A.D. MDLXII
U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ
DI
M EDICINA
E
C HIRURGIA
___________________________
CORSO
DI
LAUREA
IN
L O GO PE D I A
IL COUNSELING LOGOPEDICO: LA NOSTRA ESPERIENZA
Relatore: PROF. FRANCESCO MELONI
Correlatori: DOTT.SSA SOFIA PINNA DOTT.SSA VALENTINA PINNA
Tesi di Laurea di: FEDERICA B IDDAU
ANNO ACCADEMICO 2010/2011
A mio fratello
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L'incapacità dell'uomo di comunicare è il risultato della sua incapacità di ascoltare davvero ciò che viene detto" Carl Rogers (psicologo statunitense)
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Sommario Introduzione............................................................................................................ 5 1 - Il Counseling ..................................................................................................... 8 1.1 - La storia del Counseling ........................................................................................8 1.1.1. - Counseling e approccio umanistico ............................................................................ 8 1.1.2. - Counseling e approccio Cognitivo Comportamentale .............................................. 10 1.1.3. - Counseling e Analisi Transazionale.......................................................................... 12 1.1.4. - Counseling e Teoria dell’attaccamento. .................................................................... 15 1.1.5. - Counseling e Programmazione Neurolinguistica (PNL). .......................................... 17 1.1.6. - Counseling e Gestalt ................................................................................................. 19 1.1.7. - Counseling e modello sistemico relazionale ............................................................. 20 1.1.8. - L’integrazione dei modelli ........................................................................................ 23
1.2. - Colloquio, Counseling e Psicoterapia. ...............................................................24
2 - Ambiti di applicazione del counseling ............................................................ 28 2.1. - Counseling Professionale ...................................................................................28 2.2. - Il Counseling in Ambito Sanitario .....................................................................31 2.3. - Il Counseling Logopedico ...................................................................................32 2.3.1. - Il Counseling informativo ......................................................................................... 34 2.3.2. - Il counseling di risoluzione ....................................................................................... 35 2.3.3. - Il Counseling di crisi ................................................................................................. 36 2.3.4. - Il Counseling decisionale .......................................................................................... 37
3 - La gestione della relazione di aiuto e le competenze di counseling .............. 39 3.1. - Counseling e conversazione speciale..................................................................39 3.2. - Il counseling come gestione delle emozioni .......................................................41 3.3. - L’ascolto alla base del Counseling .....................................................................42 3.3.1. - Ascolto Attivo. .......................................................................................................... 43 3.3.2. - La comunicazione non verbale ................................................................................. 44 3.3.3. - Il Primo Incontro ....................................................................................................... 54 3.3.4. - Comportamenti di facilitazione del Counseling ........................................................ 56 3.3.5. - Qualità del Counselor ............................................................................................... 57
4 - La mia esperienza ............................................................................................ 59 Conclusioni. .......................................................................................................... 70 Appendice. ............................................................................................................. 72 BIBLIOGRAFIA ................................................................................................ 767
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Introduzione L’Evidence-based Medicine (EBM) è un approccio clinico fondato sulla valutazione e sul buon utilizzo delle informazioni che provengono dalla ricerca. “L’Evidence-based medicine è l’uso coscienzioso, esplicito e giudizioso della migliore evidenza disponibile nel prendere decisioni riguardo la cura del singolo paziente.” (David Sackett). Si fonda sul principio della valutazione dei migliori risultati della ricerca disponibili in quel preciso momento di ricerca scientifica. In pratica ciò significa che ciò che interessa specificatamente la EBM non è semplicemente ciò che deriva da ricerche, bensì prevalentemente da Studi clinici (Clinical Trials) controllati e linee-guida di pratica clinica; dati quindi ottenuti mediante una valutazione critica degli studi esistenti.1 I Fattori comunemente indicati a spiegare il successo e la diffusione della EBM sono: −
la crescente difficoltà nell’accesso e nella valutazione
dell’informazione biomedica (ogni anno sono pubblicati centinaia di migliaia di nuovi articoli scientifici); −
la crescente complessità delle organizzazioni sanitarie, che
spesso si traduce in una maggiore difficoltà a trasferire nella pratica i risultati della ricerca; −
l’aumento dei costi sanitari, che imporrebbe una maggiore
attenzione nei confronti delle prestazioni che si dimostrano realmente appropriate ed efficaci; −
l’introduzione delle tecnologie informatiche nel campo della
ricerca delle informazioni scientifiche, (si pensi alle banche di elettroniche, come medline) e lo sviluppo di internet.
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Insieme all’evoluzione dell’approccio medico si è evoluto anche il concetto di cliente che si è gradualmente sostituito a quello di paziente. Infatti, il paziente diviene cliente, allo stesso tempo committente e consumatore di prestazioni. Egli ha il diritto di essere informato, coinvolto nei processi diagnostici e terapeutici, rispettato nella sua diversità ed unità (considerandone i peculiari bisogni biologici, psicologici e sociali), assistito nella promozione dei suoi stati di salute e di benessere. Il cliente diviene parte integrante del sistema, recuperando una posizione di simmetria (complementarietà flessibile) rispetto al medico ed agli operatori sanitari in genere che non sono o non dovrebbero essere più, costantemente “oneup” rispetto a lui. Con il “consenso informato”, inoltre, la decisionalità del cliente diviene consapevole e paritaria: egli ha il diritto di scegliere liberamente sulla prioria persona. La corretta informazione ne è il presupposto essenziale.2 In questo senso il counseling rappresenta uno strumento di facilitazione per il raggiungimento dell’obiettivo, qualificandosi, inoltre, come lo strumento “umanizzante” per eccellenza, poiché considera l’individuo (il cliente) non più come la risultante di una serie di funzioni, ma come un’unità biologica, psicologica e sociale.3 Il counseling facilita la comunicazione e la relazione tra professionista della
salute
e
cliente
del
quale
vengono
promosse
la
conoscenza,
l’autodeterminazione, l’autostima, le capacità decisionali È uno strumento indispensabile per logopedisti che, occupandosi di fisiopatologia della comunicazione umana, debbono possedere le abilità necessarie per gestire in maniera ottimale, la comunicazione e la relazione con i loro clienti.4 Date queste premesse, con lo scopo di evidenziarne l’importanza, ci si è posto il problema di quanto fosse effettivamente efficace il counseling
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nell’ambulatorio di Deglutologia e Logopedia della Clinica ORL della AOU di Sassari. Per fare questo, abbiamo costruito un questionario contenente domande riguardanti l’efficacia dell’informazione e la qualità del rapporto, percepite dai genitori di un campione di bambini che si sono recati nel nostro ambulatorio nel 2011. Ai fini di fornire una globale visione del counseling ho ritenuto opportuno dedicare il primo capitolo ai vari approcci e metodi di counseling, teorie indispensabili per la sua comprensione, e alle principali differenze con la psicoterapia. Nel secondo capitolo sono stati approfonditi i temi del counseling professionale, non ancora riconosciuto ufficialmente in Italia, del counseling sanitario, strumento che nasce per facilitare soprattutto i processi comunicativi difficili, e infine, il counseling logopedico e le se principali tipologie, in particolare, informativo, di crisi, decisionale, di risoluzione. Il terzo capitolo tratta invece dei metodi di conduzione di counseling, sottolineando l’importanza dell’ascolto attivo e della comunicazione non verbale, dei comportamenti che deve adottare il logopedista per favorire l’instaurarsi di un’alleanza terapeutica, come per esempio l’empatia e il coping emotivo, e delle qualità che deve possedere, siano esse innate o apprese, quali la competenza intenzionale, la comprensione, l’autorevolezza, l’alleanza, la competenza comunicativa Nel quarto capitolo mi dedico all’esposizione del lavoro svolto illustrando il questionario elaborato e, il significato delle domande che lo compongono; infine, ne analizzo i risultati.
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1 - Il Counseling Il counseling è un’attività che prevede l’instaurarsi di una relazione di aiuto di tipo professionale tra almeno due figure, ossia un professionista e una persona in difficoltà. Si tratta di un intervento volto a guidare il cliente/paziente verso una condizione di benessere psicofisico, puntando sulle sue qualità e sui suoi punti di forza.
1.1 - La storia del Counseling Il counseling si è evoluto e trasformato nei decenni fino ad arrivare ai giorni nostri. Con il termine Counseling si possono intendere svariate attività di orientamento socio-psicologico. Negli Stati Uniti, esso si trova fin dai primi anni del '900, quando il termine fu usato per definire attività di orientamento professionale rivolta ai soldati che rientravano dalla guerra e che richiedevano una ricollocazione professionale. Il counseling è quindi una relazione d’aiuto multiforme per individui, gruppi, famiglie e collettività con finalità e applicazioni diverse: compresi quelli della prevenzione e dell’emergenza sociale. Si sviluppa come trattamento di prevenzione del disagio mentale centrato sulla salute e sull’idea fondamentale che ogni persona abbia gli strumenti dentro di sé per superare e affrontare le avversità della vita, sviluppare le proprie potenzialità e aumentare la consapevolezza di sé e delle proprie scelte. 5 Il counselor fa riferimento, nel suo agire, ad assunti di base e a una o più teorie formali che si concretizzano in strategie per gestire la relazione.
1.1.1. - Counseling e approccio umanistico L’approccio umanistico si sviluppa dagli anni ’60 e si rifà prevalentemente agli indirizzi filosofici dell’umanesimo e dell’esistenzialismo. Il principale rappresentante è Carl Rogers psicoterapeuta americano (1902-1987).
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Tale approccio pone il cliente al centro del processo, ridandogli fiducia in se stesso, insegnandogli a riconoscere e usare con responsabilità la sua libertà.6 Il cliente è considerato nella sua totalità: l’individuo ha un innato bisogno di crescita e possiede innate capacità per farlo e per autorealizzare il proprio potenziale. La psicologia umanistica aspira all’armonizzazione di corpo, spirito e anima. È una psicologia della salute che si focalizza sulla crescita della persona, invece di guardare soltanto i lati negativi, la malattia e il sintomo: ogni forma positiva di esperienza di se stessi è anche terapia. Il counselor deve “saper essere” piuttosto che “saper fare” e per tale ragione deve essere dotato di maturità psicoaffettiva. Compito del counselor è facilitare il cliente nella ricerca delle proprie capacità e risorse attraverso l’autoconsapevolezza, l’apprendimento e la migliore conoscenza di se e del mondo, abbattendo le barriere che ne hanno contrastata l’autorealizzazione e che l’hanno spinto fin dall’età infantile a contare sugli altri. Il counselor deve possedere alcune qualità: − accettazione: capacità di accettare i sentimenti del cliente nella sua interezza senza valutare, investigare, giudicare o interpretare i contenuti e le problematiche da questi espresse. Il counselor si serve della tecnica dell’ascolto attivo per percepire i sentimenti del cliente; − comprensione empatica: l’empatia è la capacità di identificarsi con gli stati d’animo del paziente riuscendo così a comprenderne il mondo e a sentirne le sensazioni, le emozioni e i bisogni, in modo tale che il terapeuta provi in prima persona i sentimenti vissuti dal paziente, restando, tuttavia, una persona distinta e autonoma e pertanto capace di condurre il processo in atto; − congruenza: la sua comunicazione non mostra contraddizione tra i piani di contenuto verbale e non verbale. Il counselor sa ascoltare il cliente ma, è anche consapevole dei propri sentimenti riguardo quella determinata situazione, non assume ruoli predefiniti, non recita e non nega la propria personalità ma, la esprime liberamente.
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Sono questi i presupposti per una comunicazione chiara ed efficace. Il counseling ad approccio umanistico è un intervento finalizzato a migliorare il benessere individuale e la qualità della vita, ad attivare e potenziare le proprie risorse intrinseche, attraverso l’esplorazione e la comprensione di se stessi, per raggiungere l’autonomia; aiuta anche a fronteggiare, risolvere e superare le situazioni di crisi, dopo averne maturata piena consapevolezza.7
1.1.2. Counseling Comportamentale
e
approccio
Cognitivo
Il Counseling di orientamento cognitivo - comportamentale è basato su tecniche centrate, non sulla persona, ma sulle sue funzioni: se esteriormente è molto
pragmatico,
più
profondamente
si
può
appoggiare
al valore
dell'utilitarismo.8 L'orientamento psicologico di stampo Cognitivo - comportamentale ha origini abbastanza recenti, ma presenta radici portanti solide e antiche; ovvero Cognitivismo e Comportamentismo. Esso si fonda sulla Teoria Cognitivista, secondo la quale alla base del disturbo psicologico vi sono distorsioni ed errori di pensiero (psico-cognitivi), i quali generano convinzioni errate e surreali, e con il tempo, veri e propri "schemi mentali" che portano a un circolo vizioso autoalimentato. Infatti, il cognitivismo studia, non il comportamento dell’uomo in quanto tale, ma ciò che è prodotto dalla sua mente. L’individuo trasforma il mondo attraverso la creazione di significati: si costruisce una “mappa” attraverso processi mentali nascosti che serve per comporre la realtà sulle teorie del mondo alle quali aderisce. Alla base di un disturbo emotivo c’è pertanto un disordine del pensiero. Il terapista cognitivo è poco interessato alla storia e alle emozioni del cliente: si interessa, piuttosto, dei significati che l’individuo attribuisce a un evento attuale. Altro asse portante e fondante è la Teoria Comportamentista, che si rifà principalmente agli studi di Pavlov, Skinner, Watson, secondo la quale i disagi
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psichici sono connessi agli atteggiamenti della persona. Il comportamentismo sostiene che qualsiasi comportamento è appreso, secondo procedure di condizionamento semplice o operante, ed è condizionato da stimoli ambientali. Nella pratica logopedica l’approccio comportamentista può essere molto attraente per trattare i comportamenti devianti che si incontrano. Infatti, fa uso di tecniche concrete e i suoi principi sono facili da apprendere. Non viene però dato spazio alla relazione logopedista/cliente: vengono modificati i comportamenti superficiali ma non ci si occupa né di autostima né dell’espressione dei sentimenti.9 L'approccio Cognitivo - Comportamentale rappresenta allora l'integrazione tra cognitivismo e comportamentismo, ed in sintesi cerca di esaminare, aiutare e ristabilire i processi psico-cognitivi e i comportamenti disfunzionali e disadattivi alla base della psicopatologia.
