Tharros nel periodo fenicio

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A.D. MDLXII

U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ

DI

L ETTERE

E

F ILOSOFIA

___________________________

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DEI BENI CULTURALI CURRICULUM ARCHEOLOGICO

THARROS NEL PERIODO FENICIO

Relatore: PROF. PIERO BARTOLONI

Tesi di Laurea di: ILARIA ORRI

ANNO ACCADEMICO 2010/2011



A Severina e Antonello...

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Indice •

Introduzione

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Ringraziamenti

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1. Storia degli scavi

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2. Tharros nel territorio

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2.1 Identificazione del sito

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2.2 Origine del toponimo

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2.3 Nuragici e Fenici a Tharros

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3. Ciò che ci resta della Tharros fenicia

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3.1 L'impianto urbano

28

3.2 L'impianto portuale

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3.3 Il tempietto fenicio di Capo San Marco

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3.4 Il tofet

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3.5 Le necropoli

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4. Arte e Artigianato fenicio a Tharros

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4.1 Le terrecotte figurate e le maschere

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4.2 Gli amuleti e gli scarabei

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4.3 Gli avori e gli ossi

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4.4 I gioielli

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4.5 Le armi

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4.6 La ceramica

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Conclusioni

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Bibliografia

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Introduzione Innanzitutto vorrei spiegare per quale motivo ho deciso di affrontare questo argomento, molti studiosi prima di me, personaggi illustri dell’archeologia sarda e non solo l’hanno affrontato, sicuramente molto meglio di me. Il motivo principale è l’attaccamento che provo per quella terra, per quella zona, in cui sono nata e ho sempre vissuto: la mia infanzia l’ho passata passeggiando per la penisola del Sinis, esplorandola e restando sempre attratta e meravigliata dal suggestivo panorama con la torre di San Giovanni, il Faro e Tharros; sarà un po’ infantile ma le colonne ricostruite del tempio di Giove Capitolino hanno sempre attirato la mia attenzione, il loro riflesso sul mare, anche se al tempo non capivo il loro significato.

Fig. 1. Il centro urbano di Tharros.

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Di conseguenza mi sta molto a cuore la valorizzazione di questo territorio così stupendo e selvaggio, e volgendosi a Tharros ci si può immaginare la maestosità di quest’antica città; quindi un po’ di malinconia sopraggiunge quando si nota il degrado e si pensa alle diverse “violenze” che ha subito durante la c.d. “corsa all’oro”, la distruzione e le manomissioni delle tombe oggi quasi scomparse a causa del bradisismo positivo: Tharros sta diventando lentamente una città sommersa. Tharros, fondata dai Fenici negli albori dell’VIII sec. a.C., era frequentata da genti orientali già nei secoli precedenti e risultava già popolata dalle popolazioni locali. Con i Fenici nasce il primo impianto urbano, il tofet, le necropoli, i luoghi di culto, le fortificazione e le case. Il commercio si fa sempre più intenso sia verso l’interno dell’isola, sia verso gli altri centri costieri fenici che si affacciano nel Mediterraneo occidentale. Con la conquista cartaginese, avvenuta alla fine del VI sec. a.C., Tharros arriva al suo massimo splendore, e ciò lo si nota soprattutto dai corredi delle tombe a camera; la città si espande, viene restaurato e ampliato il sistema di fortificazioni, vengono costruiti nuovi templi, il tofet viene compreso all’interno dello spazio urbano dove vengono deposte insieme alle urne le stele, i cippi-altare e i cippitrono; alla fine del V sec. a.C., ad ovest di esso viene impiantato il quartiere artigianale; infine si fanno più intensi i rapporti con l'Etruria, con la Magna Grecia e verso la Penisola Iberica. A partire dal 238 a.C. la Sardegna passa sotto il dominio romano e inizia così un profondo processo di cambiamento che avrà compimento solo in età imperiale. A Tharros durante l’età repubblicana (II sec. a.C.) vengono risistemate le cinta murarie di Su Murru Mannu, edificato il c.d. “tempietto K” posto sulla collina di S. Giovanni; invece all’età imperiale risalgono i maggiori cambiamenti compiuti nella città: un imponente risistemazione dell’impianto stradale e fognario, la costruzione di numerosi edifici pubblici monumentali, di tre impianti termali e del c.d. castellum aquae situato all’incrocio tra il cardo maximus e il decumanus, forse una sorte di deposito idrico che si collegava all’acquedotto, anch’esso di età 4


imperiale. In età paleocristiana e altomedievale gli impianti termali vengono ristrutturati, vengono costruite le chiese di San Marco con annesso un battistero tra le terme n.1 e n.2; viene costruita inoltre la chiesa di San Giovanni di Sinis, in area suburbana rispetto alla città di Tharros, entrambe del VI sec. d.C. All’inizio dell’VIII sec. d.C. con l' inizio delle incursioni dei Saraceni, comincia una progressiva decadenza del centro con un conseguente lento spopolamento, per quanto fosse ancora sede episcopale. Nel 1071 la sede viene trasferita ad Oristano, sancendo la fine dell’antica città, che resterà abbandonata alle intemperie del tempo e dell’uomo.

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Ringraziamenti Innanzitutto ringrazio il professore P. Bartoloni per avermi seguito in questo mio lavoro, per i molteplici consigli da lui ricevuti e per l'aver riprovato l'affetto verso il luogo in cui sono cresciuta. Questo lavoro che conclude il mio corso di laurea triennale senza l'aiuto e il sostegno dei miei genitori non ci sarebbe mai stato, mi sono stati sempre vicini e ascoltato con tanta pazienza; mio fratello che mi ha sopportato più di una volta nei momenti di sconforto, durante la preparazione di un esame e sopratutto nella stesura della tesi; Daniele che sopporta i miei sbalzi di umore, che mi sta sempre vicino e non smette di capirmi. Ringrazio tutta la mia famiglia, anche le persone che non ci sono più, nella speranza che ciò che sto facendo gli avrebbe resi felici; per avermi sempre dato la forza, il coraggio e i consigli per andare avanti nel miglior modo possibile. Ringrazio ai miei colleghi chi più e chi meno, in particolar modo a Roberta e a Cathy che sono diventate delle mie care amiche, per i bei momenti passati in questi tre anni, tra serate davanti alla televisione, tra scavi e tra negozi... e sopratutto per lo scambio reciproco di incoraggiamenti. Un ringraziamento speciale alle amiche che mi sono vicine da sempre: Francesca che è sempre stata presente, che ha sopportato le mie preoccupazioni, pronta sempre a darmi dei preziosi consigli, soprattutto per le correzioni; Marta con le sue cene e con i suoi buonissimi dolci; Rosa e Francesca P., anche se lontane, le ringrazio per il loro interessamento in questo mio percorso e per le belle serate passate assieme a parlare e a ridere nella completa serenità; vi ringrazio con tanto affetto. Ringrazio l'Antiquarium Arborense per la disponibilità datami e per la cortesia che mi ha rivolto; ringrazio anche gli operatori che lavorano nel sito archeologico di Tharros per le loro informazioni. Per concludere ringrazio a tutte quelle persone che hanno creduto e che 6


continuano a credere nelle mie capacitĂ , che mi sono sempre state vicine sia nei momenti belli e meno belli, che mi hanno insegnato a stare in questo mondo. Spero che con tanta buona forza di volontĂ , la costanza negli studi e la voglia di arricchire sempre di piĂš il mio patrimonio culturale di proseguire nel campo dell'archeologia. La mia passione.

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Capitolo primo

Storia degli Scavi Nel IX secolo d.C. inizia la decadenza dell’antica città di Tharros dovuta non solo alle incursioni saracene ma anche a un lento spopolamento verso centri più sicuri. Nella metà dell’XI secolo la città era in stato di rovina, anche se ci fu un tentativo di reinsediamento tra il 1050 circa e il 1070. Nel frattempo essendo ancora sede episcopale, nel 1071 fu trasferita a Oristano, sancendo così il definitivo abbandono dell’antica città1. Il triste destino di Tharros, non riuscì a salvaguardare la città dalle molteplici spoliazioni e manomissioni avvenute soprattutto nell’Ottocento, alimentato dalla fama di ricchezze, determinarono il saccheggio delle aree funerarie e la dispersione dei materiali non solo nei musei italiani o stranieri, ma perdendo di molti ogni traccia. Dopo il suo completo abbandono da parte della popolazione, Tharros fu utilizzata come cava per il reperimento di materiali da costruzione per edificare la stessa Oristano e i villaggi vicini; una testimonianza può essere il proverbio popolare: “De sa citadi de Tharrus/ Portant sa perda a carrus”2. La perda di Tharros, ritagliata, trasportata e reimpiegata in tutto il Sinis ha permesso di esaltare il ruolo che ebbe la città sia nell’età punica che nell’età romana. Molto probabilmente la città fu trafugata già durante il medioevo ma si hanno notizie dei primi scavi irregolari e ufficiali durante il XVII secolo. S. Vidal e J. Aleu citano la necropoli di Tharros a proposito di materiali ritrovati casualmente in quell’area e acquisiti dall’aristocrazia oristanese. Successivamente il territorio di Capo San Marco, proprietà dei Marchesi D’Arcais, entrò a far parte dei 1 R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, p.17. 2 E. ACQUARO, De sa citadi de Tharrus portant sa perda a carrus, Nuovo Bullettino Archeologico Sardo, Vol. I, Sassari 1984.

