Il Movimento femminista in Francia negli anni sessanta e settanta

Page 1

A.D. MDLXII

U N I VE RS I T À F ACOLTÀ

DI

D E G LI S TU DI D I S AS S A RI L INGUE E L ETTERATURE S TRANIERE ___________________________

CORSO DI LAUREA IN M EDIAZIONE LINGUISTICA CURRICULUM PER LA COMUNICAZIONE E LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

IL MOVIMENTO FEMMINISTA IN FRANCIA NEGLI ANNI SESSANTA E SETTANTA. GRUPPI, PRATICHE, STRATEGIE

Relatrice: PROF.SSA FIAMMA LUSSANA

Correlatore: DOTT. GIORGIO SALE

Tesi di Laurea di: FRANCESCA CONTU

ANNO ACCADEMICO 2011/2012



“Non si trasforma la propria vita senza trasformare sé stessi”. da Une femme rompue, Simone de Beauvoir.

A Patrizia, Gianni, Alessando e Anna.

1



Indice

Introduzione .......................................................................................................... 3

I.

La Francia nella V Repubblica ....................................................................... 5

II. Il movimento femminista francese ................................................................... 8 2.1 Le origini .................................................................................................... 8 2. 2 I caratteri del movimento ........................................................................... 9 2.3 Gli obiettivi principali............................................................................... 13 2.4 Il Mouvement de LibĂŠration des Femmes (MLF) ..................................... 15

III. Il Sessantotto studentesco e il movimento delle donne ................................ 20

Considerazioni conclusive .................................................................................. 27

Bibliografia ......................................................................................................... 29

2



Introduzione “La femmina è femmina in virtù di una certa assenza di qualità”, diceva Aristotele. “Dobbiamo considerare il carattere delle donne come naturalmente difettoso e manchevole”; e San Tommaso ugualmente decreta che la donna è “un uomo mancato”, un essere “occasionale”. Proprio questo vuole simboleggiare la storia della Genesi in cui Eva appare ricavata da un osso “in soprannumero di Adamo”1.

In queste poche righe, che la scrittrice, saggista e filosofa Simone de Beauvoir, considerata a ragione la “madre” del femminismo francese, scrisse nell’introduzione del suo celebre Le Deuxième Sexe, è condensato il pregiudizio sull’inferiorità della donna da parte di alcuni fra i più noti pensatori di un passato ormai lontano, ma che non cessano di influenzare e alimentare la riflessione moderna. Nella sua opera, tradotta in tutto il mondo, la de Beauvoir voleva mostrare come questo “soggetto irritante”2 – come lei stessa lo definì – venisse visto e considerato dall’esterno, in particolare dall’uomo: alla fine della sua analisi profonda e documentata l’autrice arriva a decretare che, dal punto di vista biologico, psicologico e storicomaterialistico le donne sono sempre state valutate come esseri inferiori e subordinati all’uomo. Tale concezione si era già affermata nelle società primitive, nelle quali era chiara la differenza tra Sé (l’uomo) e l’Altro (la donna). Le società che si sono succedute nel corso dei secoli hanno sempre suggellato la differenza fra i due sessi, discriminando le donne e privandole dei loro diritti più elementari. I due sessi non hanno mai convissuto nel mondo come pari, come eguali. Ci sono voluti secoli e secoli di evoluzione storica e culturale per poter cambiare le cose e si può dire con sicurezza che il percorso portato avanti dalle donne che inseguivano la parità di diritti, non è stato dei più facili. La conquista da parte delle donne di una consapevolezza della propria soggettività e dei propri diritti ha avuto, nella storia, delle tappe fondamentali: possiamo collocare a cavallo tra Ottocento e Novecento l’insorgere di un primo movimento attraverso il quale le femministe francesi (e quelle di altri contesti europei) si sono battute duramente e tenacemente per il raggiungimento della parità dei diritti – soprattutto per il diritto di voto – e per un eguale trattamento rispetto all’uomo nella 1 2

S. de Beauvoir, Le Deuxième Sexe, Gallimard, Paris 1949, p. 15. Ivi, p. 13.

3


sfera familiare e nel mondo del lavoro. Le lotte per la parità, pur fondamentali, hanno spesso rischiato di appannare, rimuovere, mettere in sordina l’altrettanto necessario riconoscimento della specificità femminile. Fu essenzialmente questa la critica che le femministe della deuxième vague mossero alle loro antenate a cui proposero in alternativa – e in maniera innovativa – l’idea della distinzione dei sessi. Ed è proprio sulla deuxième vague che questo lavoro si sofferma, ovvero sul femminismo francese della generazione innovativa e trasgressiva degli anni Sessanta e Settanta. Abbiamo analizzato il percorso e le modalità espressive del movimento femminista francese, che con la sua dirompente carica di energia è riuscito a scuotere profondamente la società, influenzando con il suo messaggio radicale anche altri femminismi europei e raggiungendo importanti obiettivi immediati e di lunga prospettiva. Innanzitutto si è cercato di esaminare il contesto storico e anche quello socioculturale nel quale il movimento femminista francese si è sviluppato, analizzando quindi sia gli aspetti che favorirono la scesa in campo delle donne, sia le conseguenze che essa ebbe sulla società del tempo. Il secondo capitolo si incentra sul movimento femminista francese vero e proprio, soffermandosi sulle sue origini storiche e culturali e sui caratteri che lo distinsero rispetto ai movimenti degli altri paesi europei; abbiamo quindi analizzato specificamente i principali obiettivi che i diversi gruppi si sono posti, primo fra tutti quello di scardinare l’autoritarismo patriarcale della società. Ci siamo in particolare soffermate su uno dei gruppi principali che animarono il movimento femminista francese, il Mouvement de Libération des femmes (MLF), di cui vengono presentate le differenti tendenze interne. Infine, nel terzo capitolo, si è cercato di approfondire quello che è stato considerato l’evento-simbolo del Sessantotto mondiale, cioè il “Maggio francese”, affiancando l’analisi del Sessantotto studentesco alle origini e allo sviluppo del movimento femminista e mettendo in luce in particolare le affinità e le differenze fra i due più rilevanti movimenti collettivi del secondo Novecento.

4


I. La Francia nella V Repubblica Con il nome di V Repubblica si indica l’ordinamento che lo Stato francese adottò nel 1958 e che è in vigore ancora oggi. Essa nacque dalle ceneri della IV Repubblica, il cui atto conclusivo fu il referendum popolare del 28 settembre 1958, quando fu approvato il disegno di legge sulla riforma costituzionale. L’esito del referendum si tradusse in un unanime voto di fiducia a favore del generale De Gaulle, eletto capo del governo nel giugno dello stesso anno: il disegno di legge per riformare la Costituzione del 1946 era stato infatti stilato dallo stesso De Gaulle con l’intento di porre fine a un sistema parlamentare debole e diviso con un più forte e centralizzato sistema semipresidenziale (che si rafforzò nel 1962 con l’elezione del presidente a suffragio universale diretto), così detto in quanto prevedeva maggiori poteri al capo dello Stato. La causa principale della nascita della V Repubblica fu la crisi algerina: infatti la guerra d’Algeria, che si protraeva dal 1954 e che vedeva opposti l’esercito francese e gli indipendentisti algerini del Front de Libération National (FLN), costituì un episodio chiave della decolonizzazione francese. All’indomani della sconfitta in Indocina (maggio 1954), con la conseguente perdita delle colonie sud asiatiche, la Francia non voleva perdere una colonia tanto importante come l’Algeria, dove una numerosa popolazione francese si opponeva a qualsiasi tentativo indipendentista del FLN. De Gaulle, chiamato a superare la crisi, cercò di mediare tra i due fuochi, ma la situazione, già delicata, si incrinò quando le pressioni internazionali per garantire l’indipendenza dell’Algeria si moltiplicarono, procurando al FLN consensi e sicurezza. La svolta avvenne nella notte tra il 21 e 22 aprile del 1961, quando un gruppo di generali francesi, contrari ai progetti di negoziazione segreti tra i due governi, organizzò un colpo di Stato ad Algeri: il fallimento di questo atto si deve soprattutto agli accorati appelli di De Gaulle. Gli accordi di Évian, nel maggio 1961, e il referendum sull’indipendenza tenutosi l’anno dopo, furono gli atti conclusivi di questa cruenta guerra che vide finalmente De Gaulle proclamare l’Algeria indipendente il 3 luglio 1962.

