A.D. MDLXII
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CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLE LETTERE E DELLA COMUNICAZIONE
LA PROSIFICAZIONE ESCORIALENSE DEL GUILLAUME D’ANGLETERRE. ANALISI DELLA TRASMISSIONE TESTUALE
Relatore: PROF. MARCO MAULU
Tesi di Laurea di: CRISTINA M ANZI
ANNO ACCADEMICO 2010/2011
Indice Prefazione .......................................................................................................3 Introduzione ....................................................................................................4 Il ciclo di Guillaume .......................................................................... 4 Dalla cultura pagana al romanzo cristiano: il ruolo della Chiesa ...... 7 L’agiografia di sant’Eustachio ........................................................... 8 Il modello di Giobbe .........................................................................11 Da Eustachio a Guillaume: la laicizzazione dell’agiografia ............ 12 Un romanzo borghese? .................................................................... 14 Capitolo 1 .....................................................................................................17 1. Il codice Escorialense ........................................................................17 1.1 Descrizione del manoscritto ......................................................18 1.2 La lingua ....................................................................................19 1.3 Descrizione del contenuto..........................................................20 1.4 Le opinioni della critica .............................................................21 2. Dalla storiografia alla finzione ..........................................................23 2.1 Lo sviluppo della finzione nel XIV secolo ................................26 3. La struttura del codice Escorialense: estorias e cuentos ...................27 3.1 La Estoria del rey Guillelme ......................................................29 4. La tradizione dei volgarizzamenti .....................................................30 Capitolo 2 .....................................................................................................32 1. La prosificazione dei romanzi Escorialensi .......................................32 2. La leggenda del Graal e le origini della prosa ...................................32 3. Lo sviluppo del fenomeno di prosificazione nel XV secolo ..............36 4. Le tecniche di prosificazione .............................................................38 5. Mises en prose particolari ..................................................................40 5.1 La modernizzazione ....................................................................40 5.2 La compilazione………………………………………………..41 5.3 La ricerca di razionalità ..............................................................41 Capitolo 3 .....................................................................................................43 1. La prosificazione Escorialense del GdA ............................................43 2. La struttura della EG ..........................................................................43 2.1 La struttura della Chrónica .........................................................47 1
3. Il prologo ...........................................................................................48 4. Dalla poesia alla prosa .......................................................................50 5. Le modifiche del contenuto ...............................................................53 5.1 Antroponimi ................................................................................53 5.2 Toponimi .....................................................................................56 5.3 Numeri ........................................................................................58 5.4 Discorso diretto e indiretto……………………………………..60 5.5 Riferimenti particolari ................................................................62 5.6 Gli episodi...................................................................................66 5.6.1 Il rapporto nature-nourriture ...................................................66 5.6.2 La critica ai baroni .................................................................. 68 5.6.3 La borsa di bisanti ................................................................... 70 Conclusioni ...................................................................................................74 1. Gli errori ..............................................................................................74 2. Le varianti ............................................................................................83 2.1 Le varianti di C accolte dalla EG............................................. 83 2.2 Le varianti di P accolte dalla EG…………………………….. 85 2.3 Varianti non riconducibili ad uno dei due testimoni...................86 3. Considerazioni finali…………………………………………………91 Bibliografia ..................................................................................................93
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Prefazione Il mio lavoro di tesi si propone di confrontare due testi della letteratura romanza medievale: il romanzo francese Guillaume d’Angleterre, del XII secolo, e una delle sue due versioni in prosa castigliana, la Estoria del rey Guillelme, datata circa a metà del XIV secolo. La comparazione ha lo scopo di evidenziare gli effetti principali del processo di dérimage del testo. Per una miglior comprensione dell’analisi ritengo opportuno introdurre il lavoro descrivendo brevemente come si sviluppa nel Medioevo il rapporto tra l’agiografia e il romanzo. Parlerò inoltre della vicenda del re Guillaume, dei modelli narrativi sottesi alla realizzazione del romanzo e del legame fondamentale con l’agiografia di sant’Eustachio, inserendo le due opere e le ideologie di cui sono portatrici nel contesto storico-sociale in cui furono prodotte. Nel primo capitolo mi soffermerò ulteriormente sul legame tra Eustachio e Guillaume all’interno del manoscritto ESC h-I-13, nel quale si trova appunto la Estoria castigliana in prosa oggetto del confronto, e sulle principali questioni relative al codice, un prodotto importantissimo del Medioevo letterario spagnolo. Successivamente descriverò la nascita, lo sviluppo e le principali modalità del processo di prosificazione dei racconti di finzione, per poi dedicarmi al confronto vero e proprio tra il poema francese e la prosa castigliana, soffermandomi, come detto, sui cambiamenti apportati dal redattore della Estoria.
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Introduzione
Il ciclo di Guillaume Il Guillaume d’Angleterre è un romanzo medievale francese datato alla fine del XII secolo e redatto in ottosillabi a rime alterne. Narra la storia di Guillaume, un re francese di lignaggio normanno che per volontà divina è costretto ad allontanarsi dal suo regno per mondarsi dal peccato di «covoitise» e ad affrontare un lungo processo di purificazione che lo porterà a perdere la moglie, i figli e il proprio status nobile per poi, alla fine, recuperarli. Non conosciamo l’autore dell’opera che tuttavia fu a lungo attribuita a Chrétien de Troyes senza sufficienti argomentazioni. La trama è la seguente: Guillaume, re d’Inghilterra, e Gratienne, sua consorte, sono due sovrani pii e timorati di Dio, i quali dopo sei anni di matrimonio non hanno ancora eredi. Nel corso del sesto anno la regina resta incinta, ma poco dopo il re ha due visioni nelle quali un ordine divino lo esorta ad abbandonare il regno per espiare principalmente il peccato di «covoitise» di cui il re si è reso colpevole, come spiega il cappellano, interpellato dal sovrano stesso. Dopo il terzo ammonimento il re parte e, seppur riluttante, concede alla regina di seguirlo. I due trovano rifugio in una grotta in cui lei dà alla luce due gemelli di cui però, spinta da una fame “innaturale” dice di volersi cibare. Guillaume, abbrutito dalla permanenza del bosco, offre di sacrificare una parte del suo corpo, ma lei rifiuta e il re è costretto così a chiedere cibo a due mercanti che sostano nei pressi. Questi seguono il re fino alla grotta, restano incantati dalla bellezza (rimasta intatta) della regina e decidono di rapirla. Guillaume, incapace di opporsi con le armi, resta da solo con i figli. Uno dei rapitori, impietosito, appende al ramo di un albero una borsa contenente cinque bisanti, che il re all’inizio rifiuta. Il protagonista decide allora di guadare un fiume, ma durante quest’operazione Lovel, uno dei figli, viene rapito da un lupo, mentre il secondo, Marin, è portato via da un battello nel quale il re l’aveva deposto per trasportare l’altro bambino al di là del fiume. Disperato, il re decide di prendere la borsa di denari, che però gli viene sottratta da un’aquila. Segue l’imprecazione contro la «covoitise». A quel punto s’imbatte in un altro gruppo di mercanti che lavorano per il ricco borghese di Galvaide, il quale fa diventare Guillaume stesso un mercante, e da quel momento in poi il re cambierà il suo nome in Gui. Il borghese inoltre gli accorda fiducia e gli consente di guadagnare denaro grazie ad un prestito vantaggioso per entrambi.
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Gui giunge al porto di Bristol assieme ai figli del borghese e viene subito riconosciuto da alcuni sudditi del nipote, divenuto reggente del regno; tuttavia, nonostante gli venga offerta la possibilità di recuperare il trono, rifiuta e decide di portare avanti la penitenza. Vende la sua mercanzia e acquista un corno che utilizzava un tempo per la caccia e che era stato custodito per tutto quel tempo da un vecchio e fedele valletto; tale oggetto è simbolo della recuperata potestà regia e, d’ora in avanti egli potrà rapidamente riacquisire la condizione regale. Dopo aver lasciato Bristol, incappa in una tempesta che lo costringe ad attraccare nel porto del regno di Surclin, governato da Gratienne: la regina infatti aveva ricevuto questo feudo da un vecchio e ricco cavaliere di nome Gleolais, dal quale era stata accolta dopo il rapimento da parte dei mercanti. Costui, dopo la morte della prima moglie, aveva desiderato sposarla. Lei aveva acconsentito, ma spacciandosi per peccatrice incallita in penitenza, era riuscita ad ottenere un anno di dilazione, evitando così di consumare l’unione e ottenendo il regno alla morte del vecchio feudatario. Guillaume viene riconosciuto dalla consorte grazie al corno appeso alla nave e all’anello che porta al dito, e dopo un banchetto e un sogno di caccia del re, la regina lo invitata a dedicarsi per una giornata a quest’arte, che simboleggia la natura nobile che gli è propria. Raccomanda però al re di non oltrepassare il fiume, marca di confine fra il suo regno e quello del re di Catenasse, che ella ha rifiutato di sposare e che perciò le fa guerra, grazie all’aiuto di due giovani valorosi: Marin e Lovel. I due erano stati allevati da due villani, Frochier e Gonselin, i quali, al raggiungimento del dodicesimo anno d’età dei ragazzi, avevano cercando di costringerli a esercitare il mestiere di pellai. I ragazzi però erano fuggiti ed erano giunti nelle terre del signore di Catenasse, il quale, grazie all’intercessione di un guardaboschi corrotto da Lovel col denaro, riconosce in loro una natura nobile e ne fa due cavalieri. Durante la caccia al cervo, Guillaume supera inavvertitamente il confine e finisce per imbattersi nei figli, i quali lo minacciano di morte. A quel punto lui rivela la sua identità e racconta la dolorosa storia della sua vita. I giovani capiscono di aver ritrovato il proprio padre e gli mostrano i due lembi del mantello nel quale Guillaume li aveva avvolti da piccoli, e che i padri adottivi avevano conservato. Al momento dell’agnizione, la borsa sottratta dall’aquila ventiquattro anni prima cade miracolosamente dal cielo. Segue il riconoscimento fra i tre e Gratienne. La conclusione vede la riunione della famiglia, il ritorno di Guillaume e Gratienne sul trono d’Inghilterra e la ricompensa di tutti gli aiutanti entrati in contatto con i protagonisti: il borghese è nominato primo consigliere del re e i suoi figli sono armati cavalieri, il valletto fedele diventa ciambellano e i due villani e le rispettive famiglie, che non possono essere nobilitati per la loro natura cupida, ricevono ricchi doni e una rendita in denaro.
Il romanzo è tramandato da due testimoni:
ms. BNF, fr. 375 (conservato a Parigi e siglato P) data alla fine del XIII secolo e contiene altre composizioni, tra cui due opere di Chrétien de Troyes (Cligès, c. 267ra ed Erec, c. 281va). Il GdA occupa le cc. 240vb247va; 5
ms. St. John’s College, B 9 (siglato C), datato all’inizio del XIV secolo, contiene altri poemi e due vite di santi in prosa. Il GdA occupa le cc. 55rb-75vb.
Esiste una versione abbreviata del romanzo, il Dit de Guillaume d’Engleterre, risalente alla fine del XIII secolo e redatto in 948 versi alessandrini. È tramandato da due manoscritti:
ms. BNF a.f. 24432 (P), datato a metà del XIV secolo, che contiene vari dits e fabliaux. DGE, cc. 1r-13v;
ms. Add. 15606 (L) conservato presso il British Museum di Londra, datato all’inizio del XIV secolo; contiene testi a carattere moralisticodidascalico o religioso. DGE cc. 140v-151v.
Del DGE esistono inoltre due testimoni a stampa del secolo XVI,conservati presso la Biblioteca Nazionale di Francia François Mitterrand, nei quali il titolo dato è S’ensuit le romant du duc Guillaume:
BNF RES P Ye6 (Y)
BNF RES Y² 682 (Y²)
Il romanzo ebbe notevole successo anche oltre i confini francesi, tanto che della vita di Guillaume conosciamo due versioni castigliane in prosa: la Estoria del rey Guillelme, risalente a metà del XIV secolo, contenuta nel ms. ESC h-I-13, cc. 32ra48ra; la Chrónica del rey Guillermo de Inglaterra, del XVI secolo, tràdita da due cinquecentine:
BN Madrid, R-2965, impressa a Toledo nel 1526;
BN Madrid, R-12647, impressa a Siviglia nel 1533.
Della stampa sivigliana esiste anche un secondo esemplare:
Munich, Bayerische Staatsbibliothek, Res. 2°P.o.hisp.27.
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Dalla cultura pagana al romanzo cristiano: il ruolo della Chiesa La mia analisi del Guillaume d’Angleterre (d’ora in poi abbreviato GdA) comincia con lo studio dello schema narrativo sotteso al romanzo nel suo divenire all’interno della cultura francese e di quella spagnola, ognuna delle quali lo gestì in diversa maniera, sia dal punto di vista contenutistico che da quello formale, per meglio adattarlo al proprio contesto di produzione e al proprio pubblico. Il ciclo di Guillaume è fortemente composito e la sua fonte principale è un’agiografia che fu molto conosciuta nel Medioevo e soprattutto in Francia: la vita di sant’Eustachio. Per capire in che modo si è potuto creare questo legame ritengo necessario descrivere brevemente il processo storico e culturale che portò alla nascita del romanzo. Nel cosiddetto Medioevo latino la cultura classica era radicalmente rifiutata dal Cristianesimo non solo in quanto portatrice di valori pagani, ma anche perché priva di una finalità didattica e rivestita di tutte le suggestioni della bellezza formale che la rendevano paragonabile ad un diabolus dal quale gli scrittori cristiani dovevano assolutamente restare lontani: esso poteva insinuarsi nella loro penna spingendoli a scrivere cose belle ma vane. Girolamo e Agostino – riprendendo idee già proposte da Clemente ed Origene e facendo riferimento ad alcuni passi biblici – giustificarono la legittimità dell’utilizzo del patrimonio classico, ma solo se staccato radicalmente dal suo contesto originario e assimilato all’universo cristiano: la scrittura doveva prima di tutto essere didascalica per non essere vana e il meraviglioso, l’elemento più pericoloso dei testi profani poiché inspiegabile e irrazionale, doveva assolutamente essere mantenuto (in quanto fondamentale per conquistare l’attenzione del pubblico) ma opportunamente addomesticato. Fu così che si creò una sorta di excusatio non petita per cui l’irrazionale (e dunque la cultura classica) cominciò ad essere accettato solo se mascherato da miracolo voluto e compiuto da Dio o da uno dei suoi intermediari, ossia il santo. Questa nuova figura approdò così nella letteratura medievale e il 7
racconto della sua vita doveva insistere principalmente sulla semplicità e sull’umanità del protagonista, rendendolo il tramite ideale tra l’uomo e un Dio altrimenti ritenuto irraggiungibile. Dopo il concilio di Tours dell’813 d.C., il letterato cristiano divenne capace di far propri i mezzi stilistici e narrativi della letteratura classica e delle chansons de geste profane cantate dai giullari utilizzandoli nella produzione dei primi poemi agiografici in volgare. Queste innovazioni letterarie segnano l’inizio di un percorso al culmine del quale giullare e predicatore sarebbero stati spesso identificati e parallelamente cavaliere e santo avrebbero costituito due promanazioni della stessa figura. Il nuovo sistema letterario che andava formandosi e che vedeva una convivenza sempre più ravvicinata fra agiografie e testi di finzione (non solo di genere romanzesco, come testimoniano numerose raccolte miscellanee in volgare) incrementò le possibilità di influssi reciproci: è proprio il caso del GdA, di cui vengono citate alcune parti in una versione in alessandrini della Vita di Sant’Eustachio. Nel passaggio di consegne dalla paganità alla cristianità avvenuto tramite l’agiografia si ebbe dunque da parte della Chiesa sia distruzione sia osmosi verso la letteratura e le tradizioni popolari, le quali vennero riprese, modificate e consegnate così al romanzo che andò configurandosi essenzialmente come un prodotto cristiano.
L’agiografia di sant’Eustachio La conversione del pagano Placida costituisce un esempio emblematico del legame santo-cavaliere. Essendo una delle agiografie più note in epoca medievale, fu oggetto di un grande processo di reinterpretazione e laicizzazione. La trama è la seguente.
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Placida è un nobile e ricco comandante dell’esercito di Traiano. Un giorno, mentre va a caccia, l’immagine di Cristo compare tra le corna del cervo che egli insegue: questo avvenimento spinge il comandante a convertirsi e a farsi battezzare insieme a tutta la sua famiglia. Da questo momento cambia nome in Eustachio, la moglie in Teopista, i figli in Agapio e Teopisto. Cristo appare ad Eustachio una seconda volta e gli predice quali sciagure dovrà affrontare per la sua purificazione dal peccato: prima perderà i propri servi a causa della peste e poi il bestiame. Una volta nullatenente, Eustachio s’imbarca con la famiglia per l’Egitto. Alla fine del viaggio, il capitano della nave esige Teopista come pagamento della tratta e minaccia di buttare Eustachio e i figli a mare. Eustachio scappa, poi nel tentativo di attraversare un fiume perde i figli: dopo aver portato il primo sulla sponda opposta, torna indietro a prendere il secondo, ma i bambini vengono portati via, uno da un leone e l’altro da un lupo. Successivamente saranno salvati dall’intervento di pastori e contadini, che li alleveranno. Il protagonista diventa guardiano dei campi per quindici anni, mentre la moglie, sfuggita al capitano che intendeva farle violenza e che invece muore prima per volontà divina, custodisce l’orto di una donna buona e onesta, e conduce una povera esistenza. L’impero nel frattempo è minacciato da un’invasione barbarica e Traiano invia due soldati affinché vadano alla ricerca di Placida, che era il miglior comandante delle truppe. Costoro giungono nel villaggio in cui Eustachio 1
vive e lo riconoscono per via del “marchio dell’eroe” (una vecchia cicatrice sul petto), costringendolo ad arruolarsi nuovamente. Nell’indire una leva, costui sceglie inconsapevolmente i due figli, i quali, sventata la minaccia delle invasioni, una notte sostano al villaggio in cui si era stabilita la madre. Mentre i due parlano tra loro, scoprono di essere fratelli, e Teopista, che sente ogni parola, decide di non uscire ancora allo scoperto ma di presentarsi ad Eustachio per chiedergli di essere ricondotta in patria. In quell’occasione riconosce il marito e riceve conferme circa l’identità dei figli. Finalmente la famiglia è riunita, ma al ritorno a Roma, dove nel frattempo è diventato imperatore Adriano, feroce persecutore dei cristiani, dopo gli onori tributati al condottiero, la famiglia si rifiuta di offrire sacrifici alle divinità pagane, e i quattro sono condannati al martirio. Dapprima un leone che dovrebbe divorarli resta mansueto e scappa, poi i quattro sono costretti ad entrare in un toro di bronzo arroventato, nel quale moriranno pur mantenendo i corpi intatti. Seguono la paura e la fuga di Adriano, una serie di conversioni e la sepoltura finale delle salme dei màrtiri.
La critica suddivide il testo in tre sezioni e ritiene che esse provengano da fonti eterogenee e che siano state riunite successivamente da un agiografo: 1. l’introduzione: il racconto della conversione;
1
La marchiatura dell’eroe è una delle funzioni della fiaba elencate da PROPP (1966), p. INSERIRE
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2. la parte centrale: la disgregazione della famiglia, le sofferenze patite dai protagonisti, la riunificazione; 3. la conclusione: il martirio. Secondo lo studioso A. MONTEVERDI2, il nucleo narrativo sarebbe nato in Grecia attorno all’VIII secolo mentre la cristianizzazione sarebbe avvenuta successivamente: dello stesso parere erano i Bollandisti3, sostenitori dell'a-storicità della leggenda.