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possedimenti del governo piemontese che volle impiantare una colonia di corallari, nel 1762, concedendo il feudo dei tre Campidani a Damiano Nurra; ciò portò ai Marchesi D’Arcais a compiere degli scavi nella necropoli tharrense, arricchendo la propria collezione privata che verrà poi illustrata da Della Marmora nella sua opera3. Come ho già accennato, Tharros costituì una notevole fonte di ricchezza per gli abitanti del luogo, i quali trafugarono le tombe per poi rivendere i materiali più preziosi,come i gioielli che vennero fusi o venduti integri a degli orafi o a commercianti italiani ed esteri. Ma grazie a personaggi sardi molto facoltosi s’impedì la completa dispersione di questi manufatti, acquistandoli per le proprie collezioni private e che, in seguito, furono acquisite dal Museo Nazionale di Cagliari, dal Museo G. A. Sanna di Sassari e dall’Antiquarium Arborense di Oristano4. Le poche informazioni sugli “scavi” compiuti nell’Ottocento, sui ritrovamenti e sulle collezioni private dell’epoca sono fornite sin dal 1865 dal canonico Giovanni Spano sul Bullettino Archeologico Sardo5. Altre notizie sui corredi delle tombe a camera furono esposte nel 1833 da un anonimo scavatore che si firmava con la sigla T.F.P. sul giornale l’Indicatore Sardo (2, 1833, nr. 35, p. 137); costui aprì molto probabilmente delle tombe puniche che vennero riutilizzate anche in epoca romana6. Altri scavi irregolari furono descritti dal generale Alberto Della Marmora nel periodico Gazzetta di Sardegna (4, 1835, nr. 25), tra il 1835-36 acquistò degli oggetti, in particolare vetri dai guardiani delle torri e dai pastori; sempre in quegli anni scavò una tomba che conteneva quattro cassette di piombo, cinerari in vetro e argilla, vasi da mensa e anfore, tutti materiali che in seguito furono donati al Museo di Cagliari7. 3 R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, p. 18. 4 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, Roma 1996, p. 19. 5 Ibidem. 6 Ibidem. 7 Ivi, p. 20.

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Non ci furono solo scavi irregolari ma anche scavi ufficiali, come quello del Marchese Scotti e dell’ex gesuita Perotti nel 1838, i quali scavarono varie tombe puniche e romane scoprendo una gran quantità di ceramica, come ci informa il canonico Spano. In quell’anno anche Honoré de Balzac fece degli scavi a Tharros alla ricerca di oggetti preziosi8. Tharros non fu “indagata” soltanto dai facoltosi italiani ma anche da personaggi di più alto rango sociale: per esempio nel 1842 il Re di Sardegna Carlo Alberto insieme al figlio Vittorio Emanuele assistettero e parteciparono agli scavi diretti dal direttore del Museo di Antichità di Cagliari, Gaetano Cara, in cui furono riportate alla luce delle tombe romane e una tomba punica. Tutti i materiali ritrovati arricchirono le collezioni reali di Torino che vennero successivamente illustrati da F. G. Lo Porto. Grazie alla partecipazione del Re si mise il divieto per tutti quegli scavi che erano prettamente finalizzati all’illecito arricchimento, mentre continuarono gli scavi a scopo scientifico: questo provvedimento non servì molto, perché chiunque poteva scavare a sue spese dopo aver chiesto una specifica autorizzazione9. Nel 1850 il canonico Spano effettuò una campagna di scavi nella necropoli di Capo San Marco, esplorando tre tombe a camera e una sepoltura forse fenicia. Il resoconto di questa campagna venne descritta nella sua opera Notizie sull’antica città di Tharros, in cui fornì anche delle descrizioni su delle parti dell’abitato visibili all’epoca, come la Porta Cornensis, due pozzi d’acqua e i resti di un acquedotto e di un molo con un ara posta al centro10. Il 1851 fu l’inizio del più infelice periodo per Tharros: l’arrivo del barone inglese Lord Vernon, segnò la scoperta di quattordici tombe puniche a camera inviolate, dopo che il barone ebbe assoldato gente dai villaggi vicini. Tutti gli oggetti recuperati tra cui scarabei, gioielli, ceramiche e altri ancora, giunsero al British Museum, dove ancora oggi sono esposti. Questo evento così clamoroso, cioè il fatto che così tante ricchezze vennero trovate da uno straniero, scatenò negli 8 Ibidem. 9 Ibidem. 10 Ibidem.

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abitanti locali una vera e propria corsa all’oro: in quegli anni furono violate e distrutte un centinaio di tombe, e i relativi corredi dispersi perché venduti o tenuti in casa come trofei. Intervenne il Governo, ma la frenesia di trovare oro non si fermò e lo spettacolo che si presentò l’anno dopo agli occhi del canonico Spano fu desolante11. Non meno dannosa fu l’opera che, tra gli anni 1853 e 1856, fece Gaetano Cara, il Direttore del Museo di Cagliari. Diresse alcune campagne di scavo nella necropoli di Capo San Marco, durante le quali aprì diverse tombe fenicie e puniche che erano state riutilizzate sia nel periodo romano sia in quello altomedievale. Il Cara ebbe dei finanziamenti da parte del Ministro della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna affinché si arricchissero le collezioni del Museo di Torino. Lo Spano ci informa che il Cara diede al Museo di Cagliari solo dei materiali di poco valore, invece quelli più preziosi se li portò con sé per venderli a Londra e a Parigi; in quell’occasione venne stampato nella città francese un catalogo per pubblicizzare la vendita: Catalogue d’une collection d’antichités Phénico-Egypto-Sardes trouvée dans la Nécropole de Tharros. Dal catalogo apprendiamo che i compratori sotto mentite spoglie furono lo stesso Cara e uno dei suoi figli; gli stessi conclusero il loro viaggio portando questi oggetti a Londra, dove una parte venne comprata dal British Museum e i restanti venduti all’asta di Christie’s nel 1857, di cui si persero le tracce: questo suo comportamento gli costò il divieto di fare altri scavi12. Lo Spano ci menziona che gli scavi, portati avanti anche nel 1863, furono effettuati da G. Busachi in alcune tombe e ancora nel 1875 da due fiorentini, l’avv. D. Rembardi e il tipografo G. Faziola, i quali recuperarono una piramide con tracce di lettere fenicie che lasciarono in Sardegna non potendola trasportare a Firenze; ma portarono con sé altri oggetti funerari come globetti in pasta vitrea, anelli in bronzo e in argento, uno scarabeo in osso, lacrimatoi in vetro e monete puniche e romane in bronzo13. 11 Ivi, p.21. 12 R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, p.24. 13 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali,

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Tra il 1881 e il 1882 A. Baux di Marsiglia esplorò alcune tombe con la collaborazione di L. Gouin e F. Nissardi: tutto il materiale proveniente da questo scavo, soprattutto la ceramica, fu studiato da F. Benoit nel Musée Borely di Marsiglia, dove oggi sono conservate; grazie a queste ricerche si è scoperto che i materiali fecero parte di corredi di tombe fenicie, puniche e romane14. Successivamente gli scavi furono condotti, dal 1884 al 1886, da Filippo Nissardi nella necropoli ad incinerazione nella zona di Torre Vecchia, preceduti dal rilevamento topografico della penisola su cui sorgeva la città. Dai pochi documenti pubblicati si coglie la situazione disastrosa in cui si presentava l’area funeraria, ormai trovare qualche oggetto era raro così da sconsigliare ulteriori ricerche. Allora si decise di terminare gli scavi ufficiali nelle necropoli anche se, purtroppo, continuarono a lungo quelli irregolari15. Negli ultimi anni del XIX secolo, ci furono altri scavi nelle necropoli da parte di Efisio Pischedda, un avvocato di Oristano, che col tacito consenso delle autorità, arricchì la propria collezione; schedata nel 1916 da Nissardi. Dopo la sua morte, gli eredi decisero di venderla, ma solo una parte andò all’Antiquarium Arborense, dopo essere stata comprata dal Comune della città ed esposta nel 193916. Con l’arrivo del Novecento gli studiosi si concentrarono sull’area dell’abitato, un grande contributo sulle scoperte archeologiche fatte fino a quegli anni è la pubblicazione della Carta Archeologica di Antonio Taramelli del 192917. Grazie ai finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno, Gennaro Pesce diede l’avvio agli scavi nell’area dell’abitato, il 18 giugno 1956, proseguendoli fino al 1964, individuando i templi della città: il tempio “delle semicolonne doriche”, il tempio “a pianta di tipo semitico” e il tempio “delle iscrizioni”, inoltre due terme, l’area paleocristiana, il tracciato viario e il tofet18. Dal 1968 la carica di Soprintendente Archeologo per la Provincia di Cagliari andò 14 15 16 17 18

Comitato Nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicio e punica, Roma 1996, p. 21. Ibidem. Ivi, p. 22. Ibidem. Ibidem. R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, p.28.

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a Ferruccio Barreca, che proseguì gli scavi nell’area dell’abitato e del tofet; precedentemente nel 1958 individuò il tempietto fenicio di Capo San Marco. Durante queste campagne di scavo, tra il 1968 e il 1969 sono stati individuati altri templi: il tempio di Demetra e il tempio “delle gole egizie”19. Negli anni Settanta si concentrò nello studio delle fortificazioni settentrionali20 prossimi al tofet, dove nel 1971 furono rimosse le urne messe alla luce dallo scavo Pesce per evitare eventuali asportazioni illecite. Dal 1974 iniziò una redditizia collaborazione21, tutt’oggi attiva, tra la Soprintendenza Archeologica per le Provincie di Cagliari e Oristano e l’Istituto per la Civiltà Fenicia e Punica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma. Questa delegazione si concentrò soprattutto nell’indagine dell’area sacra del tofet, successivamente all’esplorazione del villaggio nuragico sottostante, infine esaurite queste indagini, si trasferì nell’adiacente zona artigianale di età punica destinata, molto probabilmente, alla lavorazione dei metalli22. L’istituto del C.R.N. ha curato le edizioni annuali della Rivista di Studi Fenici, dove si trattano le indagini archeologiche effettuate nel tofet, l’esplorazione del villaggio proto-sardo sul colle di Su Murru Mannu, contributi sui materiali, sulle prospezioni subacquee a Capo San Marco e in particolare, articoli su studi più specifici nel campo dell’antropologia, della paleoecologia, della sedimentologia e dell’archeometallurgia23. Dopo un secolo, nel 1981, ripresero gli scavi ufficiali nelle necropoli di Capo San Marco e di S. Giovanni di Sinis condotti dalla Soprintendenza Archeologica di Cagliari sotto la direzione di R. Zucca e E. Usai. Gli scavi proseguirono anche l’anno successivo, sempre condotti dalla Soprintendenza però questa volta congiunti con il CRN, intervenendo solo nella necropoli meridionale; mentre altri scavi sono stati condotti dall’Università di 19 20 21 22 23

G. TORE, Ricerche e scavi nell'antica Tharros: RSF 22, 1994, pp. 269-272. F. BARRECA, Le fortificazioni settentrionali di Tharros: RSF 4, 1976, pp. 215-223. S. MOSCATI, Tharros-I, Introduzione a Tharros: RSF 3, 1975, pp. 89-99. S. MOSCATI, Tharros-VII, Tharros: primo bilancio: RSF 9, 1981, pp. 29-41. E. ACQUARO, Atti del congresso internazionale di studi fenici e punici . Roma, 5-10 novembre 1979, Roma 1983, vol. III, pp. 623-631.