5


Presidente della Repubblica dal dicembre del 1958, il generale rafforzò ulteriormente la sua posizione, battendo Mitterrand nelle elezioni del 1965 e trovandosi quindi a gestire il paese proprio nel bel mezzo del boom economico. ‘Les trente glorieuses’- il trentennio glorioso-, così fu definito il periodo di forte crescita economica che la maggioranza dei paesi sviluppati membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) conobbe tra il 1945 e il 1973. Un’incredibile ricostruzione economica dei paesi distrutti dalla guerra, una forte crescita della produzione industriale dovuta a un più facile accesso alle energie fossili e, infine, l’espansione demografica - il baby boom - rappresentarono i maggiori mutamenti della società francese dell’epoca. De Gaulle, il cui intento principale era quello di ripristinare la grandezza della Francia, decise di mutare profondamente la politica internazionale del suo paese: innanzitutto praticò una politica europeista, affermando, nel pieno della Guerra fredda, l’autonomia, sia dal blocco sovietico, sia dal dominio statunitense. A questo scopo, già nel 1958, aveva dotato il paese di proprie risorse nucleari, la cosiddetta force de frappe forza d’urto -, che fu un vero e proprio pilastro della politica di difesa francese nonché lo strumento per affermare, sulla scena internazionale, il fatto che la Francia non dipendeva da nessun altro paese per quanto riguardava la propria sopravvivenza. In secondo luogo De Gaulle ostacolò più volte l’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità economica europea (CEE). Il paese, infatti, da sempre era considerato la longa manus degli Stati Uniti, con cui il generale tagliò ulteriormente i rapporti nel 1966, abbandonando l’alleanza militare della NATO. Pur essendo così determinato e propositivo in ambito internazionale, De Gaulle si mostrò invece più incerto e titubante nell’ambito della politica interna. Il nazionalismo d’altri tempi e la sua politica estera di grandeur non erano più in sintonia con le aspettative sia d’ordine materiale che d’ordine sociale e culturale della maggioranza dei francesi: la “stanchezza” dell’opinione pubblica di fronte alla situazione politica si unì al forte scontento riguardo l’economia. Nonostante, come abbiamo già accennato, si fosse all’apogeo del trentennio glorioso, iniziavano ad affiorare i primi sintomi negativi, come l’aumento della disoccupazione specie tra i giovani, l’inizio di scioperi e manifestazioni contro i salari bassi e la crisi del settore minerario. A ciò si aggiunsero molto repentinamente, nell’ambito culturale, una serie di mutamenti senza precedenti che videro i giovani

6


sempre più intenzionati ad affermarsi come categoria socio-culturale e politica autonoma che rivendicava a gran voce, attraverso i mass media, i propri diritti. Furono anni nei quali ogni piccola categoria sociale da sempre rimasta nell’ombra cercò di emergere con dibattiti, rivolte, manifestazioni, scioperi, arrivando talvolta fino al ricorso della violenza. L’ondata del “Maggio” francese del 1968 fu un insieme di movimenti di rivolta provenienti da diversi ambiti, che mise a dura prova il paese, soprattutto a causa del più grande sciopero generale della V Repubblica. Per diverse settimane De Gaulle stette inerme davanti una Francia paralizzata su ogni fronte: fu il primo ministro Georges Pompidou, che riuscì a padroneggiare la situazione. Egli decise di non attuare alcuna repressione violenta nei confronti degli studenti - soluzione di cui invece era convinto sostenitore De Gaulle - accettando le loro rivendicazioni e concludendo con le principali organizzazioni sindacali gli accordi di Grenelle per agevolare l’uscita della Francia dalla situazione di stallo. La fermezza di Pompidou, messa a confronto con l’“assenza” dell’ormai quasi ottantenne De Gaulle, fu decisiva nel referendum indetto per la riforma del Senato, svoltosi nel 1969. Visto l’esito referendario, il generale si dimise dalla sua carica con effetto immediato. La presidenza passò a Pompidou, che cercò di garantire la stabilità interna dopo i tumulti sessantottini e seguì, per quanto riguarda la politica estera, la politica indipendentista affermatasi nel periodo gollista. In questo egli trasse beneficio soprattutto dai rapporti con i paesi arabi. Il periodo del suo mandato, caratterizzato da prosperità e crescita economica, non giunse però a termine. Pompidou morì infatti nel 1974 in seguito all’acutizzarsi di una malattia che lo affliggeva da anni. Il suo successore Valéry Giscard d’Estaing fu eletto il mese successivo: egli nominò primo ministro Jacques Chirac. Le innovazioni più importanti che il nuovo presidente apportò nella società, e che caratterizzarono positivamente tutto il periodo del suo mandato, furono di stampo progressista (per esempio, durante il suo mandato fu approvato dal Parlamento l’abbassamento della maggiore età a 18 anni) e di grande importanza sul piano delle conquiste dei diritti delle donne. Infatti, due donne dalla forte personalità entrarono a far parte del governo: Simone Veil, che nel 1975, come ministro della Sanità, riuscì a legalizzare l’interruzione volontaria della gravidanza, e la giornalista e scrittrice Fraçoise Giroud, che assunse la guida del ministero degli Affari femminili. Giscard d’Estaing terminò il suo mandato nel 1981.

7


II. Il movimento femminista francese 2.1 Le origini Osservando la società occidentale nei decenni dopo la seconda guerra mondiale si può notare quanto l’universo femminile abbia creato un certo scompiglio. In Francia, in particolare, un primo femminismo - nato alla fine del XIX secolo - si era assopito nel 1944 dopo la conquista del diritto al voto da parte delle donne francesi; ma nel 1949, la pubblicazione de Le Deuxième Sexe3 di Simone de Beauvoir stimolò la rinascita di nuovi ideali e obiettivi. Nel 1956, per esempio, alcune militanti femministe fondarono l’associazione Maternité heureuse, antenata del Mouvement Français pour le Planning Familial; in seguito, nella prima metà degli anni Sessanta, fu creato il Movimento democratico femminile in favore della legalizzazione della contraccezione mentre, nel 1967, con la legge Neuwirth, la pillola contraccettiva venne autorizzata. Il femminismo, o meglio questa nuova ondata di femminismo colpì l’opinione pubblica, divenendo “l’emblema della rinnovata - e in gran parte inattesa - capacità delle donne di rivendicare i propri diritti”4. Ma, all’indomani delle prime conquiste, molte militanti giudicarono questi movimenti troppo conformisti e tentarono delle nuove forme d’azione. In questo senso il ’68 fu un vero e proprio acceleratore di eventi. La deuxième vague del femminismo fece irruzione sulla scena francese a Parigi il 26 agosto del 1970, quando un gruppo di donne depose sotto l’Arco di Trionfo una corona di fiori in memoria della moglie del milite ignoto e una seconda corona su cui si leggeva un’osservazione di grande effetto: “metà degli uomini sono donne”. Questo atto di rivendicazione e di denuncia femminista diede avvio all’année zéro del femminismo, come fu considerato il 1970, che vide la nascita di uno dei più rilevanti gruppi francesi, il Mouvement de libération des femmes. Nell’autunno dello stesso anno, le donne francesi iniziarono a riunirsi all’École des Beaux-Arts di Parigi, divenuto un vero e proprio quartier generale delle avanguardie dell’epoca. Attraverso queste importanti assemblee generali che si tenevano due volte al mese, si espresse la volontà delle donne 3

Cfr. S. de Beauvoir, Le Deuxième Sexe, Gallimard, Paris 1949. Y. Ergas, La costituzione del soggetto femminile: il femminismo negli anni ‘60/’70 in G. Duby, M. Perrot (a cura di), Storia delle donne, V, Il Novecento, a cura di F. Thébaud, Laterza, Roma -Bari 1992, p. 564. 4

8


di analizzare la specificità della loro condizione e di trovare i più giusti ed efficaci metodi per farlo.

2. 2 I caratteri del movimento All’interno del movimento femminista francese si distinsero nettamente le tendenze radicali, socialiste e liberali, cosicché parve chiaro come il femminismo fosse un fenomeno in linea con le varie ideologie politiche dell’epoca. Se da una parte le femministe radicali parlarono di autonomia femminile con toni che “riecheggiavano i termini usati dai movimenti anticolonialisti di liberazione nazionale”5, al contrario le femministe socialiste portarono avanti la loro analisi inserendola all’interno del concetto del conflitto di classe; furono però le femministe liberali a distinguersi per aver sottolineato l’importanza del raggiungimento della parità dei diritti, nelle strutture politiche e sociali. La rivendicazione principale fu l’affermazione dell’uguaglianza dei diritti con l’obiettivo di creare una sensibilità generale indifferente al “genere”: in tale interpretazione però, i “femminismi della differenza” - rappresentati dal gruppo Psychanalyse et Politique e da autrici come Luce Irigaray - restavano esclusi. Queste frange “egualitarie” si contrapposero fortemente alla “mascolinizzazione” della donna, ovvero a quella forma di separatismo che enfatizzava le specificità sessuali. Si accentuò così il dibattito sulla questione dell’identità, incentrato sulla modalità con cui i soggetti femminili avrebbero dovuto definirsi. “Qu’est-ce-qu’une femme?”, si chiedeva Simone de Beauvoir all’inizio della sua indagine su Le Deuxième Sexe. Il testo divenne un importante riferimento per le donne francesi, e in seguito per tutte le donne occidentali, poiché rappresentò, grazie alle discussioni che suscitò e alla nascita di nuove sensibilità, una tappa fondamentale nell’analisi del mutamento dell’universo femminile. Il saggio suscitò critiche durissime (il Vaticano lo mise all’indice), mentre le donne, soprattutto le giovani borghesi colte e benestanti - eppure oppresse - si riconobbero nelle idee espresse dall’autrice: negli anni Sessanta l’opera di Simone de Beauvoir divenne così “il testo da cui nessun pensiero femminista poté prescindere”6. Nel suo imponente volume, Simone de Beauvoir si interrogò circa le cause dell’oppressione della donna e tracciò un percorso tematico che toccava la filosofia, 5 6

