Compagnia teatro dell’Arca La commedia è ambientata negli anni Cinquanta, in una città impoverita ancora lontana dalla ripresa economica. Si avvicendano sulla scena un’insieme di persone che vivono di elemosina consentendo, di fatto, con questo patetico mezzo, degno sostentamento alle proprie famiglie. I personaggi sono, in ordine gerarchico: 1° famiglia: Pietrinu, mendicante cieco; Luzia, sua moglie; Teresina, loro figlia. 2° famiglia: Zuniari (zoppo, gli manca una gamba); Ceciria, moglie di Zuniari. Giacuminu, mendicante amico loro. Antonio “ lu muddu”, neanche a dirsi, è muto, amico loro. Gesuinu “lu fraddi ischonzu”, mendicante della parte avversa; Rosina, la donna di Gesuinu. Gabinu “lu brazzi mozzu”, neanche a dirsi, gli manca un braccio, mendicante amico di Gesuinu; Grazietta, amica di Gabinu. Beniaminu, padrone della bettola. Pietrinu è cieco dalla nascita, “lavora” davanti al portone della chiesa di S.Giusepe. Sua figlia Teresina lo accompagna tutte le mattine, egli vorrebbe radersi tutti i giorni (è un uomo alto e di bell’aspetto) ma, Luzia, avida, è quella che in casa porta “i pantaloni”, non permette abbellimenti per il marito in quanto potrebbero compromettere gli incassi della giornata, e pretende che il marito indossi il cartello pubblicitario della sua menomazione. Pietrinu è considerato persona autorevole, colto, conosce gran parte della Divina Commedia, è un pacifista, sta al primo posto nella scala gerarchica della comunità. Infatti la sua postazione di lavoro si trova nei “quartieri alti”, a San Giuseppe per l’appunto. I suoi colleghi, Zuniari e Giacominu, “prestano servizio” al portale del duomo S. Nicola. Un giorno Pietrinu, accompagnato da Teresina e in tutta segretezza, si reca da un medico oculista conosciuto all’entrata della chiesa. Questi si è offerto gratuitamente di fargli una visita perché pensa ci siano possibilità attraverso un intervento (trapianto) di fargli recuperare la vista. Al suo ritorno trova a casa trova Zuniari che lo informa di una banda di concorrenti di periferia, pretendono 64


di venire in città ed occupare le loro rispettive “postazioni di servizio”, inoltre si stupisce che lui non ne sappia nulla (gli usurpatori hanno visitato prepotentemente tutte le postazioni). Luzia, insospettita, a sua volta per il fatto che trova il marito un po’ strano, soprattutto perché non porta con sé il cartello. Inoltre Zuniari lo informa che la parte avversa ha costituito un sindacato, l’UMPA, Unione Mendicanti Periferici Affamati. Bisogna far qualcosa, nel frattempo Luzia vuole veder chiaro per ciò che riguarda il marito. Dopo tanto insistere, Pietrinu confessa di essere stato dall’oculista e svela alla moglie il risultato di quell’incontro affermando che l’intervento si può fare. A questa notizia sono evidenti la preoccupazione e la disperazione di Luzia: lei vede la buona riuscita dell’intervento sotto un aspetto negativo, facilmente comprensibile dal momento che, con la guarigione del marito verrebbe a cadere la fonte di sostentamento familiare. Intanto arrivano i mendicanti amici per discutere il da farsi, tutti insieme decidono di costituire un proprio sindacato per contrastare quello degli avversari si chiamerà UN.CA.Z., Unione Cantonieri Zonali alla cui guida viene designato Pietrinu. Dopo qualche giorno, Pietrinu viene operato e tiene la benda sull’occhio, nei giorni di convalescenza non va al lavoro. Sua moglie, sempre più contrariata, non fa che lamentarsi con la moglie dello zoppo Zuniari per il suo nuovo stato da indigente. Per superare il momento di forzato riposo, Pietrinu organizza, in accordo con i suoi compagni, un tavolo di trattative con la parte avversaria che avrà luogo in casa propria. Non avendo sedie sufficienti per tutti i partecipanti, Luzia si accorda con l’oste vicino per averle in prestito (divertente la scena con la moglie dell’oste che non vede di buon occhio la generosità del marito nei confronti una donna come Luzia). Ne segue la lite tra le due donne, finisce con il ritiro delle sedie che il debole Beniaminu, spinto dalla consorte, effettua a casa di Pietrinu. Come si è detto Pietrinu è un uomo pacifico, quindi dalla riunione emerge un accordo che vede la turnazione tra i mendicanti zonali e quelli periferici, che dovranno rispettare un calendario prestabilito per occupare le postazioni. 65


Luzia non approva questa soluzione e inviperita se la prende con il marito rimarcando la sua eccessiva magnanimità, litiga furiosamente con la fazione contraria e nel parapiglia prende il volo la benda del povero marito. Pietrinu si copre l’occhio con la mano, intanto la figlia accorre in aiuto al padre, questi si accorge in quell’istante che dallo spazio tra le sue dita filtra un raggio di luce, con stupore di tutti e grande emozione si rende conto di avere riacquistato la vista. Tempi duri, Pietrinu non va più a lavorare, passa il tempo a leggere i giornali che gli procura Zuniari. Esce, va in giro, scopre tutto ciò che gli sta intorno, e subisce, suo malgrado, i continui rimproveri della dispotica moglie. Un giorno viene recapitata una busta proveniente dalla Banca D’Italia intestata a Luzia. Non resiste alla tentazione, la apre e scopre che la moglie ha investito in titoli buona parte del denaro risparmiato nei tempi in cui suo marito chiedeva l’elemosina a S.Giuseppe. Un’altra scoperta è che all’interno del materasso della stanza matrimoniale, dove si avvertivano dei fastidiosi bozzi erano invece nascosti un bel po’ di soldi. Luzia rientra dopo aver accompagnato la figlia ad un colloquio di lavoro (come domestica), dicendo al marito di sperare in una conferma visto che sarebbe l’unica a portare sostentamento in famiglia. Pietrinu la rimprovera di essere senza cuore nei confronti dei familiari in quanto soldi ce ne sono è non sarebbe necessario per Teresina andare a servizio presso altre case. Vistasi scoperta e con Pietrinu che la copre di rimbrotti, cerca di difendersi dicendo che i soldi sono suoi, scoppia la rissa e nel corpo a corpo l’uomo ha la meglio sbattendo la moglie sulla brandina, la donna sviene, l’uomo va a chiudere la finestra. Nel riprendersi dopo il colpo, Luzia si accorge di vedere tutto nero, pensa di essere diventata cieca urla, strepita e piange accusandosi di tutto il male arrecato alla sua famiglia e prega il marito di fare qualcosa per aiutarla a superare la “punizione divina” nel discorso si consuma un appassionato chiarimento tra marito e moglie, il rimpianto per il dono della vista ormai perduta rivela di Luzia un aspetto che Pietrinu aveva ignorato fino ad allora e dopo averla fatta parlare e pentirsi, il marito riapre la finestra e ….investita da un fiotto di 66