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Cagliari nella necropoli settentrionale24. Le ricerche ripresero nel 200125 ad opera dell’Università e della Soprintendenza di Cagliari congiunta con l’Università di Bologna, diretti da E. Acquaro e A. Usai, con interventi nella necropoli meridionale. Negli ultimi anni le indagini si sono spostate nella necropoli di San Giovanni di Sinis.

24 R. ZUCCA, La necropoli fenicia di San Giovanni di Sinis, Riti funerari e di olocausto nella Sardegna fenicia e punica, Atti dell'incontro di Studio. Sant'Antioco 3-4 ottobre 1986, Cagliari 1990. (= Quaderni della Soprintendenza archeologica per le Provincie di Cagliari e di Oristano, 6, supplemento), pp. 89-107. 25 E. ACQUARO et alli, La necropoli meridionale di Tharros, Tharrica-1, La Spezia 2006, p. 43.

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Capitolo secondo

Tharros nel territorio 2.1 Identificazione del sito L’insediamento dell’antica città di Tharros sorge presso il Capo San Marco nella parte centrale della Penisola del Sinis, nel territorio del Comune di Cabras.

Fig. 2. Promontorio di Capo San Marco.

L’istmo chiude a oriente il Golfo di Oristano (conosciuto come Mare Morto), le cui coste subiscono una forte erosione a causa del bradisismo positivo mentre a occidente confina con il Mare Sardo1. Le strutture urbane dell’antica città si estendono circa per 3 km, disponendosi lungo la direttrice nord-sud. A nord si conserva la necropoli settentrionale, in 1 E.ACQUARO – M.T. FRANCISI – G.M. INGO- L.I. MANFREDI, Progetto Tharros, Roma 1997, pp. 107-120

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corrispondenza del moderno villaggio di San Giovanni di Sinis; al centro della penisola, precisamente ad oriente, si erge la collina di Su Murru Mannu, sede di un villaggio nuragico, del tofet e di importanti strutture puniche e romane. Separata da una breve depressione, a occidente, si trova il colle di San Giovanni, dove oggi si erge una delle due torri situate nella penisola. Alle pendici del colle verso a oriente ha sede il nucleo urbano punico-romano, che verosimilmente ha cancellato le strutture preesistenti fenicie. Il colle di San Giovanni è collegato da una breve striscia di terra al promontorio di Capo San Marco, aspro nel suo aspetto ma suggestivo nel panorama, dove venne ubicata la necropoli meridionale, presso l’area cosiddetta di Torre Vecchia, l’altra torre aragonese, sulla costa orientale2. Per comprendere meglio l’area tharrense, ecco qualche accenno sulla conformazione geologica3: la penisola del Sinis è una formazione recente, costituita da strati del Pliocene inferiore sedimentati su calcari più antichi del Miocene superiore e coperti da colate basaltiche del Quaternario, visibile in particolar modo sul Capo San Marco, ma molto meno sulle colline di San Giovanni e di Su Murru Mannu. A causa della variazione del clima avvenuta nel Quaternario, si ha una formazione di depositi sabbiosi, un conglomerato conchigliare marino e piccoli depositi di panchina tirrenica4. Questi depositi quaternari poggiano su un’arenaria eolica giallastra e sono coperti da depositi di sabbia eolica che si alternano nel paesaggio alle rocce di basalto; tutti questi materiali reperibili nell’area furono di grande utilità per le costruzioni di Tharros soprattutto le rocce arenacee, molto più facili nella lavorazione delle rocce basaltiche che per la sua compattezza e durezza ritroviamo negli edifici di tutte le epoche: negli edifici nuragici, nella fortificazioni, nei basolati e nelle soglie di abitazioni, nel battistero paleocristiano5. Invece l’arenaria è impiegata molto più 2 R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, p. 13. 3 E. ACQUARO – C. FINZI, Tharros, Guide e Itinerari, Sardegna Archeologica, Sassari 1989, pp. 10-11. 4 Ibidem. 5 Ibidem.

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diffusamente nella realizzazione di blocchi edili per i monumenti votivi quali altari e stele. La zona orientale della penisola è composta dall’accumulo di materiale alluvionale portato dal Tirso nel suo sbocco al Golfo di Oristano, in concomitanza con depositi sabbiosi costituiti per azione eolica, hanno determinato la formazione degli stagni lagunari, come lo stagno di Mistras. Questa zona riparata dai venti provenienti da nord-ovest, i quali sottopongono la parte occidentale della penisola a una forte erosione dovuta anche al moto ondoso del mare6. L’azione dei venti e del mare ha determinato il nascere dell’insediamento urbano nell’area che più si adattava morfologicamente. Le genti provenienti dal lontano Levante scelsero il dolce pendio che si situa sul versante orientale del promontorio di Capo San Marco riparato dai rilievi di San Giovanni e di Su Murru Mannu, a difesa del Golfo7. La posizione geografica di Tharros, presenta delle strette analogie con la maggior parte dei centri fenici, per esempio Nora; ciò spiega l’importanza della città che fu destinata al controllo e allo scalo portuale dei prodotti minerari e di beni pregiati8.

6 Ibidem. 7 E.ACQUARO – M.T. FRANCISI – G.M. INGO- L.I. MANFREDI, Progetto Tharros, Roma 1997, pp. 107-120 8 Ibidem.

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Fig. 3. Tharros - Topografia archeologica (tratta da P. Bernardini).

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2.2 Origine del toponimo Il nome in forma plurale dell’antica città di Tharros è attestato sia nella tradizione greca sia in quella latina, non solo in fonti storiche ma anche geografiche e itinerarie9. Faccio alcuni esempi: Claudio Tolomeo nella Geographia utilizza Tàrrai; Sallustio invece la forma Tarrhos, la stessa ritrovata in un’iscrizione proveniente da Turris Libisonis; la stessa forma è riportata nella Catholica dallo Pseudo Probo, che per ben due volte nomina la città sotto la forma di Tarros (“Tarros è un nome di numero sempre plurale”)10. Invece sotto la forma di Tharros nell’Itinerarium Antonini e in Artes grammaticae di Mario Plozio Sacerdote e in un cippo miliare da S. Giovanni di Sinis. Nelle epigrafi troviamo anche la nomina dell’etnico: Tarrensis/es, iscrizione da Ostia e Tarrhenses iscrizione rivenuta a Tharros11. Un’altra iscrizione punica del III-II secolo a.C. proveniente da Tharros, oggi l’epigrafe conservata al museo di Cagliari, descrive il restauro apportato al tempio di Melqart con la menzione dei sufeti di QRTHDŠT, che significa “città nuova”. Il nome molto probabilmente si riferisce alla città di Tharros o, un’altra ipotesi al vicino centro di Neapolis, attuale Santa Maria di Nabui12. Al problema grafico si aggiunge quello linguistico, infatti, l’etimologia del toponimo Tharros viene studiato dai moderni glottologi a partire dall’inizio del XVII secolo: consapevoli della fondazione del centro da parte dei Fenici, essi hanno cercato nella lingua semitica l’origine linguistica di Tharros. Il Canonico Nurra traeva da Tharros i termini fenici Thur (mercato) o Thirosh (mosto), invece nell’Ottocento il Canonico Spano riaffermava sempre l’origine semitica del nome, accostandolo a Tarash “possesso” oppure a Thar rosh “promontorio visibile”. Quest’origine semitica era sostenuta soprattutto dalla 9 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato Nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, Roma 1996, p.7. 10 R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, p. 31-32. 11 Ibidem. 12 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato Nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, Roma 1996, p.7.

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scoperta nella metà del XIX secolo delle false carte d’Arborea13. Nel secolo scorso Max Wagner, nella sua opera La lingua Sarda, ribadisce l’origine semitica del toponimo Tharros, utilizzando la parola fenicia Zar “roccia” da cui deriverebbe sia il nome della città sarda sia quella di Tiro. Altri studiosi, tra cui F. De Felice, individua l’origine del toponimo Tharros nella radice mediterranea Tarr-, diffusa in Anatolia, a Creta, nella penisola italiana e iberica, e nella stessa Sardegna come Tarrai a Galtellì e Campu Tarru a Gonnosfanadiga. Molto probabilmente i primi Semiti giunti nel promontorio meridionale del Sinis udirono e accettarono il nome Tharros dato dalle popolazioni indigene14. Molti studiosi ritengono che prima della fondazione della città in unico centro urbano, la penisola ospitava due nuclei distinti, due quartieri, testimoniato dal duplice contesto funerario sia in età fenicia e sia in età punica: molto probabilmente la zona settentrionale era legata alle attività produttive (portuali e agricole), invece quello meridionale era presumibilmente una zona residenziale15. Forse è questo il motivo per il quale il nome della città di Tharros è stato tramandato in forma plurale.

13 R. ZUCCA, Tharros, Oristano, 1984, p.31-32. 14 Ibidem. 15 P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, pp. 94-95.

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2.3 Nuragici e Fenici a Tharros Nella zona dell’oristanese, in particolar modo tra l’alto Campidano e il retroterra del Sinis, si ha una particolare concentrazione di insediamenti di comunità indigene. Già nel Neolitico medio (IV millennio a.C.) l’area del Sinis fu interessata dalla nascita di agglomerati capannicoli, uno tra i più importanti è documentato dalla vasta necropoli di Cuccuru Is Arrius, oggi sommersa a causa della realizzazione del canale scolmatore di Cabras16. Tuttavia dal Neolitico tardo all’Eneolitico (III millennio-1800 a.C.) questi villaggi di capanne aumentarono in tutta l’area del Sinis e del Campidano: Cuccuru Is Arrius, Conca Illonis, Serra ‘e Siddu nel territorio di Cabras, Ludosu, Isca Maiore, Monti Palla nel territorio di Riola, etc., testimoniatoci anche da alcune necropoli a domus de janas, per esempio a Is Aruttas (Cabras) e Sa Rocca Tunda (San Vero Milis)17. Nel Bronzo antico (1800-1500 a.C.) compaiono i primi villaggi nuragici: Sa Pesada Manna a Cabras e l’utilizzo delle domus de janas di S. Vero Milis. Nel Bronzo medio (1500- 1200 a.C.) si avverte un aumento demografico e insediativo con la costruzione di nuraghi semplici, nel Sinis ne sono stati censiti circa 110, molto probabilmente anche l’estremità meridionale del Sinis fu interessata dalla nascita di quattro insediamenti nuragici, nell’area in cui sorgerà la città di Tharros18. Oggi sono ancora visibili i resti delle capanne circolari e di una torre nuragica nella collina di Su Murru Mannu, dove verrà impiantato in età fenicio-punica il tofet, e del nuraghe Baboe Cabitza sulla punta di Capo San Marco, utilizzato come fortificazione durante la Seconda Guerra Mondiale19. Invece poco visibili sono il nuraghe di San Giovanni sotto la torre spagnola e il nuraghe in località Sa Naedda

16 17 18 19

R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, pp. 29-31. Ibidem. Ibidem. P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, pp. 94-95.