Y. Ergas, op.cit., p. 572. E. Guerra, Storia e cultura politica delle donne, Archetipolibri, Bologna 2008, p. 151.

9


l’antropologia, la psicologia, la biologia e la letteratura. La sua tesi rivoluzionaria - a cui arrivò dopo l’analisi di numerose teorie, tra le quali quella marxista del lavoro, la prospettiva esistenzialista sul soggetto e la nozione hegeliana del riconoscimento identitario - riguardava l’inesistenza di una natura femminile precostituita: non era lo status biologico e psicologico a definire il destino della donna; infatti, l’autrice dimostrò come i condizionamenti subiti abbiano portato le donne a convincersi di avere una natura debole e fragile e di conseguenza ad accettare il loro ruolo sociale inferiore. Per Simone de Beauvoir erano il pensiero e la cultura maschile a definire quel destino sociale della donna, che assumeva la funzione di Altro malgrado “da un punto di vista biologico non sarebbe possibile stabilire la supremazia di uno dei sessi riguardo alla funzione che compie per perpetuare la specie”7. Il discorso sulla natura dei sessi fu una delle questioni che più caratterizzò il movimento femminista francese. Quando il tema della sessualità emerse come nodo centrale da sciogliere, infatti, i momenti di aggregazione e di comunicazione tra le femministe francesi divennero più ricchi e più complessa divenne l’analisi sui valori femminili e sulla percezione del corpo femminile. In questo senso la pratica dell’autocoscienza, avviata negli Stati Uniti intorno al 1966, ebbe grande riscontro nei gruppi francesi, poiché sottolineava l’importanza dell’andare oltre l’impostazione patriarcale data da Sigmund Freud all’analisi della sessualità femminile. In Psicoanalisi e Femminismo8, testo chiave per comprendere le connessioni e le discordanze tra queste due tendenze, l’autrice fa una rilettura di Freud in cui valorizza la scoperta dell’inconscio e dei suoi meccanismi per il processo di differenziazione dell’identità sessuale. Una parte del movimento politico avviò quindi una riflessione, oltre che dei principali testi freudiani, anche di quelli del francese Lacan, trasformando la ricerca analitica in una pratica femminista. Un grande contributo di riflessione teorica sulla sessualità femminile venne inoltre dalla lettura di Speculum9, della scrittrice Luce Irigaray, dove si analizza quello che venne definito il “continente nero”, cioè l’enigma della femminilità nei termini in cui era presentata all’interno della logica dominante. Per l’autrice, essere donna “era stato regolato sui paradigmi

7

S. de Beauvoir, Le Deuxième Sexe, Gallimard, Paris 1949, p. 62. Cfr. J. Mitchell, Psicoanalisi e femminismo. Freud, Reich, Laing e altri punti di vista sulla donna, Einaudi, Torino 1976 (ed. or. Pantheon Books, New York 1974). 9 Cfr. L. Irigaray, Speculum. De l’autre femme, Editions de Minuit, Paris 1974. 8

10


determinati da soggetti maschili, pertanto il femminile era ciò che si decifrava come interdetto, come luogo in cui viveva il significato più ignoto dell’essere umano”10. La pratica dell’autocoscienza, che emerse come strumento fondamentale intorno al quale si sono costituiti tutti i movimenti femministi contemporanei, implicava il riconoscimento e il racconto delle esperienze personali e veniva praticata in particolare da piccoli gruppi di donne, accomunate dal desiderio di dar voce alla propria soggettività. Il piccolo gruppo era la struttura più diffusa del movimento e si formava proprio quando, all’interno dei collettivi, nasceva il bisogno dell’autocoscienza. Queste formazioni ridotte, quindi, costituivano l’organizzazione di base della pratica politica delle donne, che nasceva spontaneamente per dar luogo a “un’elaborazione di contenuti su cui costruire una teoria dell’oppressione femminile”11. Anche sulla questione dell’autocoscienza vi furono, tuttavia, posizioni divergenti all’interno dei diversi movimenti femministi, in particolare in quello francese, dove la pratica autoriflessiva fu ritenuta soltanto la prima di una serie di pratiche attraverso cui investigare la propria vicenda soggettiva: la sola autocoscienza, infatti, rischiava di creare un cerchio chiuso e fine a se stesso. Al contrario, il punto cardine del movimento femminista francese fu rappresentato dalla pratica dei rapporti tra donne, ritenuta necessaria e, anzi, indispensabile per “cercare un raccordo possibile con la realtà sociale e politica, ritrovando e rivalutando il rapporto con la figura materna, la forma originaria della relazione con le proprie simili”12. Il conflitto derivato dal rapporto con la figura materna fu anch’esso parte integrante dello sforzo delle francesi per ridefinire la soggettività femminile: la pratica dell’amore tra donne rimandava, infatti, al rapporto con il corpo della madre e si rifletteva nel bisogno di rivivere, in qualche modo, l’esperienza del rapporto tra due corpi femminili. Le francesi arrivarono a teorizzare l’omosessualità come un’esperienza fondamentale che implicava sia rapporti sessuali - esclusivamente tra donne quindi - sia legami sociali di preferenza femminili; il lesbismo divenne una vera e propria strategia politica.

10

M Fraire (a cura di), Lessico politico delle donne, III, Teorie del femminismo, Fondazione Elvira Badaracco - Franco Angeli, Milano 2002, p. 45. 11 Ivi, p. 61. 12 F. Lussana, Le donne e la modernizzazione. Il neofemminismo degli anni settanta, in Storia dell’Italia repubblicana, III, L’Italia nella crisi mondiale. L’ultimo ventennio, t. 2, Istituzioni, politiche, culture, Einaudi, Torino 1997, p. 542.

11


Riecheggiavano nella mente delle francesi le parole di Olympe de Gouges nella sua Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne (1791): «le donne saranno sempre divise le une dalle altre? Non formeranno mai un tutto unico?»13. Infatti per loro «formare un tutto unico» costituiva il frutto di una decisione politica che portava in primo piano vari problemi, come quello del rapporto con la madre e con il suo corpo, la percezione di sé, l’atteggiamento verso la propria sessualità e la propria maternità. Il movimento femminista francese elaborò questi delicatissimi temi sia attraverso i gruppi di espressione corporale, nei quali la danza e il mimo, per esempio, divennero fondamentali per l’espressività femminile, sia attraverso la vita in comune e l’amore tra donne: quest’ultimo aspetto non fu però considerato come una “sessualità genitale”, ma piuttosto una sessualità diffusa su tutto il corpo. Le teorie femministe delle francesi ebbero vasta risonanza in campo internazionale e influenzarono i movimenti femministi di altri paesi: in Italia alcuni gruppi femministi, come DEMAU, l’Anabasi, Rivolta femminile, si confrontarono con le pratiche delle francesi, assimilandole o criticandole apertamente. I convegni femministi che si tennero, sia in Francia che in Italia nel corso degli anni Settanta (a La Tranchesur-mer, in Vandea, al Chateux de Vieux -Villez, a Pinarella di Cervia, a Varigotti), si rivelarono importanti occasioni di incontro fra le francesi e le italiane. Il femminismo italiano, chiuso dapprima nella pratica dell’autocoscienza, cambiò orizzonte proprio dopo questi grandi convegni nazionali e internazionali. Come raccontarono alcune militanti milanesi in un numero del giornale femminista Sottosopra: L’amore tra donne rappresentava il recupero della sessualità femminile, finalmente non più imprigionata nel desiderio maschile. Molte donne che abbiamo incontrato si professavano apertamente omosessuali motivando questa scelta con il lavoro politico […] le francesi dicevano: le nostre manifestazioni affettuose erano in funzione del recupero della nostra sessualità14.

13

O. de Gouges, Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne, in Les Droits de la Femme, 1791, p. 19. 14 Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti. La generazione della libertà femminile nell’idea e nelle vicende di un gruppo di donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1987, p. 45.