luce la donna ritrova la vista e grida al miracolo. Pietrinu la invita a guardare la luce convincendola che in quel momento nessuno è più ricco di lei che ha riacquistato il bene della luce a dispetto della sua avidità che non le faceva vedere il bene della vita.

Alcune battute: Le due comari Lucia e Ceciria parlano dei rispettivi mariti: CECIRIA: E Zuniari miju tandu. A maragana vo’ iscì sempri gun l’anca di legna. Vai tu e favvira cumprindì ghi senza li frosci, mancu un cani li fazi la limosina. LUZIA: E siinò eju! No sai li lotti ghi aggiu dubuddu fa pa falli punì lu casthellu attaccaddu a lu coddu. A intindì a eddu è una cosa “indecorosa”…Mancu ghi aggia d’andà a baddà!.... CECIRIA: Beh, un poggu di rasgioni già vi l’ha… LUZIA: Ma dimmi tu ga v’abaristhia fattu casu, ghi è ceggu! A vosthi mi n’immintigheggiu eu puru, acchì gandu si ni bògga l’ipiccitti, v’ha dui occi gussì beddi ghi parini sani… CECIRIA: E poi Pietrinu è puru un bedd’ommu: disthintu, tirintinu,…si vedi subbiddu ghi debìa assè di famiria cumenti si tocca. LUZIA: Beh, puru Zuniari no è di gittazzi. Gandu si poni l’anca di legna…v’ha un’andanta.. CECIRIA: Si era pa eddu, no si ni l’abaristhia cabadda nemmancu gandu si coscha. Tant’è ghi soggu arribidda a lu puntu di sarrabira a ciabi. *** Traduzione: CECILIA: E allora Zuniari mio. A tutti i costi vuole uscire sempre con la gamba di legno. Vai a fargli capire che senza le stampelle, manco i cani gli fanno l’elemosina. LUZIA: E sennò io le lotte che ho dovuto fare per fargli mettere il cartello attaccato al collo. A sentire lui è una cosa “indecorosa”….Neanche dovesse andare a ballare! 67


CECILIA: Beh, un po’ di ragione ce l’ha… LUZIA: Ma dimmi tu chi avrebbe fatto caso, che è cieco! A volte me ne dimentico io stesso, perché quando si toglie gli occhiali, ha duo occhi così belli che sembrano sani… CECILIA: E poi Pietrinu è pure un bell’uomo: distinto, di bel portamento,….si vede

subito

che

doveva

essere

di

famiglia

perbene

LUZIA: Beh, pure Zuniari non è da buttar via. Quando si mette la gamba di legno, ha un’andatura…. CECILIA: Se fosse per lui, non se la sarebbe tolta neppure per andare a letto. Tant’è che sono arrivata al punto di chiudergliela sotto chiave.

Pietrinu ascolta e conforta Luzia nel momento in cui pensa di aver perso la vista. PIETRINU:- Dimmi tu gosa so’ li dinà, in cunfrontu a la digrazia di dibintà ceggu?...Nienti… LUZIA: Rasgioni hai…rasgioni! PIETRINU: No l’abaristhi daddi tutti li dinà ghi hai pa turrà a vidè gument’è primma? LUZIA: (Piange sempre disperata) Si Pietrinu meju…tutti,…tutti! PIETRINU: Visthu ghi v’abìa rasgioni eju, a andamminni in giru a passiggià… Acchì abà ghi m’è turradda la vistha, mi pari d’assè l’ommu più riccu di lu mondu… LUZIA: Rasgioni hai Pietrì, rasgioni Eju puru vogliu vinì a passiggià cun teggu’ PIETRINU: Dà, dà,…finira di pignì,…chi a tuttu v’è rimediu..l’impusthanti abè fedi…(un po’ cinico) E si propriu è disthinu di rimanì cegga, pazenzia…No sarà mancu la fini di lu mondu, no! Abemmu a campà lu matessi..Vo dì ghi andi tu a Santu Giuseppi a dumandà la limosina a lu posthu meju…e ti nominemmu puru presidenti d’UN.CA.Z… LUZIA (Disperata s’aggrappa al braccio del marito): Soggu disippiradda Pietrì.. PIETRINU (Ormai commosso anche lui): Caimmadi Luzì…(prendendola sottobraccio) Veni…veni gun meggu..(l’avvicina alla finestra, spalanca le 68


imposte e vengono investiti da una forte luce) LUZIA (Grida di gioia): Pietrì…Pietrinu meju!...Eju veggu!…Eju veggu! PIETRINU: Figgiura,..fuggiura gant’è bedda la luzi… LUZIA: Miragguru, Pietrì… Miragguru mannu! PIETRINU: Abà nisciunu è più riccu di te…Visth’hai ghi tre occi vedini megliu di dui… *** Traduzione PIETRINU:- Dimmi tu cosa sono i soldi, in confronto alla disgrazia di diventare cieco?..Niente. LUZIA:- Ragione hai..ragione! PIETRINU:- Non li avresti dati tutti i soldi che hai per tornare a vedere come prima? LUZIA:- Si, Piertrino mio..Tutti,..tutti! PIETRINU: Visto che avevo ragione io, ad andarmene in giro a passeggiare...perchè ora che mi è tornata la vista mi sembra d’essere l’uomo più ricco del mondo.. LUZIA: Ragione hai Pietrì, ragione!....Anch’io voglio venire a passeggiare con te PIETRINU: Dai, dà,.. smettila di piangere,..che a tutto c’è rimedio..L’importante è aver fede…E se proprio è destino rimanere cieca, pazienza…Non sarà la fine del mondo, no! Camperemo lo stesso..Vorrà dire che andrai tu a San Giuseppe per chiedere l’elemosina al mio posto. E ti nomineremo pure presidente d’UN.CA.Z. LUZIA: Sono disperata Pietrì PIETRINU: Calmati Luzì…Vieni, vieni con me.. LUZIA: Pietrì,…Pietrino mio!...Io vedo!..Io vedo! PIETRINU: Guarda,..guarda qunt’è bella la luce.. LUZIA: Miracolo, Pietrì….Miracolo grande! PIETRINU: Ora nessuno è più ricco di te… Hai visto che tre occhi vedono meglio di due… 69