Esso chiaramente non trascura l'ulteriore parte emotiva dell'individuo, agevolando, infatti, il riconoscimento, la rimodulazione ed il controllo delle proprie emozioni, divenute eccessivamente intense e/o durature. Ulteriori possibili obbiettivi sono: − la riduzione, fino alla scomparsa, del comportamento di evitamento delle situazioni (e quindi dei comportamenti) che provocano disagio interiore; − la ristrutturazione di pensieri e di credenze disfunzionali (Cognitive Refreming); − l'agevolazione e l'incentivazione delle personali capacità di far fronte alle problematiche (Coping). Vi è un complesso ed articolato rapporto tra pensieri, emozioni ed atteggiamenti dove una distorsione, un blocco e/o una interpretazione errata di uno di essi provoca, in modo direttamente proporzionale, scompenso anche negli altri
ed
il
tutto
fa
da
base
dell'umore, paura, fissazioni, impulsi, sonno alimentari, somatizzazione e
così
via.
ad ansia, stress, disturbato,
Secondo
l’approccio
oscillazione problemi cognitivo-
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comportamentale non è una certa situazione ed esperienza che provoca tali reazioni e problematiche psicologiche ma, piuttosto, l'interpretazione cognitiva che la persona produce su di esse e i comportamenti negativamente rinforzanti, che mette in atto in seguito, il tutto nel qui ed ora. Il counselor, secondo l’approccio cognitivo comportamentale, ha il compito di stimolare la valutazione approfondita da parte dell’utente riguardo ai relativi vantaggi e svantaggi di ogni sua scelta o decisione, senza orientarlo verso una scelta piuttosto che l’altra, credendo di sapere ciò che è meglio per lui. Deve limitarsi a rendere il cliente consapevole delle conseguenze delle sue scelte e fornire e valutare tutti i particolari necessari per permettergli di sviluppare una decisione informata e consapevole. Sarà l’utente a decidere se gli svantaggi superano o no i vantaggi di una data strategia relazionale o di una particolare scelta di vita. Il counselor in nessun modo cercherà di sostituirsi nelle decisioni del cliente ma, al contrario, condividerà la convinzione che il cliente abbia i mezzi per trovare la via d'uscita, responsabilizzerà l'individuo nelle sue scelte, facendo emergere le risorse esterne e interne e la voglia di tentare nuove strade, promuovendo così nuovi successi e il recupero dell'autostima, attivando un circolo virtuoso.10
1.1.3. - Counseling e Analisi Transazionale L’analisi transazionale è un modello psicologico messo a punto dallo psichiatra e psicoterapeuta statunitense Eric Berne negli anni compresi tra il 1956 e il 1970 e sviluppato in seguito da diversi altri autori. E’ un approccio psicologico che promuove direttamente la crescita dell’individuo attraverso un processo di cambiamento dinamico e coinvolgente. L’analisi transazionale è anche una teoria della comunicazione interpersonale e, di conseguenza, può essere utilizzata efficacemente nell’analisi delle relazioni interpersonali e nelle situazioni di tipo organizzativo e formativo. L’analisi transazionale parte dal presupposto che ogni persona possiede una propria potenzialità (spesso inespressa) e un genuino desiderio di crescita.
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"La filosofia globale dell’Analisi Transazionale inizia con il presupposto che tutti sono OK". "Ciò significa che ognuno di noi, a prescindere dal nostro stile di comportamento, ha un nucleo di fondo che è degno di essere amato, e che ha la potenzialità e il desiderio di crescita e di autorealizzazione." (Stan Woolams e Michael Brown, 1990) Secondo l’analisi transazionale ogni individuo: •
è dotato di valore e di dignità come persona (ognuno è OK);
•
decide il proprio destino e queste decisioni possono essere cambiate;
•
è
responsabile
dei
propri
sentimenti,
pensieri
e
comportamenti. Il modello dell’A.T. consente di ipotizzare la presenza di un dialogo interno in un soggetto tramite il dialogo esterno transazionale. Dai messaggi verbali e non verbali delle transazioni (dialogo esterno), è possibile ipotizzare l’esistenza di "strutture mentali" dell’Io (gli stati dell’Io) coinvolte nel processo relazionale. L’io ha una struttura tripartita secondo il modello GAB- genitore, adulto, bambino. Tale struttura è espressione della personalità dell’individuo che si è organizzata evolutivamente in tre piani: •
stato dell’Io adulto, neopsichico, deputato all’analisi del qui ed ora;
•
stato
dell’Io
genitore,
etero
psichico,
responsabile di
risposte
comportamentali influenzate da modelli introiettati da figure genitoriali; •
stato dell’Io bambino, archeopsichico, responsabile di risposte che ritualizzano esperienze infantili.11 Di fatto, l’analisi transazionale permette di: − -capire meglio se stessi e gli altri; − -sviluppare il senso di responsabilità; − -essere più autonomi, con più iniziativa e spirito decisionale; − -riconoscere il proprio valore personale e affermarsi di fronte alle difficoltà.
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L’AT ha a che fare sia con gli elementi interni dell’individuo sia con l’esterno del sistema familiare. L’analisi transazionale dà notevole rilevanza agli aspetti relazionali e legati al processo di comunicazione (soprattutto per quanto concerne gli elementi "non verbali"). Le forme privilegiate in cui queste transazioni (scambi di messaggi tra due individui) sono: a)
la comunicazione, in cui si prendono in esame gli strumenti che ciascuno adotta per influenzare l’altro e per rafforzare il proprio messaggio;
b)
i giochi, in cui vengono messi in atto i ruoli dinamici del persecutore, del salvatore e della vittima, secondo schemi che compongono il tempo e qualificano i rapporti;
c)
le emozioni, (rabbia, gelosia, paura, tristezza, gioia…) che sono analizzate per cogliere lo sfondo emotivo della persona;
d)
il copione, in cui si prendono in esame i progetti di vita decisi nella prima infanzia sotto l’influsso delle figure genitoriali, per verificare l’influenza che hanno avuto nelle scelte effettivamente prese dall’individuo. Il copione, elaborato in età infantile, corrisponde al sistema di riferimento in cui i fattori culturali appresi si innestano su modalità di comportamento geneticamente determinate.
Nel processo di counseling a orientamento analitico transazionale, lo psicologo e il cliente condividono entrambi la responsabilità del processo di cambiamento. Il cliente stabilisce l'obiettivo che vuole conseguire e che cosa è disposto a fare per raggiungerlo.12 Nell’attività di counseling, secondo l’AT il counselor dovrà evitare di assumere determinati ruoli, come per esempio quello di detective, giudice, sergente istruttore, profeta, guru ecc (Gazda “sviluppo delle relazioni umane” IFREP, Roma, 1990) nel proprio stile di comunicazione perché ritenuti inefficaci e svalutanti nella relazione d’aiuto.
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1.1.4. - Counseling e Teoria dell’attaccamento. La “Teoria dell’attaccamento” è il prodotto delle ricerche compiute da uno dei più importanti psicanalisti del ventesimo secolo, Bowlby, sul rapporto adultobambino (in particolare madre-bambino). Per Bowlby, il conseguimento del piacere nel bambino avviene attraverso protezione, cura, affetto, e non attraverso una scarica pulsionale, come diceva Freud. Egli, inoltre, contrasta la teoria freudiana secondo la quale il legame madre-bambino si basa solo sulla necessità di nutrimento del piccolo, ritiene infatti che il legame che unisce il bambino alla madre non sia una conseguenza del soddisfacimento del bisogno di nutrizione, bensì un bisogno primario, geneticamente determinato, la cui funzione è garantire la crescita e la sopravvivenza biologica e psicologica del bambino. La tendenza all’attaccamento è geneticamente programmata e si esprime, al massimo, nella primissima infanzia (nell’arco dei primi tre anni di vita), quando maggiore è la vulnerabilità ai pericoli e minori le risorse per fronteggiarli. Da un punto di vista evoluzionistico quindi, l’attaccamento del cucciolo d’uomo alle figure genitoriali è funzionale alla sopravvivenza della specie. Un attaccamento sano si costituisce grazie alla capacità di risposta dei genitori ai bisogni del bambino e, si struttura nei primi mesi di vita attorno ad un’unica figura: l’agente primario di cure (solitamente la madre, ma potrebbe essere ugualmente il padre nel caso fosse lui il principale caregiver).La qualità dell’attaccamento dipende dall’esperienza interazionale tra bambino e genitori, dalla loro sensibilità e disponibilità. Dalla sicurezza o meno del legame con le figure d’accudimento e dall’interiorizzazione degli stati d’animo suscitati nell’ambito di questa relazione primaria, nel bambino si formano dei “modelli operativi interni”, una sorta di struttura di riferimento che gli servirà per conoscere la realtà e interpretarla, relazionarsi con gli altri con uno stile proprio, rappresentare se stesso e gli altri, in età adulta. La teoria dell’attaccamento ci consente, infatti, di comprendere meglio alcune dinamiche di coppia: i modi con cui ci leghiamo affettivamente in una relazione intima in età adulta riflettono le nostre primarie esperienze di attaccamento.13
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Attaccamento sicuro: sono amabile e sono amato. Il bambino è capace di stare solo ed è amato per quello che è; la madre è ottimista, tollerante, attenta alla comunicazione e ai contatti fisici, autonoma. L’adulto avrà uno stile di relazione assertivo, uno stile di conoscenza esplorativo e accettante, sperimenterà gioia e soddisfazione e sarà tollerante alle frustrazioni.
Attaccamento insicuro-evitante: il bambino non manifesta angoscia per l’allontanamento della madre, ma la ignora al ritorno dalla separazione provando rabbia per la sua inaffidabilità. La madre è poco attenta alla comunicazione, rifugge i contatti fisici, è poco competente emotivamente. L’adulto avrà un’esagerata fiducia in se stesso, sarà incapace di chiedere aiuto e di impegnarsi emotivamente, poiché avrà paura di essere abbandonato.
Attaccamento insicuro ambivalente: il bambino manifesta angoscia per l’allontanamento della madre, ma non sembra confortato dal suo ritorno: a volte ne cerca il contatto, altre manifesta rabbia; diviene indipendente dall’angoscia, cerca protezione, si iperadatta. La madre è preoccupata, intrusiva, ipercontrollante, imprevedibile, incostante. L’adulto avrà uno stile di relazione caratterizzato del bisogno di sicurezza e di dipendenza, uno stile cognitivo appreso di evitamento.
Attaccamento
disorientato:
i
bambini
mostrano
comportamenti
contradditori al pari di quelli, talvolta aggressivi della madre. Vivono uno stato di rabbia secondario al paradosso di dover cercare protezione e sicurezza, in chi esercita violenza e aggressività. L’adulto avrà uno stile di relazione improntato a rabbia, inibizione, impulsività, uno stile cognitivo appreso improntato all’ostilità.
Il counselor diviene per il cliente, nello spazio temporale del bisogno, la figura di attaccamento temporanea e, svolge una funzione di accadimento nei confronti della sofferenza e del disagio, che derivano dallo stato di malattia o di handicap; aiuta il cliente a identificare il proprio modello operativo e a integrarlo
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e modificarlo, eventualmente, in funzione di nuovi dati di realtà, attraverso un processo di apprendimento e di trasformazione. 14
1.1.5. - Counseling e Programmazione Neurolinguistica (PNL). La Programmazione Neuro Linguistica, o PNL, costituisce uno dei modelli di interpretazione e di studio delle potenzialità umane. Tramite l’analisi dei processi inconsci alla base di pensieri, emozioni e comportamenti umani, essa è finalizzata a potenziare le risorse di ciascun individuo. La PNL nasce agli inizi degli anni ’70 dalla collaborazione di due studiosi: John Grinder e Richard Bandler, i quali, analizzando i metodi di indagine e di cura di tre dei più affermati terapisti di quell’epoca (Fritz Perls, ideatore della Gestalt
Terapia, Virginia
Satir,
eccellente
nel
campo
della terapia
familiare e Milton Erickson,ipnoterapeuta di fama mondiale), notano come, nonostante i tre terapisti in questione avessero temperamenti molto differenti, in ambito terapeutico essi utilizzavano modelli di analisi e cura sorprendentemente simili. Dalla codificazione di tali strategie trae origine la PNL. “Ogni essere umano possiede capacità straordinarie e illimitate, ma molti non lo sanno e si accontentano di vivere una vita ben al di sotto delle proprie potenzialità. Condizionarsi mentalmente per raggiungere grandi traguardi è possibile: la nostra mente è una potente risorsa che - utilizzata pienamente - è la chiave del successo a 360° ”. (Anthony Robbins) La denominazione PNL trae origine da tre concetti: • Programmazione: esprime il concetto secondo cui è possibile pianificare e organizzazione azioni e idee per il perseguimento dei propri obiettivi; • Neuro: attiene a tutto ciò che riguarda i nostri processi neurologici, come l’uso dei cinque sensi per il reperimento delle informazioni sul mondo circostante; • Linguistica: attiene allo studio dei processi di comunicazione e di utilizzazione del linguaggio (anche non verbale).