12


2.3 Gli obiettivi principali Le questioni che le femministe d’oltralpe affrontarono nel corso degli anni Settanta e Ottanta furono molteplici: dal pressante problema del lavoro femminile, sia fuori che dentro casa, alla questione della cura dei figli; dall’autoritarismo patriarcale in seno alla famiglia, alla mancanza di qualifiche e di istruzione per le donne. Ma fu alla “politica del corpo” che il movimento femminista francese dedicò maggiore energia e profondità di elaborazione, focalizzando in particolare l’attenzione sulle questioni dell’aborto e della violenza sessuale. La maîtrise du corps - la padronanza del proprio corpo - costituì uno degli obiettivi principali, tanto che, nel 1973, si venne a formare il Mouvement pour la Liberté de l’Avortement et de la Contraception (MLAC) che si batté per il libero accesso alla contraccezione e per l’interruzione volontaria della gravidanza in cliniche specializzate. Sia i metodi anticoncezionali che le pratiche abortive avrebbero dovuto ottenere il riconoscimento da parte della Securité Sociale. All’inizio del decennio Settanta, la Francia assistette a numerosi eventi mediatici che ebbero un forte impatto su tutta la società e da cui scaturirono anche importanti effetti politici. Il primo fondamentale episodio riguarda la pubblicazione del famoso Manifeste des 343. Si tratta di una sorta di petizione, pubblicata il 5 aprile del 1971 dal Nouvel Observateur, e firmata da 343 donne francesi che ammisero di essersi sottoposte ad aborto, esponendosi così al giudizio di una società che, a quell’epoca, condannava alla prigione chi commetteva quello che era considerato un vero e proprio crimine. Il manifesto, sottoscritto, fra le altre, anche da Simone de Beauvoir, iniziava così: Un million de femmes se font avorter chaque année en France. Elles le font dans des conditions dangereuses en raison de la clandestinité à laquelle elles sont condamnées, alors que cette opération, pratiquée sous contrôle médical, est des plus simples. On fait le silence sur ces millions de femmes. Je déclare que je suis l'une d'elles. Je déclare avoir avorté. De même que nous réclamons le libre accès aux moyens anticonceptionnels, nous réclamons l'avortement libre15.

A seguire, le 343 firme tra le quali spiccavano quelle di personalità francesi del mondo dello spettacolo come Catherine Deneuve, della cultura, come Simone de Beauvoir, Marguerite Duras, e della società, come Antoinette Fouque e Gisèle Halimi16, avvocato, militante femminista, nonché propagandista del manifesto. Quest’ultima propose alle co-firmatarie di unirsi tutte assieme nel caso qualcuna fosse denunciata, 15 16

Manifeste des 343, in “Le Nouvel Observateur”, 5 avril 1971. Cfr. infra.

13


ponendo quindi le basi ideologiche dell’associazione Choisir la cause des femmes, fondata poco dopo insieme a Simone de Beauvoir, Christiane Rochefort e al premio Nobel per la Medicina Jacques Monod. Il secondo evento che catalizzò l’opinione pubblica francese sulla questione delicata dell’aborto, direttamente collegato anche all’associazione Choisir, fu il processo di Bobigny. Nel 1972, infatti, Gisèle Halimi prese le difese di Marie Claire Chevalier, una ragazza di sedici anni accusata di aver abortito - dopo aver subito una violenza - con la complicità e l’aiuto della madre. L’intero processo divenne una cause celèbre a livello mediatico soprattutto per la difesa estrema che la Halimi portò avanti accusando l’ingiustizia delle legge del 1920 contro l’aborto: in particolare sottolineò come quella legge costringesse le francesi - o meglio quelle che non potevano permettersi di recarsi in Svizzera o in Inghilterra - a ricorrere all’aborto clandestino, esponendosi così al rischio della vita. Marie Claire, alla fine, fu assolta. La madre fu costretta a pagare un’ammenda di cinquecento franchi e la donna che praticò l’aborto fu condannata a un anno di carcere. Il processo di Bobigny ebbe come conseguenza l’avvio di un dibattito serrato sulla necessità di approvare in tempi rapidi una nuova normativa che ponesse fine alla piaga degli aborti clandestini. La legge che, in Francia, regolamenta l’aborto, detta legge Veil, dalla sua promotrice, fu approvata dal Parlamento nel 1975. Ovviamente, come si è già accennato, le campagne per l’aborto furono spesso accompagnate dalle mobilitazioni contro la violenza sessuale, sia quella perpetrata dentro le mura domestiche, che quella delle sventurate vittime di stupri. Solo nel 1978 lo stupro fu qualificato come crimine, all’indomani del processo di Aix-en-Provence che vide sempre la Halimi e la sua associazione difendere due ragazze che avevano subito violenza da parte di tre uomini. Queste conquiste da parte delle femministe francesi rappresentarono certamente dei grandi passi in avanti e dimostrarono come le mobilitazioni e le rivendicazioni femminili fossero necessarie per raggiungere una vera libertà delle donne.

14


2.4 Il Mouvement de Libération des Femmes (MLF) In seno al Movimento di Liberazione della donna si possono distinguere tre tendenze principali che si differenziarono da subito per ideologia, obiettivi e pratiche. La prima è la tendenza “lotta di classe/ lotta delle donne”, caratterizzata dall’idea-base secondo cui esiste uno stretto legame tra lotta di classe e lotte delle donne per la propria emancipazione: per far sì che il rinnovamento andasse a buon fine, i due obiettivi dovevano andare di pari passo. La maggior parte delle donne che portavano avanti questa ideologia militavano nell’estrema sinistra e tentavano di associare l’analisi marxista della società alla rivendicazione femminista. Per loro, il nemico principale era il sistema capitalistico, in cui tutte le donne appartenevano a una categoria socialmente dominata, anche se risultava illusorio credere a una unità tra lavoratrici e donne borghesi. L’obiettivo principale delle militanti che si riconoscevano in questa tendenza era l’inserimento della causa femminista all’interno del movimento operaio. La seconda tendenza è quella del femminismo radicale e riformista che si discosta dal pensiero della “doppia militanza”, portando avanti l’idea che, al contrario, la lotta delle donne contro il patriarcato è da considerarsi prioritaria rispetto alla lotta anticapitalistica. Questo orientamento fu influenzato principalmente dagli scritti di Monique Wittig, una delle pioniere del movimento lesbico francese. Nelle sue opere, come ad esempio Le corps lesbien17, l’autrice mostra come il lesbismo, oltre che essere la “conseguenza” diretta dell’essere femminista, sia anche l’unico modo per sottrarsi all’oppressione patriarcale della società. Di pari passo all’idea del lesbismo si afferma dunque il concetto di separatismo. Si assistette, in quegli anni, a scontri molto accesi riguardo al fatto di stabilire in quale misura il femminismo dovesse essere definito un movimento di sole donne. Come afferma la sociologa Yasmine Ergas: “nonostante le opinioni discordanti, l’esclusione degli uomini dalla maggior parte delle attività spesso emerse come principio organizzativo di base, motivato, almeno in parte, dalla necessità di stabilire e di difendere l’autonomia femminile”18. 17

Cfr. M. Wittig, Le corps lesbien, Editions de Minuit, Paris 1973. Y. Ergas, La costituzione del soggetto femminile: il femminismo negli anni ‘60/’70 in G. Duby, M. Perrot (a cura di), Storia delle donne, V, Il Novecento, a cura di F. Thébaud, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 578. 18

15


L’anima riformista di questa corrente s’incarna nella Ligue du droit des femmes, presieduta da Simone de Beauvoir, che, nel corso degli anni, cambiò parere riguardo alla questione della doppia militanza. Nell’intervista rilasciata dal compagno Jean-Paul Sartre la scrittrice afferma:

Entrambi credevamo che la rivoluzione socialista comportasse necessariamente l’emancipazione della donna. Ci siamo davvero ricreduti perché ci siamo resi conto che né in URSS né in Cecoslovacchia, né in alcuno dei paesi cosiddetti socialisti che noi conosciamo, la donna era veramente pari all’uomo. D’altra parte, è questo che mi ha indotto ad assumere, a partire dal 1970 circa, un atteggiamento decisamente femminista. Voglio dire con questo: a riconoscere la specificità della lotta delle donne. [...] Per me, il femminismo rappresenta una di quelle lotte che si collocano al di fuori della lotta di classe, benché sotto un certo aspetto, legate ad essa19.

La terza tendenza del MLF infine si esprime appieno nel gruppo Psychanalyse et Politique, noto con la sigla Psych et Po, fondato da Antoinette Fouque nel 1968. Proprio grazie al suo pensiero, attorno al quale mette a fuoco la strategia e le pratiche del gruppo, emergono i tratti distintivi di questo collettivo rispetto a quelli di altri collettivi coevi. Per capire meglio la figura che guidava Psych et Po è interessante leggere le testimonianze delle donne che la incontrarono di persona, come ad esempio l’italiana Maria Schiavo, che partecipò ad alcuni dei famosi incontri organizzati dal gruppo francese. Maria Schiavo si sofferma sulla personalità carismatica della fondatrice del gruppo francese:

Nel tardo pomeriggio apparve lei stessa, Antoinette, il loro capo. […] di lei avevo solo sentito parlare. Come di una leader, ed in effetti era così. Mentre negli altri gruppi femministi all’epoca, si combattevano il potere, si tentava d eliminare la figura di leader, qui in questo non si nascondeva affatto che ce n’era una, lo si dichiarava senza veli20.