4.4.5. Lassa fa' a lu cabaglieri di Giovanni Enna Compagnia la Frumentaria

Un “padre padrone”, bottegaio benestante, con la sua tirchieria tiene sotto scacco, nello spendere, i due figli e la sorella che vive con loro a seguito della scomparsa della moglie. I personaggi sono: Lu Cabagliè Lisandru, padre; Ziu Pasqhuari, suo mezzadro; Zia Naddoria, anziana sorella nubile di Lisandru; Massiminu, figlio di Lisandru; Maria Rita, figlia di Lisandru; Zia Rimundica, fattucchiera; Fusthunaddu, avvocato male in arnese e difensore di Lisandru; Diunisiu, consulente legale di ziu Pasqhuari. In casa di Lisandru, Naddoria accoglie gentilmente ziu Pasqhuari che deve presentare i conti relativi alla mezzadrìa di alcuni terreni a Bunnari. Nell’apprendere dello scarso e pressoché inesistente profitto della proprietà, Lisandru non vuol conoscere le cause e neppure le promesse di pagamento dilazionato che il mezzadro propone, elencando una serie di penose situazioni (chiedere l’elemosina ecc.) che verrebbero a crearsi qualora non ricevesse i danari a lui spettanti. Pasqhuari ha un'idea: propone come pegno a “lu cabagliè” un terreno in prossimità di Stintino, da tenersi in sospeso fino a quando non salderà il debito di duecentomilalire. Per contro, Lisandru rifiuta, disprezzando il terreno definendolo un “ruccari”, un banco di roccia privo di alcun valore. Propone invece la rateazione di centonovantamilalire immediate e…diecimila appena possibile. Il poveretto avvilito tira fuori da una tasca interna le banconote destinate alle tasse, le butta per terra, si allontana bestemmiando e alle minacce di sfratto di Lisandru dice che risponderà attraverso il suo avvocato. Massiminu, all’età di venticinque anni, vorrebbe mettersi in proprio con una attività, tipo quella di suo padre presso cui lavora dall’età di dieci anni, senza ricevere altro compenso che i soldi per le sigarette e per la domenica. Naddoria si offre di intercedere per lui con il dispotico fratello, inoltre Massiminu è innamorato della figlia di Pasqhuari, 70


Antoniettina, che vorrebbe sposare appena si sistemano le cose con il lavoro. Intanto Lisandro continua a litigare con tutti, clienti del negozio compresi, ha da ridire su tutto e in tutto vede spreco, Naddoria non ne può più, quando vede arrivare anche l’avvocato Fusthunaddu ( personaggio goloso e di scarso successo nell’attività legale, però…costa poco), che è stato chiamato dal fratello, stanca di tutto questo chiama Rimundica la fattucchiera, per fare una fattura che possa ammorbidire l’intrattabile carattere di suo fratello. La fattucchiera prepara dei biscotti farciti con degli schifosissimi intrugli da far mangiare a Lisandru, ed invece uno dopo l’altro finiscono nella pancia del goloso avvocato che s’intrattiene con Diunisiu, il consulente legale di Pasqhuari. Massiminu affronta il padre dicendo che sarebbe ora che finanziasse una attività a suo nome poiché ne avrebbe merito per tutti gli anni del lavoro di bottega esercitata alle dipendenze del padre, lo esorta a non aspettare di favorire questo progetto rimandandolo al suo passaggio a miglior vita. Lisandru risponde aspramente al figlio rinfacciando quanto ha fatto per lui, tenendolo in casa a spese proprie, anche stavolta l’uomo non si lascia intenerire. Qualche giorno dopo Pasqhuari si presenta in casa di Massiminu e viene accolto da Naddoria, dice di essersi presentato con l’intento di parlare a lu cabaglièri della situazione dei due innamorati, rivelando alla donna che i due aspettano un bambino. Il mezzadro si accollerebbe le spese del matrimonio se riuscisse ad accordarsi col genitore del ragazzo, la fortunata vendita dei terreni di Stintino, per i quali ha ricevuto una forte somma, risolverebbe ogni problema finanziario della giovane coppia. Lu cabagièri non c’è allora se ne va. Massiminu riprende il discorso col padre e finisce per confessare la sua situazione, davanti alla meraviglia del padre rivela il nome della ragazza. La reazione si può immaginare, Lisandru (nella sua ottusità) detesta ancora di più il mezzadro che accusa di essersi venduto dei terreni destinati a lui, e alle perplessità del figlio risponde che Pasqhuari avrebbe dovuto informarlo del valore che aveva la proprietà. La discussione termina con il figlio avvilito che palesa la sua intenzione di 71


partire per la Germania in cerca di lavoro. Di fatto il ragazzo va a stare a casa della fidanzata, Pasqhuari torna a casa di Lisandru. Lì comincia la schermaglia fra i due che si accusano l’un l’altro l’accusa peggiore per lu Cabaglièri sta nella colpa di aver costretto il figlio ad espatriare, prostrato Lisandro ammette di non essere la bestia feroce che tutti credono e che i figli dolgono anche a lui. Il sollievo arriva quando apprende che suo figlio si trova in città presso la fidanzata. Padre e figlio si ritrovano. Lisandru dopo aver sentito l’offerta del consuocero di finanziare un’attività per Massiminu da situarsi di fronte a quella sua, presenta una soluzione più per spirito di superiorità nei confronti di Pasqhuaru che per generosità nei confronti del figlio, tuttavia la soluzione trova l’accordo di tutti, soprattutto dei due giovani che vedono la realizzazione del loro sogno d’amore.