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sulla punta del Capo, visibile fino all’inizio del Novecento20. L’economia di questi villaggi nuragici si basava soprattutto sullo sfruttamento del territorio, che la pianura fertile del Campidano e gli stagni limitrofi offrivano, tra le quali risorse agricole (cereali), marine (sale e pescato) e minerarie (ferro e rame)21. Nel Bronzo medio e finale (1200- 1000 a.C.) si costruiscono i nuraghi complessi del Sinis, tra i quali Angius Corruda, Leporada, Sa Ruda, Cannevadosu, etc22. Alla fine del Bronzo finale non tutti gli insediamenti nuragici sopravvivono, alcuni di questi vengono abbandonati, molti restano vitali e nel mentre nascono dei nuovi villaggi privi di nuraghe, presumibilmente nascono per il controllo di punti nevralgici, importanti per le popolazioni locali sia sotto l’aspetto religioso, sia sotto quello politico ed economico. I villaggi sorti nell’area tharrense vengono interessati da frequentazioni di tipo commerciali da parte di popolazioni vicinoorientali, soprattutto dai Ciprioti di tradizione micenea, cui ci viene testimoniato dal ritrovamento di anfore dipinte con motivi umani, animali e vegetali, e anche di ceramiche di ambito egeo e corinzio23. Grazie al contatto con i Ciprioti in Sardegna inizierà lo sviluppo della metallurgia: nel Sinis sono documentate matrici di fusione e lingotti in bronzo e in piombo a Setti Arcus (Cabras), asce a tagli ortogonali da Funtana Meiga e dal Nuraghe Sa Ruda, sempre nel territorio di Cabras24. Nell’alto Campidano assistiamo alla costruzione dei pozzi sacri di Cuccuru Is Arrius e di Orri (Arborea) prossimi alla costa, nel mentre più all’interno troviamo i santuari di Sa Gora ‘e Sa Scafa e di Monti Prama (Cabras), S’Urachi (S. Vero Milis), Santa Cristina (Paulilatino), Nuraghe Losa (Abbasanta). Ad ogni luogo sacro è legato l’abitato nuragico che interagisce con le popolazioni giunte 20 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato Nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, Roma 1996, p. 10. 21 A. STIGLITZ, Fenici e Nuragici nell'entroterra tharrense: Sardinia, Corsica et Baleares Antiquae – V 2007, Roma – Pisa 2008, pp. 87. 22 R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, pp. 29-31. 23 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato Nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, Roma 1996, p. 10. 24 R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, pp. 29-31.

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dall’esterno. Alcuni di questi insediamenti permangono fino all’inizio della prima età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.), quando giungono nelle coste del Golfo di Oristano, i primi nuclei fenici, per esempio Cuccuru Is Arrius, il centro di S’Urachi e il santuario di Monti Prama sono nel momento di maggiore attività25.

Fig. 4. Carta dell'Oristanese (tratta da P. Bartoloni). 25 A. STIGLITZ, Fenici e Nuragici nell'entroterra tharrense: Sardinia, Corsica et Baleares Antiquae – V 2007, Roma – Pisa 2008, pp. 87-98.

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Alla fine dell’VIII secolo a.C. i Fenici si affacciano nella scena politica del Sinis, abitato dalle popolazioni locali fin dalla metà del XII secolo o dall’XI secolo a.C. Il villaggio nuragico di Murru Mannu, già in epoca precedente del primo stanziamento fenicio, è in stato di abbandono; invece è probabile che fosse attivo il villaggio di San Giovanni come ci inducono a credere i ritrovamenti di un vaso a cestello decorato con bugne, databile tra l’VIII e il VII secolo a.C., due pintadera geometriche e vari bronzi figurati d’uso ritrovati, sembra in contesti funerari26. In questo periodo si crede che i nuragici, grazie al loro potenziale economico, avessero mantenuto sotto il loro dominio il Sinis, almeno fino al VII secolo a.C.; anche se la fondazione della città di Tharros spinge a ritenere che essi avessero già perso il possesso dell’estremo promontorio. Ciò non significa che i fenici abbiano preso questo territorio con la forza, ma potrebbero aver usato un’elaborata diplomazia27. Infatti, dallo studio delle strutture possiamo supporre che la popolazione fenicia si sia integrata pacificamente, anche quando nella seconda metà del VII secolo a.C., a causa dell’aumento demografico, le dimensioni della città aumentarono, testimoniateci tra l’altro dalla duplice area funeraria; questo avvenne durante il periodo di attività del santuario di Monti Prama28. Questo complesso sacro e funerario, avente il carattere di un santuario cantonale, rappresentava la potenza di un gruppo di aristocratici nuragici stanziatosi alle porte di Tharros, nell’VIII-VII secolo a.C., per il controllo del confine tra i territori di dominio nuragico e lo spazio dei fenici29. La potenza di questo gruppo è testimoniata dal ritrovamento di tombe singole in cui l’inumato era sistemato in posizione seduta; al di sopra, seconda la ricostruzione di molti studiosi, dovevano essere erette le statue in arenaria di 26 27 28 29

R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, pp. 29-31. Ibidem. P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, pp. 94-95. C. TRONCHETTI, Fenici e popolazioni locali nell'entroterra tharrense: Sardinia, Corsica et Baleares Antiquae – V 2007, Roma – Pisa 2008, pp. 99-102.

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arcieri e pugilatori, ritrovati durante lo scavo in una discarica di età punica databile al IV secolo a.C., contenente anche i frammenti di nuraghi complessi e di alcuni betili30. Il prof. Carlo Tronchetti, mediante il suo studio, ritiene che gli individui sepolti vengano esaltati con la rappresentazione in statue di guerrieri legati al centro del potere, cioè al santuario riprodotto nei modelli di nuraghe e con un richiamo ideologico ad una passata età dell’oro manifestata dai betili31. Altri centri indigeni testimoniano il rapporto fecondo tra le popolazioni indigene e quelle allogene, al momento per niente ostile, come nel caso del complesso di S’Urachi32. Questo centro-santuario, caratterizzo anche da un grande nuraghe, è posto lungo la via di raccordo tra la costa settentrionale del Golfo di Oristano con il Montiferru. Questo rapporto così vivace è testimoniato dalla presenza di ceramica fenicia in red slip e anfore commerciali del tipo di Sant’Imbenia, ed anche da una necropoli a incinerazione con ceramiche vascolari fenicie, comprese tutte nella stessa cronologia, tra la seconda metà del VII secolo a.C. e la prima metà del VI secolo a.C.; questo non significa che l’abitato sia attribuibile a una stirpe fenicia, bensì a elementi nuragici che hanno acquisito questi materiali durante gli scambi. Per tornare alla zona del Sinis, anche il pozzo sacro di Cuccuru Is Arrius33 ebbe contatti frequenti con la popolazione fenicia. Ubicato lungo lo spazio che separa lo stagno di Cabras dal Golfo di Oristano, fu un punto di passaggio obbligatorio per chi, provenendo da sud tra l’XI e il VII secolo a.C., transitava verso Tharros e verso la penisola del Sinis. Nel caso specifico della città di Tharros, come ho già accennato prima, si riscontra l’assenza di centri nuragici attivi dopo la prima parte dell’VII secolo a.C., molti studiosi hanno proposto l’inurbamento di genti indigene nella città fenicia. Questa 30 Ibidem. 31 Ibidem. 32 A. STIGLITZ, Fenici e Nuragici nell'entroterra tharrense: Sardinia, Corsica et Baleares Antiquae – V 2007, Roma – Pisa 2008, pp. 87-98. 33 Ibidem.

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ipotesi può apparire interessante potendo essere dimostrata dal rinvenimento di oggetti nuragici e di imitazione fenicia in ambiti urbani e funerari fenici, come ci viene testimoniato dal ritrovamento di manufatti indigeni nella necropoli meridionale: delle faretrine votive, un pugnale miniaturistico ad impugnatura gammata ed altri materiali in bronzo34.

Fig. 5. Coppia di buoi aggiogati in bronzo, artigianato sardo. VIII sec. a.C. Tharros necropoli fenicia meridionale.

Fig. 6. Pugnale miniaturistico, artigianato sardo. VIII sec. a.C. Tharros necropoli.

Il fenomeno dell’integrazione o dell’inurbamento può avere interessato un gruppo di aristocratici e non un movimento di massa, forse in condizione di subalternità, anche se non si concilia con l’esistenza fino agli inizi dell’VII secolo a.C. di centri strategici che controllavano le vie d’accesso alle risorse. L’abbandono o la distruzione di molti siti con la fine del medesimo secolo può esser stato determinato dall’acquisizione di più potere e il bisogno di più risorse dei centri costieri fenici.

Fig.7. Faretrine votive in bronzo, artigianato sardo. VIII/VII sec. a.C. Tharros necropoli fenicia. 34 R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, pp. 29-31.

26


Molti studiosi attribuiscono la distruzione del santuario di Monti Prama contemporanea a quella del villaggio nuragico di Su Cungiau ‘e Funta (Nuraxinieddu), avvenuta verso la fine dell’VII secolo a.C., ad opera dei fenici di Tharros, testimoniando così l’espansione verso nord-est; ma un’altra motivazione può essere attribuita a un conflitto tra due differenti cantoni nuragici, senza nessun elemento d’intervento fenicio35.

35 P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, pp. 94-95; P. BARTOLONI, Il Sinis e le aree contermini: La penetrazione fenicia e punica in Sardegna: trent’anni dopo, Roma 1997.