La parte centrale deriverebbe dunque dal romanzo greco (in
particolare dall’Apollonio di Tiro) e tale affermazione si basa sulla parziale attestazione greca dell’VIII secolo giuntaci ad opera di Giovanni Damasceno. Partendo dall’individuazione di uno scheletro narrativo, G. H. GEROULD4 raffrontò una serie di “romanzi semi-religiosi” e li ritenne varianti di un medesimo racconto nato in Oriente e corrispondente al pattern “l’uomo provato dal destino”: Un uomo è costretto da cogenti motivazioni, spesso religiose, ad abbandonare la propria dimora assieme alla famiglia; inoltre egli perde i figli – solitamente gemelli – e la moglie per un incidente o in seguito a un atto violento da parte di uno o più antagonisti finché, dopo varie vicissitudini e patimenti, la famiglia non è nuovamente riunita.
Questo modello narrativo, grazie all’influenza di saghe molto diffuse in Europa (Costanza, Elena, Sibilla, Florence, ecc.), si sarebbe fuso con un altro pattern, quello della “donna calunniata”: Una donna viene scacciata dal proprio marito o da un nemico in seguito a un’accusa infamante e dà alla luce uno o due bambini (talvolta gemelli) prima o dopo aver lasciato la propria dimora. Costei è coinvolta in una serie infinita di avventure, sino a quando non avviene la riunione col marito e le accuse mossele cadono definitivamente.
2
MONTEVERDI (1909), pp.169-229 cit. in MAULU (2009), pp. 161-162.
3
I Bollandisti erano gli agiografi ufficiali del Medioevo.
4
Cfr. GEROULD (1904), pp. 335-448 cit. in MAULU (2009), p. 162.
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Nel GdA e in altri romanzi che si rifanno alla leggenda eustachiana, il nucleo ideologico sotteso all’agiografia permane, mentre le parti puramente cristiane vengono riadattate al nuovo genere narrativo e restano dunque in forma allusiva.
Il modello di Giobbe Un altro modello culturale importante è costituito dalla figura di Giobbe, il quale, secondo quanto narra la tradizione apocrifa, aveva sopportato senza lamentarsi le pene inflittegli da Dio (a differenza della tradizione biblica in cui Giobbe talora si ribella) configurandosi come un exemplum di eterna pazienza, una imago Christi riadattabile su vari tipi di personaggi delle agiografie e dei romanzi. La pazienza è l’elemento unificante tra la storia di Giobbe e quella di Guillaume e un confronto esplicito tra i due personaggi lo istituisce lo stesso protagonista del DGE nel momento in cui la borsa lasciata dal mercante gli viene sottratta da un’aquila:
DGE, vv. 460-464
Tres dous peres puissant Si voir com vous feistes le preudomme tenpter, Que l’en apelle Job, par l’anemi d’enfer, Vueilliez moi pacïence si parfaite donner Que mauvés ne me puist faire desesperer.
La scelta risulta significativa dato che non trova riscontro nel GdA: infatti in quest’opera, nello stesso punto della vicenda, Guillaume si paragona a Tantalo: GdA, vv.901-904
En tel torment est covoiteus K’en abondance est souffraiteus, Tout ausi comme Tantalus, Qui en infer soeffre mal us.
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Ciò dimostra come l’autore del DGE abbia agito autonomamente nell’accostare due vicende simili seppur appartenenti a schemi narrativi differenti, sottolineando una volta di più l’intreccio profondo tra testi biblici, agiografie e romanzi.
Da Eustachio a Guillaume: la laicizzazione dell’agiografia Il GdA rappresenta senza dubbio una reinterpretazione politica e sociale della vicenda eustachiana, una vera e propria mise en roman dell’agiografia. Per tracciare un breve panorama che spieghi le caratteristiche essenziali di tale rapporto, comincerei dall’efficace espressione coniata da BELLETTI (1991), p. 9: lo studioso parlò di «statuto metamorfico del GdA» a partire dalla caratteristica del santo medievale di essere «socialmente anfibio», ovvero capace di attraversare più strati della società per soddisfare le esigenze di gruppi sociali differenti, e osservò come tale tendenza fosse riscontrabile non solo in Guillaume ma in tutti i membri della sua famiglia. Questa mobilità sociale dei personaggi ha reso problematica l'interpretazione globale dell'opera: C. FOULON5 fu un sostenitore della posizione filo-cortese, ossia definì tipicamente ascrivibili alla realtà cortese molti elementi del GdA e rilevò da parte dell’autore (che riteneva fosse Chrétien de Troyes) un’esplicita posizione di critica verso il ceto borghese; una posizione anti-cortese fu invece quella di K. HOLZERMAYR6, che concordava con FOULON nell’attribuire il romanzo a Chrétien ma vedeva nell’opera una rappresentazione della fine dell’universo arturiano e dei suoi valori, ormai sopraffatti dalla nuova realtà borghese-mercantile. BELLETTI (1991) scelse una terza via: egli difatti contestò entrambi i pareri precedenti e inserì il GdA nella corrente realista che si sviluppò nel XIII secolo in 5
FOULON (1950), cit. in BELLETTI (1991), pp. 7-8.
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HOLZERMAYR (1983), cit. ivi, p.31.
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Francia proprio in risposta a Chrétien, sostenendo che l’ignoto autore del romanzo aveva scelto di descrivere ceti non nobili che si stavano affermando nella società dell’epoca. Questa posizione pare la più efficace per spiegare sia la pluralità di voci e stili presenti nell’opera – che potrebbe essere definita con Bachtin “polifonica” – sia la presenza di alcune irregolarità che hanno spiazzato enormemente la critica:
nei vv. 1365-83 del GdA (P) abbiamo un elogio della nobile natura di Marin e Lovel, paragonata ad una salsa profumata composta di raffinate spezie, in contrapposizione alla natura del villano, efficacemente rappresentata da una mistura immangiabile. Le due metafore servono all’autore per inserirsi nel dibattito riguardante nature e nourriture e la sua posizione in proposito sembrerebbe chiara, ma altri punti del romanzo mettono in discussione tale affermazione: è il caso, per esempio, dell’elogio del borghese di Galvaide, l’aiutante di Guillaume, di cui si dice al v. 990: qui n’estoit pas jüere as dés;
il discorso di Gleolais a Gratienne per giustificare l’umile origine e il peccaminoso passato della donna7, la quale tuttavia acconsente al matrimonio (pur chiedendo un anno di dilazione) per ereditare le terre del regno;
l’apparizione dell’aquila che porta via la borsa contenente cinque bisanti e la successiva imprecazione di Guillaume contro la «covoitise», definita radice di tutti i mali e considerata il peccato tipico della classe mercantile, di cui invece il re per un periodo entra a far parte, arrivando perfino a guadagnare più di quanto avesse ricevuto. Ancora più controverso risulta il fatto che al re fosse stato attribuito il medesimo peccato da parte del cappellano: la critica è rivolta alla borghesia o alla nobiltà?
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GdA (P), vv. 1160-1165: “Ne savés vos que la castenge/ Douce, plaisans, ist de le boisse/ Aspre, poignans, de grant angoisse?/ Je ne sai qui fu vostre peres;/ Mais s’il fust rois u empereres,/ Ne porrïés vos mix valoir.”
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Nell’opera, insomma, il dibattito interno è costante: l’autore impersona vari punti di vista e li fa dialogare tra loro. La posizione non univoca in relazione al confronto borghesia-nobiltà può senz’altro essere ricondotta al contesto storico di produzione del Guillaume, dato che nel secolo XII grazie al pensiero Scolastico si era attenuato il disprezzo verso il lavoro ed era ormai in atto una distinzione tra mestieri moralmente leciti ed illeciti – tra labor e negotium.
Un romanzo borghese? Un altro punto controverso dell’opera riguarda il rapporto tra Guillaume, Eustachio e il ceto mercantile, un legame spiegabile a partire dalla caratteristica del santo medievale di essere socialmente anfibio e da alcune peculiarità relative al culto di Eustachio e al contesto politico-sociale in cui si sviluppa. Sul finire del XII secolo il patriziato mercantile della società francese era divenuto fondamentale per soddisfare i bisogni economici della corte e ad una sua ascesa politico-sociale era seguita un’inclusione a pieno titolo nella produzione letteraria: la corrente realista che in quel periodo si andava affermando (e nella quale, si è detto, BELLETTI inserisce il GdA) ben si prestava a descrivere vicende legate al mondo borghese e in tal senso rifunzionalizzava patterns più antichi, come ad esempio il modello bizantino del viaggio per mare, facilmente collegabile alla rappresentazione di avventure mercantili poiché via mare avvenivano i più importanti viaggi commerciali. Il legame tra il ceto mercantile e la vicenda eustachiana può essere compreso a partire da alcune associazioni codicologiche, per esempio nel ms. BNF fr. 1555, risalente al XIV secolo, leggiamo quanto segue: Tous loiaus marcheans ont en lui [Eustache] grant fiance,/ Forment est honnourez à Saint Denis en France,/ Car son corps i est, sachiez le sanz doutance
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Riferimenti simili, osserva MAULU (2009), pp.189-191, si trovano anche nella prosificazione latina della vita, contenuta nel ms. BNF lat.5777, e nella Vie francese derivante dalla prima. Un altro codice, il ms. BNF a.f. fr. 2464 ci tramanda una Vie de St. Eustace preceduta da una Légende de saint Dénis. Denis, protettore della corona di Francia, era il simbolo della monarchia merovingia e carolingia e Placida fu coinvolto nello stesso processo ideologico filo-regalista: la leggenda prese vigore durante il regno di Luigi il Pio e Carlo il Calvo, dunque in un momento di estrema fragilità dell’impero, che vedeva la Chiesa interessata ad un progetto di restaurazione carolingia sotto la propria tutela. Il legame tra Eustachio e Denis si rafforzò ulteriormente sul finire del XII secolo: all’epoca, infatti, Jean Alais, un borghese, prestò un’importante somma di denaro a Filippo Augusto il quale, per rimborsarlo, autorizzò il prelievo di un soldo su ogni paniere di pesce venduto a Les Halles, che dal 1135 era il principale quartiere mercantile parigino. La cappella (dedicata a sant’Agnese) che Alais, secondo l’uso del tempo, fece fondare, divenne chiesa e dal 1303 chiesa parrocchiale dedicata a sant’Eustachio; ad essa la basilica di saint Denis offrì una reliquia del beato. I francesi chiesero poi a Roma le reliquie di Eustachio e le vollero custodire proprio a Saint Denis, insieme a quelle di Carlo Magno e Carlo Martello: ecco che assistiamo alla fusione tra i due santi e tra i ceti che essi rappresentano. A tutto ciò bisogna aggiungere il fatto che nel 1151 Suger, abate di saint Denis e primo ministro di Luigi VI, aveva indotto il sovrano a conferire diritti e cariche ai borghesi per sottrarre la corona al potere alto-nobiliare ed aveva sviluppato l’idea di una società piramidale nella quale integrare il ceto dei bellatores con quello dei borghesi. Se torniamo poi alle associazioni codicologiche, possiamo vedere che nel ms. Add. 15606 abbiamo una Vie de Saint Denis in prosa seguita dal Dit de Guillaume 15
d’Engleterre, ormai ritenuto una variante laica dell’agiografia: ecco che l’associazione Eustachio-Guillaume-borghesia appare fondata. Il santo, nella cui vicenda (viaggio per mare, lontananza dalla famiglia) i mercanti potevano facilmente immedesimarsi8, divenne poi il medium che consentì loro di legittimare la propria accresciuta posizione sociale di fronte a un’autorità ecclesiastica ancora diffidente e di distinguersi dal resto dei laboratores. In tal senso pare acquistare significato il finale del GdA, che premia il borghese di Galvaide con l’ingresso a corte, mentre i villani Gonselin e Frochiel ricevono soltanto un riconoscimento in denaro: questo può essere considerato un tentativo dell’autore del romanzo di superare la contraddizione tra labor e negotium. In conclusione si può osservare che attraverso la letteratura lo stesso peccato di «covoitise» che accomuna ed affligge il ceto mercantile e quello nobiliare – i due poli opposti della società piramidale di Suger – viene riscattato da Eustachio prima e da Guillaume poi attraverso un parallelo percorso di purificazione che trova un punto comune nella volontà di obbedienza a Dio.
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Fra il 1493 e il 1495 furono proprio i mercanti del quartiere di Les Halles a volere un ampliamento di quella che sentivano come la propria chiesa.
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Capitolo 1
1.
Il codice Escorialense Lo stretto legame tra la leggenda di sant’Eustachio e la vicenda di Guillaume
risulta evidente anche all’interno del manoscritto ESC h-I-13 (d’ora in poi E), un codice miscellaneo conservato presso la biblioteca di San Lorenzo del Escorial e datato alla seconda metà del XIV secolo. E tramanda nove volgarizzamenti di opere francesi – cinque agiografie e quattro romanzi – accomunate dal fatto che tutti i testi trasmettono varianti dei due patterns narrativi descritti nell’Introduzione: “l'uomo provato dal destino” e “la donna calunniata”. I testi tràditi da E sono i seguenti:
De Santa María Madalena, cc. 1ra-2vb.
<De Santa Marta>, cc. 3ra-7rb.
Aquí comiença la estoria de santa María Egiçiaca, cc. 7rb-14va.
De Santa Catalina, cc.14va-23va.
De un cavallero Pláçidas que fue después christiano e ovo nombre Eustaçio, cc. 23va-32ra.
Aquí comiença la estoria del rey Guillelme, cc. 32ra-48ra.
Aquí comiença el cuento muy fermoso del enperador Otas de Roma e de la infanta Florençia su fija e del buen cavallero Esmero, cc. 48rb99va.
Aquí comiença un muy fermoso cuento de una santa enperatrís que ovo en Roma e de su castidat, cc. 99va-124rb.
Aquí comiença un noble cuento del enperador Carlos Maynes de Roma e de la buena enperatris Sevilla su mugier, cc.124ra-152ra. 17
1.1 Descrizione del manoscritto Si tratta di un codice pergamenaceo rilegato in cartone e pelle che porta il marchio Escorialense impresso al centro della copertina. È composto da 152 cc. di 39,5 x 28 cm, sistemate in venti quaternioni. Costituiscono un’eccezione il primo e il penultimo fascicolo che sono binioni. Confrontando la numerazione romana, più antica, con quella araba (che va da 1 a 1519) si possono individuare le carte andate perdute: si ha una lacuna di 4 cc. nel primo binione, tra l’agiografia di santa María Madalena, mutila nel finale, e quella di Santa Marta, acefala; un’altra lacuna si trova nell’ultimo fascicolo, alle cc. 142-143; infine, della c. 152 ci restano solo 37 righe della prima colonna, dunque anche l’ultimo romanzo risulta incompleto. In ogni foglio ci sono due colonne di testo, ciascuna composta da un numero di righe variabile da 27 a 45 e la scrittura utilizzata è una letra cursiva di colore nero. La decorazione risulta molto fitta nel recto della c.1 e nei capilettera che sono rossi con decorazioni nere (o viceversa) tranne gli ultimi sei, nei quali la rifinitura è venuta meno. ZUBILLAGA (2008), p. XVIII ritiene che il manoscritto sia copia di un codice precedente poiché presenta varie lacune per omoteleuto, il fenomeno per cui il susseguirsi a breve distanza nel testo di due parole che hanno la stessa fine porta il copista a unire l’inizio della prima con la fine della seconda, tralasciando ciò che sta in mezzo. Lo stato di conservazione del manoscritto presenta un forte deterioramento: oltre alle otto carte andate perdute, altre risultano strappate, piegate o scolorite.10
9
La numerazione a lapis della c.152 è stata aggiunta successivamente.
10
Per la descrizione del codice cfr. MAULU (2009), pp. 42-44 e ZUBILLAGA (2008), pp. XIV-XXII.
18
1.2
La lingua La lingua utilizzata in E risulta costituita da una base castigliana sulla quale si
sovrappongono tratti occidentali, in particolare provenienti dall’area leonese. Riporto di seguito le principali opinioni critiche sulla presenza di tali occidentalismi: MAIERSPACCARELLI, WALKER e RICO ipotizzarono l’esistenza di un intermediario gallego (mai trovato) tra le fonti francesi ed E, basando quest’affermazione sul passo iniziale di Una santa enperatrís nel quale il narratore scrive di voler “retreaer fermosos miraglos, 11
así como de latín fue trasladado en françés e de françés en gallego” (c.99d) .
E’ più probabile tuttavia che il codice provenga dall’area leonese, non solo per la predominanza di tratti linguistici ad essa riconducibili, ma anche perché la vicinanza del León alle stazioni di pellegrinaggio verso Santiago avrebbe potuto facilitare la diffusione dei testi francesi attraverso le narrazioni che poeti e giullari erano soliti fare durante i viaggi religiosi. (cfr. Maulu [2009], p. 46). Inoltre è importante mettere in evidenza che nel XIV secolo – benché cominciasse a verificarsi in Castiglia una prima stabilizzazione della lingua – erano ancora numerose le influenze degli altri dialetti, soprattutto del gallego-portoghese nella lirica e del leonese in varie opere letterarie. Quest’influenza si deve prima di tutto all’unione della Castiglia col León avvenuta nel 1230 quando Fernando III (1201-1252), già sovrano del regno di Castiglia dal 1217 (dopo l’abdicazione della madre Berenguela), ereditò dal padre Alfonso X il regno del León; inoltre, la scelta di utilizzare un’unica cancelleria favorì senza dubbio l’uniformazione linguistica. Pertanto è possibile ipotizzare che l’elaborazione di E sia avvenuta al di fuori della Castiglia, probabilmente in un atelier del León, ambiente nel quale il castigliano restava comunque la lingua più prestigiosa; lo stesso discorso può essere esteso alle origini dell’antecedente del manoscritto, finora sconosciuto. 11
MAIER-SPACCARELLI (1982), p.26, WALKER (1982), XV, RICO (1997), p. 158 cit. in ZUBILLAGA
(2008), p. XXV.
19
ZUBILLAGA (2008) p. XXV segnala l’opinione di MICHEL (1930), p. ciii, relativa ad una possibile origine leonese del copista di E, una spiegazione che giustificherebbe l’utilizzo di tali occidentalismi in diverse parti del testo.
1.3 Descrizione del contenuto Nonostante l’assenza di un prologo e dell’indicazione di un possessore o di un committente, la critica ha osservato che la disposizione dei nove testi non è affatto casuale in quanto nascerebbe da una profonda consapevolezza da parte del volgarizzatore (o del gruppo di volgarizzatori) dei legami intercorrenti tra le opere, legami formatisi nel contesto culturale francese in cui le stesse furono composte. Infatti, le ovvie differenze tra i testi non riescono a nascondere le comuni caratteristiche tematiche: la nobiltà di nascita dei protagonisti, la loro totale remissione alla volontà divina, la conseguente rinuncia alla propria vantaggiosa condizione iniziale e l’inizio di un percorso di penitenza. Queste caratteristiche dovevano essere state recepite sia da parte del pubblico nazionale, sia oltre i confini francesi. Ciò si intuisce dal fatto che l’ignoto redattore di E seppe elaborare autonomamente una silloge inedita e scelse di disporre agiografie e romanzi in un ordine tale da sottolineare i richiami intertestuali:
il codice si apre con quattro vite di sante che compiono un cammino di penitenza come quello intrapreso da Cristo;
subito dopo troviamo la vicenda di Placida e la Estoria del Rey Guillelme, le quali veicolano il pattern “l’uomo provato dal destino”;
in conclusione, il tema della “donna calunniata” viene sviluppato dalle tre storie di regine ingiustamente accusate di adulterio che lottano per dimostrare la propria innocenza.