Alcune battute Pasqhuari, disperato spiega a Lisandru la sua difficoltà ad onorare il gli impegni finanziari di cui è debitore e propone un terreno in pegno fino a saldare il suo debito. PASQHUARI: ma, lu Cabagliè, eu no soggu più cumenti fa… v’haggiu di pagà li tassi, li midizini pà me muglièri ch’è maradda, v’haggiu una cugnadda battìa, la suredda di mè muglieri, a carrigu… LISANDRU: E hani d’iscì da li costhi mei, l’ippesi soi? No diggu eu, lampu sagraddu! PASQHUARI: L’haggi’a dì, lu cabagliè chi sill’haggi’eu, li dinà, no è cumenti chi l’haggia vosthè? Oramai so tant’anni chi v’haggiu li terri soi a mezz’a pari quindi mi dobaristhia cunnuscì… LISANDRU: Ed è di gussì chi unu anda a finì chidendi di janna in janna: lassendi li dinà soi in manu all’asthri! PASQHUARI: Ma, haggi’a dì, lu cabaglè, cumenti possu fa…(resta un attimo in attesa di una risposta che non viene, poi mostra che gli è venuta un’idea). Aischosthia…Eu li doggu, in postha chissu pezzu di loggu chi v’aggiu in oru di 72


mari affac’a l’ Isthintinu e vosthè mi lassa lu tempu paj pagà..Si no pagu si piglia lu loggu. LISANDRRU: E cà? Chissu pezzu di rocca chi no dazi lu tantu di susthintà una crabba? Ma maccu è, o figga vendi? Mancu a rigaru, lu tisthia vurè, no in tamma che in prenda. *** Traduzione PASQHUARI: ma, cavagliè, io non so più come fare…(con i pochi soldi che ha), ci devo pagare le tasse, le medicine per mia moglie ch’è malata, ho una cognata vedova, la sorella di mia moglie, a carico… LISANDRU: E hanno da uscire dalla mie costole, le spese sue? (intercalare intraducibile)… PASQHUARI: Le dirò, cavagliè che, se li ho io i soldi, non è come che li abbia lei? Ormai sono tanti anni che tengo le terre sue a mezzadrìa e quindi mi dovrebbe conoscere… LISANDRU: Ed è così che uno va elemosinando di porta in porta: lasciando i soldi suoi in mano ad altri! PASQHUARI: Ma, dico, cavagliè, come posso fare?.....Ascolti..io le do’ in pegno di terreno che ho vicino al mare, vicino a Stintino e lei mi lascia il tempo per pagare…se non pago si prende il terreno. LISANDRU: E quale? Quel pezzo di roccia che non da il tanto per sfamare una capra? Ma è matto, ooo fichi vende? Nemmeno per regalo, lo vorrei, non solo che in pegno.

Massiminu va via di casa e Lisandru riflette sulle conseguenze del suo modo di fare autoritario in presenza di Pasqhuari. L’uomo si trova la per parlare del futuro dei due innamorati. LISANDRU: Cujpa mea? Cujpa mea? E allora v’haggiu la cujpa di trattà l’intaressi mei? PASQHUARI: Chissi no so intaressi..Ha… Haggi’a dì: Chiss’è zecca! 73


LISANDRU (amaro): Abar-abà, Massiminu! Chissà indì z’è isciddu chissà pobaru figlioru…Paj cujpa mea no l’abaremmu a vidè più. PASQHUARI (stupito): Ha..Haggi’a dì…Haggi’a dì chi allora, jà ni l’impostha di li figliori. Guasi, guasi, m’ha di parì un babbu cument’e l’asthri Vosthè… LISANDRU (offeso e infuriato): E cosa si credi? chi sia una besthia firozzi? Soggu un ommu, eu puru! (emozionato) E a me puru mi dorini li figliori..(si morde il labro superiore)…Traduzione: LISANDRU: Colpa mia? Colpa mia? E allora ho la colpa di trattare i miei interessi? PASQHUARI: Quelli non sono interessi…ha..direi: queela è tirchieria! LISANDRU: Or-Ora, Massiminu! Chissà dov’è finito povero figlio…Per colpa mia non lo vedremo più PASQHUARI: Ah...che dire…che dire, che allora già le interessano i figli. Quasi, quasi, mi sembra un padre come gli altri lei! LISANDRU: E cosa crede? Che io sia una bestia feroce? Sono un uomo anche io! E anche a me dolgono i figli… .

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4.4.6. Farendi in Turritana di Battista Ardau Cannas, Compagnia Teatro Sassari

La vicenda si svolge nella Sassari degli anni ’20, ha come scenario l’interno di una casa terrena nella vecchia e popolare via Turritana, una famiglia tipica, sotto l’aspetto antropologico, della società sassarese del tempo. Un padre autoritario, nonostante la sua scarsa dedizione al lavoro, al quale non di rado, preferisce la visita al vindioru vicino…….,una madre impegnata nel mettere d’accordo marito e fglia, una figlia innamorata…. I personaggi sono: Mastrhu Antoni Bisiguru, il padre; Jpiranza, la madre; Giuannica, loro figlia; Masthru Giuseppe Ziruria, calzolaio; Pantareu, contadino di Sorso e compare dei Bisiguru; Franzischu, barbiere e spasimante di Giuannica; cumari Pasquarina Cagliada, vicina di casa; un Agente di Questura; alcuni Pizzinni Pizzoni; un mendicante. Giuannica si innamora di un giovane barbiere non troppo promettente sotto l’aspetto professionale, che, se decidesse di metter su famiglia, verrebbe aiutato da sua madre, una sarta “affermata” a Sassari. Antoni Bisiguru non vede di buon occhio la storia fra i due e non accetta alcun tipo di discorso che possa perorare la causa degli innamorati. Una mattina la figlia esterna il suo malumore alla madre minacciando che, se non avrà il consenso a frequentare l’amato Franzischu, scapperà di casa. Jpiranza è d’accordo solo in parte con la figlia, da un lato non vede grandi possibilità di mantenimento per una eventuale famiglia da parte del ragazzo, dall’altro lato ne riconosce la serietà, quindi potrebbe dare il suo benestare alla coppia, ma la difficoltà sta nel convincere il marito. La stessa mattina Antoni si alza tardi dopo aver smaltito la sbornia presa la sera prima con i compagni nella vicina bettola, la donna dopo una serie di rimbrotti rivolti al marito, intavola cautamente il discorso a favore della figlia. Ancora una volta l’uomo non vuole sentire ragioni, nel frattempo entra in casa loro Giuseppe il vicino calzolaio seguito poco dopo da Pantareu, che arriva da Sorso per andare da un avvocato, ma prima di avviarsi allo studio legale passa 75