Psych et Po si discosta, quindi, da tutti gli altri gruppi anche dal punto di vista strutturale, con una leader il cui potere veniva riconosciuto senza problemi, mentre, al contrario, le altre tendenze del movimento non concepivano l’idea di una donna che avesse una posizione preminente rispetto alle altre.

19

J.P. Sartre, Autoritratto a settant’anni e Simone de Beauvoir interroga Sartre sul femminismo, Il Saggiatore, Milano 1976, p. 116. 20 M. Schiavo, Movimento a più voci. Il femminismo degli anni ’70 attraverso il racconto di una protagonista, Fondazione Elvira Badaracco - Franco Angeli, Milano 2002, p. 60.

16


Antoinette Fouque combinava la psicoanalisi, considerata come “madre e intimità piena di interrogativi, la sua angoscia vigile”, alla critica della società, all’ambito politico, che invece è “un padre”, con “la sua rivolta di proletario, il suo impegno di resistente”. La leader di Psych et Po fu influenzata dal celebre filosofo e psichiatra francese Jacques Lacan con il quale, dagli inizi degli anni Sessanta, aveva intrapreso una formazione psicoanalitica: infatti, partendo dalla teoria lacaniana secondo cui le donne non avrebbero parola nella società contemporanea, Antoinette Fouque pone in modo inedito la questione delle donne. Poiché la donna è muta, non ha un’espressione autonoma nella società maschile, quest’ultima risulta, sul piano simbolico, caratterizzata esclusivamente da rapporti che legano i maschi tra loro e dall’assenza del sesso femminile: la società, proprio per questo

motivo,

secondo Antoinette

Fouque

presentava

una

netta

tendenza

“omosessuale”: di conseguenza, i rapporti sessuali veri e propri fra donne e uomini, che erano il modello di quella società, dove imperava un solo sesso, erano solamente dei rapporti di sopraffazione. Questa teoria, che all’epoca risultò spiazzante, fu uno dei principali motivi della grande ammirazione che le donne di Psych et Po provavano nei confronti della loro leader. A questo proposito Maria Schiavo aggiunge:

Il suo potere, in realtà, era tutto nella parola. Ricordo ancora oggi un grande cerchio di donne, un pomeriggio, fino all’imbrunire: quando iniziò a parlare mi resi conto della differenza che la separava dalle altre. […] Ma quel che produsse una grande impressione su di me fu soprattutto quel che diceva. Seduceva nella sua parlata, il pacato fluire dei suoi concetti. Aveva una grande facilità d’eloquio, in cui scorrevano nitidamente concetti che, in origine ardui, acquistavano sulle sue labbra, una semplicità immediata, accattivante.[…] Se è vero che l’oralità ha rappresentato l’espressione più autentica del movimento delle donne negli anni Settanta, Antoinette è stata sicuramente la figura che meglio l’ha espressa21.

Tutte le donne che facevano parte di Psych et Po, e per prima la loro leader, rifiutavano di definirsi “femministe” nel senso puro del termine. Si appellavano, piuttosto, a un féminin minimum, ovvero quel minimo di femminile che permettesse di difendersi, di sopravvivere nella società “pederastica”, buttando all’aria quanto non si aprisse all’affermazione dell’esistenza dei due sessi, piuttosto che imitare il sesso dominante. 21

M. Schiavo, op. cit., p. 63.

17


In questo senso Psych et Po prendeva le distanze dal femminismo riformista e rivoluzionario, identificandolo in blocco con un movimento per l’emancipazione che negava la differenza del corpo femminile, la sua capacità di procreare e che introduceva la donna “fallicamente” mascherata nel mondo degli uomini. Come figura di spicco di questa tendenza le militanti del gruppo riconoscevano Simone de Beauvoir, grande nemica della psicoanalisi. La scrittrice esistenzialista e le tante altre donne che sostenevano il cosiddetto “femminismo egualitario” rifiutavano di parlare di differenza tra i sessi, di femminismo e addirittura di “donna”, a cui preferivano la nozione di genere, poiché il concetto non era marcato da una valenza oppressiva. In questa prospettiva i rapporti sociali, i ruoli imposti e non una presunta “natura femminile” creerebbero la divisione dei sessi: è questo il senso delle famosa frase di Simone de Beauvoir “Donne non si nasce, si diventa”22. Secondo Antoinette Fouque, invece, donne non si diventa, ma lo si è. Le sue “seguaci” consideravano la differenza tra i sessi prioritaria e inoppugnabile: dunque, le donne avrebbero dovuto realizzarsi nella loro specificità, e non prendendo gli uomini come modello. Nonostante le azioni comuni, come la lotta per il diritto all’aborto e quella contro la violenza verso le donne, le polemiche e i dissensi attorno al gruppo crebbero soprattutto quando, nel 1974, Antoinette Fouque depositò la sigla MLF all’Istituto Nazionale della Proprietà Industriale, appropriandosene senza consultare l’insieme del movimento. Questo gesto provocò una forte reazione anche a livello mediatico e fu l’ulteriore atto di conferma di come Psych et Po si distinguesse dagli altri gruppi femministi da qualsiasi punto di vista. Negli anni Settanta, la posizione di questo gruppo fu quella che prevalse all’interno del MLF e che venne sancita dalla creazione della casa editrice Editions des femmes e dall’apertura della Librairie des femmes, nate entrambe all’inizio del 1974. Queste due imprese di donne, rivolte solo alle donne, furono destinate a promuovere l’espressione della creatività femminile. Una delle scrittrici che maggiormente emerse da queste importanti istituzioni femministe fu una paziente della stessa Fouque, Luce Irigaray, la cui già citata opera Speculum. De l’autre femme, divenne una delle pietre miliari per il pensiero della differenza sessuale.

22

S.de Beauvoir, Le Deuxième sexe, Gallimard, Paris 1949, p. 13.

18


Un’altra importante iniziativa del gruppo fu la fondazione del quotidiano “Le Torchon Brûle”, principale ‘giornale di battaglia’ di Psych et Po, la cui progettazione venne sviluppata durante un’assemblea, addirittura tre anni prima della nascita del gruppo stesso. Ogni numero, a partire dal 1971, fu realizzato da una squadra che veniva rinnovata tutti i mesi, per garantire l’espressione di tutte le diverse idee e nuances presenti all’interno del movimento femminista. Dopo il sesto numero, però, il quotidiano cessò le pubblicazioni. Gli succedette “Le Quotidien des femmes”, che però guardava solamente all’anima politica e ideologica del gruppo e appoggiava le lotte delle donne, per esempio quelle delle spagnole rinchiuse nelle prigioni di Franco, e, in generale, prendeva posizione contro tutte le forme di violenza e di tortura perpetrate nei confronti delle donne nel mondo.

19


La scrittrice, saggista e filosofa Simone de Beauvoir.

Manifestazione di giovani francesi contro il governo de Gaulle.


Daniel Cohn-Bendit, giovane anarchico e figura simbolo del Maggio ‘68.

Alcuni momenti di cortei a Parigi dove, alle contestazioni giovanili, si unirono quelle della classe operaia e degli intellettuali.


Alcuni degli slogan piĂš in voga durante il Maggio ‘68.

Rivendicazione di alcune femministe sotto l’arco di Trionfo di Parigi nel 1970.

Folla di femministe agguerrite che la polizia francese cerca di contenere.


Una delle prime apparizioni di Choisir la cause des femmes, associazione femminista di difesa, diffusione e promozione dei diritti delle donne, fondata nel 1971.

Esempi dei principali “giornali di battagliaâ€? del Mouvement de LibĂŠration des femmes.


Manifesto del 1972 riguardante il famoso processo di Bobigny.

L’avvocato Gisèle Halimi con le sue assistite, Marie-Claire Chevalier e sua madre, a processo concluso con l’assoluzione delle due da ogni accusa.


III. Il Sessantotto studentesco e il movimento delle donne Nei precedenti capitoli abbiamo constatato come le mobilitazioni femministe degli anni Sessanta e Settanta rispecchiarono in gran parte quello che era il contesto politico nel quale si erano sviluppate. In molti casi, come in Francia e in altri paesi del mondo occidentale, questi contesti furono caratterizzati da una massiccia mobilitazione politica e dall’emergere di svariati movimenti, il cui principale obiettivo era quello di giungere a un radicale cambiamento sociale. In particolare le mobilitazioni studentesche, che coincisero con quelle messe in atto dai sindacati dei lavoratori e dalle organizzazioni di partito, contribuirono alla formazione di “nuove sinistre”, di cui le femministe divennero componenti importanti. In Francia, questi movimenti di protesta, nati negli anni Sessanta, culminarono nel celebre “Maggio francese”, o “Maggio ‘68”. Ciò che caratterizzò questo fenomeno di protesta e che lo fece divenire una delle più grandi manifestazioni di rivolta di tutta Europa, fu la voglia di rinnovamento della società voluta non da un capriccio del mondo giovanile, ma sentita anche da diverse categorie sociali. Nel movimento confluirono, infatti, la classe operaia oppressa e gli intellettuali, che videro la rivolta come un efficace mezzo per sbloccare la società francese, all’epoca troppo conservatrice e, a detta dei cittadini, “noiosa”. Gli eventi del Maggio ‘68 costituirono un periodo significativo nella storia contemporanea, segnato da vaste rivolte spontanee indirizzate contro la società tradizionale, il capitalismo, l’imperialismo e contro il potere gollista. Per questo motivo il movimento di protesta portò avanti una mobilitazione che fu di natura sociale, politica e filosofica.