27


Capitolo terzo

Ciò che ci resta della Tharros fenicia 3.1 L'impianto urbano La topografia dell'estremità meridionale del Sinis aderisce perfettamente ad una delle tipologie degli scali fenici “precoloniali”, l’orientamento e lo sviluppo delle coste permette di trovare sempre un approdo al riparo dal vento.

Fig. 8. San Giovanni di Sinis (Cabras), pianta dell'antico insediamento di Tharros (tratta da P. Bartoloni).

28


Le popolazioni vicino-orientali giunsero in Sardegna, spinti dallo sfruttamento e dalla commercializzazione delle risorse minerarie, estratte nell'isola: il ferro e l'argento per poi dare in cambio il rame proveniente da Cipro1. Anche nell'area della penisola del Sinis, tra il XII e la prima metà dell'VIII secolo a.C., ci furono diversi contatti e rapporti tra le popolazioni vicino-orientali e le popolazioni indigene che si insediarono nelle alture di Capo San Marco, San Giovanni e Su Murru Mannu, dove fu ritrovata della ceramica cipriota di tradizione micenea2. Il nucleo primitivo dell’impianto fenicio si ipotizza che esistesse fin dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C., collocandolo nello stesso periodo dei due centri costieri vicini, Othoca e Neapolis; ma sulla base della cronologia di quanto rinvenuto nell’area urbana tharrense, la fondazione della città avvenne verso la fine dell'VIII secolo a.C.3 Molto probabilmente un altro dei motivi per i quali i Fenici decisero di stanziarsi nella penisola del Sinis è la posizione strategica di Tharros, posta sulle due grandi vie di penetrazione verso l’interno: il Campidano verso sud-est e la valle del Tirso verso nord-est4. Tuttavia la documentazione archeologica non ha consentito di localizzare l'antico centro fenicio, in futuro forse si arriverà a qualcosa di più definitivo, ma tra le ipotesi fatte al riguardo da diversi studiosi, se ne possono citare alcune5: quella di F. Barreca, che ha ipotizzato il centro fenicio sul pianoro di Capo San Marco vicino al tempietto rustico e al nuraghe Baboe Cabitza; quella di G. Pesce che indica il centro fenicio situato, verosimilmente, sotto l'abitato punico, romano e 1 R. ZUCCA, La necropoli fenicia di San Giovanni di Sinis, Riti funerari e di olocausto nella Sardegna fenicia e punica, Atti dell'incontro di Studio. Sant'Antioco 3-4 ottobre 1986, Cagliari 1990. (= Quaderni della Soprintendenza archeologica per le Provincie di Cagliari e di Oristano, 6, supplemento), pp. 89-107. 2 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato Nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, Roma 1996, p. 10; P. BERNARDINI, Il centro urbano di Tharros: Quaderni Didattici 2/1989, Cagliari 1990. 3 P. BARTOLONI, Archeologia fenicio-punica in Sardegna, Introduzione allo studio, Cagliari 2009, p.28. 4 P. BERNARDINI, La Sardegna e i Fenici, Appunti di colonizzazione: RSF 21, 1993, pp. 57-58. 5 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato Nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, Roma 1996, p.12.

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tardo antico, sulle pendici orientali della collina di San Giovanni; infine quella proposta da P. Bernardini che suppone la presenza di un centro arcaico a nord della collina di Su Murru Mannu, verso la laguna di Mistras. Un altro problema, che si aggiunge sull'esatta localizzazione del centro fenicio, è quello dell'esistenza di una seconda necropoli6, nella località di San Giovanni di Sinis, prossima alla chiesa paleocristiana dell'omonimo villaggio. Come ho già accennato nel capitolo precedente, la trasmissione del toponimo Tharros in forma plurale, porta a ritenere che inizialmente il centro urbano fosse diviso in due nuclei distinti, in altre parole in due quartieri, forse con due vocazioni diverse: quello settentrionale era legato alle attività produttive, invece quello meridionale era una zona residenziale7. Le due aree funerarie distanti circa 3 km l'una dall'altra ci fanno intuire le dimensioni e la complessità dell’insediamento, disteso lungo la penisola del Sinis, almeno fin dalla seconda metà del VII secolo a.C. La situazione non appartiene solo a Tharros ma anche altri centri fenici occidentali, come i centri arcaici della costa andalusa, Toscanos e la necropoli di Jardùn8; o i centri arcaici della Sardegna come Sulci e Sulci Portus9. Non avendo nessuna struttura dell’impianto urbano fenicio, ci resta la testimonianza del più antico strato del tofet, inizi del VII secolo a.C., che di regola si associa all'avvenuta fondazione della città; verosimilmente due edifici sacri10 e le due necropoli a incinerazione di Capo San Marco e di San Giovanni di Sinis. La posizione strategica di Tharros nei commerci mediterranei comportò già in epoca arcaica la costruzione di un sistema di fortificazioni, pare che la più antica cinta urbana avesse la fronte settentrionale un po’ più a sud della torre di San 6 R. ZUCCA, La necropoli fenicia di San Giovanni di Sinis, Riti funerari e di olocausto nella Sardegna fenicia e punica, Atti dell'incontro di Studio. Sant'Antioco 3-4 ottobre 1986, Cagliari 1990. (= Quaderni della Soprintendenza archeologica per le Provincie di Cagliari e di Oristano, 6, supplemento), pp. 89-107. 7 P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, pp. 94-95. 8 R. ZUCCA, La necropoli fenicia di San Giovanni di Sinis, Riti funerari e di olocausto nella Sardegna fenicia e punica, Atti dell'incontro di Studio. Sant'Antioco 3-4 ottobre 1986, Cagliari 1990. (= Quaderni della Soprintendenza archeologica per le Provincie di Cagliari e di Oristano, 6, supplemento), pp. 89-107. 9 P. BERNARDINI, La Sardegna e i Fenici, Appunti di colonizzazione: RSF 21, 1993, pp. 76-77. 10 P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, pp. 94-95.

30


Giovanni, dove il terreno presenta un lungo e uniforme rialzo con molte pietre affioranti, molto probabilmente un crollo, proseguendo in linea retta da est ad ovest, doveva sbarrare completamente l’accesso alla parte meridionale della penisola, forse dominata e fiancheggiata ad ovest da un torrione costruito sotto l’attuale torre spagnola di San Giovanni11. Oggi le cinte murarie scoperte appartengono al periodo punico, dal momento in cui la città si sviluppò maggiormente includendo la cinta urbana antica, e allargandosi verso nord-est fino ad includere il tofet e tutta la sommità della collina di Su Murru Mannu, per poi piegare verso sud-est. Il problema maggiore, oggi, è distinguere la fase fenicia dalla fase punica, infatti anche se sembra tanto logico in linea di principio, è molto più difficile verificarlo archeologicamente. Resta il fatto che Tharros sia stata la prima città feniciopunica della Sardegna di cui sia possibile ricostruire a grandi linee il sistema di fortificazioni, potendo distinguere tre fasi edilizie e due diversi tracciati: un tracciato fenicio e un tracciato punico, divisi in una fase arcaica, tardo punica e romana12. Importante è notare che già nel periodo arcaico, nella collina di Su Murru Mannu (Grande Muro), la città nella parte meno difendibile, abbia avuto un sistema di fortificazione a linee multiple. Una delle peculiarità dei centri fenici-punici è sempre stato considerato il binomio piazza/porto: nel caso di Tharros la vicenda è complicata, poiché innanzitutto non abbiamo nessun dato riguardante una piazza principale e in secondo luogo il problema è quello della localizzazione del porto13.

11 F. BARRECA, Tharros-III. Le fortificazioni settentrionali di Tharros: RSF 4, 1976, pp. 251223. 12 S. MOSCATI, Tharros-VII, Tharros: primo bilancio: RSF 9, 1981, pp. 29-41. 13 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato Nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, Roma 1996, p. 32.

31


3.2 L'impianto portuale Il problema dell'ubicazione delle antiche strutture portuali di Tharros si manifestò fin dagli anni sessanta con gran interesse, non solo tra gli archeologi ma anche tra i geologi, avviando una serie di ricerche che tuttavia non portarono a una conclusione definitiva. Tra gli anni '60 e '70, lo Schmiedt individuò nei fondali antistanti alla città di Tharros delle strutture sommerse e, interpretando una foto aerea del 1957, suppose che fossero delle tracce di un restante impianto portuale14. Molti studiosi accolsero questa sua teoria secondo la quale, in quel punto sulla costa orientale della penisola, fosse stato ubicato l'antico porto della città fenicia. Questa collocazione accentuava l'idea del binomio piazza principale e porto, riguardanti le città fenicio-puniche, e che fu identificata a Tharros nell'ampio spazio trapezoidale posto tra le terme n.2 (dette anche quelle del “Convento Vecchio”) e il tempio “a pianta di tipo semitico”, adiacente al tempio delle “semicolonne doriche”. In base alla teoria dello Schmiedt anche G. Pesce ipotizzò l'antico porto tra le terme n.2 e la Torre Vecchia15. Un'altra ipotesi fu data da F. Barreca che sosteneva l'idea di un canale che tagliasse l'istmo alle pendici della collina di Su Murru Mannu, collegando il Golfo di Oristano con il Mare Sardo, da poter essere così funzionale anche alla prima linea difensiva della città16. I primi dati concreti giunsero nel 1979, quando si decise di fare la prima prospezione archeologica subacquea nelle coste del Sinis, effettuata da un gruppo di ricercatori per conto della SNAAI (Servizio Nazionale per l'Archeologia delle Acque Interne), guidati dal Fozzati17.

14 15 16 17

E. ACQUARO et alli, Il Portto buono di Tharros, La Spezia 1999, p.15. Ivi, p.24. Ivi, p. 16. Ivi, pp.24-25.

32


Innanzitutto escluse l'esistenza di approdi nella parte occidentale dell'istmo, escluse

anche

l'esistenza

di

impianti portuali nella costa orientale compresa tra le terme n.2 e la zona di Torre Vecchia, dove rivenne dei blocchi di arenaria

squadrati

irregolari,

molto probabilmente appartenuti al crollo di un edificio. Nella zona che fu identificata, fino in quel momento dagli studiosi, come l'antico porto della città non si ritrovarono delle strutture che potessero supporre questa presenza. Infine il Fozzati rilevò nella località di Porto Vecchio, una piccola cala sita ad est della zona, denominata sa cabada ei femias.