dal compare per chiedere consiglio circa “l’abbandono del tetto coniugale” da parte di sua moglie. Per discutere la cosa i tre uomini si dirigono in una sede più consona…lu vindioru. Qualche giorno dopo, non avendo ottenuto alcun consenso da parte dei genitori, Juannica va via di casa e insieme Franzischu viene accolta dalla sorella di Antoni. Seguono grandi scenate tra i due genitori che si ritrovano a discutere sulle reciproche colpe, nell’intimità del momento vengono disturbati da comare Pasquarina Cagliada (il cognome Cagliada si traduce in zittita), che, a dispetto del suo cognome inizia un lungo ininterrotto discorso (scena divertentissima) dicendo di aver subito da sua figlia Maddalena la stessa sorte dei compari si allontana, e senza riprendere fiato per uscire, manifestando la sua solidarietà ai due sventurati genitori. Ritorna Pantareu, afflitto, non si rende conto che i due lo sono a loro volta, la coppia continua a parlare della propria disgrazia e il contadino della sua, si creano così una serie di equivoci fino a quando Antoni, avvilito e contrariato mette alla porta, con modi poco gentili, il povero compare. Passano i giorni e i coniugi Bisiguru continuano la solita vita, ricevono come prima le visite di amici e compari, l’assenza di Giuannica rattrista i due genitori che meditano sulle conseguenza dei rispettivi comportamenti. Giuannica soffre lontano dai genitori e decide insieme a Franzischu di recarsi da loro per implorarne il perdono, i due innamorati riescono ad intenerire il dispotico padre inscenando una ipotetica nidiata di nipoti. La scena si chiude in un abbraccio finale e con l’ilarità di tutti i presenti compreso Pantareu che decide anch’egli di perdonare la moglie fedifraga e nell’allegria generale bacia Pasquarina Cagliada che nello stupore perde l’uso della parola… con i complimenti di Antoni Bisiguru a Pantareu… che l’ha fatta star finalmente zitta. Alcune battute Jpiranza intenta ad accendere il fuoco in un braciere inizia il suo colloquio con la figlia seduta accanto alla finestra si parlerà della sua storia d’amore contrastata da suo padre Antoni Bisiguru 76


JPIRANZA: Vai burendi pa’ l’aria! Chi cajboni djgraziaddu! No vo’ azzindì pa’ nudda! (rivolta a Giuannica) Paj me vuraristhia, e ti lagaristhia fa’ lu piazeri toju! A me no mi si dipiazi, a chi ru veggu chi no è pizzinnu maru! GIUANNICA: E allora? JPIRANZA: Ma è babbu toju chi no ni vo’ intindì mancu l’innommu! GIUANNICCA: Ed eju lu vogliu ru matessi, e ni la jpuntarà né eddu né nisciunu! Si vi pjazi l’schàndaru, abareddi a vidè ru chi soggu capazzi di fa eju….. JPIRANZA: E si babbu toju ti jfascia ru cabbu?! Già ru sai cument’è chiss’ommu! E si ti poni manu guai! GIUANNICA: A ru sa cosa fozzu eju? Minn’andu di casa cuun eddu e vi lassu a grattavvi ra rogna a ra sora! JPIRANZA: Macca! E cosa credi chi ti possia campà un bajberi pidocciosu che chissu? Ohi ohi! Si li manca la mamma guai! A fa’ ciogga, anda! No è maru, ma no ha cabbu di nudda, ti ru diggu eju chi soggu beccia, e cumprendu li cosi più di tèni!... *** Traduzione JPIRANZA: (bestemmia) Vai volando per l’aria! Che carbone disgraziato! Non vuole accendere per niente. (rivolta a Giuannica). Per me io vorrei e ti lascerei fare a piacer tuo! A me non dispiace, perché lo vedo che non è un ragazzo cattivo! GIUANNICA: E allora? JPIRANZA: Ma è tuo padre che non vuol sentire neppure il suo nome! GIUANNICCA: Ed io lo voglio lo stesso, e non la spunterà ne’ lui ne’ nessuno! Se vi piace lo scandalo, vedrete cosa sono capace di fare io….. JPIRANZA: E se tuo padre ti rompe la testa? Già lo sai com’è quell’uomo! Se ti mette mano,guai! GIUANNICA: Lo sa’ cosa faccio io? Me ne vado di casa con lui e vi lascio da soli a grattarvi la rogna! JPIRANZA: Matta! Ma come credi che ti possa campare un barbiere pidocchioso come lui? Ohi ohi! Se gli manca la madre guai! A raccoglier lumache va’! Non è cattivo, ma non ha testa di nulla, te lo dico io che sono vecchia, e capisco le cose più di te!.... Mastro Giuseppi va in casa di Antoni ma lui ancora dorme, allora scambia alcune frasi con Jpiranza: GIUSEPPI (affacciandosi alla porta, con una forma da calzolaio sotto il braccio): A si po’ intrà, cummari Jpiranza? JPIRANZA: A intreddi, cumpari: e biadd’a ga’ vi vedi! 77


GIUSEPPI: Eh, aggiu chi fa’! No v’è cumpari Antoni? JPIRANZA: Già v’è, già: ma no sinn’è pisaddu ancora da ru lettu! GIUSEPPI: Ancora? JPIRANZA: Da chi minn’ha arriggaddu un coggiu, ‘isthanotti, chi no s’arriggìa mancu in pedi! Pari chi aggiani fattu un rattameu, no soggu in casa di ga’, e minn’è giuntu attamba attamba, imbriaggu chi la fezza! Chi vagogna! Un ommu mannu, babbu di figliori, e pienu di pensamenti, arruinassi a chissà puntu!! GIUSEPPI: Eh, Cosa vureddi fa’, cumamari meja! Paj divvi la viriddai, ariman’a sera…. *** Traduzione: GIUSEPPI: Si può entrare comare Jpiranza? JPIRANZA: Ah, entrate, compare: beato chi vi vede! GIUSEPPI: Eh ho da fare! Non c’è compare Antoni? JPIRANZA: Già c’è, già: ma non si è ancora alzato dal letto! GIUSEPPI: Ancora?! JPIRANZA: Ha riportato una sbornia stanotte, che non si reggeva in piedi! Pare che abbiano fatto uno spuntino (?) non so in casa di chi? M’è ritornato sbandando (?), ubriaco fradicio! Che vergogna! Un uomo grande, padre di figli e pieno di pensieri (problemi), rovinarsi a questo punto!! GIUSEPPI:- Eh, cosa volete fare, comare mia! Per dirvi la verità, ieri sera…..