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La Neurolinguistica stabilisce dunque i rapporti tra i processi neurali e le modificazioni del linguaggio. Si basa principalmente su tre presupposti:
Seguire il “modello” di persone che hanno raggiunto il successo prima di noi, consente di raggiungere gli stessi risultati in minor tempo. Chi ha raggiunto grandi risultati nella vita, infatti, ha spesso compiuto degli errori ed ha speso del tempo per arrivare a conclusioni o azioni che hanno generato il successo. Perché attendere, quando si ha la possibilità di applicare tecniche specifiche ed efficaci già sperimentate da altri prima di noi?
Non esistono fallimenti, ma solo risultati: fallimento, errore sono solo nomi che attribuiamo alle situazioni. Quando utilizziamo queste esperienze come opportunità per imparare e per reperire il maggior numero possibile di informazioni, accresciamo le nostre possibilità di successo nel nostro futuro.
“La mappa non è il territorio”: ogni individuo vive una propria realtà, costruita attraverso l’uso personale che fa dei propri sensi, della propria cultura personale, dei propri interessi ed esperienze passate. Ognuno di noi ha quindi delle specifiche impressioni soggettive su ciò che lo circonda, che non coincidono necessariamente con quelle altrui, che sono date da una serie di vincoli: i vincoli neurologici sono rappresentati dai sistemi sensoriali con cui percepiamo il mondo esterno; i vincoli sociali sono dati dall’ambiente culturale di appartenenza; i vincoli individuali sono legati alla storia personale, alle esperienze e alle differenze personali di ciascuno.
Per evitare incomprensioni nell’ambito delle proprie relazioni, personali e professionali, è importante, pertanto, individuare la “modalità sensoriale” che domina nell’interlocutore, così da adeguare il proprio atteggiamento nei suoi confronti al suo modo di recepirlo.
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Come già detto, secondo i vincoli neurologici, noi percepiamo ed elaboriamo il mondo esterno attraverso i cinque sensi. Generalmente, esiste un canale sensoriale privilegiato che crea un conseguente sistema rappresentazionale. L’uso di un senso però non esclude l’utilizzo degli altri, che possono lavorare in maniera sinergica con il primo per la creazione del sistema di attribuzione alle proprie esperienze.
Obiettivo del counseling di PNL è migliorare la capacità comunicativa del cliente e ampliare la sua mappa di interpretazione del mondo. Secondo questo approccio, per raggiungere l’obiettivo, più che le risorse di cui dispone il cliente, sono importanti le strategie che esso mette in atto. Una particolare tecnica utilizzata nel counseling secondo la PNL è l’ancoraggio, un metodo con cui visualizzare grandi risultati ottenuti in passato associandovi una sensazione di grande carica ed energia, allo scopo di riprodurre uno stato d’animo potenziante ogni volta che se ne ha bisogno.15
1.1.6. - Counseling e Gestalt Il modello gestaltico nasce con F. Perls e attinge dalla psicologia della gestalt,
naturalmente,
ma
anche
dagli
indirizzi
umanistico-esistenziale,
fenomenologico, bioenergetico, psicodinamico, psicocorporeo, reichiano, oltre che dalla filosofia orientale. La parola “gestalt” non è facilmente traducibile in italiano. Infatti, essa abbraccia un’ampia varietà di concetti: figura, struttura, forma intera, configurazione. Essa denota l’entità strutturale che è differente e maggiore rispetto alla somma delle sue parti. L’uomo è visto, dunque, in una dimensione olistica in cui è impossibile separare mente e corpo (dualismo cartesiano). Secondo il modello gestaltico l’individuo costruisce cicli di contatto-ritiro con l’ambiente interno ed esterno che, se svolti con piena consapevolezza, terminano in maniera completa, con la realizzazione dell’evento, quindi con la soddisfazione del bisogno.
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La realizzazione dell’evento consente il mantenendo dell’equilibrio e dell’armonia dell’individuo. Quando, invece, l’evento non si conclude e restano nel presente delle situazioni irrisolte del passato, insorgono difficoltà e problemi nell’individuo.
L’obiettivo del counseling di gestalt è favorire l’autoconsapevolezza, l’autorealizzazione, le responsabilità e la creatività del cliente. Alla sua base c’è la relazione cliente-counselor secondo i principi non direttivi dell’umanesimo di Rogers, in cui la tecnica è senz’altro secondaria rispetto alla relazione stessa. Lo scopo dell’approccio della gestalt è far scoprire, esplorare e sperimentare alla persona la propria forma, il suo modello e la sua interezza. L’analisi può costituire una parte del processo ma, lo scopo della gestalt è l’integrazione di tutte le parti disparate. In questo modo le persone possono permettersi di diventare quello che già sono, e quello che potenzialmente possono diventare. Questa pienezza di esperienza può dunque essere disponibile per loro sia nel corso della propria vita che nell’esperienza del singolo momento. 16
1.1.7. - Counseling e modello sistemico relazionale Il modello sistemico-relazionale è quello maggiormente usato in ambito sanitario. Nasce agli inizi degli anni 50 dalla sinergia di diversi gruppi di ricercatori europei e americani che, differenziandosi dal comune modo di intendere i processi di funzionamento mentale (limitato alle dinamiche psicologiche interne del singolo individuo), scoprirono come le modalità di comunicazione interpersonale potessero sia creare sia risolvere i problemi tra persone. Un individuo, infatti, non è "un qualcosa" di artificialmente isolato dal suo ambiente, ma un essere vivente in relazione al proprio contesto di vita, con il quale non può non interagire. Così come ogni singolo individuo sviluppa le proprie risorse attraverso un peculiare percorso evolutivo, allo stesso tempo anche le relazioni tra persone si
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evolvono all'interno di un sistema, attraversando delle tappe fisiologiche specifiche, dei momenti di transizione per i quali è necessaria una riorganizzazione, una rinegoziazione tra le persone che fanno parte di quel contesto specifico: è il caso delle famiglie, delle coppie, come anche dei gruppi nell’ambiente di lavoro o dei gruppi di amici in cui siano presenti legami significativi. Dal punto di vista psicologico, un sistema è “un insieme di persone in relazione tra loro e unite da legami affettivi”. Secondo l'approccio sistemico-relazionale, i sintomi e il disagio del singolo
individuo
sono
il
risultato
di
un
intersecarsi
complesso
tra esperienza soggettiva, qualità delle relazioni interpersonali più significative e capacità cognitive di autovalutazione della propria situazione. La focalizzazione sulla relazione tra l’individuo e il suo mondo familiare e sociale ha reso il modello sistemico relazionale adattabile a realtà diverse come la famiglia, la scuola, le istituzioni, gli ambienti di lavoro, la rete sociale. L'evoluzione del sistema familiare trova la sua comprensione nell'arco almeno di tre generazioni. I sintomi di una persona, oltre ad esprimere in maniera metaforica il conflitto psichico soggettivo, acquisiscono una funzione precisa all'interno del sistema relazionale in cui emergono. La famiglia, intesa come il sistema vivente di riferimento principale nell'esperienza emotiva di una persona, è il primo contesto esperienziale all'interno del quale i sintomi assumono una funzione precisa nel funzionamento relazionale del gruppo di persone che ne fanno parte. I conflitti, che tendono a disgregare il sistema-famiglia, creano una tensione emotiva che di solito è vissuta in termini drammatici dal soggetto portatore del sintomo; egli si fa carico, attraverso la manifestazione dei sintomi, di distogliere i membri della famiglia dall'affrontare in modo manifesto le proprie difficoltà di relazione, accentrando l'attenzione su di sé.
21
Il sintomo ha quindi una doppia valenza: segnala alla famiglia l'esistenza di un disagio e, nello stesso tempo, rende innocuo il suo potere distruttivo accentrando su di sé tutte le preoccupazioni degli altri membri. La terapia familiare interviene attraverso varie tecniche di lavoro, operando su quattro livelli principali di osservazione: ▪
la storia trigenerazionale della famiglia (nonni-genitori-figli);
▪
l'organizzazione relazionale e comunicativa attuale della famiglia;
▪
la funzione del sintomo del singolo individuo nell'equilibrio della famiglia;
▪
la fase del ciclo vitale della famiglia, in cui si presenta il sintomo del singolo (ciclo vitale: rappresenta una tappa delle varie fasi evolutive attraversate da un sistema-famiglia; si parla, ad esempio dell'uscita da casa dei figli a seguito del matrimonio, del decesso di un genitore o della nascita di un figlio etc. Questi eventi costringono il sistema a riorganizzarsi e quindi a evolvere verso nuovi assetti relazionali.). Le tecniche, attraverso l'utilizzo di compiti da attuare sia nelle sedute
terapeutiche sia a casa, si articolano intorno alle problematiche dei ruoli, della gerarchia, delle alleanze, e della qualità della comunicazione.17 Il processo terapeutico e il ruolo del terapeuta La psicoterapia ad indirizzo sistemico-relazionale considera la persona portatrice del sintomo "paziente designato". Tale termine sta ad indicare che il paziente è il membro del sistema-famiglia (per famiglia si intendono sia la propria che almeno le due generazioni che l'hanno preceduta), che esprime o segnala il funzionamento disfunzionale di uno o più dei sistemi di cui egli è uno dei vertici. Tale membro è "designato" dal sistema stesso, secondo una prospettiva bio-psicosociale, in quanto soggetto che esprime una modalità disfunzionale di vivere, pensare, agire. Talvolta, specialmente in casi che riguardano i bambini o gli adolescenti (ambiti in cui la terapia familiare è un approccio particolarmente valido), questo si manifesta sotto forma di blocco evolutivo, così che tutte le tensioni tendono a convergersi su di lui; in tal modo diviene il controllore di forze ed energie relazionali, al prezzo di gravi sentimenti di sofferenza e vissuti di
22
disgregazione. Ora, l’intervento terapeutico nella logica socio-costruzionista e narrativa avviene attraverso l’incontro tra sistemi emotivi di significato e le narrazioni dei pazienti e dei terapeuti i quali, nella conversazione, stimolano la ricerca di connessioni di un quadro narrativo rappresentativo dal punto di vista dei contenuti e convincente dal punto di vista emotivo. Concludendo,
la
psicoterapia
sistemico
relazionale
permette
un’elaborazione profonda e una visuale più completa delle molteplici difficoltà che gli esseri umani affrontano nell'arco naturale del proprio ciclo di vita, mira alla valorizzazione delle competenze personali e relazionali, delle risorse presenti e rintracciabili nella situazione di vita attuale, punta all’elaborazione di modalità di comunicazione interpersonale più efficaci e più funzionali delle precedenti.18
1.1.8. - L’integrazione dei modelli Più epistemologie e più modelli, con i relativi strumenti, contengono in sé elementi “di verità”, ciascuno utilizzabile, nessuno indispensabile. Per questo motivo, è utile ai fini di ottenere un miglior risultato, integrare i vari modelli. La prospettiva dell’integrazione si basa sul fatto che esistono alcuni fattori comuni ai diversi approcci al counseling: 1.
gli approcci al counseling ammettono che gli
individui possono cambiare o essere cambiati; 2.
gli approcci al counseling ammettono che ci sono
alcuni comportamenti indesiderabili, inadeguati o dannosi che si traducono in insoddisfazione, infelicità o limitazioni che arrestano il cambiamento; 3.
i counselor si aspettano che gli individui cambino
come risultato dell’applicazione di tecniche e interventi specifici; 4.
gli
individui
che
cercano
un’esperienza
di
counseling hanno bisogno di aiuto; 5.
i clienti generalmente pensano di poter cambiare e
questo può accadere;
23
6.
i counselor chiedono ai clienti di essere partecipanti
7.
l’intervento include incoraggiamento, supporto e
attivi;
istruzione. In sostanza, durante l’interazione con il cliente, o con la sua famiglia o con i caregivers, possiamo applicare diversi principi teorici, integrarli e usarli come pensiamo sia meglio al momento. Si tratta di selezionare principi, strategie e tecniche per ricavarne approcci su misura (192021), allo scopo di comunicare nella maniera migliore con i nostri clienti, tenendo conto dell’unicità, considerando che abbiamo a che fare con un’ampia varietà di età, disordini, ritardi, personalità, famiglie.22
1.2. - Colloquio, Counseling e Psicoterapia. Il colloquio, il counseling e la psicoterapia sono tre attività che utilizzano come principale canale d’azione la conversazione. Esistono però delle differenze sostanziali che le contraddistinguono. Colloquio s. m. [dal lat. colloquium, der. di collŏqui «parlare insieme», comp. di con- e loqui«parlare»]. “ Abboccamento, conversazione tra due persone o più (ma sempre poche), di solito su argomenti di qualche importanza: cercare, chiedere, avere, ottenere un c.; concedere, rifiutare un c.; essere, stare, venire a c.; un c. segreto; un amichevole c.; c. amoroso; essere in intimo c.; «A l’ombra de’ pioppi risveglia Li usignoli e i c. d’amore» (Carducci). (Vocabolario
Online
Treccani).