La

prospezione

subacquea portò al rilevamento di due banchine lunghe circa 20 m e distanti tra loro circa 50 m, con un andamento rettilineo che tende a convergere leggermente in direzione del mare aperto. La parte meridionale è composta da Fig. 9. Prospezione subacquea del 1979 (tratta da E. Acquaro).

blocchi di arenaria squadrati di

media grandezza, invece quella settentrionale è costituita da lastre lapidee, legate tra di loro da malte di calce, ciò può far pensare a strutture cronologicamente differenziate. 33


Comunque la serie meridionale sembra molto simile alle tecniche edilizie utilizzate in altri porti fenici, per esempio, nella città di 'Atlit18. Successivamente questa teoria fu messa in discussione da diversi studiosi: il Fioravanti pose bene in luce il carattere lagunare della zona di Porto Vecchio, idoneo come porto, che attualmente è ricoperto da depositi eolici; invece il Linder non fu d'accordo, che le strutture murarie potessero appartenere ad un impianto portuale antico, ma tramite delle ricerche nella zona di “Convento Vecchio”, si convinse che le strutture sommerse abbiano avuto la funzione di frangiflutti, anteposte quindi a protezione del vero porto della città fenicia19. La descrizione del Fozzati del rinvenimento di due serie di blocchi, nella zona di Porto Vecchio, ci porta ad ipotizzare che queste strutture possano rappresentare due bracci murari protesi in mare aperto e convergenti verso il centro, chiudendo così il bacino portuale sui fianchi. Come ho già brevemente accennato questa disposizione e la tecnica costruttiva dei blocchi, può essere ricollegata tipologicamente all'area culturale fenicio-punica, come il porto di Cartagine. Precisamente la serie settentrionale presenta diverse strutture differenti, i blocchi sottoposti a quelli di età romana appaiono costituti da grandi blocchi di arenaria posizionati di taglio senza cemento; questa tecnica viene utilizzata da tempi molto più antichi, anche precedenti all'età fenicio-punica, come appunto nel porto di 'Atlit20, dove la presenza di un percorso pavimentato doveva giungere da collegamento tra il centro urbano e il porto, elemento che verosimilmente viene trovato a Tharros durante una ricognizione effettuata nel 199821. La rimozione del deposito di sabbia avvenuta a causa del forte vento, mise in luce lo spigolo di una serie di blocchi descritti dal Fozzati per la serie meridionale, questa riscoperta rafforza la sua teoria sulla collocazione del porto nell'area del Porto Vecchio, chiarendo ancor meglio il rapporto con altri porti fenici. 18 19 20 21

Ibidem. Ibidem. Ivi , pp. 26-27. A. FARSELLI – G.PISANU - S. VIGHI, Tharros: prospezione archeologica a Capo San Marco 1998, Cagliari 2002 (= Quaderni della Soprintendenza Archeologica per le provincie di Cagliari e di Oristano), pp. 123-140.

34


Il percorso22 si snodava esternamente alle mura per tutto il lato nord-est, presumibilmente aveva la funzione di collegare il centro della città con il porto, dal momento che si perdono le tracce proprio nella località di Porto Vecchio. Questo dato è verificabile grazie alle foto aeree precedenti agli scavi di G. Pesce che con i loro detriti coprirono la parte meridionale del percorso. Riprendendo l'ipotesi del Barreca23, né la ricognizione né le indagini su foto aeree, perpetrate durante gli anni, hanno fornito degli elementi probanti all'ipotetico canale di collegamento tra il Golfo di Oristano e il Mare Sardo; anzi le diverse analisi geomorfologiche e lo studio delle immagini telerilevate sembrano attestare

Fig. 10. Tharros, Mare Morto. Probabili banchine portuali fenicio-puniche ottenute con l'adattamento del banco di arenaria nel settore dell'ancoraggio orientale (tratta da F. Barreca).

22 E. ACQUARO et alli, Il Portto buono di Tharros, La Spezia 1999, pp. 27-28. 23 Ibidem.

35


in quest'area, precisamente nell'avvallamento alle pendici della collina di Su Murru Mannu, uno stagno colmato a causa dei depositi alluvionali trasportati dal Tirso e dai depositi eolici; può darsi che quest'area poteva essere stata impiegata come porto. Altre darsene sono state messe alla luce da P. Bernardini24, nei pressi della Torre Vecchia, queste strutture sembrano indicare dei semplici approdi. Le future ricerche porteranno a una conclusione di questo problema, anche se oggi la teoria sull'identificazione del porto della città fenicia di Tharros nella località di Porto Vecchio, sempre tenendo in considerazione la possibilità che gli approdi non fossero costruiti solo in pietra ma bensì in materiali deperibili e che sfruttassero le aree più conformi alle operazioni portuali, viene accettata da molti. Per Tharros il porto rappresenta il motore economico della città, come avviene in tutte le città costiere, già in età arcaica diventa un punto fondamentale per i traffici e per gli scambi nell’area del Mediterraneo occidentale, un prezioso punto d’appoggio alle navi in partenza e in arrivo dalla Penisola Iberica, attraverso la rotta per le Baleari25. La testimonianza maggiore è la gran quantità di materiali e di importazioni ceramiche che circolano nella città, tra la metà del VII e la metà del VI secolo

Fig. 11. Coppetta su piede produzione etrusco-corinzia.

Fig. 12. Kantharos in bucchero etrusco. Prima metà del VI sec. a.C.

24 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato Nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, Roma 1996, p. 3435. 25 S. MOSCATI, Tharros-VII, Tharros: primo bilancio: RSF 9, 1981, pp. 29-41.

36


a.C., dalla produzione corinzia ed etrusca a quella laconica, ionica e attica26. Sorprende soprattutto l’abbondanza della ceramica etrusca in bucchero rinvenuta nei contesti funerari, la presenza del kantharos, delle c.d. anforette “nicosteniche”, kylikes e oinochoai. La ceramica etrusco-corinzia è rappresentata da aryballoi, coppette su piede e coppe, assegnabili al Pittore delle Code Annodate, al Pittore delle Macchie Bianche e la serie più tarda al Gruppo della Maschera Umana, 550540 a.C27. Dalla ceramica corinzia, altro materiale greco giunge nel centro fenicio: laconico come delle coppe greco-orientali, balsamari ionici e infine un unico pezzo di produzione attica, il solo anteriore alla metà del VI sec. a.C., l’anfora del Pittore Timiades.

Fig 13. Aryballos corinzio. Prima metà del VI sec. a.C.

Fig. 14. Aryballoi etrusco-corinzi. 580-540 a.C.

Si può notare come resta costante la tipologia delle ceramiche importate, come esse siano indirizzate alla sfera del simposio, tranne le coppette su piede e le anforette nicosteniche, utilizzate in luogo di culto o in contesti funerari. Tharros mostra la sua importanza come centro internazionale del traffico nel mondo mediterraneo occidentale antico, senza confronti con gli altri centri della Sardegna, non solo per le ceramiche etrusche anche per i pochi balsamari figurati ionici, fra cui quello che rappresenta una divinità con canopo, forse prodotto a 26 P. BERNARDINI, Dati di cronologia sulla presenza fenicia e punica in Sardegna: Sardinia, Corsica et Baleares Antiquae – VII 2009, Roma – Pisa 2010. 27 C. TRONCHETTI, I Sardi, Traffici, relazioni, ideologie nella Sardegna arcaica, Milano 1988, pp.41-62.

37


Naukratis, che trova riscontro in un esemplare simile nel tofet di Sulky28. Ciò non significa che gli Etruschi si siano interessati in prima persona nel trafficare questi materiali, molto probabilmente i protagonisti del commercio tra l’Etruria e la Sardegna avvenne tramite la mediazione degli stessi Fenici e Cartaginesi, ugualmente verso la Magna Grecia e la Sicilia29.

3.3 Il tempietto fenicio di Capo San Marco Nel 1958, F. Barreca individuò nella sommità occidentale del promontorio di Capo San Marco, nei pressi del nuraghe Baboe Cabitza, un tempietto rustico, di pianta rettangolare, forse riferibile

cronologicamente

al

periodo fenicio30. Lo spazio interno appare tripartito, dal lato lungo sud-orientale si accede Fig. 15. Pianta e sezione ricostruite del tempietto fenicio di Capo San Marco (tratta da E. Acquaro).

al

vestibolo,

affiancato

e

comunicante con un ambiente più

grande, diviso a sua volta in due vani da quattro colonne e due pilastri angolari, di cui permangono le tracce di posa. Al centro della stanza, nella parete nordorientale, è stato ritrovato un blocco di arenaria squadrato su cui poggiava una piramide lapidea, oggi al Museo di Cagliari, interpretata dallo scopritore come rappresentazione aniconica di una divinità femminile, forse la dea Ashtart. Nel vano adiacente, sempre nella parete nord-orientale, è stato individuato un altare a bancone31. Il tempietto fu costruito con pietrame in arenaria e basalto malamente sbozzato, il 28 29 30 31

Ibidem. S. MOSCATI, Tharros-VII, Tharros: primo bilancio: RSF 9, 1981, pp. 29-41. R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, p.72. E. ANATI, I Sardi, la Sardegna dal Paleolitico all'età Romana, Milano 1984, p. 144.

38


tutto cementato con malta di fango, le pareti interne rivestite di intonaco rosso e il pavimento fu realizzato da uno spesso battuto di calce32. Durante lo scavo furono ritrovati frammenti di ceramica a vernice nera tardo-repubblicana che segnalerebbero la fase finale di frequentazione di questo tempietto. Un ulteriore santuario33, forse installato nell’età

precoloniale,

può

essere

riconosciuto sotto l’attuale torre di San

Fig. 16. Il tempietto di Capo San Marco da ovest (tratta da P. Bartoloni).

Giovanni, all’interno del nuraghe oggi

scomparso. In base agli ex-voto ritrovati si può ipotizzare che anche questo santuario fu dedicato alla dea Ashtart.

3.4 Il tofet Nel 1962, G. Pesce individuò, sulla collina di Su Murru Mannu, il principale santuario fenicio-punico di Tharros: il tofet34. Prima di proseguire alla descrizione del tofet, sembra opportuno dare qualche informazione sulle

varie

questioni

che

riguardano

principalmente il culto che veniva effettuato in quest’area sacra. Il nome tofet, presente nei testi biblici, come luogo di una pratica detestata e condannata dal Dio Abramo, è stato interpretato da molti Fig. 17. Deposito di urne del tofet (tratta da E. Acquaro).

studiosi,

come

un

santuario

caratteristico

fenicio, dove venivano sacrificate alle divinità

32 R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, p.72. 33 P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, p. 95. 34 G. PESCE, Tharros, Cagliari 1966.