20
Agiografie e romanzi trovano dunque un importante punto d’incontro nella pazienza dei protagonisti, i quali si presentano come figure esemplari tanto per un pubblico religioso quanto per un pubblico laico borghese e aristocratico. Benché queste opere costituiscano una rielaborazione di quelle francesi, non esiste un altro manoscritto in cui esse siano presenti tutte assieme: sarebbe pertanto riduttivo definire il redattore di E un semplice traduttore, mentre risulterebbe più appropriato considerarlo l’ideatore di un’antologia di opere rappresentative del canone letterario francese vigente in ambito agiografico e romanzesco.
1.4 Le opinioni della critica L’organizzazione antologica del codice fu notata prima di tutto da MAIER e SPACCARELLI12 nel 1982 e nello stesso anno WALKER13 soffermò la propria attenzione sull’unità tematica dell’opera, considerando principalmente l’importanza del ruolo delle donne nei diversi testi e immaginando di conseguenza un destinatario femminile. È necessario però notare che la silloge presenta una serie di personaggi esemplari di entrambi i sessi e che non possediamo alcun dato indicativo sulla committenza. Sempre SPACCARELLI (1996)14 ritenne E un libro di viaggio per i pellegrini in cammino verso Santiago de Compostela15; lo studioso motivò questa teoria basandosi sul fatto che la lettura di opere edificanti era un’usanza tipica durante il 12
MAIER-SPACCARELLI (1982), cit. in MAULU (2009), p. 39.
13
WALKER (1982), cit. ivi, pp.44-45.
14
SPACCARELLI (1996), cit. in MAULU (2009), pp.46-47.
15
Successivamente, MOORE-SPACCARELLI unirono questa teoria a quella di WALKER, sostenendo che il
codice fosse stato realizzato per i pellegrinaggi femminili. Cfr. MOORE-SPACCARELLI (2006), pp.249270, cit. ivi p.48.
21
pellegrinaggio medievale e ricercando in ogni testo temi e motivi ad esso ricollegabili; considerò così la peregrinatio di Cristo e di Giobbe il modello principale delle storie narrate in E. MAULU (2009), p. 47 e ZUBILLAGA (2008), p. XXXVII osservano tuttavia che era concezione comune del Cristianesimo e del pensiero medievali paragonare ad un viaggio verso l’aldilà l’intera vita terrena, non soltanto il pellegrinaggio; MAULU osserva inoltre che le dimensioni e la fattura del manoscritto escludono l’ipotesi di un suo agevole trasporto. Le scarse informazioni codicologiche non possono sostenere con sicurezza neanche la tesi di GÓMEZ REDONDO (1999), p. 1342, secondo cui il messaggio veicolato dagli scritti francesi fu riadattato al nuovo contesto di riferimento, quello sorto attorno a María de Molina16, sposa del re di Castiglia Sancho IV e regina consorte dal 1284 al 1295: infatti il programma culturale ideato da María17 – e fortemente appoggiato dalla scuola cattedrale di Toledo – si basava essenzialmente sulla difesa dell’ortodossia cristiana; in tal senso il codice Escorialense, poiché raccoglie una serie di testi rappresentativi di un ideale modello di condotta cristiana, avrebbe potuto senz’altro far parte di questo progetto. Dello stesso parere è ZUBILLAGA (2008), pp. XXXI-XXXVI, la quale, considerando l’accuratezza nella selezione dei materiali francesi, propende per una committenza regia di E e mette in evidenza la presenza sottile ma costante della regina María, riconoscibile nelle figure femminili dei testi. Inoltre, tenendo presente la concezione medievale secondo cui la donna era un essere naturalmente incline al peccato, la studiosa ascrive la preponderanza femminile in E al fatto che il raggiungimento della santità da parte di figure così poco esemplari rappresentasse nel migliore dei modi l’infinità della misericordia divina.
16
GÓMEZ REDONDO (1999), p.1342, definisce il codice Escorialense un «magnífico testimonio del
ámbito de expectativas impulsado por la reina doña María». 17
Cfr. § 2.
22
In conclusione, osservando le posizioni della critica e facendo riferimento a quanto detto sulla pazienza comune a tutti i protagonisti (cfr. § 1.3), possiamo concludere affermando che effettivamente il motivo religioso si rivela il filo conduttore di un’antologia formata da testi tanto diversi tra loro per tipologia e contenuto. Spiegherò dunque nel paragrafo seguente i processi storici e culturali che hanno portato alla complessa costruzione del codice Escorialense.
2.
Dalla storiografia alla finzione Una raccolta così eterogenea non era una novità nella letteratura medievale
spagnola. La presenza simultanea all’interno dello stesso codice di testi molto differenti per origine, contenuto e valori si può riscontrare già nelle due cronache storiografiche castigliane dell'epoca di Alfonso X (1256-1284), la Estoria de España e la General Estoria, entrambe composte per volontà del re a partire dal 1270; con esse si ha infatti una mescolanza di fatti storici (leggendari e/o letterari) e di testi epici. La Estoria de España fu progettata dal sovrano con l’intento di raccontare le vicende del suo popolo e delle varie dominazioni susseguitesi in Spagna fino alla propria ascesa al trono. Per la realizzazione dell’opera furono utilizzate come fonti storiografiche principalmente il Chronicon Mundi (1236) di Lucas de Tuy (noto come “codice tudense”) e il De rebus Hispaniae (1243) – il “codice toledano” – di Rodrigo Ximénez de Rada; furono inoltre consultate altre cronache latine medievali (gli Historiarum adversum paganos di Orosio, il Liber Chronicorum del vescovo Pelayo) e la storia araba di Ibn ‘Alqama. Su questa base storiografica il re Savio fece inserire prosificazioni di canzoni di gesta e di poemi epici che raccontavano la più recente storia castigliana e che furono redatte con tanta accuratezza da rendere possibile la ricostruzione di alcuni dei poemi base andati perduti, come per esempio il Cantar de Sancho II. 23
L’eterogeneità delle fonti è insomma evidente e probabilmente proprio a tale motivo si deve il fatto che l’opera sia stata lasciata incompiuta. Anche la General Estoria, che racconta le vicende dei popoli antichi, servì al sovrano per diffondere i propri progetti politici (in questo caso l’idea di una sua meritata ascesa al trono imperiale) nonché la sua personale immagine di re-letterato. L’opera risulta interessante se confrontata col codice Escorialense poiché utilizza la Bibbia – il principale punto di riferimento storico per lo scrittore medievale – come base storiografica, integrandola però con testi decisamente profani come l’opera di Paolo Orosio già utilizzata nella Estoria de España, la Historia romana di Paolo Diacono, la Farsalia di Lucano, le Metamorfosi e le Heroides ovidiane. Venne creata così un’opera molto eterogenea che alternava racconti biblici e pagani e che poteva essere ben inserita in una prospettiva interamente cristiana. Tale procedimento non era nuovo18 e Alfonso se ne servì per raggiungere il proprio intento: filtrare i significati dei testi sacri esemplificando le virtù da essi proposte mediante gli episodi narrati. Alla morte di Alfonso il regno di Castiglia fu ereditato, contrariamente alle disposizioni lasciate dal sovrano, dal secondogenito Sancho IV (1284-1295). Egli costruì un nuovo sistema di pensiero, un «regalismo aristocrático»19 che potesse giustificare la propria arbitraria acquisizione del potere e integrare il ceto nobiliare nel contesto cortese senza relegarlo in una posizione subordinata, com’era avvenuto fino a quel momento. Il nuovo re si era ribellato alla volontà del padre anche rifiutando di rispettare la promessa di matrimonio con Guillerma de Montcada e scegliendo di sposare invece María de Molina, sua zia20. Il matrimonio avvenne
18
Eusebio di Cesarea (265-340) fu il primo a coniugare temi biblici e profani nei Chronici Canones.
19
GÓMEZ REDONDO (1999), p. 863.
20
Il nonno di Sancho, Ferdinando III, ed il padre di María, Alfonso de Molina, erano fratelli.
24
nella cattedrale di Toledo nel 1282 senza la dispensa papale di Martino IV, il quale non poteva ignorare i vincoli di parentela esistenti tra i due né il mancato matrimonio di Sancho con Guillerma de Montcada. María allora si adoperò perché si affermasse a Toledo un nuovo lignaggio ecclesiastico che sostituisse quello formato dai membri della famiglia reale e al quale lei stessa potesse affidarsi per la legittimazione del proprio matrimonio, che fu infine concessa da Papa Bonifacio VIII nel 1301. Lo stretto legame tra la monarchia e la scuola cattedrale di Toledo portò grandi vantaggi ad entrambe le parti: se è vero che María e Fernando assicurarono in tal modo un solido appoggio al proprio regno, il potere ecclesiastico di Toledo guadagnò in cambio una supremazia che per tutta l’epoca di Alfonso X era stata propria della città di Siviglia. Nacque dunque collegato alla scuola toledana un nuovo sistema ideologico che sarebbe stato portato avanti dalla regina anche dopo la morte del marito e che da lei prese il nome: il molinismo. La struttura dottrinaria costruita da Alfonso X venne ripresa e modificata dai compilatori e dai letterati della corte di Sancho: furono eliminati l’aristotelismo ortodosso, l’indagine troppo approfondita sulla natura e altri aspetti che potevano contrastare con la difesa del cristianesimo, il nuovo obiettivo preponderante nella realtà come nella letteratura. Non a caso Sancho volle inserire nella produzione letteraria il ciclo epico delle crociate, un tema che coniugava le due materie della guerra e della religione e soddisfaceva dunque gli interessi del re stesso (impegnato a fronteggiare gli attacchi della dinastia berbera dei Merinidi) e del molinismo. Così il tema delle crociate fu innestato sulla parte iniziale della Gran Conquista de Ultramar, nata in età alfonsina come traduzione dell’opera in prosa latina dell’arcivescovo Guglielmo di Tiro, la Historia rerum in partibus transmarinis gestarum (composta nel II secolo d.C.). Ad Alfonso X la materia di Ultramar era servita per legittimare ulteriormente la sua aspirazione al trono imperiale poiché forniva notizie su alcuni antenati del re 25
impegnati nella liberazione di Gerusalemme; con Sancho la vicenda della liberazione della terra santa acquistò un nuovo significato poiché le gesta militari si convertirono in un modello di esemplarità religiosa e proprio in virtù di essa fu possibile accettare la prosificazione di cinque poemi riguardanti le crociate.
2.1 Lo sviluppo della finzione nel XIV secolo Dopo la morte di Sancho (1295), la materia delle crociate perse di interesse in un contesto dominato da intrighi di palazzo che miravano a sottrarre il giovane re Fernando IV (1295-1312) dall’influenza della madre María, la quale tuttavia continuò a esercitare il suo potere facendosi promotrice culturale di una nuova letteratura ormai basata sulla finzione. Si osservi infatti che nella terza tappa di elaborazione della Gran conquista de Ultramar l’idea della guerra santa venne meno in cambio di un’intensificazione degli elementi relativi alla finzione cavalleresca, utili per educare il giovane re secondo il sistema di valori cortesi instaurato da suo padre. La Gran Conquista divenne così un congiunto di opere storiografiche ed epiche in cui però le prime non servivano più, come accadeva in età alfonsina, a fornire un solido appoggio alle narrazioni fantastiche, ma al contrario tendevano a venir meno proprio per lasciare spazio ad esse. Infatti solo attraverso i racconti di finzione la regina poté continuare a diffondere le idee essenziali del molinismo e ciò fu reso possibile dal fatto che ormai questo tipo di letteratura era divenuto in grado di svilupparsi da sé e si rivelava capace non solo di attirare l’attenzione del pubblico, ma soprattutto di influenzarne il pensiero; scrivere opere di finzione significava infatti costruire una realtà immaginaria che inevitabilmente doveva basarsi sul contesto di riferimento dello scrittore e del pubblico per superarne i limiti e riorganizzarlo: il rapporto tra i due mondi non poteva né doveva venir meno.
26
È chiaro che in Spagna – come in tutta la Romania – si poté sviluppare questo tipo di letteratura solo quando occorsero le circostanze necessarie: la formazione di una lingua stabile e capace di comunicare, l’elaborazione di una serie di strutture discorsive21 atte a creare, conoscere e pensare la realtà e infine la loro penetrazione nel contesto promulgatore di tali opere, in questo caso l’ambito cortese. Infatti abbiamo già osservato che la Estoria de España e la General Estoria restarono incompiute per via della complessità insita nella loro costruzione, che richiedeva la rielaborazione di materiali molto eterogenei; ma nei quasi due secoli che separano questi scritti da E furono composte numerose altre opere (storiografiche, astronomiche, astrologiche e d’intrattenimento) e traduzioni che forgiarono la prosa e la lingua castigliane rendendole strumenti di cultura efficaci, perfettamente adatti a creare costruzioni letterarie articolate e a veicolare contenuti e messaggi di una certa complessità. Il codice Escorialense rappresenta proprio un esempio di questi importanti risultati letterari.
3.
La struttura del codice Escorialense: estorias e cuentos Il codice sembra dunque configurarsi come una sintesi efficace dell’ideologia
molinista e delle aspettative di un pubblico che desiderava riconoscere se stesso e i propri valori nei mondi immaginari creati dalla finzione: ci troviamo di fronte ad un congiunto di modelli di condotta religiosa ed esempi di comportamento cortese. A prima vista si potrebbe osservare una netta divisione tra le due tipologie di testo, ma vediamo meglio come queste si rapportano tra loro:
un primo gruppo è quello costituito dalle cinque agiografie, alle quali è attribuita la definizione di estorias;
21
Inventio, elocutio e dispositio sono le prime tre fasi della stesura di un’orazione e furono descritte
nella Rhetorica ad Herennium, il più antico trattato latino di retorica, composto attorno al 90 a.C.
27
un secondo gruppo è invece formato dai romanzi di materia agiografica, la più adatta al contesto molinista e all’educazione di un re che doveva rappresentare degnamente la cavalleria cristiana. Questi vengono definiti cuentos22;
l’unica eccezione è costituita soltanto dalla vicenda di Guillelme, rinominata anch’essa estoria.
Quest’ultimo termine poteva riferirsi sia all’atto stesso del raccontare, sia ad una narrazione verosimile che si proponesse l’intento di insegnare qualcosa; l’espressione cuento, invece, pur non possedendo un significato stabile, non implicava un legame con la verosimiglianza e pertanto veniva usata per indicare opere di finzione. Non troviamo invece il termine romance, che subì nel corso del tempo diverse evoluzioni semantiche: fino agli inizi del XIII secolo veniva usato infatti per indicare una lingua, mentre solo in seguito passò a designare l’opera scritta in tale lingua. Nel secolo successivo, pur essendo utilizzato ancora per definire i poemi in ottosillabi, cominciò ad essere riferito pienamente ai testi in prosa – generalmente traduzioni – e in particolare alle opere di finzione. C’è da dire che i tre termini menzionati venivano dal contesto di produzione dei testi, nel senso che assieme ad essi erano stati tradotti e pertanto ciò che ne derivò fu una polivalenza semantica che portò, come abbiamo visto, ad una distinzione non sempre chiara delle tipologie di testo. La scelta dei termini estoria e cuento (che vengono usati insieme nel finale della Estoria del rey Guillelme) risulta significativa per dimostrare che tra i due gruppi di testi il redattore del codice rilevò una forte continuità e decise di renderla
22
MAULU (2009), p.111 osserva che il termine cuento era raro nella letteratura spagnola medievale e
potrebbe pertanto indicare la provenienza dei testi dalla Francia, dove invece era diffuso.
28
evidente ponendo la vita di Placida come l’ultima delle agiografie, seguita immediatamente dalla storia di Guillelme. Il rapporto tra le due parti si configura così come complementare: le agiografie sono infatti indispensabili poiché dotano di auctoritas i racconti, mentre questi ultimi si rivelano un completamento fondamentale delle prime poiché ne chiariscono il significato.
3.1
La Estoria del rey Guillelme L’esempio più indicativo dell’importanza dell’ordine testuale in E è dato dalla
collocazione della Estoria del rey Guillelme (d’ora in poi EG) all’inizio di quella che può essere definita la sezione romanzesca dell’opera, ossia immediatamente dopo la vida di Placida, che invece chiude la sezione agiografica. Tale prossimità codicologica può dimostrare essenzialmente due cose:
il fatto che la vicenda di Guillaume fosse percepita come una variante laica dell’agiografia eustachiana23 anche al di fuori dei confini francesi;
la conferma dell’unità tematica di fondo dell’antologia, di cui si è parlato nel paragrafo precedente, e la volontà di rendere meno netto il distacco tra le due sezioni, agiografica e romanzesca.
La EG infatti riadatta in un contesto laico i valori difesi dalle agiografie: non si chiede all’uomo qualunque di aspirare ad una vera e propria condizione di santità, bensì gli si insegna ad arrivare alla perfezione spirituale attraverso un percorso interiore di purificazione e di rinuncia temporanea ai beni terreni. La fonte principale della estoria sembra essere il poema francese GdA, ma sulle discussioni critiche sorte in proposito si tornerà più avanti. Basti dire per ora che la prosa spagnola cerca di adattare i temi fondamentali della storia di Guillaume al 23
Cfr. Introduzione, pp. 13-14.
29
nuovo contesto di produzione, da una parte intensificando gli aspetti narrativi ritenuti più interessanti e più funzionali ad esprimere i valori difesi dal molinismo, dall’altra utilizzando tutti gli strumenti propri della finzione letteraria per andare incontro alle esigenze del nuovo pubblico.
4.
La tradizione dei volgarizzamenti Mentre per le agiografie risulta ormai assodata la provenienza da versioni in
prosa francese delle stesse, il discorso sui romanzi si presenta più complesso: non possediamo infatti attestazioni dello stesso tipo ed è stata ipotizzata una discussa derivazione diretta dai corrispondenti poemi francesi, con i quali in certi casi i riscontri sono numerosi. Inoltre non è stato possibile risalire ad un testo preciso ma soltanto ad una famiglia di modelli. L’impossibilità di individuare un testo base fu motivata da WALKER24 con l’ipotesi dell’esistenza di prose intermedie da cui i romanzi deriverebbero; egli però non tenne conto dei diversi fattori che possono aver dato luogo alle differenze con i racconti in versi:
varianti orali e popolari iberiche dei due patterns narrativi sottesi ai testi;
l’utilizzo di copie manoscritte dei poemi oggi sconosciute;
l’influenza di altre versioni degli stessi (per esempio il Dit de Guillaume d’Engleterre, la versione abbreviata del GdA);
il passaggio dal francese al castigliano;
la popolarità dei patterns che consentiva al redattore una più facile rielaborazione rispetto alla fedeltà cui doveva sentirsi obbligato nella trasposizione delle agiografie;
24
WALKER (1980), pp.230-243 cit. in MAULU (2009), p. 107.
30
ď&#x201A;ˇ
il passaggio dal verso alla prosa con tutte le differenze che questo processo comporta e sulle quali mi soffermerò in modo piÚ approfondito nel capitolo seguente.
31
Capitolo 2
1.