Il colloquio è un tipo di conversazione che avviene fra duo o più interlocutori in cui si raccolgono informazioni, si cercano soluzioni ai problemi, si comunicano informazioni e consigli.
Counseling ‹kàunseliṅ› (o counselling) s. angloamer. [der. di (to) counsel «consigliare, consultarsi»] (pl. counselings ‹kàunseliṅ∫›),
24
usato in ital. al masch. – Tipo d’intervento di natura psicosociale consistente in una funzione di supporto nei confronti di individui con difficoltà di adattamento rispetto a specifiche situazioni di stress (per es., problemi relazionali, perdita del lavoro, malattie croniche), messa in atto stimolando le loro capacità di reazione. (Vocabolario
Online
Treccani)
Il counseling è un intervento più intenso e personale del colloquio e ha lo scopo, di aiutare il cliente ad affrontare problemi e opportunità normali.
Psicoterapia s. f. [comp. di psico- e terapia]. – Ogni forma d’intervento terapeutico nei confronti di disturbi mentali, emotivi e comportamentali, impostato e condotto a termine con tecniche psicologiche
(alle
quali
può
aggiungersi
il
complemento
farmacologico), ispirato a principî e metodi diversi, con il fine di migliorare l’adattamento dei pazienti all’esistenza e alla realtà circoscrivendo cause e natura di disadattamenti, conflitti, situazioni critiche: cosicché si parla di p. individuale o di p. di gruppo (e più in partic. di p. della famiglia), a seconda che l’intervento sia effettuato su uno o più individui coinvolti nell’azione prescelta. Mezzi della psicoterapia sono il dialogo tra il terapeuta e il paziente (p. dialogica),
l’investigazione
sulle
situazioni
conflittuali
(p. analitica), l’offerta di sostegno negli stati critici (p. di appoggio o di sostegno) anche con intensità atta a fronteggiare casi urgenti (p. breve). Si parla altresì di p. comportamentale, con riferimento a interventi che sono rivolti al cambiamento diretto dei comportamenti di un individuo piuttosto che all’individuazione delle loro cause; e di p. cognitivista quando si focalizzano i processi cognitivi (percettivi, mnemonici, associativi, ecc.) che stanno alla base del comportamento patologico. (Vocabolario Online Treccani).
25
La psicoterapia è un intervento più intenso ancora e si occupa degli aspetti più profondi della personalità e delle difficoltà comportamentali. Si concentra non sul cliente, come avviene nel counseling, ma sulla patologia e sui meccanismi intrapsichici interni e ha bisogno di tempi d’azione lunghi.
In particolare le differenze tra counseling e psicoterapia riguardano il focus, la metodologia d’intervento, gli obiettivi e il tipo di utente. •
Il focus. Il counseling si concentra sul bisogno del cliente, che manifesta una temporanea disfunzione sociale o delle capacità di adattamento, in seguito a un fattore di stress intenso, mentre la psicoterapia focalizza l’attenzione sul bisogno di un cliente con disfunzioni psicologiche o psicopatologiche.
•
La metodologia. Il counseling si interessa al qui ed ora del cliente,
con
prevalenza
dell’aspetto
pragmatico
di
individuazione e di conoscenza del problema e agisce prevalentemente sul piano cognitivo e comportamentale. La psicoterapia, invece, s’interessa al presente del cliente ma anche al suo passato, ai suoi vissuti regressivi, ai conflitti remoti e agisce su livelli profondi e inconsci. •
L’obiettivo. L’obiettivo del counseling è di valorizzare le risorse del cliente e portare a un cambiamento a livello individuale e sociale mentre, nella psicoterapia si mira a valorizzare le risorse del cliente cercando di arrivare a un cambiamento a livello inconscio.
•
L’utente. Il counseling è uno strumento rivolto a clienti con problemi
circoscritti
dell’area
cognitivo
emotivo
-
relazionale mentre la psicoterapia è indicata per clienti con
26
un disturbo ampio e strutturale che interessa l’area del disagio e della sofferenza psichica.
27
2 - Ambiti di applicazione del counseling Quando si parla di counseling, è necessario fare una distinzione tra quello svolto come specifica professione, che può essere praticato da professionisti che abbiano ricevuto apposita formazione, e quello svolto in ambito sanitario, inteso come l’acquisizione di una abilità, conoscenza specifica del professionista, che abbia effettuato soltanto alcuni corsi di formazione o aggiornamento di breve durata, che possano migliorare la sua attività, ai fini di una buona comunicazione efficace e non direttiva, che possa facilitare la relazione e le abilità di comunicazione al fine di ottenere gli obiettivi di salute del paziente.
2.1. - Counseling Professionale “Il Counseling è un processo di apprendimento, attraverso un’interazione tra Counselor e cliente, o clienti (individui, famiglie, gruppi o istituzioni), che affronta in modo olistico problemi sociali, culturali e/o emozionali. Il Counseling può cercare la soluzione di specifici problemi, aiutare a prendere decisioni, a gestire crisi, migliorare relazioni, sviluppare risorse, promuovere e sviluppare la consapevolezza personale, lavorare con emozioni e pensieri, percezioni e conflitti interni e/o esterni. L’obiettivo nel complesso è di fornire ai clienti opportunità di lavoro su se stessi, nell’ottica di raggiungere maggiori risorse e ottenere una maggiore soddisfazione come individui e come membri della società.”. (AIco Associazione Italiana counseling) Il counseling è un’attività che si instaura tra il cliente e il professionista (counselor): il primo è un soggetto che sente il bisogno di essere aiutato, il secondo è una persona esperta, imparziale, non legata al cliente, addestrata all’ascolto, al supporto e alla guida. “Il Counselor è un operatore d’aiuto in tutte quelle situazioni che hanno a che fare con relazioni umane, da quelle professionali a quelle interpersonali fino a quelle con se stessi. Il concetto di relazione d’aiuto si può intendere in varie maniere naturalmente: una è quella dell’aiuto attraverso la relazione, in cui il
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rapporto appunto fra operatore e cliente è paradigma relazionale, la cui qualità funziona come esempio per le altre relazioni. Altra implicazione possibile è che si tratti di aiutare ad aiutarsi: l’operatore in questo caso avrebbe una funzione di catalizzatore di avvenimenti interni, e non di sostituto di capacità mancanti.” (AIco) L’intervento del counselor è regolato da norme etiche e deontologiche, per la tutela della dignità e della riservatezza del cliente e per il rispetto dei limiti della relazione professionista – cliente che rimane il fulcro di ogni attività di comunicazione. Il counselor è pertanto un professionista, esperto di comunicazione e relazione, che, attraverso un percorso formativo specifico, ha acquisito competenze relazionali, comunicative, pedagogiche e sociali di grado elevato, alle quali si accostano qualità personali, che lo rendono capace di sostenere in modo adeguato una relazione con un interlocutore che chiede affiancamento nell’affrontare situazioni personali ed emotivamente significative. Al professional counselor, professionista che esercita effettivamente e regolarmente l’attività di counseling, è richiesto un aggiornamento professionale regolare, con la partecipazione a corsi e incontri formativi specifici organizzati da scuole riconosciute e, con la partecipazione a momenti di supervisione affidati a professionisti in possesso del titolo di Counselor supervisore (titolo anch’esso previsto e regolarizzato dalle Società Nazionali e Internazionali di counseling) Esistono alcune grandi associazioni di professionisti in concorrenza tra loro (es.: A.I.Co, S.I.Co, ecc...), che si occupano di organizzare standard di qualità riguardo a: formazione, aggiornamento, etica, normative, e tutto quanto riguardi l’attività dei propri iscritti. Un corso di counseling che faccia riferimento a una delle grandi associazioni è diretto da Psicoterapeuti esperti e generalmente comprende: preparazione teorica e pratica, lavoro su di sé individuale e di gruppo, e pratica supervisionata, per un totale di almeno tre anni.
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L’attività di counseling È utile in tutti quei casi in cui una persona, una coppia o una famiglia avvertono l’esigenza di migliorare e completare la descrizione della situazione problematica, di definire obiettivi raggiungibili e sostenibili, di riordinare e completare gli aspetti informativi legati alla situazione, di riesaminare le soluzioni già individuate o tentate, di individuare nuove strade o soluzioni e di accrescere la propria capacità di far fronte a una situazione o a un problema utilizzando al meglio le risorse disponibili. È un intervento centrato sul cliente, che non ha carattere terapeutico e ha l’obiettivo di valorizzare e sviluppare le risorse del cliente, di favorire la sua crescita personale, tramite la presa di coscienza delle proprie risorse, l’autodeterminazione,il potenziamento delle capacità di scelta e di cambiamento, tramite un processo di attivazione delle risorse e della consapevolezza del cliente, con l’obiettivo di favorire il miglioramento della qualità della vita. Il processo di counseling consente al cliente di sviluppare consapevolezze, possibilità, capacità di gestione dei problemi e dello sviluppo personale nella vita quotidiana, attraverso l’accrescere delle loro forze o risorse. L’obiettivo è di accrescere l’autonomia riguardo all’ambiente sociale, professionale e culturale, valorizzando e sviluppando le risorse del cliente, il quale è l’attore principale del processo d’aiuto. L’intervento si fonda sull’ascolto, sul supporto e su principi peculiari ed è caratterizzato dall’utilizzo da parte del counselor di qualità personali, di conoscenze specifiche, e di abilità e strategie comunicative e relazionali finalizzate all’attivazione e alla riorganizzazione delle risorse personali dell’individuo al fine di rendere possibili scelte e cambiamenti in situazioni percepite come difficili, dalla persona stessa, nel pieno rispetto dei suoi valori e delle sue capacità di autodeterminazione. (Amadori e al. 2002, p. 797 Psiconcologia, Masson, Milano) Il counseling è un intervento breve, strutturato e non occasionale, circoscritto nel tempo, con durata e limiti precisi, che riguarda in modo trasversale tutti gli ambiti caratterizzati dalla relazione d’aiuto (dall’ambito educativo a
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quello sanitario e socio sanitario) e si svolge secondo le regole previste da un contratto che definisce tempi, modi, area di intervento e obiettivi da perseguire. Al termine del processo di counseling, il cliente non avrà cambiato il suo modo di essere, bensì, quello di fronteggiare il problema per il quale ha chiesto l'intervento del counselor, avrà raccolto nuove informazioni, avrà ampliato le sue ipotesi, avrà scoperto nuovi punti di vista, e, se il caso lo richiedeva, avrà anche deciso di modificare alcuni suoi atteggiamenti e giudizi.
2.2. - Il Counseling in Ambito Sanitario Il counseling in ambito sanitario è l’elemento che nasce per facilitare i processi comunicativi difficili, come la comunicazione di una diagnosi, e per intervenire con persone in crisi. È utile anche come strumento di informazione e comunicazione sanitaria per migliorare l’efficacia degli interventi. Si dimostra utile ed efficace in tutte le relazioni professionali che richiedono: ∼
completezza nella raccolta di dati (anamnesi, storia
personale, descrizione di fatti ed esperienza); ∼
efficacia di informazione (indicazioni di comportamento,
prescrizioni, regole per utilizzare strumenti o servizi); ∼
cura della relazione (contenere i conflitti, facilitare
l’individuazione di una soluzione, attuare mediazioni).
È indicato nei momenti di difficoltà, che possono essere di varia natura: problemi di salute, disorientamento e inadeguatezza di fronte a una diagnosi difficile, incapacità di affrontare situazioni pedagogiche, educative, assistenziali, che richiedono risorse, cambiamenti e adattabilità ed è cruciale in casi di minori. Implica il saper stabilire relazioni con pazienti disabili, a prognosi infausta e i loro familiari, famiglie peregrinanti o deluse, persone
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aggressive e conflittuali, altri professionisti che possono non condividere i progetti o non essere specificatamente competenti. Per questi motivi il counseling in ambito sanitario si caratterizza per: − chiarezza, nell’esposizione delle informazioni; − concretezza, affrontando problemi reali; − completezza, permettendo di esprimere ansie, timori, speranze, etc.; − concisione, all’interno dei tempi disponibili; − contestualità, rimanendo aderente e pertinente alla situazione, ai limiti e alle risorse presenti; − essenzialità, essendo una prestazione indispensabile per rispondere a un bisogno; − esclusività, poiché richiede una specifica competenza; − complessità, interessando compiti e situazioni difficili.