En Mai-Juin 1968, la philosophie est dans la rue. Révolution pour la philosophie, mais aussi révolution de la philosophie. […] les ‘fils de la bourgeoisie’ n’ont pas joué aux prolétaires: ils ont joué avec. Des millions de gens ont cessé d’être obsédés par l’aménegement de leur carrière ou de leur vie privée, pour philosopher ensemble. C’est l’événement central de Mai, celui qui

20


articule tous les autres et les rend possibile; sous la disparité des luttes spécifiques, leur unité23.

È noto tuttavia che il Sessantotto, e più in generale tutti i movimenti di protesta che segnarono la fine del decennio, furono la manifestazione dell’affermarsi del protagonismo giovanile. Come scrive Elda Guerra: il passaggio cruciale fu costituito dall’autorappresentanza di una generazione come generazione sociale per comunanza di scelte culturali, di comportamenti, consumi, stili di vita, alla sua espressione come generazione politica24.

Proprio questo carattere politico rese la protesta sessantottina l’espressione massima della

protesta

giovanile

della

storia

francese;

in

quell’epoca,

era

diffusa

un’insoddisfazione generale che riguardava più ambiti: i giovani provavano un’insofferenza esistenziale nei confronti del mondo adulto, che si trasformò ben presto in critica ai rapporti esistenti nei luoghi-simbolo della “riproduzione sociale”25, cioè la famiglia, la scuola e la Chiesa, essenzialmente gerarchici. Queste ultime istituzioni erano infatti autoritarie e repressive. A loro, la società aveva delegato l’arduo compito della formazione e questi organismi, secondo la critica mossa dai giovani, “attraverso collaudati meccanismi di manipolazione e di condizionamento avrebbero inibito nei giovani qualunque possibilità di intervento critico e razionale volto al mutamento”26. Questo profondo e diffuso sentimento di insoddisfazione generale si sviluppò in una rivolta universitaria senza precedenti e la cui causa scatenante - la vera e propria goccia che fece traboccare il vaso - fu il “piano Fouchet”: questa misura, approvata nel novembre del 1967, risultava fortemente classista, poiché prevedeva durissime selezioni per ridurre il numero di studenti immatricolati e, in questo modo, reindirizzava “la rimanenza” verso attività manuali e subordinate. L’obiettivo era quello di rendere la scuola sempre più funzionale al sistema. All’interno delle università le rivendicazioni si trasformarono ben presto in precise contestazioni politiche: il sindacato studentesco, nato nel 1965 con l’approvazione dei collegi e delle facoltà riunite, si unì al Mouvement du 22 Mars - così 23

V. Cespedes, Mai 68: la philosophie est dans la rue!, Laurousse, Paris 2008, p. 34. E. Guerra, Storia e cultura politica delle donne, Archetipo Libri, Bologna 2008, p. 48. 25 Ivi, p. 50. 26 F. Lussana, Le donne e la modernizzazione. Il neofemminismo degli anni settanta, in Storia dell’Italia repubblicana, III, L’Italia nella crisi mondiale. L’ultimo ventennio, t. 2, Istituzioni, politiche, culture, Einaudi, Torino 1997, p. 489. 24

21


chiamato all’indomani dell’arresto di studenti liceali a Nanterre avvenuto in quella data - diretto dal giovane anarchico Daniel Cohn-Bendit, che divenne una figura-simbolo e il leader del movimento. Il programma era di “opporsi ad un avvenire da cani da guardia, contro gli esami e i titoli che ricompensavano chi entrava nel sistema”27. Il 22 marzo 1968 fu una data importante perché dopo di essa un susseguirsi di avvenimenti avrebbero portato alla più forte mobilitazione studentesca della fine della guerra. Dopo l’intervento della polizia, a causa dei continui tafferugli nel campus di Nanterre, si assistette alla chiusura definitiva dell’università, i cui studenti, a quel punto, si mobilitarono per portare le loro rivendicazioni fino alla capitale in modo da poter denunciare le misure prese nei confronti della loro università. Si unirono quindi ai comizi e alle manifestazioni dei gruppi universitari parigini, anch’essi spinti dalla voglia di emergere e migliorare la loro condizione. Tutto ciò culminò con l’occupazione - non violenta - della Sorbona da parte di oltre 400 studenti. L’evento rappresentò un grave momento di rottura con il sistema di potere francese e segnò l’inizio del “Maggio francese”. La “presa” della Sorbona fu un evento di grandissima portata, anche dal punto di vista mediatico, poiché moltissimi intellettuali, tra cui Jean-Paul Sartre e la compagna Simone de Beauvoir, si schierarono a fianco degli studenti e parteciparono a cortei, manifestazioni, intervenendo talvolta ai comizi. L’intervento delle forze dell’ordine alla Sorbona, su richiesta del Rettore, effettuato senza preavviso né cercando un confronto con gli occupanti, fu assai mal visto dagli studenti che reagirono immediatamente e violentemente: si assistette a lanci di sampietrini e all’erezione di barricate, prima nella piazza antistante la Sorbona, e poi, dopo la chiusura della stessa, in tutto il Quartiere Latino. Le manifestazioni si intensificarono dopo l'annuncio delle condanne al carcere degli arrestati e cominciarono a fiorire moltissimi slogan libertari che vengono ancora oggi ricordati per la loro carica contestataria. Agli universitari, nel frattempo, si unirono un numero crescente di studenti liceali, insegnanti, disoccupati e operai, indignati dalle modalità di repressione usate dal governo gollista. Il primo ministro Georges Pompidou risolvette la delicata situazione, innanzitutto facendo cessare le repressioni violente da parte delle forze armate (che de 27

Movimento studentesco milanese, Francia ’68: documenti e testimonianze sulla violenza poliziesca durante le lotte del maggio 1968 a Parigi, Edizioni di cultura contemporanea, Milano 1968, p. 5.

22


Gaulle, al contrario, aveva sostenuto); inoltre vennero accettate le richieste degli studenti, tra cui quella di rilasciare gli universitari arrestati. Lo scontento nell’ambiente studentesco, che portò a questa serie di avvenimenti, andò di pari passo con la protesta strisciante che da diversi anni veniva profilandosi nel movimento operaio. Sul fronte interno il governo francese dovette resistere al più grande sciopero del movimento operaio. Più di 9 milioni di lavoratori smisero di lavorare e protestarono per circa un mese. Nella rivolta antistituzionale, antirepressiva e antiautoritaria, al movimento studentesco e operaio si affiancò anche quello femminista. In realtà, il neofemminismo affonda le sue radici nella crisi politico-sociale antecedente al Sessantotto, caratterizzandosi come “reazione alla mistica dell’uguaglianza formale, identificata nello stato assistenziale e nella giurisdizione femminile che cominciò ad affermarsi nel dopoguerra”28. È anche vero però, che fu nella contestazione sessantottina che il movimento delle donne, in Francia, si rispecchiò maggiormente. A questo proposito scrivono Albistur e Armogathe nella loro storia del femminismo francese: Il periodo più attuale del femminismo è nato dalla rivolta ideologica del 1968. Se non c’è stata rivoluzione nei fatti, si è almeno operato un cambiamento nelle strutture mentali. E più di ogni altro il movimento femminista ha raccolto lo spirito che animò quel periodo: una volontà assoluta di cambiamento, un “niente sarà più come prima”29.