39


cittadine i primogeniti maschi dell’aristocrazia. I fanciulli venivano prima uccisi, poi passati per il fuoco, infine le loro ceneri raccolte in urne e deposte nel tofet35. Anche alcuni autori classici e apologeti cristiani danno altre informazioni, molte volte contrastanti tra loro: per esempio Tertulliano parla di pratiche di sacrificio dei fanciulli a Saturno nelle città nordafricane, altri menzionano questi sacrifici in casi di grave necessità36. La difficoltà di comprendere cosa gli scrittori antichi intendessero per sacrificio umano, la traduzione e l’interpretazione erronea dei testi ha portato a credere a molti studiosi e non solo, all’uccisione rituale, al sacrificio di poveri fanciulli unicamente per ingraziarsi le divinità, o forse per necessità, etichettando il popolo fenicio come un popolo cruento, quando non si comprende bene per quale motivo i Fenici avessero dovuto sacrificare i propri primogeniti, quando la mortalità infantile era molto alta: almeno 7 bambini su 10 entro il primo anno di vita moriva; così in breve tempo la civiltà fenicia si sarebbe estinta37. Personalmente sono favorevole alla teoria del prof. P. Bartoloni: “Si trattava di un santuario a cielo aperto dedicato al dio Baal Hammon e alla dea Tinnit, sua paredra, racchiuso in un recinto, talvolta in muratura, nel quale erano posti sul rogo e poi sepolti con riti particolari i bambini non nati, nati morti o deceduti per cause naturali o per malattia, erano rinviati alla divinità che li aveva concessi, tutte le pratiche svolte da parte dei loro genitori nell’area del tofet erano tese a ottenere da parte degli dei la concessione di una nuova nascita.”38 Con molta probabilità il rituale del tofet rappresenta un rito funebre, e non sacrificale, svolto con particolari riti religiosi, rivolti ai bambini mai nati o morti prematuramente, una pratica rivolta verso i più deboli con la speranza dell’arrivo di nuove nascite. Il tofet, luogo adibito esclusivamente al seppellimento dei bambini defunti, era 35 R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, p. 60. 36 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato Nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, Roma 1996, pp. 48-49. 37 P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, p.161. 38 Ibidem.

40


nettamente separato dall’area urbana e dalla necropoli, questa divisione può avere la causa nello status sociale dei piccoli defunti, perché deceduti prima della celebrazione di rituali di passaggio, forse nel fuoco, che ne avrebbe consentito l’ingresso nella comunità degli adulti39. Dopo aver delineato in maniera molto generale i vari problemi riguardanti il tofet, si può passare alla descrizione del santuario tharrense, che per molti aspetti appare innovativo, soprattutto nell’atto della sua fondazione. Tempi addietro si riteneva che il tofet venisse impiantato su terreno vergine, nel caso di Tharros è diverso, perché sorto sui resti di un villaggio nuragico abbandonato, di cui utilizza le fondamenta per la deposizione delle urne. La superficie occupata dal santuario copriva circa 1000 mq ed è delimitato a nord e a est dalla linea di fortificazione, mentre a sud con molta probabilità doveva collocarsi l’ingresso40. Le campagne di scavo susseguitisi ogni anno, dal 1974 al 1986, hanno permesso il recupero delle urne cinerarie e dei materiali ad esse connesse, anche lo studio e la riscoperta del villaggio nuragico, con la messa in evidenza delle capanne e di una torre. Il santuario rivela più fasi archeologiche, comprese tra il VII e gli inizi del II secolo a.C., al periodo più antico appartengono i vasi con alto collo ad orlo espanso, detti à chardon, le olle globulari e dalla metà del VII fino il V sec. a.C. come copertura vengono utilizzati i piatti ombelicati, privi di ingobbio; sono il tipo più diffuso41. Nelle varie deposizioni, notiamo come la risistemazione delle urne più antiche siano state accumulate nella parte occidentale del tofet, per far spazio a quelle nuove, utilizzando tipologie di ceramiche differenti, stele, Fig. 18. Vaso “à chardon” dal tofet. 39 Ivi, p. 163. 40 E. ACQUARO, Il tofet di Tharros: note di lettura. Riti funerari e di olocausto nella Sardegna fenicia e punica, Atti dell'incontro di Studio. Sant'Antioco 3-4 ottobre 1986, Cagliari 1990. (= Quaderni della Soprintendenza archeologica per le Provincie di Cagliari e di Oristano, 6, supplemento), pp.13-22.

41


monumenti votivi, per poi essere anche essi accantonati o come le stele riutilizzate per creare nuovi basamenti, un ciclo continuo per le nuove deposizioni42. Le analisi antropologiche e paleobotaniche43 condotte sui contenuti delle urne, hanno permesso di acquisire nuovi aspetti inerenti al rito: il tipo di combustione testimoniato dai resti ossei indica l’utilizzo di roghi all’area aperta, la presenza congiunta fin dai primi secoli di piccoli ovicaprini e di resti umani, l’età dei piccoli defunti oscilla fra 0-6 mesi e 5 anni, infine la stagionalità del rito forse nel periodo primaverile, ci induce a pensare dalle analisi fisiche effettuate sugli ovicaprini sacrificati e dell’esame dei fitoliti recuperati dalle urne indicherebbero una cadenza stagionale nell’accensione di roghi. Le piante utilizzate erano le graminacee, oleastri e lentischi ma resta il fatto che sulla base di questi resti vegetali, non sia dimostrata in maniera prioritaria l’arsione in periodo primaverile.

3.5 Le necropoli Dopo aver trattato delle varie strutture urbane di Tharros, ciò che ci resta del periodo fenicio sono le due aree funerarie che, hanno avuto così tanta attenzione nell’Ottocento, indagate non solo con scavi ufficiali, ma soprattutto trafugate durante la nota “corsa all’oro”. La necropoli di Capo San Marco44, quella meridionale, è situata nella zona vicino 41 E. ACQUARO, Scavi al tofet di Tharros: le urne dello scavo Pesce – I, Roma 1989. 42 E. ACQUARO – A. MEZZOLANI, Tharros, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato Nazionale per gli studi e le ricerche sulla civiltà fenicia e punica, Roma 1996, pp. 50-51. 43 THARROS V: AA.VV., Tharros nhju V, Lo scavo del 1978: RSF 7, 1979, pp. 49-124; THARROS VII: AA.VV., Tharros VII: RSF 9, 1981, pp. 29-91; THARROS VIII: AA.VV., Tharros VIII, Lo scavo del 1981: RSF 10, 1982, pp. 37-102; THARROS IX: AA.VV., Tharros IX, Lo scavo del 1982: RSF 11, 1983, pp. 49-111; THARROS XII: AA.VV., Tharros XI, Lo scavo del 1984: RSF 13, 1985, pp.11-147; THARROS XII: AA.VV., Tharros XII, La campagna del 1985: RSF 14, 1986, pp. 95-107; F.G. FEDELE, Tharros: Antropology of the Tophet and Paleoecology of a Punic Town, Atti del Congresso Internazionale di studi Fenici e Punici, Roma 1983, pp. 637-650. 44 R. ZUCCA, La necropoli fenicia di San Giovanni di Sinis, Riti funerari e di olocausto nella Sardegna fenicia e punica, Atti dell'incontro di Studio. Sant'Antioco 3-4 ottobre 1986, Cagliari 1990. (= Quaderni della Soprintendenza archeologica per le Provincie di Cagliari e di Oristano, 6, supplemento), pp. 89-107.

42


alla Torre Vecchia, dove nel 1885 F. Nissardi, dopo aver intrapreso il rilievo topografico della necropoli, operò dei saggi di scavo, riportando alla luce resti di sepolture ad incinerazione. Il materiale, oggi conservato al Museo di Cagliari è stato studiato da P. Bartoloni45, sulla base dei dati raccolti, si è potuto risolvere il dubbio che riguardava la tipologia funeraria utilizzata durante la frequentazione arcaica di Tharros: le modalità di deposizione e i corredi rinvenuti attestano una completa corrispondenza con altri siti sardi di età fenicia; questi materiali coprono un arco cronologico che parte dalla seconda metà del VII sec. alla metà del VI sec. a.C. Dopo un secolo, nel 1981, ripresero le ricerche nella necropoli a cura di R. Zucca, il quale ha confermato la presenza di una necropoli fenicia ad incinerazione in base al ritrovamento di ceramiche arcaiche fenicie ed etrusco-corinzie appartenenti alla stessa datazione dei corredi studiati da P. Bartoloni46. Nella necropoli di Capo San Marco si individuano due tipologie di tombe ad incinerazione47: •

Tombe a cista litica costituita da lastre poste a coltello, ricoperta da un

lastrone; le ossa combuste erano collocate all’interno di una cista, forse avvolte in un sudario. •

Tomba a fossa rettangolare, scavata nella roccia o in terra, contente in

un’urna in terracotta o in pietra. Il loculo era, di regola, sigillato da uno strato di argilla sottostante a un lastrone rettangolare. Invece nella necropoli di San Giovanni di Sinis, quella settentrionale, si riscontra un’unica tipologia tombale: •

Tombe a fossa, circolare, subcircolare e rettangolare, scavata nel terreno o

nel banco di arenaria, forse con la deposizione dell’urna funeraria e ricoperta talvolta da un lastrone monolitico. 45 P. BARTOLONI, Tharros – VII, Ceramiche vascolari nella necropoli arcaica di Tharros: RSF 11, 1981, pp. 93-98. 46 P. BARTOLONI, Studi sulla ceramica fenicia e punica di Sardegna, Roma 1983; P. BARTOLONI, Contributo alla cronologia delle necropoli fenicie e puniche di Sardegna: RSF 9, 1981, pp. 13- 29. 47 R. ZUCCA, Tharros, Oristano 1984, p. 36.

43


Fig. 19. La necropoli settentrionale di San Giovanni di Sinis.