2.3. - Il Counseling Logopedico Il counseling logopedico è un tipo di counseling particolare in ambito sanitario e, come riportato nel codice deontologico fa parte delle numerose competenze del logopedista. Il counseling logopedico si differenzia secondo la patologia, le caratteristiche individuali dei clienti, ma anche per modalità e durata. Il counseling logopedico si interessa di vari livelli: − l’accoglienza dei pazienti e l’ascolto attivo dei loro bisogni, al fine di ridurre inutili ridondanze tra i vari medici specialisti;
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− la formazione degli operatori al lavoro cooperativo, alla comunicazione/relazione con i pazienti e le loro famiglie e il sostegno emotivo per la prevenzione del burn-out; − l’educazione, il contenimento e il supporto ai pazienti nel percorso di malattia per favorire la consapevolezza, la compliance ai trattamenti e l’adattamento. Il counseling logopedico, che si esplicita nelle situazioni specifiche delle comunicopatie, è un aspetto essenziale della professione logopedia in quanto molto spesso rappresenta l’unica modalità di gestire le esigenze e i disagi dei clienti. Va inteso, quindi, come valore aggiunto, come completamento della tradizionale formazione del logopedista, poiché molto spesso coincide con il programma di trattamento del cliente. Si apprende attraverso specifici training formativi che sviluppano determinate competenze, indispensabili, insieme alle abilità personali, per condurre il processo di counseling e per raggiungere un ottimale svolgimento del programma. È inoltre uno strumento facilitante per la professione logopedica, che agevola il cliente e la sua famiglia nella comprensione del problema (la comunicopatia), nella gestione del disagio che da esso deriva e, nell’attivazione dei processi di coping, utili per gestire le conseguenze (della comunicopatia e del disagio). Un presupposto indispensabile ai fini di un corretto uso del counseling è essere consapevoli di ciò che è e che non è di nostra competenza. All’esterno dei confini delle aeree di competenza, bisogna ricorrere ad altre specifiche professionalità. Il rapporto tra logopedista e cliente deve quindi svolgersi in modo competente e consapevole: il logopedista deve tenere conto non solo della sfera biologica (quindi della patologia del cliente) ma anche di quella psicologica e sociale includendo:
33
□
il punto di vista del paziente,
□
la percezione soggettiva della sua salute e del suo benessere;
□
i cambiamenti che il disturbo ha arrecato, o potrà arrecare, alla qualità, al suo stile di vita e alle sue relazioni;
□
i cambiamenti che il soggetto stesso dovrà apportare per adattarsi alla nuova situazione.
In generale, sono state individuate quattro macro aree di intervento, che non devono essere intese come i passaggi di una procedura standard, ma che possono essere svolte singolarmente e indipendentemente dagli altri tipi counseling, considerata la singolarità di ciascun rapporto relazionale e la flessibilità necessaria per gestirla.
2.3.1. - Il Counseling informativo Il counseling informativo serve per dare informazioni e/o istruzioni al paziente e alla famiglia riguardo alla patologia e le sue conseguenze. È, solitamente, effettuato nella fase che segue la comunicazione della diagnosi, in cui lo stato emozionale può essere caratterizzato da shock, depressione, frustrazione, insicurezza, confusione, ecc. In questa fase il logopedista deve evitare di fare il “docente” e deve essere in grado di dosare sia la quantità che la qualità delle informazioni da dare al cliente. È indispensabile che utilizzi un linguaggio chiaro, esplicito, accessibile, esaustivo in modo da far capire e assimilare le informazioni fornite. Infatti, informare non è solo comunicare dati o etichette e trasmettere nozioni. Consiste, piuttosto, nell’avvio di un processo di apprendimento nel quale le informazioni, opportunamente interiorizzate dal cliente, possono servire per comporre nuovi modelli di comportamento e procedere alle trasformazioni che la nuova situazione richiede.23
34
L’informazione deve avvenire secondo:
Scienza e coscienza: bisogna basare le informazioni che si
danno sulle proprie conoscenze e in base ad esse, all’ambiente e al cliente, decidere cosa e quanto comunicare al cliente e alla sua famiglia, in modo da creare meno confusione possibile;
Verità: è importante affermare sempre la verità, scegliendo
opportunamente i tempi e i modi, poiché il processo di counseling si basa su rapporto di fiducia e trasparenza reciproca tra counselor e cliente. Il counseling in formativo può essere: − Affermativo: il logopedista esprime in modo chiaro e conciso il suo parere professionale sulla valutazione e sulle conseguenze operative e rimediative. − Responsivo: il logopedista risponde alle domande del cliente, chiarisce i suoi dubbi e approfondisce determinati argomenti. − Discussivo: il logopedista e il cliente affrontano le diverse ipotesi valutative e prendono in considerazioni le possibili soluzioni.
Può essere ripetuto anche nel corso del trattamento: è importante tenere informato il paziente e la sua famiglia su obiettivi a breve, medio e lungo termine, strumenti usati per perseguirli e percorso riabilitativo intrapreso. Data la sua funzione, il c. informativo deve essere sempre presente nel trattamento logopedico e non può essere svolto in modo superficiale ma deve diventare un importante strumento di motivazione per il paziente e la sua famiglia.
2.3.2. - Il counseling di risoluzione Il c. di risoluzione o problem solving serve a fronteggiare questioni di ordine pratico ed è un processo di crescita personale del paziente o della famiglia, che sono chiamati a prendere autonomamente decisioni riguardo alle soluzioni da adottare.
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Si articola schematicamente in fasi: 1.
individuare e definire il problema
2.
fissare gli obiettivi
3.
produrre la gamma di soluzioni possibili
4.
valutare le alternative
5.
scegliere fra tutte la più soddisfacente
6.
mettere in atto la soluzione scelta
7.
verificare i risultati in relazione agli obiettivi prefissati.
Il logopedista identifica ed espone le soluzioni che meglio si adattano al paziente, alla situazione e al suo stile di vita, mettendolo nelle condizioni adeguate per scegliere consapevolmente. Può riguardare inoltre:
la valutazione degli ulteriori provvedimenti sanitari di cui il
cliente si può servire (consulenze, esami, interventi, ecc)
gli aspetti burocratici e le azioni che devono essere
intraprese per ottenere benefici sociali (assegni di vario tipo, facilitazioni, ecc)
i provvedimenti attuati dalla società e presenti nelle scuole o
sul posto di lavoro
l’assistenza fornita per quella determinata patologia.
2.3.3. - Il Counseling di crisi Il counseling di crisi è un processo molto delicato, perché serve a gestire i momenti difficili che il paziente e la sua famiglia incontrano durante il periodo riabilitativo. Le crisi sono diverse per il cliente e per ognuno dei genitori e, hanno,
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inoltre, andamento particolare nel tempo per cui, non si deve cercare di risolverle immediatamente, ma essere consapevoli che richiedono una gestione progressiva. Il counseling di crisi tende a prevenire e indirizzare diversamente gli aspetti critici che si possono manifestare come conseguenza delle crisi. Sono stati individuati tre quadri prevalenti: 1.
la fuga. Ignorare il problema o alcuni suoi aspetti, per
soffrire meno o considerarlo più accettabile; 2.
paralisi o indifferenza. Correlati a trascuratezza e mancanza
di iniziativa; 3.
aggressione. Contro i curanti, le istituzioni, i parenti. A
questo quadro si associano anche ossessione terapeutica (esecuzione meticolosa, protratta e puntigliosa, oltre ogni necessità di provvedimenti per altro consigliati), ostinazione terapeutica( esecuzione di provvedimenti inutili e o dannosi)
Il logopedista cerca delle soluzioni e sostiene il paziente nell’affrontare e nell’accettare i suoi problemi, aiutandolo a riorganizzare le sue risorse ed energie. Una volta chiarito il proprio parere professionale, deve astenersi dallo sconsigliare al cliente di intraprendere trattamenti che ritieni inutili (come per esempio l’intervento di un mago, di uno sciamano, di un guaritore, ecc), purché questi non siano a discapito dei provvedimenti necessari. In tal modo il cliente sentirà di avere un maggior controllo sulla situazione di disagio, continuando a vedere nella figura del logopedista un alleato.
2.3.4. - Il Counseling decisionale Il counseling decisionale è un processo in cui il logopedista guida il cliente verso scelte consapevoli e ponderate, senza sostituirsi a esso ma, fornendo i mezzi e le informazioni necessarie per una scelta autonoma e consapevole.
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Due strumenti utilizzati per agevolare il counseling decisionale sono il consenso informato e i protocolli e le linee guida. Il primo è uno strumento sempre piÚ dettagliato, che insieme al contratto di counseling definisce i tempi e le norme di intervento. I protocolli e le linee guida sono invece strumenti che stabiliscono indicazioni e suggerimenti precisi, basati sulle evidenze scientifiche, riguardo una determinata patologia, facilitando sia il patologo sia il cliente nel prendere decisioni. Il cliente potrebbe non avere gli strumenti necessari per prendere una decisione. Per questo motivo, il presupposto fondamentale del counseling decisionale è quello informativo, che fornisce gli elementi indispensabili per compiere una scelta. Il counselor ha il compito di presentare al cliente il ventaglio di possibilità esistenti, per innescare un processo di adattamento e di elaborazione del modo di vedere la realtà , attraverso un aggiustamento di tipo cognitivo.
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3 - La gestione della relazione di aiuto e le competenze di counseling Il colloquio è lo strumento principale del counseling: il cliente condivide con il counselor una propria esperienza difficile e lo fa raccontando una vicenda personale, dotata di una struttura drammatica. Nel racconto si fondono il resoconto dei fatti (più o meno oggettivo) e il punto di vista con cui il cliente legge, interpreta e gli attribuisce un significato.
3.1. - Counseling e conversazione speciale Il mezzo tramite cui si svolge l’attività di counseling è la conversazione. La conversazione utilizzata in questo ambito è definita speciale. A tal proposito, è utile fare una distinzione tra la conversazione ordinaria e la conversazione speciale. La prima è quella che avviene, solitamente, tra due o più persone, senza uno scopo definito. La seconda è invece una conversazione che avviene, in generale, tra due interlocutori, i quali ne hanno definito le modalità, i tempi, i luoghi e gli scopi. In particolare, si possono individuare tre principale aree che differiscono nelle due tipologie di conversazione: il rapporto tra gli interlocutori, lo scopo della conversazione, lo spazio entro il quale si svolge. La conversazione ordinaria è caratterizzata da un rapporto paritetico e simmetrico tra gli interlocutori. Entrambi hanno gli stessi diritti e doveri all’interno della conversazione ed hanno entrambi pari opportunità comunicative. Al contrario, in una conversazione speciale, gli interlocutori hanno un rapporto asimmetrico e non- paritetico: il cliente si rivolge al counselor per aiuto e il counselor è l’esperto che dovrebbe essere in grado di fornire l’aiuto cercato dal cliente. Il counselor ha più potere del cliente: all’interno dell’attività di counseling è il regista, il conduttore del colloquio. A tale scopo, per favorire la gestione del colloquio, occorre che il counselor segua le cosiddette regole della direttività:
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a)
il counselor ha la prerogativa di porre domande, di
riassumere le risposte e di organizzare la conversazione; b)
il counselor ha la prerogativa di decidere ciò di cui si deve
parlare in un dato momento; c)
il counselor ha la prerogativa di decidere chi deve parlare in
un dato momento, nel caso in cui abbia di fronte come cliente duo o più persone (per esempio, genitori e figlio; insegnante, genitore e bambino.); d)
il counselor ha la prerogativa di togliere la parola e di
bloccare comportamenti indesiderati e non pertinenti con il counseling; e)
il counselor ha il diritto di decidere la fine della
conversazione di counseling24.
Le regole della direttività sono importanti per definire lo scheletro e la cornice normativa del counseling. Consentono, inoltre, un’efficace organizzazione dell’interazione tra counselor e cliente. Devono sempre essere usate in modo flessibile così da far assomigliare la conversazione di counseling il più possibile a una conversazione ordinaria e, non a un interrogatorio.
La conversazione ordinaria non ha uno scopo preciso, può anche essere intavolata solo per passare il tempo. La conversazione speciale, invece, ha uno scopo preciso e definito. Nel counseling lo scopo è far emergere i punti di forza del cliente per affrontare un determinato problema. La conversazione sarà quindi focalizzata sul cliente e sul suo problema. La
conversazione
ordinaria
può
avvenire
ovunque
mentre,
la
conversazione speciale si svolge sempre in uno spazio dedicato, prestabilito e concordato. Nel caso del counseling, può avvenire in un ambulatorio, in un ospedale, in uno studio, ecc.
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3.2. - Il counseling come gestione delle emozioni Il counseling è uno spazio elettivo per gestire emozioni in quanto, nasce dalla richiesta del cliente che sta affrontando particolari situazioni. emozióne s. f. [dal fr. émotion, der. di émouvoir «mettere in movimento» sul
modello
dell’ant.motion].
–
Impressione
viva,
turbamento,
eccitazione: l’e. della vincita, di quell’inatteso incontro; le e.del viaggio; andare in cerca di nuove e.; essere in preda all’e., a un’intensa e.; essere preso, essere sopraffatto dall’e.; la forte e. gli impediva di parlare. In psicologia, il termine indica genericamente una reazione complessa di cui entrano a far parte variazioni fisiologiche a partire da uno stato omeostatico di base ed esperienze soggettive variamente definibili (sentimenti), solitamente accompagnata da comportamenti mimici. (Vocabolario online Treccani). L’interazione tra il cliente e il counselor è un dialogo emotivo: si affrontano i problemi, le sofferenze, i dubbi, ecc. del cliente. Il counselor è attento ai processi coinvolti nella gestione delle emozioni quali l’empatia, la responsività emotiva e il coping emotivo. Empatia s.
f.
[comp.
del
gr. ἐν «in» e
-patia,
per
calco
del
ted. Einfühlung (v.)]. – In psicologia, in generale, la capacità di comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona, in modo immediato, prevalentemente senza ricorso alla comunicazione verbale. Più in partic., il termine indica quei fenomeni di partecipazione intima e di immedesimazione attraverso i quali si realizzerebbe la comprensione estetica. (Vocabolario online Treccani) È la capacità del counselor di mettersi nei panni del cliente e di capire cosa sta provando. È molto importante per il counselor viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda del paziente per condividere le sue esperienze emotive. È una qualità che sta alla base dell’alleanza terapeutica, indispensabile per la buona riuscita del counseling: il cliente si sente capito dal counselor e di conseguenza non si sente più solo nell’affrontare quella determinata situazione.