La prosificazione dei romanzi Escorialensi La ricostruzione del metodo di allestimento di E ha diviso la critica: da una
parte si è discusso circa la derivazione dei cuentos da prose intermedie fra i testi spagnoli e i poemi francesi, dall’altra è stato invece ipotizzato un passaggio diretto dal verso francese alla prosa castigliana. Alle obiezioni contro la prima ipotesi di cui si è già parlato25 è necessario aggiungerne un’altra relativa al periodo in cui le prose francesi sarebbero state redatte: si è detto infatti che il codice fu composto attorno alla metà del XIV secolo, mentre i modelli dei cuentos tràditi da E risalgono a meno di cento anni prima (tranne il GdA, scritto alla fine del XII secolo): lo stretto periodo di tempo che intercorre tra le due datazioni rende dunque più complicata l’eventualità di un’opera di prosificazione dei romanzi in Francia, un’attività che conobbe un pieno sviluppo solo nel corso del Quattrocento (DOUTREPONT [1969], p. 355). Per chiarire meglio quanto detto, nei paragrafi seguenti descriverò brevemente come, quando e perché si sviluppò in Francia il fenomeno di mise en prose delle opere in versi.
2.
La leggenda del Graal e le origini della prosa Le origini del fenomeno sono legate a quelle del romanzo in prosa francese,
sviluppatosi in stretta connessione con l’argomento del Graal, la cui leggenda fu narrata per la prima volta da Chrétien de Troyes nel poema incompiuto Le conte du Graal, composto alla fine del XII secolo: la storia racconta delle peregrinazioni del giovane Perceval fino al suo arrivo al castello del Re Pescatore, un personaggio di cui 25
Cfr. cap. 2, §4.
32
si sa solo che una ferita non ancora rimarginata ha gettato tristezza e carestia sul suo regno. Qui il giovane scopre l’esistenza di due misteriosi oggetti: una lancia sanguinante ed un piatto (il Graal) che contiene un’ostia ed emana una grande luce. Perceval non chiede alcuna spiegazione sui due oggetti e proprio questo silenzio sarà la causa della sparizione del regno e di tutti i suoi abitanti; in conseguenza di ciò i viaggi del giovane ricominciano e Perceval scopre di essere cugino del Re Pescatore. Il mistero suscitato dall’incompiutezza della vicenda diede luogo a delle continuazioni apocrife in versi e soprattutto alla trilogia di Robert de Boron, costituita dai seguenti testi:
il Joseph d’Arimathie, composto entro il 1215. Il protagonista è un personaggio del nuovo testamento che, dopo aver raccolto il sangue di Gesù nel Graal (qui rappresentato come un vaso) ed essere venuto a conoscenza dei segreti di questo misterioso oggetto, ne trasmette la custodia al cognato, il quale attenderà insieme ad altri eletti l’avvento di un tierz hon, un “terzo uomo” che porterà a compimento le profezie relative al Graal.
Il Merlin: narra la nascita e le imprese di Merlino, il profeta del Graal, fino alla costituzione della Tavola Rotonda e all’incoronazione di re Artù: la storia diviene l’elemento che congiunge la vicenda di Joseph e quella del tierz hon;
la continuazione degli eventi si ritrova in un Didot-Perceval in prosa che secondo alcuni sarebbe la mise en prose del perduto Perceval di Boron, l’ultimo romanzo della trilogia.
Dunque, la trilogia di Robert de Boron modificava profondamente il poema di Chrétien, in quanto, pur riprendendone temi e motivi, trasformava il Graal in una reliquia contenente il sangue di Cristo e portatrice di un segreto da Lui stesso rivelato e univa in tal modo leggende celtiche e derivazioni cristiane.
33
Un’ulteriore continuazione in prosa del poema di Chrétien è costituita dal Perlesvaus, composto probabilmente tra gli ultimi anni del XII secolo e i primi del XIII; anche qui si ha una commistione di elementi cristiani con altri più arcaici e appartenenti al fondo primitivo della leggenda: si narrano infatti le avventure di Galvano, Lancillotto e Perlesvaus fino alla riconquista da parte di quest’ultimo del Castello del Graal, che era stato occupato da un usurpatore. Queste premesse sono fondamentali per comprendere quanto fosse diffusa e importante la materia del Graal, la quale divenne infine il soggetto protagonista del ciclo conosciuto come Lancelot-Graal, composto tra il 1225 e il 1230; si tratta del primo gruppo di romanzi francesi in prosa e ne comprende cinque (i primi due furono però aggiunti in un secondo momento) che uniscono fra di loro storie originariamente indipendenti portando a compimento il progetto abbozzato nella trilogia di Robert de Boron:
la Estoire del Saint Graal, la prosificazione del Joseph d’Arimathie;
il Merlin, la prosificazione dell’omonimo poema di Boron ma arricchita di continuazioni;
il Lancelot: è la parte centrale e più antica del ciclo. In essa si parla dell’infanzia dell’eroe e del suo ingresso alla corte di re Artù dove diventa cavaliere; segue la storia delle innumerevoli imprese compiute e quella dell’amore peccaminoso con Ginevra, che sarà la causa, nell’opera successiva del ciclo, della sua esclusione dalla ricerca del Graal;
la Queste del Saint Graal: l’impresa, più religiosa che guerresca, sarà portata a termine dai tre cavalieri eletti Bohort, Perceval e Galaad (figlio di Lancillotto e Ginevra), ma solo quest’ultimo potrà contemplare direttamente i segreti del Graal;
34
la Mort le roi Artu: il mondo qui rappresentato è minacciato da odi e da contrasti e gli eventi precipitano dopo la scoperta da parte del sovrano della relazione fra Lancillotto e Ginevra; segue una serie di uccisioni e di vendette e la storia si conclude con una battaglia in cui Artù perde la vita. L’opera costituisce la fine del ciclo e anche quella del mondo arturiano.
Nel XIII secolo la mise en prose dei poemi di Boron va dunque a fondersi con la nascita dei primi romanzi in prosa, i quali si presentano come una rielaborazione del ciclo arturiano sul Graal, già profondamente modificato in senso religioso dalle varie continuazioni dell’opera di Chrétien e soprattutto dai lavori dello stesso Boron. La scelta di utilizzare la prosa per trattare un tema così legato alla religione non è affatto casuale: si è detto che la forma poetica venne a lungo considerata menzognera, pervasa di falsità e di vanità e incapace di veicolare la verità. Una simile opinione derivava soprattutto dall’influenza del modello biblico in prosa, ritenuto la trasposizione scritta della parola di Dio e dunque un’incontestabile fonte di verità. Nel Lancelot-Graal l’utilizzo della prosa mirava dunque ad eliminare le oscurità del poema di Chrétien e a dare un compimento perfetto, sul piano formale, al racconto dello svelamento dei segreti connessi al Graal. Anche un altro dei più antichi testi messi in prosa giunti fino a noi possiede dei legami con la vicenda del Graal: si tratta della chanson de geste del Chevalier au cygne. La storia racconta di un cavaliere figlio di Parsifal (a sua volta cavaliere del Graal) che viaggiava su una barca a forma di cigno ed era stato incaricato della difesa di una fanciulla con la condizione che costei non gli chiedesse mai il nome. La prosificazione di cinque rami della leggenda, unica parte giunta fino a noi, è conservata nel ms. B.N. fr. 781. L’anonimo autore dice di aver scelto la prosa con l’intento di abbreviare la narrazione, dato che le opere in versi cominciavano ad essere ritenute troppo lunghe seppur certamente belle e piacevoli a leggersi; in effetti
35
la necessità di abbreviazione dei testi per meglio adattarli alla lettura sarà una delle motivazioni che spingeranno alla prosificazione di romanzi e chansons de geste nel XIV secolo, per cui risulta molto interessante il fatto che una dichiarazione del genere risalga a due secoli prima. Datano invece al XIV secolo e agli inizi del successivo una serie di racconti scritti sia in versi che in rima: Foulques Fitz Warin, Ysaïe le Triste, Mélusine, Myreur des histors, Lohier et Mallart, Aquilon de Bavière. Tuttavia, DOUTREPONT (1969), pp. 354-355 non ritiene un vero esempio di prosificazione la doppia redazione di tali opere poiché essa non fu motivata da alcuna delle ragioni tipiche dei volgarizzatori (per esempio la necessità di abbreviare una storia, di modernizzarla, di riadattarla ad un nuovo contesto) ma fu attuata solo con l’intento di trattare in un'altra forma delle storie già conosciute in versi. Lo studioso sottolinea tuttavia che i confini tra le redazioni doppie e le prosificazioni non sono nettamente marcati.
3.
Lo sviluppo del fenomeno di prosificazione nel XV secolo Si può parlare di un pieno sviluppo del processo solo a partire dal secolo
successivo26: dopo il 1400, infatti, la necessità di rendere fruibili ad un vasto pubblico i poemi del passato portò ad un rimaneggiamento e ad un’opera di modernizzazione di questi ultimi. L’operazione diventerà sempre più frequente intorno agli anni Cinquanta del secolo, periodo a cui risalgono le prime prosificazioni a noi note:
Girart de Roussillon, di Jean Wauquelin, terminato, secondo quanto ci dice l’autore stesso, nel 1447;
26
Belle Hélène, datata 1448 sempre da Wauquelin;
Alexandre le Grand, stesso autore, 1448;
Histoire de Charles Martel et de ses successeurs, 1448.
Ma PARIS nella sua opera Esquisse historique de la Littérature française au Moyen Age colloca
l’inizio del processo di mise en prose intorno al 1430 (DOUTREPONT [1969], p. 353).
36
Le cause che portarono a riscoprire l’utilità della prosa in campo letterario furono molteplici e sono da ricercarsi principalmente nel contesto storico-sociale francese della fine del Medioevo. Le chansons de geste avevano trionfato durante tutto il periodo compreso tra la fine dell’XI e l’inizio del XIV secolo, diffondendosi dapprima sotto forma di narrazioni orali incentrate su temi guerreschi e cristiani27 e messe successivamente per iscritto. Dagli inizi del Trecento in poi, le chansons de geste si avvicinarono sempre di più al romanzo (mediante la creazione di opere scritte in lasse28 ma che narravano temi di genere romanzesco) fino ad arrivare, alla fine del Medioevo, ad una fusione tra i due generi. Il mutamento dei tempi che avevano reso possibile lo sviluppo di questo tipo di letteratura fece conseguentemente venire meno il gusto per le recitazioni pubbliche ma non la passione per i temi cortesi e cavallereschi da esse trattati: il rinnovamento letterario dunque non riguardò tanto i contenuti quanto la forma e la lingua in cui questi dovevano essere espressi. La prosa cominciò così a diffondersi sempre di più e allo stesso tempo l’oralità e la musica – già affiancate dalla scrittura nel momento della nascita del romanzo in versi – vennero meno perché sostituite dalla lettura. Si cominciò a prestare una maggiore attenzione all’argomento della narrazione e molti degli ornamenti propri del verso vennero ritenuti superflui. Inoltre, la lingua utilizzata nelle opere del passato risultava agli occhi della nuova società profondamente diversa e molto spesso incomprensibile; era necessaria dunque, anche da quel punto di vista, una modernizzazione. Non va considerata meno importante la ricerca di precisione e di definizione propria dell’uomo pre-rinascimentale, il quale cominciava a non potersi più 27
Le storie narrate erano ambientate generalmente in epoca carolingia, poi, a partire dal XIII secolo,
cominciarono a essere dedicate anche al tema delle crociate. 28
La lassa era un gruppo di versi di numero variabile legati dalla stessa rima o dalla stessa assonanza
e costituiva l’unità strofica fondamentale della chanson de geste.
37
accontentare di spiegazioni valide solo perché dotate di auctoritas ma sentiva il bisogno di capire, di definire, di dare un ordine a ciò che osservava nel mondo; la prosa permetteva di costruire quell’ordine e allo stesso tempo garantiva veridicità alla narrazione: si diffondeva sempre di più la concezione secondo cui la poesia rappresentava il bello e la prosa era invece espressione dell’utile e del reale. La prosificazione di opere del passato interessò anche di molti esponenti della borghesia (DOUTREPONT [1969], p. 397), i quali, con l’intento di auto-celebrare sé stessi e la propria famiglia, chiedevano ai propri uomini di studio la composizione di romanzi o appunto la mise en prose di opere più antiche che ricostruissero la genealogia mitica e storica del proprio lignaggio mediante la narrazione delle imprese eroiche di illustri antenati. La veridicità di ciò che si raccontava in tali opere era garantita proprio dalla scrittura in prosa. In un'altra epoca e in un altro contesto, ossia la Castiglia dei primi del XIV secolo, la prosa fu lo strumento fondamentale che consentì la realizzazione del codice Escorialense, un prodotto letterario costituito da testi antichi ed eterogenei che per via dei motivi precedentemente esaminati29 poterono essere riadattati al contesto di produzione molinista: infatti, se le agiografie per la loro stessa natura non richiedevano alcuna modifica, i romanzi avevano bisogno di essere slegati dalla falsità insita nella poesia e inseriti in una forma che garantisse la validità del loro contenuto.
4.
Le tecniche di prosificazione È bene ribadirlo: il codice Escorialense non è un prodotto francese né
rinascimentale, tuttavia l’azione di rimaneggiamento esercitata sui romanzi francesi da cui i cuentos derivano presenta molti punti in comune con il processo di 29
Cfr. cap.1, § 2.
38
prosificazione dei poemi cavallereschi. Di seguito descriverò su quali elementi del testo si concentrava generalmente l’attenzione del volgarizzatore e quali furono le principali tecniche prosificatorie, secondo DOUTREPONT (1969), p. 467 suddivisibili in due grandi categorie:
le soppressioni: il fatto stesso che la prosa riportasse una storia già narrata in versi autorizzava spesso il volgarizzatore a non soffermarsi su questioni già trattate dall’autore dell’opera originale; inoltre era ovvio, per la natura stessa della prosa, che venissero meno i procedimenti e gli artifici propri della poesia (rime, figure retoriche, formule, ecc.);
le aggiunte: il prosatore, come si vedrà, riteneva necessario intervenire sul testo per svariati motivi, ad esempio per mettere in evidenza alcune parti della storia dedicando loro uno spazio più ampio, oppure per fornire ai suoi lettori indicazioni (mancanti nell’opera originale) che considerava fondamentali per la comprensione della narrazione.
Tra questi due gruppi si potrebbero poi inserire altre tipologie di interventi sul testo non facilmente collocabili in un’unica famiglia per via della loro eterogeneità. Mi riferisco principalmente ai seguenti procedimenti:
modifiche relative alla sequenza cronologica degli avvenimenti, ai nomi, ai numeri, alla lingua del testo;
modernizzazioni;
rimaneggiamenti di due o più testi volti a creare un’unica opera a partire da essi.
Rimando al prossimo capitolo la spiegazione teorica e pratica di tali tecniche, limitandomi a descrivere nei paragrafi seguenti soltanto alcuni casi più complessi di prosificazione.
39
5.
Mises en prose particolari L’opera di prosificazione non consisteva semplicemente in una trasposizione
del testo dal verso alla prosa, ma comportava talvolta l’introduzione in esso di modifiche assai incisive: con esse il prosatore non si limitava ad intervenire sul modello per adattarne il contenuto alla nuova forma ma arrivava a trasformare la sostanza stessa del testo, ponendosi quasi come un co-autore dell’opera o arrivando in certi casi a costruire un testo completamente nuovo.
5.1
La modernizzazione L’attualizzazione dell’opera in prosa poteva essere effettuata:
sulla lingua del testo, specialmente in relazione al lessico – mediante la soppressione di termini ed espressioni fuori moda – e alla struttura sintattica del discorso, se questa era ritenuta troppo obsoleta; poteva dunque capitare che la sostituzione di un termine o di un modo di dire con altri contemporanei al prosatore costituisse causa di incongruenze all’interno del testo;
sugli eventi narrati. La prosificazione tendeva infatti a riflettere abitudini ed usanze contemporanee al prosatore, pertanto era frequente che si verificassero cambiamenti in alcuni ambiti della narrazione: mi riferisco per esempio all’incremento di dettagli riguardanti i tornei cavallereschi – molto graditi al pubblico rinascimentale – e, al contrario, alla riduzione o alla soppressione dei combattimenti epici, ormai considerati fuori moda dal punto di vista letterario; non era insolita inoltre l’attribuzione ai personaggi dei testi di comportamenti e modi di dire anacronistici, o ancora poteva verificarsi nel testo l’introduzione di figure totalmente nuove che rispecchiavano persone esistenti e contemporanee al prosatore.
40
5.2 La compilazione Si intende con questa espressione il procedimento di mise en prose che utilizzava diverse fonti (francesi e latine) combinandole tra loro in modi diversi, talvolta allontanandosi da esse nello sviluppo della narrazione, talvolta seguendole più o meno fedelmente. La compilazione poteva acquisire quello che DOUTREPONT (1969), p. 475 definisce un «esprit cyclique» nel momento in cui la pluralità di fonti raccolta veniva sottoposta ad aggiunte, eliminazioni ed altre alterazioni che miravano a costruire un’unica grande opera in cui ognuno dei testi di partenza diventasse un frammento inscindibile dal resto. Il prosatore doveva dunque possedere una profonda conoscenza della materia che andava a trattare per riuscire ad assemblare tra loro vicende del tutto prive di legami o solo lontanamente relazionabili; egli doveva inoltre essere abile a modificare i testi in un modo tale da garantire alla prosa risultante un senso di unità e di coesione. Un importante esempio di questo tipo di prosa-compilazione è costituito dalle Conquestes di Charlemaine, una grande epopea dedicata all’imperatore cristiano. La stessa definizione non è invece ascrivibile al codice Escorialense: in esso infatti si può osservare sicuramente l’intento dell’ignoto redattore di lasciare intendere l’unità tematica sottesa ai testi, mentre non si riscontra la presenza di rimaneggiamenti volti a privare ciascuno di essi della propria autonomia.
5.3
La ricerca di razionalità La volontà di dare un’organizzazione più logica alla narrazione o di rendere la
storia più credibile per il nuovo pubblico erano le cause che maggiormene incidevano nella modifica del testo. La ripartizione della materia narrata in capitoli, per esempio, non sempre seguiva lo stesso ordine logico e cronologico del modello: capitava infatti che una serie di fatti relativi ad un unico argomento venisse concentrata dal prosatore 41
all’interno di uno stesso capitolo con il preciso intento di semplificare passaggi altrimenti troppo complicati e di garantire più chiarezza alla narrazione. Gli stessi motivi provocavano nella prosa alcune modifiche relative ai personaggi: in alcuni casi venivano loro attribuiti pensieri o discorsi non presenti nel testo in versi ma utili per spiegare un certo comportamento – quasi delle analisi dei loro processi mentali –, un fatto senz’altro più tipico della poesia: osserviamo questa particolarità nella versione in prosa del Cligès, in cui alla narrazione vengono intercalati monologhi amorosi e analisi psicologiche modellate su quelle di Chrétien de Troyes, come se il volgarizzatore avesse voluto porsi in competizione letteraria con il romanziere. La ricerca di verosimiglianza portava poi a sopprimere o attenuare l’elemento meraviglioso, ma anche semplicemente a modificare fatti reali che tuttavia minavano la logica della vicenda: cito tra tanti l’esempio della prosa di Gilles de Chin (DOUTREPONT [1969], pp. 554-556): nel modello in versi l’eroe guarisce immediatamente dalle ferite riportate in un combattimento ed è pronto a partecipare ad un torneo; il prosatore ritiene invece troppo inverosimile la pronta guarigione del protagonista ed elimina dalla narrazione la scena del torneo.