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5. Identità, lingua e teatro sassarese L'aspetto

antropologico

nel

teatro

sassarese

trova,

per

buona

parte,

corrispondenza con alcune delle teorie esposte da Eugenio Barba. Come egli afferma, infatti, la scena, i testi e quanto non sia movimento del corpo, passa in secondo piano, in antropologia teatrale. Concordo il principio sopra esposto e aggiungerei: oltre al movimento del corpo, l'espressione del viso e la mimica facciale,

che

imprescindibile.

nel

contesto

Assistendo

vernacolare

sassarese

ad

rappresentazioni

alcune

costituisce in

elemento teatro

e

concentrandomi sui movimenti del corpo, escludendo tutto il resto, ho immaginato la fase pre-espressiva di un attore, il risultato era di un corpo diviso in due settori ben distinti: il viso e il resto del corpo come se i due, pur facenti parte della stessa persona venissero interessati da un ruolo ben distinto in cui il movimento della muscolatura facciale diventa elemento caratteristico. La mimica facciale nel teatro sassarese rientra nel linguaggio del corpo sul quale si fondano le basi della disciplina, e per meglio rappresentare se stesso un attore di teatro sassarese deve impegnarsi dando energia ad una parte del corpo che non è colonna vertebrale, non sono braccia e nemmeno gambe, ma semplicemente il volto. Il mimo Nino Costa (di cui si è parlato nei capitoli precedenti) viene ricordato e preso come modello da altri attori per le sue capacità espressive date dal solo movimento del corpo e del viso, rispettando, forse senza rendersene conto, le autorevoli teorie elaborate da E. Barba. Il teatro vernacolare riprende la sua attività nel 1977, quando in pieno boom economico lontani dai bisogni primari da soddisfare, il pensiero corre alle memorie del passato, forse un pensiero nostalgico passa nella mente di chi da bambino è stato protagonista di quelle storie poi scritte. Si riprende con il tema della Sassari zappatorina (si riferisce al tessuto sociale riportato in luce nella

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commedia). Gli anni '80 hanno visto proliferare diverse compagnie, alcune nate spontaneamente, altre costituite dalla riorganizzazione di compagnie sciolte, quasi tutte frutto di una gemmazione originata dai capi saldi del teatro sassarese come Nino Costa ed Elio Caria . La prima compagnia legalmente riconosciuta a Sassari è la Compagnia Teatro Sassari fondata e diretta da Giampiero Cubeddu, tutt'oggi operante con buona parte del nucleo fondativo. In origine, i testi proponevano temi relativi a ciò che costituiva il tessuto economico dalla società nei primi '900, si parla di agricoltori artigiani e commercianti, la produzione di Giovanni Enna espone scene di vita nella Sassari inizio secolo, il rispetto genitoriale predomina, a volte anche a torto come nella prima parte di Lassa fa' a lu cabaglieri proposta da La frumentaria, con finali che sottolineano l'importanza dei valori nella famiglia. Altri testi che rispecchiano la società sassarese anni '40 sono presenti nella commedia Tre occi vedini megliu di dui, nell'amara ironia di Mario Dettori dove la dignità e la cultura del povero Pietrinu vengono soffocate

dalla povertà e da una moglie despota che vede nella

menomazione del marito l'unica fonte di sostentamento alla famiglia. Ugo Niedda si allontana dal contesto e dai temi originari portando in scena l'evoluzione culturale della società: in Me' figlioru Palmiro Simone è presente il conflitto politico-religioso tra padre e madre nella contesa del nome per il loro figlio e per la scelta di vita che il ragazzo dovrà operare. Temi più attuali vengono affrontati nella commedia Mar' a murì di Mario Olivieri, qui la voglia di benessere a tutti i costi, spinge la famiglia Bassu a squallidi raggiri, meramente falliti, ai danni di una anziana signora. Una svolta interessante arriva dalla pièce Me' niboddi Clotilde di Pierangelo Sanna che tratta temi di interesse sociale, come il supporto in ambito di malattia mentale, appositamente scritta nelle versioni italiano e sassarese da adattarsi al

pubblico o al cast presenti al

momento. La sfera emotiva predomina nel profilo dei sassaresi, le commedie nel testo illustrano lo stile di vita passato e la sua evoluzione, alcune parti rivelano aspetti rimasti immutati nel tempo come il valore della famiglia con le sue regole rigide 80


in cui il rispetto alla figura genitoriale maschile resta al primo posto insieme all'anziano nella scala gerarchica. Nella Sassari "zappatorina" il capo famiglia veniva rispettato anche quando era dedito al bere anche se compiva queste azioni dopo le ore di lavoro, nel peggiore dei casi poteva trattarsi di persona dedita al bere e scansafatiche, di fatto il rispetto da parte dei figli non veniva meno anche se la figura paterna rispondeva al secondo caso. Sassari si articola in tutti quegli aspetti riportati nelle pagine precedenti dove ogni storia ha una sua morale abbiamo immaginato gli autori delle commedie come depositari dell'identità culturale sassarese ognuno persegue un fine ideologico, ma nessuno si spinge fino all'interesse materiale nel suo messaggio, chi fa teatro, amatoriale o no, lo fa come atto d'amore per la sua città, alcuni per la sopravvivenza delle antiche tradizioni, altri per fini linguistici altri ancora per fini sociali, proprio la mancanza di guadagni permette la sopravvivenza del fenomeno perché nessuno viene offuscato dalla visione del lucro. A proposito delle ricchezze materiali, il sassarese cura molto poco l'interesse per lo sviluppo economico, non solo nella finzione scenica ma soprattutto nella realtà, salvo qualche imprenditore del passato e pochi in tempi recenti, la lacuna dell'imprenditorialità persiste e probabilmente porta radici ataviche nella nostra città, vediamo perché: si può ipotizzare che la questione risalga ai tempi del protettorato di Pisa e Genova, Sassari strinse rapporti pacifici con i suoi dominatori accettando, passivamente e forse anche con fiducia, l'egemonia in campo economico ed anche linguistico. Sarà forse per questa ragione che la popolazione sassarese compensa con un atteggiamento auto-ironico l'amarezza dovuta alla sua posizione subalterna verso il conquistatore di turno? Il sassarese sorride e ride molto, con questo diverte e si diverte, lo fa perché deve compiacere a qualcuno? O forse perché è un po' sciocco o poco serio. Niente di tutto ciò, il sassarese ride e fa ridere perché l'ironia è stata probabilmente il suo strumento a fronte di

situazioni che

diversamente avrebbero potuto avere risvolti più gravi se al posto della sua accondiscendenza avesse utilizzato altre vie. Conservare quel modo di essere, farsesco, che agli occhi dell'osservatore passa per superficialità altro non è che il 81


modo dignitoso di piegarsi alla scarsitĂ di metodi e mezzi di difesa per una convivenza senza spargimenti di sangue.