41
Il counselor capisce e prova le emozioni del cliente senza esserne sopraffatto. L’empatia si basa probabilmente sui neuroni a specchio quindi, appartiene al nostro corredo genetico.
Responsività emotiva del counselor. Il counselor fa da specchio emotivo al cliente e gli rimanda le sue emozioni e le sue esperienze, in modo appropriato alla situazione e, dando risposte accurate, precise e coerenti con l’esperienza vissuta dal cliente, senza però essere né troppo né troppo poco responsivo.
Coping emotivo. È la capacità di far fronte e di governare le proprie esperienze emotive. Consente di analizzare e controllare la situazione globalmente e di prevederne le conseguenze. È una capacità fondamentale per il mantenimento del proprio benessere psichico perché, sia un eccesso nella manifestazione delle proprie emozioni, sia l’assenza di autocontrollo, possono portare a disagio mentale e a psicopatologie.
3.3. - L’ascolto alla base del Counseling Come già detto, il counseling nasce da un bisogno del cliente che decide di rivolgersi a un esperto (il counselor) per affrontarlo. Il metodo che sta alla base del processo di counseling è l’ascolto. Infatti, tramite l’ascolto della storia del cliente, il counselor viene a conoscenza del suo bisogno e delle sue esperienze emotive. L’ascolto consente al counselor di concentrarsi sul cliente a 360 gradi e di cogliere tutti gli aspetti della comunicazione. Nel counseling, infatti, non bisogna aver fretta di arrivare alla soluzione del problema. Il counselor deve essere paziente e apprendere tutta la storia del cliente prima di potersi sbilanciare con dei consigli o delle soluzioni.
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Davanti al racconto del cliente, il counselor deve essere in grado di evidenziare i suoi punti di forza, senza minimizzare la storia, e di trovare dei modelli positivi nel suo passato o nel suo presente, che possono essergli d’aiuto e di esempio per affrontare situazioni analoghe e per non sentirsi sopraffatto dagli eventi, giacché in momenti diversi li ha affrontati con successo.
3.3.1. - Ascolto Attivo. L’ascolto attivo è un tipo di ascolto interessato dal punto di vista cognitivo e, partecipato empaticamente dal punto di vista affettivo. Il counselor ha come unico obiettivo quello di capire i contenuti cognitivi e le esperienze emotive del cliente, senza imporre la propria valutazione soggettiva, che per quanto possa sembrargli corretta, non può interferire con la capacità di autodeterminarsi del paziente, che inoltre è l’unico ad avere una visione completa delle sue esperienze e a conoscere interamente le sue emozioni. In questo modo, il cliente vedrà nel counselor un alleato al suo fianco, che lo capisce e lo accetta senza giudicare. Ascoltare in modo attivo è un processo complesso che richiede l’attivazione di tutto l’apparato percettivo, allo scopo di raccogliere la comunicazione dell’altro senza distorsioni. Il counselor non deve prestare attenzione solo al contenuto linguistico della comunicazione ma anche agli elementi non verbali quali per esempio il tono di voce, lo sguardo, i gesti, il colore della cute, la dilatazione della pupilla, ecc. Questo processo richiede un grande sforzo da parte del counselor che deve essere in grado di concentrarsi esclusivamente sul suo interlocutore e deve essere capace di eliminare dalla sua attenzione tutti fattori esterni di distrazione. Inoltre, l’obiettivo dell’ascolto attivo è comprendere, nella sua globalità, il messaggio del cliente, secondo il suo punto di vista. Per questo il counselor deve stare attento a non confondere il messaggio del cliente con una sua rilettura e interpretazione personale di tale messaggio, che può essere fuorviante ai fini della mera comprensione del bisogno del cliente.
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L’ascolto attivo consiste, non solo, nell’ascoltare il cliente ma, anche, nel farlo sentire compreso. Le parafrasi che possono cominciare con “ Se ho ben capito lei intende dire che…” possono servire a tale scopo ma anche al counselor stesso come verifica di aver capito in modo corretto il pensiero del cliente. Quando comprendiamo il messaggio del cliente, è importante sottolinearlo con messaggi verbali e non verbali, cosicché l’interlocutore possa capire di essere stato compreso. Questo gli consentirà di approfondire e amplificare la propria comunicazione. In questo modo, il cliente si sente incoraggiato a parlare delle sue esperienze. Alla fine del suo racconto, dopo essere stato ascoltato attentamente, sentirà di essere stato compreso dal counselor e potrà sentirsi appoggiato da lui. Nel caso in cui il messaggio non sia chiaro, è invece indispensabile chiedere chiarimenti per apprendere interamente il racconto del cliente, che percepirà di avere su di sé tutta l’attenzione del counselor.25 L’ascolto attivo percepisce non solo la parte verbale della comunicazione, quindi, costituita da: il resoconto dei fatti, i contenuti, i punti di vista a proposito. Si occupa anche e soprattutto della comunicazione non verbale.
3.3.2. - La comunicazione non verbale La comunicazione non avviene solo tramite il linguaggio verbale: counselor e cliente comunicano anche attraverso dei sistemi di comunicazione non verbale (CNV). La comunicazione non verbale è quella parte della comunicazione che comprende tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo ,che non riguardano il livello puramente semantico del messaggio, ossia il significato letterale delle parole che compongono il messaggio stesso, ma, che riguardano il linguaggio del corpo, ossia la comunicazione non parlata tra persone.26 Si stima che la comunicazione non verbale sia determinante in almeno il 70% del messaggio trasmesso. Le parole, dunque, rappresentano solo una piccolissima fetta della comunicazione, che dunque si alimenta, in gran parte, di cose non dette, di respirazione, di tatto, di toni di voce e gestualità.
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Se emergono delle discrepanze tra i contenuti espressi e il comportamento non verbale, l’efficacia della comunicazione può diminuire notevolmente. La specie umana si serve in modo ricorrente della CNV, non solo per memoria filogenetica “inutili vestigia di abitudini ancestrali” (Darwin) ma, anche e soprattutto, per ragioni relazionali. Infatti, la comunicazione verbale (CV) riguarda la componente informativa della comunicazione mentre, la CNV si interessa della componente relazionale della comunicazione: è attraverso quest’ultima che counselor e cliente creano e definiscono la loro relazione, poiché è il mezzo che permette di esprimere e comunicare le emozioni (gioia, rabbia, paura, tristezza, disgusto, disprezzo, interesse, sorpresa, tenerezza, vergogna, colpa). Il significato della comunicazione sarà dato dall’interazione della CV e CNV. Infatti, il significato è sempre qualcosa di composito ed eterogeneo che non può essere espresso da un solo sistema comunicativo. Per essere espresso nella sua interezza, è necessaria la sintonia semantica e pragmatica, che coordina i diversi sistemi di significazione e di segnalazione, che si “coalizzano” e si “fondono” per garantire l’unitarietà e la coerenza del significato dell’atto comunicativo. La comunicazione non verbale è costituita principalmente da quattro sistemi si segnalazione e di significazione: sistema paralinguistico, sistema cinesico, prossemica, aptica. Questi sistemi sono autonomi e interdipendenti fra loro, il che consente al counselor di avere il pieno controllo sulla propria intenzionalità comunicativa, quindi di modulare il significato del suo messaggio, in linea con il progetto comunicativo e le potenzialità del contesto. L’efficacia comunicativa è la capacità di individuare un percorso comunicativo che massimizzi le opportunità e che minimizzi i rischi contenuti all’interno del counseling.27
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L'obiettivo di una comunicazione efficace è, pertanto, non solo quello di affinare le proprie capacità comunicative attraverso l'utilizzo consapevole del linguaggio verbale, non verbale e paraverbale ma, anche quello di poter comprendere più chiaramente il messaggio verbale, non verbale e paraverbale dell'interlocutore. Alla base di una buona efficacia comunicativa, quindi, è indispensabile che ci siano: − l’interdipendenza e la sintonia semantica, in modo da inviare un messaggio chiaro e coerente al cliente; − la focalizzazione comunicativa, che nello specifico caso del counseling riguarderà il cliente e il suo bisogno di aiuto; − la calibrazione situazionale, attraverso la quale il counselor è in grado di controllare i vari sistemi di segnalazione e di significazione, con lo scopo appunto di modularli e di utilizzarli secondo la situazione e della necessità. I sistemi principali di segnalazione e di significazione sono quattro: il sistema paralinguistico, il sistema cinestesico, la prossemica e l’aptica.
Il sistema paralinguistico. Il sistema paralinguistico è l’insieme delle proprietà acustiche transitorie che accompagnano la pronuncia di qualsiasi enunciato e che possono variare in modo contingente da situazione a situazione, nel counselor e nel cliente. Gli elementi vocali non verbali determinano la qualità della voce dell’individuo e quindi, la sua impronta vocalica, che è data, non solo, dalle caratteristiche paralinguistiche ma, anche da quelle extra linguistiche (insieme delle caratteristiche anatomiche permanenti ed esclusive del paziente).
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I modi di espressione, compresi nel sistema paralinguistico, sono determinati dalle vocalizzazioni non verbali, dal tono della voce, dal ritmo, dai sospiri, dalle pause, dai silenzi. Le qualità non verbali della voce possono interessare fattori di personalità, collegati a tratti psicologici permanenti, e a tratti psicologici transitori, collegati con le esperienze emotive del cliente. La voce è quindi una fonte ricca di informazioni per il counselor. In particolare: □
il tono: è dato dalla frequenza fondamentale (Fo) della voce.
È generato dalla tensione delle corde vocali. È inteso come espressione delle emozioni; l’insieme delle variazioni di tono, nel corso della pronuncia di un enunciato, determina il profilo di intonazione; □
la durata (ossia il tempo necessario per pronunciare
l’enunciato): è caratterizzata da: velocità di eloquio (il numero di sillabe al secondo comprese le pause), velocità di articolazione (il numero di sillabe al secondo escluse le pause), pause (la sospensione del parlato) che possono essere piene (riempite da vocalizzazioni come mhm, ehm, ecc.) o vuote (periodi di silenzio); □
l’intensità (intesa come volume della voce e accento): è
connessa con l’accento enfatico, con cui si intende sottolineare un determinato segmento linguistico dell’enunciato, rispetto ad altri; □
il ritmo: in un discorso, conferisce maggiore o minore
autorevolezza alle parole pronunciate: parlare ad un ritmo lento, inserendo delle pause tra una frase e l'altra, dà un tono di solennità a ciò che si dice; al contrario parlare ad un ritmo elevato, attribuisce poca importanza alle parole pronunciate. Nell'analisi del ritmo nel sistema paralinguistico va considerata l'importanza delle pause. □
la qualità vocale fonatoria, espressa dalla voce (a falsetto,
gracchiante, aspra…), è indice delle caratteristiche personali.
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Gli elementi paralinguistici generano manifestazioni di umori e stati d’animo, soggettivi e relazionali, stili espressivi personali. Un altro elemento del sistema paralinguistico è rappresentato dalle vocalizzazioni. Le vocalizzazioni possono essere distinte: •
in caratterizzatori vocali (ovvero riso, pianto, sospiro);
•
qualificatori vocali (intensità, tono, estensione);
•
segreti vocali (uhm, mmh, shhh, ah e altri);
•
suoni
di
accompagnamento (inspirazioni,
pause
di
silenzio,
farfugliamenti).28
Il silenzio. Poiché parlare, è il comportamento usuale, non marcato della comunicazione, la sua assenza può rappresentare un veicolo di significazione. Il silenzio rappresenta
una
forma
di
comunicazione
del
sistema
paralinguistico, molto potente che assume funzioni diverse a seconda delle situazioni, delle relazione e della cultura di riferimento, come, ad esempio: attirare l’attenzione, generare sorpresa, marcare il potere, approvare, generare intimità, dimostrare emozioni e sentimenti. Il silenzio può essere espressione di tutte le posizioni di chiusura e impermeabilità; oppure, nelle relazioni asimmetriche, segnala le posizioni di subordinazione. Nelle relazioni interpersonali, il silenzio può esprime significati caratteristici di una cultura. In alcune culture, dette del silenzio, come quelle orientali (collettivistiche), amerindiane e africane, momenti di silenzio sono considerati normali in una conversazione e, i partecipanti prendono lunghe pause di silenzio fra un intervento e l’altro, in quanto segnale di riflessione e di ponderatezza. Nelle culture orientali qualificate da una comunicazione ad alta
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contestualizzazione, il silenzio è anche inteso come indicatore di fiducia, di confidenza, di armonia e d’intesa. Le culture occidentali (individualistiche), sono ossessionate dall’uso del linguaggio: si assiste a una successione rapida dei turni di parola, in cui i tempi di latenza delle pause sono assai ridotti. Il silenzio è, generalmente, visto come una minaccia e come una mancanza di cooperazione per la gestione della conversazione medesima,
un
segnale di
incertezza,
ambiguità
o
non
collaborazione tra interlocutori ma, può anche essere un segnale di condivisione di affetti ed emozioni in una relazione intima. Il silenzio può anche sottintendere una posizione gerarchica all’interno di un gruppo: solitamente parla chi ha più potere o più rilevanza sociale mentre gli ascoltatori restano in silenzio, in segno di subordinazione. Infatti, il diritto alla parola in situazioni di comunicazione di gruppo dipende strettamente da relazioni di potere o di funzione riconosciute e, ogni individuo sa esattamente se e quando parlare. La violazione di questa regola non scritta, come è noto, è severamente stigmatizzata in tutte le culture. Il counselor possiede un’efficace gestione del silenzio. Ne conosce le regole e sa evitare che il silenzio diventi una potente arma nelle mani del cliente, che potrebbe usare “ a suo vantaggio” il principio di reticenza, e quindi eludere una domanda posta dal counselor. Il counselor, in quanto esperto di comunicazione, non sa solo gestire il silenzio del paziente ma anche il proprio. Può fare ricorso al silenzio per dare importanza a quanto sta dicendo, per creare momenti di attesa e di focalizzazione dell’attenzione del cliente. Sa dosare parole e silenzio in modo da attribuire rilevanza ed efficacia al suo discorso.