Dunque, la volontà di razionalizzazione della letteratura, paragonabile alla ricerca di un ordine nella realtà di tutti i giorni, qualifica a tutti gli effetti la mise en prose come un processo pienamente ascrivibile al clima culturale pre-rinascimentale. Per tale motivo credo di poter affermare una volta di più che l’ipotesi di WALKER – il punto di partenza di questo discorso – relativa alla collocazione di una massiccia opera di prosificazione dei romanzi cavallereschi tra XII e XIII secolo risulta alla luce dei fatti assai poco probabile.
42
Capitolo 3
1.
La prosificazione Escorialense del GdA In questo capitolo affronterò l’oggetto principale della tesi, ossia il confronto tra
la EG30 e il suo modello in versi, il GdA. Nessuno dei due testimoni del romanzo a noi giunti può tuttavia essere considerato la base della estoria castigliana: questa mostra senza dubbio maggiori affinità col testimone P ma allo stesso tempo concorda con alcune lezioni di C31. Allo stesso tempo, ho ritenuto utile prendere in considerazione le altre due opere di cui si compone la tradizione: il DGE32 e la Chrónica del rey Guillermo de Inglaterra33; soprattutto quest’ultima risulta interessante sia dal punto di vista contenutistico che da quello formale in quanto costituisce un altro esempio di prosa castigliana e anche in essa è possibile individuare alcuni dei procedimenti propri della prosificazione.
2.
La struttura della EG I primi interventi del prosatore sul testo consistevano nella riorganizzazione
della sua struttura: ciò implicava generalmente l’attribuzione di un nuovo titolo – di norma lungo poiché riassumeva l’argomento della narrazione – alla storia, la
30
Il testo di riferimento per le citazioni è l’edizione critica di ZUBILLAGA (2008).
31
Ricordiamo che con le lettere P e C sono siglati rispettivamente il ms. BNF, fr. 375 e il ms. St. John’s
College, B 9: cfr. Introduzione pp. 6-7. I testi di riferimento per le citazioni sono l’ed. critica di WILMOTTE (1962) per P e quella di HOLDEN (1988) per C. 32
Ed. critica di BUZZETTI GALLARATI (1990).
33
Ed. critica di BARANDA (1997).
43
divisione del testo in capitoli, l’inserimento di rubriche all’inizio di ciascuno di essi e l’aggiunta di un prologo che spiegasse e giustificasse l’opera di prosificazione. Tuttavia le caratteristiche appena descritte si riferiscono soprattutto alle mises en prose di romanzi cavallereschi ed epopee redatte nella Francia del XV secolo, pertanto è comprensibile che nella EG non si riscontri la presenza di tutti questi elementi; manca un prologo, mancano le rubriche e il titolo scelto è molto breve: Aquí comiença la estoria del rey Guillelme. La materia all’interno del testo è comunque ripartita in tredici capitoli che servono a dare una sistemazione più ordinata alla narrazione; di seguito riassumo brevemente i loro contenuti: I
Descrizione di Guillelme e Graçiana; le tre visioni; l’inizio dell’esilio.
II
La sorpresa della corte; la nascita dei gemelli; il rapimento di Graçiana; la perdita dei bambini e la loro adozione da parte di Gloçelins e Flochel.
III
La sottrazione della borsa di bisanti da parte dell’aquila; l’incontro di Guillelme col mercante;
IV
L’arrivo di Graçiana a Surlig; il matrimonio con Gleolais;
V
La crescita di Lovel e Marin; la fuga dai due genitori adottivi, l’arrivo dal re di Catanassa e l’investitura dei due ragazzi a cavalieri;
VI
L’ascesa mercantile di Gui;
VII
La fiera di Bertolt in cui Gui ritrova il proprio corno; l’incontro con il nipote, divenuto re; la tempesta e l’arrivo di Gui a Surclin;
VIII
L’incontro di Graçiana e Guillelme; il sogno del re; la caccia al cervo;
IX
L’incontro di Guillelme con Marin e Lovel e successiva agnizione tra i tre; spiegazione della verità al re di Catanassa;
X
La riunione di tutta la famiglia; partenza da Surlig;
XI
La distribuzione delle ricompense a Groçélin e Frochel;
XII
La restituzione della borsa di bisanti; ritorno della famiglia a Londra.
XIII
Una breve conclusione: distribuzione delle ricompense agli aiutanti.
Riunendo i capitoli in gruppi distinti in base al loro contenuto è possibile capire in che modo il prosatore ha riorganizzato la materia: i primi due narrano la storia 44
dall’inizio fino alla separazione tra tutti i membri della famiglia; rispetto al poema, tuttavia, il prosatore introduce una prima divisione nella narrazione al momento dell’esilio, mentre segue il modello nel concludere il secondo capitolo dopo l’adozione di Marin e Lovel da parte dei mercanti; del poema rimane infatti la formula di transizione, seppur modificata:
GdA (P), vv. 839-842
EG, I, p. 110
Mais d’aus vos lais ci la parole./ Del
Ora
roi […] oiés qu’il fist au resvillier.
d’ellos, e tornaremos al rey.
vos
dexaremos
de
fablar
Pur essendo un elemento tipico della poesia, la formula di transizione, privata dei riferimenti alla soggettività del giullare ([je] lais) e all’oralità della narrazione (oiés), poteva essere mantenuta poiché adatta a segnalare il passaggio da un capitolo all’altro. Ognuno dei capitoli che vanno dal III al VI è invece dedicato ad un singolo personaggio34, ovvero rispettivamente a Guillelme, a Graçiana, a Marin e Lovel e infine di nuovo al re. Il prosatore in essi ha seguito più fedelmente le brevi interruzioni apposte dall’autore del GdA, come possiamo notare dalla ripresa delle stesse formule di transizione, opportunamente modificate e poste in chiusura di capitolo:
34
GdA (C), vv.1040-1042
EG, III, p. 112
[…] que droiz est que vous die/ De
Agora vos tornaremos a fablar de
la reïne et de sa vie.
la reina, que derecho es.
L’unica eccezione è costituita dalle vicende relative ai due gemelli, mai trattate separatamente
all’interno della EG.
45
GdA (P), vv. 1328-1329
EG, IV, p. 115
Des deus enfans ore est drois/ Que
[…] e tornarvos hemos a fablar de
vos saciés que il devinrent
los niños
GdA (P), v. 1946
EG, V, p. 121
Des enfans au roi m’en revois.
Ora vos dexaremos a fablar de los niños, e tornarvos hemos a fablar de su padre.
Nel VII capitolo Gui si reca alla fiera di Bertolt e comincia ad essere riconosciuto dai suoi sudditi: l’avvenimento segna una svolta nella narrazione, che da qui riprende a seguire un filo unitario in coincidenza col fatto che i personaggi iniziano gradualmente a ritrovarsi; tuttavia, mentre nel poema non troviamo alcuna interruzione, la prosa isola in ogni capitolo le varie agnizioni: quella – non dichiarata – tra Guillelme e Graçiana (VIII), quella tra il re e i suoi figli (IX), quella tra i tre e Graçiana (X). Gli ultimi capitoli sono molto brevi, infatti riprendono le vicende narrate nei duecento versi conclusivi del poema: la distribuzione delle ricompense ai due genitori adottivi di Marin e Lovel (XI), al borghese di Galvoya, ai suoi figli e al fanciullo che aveva custodito il corno del re (XIII). Costituisce quasi una sezione a sé il capitolo XII, in quanto inserisce, modificandolo, l’episodio della restituzione della borsa di bisanti, sul quale tornerò più avanti (cfr. § 5.6). È chiaro insomma che il riordinamento della narrazione all’interno della prosa è stato attuato dedicando ogni capitolo ad uno specifico personaggio o ad un particolare evento in modo tale da consentire ai destinatari dell’opera una lettura più agevole della stessa.
46
2.1
La struttura della Chrónica La Chrónica si presenta come la rielaborazione della vicenda di Guillaume che
maggiormente si discosta dalle altre in quanto narra una storia molto più ampia rispetto a quella del GdA, della EG e ovviamente del DGE: la narrazione comincia infatti in un’epoca durante la quale Guillermo non è ancora re di Inghilterra e racconta in che modo avvenne la sua ascesa al trono; solo nell’VIII capitolo si comincia a parlare dell’esilio del re e della sua consorte e da questo punto in poi il racconto prosegue come le altre opere della tradizione ma si conclude diversamente, ossia con la morte di Guillermo e sua moglie, loro preannunciata da un angelo. Al contrario della EG, l’opera possiede gli elementi tipici della prosa elencati nel paragrafo precedente e questo non è certamente un caso: bisogna ricordare infatti che la Chrónica fu composta nella prima metà del XVI secolo e dunque in un periodo in cui le tecniche di prosificazione dovevano essere ormai ben consolidate. Il testo presenta un titolo molto lungo che riassume la vicenda:
El rey don Guillermo. Chrónica del rey don Guillermo, rey de Inglaterra y duque de Angeos, y de la reina doña Beta su muger, y de cómo por revelación de un ángel le fue mandado que dexasse el reino y ducado y anduviesse desterrado por el mundo, y de las estrañas aventuras que andando por el mundo le avino. Una rubrica riassuntiva precede il prologo ed ognuno dei ventisette capitoli; di
questi, i primi sette narrano la parte della storia non presente nelle altre versioni, mentre i restanti venti sviluppano le vicende consuete.
47
3.
Il prologo Tutti i testi della tradizione di Guillaume possiedono prologhi che differiscono
l’uno dall’altro per forma e funzione; l’unica eccezione è costituita dalla EG e a breve spiegherò il motivo dell’assenza di questo elemento. Il prologo del GdA è costituito dai primi diciassette versi: in esso l’autore (Crestiens), che parla di sé in terza persona, dice di voler mettere in versi un racconto trovato nelle cronache d’Inghilterra conservate nell’abbazia inglese di Bury St. Edmund; in tal modo, il topos della fonte scritta garantisce veridicità alla narrazione:
GdA (P), vv. 11-15
Qui les estoires d’Engleterre Vauroit bien cerkier et enquerre, Une qui moult bien fait a croire, Por çou que plaisans est et voire, On troveroit a Saint Esmoing.
Nella EG la soggettività del giullare viene eliminata (cfr. § 2): per questo la figura di Crestiens – e con essa tutto il prologo – non hanno motivo di far parte di un testo che tuttavia non rinuncia al riferimento alla fonte scritta. Leggiamo infatti nell’incipit: Dizen las estorias de Ynglaterra que un rey ovo que ovo nonbre rey Guillelme.
Dunque anche in questo caso il rimando alle estorias ha lo scopo di dare un solido fondamento alla narrazione, che, senza perdersi in preamboli probabilmente considerati inutili, introduce subito il protagonista.
48
La figura di un giullare che narra la vicenda ritorna nel DGE, il cui prologo occupa i primi 36 versi e contiene diversi riferimenti alle Sacre Scritture che vogliono mettere in evidenza il buon comportamento del protagonista; il Dit, costituendo una versione più moraleggiante del poema, calca molto su questi aspetti fin dai primi versi: DGE, vv. 37-40
Il fu roy d’Engleterre et duc de Normendie, Et d’assez d’autres lieus avoit la seigneurie, Mes il metoit son cuer et toute s’estudie A servir Jhesu-Crist et la vierge Marie.
Come accennato nel paragrafo precedente, il prologo della Chrónica differisce molto da quelli appena descritti. Prima di tutto è introdotto da una rubrica: Prólogo o prefacio de la presente chrónica de Inglaterra, endereçada al benigno lector. In esso si fa riferimento soprattutto alla veridicità della storia che si va a narrare e all’intenzione di istruire e dilettare il pubblico attraverso il racconto di fatti del passato che possono sempre contenere insegnamenti attuabili al presente. Risultano inoltre importanti i seguenti versi:
Chrónica, Prologo, p. 85
Y porque las historias que hasta aquí en nuestra lengua materna son escritas an ya perdido la novedad, me paresció que la historia de don Guillermo, rey de Inglaterra y duque de Angeos, viniesse en las manos de todos.
La presentazione del testo come traduzione di un’opera scritta in un’altra lingua ci consente infatti di affermare, seppur non con totale certezza, che la Chrónica non derivi da precedenti fonti castigliane della storia, dunque nemmeno dalla EG.
49
4.
Dalla poesia alla prosa Una delle più importanti modifiche inerenti al passaggio dal verso alla prosa
riguarda gli elementi strutturali, lessicali e retorici che caratterizzavano la poesia orale: essi nel nuovo contesto letterario tendevano generalmente a sparire o a sopravvivere ma in forma differente. Vediamo di quali elementi si tratta ed in che modo si è comportato con essi il redattore della EG:
gli appelli rivolti al pubblico:
GdA (C), vv.1306-1307
Mais
saichiéz
EG, IV, p. 115
que
ne
s’antredoisent / La nuit la dame
Mas quando llegó la noche cogiéronse a su cámara
ne li sire;
gli epiteti e le formule:
GdA (P), v. 464
Dieu, qui de tot a la poissance
EG, II, p. 106
E llamó a Dios
le ripetizioni:
GdA, v. 73
EG, I, p. 101
Fu esvilliés a le droite eure;
E aveno una noche que él despertó a su derecha ora
GdA, v. 116
EG, I, p. 102
Droit a cele eure oï le bruit;
e a la medianoche […] oyó la boz.
50
GdA, v. 201
EG, I, p. 103
A la droite eure l’escrois oent
E a su derecha ora vieron e oyeron
le rime, le assonanze e le altre figure retoriche talvolta vengono mantenute dalla prosa e conservano tutto l’effetto di musicalità:
GdA, vv. 940-941
EG, III, p. 111
Or veut aler, or veut seoir,/ Or
Ora quería estar, ora quería ser,
veut aler, or veut venir
ora quería ir, ora quería venir.
Più spesso però la prosa decide di far venir meno la rima aggiungendo parole non presenti nel modello:
GdA, vv. 35-36
EG, I, p.101
Li roïne ot non Gratiiene,/Si fu
Esta reina ovo nonbre Graçiana e
moult boine crestiiene
fue buena cristiana a maravilla
i riassunti della vicenda. Il narratore del GdA e quello della EG ci raccontano della vita di Gui in casa del borghese:
GdA, vv. 1028-1029
EG, III, p. 112
Li rois par son service akieve/ tant
Asý que el mercato fue d’él tan
qu’il est sires del ostel
pagado que le dio sus llaves a tener e que lo fizo señor de quanto avía;
51
Più avanti, dopo aver parlato delle vicende relative alla regina e ai gemelli, la narrazione torna a concentrarsi su Gui:
GdA, vv. 1950-1955
EG, VI, p. 121
Si recommencerons del roi/ Que li
El burgés que lo provó en todo e lo
borgois a si prové/ que loial home
falló tan leal, asý en guarda de su
l’a trové/ S’a si en gages sa
casa como en de spender sus dineros
maison/ qu’il ne rent conte ne
que jamás non le quiso tomar cuenta
raison/ De nule rien que il despenge.
La prosa traduce quasi fedelmente il suo modello e pertanto mantiene il breve riassunto della vicenda, necessario per riprendere il filo di una narrazione interrotta tre capitoli prima;
le formule di transizione, di cui si è già parlato (cfr. § 2).
DOUTREPONT (1969), p. 568-569 inserisce tra i procedimenti tipici della poesia epica anche i proverbi e le sentenze, in quanto generalmente posti alla fine di una lassa con lo scopo di annunciare una pausa nella narrazione. Un esempio di quanto si è detto potrebbe essere costituito dai versi seguenti, sebbene essi non si trovino prima di una pausa narrativa; sono riportati sia da P che da C mentre non trovano riscontro nella EG:
GdA (P), vv.1457-1461
On ne se doit mie fier En vilain, puis que il s’aorse, Nient plus que en ours u en ourse: Vilains iriés est vis maufés
52
È chiaro che l’utilizzo di tutti gli elementi descritti, essendo connaturato alla poesia stessa, non poteva essere pienamente inserito in una forma narrativa così differente e soprattutto basata sulla lettura e non sull’oralità. Nella EG, tuttavia, capita più frequentemente che certi elementi vengano ripresi – seppur modificati – e personalmente credo che il mantenimento delle formule di transizione possa essere considerata una prova della sua derivazione diretta dal modello in versi.
5.
Le modifiche del contenuto La mia analisi partirà da alcuni elementi facilmente modificabili da parte del
prosatore: si tratta degli antroponimi, dei toponimi e delle cifre numeriche; spesso, infatti, nomi di personaggi e/o di luoghi potevano essere cancellati o alterati poiché non considerati importanti o per via di varianti presenti nel modello, o ancora a causa di incomprensioni nella lettura da parte del prosatore. Nel caso della EG bisogna tenere conto inoltre della sua natura di prosificazione e traduzione al tempo stesso, per cui l’alterazione più o meno evidente di alcuni nomi è da ascriversi anche al passaggio dal francese al castigliano.
5.1
Antroponimi Per quanto riguarda le modifiche relative agli antroponimi, possiamo osservare
una generale concordanza rispetto a quanto dice DOUTREPONT (1969), p. 575 in proposito: lo studioso sostiene infatti che non siano i nomi dei protagonisti (o dei luoghi più importanti) a subire grossi mutamenti nel passaggio dal verso alla prosa, bensì quelli relativi a personaggi (e luoghi) minori. Effettivamente nella EG i nomi dei protagonisti restano pressoché inalterati:
53
Guillaume → Guillelme
Gracienne → Graçiana
Lovel, Loviax → Lobel, Lobato
Marin, Marins → Marýn
Al contrario, in linea con quanto detto sopra, le alterazioni diventano ricorrenti nel caso dei personaggi minori35, anche perché spesso altrettanto variamente questi venivano riportati all’interno del GdA:
Gonselin, Gosselin, Gosselins, Gonsselins → Gloçelins, Gloçelines, Groçelýn, Gloçelín
Foukier, Foukiers, Fokiers → Frochel, Flochel
Gleolaïs → Gloelais, Gloelies, Glolies.
Un altro personaggio, l’aiutante che Gloçelins dà a Lobel prima della sua partenza, subisce un totale mutamento del proprio nome:
Rodains → Jordán
Tuttavia il nome originale del fanciullo è presente nello stesso capitolo, poco più avanti. Leggiamo infatti cosa accade dopo che Jordán ha chiesto ai frati di un monastero alcune vivande per nutrire sé stesso e i due ragazzi:
EG, V, p. 119
[…] e los monges salieron e diéronle quanto demandò, e un moço que avía nonbre Rodén que le ayudase a llevar lo que le dieron.
35
Il procedimento non costituisce una regola: è il caso di Terfes – il nocchiero della nave concessa a
Gui dal borghese – il cui nome resta immutato nella prosa.
54
L’aggiunta del personaggio è curiosa non solo perché priva di riscontro all’interno del poema ma anche perché questi compie la stessa funzione di aiutante propria di Rodain/Jordán. Tuttavia questo procedimento di inserzione di una figura presente in un passo differente della tradizione non è insolito e rientra nei comportamenti tipici dei prosatori. Osserviamo come gli stessi elementi vengano trattati negli altri due testi della tradizione: il DGE non specifica i nomi di Glocelins, Frochel, Gloelais e Rodain, mentre ci dice – contrariamente a GdA, EG e Chrónica – quello del cappellano con cui il re si confida:
DGE, v. 136
A son comfessour vint, c’om apelloit Thommas
La Chrónica, invece, arriva a modificare il nome di uno dei personaggi principali: si tratta della regina, che qui viene chiamata Beta; è interessante inoltre l’attribuzione del nome Jordán al garzone aiutante di Lobel: questa concordanza con la EG non può infatti essere casuale e dimostra pertanto l’esistenza di un rapporto tra le due opere. Inoltre anche nella Chrónica viene attribuito un nome a due personaggi che negli altri testi non lo possiedono: il nuovo re, nipote del protagonista, si chiama Perión, mentre il borghese che fa diventare Guillermo un mercante si chiama Melchín.