Il movimento femminista, quindi, seppur più antico e, per composizione, più stabile, fu debitore del movimento sessantottino per aver proposto su larga scala un ideale di libertà, uno “scossone delle coscienze”30 senza il quale il neofemminismo sarebbe stato diverso. È importante, come in tutti i fenomeni storici collegati con la soggettività, riuscire a pensare il movimento femminista, in Francia e nel resto dei paesi occidentali, come discontinuo, cioè sottolineando il suo distacco dal movimento degli studenti: la scrittrice femminista Carla Lonzi, in particolare, affermò nel suo Sputiamo su Hegel che “il giovane nasconde un conflitto col modello patriarcale […] ma senza la presenza del

28

Lussana, Le donne e la modernizzazione, cit., p.500. M. Albistur, D. Armogathe, Histoire du féminisme français. 2 volumes: vol.1: Du Moyen âà nos jours, vol.2: De l’empire napoléonien à nos jours, Éditions des Femmes, collection «Pour chacune», Paris 1977, p. 460. 30 L. Passerini, Storie di donne e di femministe, Rosenberg & Sellier, Torino 1991, p. 155. 29

23


suo alleato storico, la donna, l’esperienza anarchica è velleitaria […] il giovane è oppresso dal sistema patriarcale ma pone nel tempo la sua candidatura ad oppressore” 31. La grande rivolta che si scatenò nelle università abbatté tutte quelle barriere esterne della società, come la repressione, l’omologazione e l’autoritarismo, ma si ripropose - più o meno inavvertitamente - all’interno del movimento studentesco, all’interno dei due sessi. Questa esperienza, che ebbe comunque effetti positivi per le francesi, poiché venne proposto un nuovo modello di vita senza censure e limitazioni borghesi, indusse gruppi di donne a staccarsi dal movimento. Per la prima volta si cominciò a parlare di “autonomia” e “separatismo”. Come scrive Manuela Fraire:

Già a questo punto fu chiaro che si trattò di autonomia se la si intende come riconoscimento della propria specificità, una gestione diretta della propria lotta, un’organizzazione diversa che rispondesse ai contenuti e ai modi di espressione delle donne32.

Infatti, separarsi dai gruppi maschili rappresentò, in questa fase, un vero e proprio fatto politico. Gruppi di donne all’interno del movimento studentesco cominciarono a formarsi dal 1969; ma fu dai primi anni Settanta, quando già l’irruenza del movimento studentesco cominciò a scemare, che avvenne in modo significativo il distacco delle femministe, il cui fattore scatenante fu quindi la coscienza di avere un ruolo subalterno all’interno dei collettivi studenteschi. Le donne francesi cominciarono a guardare se stesse in modo totalmente nuovo, non più dando per scontata l’eguaglianza tra i sessi ma, al contrario, prendendo coscienza di sé e della differenza di genere. In generale si può affermare che nel rapporto tra il mondo studentesco e le donne avvenne un cambiamento di grande rilievo, sintetizzato nella formula “dalla natura alla cultura”33: quello che era da sempre stato visto come scontato, dovuto - e fatto apparire tale agli occhi delle donne - cominciò, da quel periodo in poi, ad essere fatto per scelta. Per quanto riguarda l’idea nuova della politica tipica del neofemminismo, vediamo che, per i collettivi femministi francesi, fare politica significò da quel momento in poi, tenere insieme l’impegno militante con la pratica autoriflessiva, mantenendo quindi vivi i legami con il proprio io. Quest’idea di politica, decisamente innovativa 31

Cfr. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974. 32 M. Fraire, Lessico politico delle donne, teorie del femminismo, Fondazione Elvira Badaracco, Milano 2002, p. 24. 33 Passerini, Storie di donne e di femministe, cit., p. 158.

24


rispetto a quella del movimento studentesco, che prevedeva un semplice impegno militante nelle formazioni di sinistra, contribuì a marcare la frattura che si creò tra il femminismo e l’esperienza storica condivisa dai giovani sessantottini francesi. Si avviò così la doppia storia di una generazione, caratterizzata da tante analogie, ma anche da importanti differenze. Come abbiamo precedentemente sottolineato, c’era stata una comune dimensione etico-morale, propria dei movimenti, cioè una rivolta contro quei modelli di organizzazione sociale esistenti, come la famiglia, la scuola, l’università, ma anche contro il senso e il significato dei ruoli e delle figure professionali, le forme di organizzazione politica e del potere. Comune fu anche: il movimento di affermazione della soggettività come possibilità di scelta rispetto al destino, allargamento dell’orizzonte dato per una generazione che ebbe la possibilità di rigettare le forme assunte dalla modernizzazione senza disfarsi della modernità, ma anzi valorizzandola come richiamo critico e utopico34.

Nel portare avanti le loro rivendicazioni, in modo da denunciare e poter migliorare la propria situazione, sia gli studenti che le femministe francesi, insistettero sulla presa di parola e affermarono la volontà - mai vista prima - di voler ridiscutere tutto. Un altro carattere in comune, infine, fu il background culturale che fece da sfondo a quegli anni di rivolta. In particolare, i filoni politico-filosofici legati al pensiero antiautoritario, alla psichiatria e agli importanti sviluppi della psicoanalisi costituirono l’ambito culturale dal quale presero le mosse entrambi i movimenti. Ma se da una parte si nota una comune matrice nei movimenti antiautoritari ed egualitari francesi degli anni Sessanta, dall’altra essa si scinde, poiché le donne colsero alcune contraddizioni e alcune incongruenze rispetto al genere all’interno delle strutture sociali e politiche, fondamentalmente ancora patriarcali, del Sessantotto studentesco. I movimenti femministi preferirono quindi respingere ogni derivazione da raggruppamenti misti, poiché temevano di veder sminuita la propria autonomia teorica e politica. Resta il fatto che il Sessantotto in Francia ebbe un’enorme rilevanza, per le donne, poiché accelerò il processo di autoriconoscimento dei soggetti e coinvolse ogni ambito della società. In questa prospettiva, per la storia femminista francese, il Sessantotto non apparve né come una fine né come un inizio, ma piuttosto come “un tempo congiunturale”35, nel senso di una accelerazione di eventi e nuovi modi di vivere, 34 35

E. Guerra, Storia e cultura politica delle donne, Archetipo libri, Bologna 2008, p. 52. E. Guerra, op. cit. p. 53.

25


un crocevia in cui si distinguono maggiori possibilità di espressione della propria soggettività, che si incrociano con le contraddizioni legate alla storia delle relazioni tra i due sessi. Per il movimento femminista non si trattò di un banale “venir dopo” dal punto di vista cronologico nei confronti del movimento studentesco, ma di un andar oltre, cioè portare a termine il rinnovamento radicale nei rapporti tra individuo e società.

26


Considerazioni conclusive Dal nostro studio emerge come il movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta in Francia non sia stato un fenomeno isolato nel tempo e nello spazio: esso si è infatti collegato ad altri movimenti femministi coevi, interagendo in modo originale con altre esperienze. Con la sua elaborazione teorica e con le sue pratiche, il movimento delle donne in Francia è stato all’origine di una vera e propria rivoluzione culturale, che ha riguardato oltre la metà del genere umano e si è proposta con fermezza di “rimuovere” la situazione di inferiorità che, in Francia come altrove, faceva delle donne il “secondo sesso”. Bisogna certamente riconoscere che, malgrado la sua autonomia e la forza rivoluzionaria che lo ha contraddistinto, il movimento femminista francese ha inevitabilmente avuto una spinta in più grazie al periodo storico nel quale è nato e si è sviluppato: la situazione di disagio sociale che caratterizzava la Francia della V Repubblica ha scatenato un’ondata di ribellione su più fronti (intellettuale, studentesco, operaio), creando un clima favorevole per la nascita di gruppi antiautoritari e antisistemici. Il femminismo francese ebbe un enorme impatto sull’opinione pubblica, per la carica e la forza con cui cercò di rivendicare i propri diritti attraverso i più svariati metodi di protesta. La politica del femminismo francese e degli altri movimenti femministi occidentali ha profondamente influenzato le società e i diversi contesti nazionali, imponendo all’attenzione generale le problematiche femminili e sollecitando il riconoscimento dei diritti delle donne. Dietro la spinta e la mobilitazione dei diversi gruppi e collettivi europei ed extra-europei, le Nazioni Unite hanno indetto per gli anni 1975-1985 le celebrazioni del “Decennio delle donne”. Si deve riconoscere però che, proprio quando la carica rivoluzionaria degli anni Sessanta e Settanta andò scemando, anche le mobilitazioni femministe parvero rifluire. Sembrò che si stesse concludendo l’era dei gesti clamorosi e delle dimostrazioni di massa, che tanto avevano colpito l’opinione pubblica e i mass media, ma l’eredità della “grande trasformazione” imposta dalle donne ha liberato una energia nuova, ha cambiato la mentalità e il costume delle generazioni che sono nate dopo il Sessantotto, è

27


diventata senso comune. Le donne oggi sono più forti, più presenti nella politica e nelle istituzioni, anche se la strada della parità con l’altro sesso è ancora lontana. Si può dunque ritenere che il femminismo francese, come anche quello mondiale, non è morto, ma vive una nuova fase: le donne non fanno più sentire la loro voce indignata e polemica, non riempiono più cartelli con slogan trasgressivi e non attaccano più il “maschio”, che i primi gruppi e collettivi consideravano il principale responsabile della discriminazione femminile. Le donne oggi lottano in un altro modo: mobilitano a sostegno dei loro obiettivi diversi gruppi d’interesse, rivendicano, non solo leggi che migliorino la condizione femminile, ma si battono per cause universali, come la pace e il rispetto per l’ambiente. Il femminismo ha cambiato strategie e forme di espressione, ma non ha smesso di lottare per rendere il mondo a misura di donna e per trasformare finalmente le donne in autentiche cittadine del mondo.