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Il sistema cinestesico Il sistema cinestesico comprende tutti gli atti comunicativi espressi dai movimenti del corpo. del volto e degli occhi.
Lo sguardo rappresenta un aspetto cruciale nell’attività di counseling. Infatti, rappresenta un potente segnale comunicativo. Il contatto oculare, infatti, è importante per avviare e stabilire qualunque rapporto interpersonale. Senza di esso, infatti, le persone hanno la sensazione di non essere entrate pienamente in contatto con il loro interlocutore. È utilizzato, inoltre, soprattutto nelle culture occidentali, per inviare e raccogliere in modo immediato e significativo informazioni sulla situazione relazionale in atto, nonché per acquisire il feedback del partner . Inoltre, è un fattore di comunicazione importante per gestire l’alternanza dei turni. Lo sguardo è inoltre correlato con le emozioni: emozioni positive comportano un incremento del contatto oculare mentre e mozioni negative, soprattutto quelle auto consapevoli come vergogna, colpa, disgusto, implicano un abbassamento e una distorsione dello sguardo. La gestione dello sguardo è utile, anche, per gestire la propria immagine personale. Nel caso dell’attività di counseling, il counselor che guarda il cliente, è percepito dal cliente come più attento e coinvolto, rispetto a uno che evita lo sguardo: il counselor con una percentuale di contatto oculare più elevata, è valutato come una persona aperta, credibile, maggiormente degna di fiducia e, in generale, le persone che guardano di più gli altri sono valutate come estroverse e sincere, socialmente abili e intraprendenti, sicure di sé e dotate di un buon controllo interno. Il counselor efficace sa come regolare e giocare con il dialogo degli sguardi, in quanto, tale dialogo, rappresenta un potente ed efficace segnale per la gestione dell’interazione con il cliente.29
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Altro elemento del sistema cinestesico è la mimica facciale. Il volto era considerato, dai frazionisti dell’Ottocento, «la finestra aperta dell’anima». I movimenti del volto manifestano determinati stati mentali del soggetto, le esperienze emotive, gli atteggiamenti interpersonali. Non tutti sono sotto il nostro controllo (ad esempio l'arrossire o l'impallidire) ma, la gran parte delle espressioni facciali sono volontarie e adattabili a nostro piacimento alle circostanze.
Il sorriso è uno dei segnali fondamentali della specie umana. Non è un segnale uniforme e univoco ma, copre una gamma estesa di fenomeni assai diversi tra loro. Molte ricerche hanno evidenziato che non ha un legame né necessario né univoco con le emozioni, come pensavano molti studiosi, come per esempio Darwin 30, bensì è strettamente connesso con l’interazione sociale. Nell’attività di counseling, il sorriso del counselor è un efficace segnale per dimostrare empatia e per stabilire un rapporto di vicinanza e di collaborazione col cliente. Occorre, tuttavia, precisare che si tratta di un sorriso misurato, non eccessivo né sempre presente, bensì calibrato e pertinente con la situazione relazionale in atto.31
Altro elemento fondamentale del sistema cinestesico,importante per la gestione del counseling, al pari dello sguardo, sono i gesti, in primo luogo quelli compiuti con le mani. Il loro insieme è stato chiamato «linguaggio del corpo». La gestualità, soprattutto quella manuale, può essere utilizzata per porre l’accento su alcune parole piuttosto che altre, rafforzandone il significato, ma, può anche fornire una chiave di lettura difforme dal significato del messaggio espresso verbalmente. Anche in questo senso, va considerata la difformità interpretativa che le diverse culture danno ai vari gesti: ad esempio, in Bulgaria, lo scuotimento laterale del capo, che in quasi tutte le culture significa “No”, ha esattamente il significato opposto; in Inghilterra, il gesto della mano con indice e medio alzati
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col palmo della mano rivolto verso il corpo, che in altre parti del mondo potrebbe essere identificato col segno della vittoria, ha il significato di una grave offesa. Il counselor presta grande attenzione a qualsiasi gesto del cliente e nello stesso tempo è vigile e consapevole dei gesti che egli produce, alla luce del fatto che i suoi gesti incidono profondamente sull’efficacia dei suoi interventi.
Prossemica La prossemica analizza i messaggi inviati attraverso la percezione, l’organizzazione e l’uso dello spazio, della distanza e del territorio nei confronti degli altri. La gestione degli spazi cambia, sia al variare del rapporto che intercorre tra gli interlocutori stessi, che in base alle diverse culture. In particolare l’uomo tende a suddividere lo spazio circostante in quattro zone principali:
Zona
intima
(da
0
a
50
centimetri)
È la distanza delle relazioni intime in cui, di norma, vengono accettati senza disagio solo alcuni familiari stretti e il partner: ci si può toccare, sentire l’odore del partner, avvertire l’intensità delle sue emozioni, parlare sottovoce. L’invasione di questa zona da parte di “non desiderati” provoca disagio.
Zona
personale
(da
50
cm
a
1
metro)
È una sorta di «bolla spaziale personale» che ci accompagna e la sua distanza varia da interazione a interazione comunicativa. La zona personale è meno ristretta: ammette familiari, amici e colleghi. In questa zona si possono svolgere comunicazioni rilassate e informali, durante le quali è possibile toccare l’interlocutore, vederlo in modo distinto ma, non sentirne l’odore. Il volume della voce può essere mantenuto basso e la distanza è
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comunque sufficientemente limitata da consentire di cogliere nel dettaglio espressioni e movimenti degli interlocutori.
Zona
sociale
(da
1
m
a
3
o
4
m)
La zona sociale è quell’area in cui l’individuo sente di avere libertà di movimento in maniera regolare e abituale e nella quale si svolgono tutte le attività che prevedono interazione con persone sconosciute o poco conosciute come gli incontri formali e professionali. A questa distanza è possibile cogliere l’intera figura dell’interlocutore e controllarne i movimenti per capire meglio le sue intenzioni.
Zona
pubblica
(oltre
i
4
m)
È la distanza tenuta in situazioni pubbliche ufficiali come per esempio conferenze, lezioni, ecc. che comporta un’enfatizzazione dei movimenti e un’intensità elevata della voce. È caratterizzata da una forte asimmetria tra i partecipanti alla comunicazione, generalmente una sola persona parla, mentre tutte le altre ascoltano. Queste distanze, come si è già detto, variano da cultura a cultura. In genere si registra una diminuzione delle distanze man mano che si passa dalle culture nord-occidentali (scandinave, anglosassoni, canadesi, tedesche) alle culture mediterranee (Italia Spagna, Grecia), fino alle culture nord-africane, nelle quali una comunicazione tra estranei può contemplare l'invasione dello spazio intimo e anche il contatto fisico.32 La regolazione dello spazio assume importanti significati a livello comunicativo, poiché può favorire i processi di intimità, di dominanza e d’interazione, per cui il counselor vi deve porre particolare attenzione.
Aptica L’aptica è costituita dai messaggi comunicativi espressi tramite contatto fisico. Il toccare un altro è un atto comunicativo NV primario, che influenza la
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natura e la qualità della relazione, e che esprime diversi atteggiamenti interpersonali. È un processo di riconoscimento che deriva dalla combinazione tra la percezione tattile, data dagli oggetti sulla superficie della pelle, e la propriocezione, che proviene dalla posizione della mano rispetto all’oggetto. Comprende forme comunicative sia codificate (la stretta di mano, il bacio sulle guance come saluto ad amici e parenti), che altre di natura più spontanea (un abbraccio, una pacca sulla spalla). Il contatto corporeo comunica inoltre, una relazione di dominanza e di potere. Di norma, le persone che occupano una posizione sociale dominante hanno la libertà di toccare chi è in posizione con minor potere, e non viceversa. In questo
senso,
il
contatto
corporeo
può
manifestare
incoraggiamento,
approvazione, incitamento o un rimprovero scherzoso. Al pari della prossemica, esistono rilevanti differenze culturali anche per l’aptica. La cultura araba e quella latina sono considerate culture del contatto mentre le culture nordiche, quella giapponese e quella indiana sono culture del non contatto. In ogni caso, il contatto corporeo rimane un atto comunicativo ambiguo,
soprattutto
nelle
culture
occidentali
poiché
trasmette
contemporaneamente diversi valori semantici e, l’attuale attenzione agli aspetti delle molestie sessuali, ha reso più problematica questa modalità comunicativa.33 Nello specifico dell’interazione tra counselor e cliente, l’aptica è comunque un aspetto a disposizione del counselor per rendere la sua azione di counseling più fluida, efficace e accogliente.
3.3.3. - Il Primo Incontro Il primo incontro è fondamentale per la buona riuscita del counseling. Ruota attorno a tre momenti principali: l’identificazione e il riconoscimento dei partecipanti, l’analisi della domanda, il contratto di counseling.
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L’identificazione e il riconoscimento dei partecipanti è il momento in cui avviene la presentazione di entrambe le parti. È il counselor che inizia, con una breve introduzione sul suo lavoro, fornendo recapiti telefonici ai quali può essere rintracciato e, eventualmente dicendo al cliente che cosa sa già di lui. L’analisi della domanda è fondamentale dato che non tutti i clienti, che si recano dal counselor affrontano direttamente il loro problema. Per questo motivo, è importante identificare la domanda di aiuto e capirla. La domanda, infatti, può essere centrale, ambivalente e opaca e paradossale. Nel caso in cui la domanda sia centrale, questa è esposta del cliente in modo esplicito. Definisce direttamente i confini e focalizza l’attenzione del counseling su quel determinato problema. La domanda ambivalente e opaca è posta, invece, da un cliente che vive il suo bisogno di aiuto come un fallimento, quindi si rivolge a un esperto perché riconosce di aver bisogno di aiuto ma nega, a se stesso e al counselor, questa stessa necessità. Il cliente rivolge una domanda confusa e contraddittoria in cui “dice ma non dice”. Nel caso in cui non sia il cliente stesso a chiedere l’aiuto del counselor, ma una terza persona che può essere un familiare, un insegnante, un amico, ecc. (committente) la domanda è paradossale. In questo caso è utile fare un colloquio a tre includendo la persona che ha fatto la richiesta per analizzare meglio la domanda in quanto, si può verificare la possibilità che sia il committente ad avere un problema con il potenziale cliente, oppure ancora, il potenziale cliente potrebbe rifiutarsi di voler partecipare ad una attività di counseling. “Il contratto di counseling consiste nella definizione dei traguardi, delle opportunità, dei vincoli e dei tempi del counseling, nonché dei metodi e dei percorsi da seguire per arrivare a tali traguardi.”34 Il contratto di counseling serve a definire in modo chiaro ed esplicito la relazione d’aiuto e la funzione delle parti interessate, a mettere i confini all’intervento di counseling, per focalizzare l’attenzione su uno o più specifici
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punti; ad evitare l’eccesso e la diffusione delle aspettative che devono sempre essere realistiche; a definire le norme e le modalità di lavoro quali gli orari, la durata, il luogo, il pagamento, ecc.
3.3.4. - Comportamenti di facilitazione del Counseling Ottimismo realistico. Nel linguaggio comune, è la disposizione psicologica che induce a scegliere e considerare prevalentemente i lati migliori della realtà, oppure ad attendersi uno sviluppo favorevole del corso degli eventi (in contrapp. a pessimismo): guardare con o. al presente, al futuro; riesce a considerare tutte le situazioni con o.; oggi non sono in vena di ottimismi; con sign. più ristretto, fiducia nella buona riuscita di un fatto, nell’evoluzione in senso positivo di una situazione, e sim.: attendere con o. il risultato di un concorso; non condivido il vostro o. sull’argomento; i fatti hanno confermato il nostro o.; notizie improntate a un cauto ottimismo (Vocabolario online Treccani). Una visione ottimistica consente al cliente di avere più fiducia nel futuro, senza porsi traguardi irraggiungibili. Bisogna focalizzare l’attenzione sugli aspetti positivi e vedere quelli negativi come occasionali. Nell’attività di counseling, si utilizzano varie tecniche, tra le quali la tecnica dello spiraglio di luce, la tecnica del fumetto e il diario giornaliero, per incoraggiare il pensiero positivo.
Senso di autoefficacia È la convinzione delle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessarie per gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno in un particolare ambiente, in modo da raggiungere gli obiettivi prefissati. È un potente fattore di promozione delle potenzialità del cliente. Il counselor per
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aiutare a potenziare il senso di autoefficacia propone degli obiettivi che possono essere raggiunti con l’impegno e invita il cliente a vivere come un successo ogni obiettivo raggiunto.