55
5.2
Toponimi Osserviamo ora i mutamenti relativi ai toponimi:
Galvaide → Galvoya (EG), Galnaxa (Chrónica)
Surclin, Sorlinc → Surlig, Sorlyna, Sorlina, Solasange
Catenaise, Catanasse → Catanassa, Catanasa
Wincestre →Guynçestre
Bristot → Bertolt, Bretol
Su alcuni di essi il discorso va approfondito. Tra le modifiche relative alla terra di Surclin, troviamo un nome particolare: Solasange. Osserviamo il passo corrispondente del GdA:
GdA (P), vv. 2337-2338
GdA (C), vv. 2337-2338
EG,VII, p. 125
Que pres sont d’une terre
Que pres sont d’une terre
[…] ca eran en derecho
estrange./ Li rois adonques
estrainge/
de una tierra estraña a
li demande
l’apelle, sou loseinge
Li
rois
que llamava el rey – que la sabía – Solasange.
Spiega HOLDEN (1988), p. 155 che il senso del verbo losengier era generalmente «traiter avec amabilité». Dunque, dal venir meno della rima capiamo che la lezione venne fraintesa dal copista di P e fu mal interpretata dal prosatore della EG. Questo esempio può essere inoltre utile per dimostrare ciò che è stato detto nell’introduzione al capitolo, ossia il fatto che non abbiamo prove sufficienti per ricondurre la prosa Escorialense né a P né a C.
All’interno del DGE, invece, abbiamo un vero e proprio cambio di località nel momento in cui il re non si reca alla fiera di Bristol ma bensì: 56
DGE, v. 755
Qu’arivent a Douvre droit a un esclarier.
Gli spostamenti geografici diventano una cifra ricorrente nella Chrónica, che tende ad amplificare, spiegare e razionalizzare la vicenda di Guillermo collocando gli avvenimenti e i personaggi in un contesto preciso; a partire dal titolo, infatti, il protagonista è presentato come «rey de Inglaterra y duque de Angeos»: il riferimento a Guglielmo Il conquistatore (1027-1087), duca di Normandia, conte di Angiò e infine re di Inghilterra, risulta dunque immediato. Anche nel DGE leggiamo che: DGE, vv. 37-38
Il fu roy d’Engleterre et duc de Normendie, Et d’assex d’autres lieus avoit la seigneurie
Tuttavia non ci vengono date altre informazioni in proposito. La Chrónica, invece, prosegue nella contestualizzazione della vicenda a partire dagli aspetti geografici:
Surclin → reino de Normandía/Ibervia: segnala BARANDA (1997), p. 135, che Ibervia potrebbe riferirsi all’Irlanda36 e che l’alternanza tra i due luoghi sia dovuta al fatto che entrambi i territori facevano parte dei possedimenti della corona inglese37;
36
L’Irlanda veniva chiamata Ibernia durante il Medioevo.
37
Il ducato di Normandia restò sotto il controllo inglese dal 1046 al 1204 e successivamente per alcuni
anni all’inizio del’400; l’Irlanda, invece, solo a partire dal 1175.
57
Catenaise → fu concordemente identificata con Caithness, una contea del nord-est della Scozia, ma nella Chrónica diventa proprio il reino de Escocia, all’epoca appunto un territorio nemico per gli inglesi;
5.3
Bristol → Gravisenda, il porto di Londra.
Numeri La modifica delle cifre numeriche all’interno della narrazione era assai
frequente: questa tendenza in genere rispondeva all’esigenza di precisare quantità non ben definite nel modello, o di modificare dati numerici considerati troppo inverosimili (per esempio il numero di caduti in una battaglia o la durata della vita di un personaggio); tuttavia è bene ricordare che alterazioni di questo tipo possono essere dovute anche a semplici errori di trascrizione da parte del prosatore. La prima modifica da segnalare riguarda la quantità di monete contenute all’interno della borsa lasciata a Guillelme da uno dei rapitori di Graçiana. Se confrontiamo i quattro testi risulta evidente che ognuno si riferisce ad un sistema monetario differente:
GdA, vv. 724-725
DGE, vv. 377-378
EG, II, p. 109
Cinc besans de fin
Il
une
E un omne bueno Y toma estos cient
or
Vos
bourcete qui fu de
que ý andava ovo sueldos de plata con
vos
rouge soie,/ cinq
piadat d’él, e metió que críes estos niños
florins mist dedens
çinco marcos de oro
vermel/
donrai, remanés
se
prist
Chrónica, XI, p. 134
en una bolsa
58
Elenco qui di
seguito
altre modifiche
numeriche, effettuate molto
probabilmente con lo scopo di rende più verosimile la narrazione. La prima riguarda l’età che viene attribuita alla regina da parte degli abitanti di Surclin:
GdA (P), v. 1280
GdA (C), v. 1288
EG, IV, p. 115
Qu’ele n’a pas vint et
Qu’ele n’a pas vint et
[…] ca es tan moça que
sis a
cinc anz
non ha más de quinze años.
Un’altra modifica riguarda il numero di giorni necessari, secondo Lovel, a trovare un signore che accolga lui e suo fratello: GdA (P), 1740-1742
GdA (C), 1738
EG, V, p. 119
Ja ains n’arons set
Je
verrons .viii.
E
jors
jours
passez
veinte
passes/
Que
ne
non
pueden días
que
pasar non
aventure nos venra/
fallemos señor con que
De signor qui nos
finquemos.
retenra
Leggiamo ora cosa dice il borghese di Galvaide a Gui nel momento in cui lo spinge a diventare un mercante:
GdA, vv. 1974-1975
EG, VI, p. 211
Se tu avoies gaaigniés/Vaillant dues
[…] ca bien ganarás ý quinientos
cenz mars de conquest.
marcos.
Ancora, più avanti:
59
GdA, vv. 3224-3225
EG, XII, p. 136
Au nueme jor, sans atendue,/
E a cabo de veinte días fue la tierra
Furent les nes prestes au por.
rendida al rey
Arriviamo agli ultimi versi: GdA (P), vv. 3303-3304
GdA, (C) vv. 3299-3300
EG, XIII, p. 138
Si li dona moult rice
Si li dona mont riche
[…]
fame,/ Car de rente
famme,/ Tel que cent mars
ricamente,
mil mars i prist.
de rante i prist;
podía aver de cada año
e
casolo
muy
asý
que
çient marcos de renta
In quest’ultimo caso notiamo che la EG riprende la lezione di C. Tuttavia è probabile che la discordanza tra i due testimoni del GdA sia dovuta ad un errore del copista di P causato dalla presenza della stessa espressione due versi più avanti: GdA (P), vv. 3304-3305
Et as deus marceans assist Mil mars de rente d’estrelins.
5.4 Discorso diretto e indiretto Anche in questo caso la tendenza generale dei prosatori era l’abbreviazione e dunque i dialoghi e i monologhi venivano ridotti solitamente se considerati poco importanti o nel momento in cui costituivano una sorta di digressione che rallentava il ritmo della narrazione: ciò avveniva per esempio quando un personaggio si interrogava sul proprio stato d’animo o sui propri sentimenti, un atto ricorrente nella poesia ma poco gradito ai prosificatori. Nella EG l’intenzione di sintetizzare la narrazione porta il prosatore a riunire in un unico discorso le parole dette da due personaggi differenti:
60
GdA, vv. 1715-1737
EG, VII, p. 119
Lovel: «Peletier? Que ja Diex n’en rie!/
– Por la fe que vos devo – dixo Lobato
Chi a male peleterie,/ Amis, par le foi que
– otro tal aveno a mí más, pero partime
vos doi!/ Autel voloit faire de moi/ Mes
d’él por su plazer. E sy yo sopiera que
peres, sire Gonsselins;/ Ne sai, putois u
vós ante de mí veníades non me
sebelins/ Me voloit faire conreer./ Por
falleçiera cosa de mi voluntad nin diera
çou que jou l’osai veer/ Me bati si que jou
una paja por la saña de mi padre. Mas
m’en doel;/ Et ne por quant, si com je
agora sería bien que sopiésemos por
voel/ M’en sui jou par mon gré tornés,/ Si
dónde avemos de ir.
vestus et si atornés;/ Et s’avoeques moi vos ëusse,/ U se devant moi vos seüsse,/
– Par Dios – dixo el otro – esto, non sé
Nule cose ne me fausist.»
yo adevinar sinón do nos llevar la
Marin: – Certes, rien ne m’i recausist/ Del
ventura.
courouc mon pere granment/ Se jou de vos tant seulement/ Cuidasse compaignie avoir./ Mas or feroit molt boin savoir/ Quel part nos devons ceminer. Lovel: – Amis, jou nel sai deviner,/ Se aventure ne nos maine.
Riscontriamo ancora una tendenza all’abbreviazione nella risposta che Guillelme dà a suo nipote nel momento in cui questi, non avendolo riconosciuto, gli chiede di presentarsi:
GdA, vv. 2243-2246
EG, VII, p. 124
– Sire, j’ai non Guis de Galvaide:/
– Señor – dixo él – yo he nonbre Guy
La ai jou moult warance et waide/
de Galvoya. Yo he grant algo e tengo
Et bresil et alun et graine,/ Dont jou
muchas merchandías.
taing mes dras et ma laine. –
61
Tutta la parte relativa al tipo di merci trattate da Gui appare evidentemente superflua agli occhi del prosatore. Nonostante DOUTREPONT (1969), p. 507 segnali il passaggio dal discorso indiretto al diretto come un procedimento più raro all’interno delle prosificazioni, talvolta questo procedimento si può riscontrare nella EG. Nell’esempio seguente, infatti, le parole del re trasformate in un discorso diretto abbreviano il passo.
GdA, vv. 2367-2369
EG, VII, p. 126
Li rois li dist que port prendront;/ Ja
E el rey dixo: – Ya por aver non
por
dexemos de aportar
avoir
ne
remanront/
Que
maintenant a terre n’aille.
5.5
Riferimenti particolari In questa sezione mi occuperò del modo in cui vengono trattati dalla prosa i
riferimenti a personaggi e situazioni passati e/o leggendari. Durante le doglie del parto, la regina prega disperatamente:
GdA (P), 457-460
GdA(C), vv. 455-458
EG, II, p. 106
Angoisse
moult,
Angoisse ot grant, Dieu
E llamó a Dios e a santa
Dieu en apele/ Et la
an apele/ Et la glorieuse
María e los santos e las
gloriouse
pucele/
santas
ot
pucele./
Deseur
toutes
Margerite
vierges recleime;/ Touz
reclaime;/ Tos sains
seins et toutes saintes
et
aime
Sainte
totes
vergenes
aime;
62
Il riferimento a Santa Margherita, invocata come protettrice dei parti, viene meno nella prosa ma non possiamo stabilire con certezza se ciò dipenda dalla volontà del prosatore o da una concordanza con il testimone C, anch’esso privo del riferimento alla santa; tuttavia, la concordanza tra quest’ultimo e la EG nelle parole finali del passo potrebbe farci propendere per la seconda ipotesi. Troviamo invece sia nei due testimoni del poema sia nella prosa, l’invocazione a san Nicola, protettore dei marinai, nel momento della tempesta che coglie Gui e la sua nave. Nella prosa la preghiera è stata portata al discorso indiretto:
GdA (P), vv. 2311-12
GdA (C), vv. 2291-2292
«Sains Nicholais, aidiés,
«Seint
car
[…] e rogaron a sant
aidiés!/ Vers Diu merci
nous aidiez!/ Vers Dieu
Nicolás que rogase a Dios
nos aplaidiés […]»
merci nous amplaidiez,
que les amansase quello
[…]»
bravos vientos
Nicholas,
EG, VII, p. 125
Si è parlato nell’Introduzione del paragone che Guillaume, all’interno del poema, istituisce tra sé stesso e Tantalo; la prosa lo mantiene, ma si dilunga sulla descrizione del personaggio, probabilmente con l’intento di fornire ai lettori spiegazioni ritenute necessarie per la comprensione del testo:
GdA (P), vv. 901-904
EG, III, p. 110-111
En tel torment est covoiteus/ K’en
En ty es su martirio, ca el que mucho ha
abondance est souffraiteus,/ Tout ausi
aquél es pobre, asý como Tántalus en el
comme Tantalus,/ Qui en infer soeffre
infierno. Tántalus fue escançiano e
mal us
çatiquero, e porque fazía falsamente su menester quando murió fue al infierno
63
Il DGE invece si discosta dalla tradizione: nell’opera Guillaume istituisce un paragone diretto con Giobbe, exemplum di eterna pazienza38: DGE, vv. 460-463
[…] Tres dous Peres puissant, Si voir com vous feistes le preudomme tempter, Que l’en apelle Job, par l’anemi d’enfer, Vueilliez moi pacïence si parfaite donner
La Chrónica, invece, poco interessata a disquisizioni di ordine morale, si limita a dedicare poche parole alla dissertazione contro la cupidigia, senza che Guillermo istituisca alcun paragone tra sé e un personaggio biblico o leggendario: Chrónica, cap. XI, p. 135
Y el rey, quando aquello vido, conosció que por voluntad de Dios era, porque avía pecado de codicia en tomar los sueldos.
Se nel passo riguardante Tantalo il prosatore aveva deciso di mantenere l’esempio inserendo però una spiegazione su di esso, per quanto riguarda il riferimento a Roland – il paladino di Carlo Magno – la scelta è differente. Ecco la descrizione di Gleolais nel GdA e nella EG:
GdA vv. 1054-1055
EG, IV, p. 112
Mais chevaliers estoit moult buens;/
[…] ante era buen cavallero e de grant
Onques miudres ne fu Rollans
nonbrada
Il riferimento all’eroe è contenuto in entrambi i testimoni del GdA ma non nella EG, per cui si potrebbe ipotizzare che il paragone sia stato ritenuto dal prosatore 38
Delle motivazioni che spinsero l’autore del DGE ad effettuare un paragone tra il re e Giobbe si è
già parlato: cfr. Introduzione, p. 12.
64
troppo obsoleto in relazione al proprio tempo ed egli abbia pertanto preferito modificare il passo utilizzando un’espressione del tutto differente ma comunque indicativa del prestigio di Gleolais. Al contrario, non viene meno il riferimento alla setta degli Assassini, la frangia di un movimento ismailita conosciuto in Europa a partire dal 1192 ed attivo fino al XIV secolo. Il protagonista viene scambiato per il capo di questa setta da un gruppo di mercanti cui egli si avvicina dopo la perdita della propria famiglia:
GdA, vv. 962-964
Cis est, je cuic, maistres de l’ordre/ Des omecides, des murdriers,/ Abes en est u ceneliers;
EG, III, p. 111
Ca éste es el maestre de la orden de los omezianos e de los ladrones e de los tenedores de carrera.
La situazione è differente nella Chrónica: nel periodo di composizione dell’opera è probabile che il riferimento non fosse più compreso o che fosse comunque ritenuto dal prosatore ormai antiquato; così nel passo corrispondente del testo leggiamo che i mercanti:
Chrónica, cap. XII, p. 138
[…] como lo vieron venir, pensando que era espía de ladrones
Facilmente si intuisce invece il motivo della sostituzione dell’aggettivo “franco”: la parola definiva inizialmente una persona appartenente al popolo omonimo, ma passò poi ad indicare un uomo di condizione libera e successivamente una persona di indole coraggiosa. L’aggettivo nella prosa viene dunque generalmente tradotto in un altro modo, per esempio: 65
GdA, v. 603
EG, II, p. 107
– Ha! Frans hom, fait li rois, merci
– Ay – dixo el rey – omne bueno
GdA, vv. 1317-1318
EG, IV, p. 115
Par se douçour, par se francise / A si
[…] por su mansedunbre e por su
l’amor de tous conquise
grandeza que de los ricos e de los pobres ovo sus coraçones a su voluntad.
5.6
Gli episodi Anche la modifica di parti consistenti della storia era attuata soprattutto con lo
scopo di ridurre le parti ritenute meno utili e importanti ai fini del corretto svolgimento della vicenda.
5.6.1 Il rapporto nature-nourriture Un esempio di quanto si è detto è costituito dalla discussione presente nel GdA sul rapporto tra nature e nourriture; il passo viene mantenuto dalla estoria seppur notevolmente abbreviato:
GdA, vv. 1346-1383
EG, V, pp. 115-116
[…] C’apris les ot et afaitiés/ Une nature
E esto les venía por derecha natura, que
qui tant vaut/ Que por noreture ne faut./
vençe criazón e jamás non falleçe, ca
Nature est tex c’onques ne fause./ Tous
natura es dulçe e amargosa; una es
jors porte avoec li se sause;/ Mais l’une
torvada, otra es llana; una es bieja, otra
est douce, l’autre amere,/ Li une est
es nueva; tal como natura es en el omne,
torble, l’autre clere,/ Li une est viés,
tal es el omne, e ésta es la çima, ca tan
l’autre novele;/ En l’une a girofle et
gran fuerça á la natura que ella faz el
66
canele/ Et cardemome et nois muscades,/
omne bueno o malo. E sy natura se
S’est de jus de pume grenate/ Et l’autre
pudiese canbiar, los niños que eran
est si mal atempree/ Qu’il n’i a ne cire ne
criados de dos villanos non podrían ser
miel;/ D’escamonie est et de fiel/ Et de
tan buenos, mas la buena natura donde
venin et de toscique./ Par nule raison de
venían los fazía ser tan buenos e tan bien
fisique/ Ne puet garir ne respasser/ Cui
enseñados e los fazía guardar de yerro,
nature le fait user./ Tex com li nature est
asý que non podían salir a la criança de
en l’ome,/ Tex est li hom, çou est la some./
los males; tanto eran de grant linaje.
Nature donc a si grant fais/ Qu’ele fet u buen u mauvais./ Se nature peüst cangier,/ Li enfant, qui sont el dangier/ As deus vilains qui les norissent,/ Tant en vilonie pourissent,/ Vilain fuissent, se noureture/ Se peüst combattre a nature;/ Mais nature a si boine orine,/ Si les aprent et endocrine/ Qu’il ne daignent mauvaisté faire/ Ne pueent as vilains retraire/ Por noreture qu’il en aient;/ A lor gentillece retraient,/ Si s’aficent par aus meïsmes;/ Par nature ont toutes les limes/ Dont il se levent et escurent.
Al prosatore interessa sicuramente sottolineare l’importanza della nobiltà di nascita dei due gemelli, ma ritiene superflua la metafora della salsa, che infatti sparisce sia nel passo appena riportato, sia, poche righe più avanti, nell’imprecazione contro i villani:
67
GdA (C), vv. 1476-1481
EG, V, p. 116
Eur s’est li vileins esprovez,/ Eur a
Agora se provó el villano por quál
sa nature provee/ Eur avez la
era; ora provó bien su natura.
sausse
feite
¡Maldita sea la lengua del villano,
d’escamonie./ Langue de vilein soit
maldito sea su coraçón, maldita sea
honie!/ Houniz soit ses cuers et sa
su boca!
trovee./
Qui
est
boiche!