28


Bibliografia Albistur M., Armogathe D., (1977) Histoire du féminisme français. 2 volumes : vol. 1 : Du Moyen âge à nos jours, vol. 2 : De l'Empire napoléonien à nos jours, , Paris Éditions des Femmes, collection « Pour chacune ». Biagini E.(1982) de Beauvoir, Firenze, La Nuova Italia.

Chaperon S. (2000) Les Années Beauvoir, 1945-1970, Paris, Fayard.

Coldagelli U. (2009) La Quinta Repubblica: da de Gaulle a Sarkozy, Roma, Donzelli editore. De Beauvoir S. (1949) Le Deuxième Sexe, Paris, Gallimard.

De Lauretis T. (1996) Sui generis : scritti di teoria femminista, Milano, Feltrinelli. Deutsch H. (1977) Psicologia della donna. Studio psicoanalitico: La donna adulta e madre, Torino, Bollati Boringhieri. Duby G. (1999) Histoire de la France: des origins à nos jours, Paris, Larousse. Duby G., Mandrou R. (2011) Storia della civiltà francese, Milano, Il Saggiatore.

Duby G., Perrot M. (1992) Storia delle donne. Il Novecento, Roma-Bari, Laterza.

Frabotta B. (1973) Femminismo e lotta di classe in Italia (1970-1973), Roma, Savelli

Fraire M. (2002) Lessico politico delle donne: teorie del femminismo, Milano, Fondazione Elvira Badaracco-Franco Angeli. Friedan B. (1964) La mistica della femminilità, Edizioni di Comunità, Milano. Gaiotti De Biase P., Dau Novelli C. (1978) La questione femminile, Roma, CEDIS.

Guerra E. (2008) Storia e cultura politica delle donne, Bologna, Archetipolibri.

29


Held V. (1997) Etica femminista: trasformazioni della coscienza e famiglia postpatriarcale, Milano, Feltrinelli. Irigaray L. (1977) Ce sexe qui n’en est pas un, Paris, Éditions de Minuit. Irigaray L. (1974) Speculum: De l’autre femme, Paris, Éditions de Minuit. Libreria delle donne di Milano, (1987) Non credere di avere dei diritti, la generazione della libertà femminile nell’idea e nelle vicende di un gruppo di donne, Torino, Rosenberg & Sellier. Lussana F. (2012) Il movimento femminista in Italia. Esperienze, storie, memorie, Roma, Carocci. Lussana F. (1997) Le donne e la modernizzazione. Il neofemminismo degli anni settanta, in Storia dell’Italia repubblicana, III, L’Italia nella crisi mondiale. L’ultimo ventennio, t. 2, Istituzioni, politiche, culture, Torino, Einaudi. Mitchell J. e altre (1972) La rivoluzione più lunga. Saggi sulla condizione nelle società a capitalismo avanzato, Roma, Savelli Editore. Mitchell J. (1976) Psicoanalisi e femminismo: Freud, Reich, Laing e altri punti di vista sulla donna, Torino, Einaudi. Mitchell J. (1971) Woman’s estate, Middlesex, Penguin Book Ltd. Monteil C. (2008) Le sorelle Beauvoir, Roma, Alberto Castelvecchi Editore. Movimento studentesco milanese, (1968) Francia ’68: documenti e testimonianze sulla violenza poliziesca durante le lotte del maggio 1968 a Parigi, Milano, Edizioni di cultura contemporanea. Passerini L. (1991) Storie di donne e femministe, Torino, Rosenberg & Sellier. Reed E. (1975) Sesso contro sesso o classe contro classe? : il mito dell’inferiorità della donna, Roma, Savelli. Ribero A., Vigliani F. (1998) 100 titoli. Guida ragionata al femminismo degli anni Settanta, Ferrara, Luciana Tufani Editore. Sartre J. (1976) Autoritratto a settant’anni e Simone de Beauvoir interroga Sartre sul femminismo, Milano, Il Saggiatore. Scaraffia L., Isastia A. (2002) Donne ottimiste : femminismo e associazioni borghesi nell’Otto e Novecento, Bologna, Il Mulino.

30


Schiavo M. (2002) Movimento a piÚ voci: il femminismo degli anni ’70 attraverso il racconto di una protagonista, Milano, Fondazione Elvira Badaracco-Franco Angeli. Sirinelli J., Vandenbussche R., Vavasseur-Desperriers J. (2003) Storia della Francia nel Novecento, Bologna, Il Mulino.

31


Ringraziamenti Un lungo percorso giunto al termine, passando per momenti di gioia e soddisfazione ma anche di frustrazione e malinconia: quindi un’esperienza, quella universitaria, che potrò dimenticare.

Ringrazio in primis la professoressa Lussana per essere stata una relatrice attenta e presente, per il coinvolgimento e la dedizione al mio lavoro fin dalla nascita dell’idea; la ringrazio inoltre, per la passione che mi ha trasmesso dal primo anno e l’ardore con cui insegna a noi studenti. Un grazie altrettanto sentito al professor Sale, i cui consigli e accorgimenti mi son stati di grande aiuto per la realizzazione di questo lavoro, e che mi ha seguito con riguardo prima, durante e dopo la straordinaria esperienza che è stata l’Erasmus. Grazie quindi alla mia famiglia che, sia nel bello che cattivo tempo, mi ha supportato e sopportato! Grazie a mia madre per aver sempre creduto in me ( più della sottoscritta!) e per essere stata la mia valvola di sfogo pre-esami, anzi, per questo e per le tante preoccupazioni e notti insonni, le chiedo perdono! Grazie anche a mia sorella che, dall’alto della sua maturità e saggezza di sorella maggiore già laureata, ha saputo indicarmi e consigliarmi nei momenti più difficili di questa mia carriera universitaria. E veniamo ora ai ringraziamenti all’altra ‘famiglia’, quella che si sceglie durante la propria vita e che, fortunatamente, io ho già trovato da molti anni: gli amici. Un grazie (che mi pare addirittura riduttivo) alle mie colleghe universitarie che si son da subito trasformate in vere e proprie amiche con cui ho condiviso le gioie e le pene tipiche dell’università: grazie di cuore a Marta che da primo giorno in cui ci siamo incrociate, ha sempre rallegrato le pesanti giornate di lezioni e studio, come solo lei sa fare; grazie a Eleonora e la sua dolcezza, e per essere stata il soggetto più equilibrato all’interno della pazzia più totale che ha contraddistinto il nostro gruppo. Ringrazio poi la mia ritrovata compagna d’infanzia Valentina, complice di viaggi mentali che mai nessuno potrà eguagliare! Grazie alla mi querida Irene con cui, seppur in ritardo, ho legato subito per l’incredibile sarcasmo e humor che ci unisce e con cui affrontavamo personaggi e situazioni improbabili. Ringrazio quindi la mia amica, collega, vicina di stanza Valeria, per essere una persona unica nel suo genere, capace di regalarti un sorriso sempre e comunque..anche di prima mattina!

32


Ringrazio tutte voi, girls, per essermi state vicine anche quando le Alpi ci hanno separato per lunghi mesi e anche quando, seppur con i problemi personali, avete sempre saputo guardare avanti ed essere le solite fantastiche e insane amiche. Un grazie alle amiche storiche, quelle con cui ho passato gli anni migliori (o peggiori, dipende dai punti di vista) del liceo e che ancora oggi mi ripagano del loro affetto: ringrazio Ilaria che ha condiviso con me l’esperienza universitaria a Sassari e tutto quello che di bello e non ne è derivato. La ringrazio per avermi sostenuto nei momenti di crisi, nei momenti di gioia e per aver avuto sempre un consiglio saggio. Grazie a Marta che, nonostante la lontananza so british, mi è sempre stata accanto, incoraggiandomi e credendo in me così come Francesca e Rosa che ringrazio semplicemente per essere state presenti in questi quattro anni e avermi fatto sentire il loro appoggio anche se lontane. Grazie per avermi sopportato Non ultimi, ringrazio coloro che più mi son stati vicini durante questi anni a Sassari, in particolare gli amici della casa dello studente con cui ho legato di più, pochi ma buoni, ( e a chi mi sto riferendo, loro lo sanno!), che ringrazio infinitamente per le serate, i festeggiamenti post esami, le risate, gli scherzi, insomma per aver reso molte volte tutto più allegro e leggero. Grazie a Federico per essere l’amico che è, sé stesso sempre e comunque; in particolare poi grazie Jessica per aver condiviso con me questi ultimi mesi così intensi e inaspettatamente così indimenticabili, cercando di superare col sorriso (o con altro!) i tanti momenti di hysteria. E lei sa a cosa mi riferisco. Infine ringrazio chi mi ha aiutato a passare, e continua a farmi passare, in modo straordinario quest’ultimo periodo, rendendo tutto semplice e chiaro.

33


iskire.net


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.