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Conclusioni La ricerca effettuata ha consentito di ottenere le risposte auspicate nella parte introduttiva della tesi. Nel primo capitolo del presente elaborato, si è visto come la coscienza storicoletteraria, prenda corpo con autori spinti da venti nazionalisti. Dobbiamo all’attenzione degli scrittori dell’ '800, impegnati a preservare attraverso le loro opere aspetti della storia altrimenti trascurati, la capacità, in un modo o nell’altro, di ricucire un tessuto culturale per buona parte e troppo tempo conosciuto solo attraverso un esiguo patrimonio documentario oltre che nell'oralità. Si è avuto modo di vedere come un personaggio, Enrico Costa, abbia potuto dare un forte contributo a quella che si osa definire "la questione sassarese". Sassari deve molto al suo archivista, il quale oltre alla passione letteraria si è incessantemente adoperato in ricerche, su vecchie carte e documenti da esaminare con lo scopo di costruire in modo scientifico la storia della città. Per ciò che riguarda la parlata sassarese, fu proprio su documenti risalenti al XIV e XV secolo che Enrico Costa trova una lingua che definisce “ibrido italiano” e oltre a lui altri studiosi trovano che fino alla metà del XVI secolo a Sassari si parlava il sardo, il corso e l’italiano, dove per corso si intende ” il sassarese” (Sole 2003:77). La lingua sassarese affonda le sue origini nell’XI secolo, precisa Francesco Artizzu (Sole 2003:41). Pisa aveva stretto relazioni con la Sardegna di cui si era aggiudicata il protettorato a seguito degli scontri vittoriosi contro il principe andaluso Mugiahid (1015-1016). La lingua sassarese costituisce la base del teatro vernacolare sassarese. Per ovvie ragioni, non è stato possibile parlare in modo più approfondito degli scrittori il cui passaggio nella storia della letteratura sarda ha permesso, tuttavia, la nascita del fenomeno. In questa parte della tesi ci si è limitati solo a citare personaggi e situazioni inerenti al tema in oggetto rimandando riferimenti ad altre occasioni. 83


Si è fatta una considerazione e formulata l'ipotesi del perché l'Ardau Cannas, proprio lui che non era sassarese, abbia avuto l'intuizione di creare per la città di Sassari un genere teatrale fino ad allora sconosciuto5. Certamente ci troviamo davanti ad un personaggio molto attento e creativo, infatti Ardau Cannas, già quando viveva nel sud dell'isola scriveva testi in lingua locale, come afferma nella sua intervista nel paragrafo a lui intitolato. Fu solo un caso che una società sportiva commissionò un lavoro per il teatro, ma lui, che già risiedeva a Sassari da un anno, aveva pronta l'idea sul da farsi. In tutto il tempo del suo soggiorno ebbe modo di osservare con attenzione gli atteggiamenti e il modo di esprimersi e soprattutto la gestualità dei cittadini sassaresi. Nacque così l'idea di scrivere il testo in lingua dialettale. Il modo di relazionarsi dei sassaresi lo divertiva e coglieva ogni più piccola sfumatura nella parlata fino a riconoscerne le differenze nei termini che passavano da un quartiere ad un altro. Quel che passava inosservato ai cittadini sassaresi non sfuggiva certamente al "forestiero", forse è questa la ragione per cui un cagliaritano e non un sassarese abbia avuto l'intuizione di mettere in scena fatti di vita quotidiana. Infatti la costante antropologica dell'ironia e autoironia che caratterizza la società sassarese non è cosa scontata in colui che la vive per la prima volta. Le tesi formulate in merito al silenzio della parlata dialettale e del teatro in vernacolo sono di tre tipi: la prima prende in considerazione il periodo relativo alla prima guerra mondiale e il suo dopoguerra. Il fattore censura di cui si è parlato nei capitoli precedenti, l'inasprimento apportato in materia dal regime fascista, ha limitato la produzione in vernacolo del suo primo autore. La seconda possibilità è data dal fatto che eventuali altri scrittori, scoraggiati, non si siano avventurati in un campo le cui conseguenze avrebbero potuto vanificare l'impegno profuso. La terza ipotesi riguarda il disinteresse del pubblico per un tipo di 5 A. Cesaraccio: l'attività teatrale a Sassari risale al 1557, non vi erano edifici preposti a questo uso per cui le rappresentazioni avevano luogo nella "loggia" del Palazzo Comunale che ospitava commedianti e saltimbanchi chiamati per divertire i magnifici Giurati, i nobili cavalieri, i dottori, ricchi mercanti e proprietari. 84