Pur non essendo evidente la mancanza di una parte del testo all’interno della prosa, una collera così forte verso i villani risulta improvvisa e poco motivata, soprattutto se consideriamo che nella EG vengono generalmente a mancare anche gli altri passi del poema che esprimono giudizi negativi sulla borghesia; a tal proposito, si veda per esempio:
GdA (P), vv. 988-990
EG, III, p. 111
La a por serjant retenu/ Le roi uns
E el rey se asentó cabo de un burgés
borgois assasés/ Qui n’estoit pas jüere as dés.
5.6.2 La critica ai baroni Un altro episodio notevolmente ridotto è quello relativo alla misteriosa tempesta che trasporta la nave di Guillelme nella terra in cui regna sua moglie; nel poema i marinai paragonano la furia dei venti a quella dei baroni e si scagliano proprio contro di essi in una lunga dissertazione, del tutto assente nella prosa:
GdA, vv.2308-2332
EG, VII, p.125
En la nef sont a gran angoisse,/ Si
E los de la nave fueron en grant coita, e
reclaiment Diu et la crois,/ Tout escrïent
llamaron Dios e santa María, e rogaron a
a haute vois:/ «Sains Nicholais, aidiés,
sant Nicolás que rogase a Dios que les
68
aidiés!/ Vers Diu merci nos aplaidiés/
amansase aquellos bravos vientos que los
Qu’il ait de nos misericorde/ Et mece
asý guerreavan, que tan grant poder han
entre ces vens concorde,/ Qui por niënt se
en esta mar. Dixieron: “A ellos non faze
contraliënt;/ Il guerroient et nos ocïent./
mal su guerra, ante an ý sabor, mas
En ceste mer ont gran pooir/ Cist vent,
confóndennos, e por el su sabor seremos
bien le poons veoir;/ Signor en sont, bien
nós
I apert;/ Qui que lor descorde compert,/
conpraremos este sabor. ¡Ay, Dios, Señor,
Il n’i aront ja nul damage./ Nos mar
fazed folgar estos vientos que nos tienen en
veïmes lor outrage./ De çou dont il font
coita due muerte e fazed que non moramos
lor deduit/ Seromes nos mort et destruit?/
e poned nuestra nave en salvo e apagad la
Ausi font or cist vent lor guerre/ Comme
saña d’estos vientos sy vos ploguier, ca
font li signor de terre,/ Que de çou dont
asaz fezieron fasta agora su poder”.
destroídos,
e
asý
cativos
nós
il se deduisent/ Ardent les castiax et destruissent:/
Ausi
nos,
caitif,
comperrons/Les guerres de ces haus barons,/ As barons puet on comparer/ Les vens et le terre et le mer/ (i versi seguenti sono recati solo da C, vv. 2308-2320)
Que par aus est troublez li mondes/ Si com cil vans troublent cez ondes./ Ha! Diex! car faites apaier/ Ces vans qui nous font esmaier;/ Diex, ainçois que nous soiens mort,/ Conduisiez nostre nef a port,/ Et ce tormant nous abaissiez/ Et l’ire de ces vans plaissiez;/ Qu’asez ont des or mais vanté,/ S’il vous venoit a volanté.»
La EG riprende le ultime frasi (a partire da: – Ay, Dios) da C, tuttavia non si può stabilire con certezza la derivazione da un testimone piuttosto che dall’altro per via 69
del fatto che tutta la parte sui baroni, come si è visto, viene meno. Si è ormai capito che al prosatore interessa portare avanti il tema centrale della narrazione senza perdersi in discussioni di ordine politico e sociale; tuttavia, in questo caso specifico l’episodio potrebbe essere stato eliminato perché considerato sconveniente in relazione al contesto di destinazione dell’opera: abbiamo visto infatti39 che nel periodo del molinismo Sancho IV aveva cercato di costruire un sistema regalista aristocratico che integrasse il ceto nobiliare nel contesto cortese; è dunque probabile che una critica tanto esplicita rivolta ai rappresentanti di tale ceto potesse risultare pericolosa agli occhi del prosatore.
5.6.3 La borsa di bisanti La modifica maggiore che la EG apporta al suo modello riguarda uno degli episodi più significativi della vicenda, ovvero quello relativo alla borsa di cinque bisanti lasciata a Guillelme da uno dei rapitori di Graçiana: il fatto viene trattato in modi molto differenti nelle varie opere della tradizione. Inizialmente la EG concorda con il GdA e con il DGE nel collocare la perdita della borsa dopo la separazione di Guillaume dai figli (narrata nel cap. III), al contrario della Chrónica, in cui i due episodi sono invertiti. In seguito, però, il GdA ci racconta che la borsa ritorna a Guillaume nel momento in cui egli sta svelando ai figli la propria identità e raccontando le proprie sventure:
GdA, vv. 2805-2808
Et maintenant sont avenues Miracles: par devers les nues vint l’ausmosniere et li besant; Diex lor envia en present; 39
Cfr. cap. 1, § 2.
70
L’avvenimento si presenta dunque simbolicamente come la prova divina della veridicità delle affermazioni del re. Il simbolismo viene mantenuto all’interno della prosa Escorialense, ma modificato, situato in un nuovo contesto e con un nuovo valore: l’avvenimento è infatti narrato nel XII capitolo – ossia quasi al finale della storia – nel momento in cui il protagonista si trova insieme alla sua famiglia, al re di Catanassa, a Gloçelin e Frochel e ai figli del borghese nella grotta in cui la regina aveva partorito; qui Guillelme racconta le sventure subite e loda la misericordia di Dio che gli ha concesso di riavere tutto ciò che gli era stato sottratto. A questo punto, ecco cosa avviene:
EG, XII, p. 137
E él esto deziendo al rey de Catanassa e a su mugier e a sus fijos e a todos los otros que estavan ý con él, oyeron suso en el aire dar grandes bozes a dos águilas cabdales. E cataron contra do lo oían e vieron cómo travavan una con otra muy de rezio, e tan fieramente tramarono de sý que se abaxaron muy çerca de tierra bien sobre do ellos estavan. E al travar que fazían era sobre aquella bolsa mesma qu’el mercador diera al rey, que una águila traía, e cuidando que era de comer por la color que avía vermeja e la otra cuidando eso mesmo veniera por gela toller. E en travándose así una contra otra, quando se abaxaron cayó la bolsa ante los pies del rey. E el rey la tomó luego e conosçiola, e falló en ella los çinco marcos d’oro.
Poche righe dopo, il prosatore esplicita il valore simbolico di questo avvenimento definendolo, attraverso le parole dei personaggi, «uno de los miragles mayores del mundo.».
Ci troviamo così di fronte a due interrogativi: perché il prosatore ha spostato e modificato l’episodio della borsa inserendo le due aquile? Questi cambiamenti 71
possono essere ritenuti una prova del fatto che la EG non derivi direttamente dal GdA ma da un altro modello? DOUTREPONT (1969) pp. 497-502 spiega che i rimaneggiamenti del prosatore relativi agli episodi potevano essere dovuti a motivi differenti, tra cui per esempio l’utilizzo di più manoscritti che recavano varianti della storia o lo sviluppo da parte del prosatore di indicazioni suggerite dall’autore del modello o ancora una precisa volontà del prosatore di ampliare, precisare o più in generale modificare un passaggio della narrazione ritenuto importante ma non spiegato chiaramente nel modello. L’inserimento delle due aquile non trova alcun riscontro nel GdA e non potrebbe essere ricollegato nemmeno al DGE poiché in quest’opera l’episodio manca totalmente; è dunque possibile ipotizzare che la modifica sia da ascriversi ad un autonomo intervento del prosatore. Secondo MAULU (2009), p. 154 la ragione dello spostamento dell’episodio e della sua modifica è da ricercarsi in una precisa volontà del prosatore di rendere l’avvenimento più credibile agli occhi dello spettatore e in effetti la volontà di razionalizzazione è evidente per esempio nella descrizione del motivo che attira le aquile verso la borsa40. Considero inoltre la collocazione dell’episodio al finale della storia un fatto dovuto all’intenzione di presentare esplicitamente la restituzione dell’oggetto come una ricompensa divina per il pio comportamento del protagonista. Ricorderei a tal proposito che la EG, in quanto variante laica della vicenda eustachiana, aveva lo scopo di riadattare ad un contesto laico i valori difesi dalle agiografie insegnando all’uomo qualunque ad arrivare alla perfezione spirituale attraverso una rinuncia ai beni terreni simile a quella del santo ma rispetto ad essa temporanea: per questo la borsa può ritornare a Guillelme soltanto nel momento in cui egli saprà farne buon uso, ossia al termine del proprio percorso di espiazione. Quello che era stato il
40
Il gesto compiuto dall’aquila risultava infatti immotivato nel cap. III (p. 110), in cui si dice: Entonçe
se fue contra aquella parte e, do tendía la mano para tomarla, dexose correr una águila a él e tolliógela.
72
simbolo della cupidigia del re si trasforma dunque nella testimonianza della sua raggiunta purificazione interiore. Il tentativo di razionalizzazione dell’episodio è evidente soprattutto nella Chrónica. In essa infatti leggiamo:
Chrónica, cap. XI, p. 135
Y a la hora que los tomó (la borsa), se dexa venir una águila bolando pensando que era carne, y gelo arrebató y llevó, y delante dél, por encima de la mar lo desbarató, y vido caer los sueldos en la mar.
Non solo viene subito spiegato il motivo che attira l’aquila verso l’oggetto, ma il fatto che i soldi in essa contenuti vadano a finire in mare annulla implicitamente la possibilità di una restituzione futura della borsa: l’episodio infatti non è presente nell’opera così come non si trova nel DGE. Tuttavia, ecco cosa dice Frochel a Lobato nel momento in cui quest’ultimo sta per lasciare la casa in cui è cresciuto: Chrónica, cap. XVI, p. 149
– Toma, porque vayas como deves, mi cavallo, que es para más que el tuyo y toma cient sueldos de plata para el camino.
La quantità di denaro è uguale a quella contenuta nella borsa: BARANDA (1997), p. 149 legge in questa scelta l’intenzione del prosatore di mantenere almeno in parte il simbolismo relativo alla borsa presente in tutta la tradizione attraverso una «devolución indirecta» dei cient sueldos de plata.
73
Conclusioni Il confronto ecdotico tra la EG e i due testimoni del GdA di cui si parlerà in questo capitolo conclusivo avrà come oggetto i primi tre capitoli della prosa castigliana, corrispondenti ai vv. 1-1036 di P e 1-1042 di C. A partire dall’analisi delle lezioni discordanti presenti in P e in C, osserviamo dunque come si comporta il testo spagnolo per cercare di capire se sia possibile stabilire i rapporti intercorrenti tra esso e i due testimoni del poema.
1.
Gli errori Nei seguenti esempi possiamo osservare alcuni degli errori presenti nel poema e
riscontrabili soprattutto nel testimone C: si tratta di passi del testo sicuramente o perlomeno ipoteticamente corrotti e di lacune. Ecco il primo caso:
GdA (P), vv.104-107
GdA (C), vv.104-107
EG, I, p. 102
De
avision
De ceste avision redout/
[…] ca témome d’esta
Que d’aucun
Que d’aucun fantosme
visión
fantosme ne vegne/ Li
ne dut/ Li rois n’a
anteparança. E el rey,
rois n’a talent qu’il
talant qu’il refust
que ovo sabor de fazer
ceste
redout/
desdegne
que
fue
aquello que aquél le consejava
Nei versi sopra riportati il cappellano spiega a Guillelme le sue idee riguardo la provenienza della visione: la lezione più corretta è dunque quella attestata da P al v. 105 (vegne), mentre la lezione dut (il perfetto di devoir) del testimone C risulta priva di senso. Invece refust (P) e desdegne (C) del verso successivo sono da considerarsi varianti. La prosa tuttavia si distacca totalmente sia da P che da C e non permette così 74
di stabilire una netta concordanza con nessuno dei due testimoni. L’ipotesi più plausibile sembrerebbe dunque quella relativa all’utilizzo di un modello differente, ma non escluderei comunque la possibilità di un rapporto tra la estoria e C: il prosatore, infatti, potrebbe essersi trovato di fronte alla lezione dut e aver intuito l’errore decidendo conseguentemente di modificare il passo nella maniera da egli ritenuta più probabile. Più avanti, nel testimone C abbiamo un altro passaggio in cui è possibile ipotizzare la presenza di un errore:
GdA (P), vv.161-62
GdA (C), v 159-60
EG, I, p. 102
[…] Et Diex, quant li
Et saichiez li termes
E Dios a la çima vos lo
termes venra/ A cent
vandra/ Qu’a .c. doubles
dará çiento doblado.
doubles le vos rendra
lou vous randra
L’appello rivolto al pubblico e attestato solo da C, saichiez, potrebbe a buon diritto essere presente nel testo originale, tuttavia il soggetto della frase qu’a .c. doubles lou vos randra è indubbiamente Diex, che nel poema compare per la prima volta solo molto più indietro, al v. 143: occorre pertanto rinominare il soggetto per chiarire il senso della frase. Sembra così più corretta la lezione di P, che trova appoggio anche nella EG.
Sempre il testimone C presenta, alcuni versi più avanti, una serie di lacune. La prima altera irrimediabilmente la struttura della frase e non si riscontra nella prosa castigliana, che dunque anche in questo caso riprende la lezione di P.
75
GdA (P), vv. 255-62
Mais
grant
GdA (C), vv. 249-256
folie
folie
– mas mucho me
enpresissiés/ Quant vos
panssoiez/ Qui sans moi
maravillo cómo sin mi
aler en vosissiés/ Sans
aler vouloiez,/ San mon
consejo
mon los et sans mon seü/
los et sanz mon seü,/Fol
provar
Mauvais
pansser
estoviésedes
consel
avés
Mais
EG, I, p. 103
grant
avoiez
heü;/
eü./ Et saciés bien moult
(vv.mancanti)/Amprandr
m’esmervel,/ Quant vos
e osastes ne pansser/ Que
onques sans mon consel/
an essil deüssiez aler
lo
osastes
a
que con
el
exido
Enprendre osastes ne penser/
k’en
essil
deüssiés aler.
Alcuni versi più avanti abbiamo una lacuna molto più grossa della precedente:
GdA (P), vv. 322-335
GdA (C), vv. 316-329
EG, II, p.104
Einsi ariés vos, ce m’est vis/
Einsinc (vv. mancanti)/
E Asý vos mataríades a
Vostre enfant mort et vos et
ja mais ne me creez de
vuestro fijo e a vós e a mí, e
moi/ Par vos seriemes mort
rien.
por vós sola morreríamos
tot troi./ Por coi vos volés
todos tres. Por qué vos
vos ocirre?/ Mix vos vient de
queredes
lor et de mirre/ Encenser vos
valdría más que fincásedes
lis et vos cambres/ Et garder
en vuestra posada e en
a aise vos menbres,/ Et
vuestro
l’enfant
qui
tans
toviésedes a vós e a vuestro
naistra./
Faus
qui
fijo que agora nasçerá muy
s’ensegne naistra/ qui boin
viciosos. Fol es quien su
consel croire ne veut;/ c’est
consejo da a quien lo creer
a boin droit se il s’en deut/
non quier; sy se después mal
Qui ot consel s’il ne le croit/
fallar es derecho, mal va el
par est
matar?
lecho,
Mucho
e
que
76
Se jou ne vos conseille a
conçejo el que lo non creen.
droit/ Ja mais ne me creés de
E sy vos yo derecho non
rien.
consejo, non lo creades.
I vv. 322-334 di P mancano totalmente nel testimone C, che li sostituisce con i versi seguenti:
Bien est voirs que famme desire tout ce que l’an li contredit. Dame, se je vous ai maudit.41
Tuttavia nemmeno la lezione di P è interamente corretta, in quanto il verbo naistra al v. 330 toglie significato alla frase – ed è sicuramente dovuto ad un errore di ripetizione del copista, dato che la stessa parola è presente anche al v. 329 – e viene sostituito da WILMOTTE con lairra. La EG ancora una volta sembra seguire P abbastanza fedelmente e in essa la lezione errata naistra viene sostituita dal verbo da, che ben si adatta al resto della frase.
Osserviamo ancora:
GdA (P), vv.391- 397
GdA (C), vv. 389-395
EG, II, p. 105
A l’uis de la cambre s’en
A l’uis de la chambre
[…] e fueron a la porta
vienent/
le
s’an vienent,/ Ferme la
de la cámara e falláronla
truevent: coi se tienent/
treuvent, coi se tienent/
çerrada, e llamaron e
Une
Une
puxaron. E quando de
grant
Fremé
piece,
si
escoutent,/ Puis apelent a
41
grant
piece,
si
escoutent,/ Puis apellent
dentro
non
fabló
Cfr. BELLETTI (1991), p. 255.
77
l’uis et boutent./ Si ont
a l’uis et boutent/ (vv.
ninguno,
tant feru et bouté/ Quant
mancanti)/
Que lou
estudieron asý una pieça
grant
pelle et les gons peçoient
e ascucharon. E quando
piece
orent
calláronse
e
escouté/ Que le pesne et
entendieron que ninguno
le gons peçoient
ý non yazía, quebraron la puerta
L’ultimo verso, iniziante con que, risulta fondamentale per completare la proposizione introdotta da si ont tant ma quest’ultima non si riscontra in C. La EG risolve il passo in modo differente, per cui si potrebbe tuttalpiù ipotizzare che il prosatore, trovandosi di fronte alla lacuna attestata da C, abbia modificato il passo descrivendo una situazione che in quel contesto risulta in effetti probabile.
Nell’esempio che segue ci troviamo invece di fronte ad alcuni versi riportati solo da C e ritenuti da HOLDEN necessari per completare il senso della frase:
GdA (P) vv. 375-376
GdA (C) vv. 368-374
EG, I, p. 105
Car cui Diex espire et
Car cui Diex espire et
[…]
alume/ Del cuer li samble
alume/ Douleurs li samble
alunbra e lo en que mete su
souatume A tous ciax seroit
souatume/ Tout ce que a
spíritu toda cosa amarga
il amer/ Qui poi ont sens
çaus
terná por dulçe e toda
de Dieu amer.
n’antandent a Dieu amer/
seroit
amer/
Qui
ca
lo
que
Dios
lazeria terná por viçio.
Lor est molt bon et si leur siet;/
Commant
que
il
onques leur griet,/ Mont leur siet maus a andurer,/ Conbien qu’il leur doie durer.
78
L’assenza del passo nella EG non indica necessariamente una concordanza della prosa con P: bisogna infatti considerare che il passo potrebbe semplicemente essere stato ritenuto superfluo da parte del prosatore e dunque omesso.
Nell’esempio seguente i testimoni del GdA presentano due lezioni discordanti e la estoria in questo caso concorda con C:
GdA (P), vv. 414-416
Li
enfes,
por
GdA (C), vv. 414-416
EG, II, p. 105
lui
Li anfes por lui deporter/
e el moço por trebejar
deporter,/ Le cor en sa
Lou cor chieus sa mere an
tomó el cuerno e diolo a
maison
porta/
sua madre, e su madre lo
porta,/
Qu’il
moult longement le garda
Qui
molt
longuemant lou garda.
cató mucho
La lezione attestata da P, maison, potrebbe considerarsi corretta ma risulta meno sensata rispetto a quella di C, soprattutto per via del pronome relativo del verso successivo, qui, che, se riferito a mere, dà alla frase un significato più logico.