3.3.5. - Qualità del Counselor 1. Competenza intenzionale “Intenzionalità significa agire con una sensazione di competenza e decidere tra una gamma di azioni alternative. L’individuo intenzionale ha più di un’azione, pensiero o comportamento tra cui scegliere in risposta alle volubili situazioni della vita. L’individuo intenzionale può generare alternative all’interno di una data situazione e avvicinarsi a un problema da differenti punti di riferimento vantaggiosi, utilizzando una varietà di abilità e di qualità personali, adattando il suo stile per adeguarlo ai differenti individui e alle differenti culture.”.35 Il counselor deve essere una persona flessibile e saper adattare il suo approccio o metodo terapeutico alle caratteristiche del cliente, alla situazione che potrebbe non presentarsi nel modo previsto e non corrispondere alle aspettative. 2. Autorevolezza. Il counselor deve essere consapevole dei propri limiti e deve considerare il cliente parte attiva del processo. Deve principalmente osservare e ascoltare il cliente, proporgli delle soluzioni al suo problema senza però mai imporre il suo punto di vista. 3. Comprensione. Il counselor deve essere in grado di capire il cliente e ciò che gli viene raccontato senza giudicare e senza prendere decisioni affrettate. Il counselor comprensivo si mette dalla parte del cliente e gli permette di agire, di esprimersi e anche di sbagliare. Non va alla ricerca di un “colpevole”
57
bensì di una soluzione e prima di prendere una posizione approfondisce le sue conoscenze. 4. Alleanza. Il counselor deve far sentire al cliente di essere dalla sua parte, di essere suo alleato, poiché l’alleanza terapeutica è alla base della buona riuscita dell’intervento. Deve, però, fare attenzione a un’eccessiva o inadeguata assunzione di responsabilità: bisogna sempre tenere presente che il cliente stesso è parte attiva del processo e non bisogna assumersi le responsabilità al suo posto, bensì metterne alla luce le sue. 5. Competenza comunicativa. La competenza comunicativa permette di trarre il maggior numero di informazioni in conformità a ciò che viene detto dal cliente, che, secondo il principio di reticenza, non è obbligato a dire tutto ciò che sa o che pensa. Questo principio sancisce il diritto alla riservatezza del cliente e lo difende dal rischio di un’eventuale intrusività da parte del counselor, il quale si serve dunque della sua abilità
conversazionale36
per
capire
in
modo
appropriato
l’intenzione
comunicativa del cliente, evitando forme inutili di intrusione e d’invasione psicologica.
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4 - La mia esperienza Lo scopo dell’indagine è stato quello di evidenziare l’importanza del counseling logopedico, valutandone l’efficacia percepita dal cliente, al fine di verificarne l’utilità e la validità. Il problema che ci si è posto prima di realizzare questo progetto è stato: il counseling logopedico è realmente utile ed efficace nella relazione con il cliente? Per ottenere una risposta alla nostra domanda, si è deciso di utilizzare un questionario (riportato in Appendice), ritenuto il mezzo più efficace in quanto, permette rapidità nella raccolta delle informazioni e semplice elaborazione dei risultati. Il questionario è stato elaborato e in seguito, somministrato a un campione di 30 genitori che hanno portato i propri figli presso gli ambulatori del servizio di Deglutologia e Logopedia della Clinica ORL della AOU di Sassari, nel 2011. Il questionario, da compilare in forma anonima, contiene domande che rappresentano i punti di criticità per il nostro fine. È composto da semplici domande, espresse con un linguaggio chiaro, per facilitarne la comprensione e quindi la compilazione. Infatti, più un questionario è strutturato con un linguaggio semplice, quindi accessibile, minore sarà la possibilità di errore di interpretazione del genitore. In particolare, il questionario, è composto da una prima parte che raccoglie le informazioni generali del bambino (sesso ed età), e una seconda parte costituita da 12 domande a risposta multipla, così interessano: −
le conoscenze e le informazioni possedute dal genitore riguardo la disciplina
“logopedia”
prima
dell’arrivo
presso
il
nostro
ambulatorio; −
il rapporto genitore/bambino e in particolare la reazione del genitore alla patologia del figlio/a;
−
il rapporto genitore/logopedista;
59
−
la soddisfazione del genitore rispetto al nostro ambulatorio di logopedia;
−
le caratteristiche, che secondo il genitore, il logopedista dovrebbe possedere.
Il campione è costituto da 30 bambini, 18 maschi e 12 femmine, di età compresa tra i 2 e i 13 anni. ETA' 6%
3% 3%
3% 10%
2 anni 3 anni
13% 10%
4 anni 5 anni 6 anni 7 anni
16%
8 anni 20%
9 anni 10 anni
6% 10%
11 anni 13 anni
I bambini del campione hanno frequentato l’ambulatorio di Deglutologia e Logopedia della Clinica ORL della AOU di Sassari per trattamento logopedico o per consulenze logopediche.
60
Da quanto tempo usufruisce del servizo di logopedia? meno di un mese
13%
16% da 1 a 3 mesi
6%
da 3 a 6 mesi da 6 a 9 mesi
19%
36%
da 9 a 12 mesi
10%
più di un anno
Il campione è costituito da bambini affetti da varie patologie: deglutizione deviante, disturbo del linguaggio, balbuzie, sordità, insufficienza velo-faringea, disfagia, disturbo di apprendimento (domanda 5). disturbo del linguaggi
3% 3%
6%
3% 29%
insufficienza velofaringea deglutizione deviante balbuzie
3% 53%
disfagia sordità disturbo di apprendimento
Il medico specialista che indirizza maggiormente verso l’ambulatorio di Deglutologia e Logopedia della Clinica ORL della AOU di Sassari, è l’odontoiatra; infatti, 15 su 30 bambini presentano una deglutizione deviante (domanda 3).
61
14
5
4
otorino
5
iniziativa personale odontoiatra
1
1
neuropsichiatra infantile altro pediatra
in iz
ia tiv
a
al tro pe di at ra
ot or i pe n o rs ne o ur od na le op on sic to hi ia at t ra ra in fa nt ile
14 12 10 risposte 8 dei genitori 6 4 2 0
La quasi totalità dei genitori, che hanno portato i loro figli nel nostro ambulatorio, conosceva già la figura del logopedista (domanda 2) e sono arrivati presso l’ambulatorio, in media, con buone conoscenze (14/30) rispetto al percorso da affrontare. Solo un genitore ha affermato di aver ricevuto dallo specialista che l’ha inviato, insufficienti informazioni a riguardo (domanda 4). Le informazioni fornnitele, da chi l'ha inviata presso il nostro servizio, riguardola consulenza logopedica, sono state: 15 15 risposte dei genitori
10
8
5
5
1
1
0
sufficienti
st a
e
ris po
non risposta
n
ot tim
e on bu
nt i
ottime
no
su
ffi ci e
ti
buone
fic ie n in su f
insufficienti
La maggior parte dei genitori (21) hanno “accettato” il disturbo del proprio figlio. Questo dato probabilmente è legato al fatto che la maggioranza dei disturbi sono deglutizioni devianti, che sono disagi minori. Altre madri hanno risposto con “confusione” (2) e “ preoccupazione” (3). Solo una ha ammesso di aver reagito
62
con “disperazione” e una con “negazione”. Nessuna dice di aver reagito con “rabbia” davanti al problema.
Come ha reagito davanto alla necessità di trattamento logopedico di suo figlio?
9%
3%
3%
6%
0%3%
confusione rabbia disperazione accettazione preoccupazione negazione
76%
non risposra
Nella maggior parte dei casi (20), l’incontro con la logopedista non ha modificato le attese genitoriali nei confronti del bambino. Questo risultato è probabilmente dato da una formulazione poco chiara della domanda 7, poiché: •
le altre risposte riguardanti la comunicazione e il rapporto con il logopedista sono sempre positive e più che positive;
•
le risposte aperte date, dai genitori, alla seconda parte della domanda 7 fanno pensare che questa sia stata interpretata in maniera diversa da come era stata concepita. In particolare, lo spazio dedicato per eventuali approfondimenti è stato
compilato 6 volte su 9 casi totali: − “ho scoperto che il bambino ha maggiori capacità di ascolto, comprensione e immagazzinamento delle informazioni di quanto mi aspettassi” (deglutizione deviante.)
63
− “la logopedista mi ha spiegato che c’era questo problema e che si poteva risolvere”; (deglutizione deviante.) − “pensavo che alcuni tipi di abitudini non si potessero cambiare e che la bambina non collaborasse ma mi sbagliavo” (deglutizione deviante); − “prima non sapevo cosa aspettarmi, adesso mi sento più sicura di interagire sul problema del bambino” (disturbo del linguaggio); − “seguendo la terapia, la bambina riesce a superare le difficoltà in modo progressivo, e magari anche totale” (disturbo del linguaggio); − “mi aspetto un migliore sviluppo del linguaggio e delle competenze verbali” (sordità).
L'incontro con la logopedista ha modificato le sue aspettative nei confronti di suo figlio? 3% 32%
si no non risposta 65%
64
L’aiuto fornito dal logopedista nell’affrontare il disagio del bambino risulta sempre positivo e nella maggior parte dei casi più che positivo. Questi, sono dati molto incoraggianti, poiché concernono la soddisfazione del cliente riguardo al rapporto e l’alleanza terapeutica instaurati con il logopedista, punti centrali della nostra indagine.
Come è stato l'aiuto fornitole dalla logopedista per affrontare il percorso diagnostico di suo figlio/a? 14
14
14 12 10 risposte dei genitori
8
insufficiente
6 4
suffciente
3
buono
2
ottimo ot ti m o
o bu on
in su ffi ci en te su ffc ie nt e
0
Anche per quanto riguarda la domanda 9, concernente l’esposizione della pianificazione del trattamento e gli obiettivi, i risultati ottenuti sono molto positivi: non ci sono state risposte che l’hanno definita insufficiente, bensì la maggior parte delle risposte date sono state “buono” e ottimo”.
65
In che modo le sono stati esposti la pianificazone del trattamento e gli obiettivi da raggiungere? 15 16 13 14 12 risposte dei genitori
10 insufficiente
8 6
suffciente
2
4
buono
2
ottimo
in su f
ot
tim o
on o bu
su f
fic
ie nt e
fc ie nt e
0
Rispetto i momenti di colloquio individuale, questi sono stati programmati, all’interno delle sedute logopediche, nella maggior parte dei casi e, sono stati ritenuti molto, o comunque sempre sufficientemente informativi. Per quanto riguarda i no (9/21), la maggior parte si riferiscono a bambini con deglutizione deviante, per i quali non sempre è indispensabile un colloquio individuale con i genitori; due casi sono invece rappresentati da disturbo del linguaggio, entrambi seguiti da poco, e per i quali probabilmente non c’è stato ancora modo di organizzare un colloquio. I momenti di colloquio individuale sono stati: 13
14
9
12 10
per niente informativi poco informativi
8
risposte dei genitori
6 4
sufficientemente informativi molto informativi
2 in fo ffi rm ci en at iv te i m en te in fo rm at iv i m ol to in fo rm at iv i
po co
su
pe rn ie nt e
in fo r
m
at iv i
0
66
La totalità dei casi dice che consiglierebbe ad altri di rivolgersi presso il nostro ambulatorio. Questo è un indice molto importante, rilevante la soddisfazione del cliente. Consiglierebbe a parenti o amici di rivolgersi presso il nostro servizio?
0%
si non so no
100%
Tra le qualità ritenute importanti per figura del logopedista, le più frequenti sono: −
abilità professionale di tipo tecnico
−
preparazione scientifica e culturale
−
capacità di ascolto
−
disponibilità umana
67
Qualità del logopedista 20 18
preparazione scientifica e culturale disponibilità umana
19
18 16
17
capacità di ascolto
15
16
gentilezza
14
pazienza
12 risposte 10 dei genitori 8 6 4
abilità professionale di tipo tecnico autorià
3 1
2
capacità di mettersi nei panni dell'altro
0 a o à ro a a o le an z z enz c nic tori ll 'al t olt ra i u um asc nti le ltu e e z a t d u a c i o p ità di ge e nn ti p bil i tà ni pa c di ic a ti f i spo apa le ei n a n n i d c ie io rs sc te ss et ne fe o o i m r p az di à à ar i li t ci t ep pr ab pa a c
In particolare, è stato fatto un confronto tra le qualità evidenziate dai genitori di bambini con deglutizione deviante e da quelli con disturbo del linguaggio: i genitori di bambini con disturbo del linguaggio ricercano maggiormente le competenze tecniche quali “preparazione scientifica e culturale” e “abilità professionale di tipo tecnico” mentre, i genitori di bambini con disturbo del linguaggio ricercano nella figura della logopedista soprattutto qualità quali, “disponibilità umana” e “capacità di ascolto”. Questo correla con il tipo di patologie e con le conseguenti abilità e capacità che la logopedista deve utilizzare secondo il caso.
68
12
12 9
10
7
8 risposte dei genitori
6
6 66
5 5
6 4
3
3
2
deglutizione deviante
pr
ep ar az io ne
sc ie nt i fi c di a e sp on cu l c a ibil tura pa ità le ci um ab t à i li an di tà as a pr c of ge olto es ca n s ti l pa io e na ci pa z za tà le zi di di m ti p enz et a o te te rs cn in ic ei pa au o t o nn i d ri à el l'a l tr o
0
1
disturbo del linguaggio
Questi risultati evidenziano che il cliente richiede che il professionista al quale si rivolge sia, non solo competente nel suo lavoro ma, anche “umano”, che sappia ascoltare e sia disponibile a farlo.
69
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