rappresentazione improntata su temi di vita quotidiana, che non si discostano più di tanto dall'amara realtà, in una popolazione, a disagio nel vero, per la povertà e le privazioni che la prima e la seconda guerra mondiale avevano costretto a subire. Probabilmente i possibili autori di commedie in vernacolo hanno messo da parte l'idea di lavorare sul genere anche dopo l'abbattimento o il ridimensionamento delle leggi sulla censura, volgendo così l'attenzione ad altri tipi di produzione letteraria. Nel lasso di tempo che va dal 1943 al 1977, ci si poteva aspettare una ripresa del teatro in vernacolo, ma niente si verificò a riguardo. Ancora una volta si cerca di dare una risposta: si focalizza l'attenzione su un nuovo genere culturale che prende piede a Sassari, si tratta di una rivista che entra in produzione, opportunamente, per una città che fatica a rialzarsi e cerca i segnali di una ripresa economica; lo spirito ridanciano dei sassaresi un po' assopito viene risvegliato dalla nascita della "Cionfra". Per ben 7 anni dal 1958 al 1965 ha intrattenuto i sassaresi con spassosi articoli e rubriche satiriche mettendo alla berlina persone, personaggi, e personalità (nessuno escluso, quasi tutti conosciuti in città) dei quali si parlava e che venivano raffigurati in modo grottesco e sotto forma di vistosa caricatura. Quanto si è detto prima concorre ad avvalorare l'aspetto linguistico della parlata sassarese che abbiamo seguito nella puntuale spiegazione di Leonardo Sole su come logudoresi e soprattutto pisani e genovesi, aragonesi e corsi poi, abbiano contribuito alla costruzione di una lingua dotatasi nel tempo di una grammatica propria, pur prendendo spunti dalla grammatica italiana. Non si può dire che degli studiosi come Giosuè Muzzo, Vito Lanza, Gian Paolo Bazzoni si siano avvicendati nella stesura dei dizionari, poiché ognuno ha prodotto per uno stesso temine, versioni differenti, rispetto all'altro. Anche a ciò ritengo si possa dare spiegazione, adducendo che gli stessi possano in qualche modo aver risentito della famosa parlata differente, nel quartiere o nella città di provenienza, come per esempio il Bazzoni nativo di Portotorres che applica termini (pochi) leggermente differenti da quelli in uso a Sassari. Si è avuto modo 85


di vedere come gli autori delle commedie, si siano serviti come dizionario di riferimento per i loro testi di quello che ritenevano più consono alla parlata da loro conosciuta. Non si può parlare di autenticità di termini poiché la formazione della lingua, come dice Leonardo Sole, avviene dal concorso di varie provenienze quindi tutti possono aver ragione o torto. Infatti anche i lodevoli studi di un grande linguista come lui, che ha dato il massimo chiarimento sulla parlata sassarese, ci lasciano ancora un frammento di dubbio su cui discutere, ....magari davanti ad un bicchiere di vino, bevuto come si faceva anticamente...

i ri vindiòri di Sassari vèccia.

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Ringraziamenti a:

Prof. Mario Atzori, per la guida nella scelta dell'argomento tesi.

Prof.ssa Maria Margherita Satta, per avermi onorato della sua attenzione, nel ruolo di relatore, e soprattutto per avermi incoraggiato nel sostenere gli appelli dai quali... sono scappata.

Dott.ssa Gianna Saba, per la pazienza dimostrata nella correzione dell'elaborato e per avermi fornito indicazioni relative alla ricerca bibliografica indicandomi titoli e autori.

Tutti i professori conosciuti durante il corso di studi, un particolare ringraziamento a coloro i quali mi hanno fatto desistere dall'intento di abbandonare l'impresa che non di rado mi è parsa insormontabile.

Tutti i rappresentanti delle compagnie teatrali che gentilmente hanno permesso le interviste dando prezioso contributo alla riuscita del progetto: Marcello Cubeddu, tecnico delle luci nella compagnia Teatro e Musica, figlio del regista Giampiero Mario Lubino, presidente della compagnia Teatro Sassari Anna Porcheddu Santona, presidente e regista della compagnia La frumentaria Mario Dettori e Silvana Ganga, presidente e scrittore l'uno, regista e scenografa l'altra nella compagnia Il tetro dell'Arca Ugo Niedda, presidente, scrittore e regista della compagnia Teatro Latte Dolce Mario Olivieri, presidente, scrittore, e regista della compagnia La Quinta Pierangelo Sanna, presidente, scrittore e regista della compagnia Paco Mustela.

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Tino Grindi, per la sua preziosa collaborazione fatta di appunti e aneddoti riguardanti il periodico satirico la cionfra dall'idea geniale di suo padre Mario

Tutti gli amici parenti e conoscenti che si sono prodigati nel fornire materiale utile alla costruzione e realizzazione del mio ambito progetto.

Le mie colleghe di corso di studi Monica Doria e Viviana Porcu per l'elevato supporto morale e materiale tributato a mio favore in questi anni.

Franco Garau, mio marito, per la pazienza dimostrata nell'accompagnarmi, anche quando non aveva voglia, per assistere alle rappresentazioni teatrali in vernacolo sassarese.

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Bibliografia

Barba, E. 1981 La corsa dei contrari. Antropologia teatrale, Milano: Feltrinelli 1993 La canoa di carta Trattato di Antropologia Teatrale, Roma: Il Mulino 1985 The dilated Body, in "New Theatre Quaterly", n.4 1985 Aldilà delle isole galleggianti, Milano:Ubulibri Castia S. e Cau P., 2009 Enrico Costa vita, opere e affetti nella Sassari dell'800, Sassari:Gallizzi Cesaraccio A., 1986 Una città a teatro. Gente e luoghi, Sassari: Edes Giacchè P., 2004 L’altra visione dell’altro, una equazione tra antropologia e teatro, Napoli: L’ancora del Mediterraneo Guccini, G. et al., 1999 Teatro popolare di ricerca, in “Prove di drammaturgia”, 2, pp 5-32 Guccini G., 2001 Verso un teatro degli esseri, in “Prove di drammaturgia”, 1 La trasmissione dell'esperienza in teatro, numero monografico di "Quaderni di Teatro",VI (1984),n.23 Marci G., 2006 In presenza di tutte le lingue del mondo, Cagliari: Cuec 2006 Schechner, R. 1985 Between Theatre and Anthropology, Philadelphia, University of Pennsylvania Press Sole, L. 2003 Il sassarese. Una lingua originale, Sassari: Lisena Turner V., 1986 Dal rito al teatro, Bologna: Il Mulino 1993 Antropologia della performance, Bologna: il Mulino Schechner R. 1999 Magnitudini della performance, Roma: Bulzoni

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Tessari, R. 2004 Teatro e antropologia. Tra rito e spettacolo, Roma, Carocci, 2004. Fabietti U. 2001 Storia dell'Antropologia Zanichelli seconda edizione Schultz E.A., Lavenda R.H. 1999 Antropologia Culturale Zanichelli Ferrara P. 2004 Censura Teatrale e Fascismo 1931-1944. Sitografia Link: www.sardegnadigitallibrary.it Wikipedia:antropologia teatrale Marco De Marinis, Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia, Roma, Bulzoni Editore, 1999. pag. 99. Piergiorgio Giacchè, L’altra visione dell’altro (2005), Lo spettatore partecipante, contributi per un’antropologia del teatro (Milano, 1991)

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