Anche nei versi seguenti ci troviamo di fronte a due lezioni discordanti, entrambe in apparenza prive di errori; tuttavia, la presenza di due versi aggiuntivi nel testimone C rende la lezione di quest’ultimo più corretta:
GdA (P), vv. 530-536
GdA (C), vv. 528-534
EG, II, p. 106
Si li en est grans pités
Si l’an est si granz pitiez
– Señor, esto non puede
prise./ Fait ele: “Que
prisse/ Que sa fein mont
ser. Agora ál buscad que
faire
D’autre
li aleja/ «Si n’iert, ce
me dedes a comer, ca par
mangier me soëles,/ Que
n’iert ne or ne ja»/ Feit
sant Pedro apóstol la mi
volés?/
79
ja, par Saint-Piere de
ele,«que
feire
Rome/ Que on a piet
D’autre
mengier
requiert a Rome/
Me
saoulez,/ Que ja, par
chars ne mangera le
seint Pere l’apostre,/ Me
vostre,/
char ne meingera
Foi
que
doi
sainte Patre Nostre.
volez?/ me
carne non comerá la vuestra.
la
vostre.
Ancora una volta la consecutiva introdotta da si acquisisce senso se seguita dalla proposizione relativa omessa da P: que sa fein mont li aleja. La EG gestisce il passaggio in modo differente ma si potrebbe ipotizzare una derivazione dal ramo attestato da C per via della rielaborazione del v. 530: si n’iert, ce n’iert ne or ne ja → esto non puede ser.
Osserviamo un’altra lacuna presente nel testimone P; i versi sono riportati da C e trovano un riscontro anche nella EG:
GdA (P), vv. 804-805
GdA (C), vv. 804-807
EG, II, p. 110
Li marceant s’eslaissent
Li marcheant s’eslaissent
E ellos, que deseavan
tuit;/ (vv.mancanti)/ Tant
tuit,/ Car molt desirrent
mucho
coururent qu’a l’enfant
a veoir/ Que li lous ot
llevava, llegáronse
vinrent.
laissié
cheoir/
ver
lo
que
Tant
courent que a l’enfant vindrent;
I versi seguenti, invece, sono assenti in C e non risultano fondamentali ai fini della comprensione del poema; tuttavia li segnalo in quanto sono riportati fedelmente dalla EG: 80
GdA (P), vv.849-52
EG, III, p. 110
Ha! Leus, que mar fuisses tu nés/
Ay lobo, en mal punto fuste nado!
Moult es or bien desjeünés/ de mon
Mucho te desviaste agora bien, que me
enfant que mangié as!/ Moult en es
comiste mi fijo; mucho te cresçió agora
plus fors et cras
porende tu fuerça, mucho eres agora porende más grueso.
La prosa riprende il passo da P quasi fedelmente ma fraintende il verbo desjeüner «nutrirsi» (presente al v. 850) e lo traduce erroneamente con desviaste, il cui significato è «cambiare direzione», modificando chiaramente il senso della frase.
Nei versi seguenti ci troviamo di fronte ad una lacuna di C:
GdA (P), vv. 868-873
GdA (C), vv. 865-871
Ne
Ne
kiet
en
[…] mas nunca por su
chaï
an
desperance,/ Ains aoure
desesperance,/
Eins
Dieu et grassie,/ Et
aoure Dieu et mercie/
desesperança
toutes
Et
lui
Entonçe aveno que le
(v.
nenbró de la bolsa
eures
male
EG, III, p. 110
l’en
molt
anvers
merchie/ De quanques
s’umelie/
il li mesavient;/ Tant
mancante)/ tant qu’en
qu’en la fin li resovient/
la fin li resovient/ De
De
l’ausmoniere
l’ausmoniere
marceant
au
mala
andança
en cayó.
au
marceant
La estoria non omette solo il verso mancante di C ma tutto il passaggio sopra riportato e narra direttamente il momento in cui il re si ricorda della borsa lasciata dal mercante; ancora una volta, dunque, la EG risolve il passaggio in modo differente rispetto ai due testimoni e di fronte a ciò potremmo ipotizzare che il prosatore si sia 81
trovato di fronte alla lacuna presente in C – o nel ramo attestato da C – anche se la concordanza col v. 868 di P (male desperance → mala andança) non è da sottovalutare e potrebbe costituire l’indizio di una contaminazione.
Nel prossimo esempio ci troviamo ancora una volta di fronte ad una lacuna del testimone C:
GdA (P), vv.879-80
GdA (C), vv. 877-878
EG, III, p. 110
Une aigle vint par
Une eigle vient par
[…] dexose correr un
grant merveille/ qui
grant mervoille/ (v.
águila a él e tolliógela
l’ausmoniere
mancante)
vit
vermelle.
In questo caso C è chiaramente in errore perché la rima viene a mancare: la frase qui l’ausmoniere vit vermelle non si riscontra neanche nella EG, la quale lascia così inspiegato il motivo per cui l’aquila è attratta dalla borsa; questo fatto potrebbe eventualmente essere considerato un’altra prova di derivazione della estoria da C in quanto successivamente, nel cap. XII – che, ricordiamo, narra situazioni non presenti nel poema42 – la prosa si preoccupa di spiegare l’attrazione dell’aquila verso la borsa, ma la motivazione riportata è differente:
EG, XII, p. 137
e do tendió la mano por tomarla dexose venir una águila a él porque cuidó que era carne.
42
Cfr. Cap. 3, § 5.6.3
82
Per concludere, esaminiamo un’altra lacuna di C:
GdA (P), vv.984-988
GdA (C), vv.990-993
Maintenant sont del port
Maintenant
dour
[…] e entraron en alta
meü/
par
port meü/ vv. 991-992
mar, e tanto andaron que
haute mer alé/ que port
mancanti. C riprende al
llegaron al puerto de
ont pris a sauveté/ Si
v. 993: si sont an leur
Galvoya
sont en Galvaide venu.
païs venu
S’ont
tant
sont
EG, III, p. 111
Anche in questa situazione la EG concorda con P e quest’ultimo sembra essere il testimone più corretto; in C, infatti, l’arrivo dei mercanti a Galvaide segue immediatamente il momento in cui essi lasciano lo scalo di partenza: il passaggio, pur non essendo necessariamente scorretto, appare troppo brusco e giustifica pertanto i due versi aggiuntivi di P.
2.
Le varianti Di seguito analizzerò alcune delle principali varianti presenti nei due testimoni
per stabilire a quale dei due la prosa si avvicina maggiormente.
2.1 Le varianti di C accolte dalla EG Riporto una serie di versi in cui la concordanza tra il testimone C e la EG sembra assolutamente chiara:
GdA (P), v. 25-26
GdA (C), vv. 25-26
EG, I, p. 101
Ne perdoit tant com il ëust/
Ne perdroit, tant com il
[…]
Santé et k’aler i peüst
ahust/
perdería maitines nin misa
qui
dire
et
que
jamás
non
83
chanter li saüst.
mientra
pudiese
aver
quien las dixiese.
GdA (P), v. 55
GdA (C), v.55
EG, I, p. 101
La roíne au siesme conchut
La reïne au sepme conçut
[…] e al sétimo aveno que la reina conçebió.
GdA (P), v.60-61
GdA (C), v. 61
EG, I, p. 101
Tant com ele fu si legiere/
Tant com ele fu si legiere/
E en quanto fue ligera
Que ses fruis trop ne li
Que li fais troup ne li
que su fexe no le podía
greva
greva
enpereçer
GdA (P), v. 80-81
GdA (C), v. 80-81
EG, I, p. 101
Et vit une si grant clarté/
Et vit une si grant
[…] e vio una tan grant
Que de luor tos s’esbleui
clarté/ Que dou veoir
claridat que de la ver fue
touz esbloÿ
todo espantado
GdA (P), vv.166-167
GdA (C), vv. 162-163
EG, I, p. 102
Li rois ot que cil li a dite/
Li rois ot que cil li a dite/
Quando el rey oyó lo que
D’une parole veritable
Buone
dezían, que era verdat e
veritable
parole
et
buen consejo
84
2.2 Le varianti di P accolte dalla EG
GdA (P), vv. 132
GdA (C), v. 130
EG, I, p. 102
Cil n’est tex que blasmer
Cil n’est teix que veer li
E el capellán non gelo
li ost
ost
quiso desdezir
GdA (P), vv. 225-227
GdA (C), vv. 221-223
EG, I, p. 103
Dame, fait il, por coi
Dame, feit il, por coi
e él, que la vio levantar,
levés?/ Par la foi que me
levez,/ par la foi que vous
preguntole qué quería
devés,/ Que volés faire?
me devez? – Por coi,
fazer. -
– Mais vos, coi?-
biaus sire? Et vos por
dixo ella
E vos qué? –
coi?
GdA (P), vv. 229-230
GdA, (C)
EG, I, p. 103
Por çou me lief k’aler i
vv. mancanti
– Yo – dixo él – querría
voel/ Si ferai çou que faire
ir a los maitines, asý
suel.
como solía
GdA (P), v. 643
GdA (C), v. 641
EG, II, p. 108
Quant vos encor m’osés
Quant vous ancor m’osez
Quando me vós osades
mentir
tantir
mentir
Nell’ultima lezione possiamo osservare che in apparenza il verbo tantir presente in C sembrerebbe un errore, tuttavia HOLDEN (1988), p. 73 segnala l’ipotesi di un’ellipsi dell’espressione tantir mot, che significava «faire entendre».
85
GdA (P), vv. 731-732
GdA (C), v.728-729
EG, II, p. 109
Sire, n’ai soing de vostre
Sire, n’ai soin de vostre
– Señor – dixo él – de
avoir,/ J’e n’ai cure de
avoir,/ n’ai mestier de
vuestro aver non he cura
vo presant
vostre presant
Il significato delle due espressioni è simile: avoir mestier voleva dire infatti «non avere bisogno», avoir cure significava «non preoccuparsi di» .
Infine segnalo due versi di P riportati fedelmente dalla EG: GdA (P), vv. 734-735
GdA (C), vv. 732-733
EG, II, p. 109
– Vassal, trop estes de
– Vassaus, trop iestes de
– Amigo – dixo el omne
grant cuer/ U trop sos u
fier ceur/ Ou trop fol ou
bueno – o vós sodes de
trop desdaigneus
trop orgueillieus
grant corasçón o sandío o desdeñoso
2.3 Varianti non riconducibili ad uno dei due testimoni Altrettanto spesso, di fronte a varianti dei due testimoni non troviamo un preciso riscontro nella prosa.
GdA (P), v.39
GdA (C), v. 39
EG, I, p. 101
La dame ama moult son
La dame rama son signor
E la reina amó su señor
signor
bien tanto o más.
GdA (P), vv.85-86
GdA (C), vv.85-86
EG, I, p. 101
Le te di jou, qu’il le te
Lou te di je qu’il lou te
“Rey,
mande/ Et de par moi le
mande/ Fei tost ce que il te
esterrar, que te lo mandan
te commande.
comande!
dezir”.
liévate
e
vete
86
GdA (P), 119-21
GdA (C), vv.119-20
EG, I, p. 102
De la merveille qu’il oï/
De la mervoillie que il ot/
[…] e signose por la
Saciés que moult s’en
se leva sus plus tost que il
maravilla que viera; e
esbahi/ Sus se leva plus
pot
lavantose lo más toste que
tost qu’il pot
pudo
GdA (P), vv.141-48
GdA (C), vv. 139
EG, I, p. 102
Se tierce fois vos en
Se tierce foiz vous an
[…] sy la terçera vest esto
semont/ Mais en despit
semont/ Mis an despit aiez
oyerdes, ruégovos que de
aiiés le mont/ Et vos
lou mont/ Et vos meïsmes
allý adelante despreçiedes
meïsme mesprisiés/ Dieu
despisiez;/ Dieu seul amez
el mundo e a vós mesmo, e
seul
Dieu
et Dieu prisiez/ Por Dieu
amad a Dios solamente.
proiiés/ Por Dieu aiiés
aiez tout en despit/ Et
Vuestro oro e vuestra plata
tot en despit/ Et departés
departez sanz nul respit/
e vuestras donas, todo sea
sans
Tout
Tout vostre or et tout
enpleado en pobres
vostre or, et toute vostre
vostre argent/ Feites bien a
argent/ Departés a la
la povre gent
amés
et
contredit/
povre gent/
La lezione di P, mais en despit aiiés → «avoir en despit», sembra più corretta dell’espressione mis en despit aiez → «avoir mis en despit» di C, anche perché la prima ritorna poco più avanti por dieu aiiés tot en despit. Nel punto corrispondente della prosa, troviamo invece semplicemente despreçiedes.
87
Osserviamo l’esempio seguente: GdA (P), vv. 213-214
Qu’il
se
coiement/
lieve Et
moult
vest
et
cauce isnelement.
GdA (C), vv. 209-210
EG, I, p. 103
Car il se leva meintenant/
El rey se erguió luego […].
Et
E bestiose e calçose, e non
chauce
et
veist
isnellemant.
muy ricamente.
Nei versi sopra riportati si riscontra una discordanza tra i testimoni relativamente all’avverbio presente al v. 213: coiement (P) → «doucement» meintenant (C) → «immediatamente» La lezione di C sembra la più corretta perché è più logico che Guillelme reagisca alla chiamata del Signore alzandosi “prontamente” piuttosto che “dolcemente”; la prosa non riporta nessuno dei due avverbi e dunque si discosta da entrambi i testimoni. Invece, l’avverbio isnelement del verso successivo ritorna sia in P che in C, ma non concorda con la lezione muy ricamente attestata dalla EG, la quale anche in questo caso si allontana radicalmente da entrambi: la presenza di questa espressione potrebbe essere dovuta ad una modifica volontaria del prosatore – volta a mettere in evidenza l’umiltà dell’abbigliamento del sovrano – ma anche all’utilizzo di un altro modello che in quel passo reca una lezione differente.
GdA (P), vv. 796-799
GdA (C), vv. 796-799
EG, II, p. 107
Fuiant vers un cemin
Fuiant par un chemin
E aveno que entonçe
s’adrece/
s’adrece/
pasavan
Par
u
Par
ou
por
ý
marceant trespassoient/
marcheant cheminoient/
mercadores; e quando
Tout maintenant que il
Tant que li marcheant
vieron
le voient/ Si l’escriïent
lou voient/ Si l’escrient et
llevava el niño corrieron
et si le huent
si lou huient
con él lançando palos e
el
lobo
que
piedras
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Nell’ esempio sopra riportato, le lezioni maintenant (P) e marcheant (C) sembrano entrambe corrette: tuttavia la presenza di marcheant nel testimone C potrebbe essere dovuta ad un errore di ripetizione causato dalla presenza della stessa parola nel verso precedente; in questo caso non è
possibile stabiliare una
concordanza della EG in quanto il passo corrispondente è riportato nella prosa in maniera molto differente.
Anche nel passo seguente la EG non concorda chiaramente con nessuno dei due testimoni:
GdA (P), vv. 824-826
GdA (C), vv. 826-828
EG, II, p. 110
Et dist que aussi cier
Et dit qu’autresin chier
[…] rogó a los otros que
l’ara,/ S’il vit et il veut
l’avra,/ S’il vit et il viaut
gelo dexasen criarlo ía, e
estre preus,/ con ses
estre preuz,/ com s’iert
que
cousins et ses neveus.
ses filz ou ses neveuz.
mucho.
gelo
gradesçería
La lezione cousin di P, in quanto accompagnata nella stessa frase da neveus, sembra più sensata rispetto a quella attestata da C, filz, ma non è possibile stabilire quale delle due sia la più corretta. La prosa si distacca da entrambi i testimoni e semplifica il passaggio.
Per concludere, segnalo una serie di versi riportati solo da C:
GdA, (C), vv. 913-922
Et si covoite si lou fruit qu’au nes li pant et si li fuit et por ce plus grant fein li toche
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que se l’eüst loin de la boiche et l’eive rest vers lui si male que s’il s’abaisse, elle s’avale, et la poume aprés lou rechace por ce que plus d’esnui li face; an ce tourmant touz dis sera, Que fein et soif touz temps avra.
Tali versi non risultano necessari ai fini della narrazione in quanto ripetono con altre parole la descrizione del supplizio di Tantalo, di cui si era parlato pochi versi prima; la loro assenza nella EG non è da ricondurre necessariamente ad una concordanza con il testimone P poiché potrebbe essere dovuta più semplicemente alla tendenza all’abbreviazione del prosatore, più volte riscontrata all’interno del testo.
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3.
Considerazioni finali Il confronto fin qui condotto tra il GdA e la EG mi permette di avanzare alcune
considerazioni in merito alla trasformazione del testo dal verso alla prosa e ai rapporti intercorrenti tra l’opera in questione e i due testimoni del poema. Lo studio degli elementi modificati dal prosatore ha messo senz’altro in evidenza i molteplici punti di contatto tra il GdA e la EG e ha permesso inoltre di riscontrare in essa la presenza di varie tecniche di rimaneggiamento proprie del processo di prosificazione di romanzi cavallereschi ed epopee. Pertanto, l’ipotesi di una derivazione diretta dal romanzo sussiste e non vi sono motivi concreti per supporre l’esistenza di una prosa francese intermedia tra il testo francese e quello spagnolo, peraltro mai ritrovata e oltretutto non facilmente collocabile nella Francia di fine XII-primi XIII secolo, un contesto in cui il fenomeno della mise en prose non aveva ancora prodotto i suoi maggiori frutti. Al contrario, la Spagna del tardo Medioevo aveva già conosciuto una vasta rielaborazione di materiali letterari in prosa a partire dall’epoca di Alfonso X: in questo periodo, infatti, la prosificazione di poemi epici e chansons de geste costituiva il presupposto essenziale per il loro inserimento all’interno delle grandi opere storiografiche volute dal Re Savio; proprio lo stesso procedimento guidò la realizzazione del manoscritto Escorialense, un codice miscellaneo che integra perfettamente testi di finzione in una cornice agiografica attraverso lo strumento essenziale della prosa, considerata il perfetto mezzo di diffusione della cultura e della verità. Se dunque è possibile affermare che la EG sia la diretta prosificazione del GdA, non altrettanto sicura è invece la sua derivazione da uno dei due testimoni del poema a noi noti; l’analisi – seppur parziale – di errori e varianti in essi presenti ha infatti mostrato risultati eterogenei: se da un lato è evidente una maggiore vicinanza della
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prosa a P dall’altro le derivazioni da C in relazione ad errori e varianti sono risultate comunque sufficientemente numerose. È vero inoltre che un buon numero di volte la EG si allontana dai due testimoni, a volte in maniera lieve, a volte rielaborando una lezione in modo molto differente rispetto ad essi: sicuramente ciò può essere dovuto all’opera di abbreviazione e di semplificazione del testo insita nel processo di prosificazione, ma d’altro lato credo sia d’obbligo sottolineare ancora una volta che non è possibile escludere un uso, da parte del prosatore, di modelli del poema a noi sconosciuti; inoltre non trascurerei neanche l’ipotesi di un utilizzo combinato di manoscritti appartenenti a famiglie differenti o ancora di un modello del poema già a sua volta contaminato. In conclusione, considerate le numerose concordanze della EG con P e con C credo sia possibile supporre che tra i modelli utilizzati dal prosatore fossero presenti manoscritti appartenenti alle famiglie dei due testimoni ma non escludo ovviamente che uno studio più approfondito e dettagliato sulla tradizione del Guillaume o la scoperta di nuovi testimoni del poema possa portare a nuove e più sicure conclusioni.
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