La necropoli settentrionale48 si estende circa per 400 m, in una stretta striscia di terra, prossima alla scogliera che si affaccia sul Mare Sardo, in corrispondenza con la schiera di villette in prima fila del villaggio moderno. Lo studio dei materiali della collezione Pischedda e della campagna di scavo di R. Zucca, sono compresi tra la seconda metà del VII sec. e la prima metà del VI sec. a.C. Le necropoli fenicie di Tharros49 rispecchiano il rituale funerario e le tipologie tombali presenti nel quadro culturale fenicio, infatti,

l’incinerazione,

oltre

ad

essere

documentata in varie necropoli libanesi, è maggiormente diffuso nelle colonie fenicie occidentali, tranne a Cartagine. Invece per quel Fig. 20. Corredo funerario fenicio.

che riguarda le tipologie tombali, la cista litica

48 R. ZUCCA, La necropoli settentrionale di Tharros: Phoinikes b Shrdn. I Fenici in Sardegna – Nuove Acquisizioni, Oristano 1997, pp. 94-97 e 270-271. 49 R. ZUCCA, La necropoli fenicia di San Giovanni di Sinis, Riti funerari e di olocausto nella Sardegna fenicia e punica, Atti dell'incontro di Studio. Sant'Antioco 3-4 ottobre 1986, Cagliari 1990. (= Quaderni della Soprintendenza archeologica per le Provincie di Cagliari e di Oristano, 6, supplemento), pp. 89-107.

44


contenente l’urna funeraria50 o i resti del cremato entro un sudario è attestato a Nora, Bithia, Othoca e Mozia; molto più diffusa la tomba a fossa semplice. L’urna cineraria pluriansata è presente anche a Bithia, invece quella in pietra nelle necropoli di Mozia e Cartagine. Il corredo tombale è analogo a quello delle necropoli fenicie occidentali, comprende un gruppo di ceramiche fenicie, forse rituali o legate al proprio costume funerario, come brocche con orlo a fungo, brocche con orlo trilobato, ampolle, tripodi, lucerne a conchiglia, askoi ornitomorfi. Questi materiali possono essere presenti tutti in una stessa tomba, questo purtroppo a Tharros non è verificabile a causa delle manomissioni perpetrate negli anni e dai pochi dati raccolti, oppure solo una parte51.

Fig. 21. Corredo funerario fenicio proveniente dalla necropoli settentrionale. 50 A. FORCI, Urna cineraria fenicia nella necropoli settentrionale di Tharros, Quaderni della Soprintendenza archeologica per le Provincie di Cagliari e di Oristano, 20, 2003, pp. 3-16; P. BARTOLONI, In margine ad una olla stamnoide di Tharros: Rivista di Studi Fenici 19, 1991, pp. 89-91; P. BERNARDINI, Tharros-XVII, Tharros e Sulci: Rivista di studi Fenici 19, 1991, pp. 181-189. 51 R. ZUCCA, La necropoli fenicia di San Giovanni di Sinis, Riti funerari e di olocausto nella Sardegna fenicia e punica, Atti dell'incontro di Studio. Sant'Antioco 3-4 ottobre 1986, Cagliari 1990. (= Quaderni della Soprintendenza archeologica per le Provincie di Cagliari e di Oristano, 6, supplemento), pp. 89-107.

45


Accanto al tipico corredo fenicio, nelle tombe tharrensi compaiono ceramiche d’importazione,

testimonianza

degli

intensi

scambi

commerciali,

molto

probabilmente come segni di prestigio del defunto. Tra gli ornamenti personali prevalgono i gioielli in argento, invece molto scarsa la presenza di amuleti e scarabei52. Un dato molto importante è il rinvenimento in tombe, precisamente nella necropoli meridionale, di manufatti indigeni e numerose armi in ferro di epoca fenicia: spade, pugnali, punte di lancia, faretrine votive e altri oggetti in bronzo, analoghi agli esemplari delle necropoli di Bithia e Othoca; suggerendo l’ipotesi di un’integrazione e di un inurbamento di nobili locali, forse in condizione di subalternità, nella comunità fenicia53.

52 Ibidem. 53 R. ZUCCA, La necropoli settentrionale di Tharros: Phoinikes b Shrdn. I Fenici in Sardegna – Nuove Acquisizioni, Oristano 1997, pp. 94-97 e 270-271.

46


Capitolo quarto

Arte e artigianato fenicio a Tharros 4.1 Le terrecotte figurate e le maschere In Sardegna sono state trovate numerose statuette, diffuse durante il periodo fenicio-punico, in cui prevale principalmente le rappresentazioni di figure femminili su quelle maschili1. Nella città di Tharros, negli anni si susseguono diversi tipi di statuette, del periodo fenicio abbiamo la tipologia della dea stante con disco al petto, si nota l'affinità con l'area ionica di età arcaica: l'acconciatura dei capelli a trecce simmetriche e della tunica trattenuta alla vita da una cintura, databile al VI secolo a.C 2. Tra le raffigurazione maschili, ritrovata nella necropoli settentrionale di Tharros, un cavaliere di terracotta, lavorato al tornio, databile alla fine del VII sec. a.C3.

Fig. 22. Figura divina femminile con disco sul petto. VI sec. a.C. Necropoli di Tharros.

Fig. 23. Cavaliere di terracotta. Fine VII sec. a.C. Necropoli settentrionale di Tharros.

1 P. BARTOLONI, Archeologia fenicio-punica in Sardegna, Introduzione allo studio, Cagliari 2009, p. 76. 2 E. ACQUARO – S. MOSCATI – M-L- UBERTI, Anecdota Tharrica, Roma 1975, pp. 18-19. 3 F. BARRECA, La civiltà fenicio-punica in Sardegna, Sassari 1986.

47


Invece per le maschere, risalenti al periodo fenicio abbiamo un unico esemplare, le altre sono di età punica. Purtroppo a causa degli scavi ottocenteschi le maschere, non conoscendo il loro contesto, è impossibile collocarle in una data ben precisa. Una maschera ghignante4, del terzo tipo secondo la classificazione del Cintas, oggi esposta al Museo di Cagliari, può essere datata non dopo i primi anni del VI secolo a.C., contraddistinta dai tratti somatici prossimi al naturale, un'altra molto simile, non integra, è esposta all'Antiquarium Arborense. Altre due maschere in miniatura5 dono state ritrovate a Tharros, analoghe alle tipologie ritrovate a Fig. 24. Maschera apotropaica, artigianato cartaginese. Tharros necropoli fenicia settentrionale.

Cartagine

e

connotazioni

ad

Utica.

umane

La

prima

ha

schematizzate

al

massimo, databile tra la fine dell'VIII secolo o tra il VII-VI secolo a.C.; la seconda ha i tratti più umani, forse prodotta in età punica. La funzione di queste maschere era di carattere apotropaico e protettivo, il loro scopo era quello di spaventare gli intrusi, forse come i rephaim, le ombre che disturbavano la pace della nephesh, l'anima che dopo la morte restava nel sepolcro6.

4.2 Gli amuleti e gli scarabei Gli amuleti sono dei piccoli oggetti in pasta vitrea, in avorio o in osso, raffiguranti sia le divinità protettrici ufficiali della religione fenicio-punica, come il dio Baal, nei suoi diversi epiteti, e la dea Asthart; sia le divinità minori, quelle più inclini ad 4 P. BARTOLONI, Archeologia fenicio-punica in Sardegna, Introduzione allo studio, Cagliari 2009, p. 84-85. 5 E. ACQUARO – S. MOSCATI – M-L- UBERTI, Anecdota Tharrica, Roma 1975, pp. 74-75. 6 P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, pp. 250-251.

48


ascoltare e a proteggere dai pericoli quotidiani, raffigurate utilizzando le immagini tratte dal pantheon egizio, conservando così anche il loro valore magico e superstizioso7. È possibile che questo tipo di oggetti siano stati fabbricati in Sardegna, mentre alcuni siano stati importati dall’Egitto.

Fig. 25. Amuleto in osso dello Ptah-pateco. Fig. 27. Amuleto in osso del dio Thot. Fig. 26. Amuleto in osso da Tharros.

Nell'area tharrense sono stati ritrovati diversi tipi di amuleti, occupano un arco di tempo che va dalla fine del VII al VI secolo a.C., tra cui quello dello Ptah-pateco, uno gnome deforme, protettore degli artigiani e dei minatori; anche il tipo del Ptah-pateco a doppia figura; in alcuni amuleti sono ancora riconoscibili i coccodrilli ai piedi di questa divinità, analoghi ai prototipi egiziani8. Altri amuleti riferibili al periodo fenicio sono gli animali, che rimandano sempre alle divinità, come il dio Sobek, simboleggiato dal coccodrillo, era il dio dell’acqua e della fertilità dei campi; il dio Thot, rappresentato da un babbuino con la corona 3tf schematizzata, il dio della scrittura e del calcolo; la dea Bastet simboleggiata da una gatta, invece la dea Sekhmet da una leonessa; infine gli

7 Ivi, pp. 259- 262. 8 E. ACQUARO – S. MOSCATI – M-L- UBERTI, Anecdota Tharrica, Roma 1975, pp. 77-78.

49


amuleti che raffigurano una singola parte del corpo umano come la mano e il fallo9. Inoltre un tipo speciale di amuleto è lo scarabeo, animale sacro per gli egizi e passato poi nella cultura fenicia, simboleggiava l’immortalità dell’anima. L’importanza di quest’oggetto era la raffigurazione nella parte piatta, non solo il valore magico e protettivo, ma rappresentava l’appartenenza a uno stesso gruppo familiare cioè la firma del proprietario, che veniva impressa su globetti di argilla tenera, le cretulae, posta come sigillo dei contratti stipulati10. Al periodo fenicio appartengono soprattutto gli scarabei in steatite, pare provenienti dalla colonia fenicia e greca di Naukratis. La maggior parte degli scarabei ritrovati nelle necropoli tharrensi, sono di età punica, di diversi materiali: in diaspro verde, pasta vitrea e in corniola, certi incastonati in anelli e certi con la montatura in oro e in argento11.

4.3 Gli avori e gli ossi L’avorio, essendo un materiale prezioso, veniva utilizzato per gli oggetti decorativi e di lusso come i manici di specchio o le scatoline porta-cosmetici, anche gli ossi, molto più comuni, furono utilizzati per eseguire vaghi di collana o gli amuleti, cerniere per mobilio o come strumenti musicali.

Fig. 29. Coperchietto in osso. Necropoli settentrionale di Tharros.

Fig. 28. Oggetto in osso da Tharros.

9 Ivi, p.79. 10 P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, pp. 259-262. 11 Ibidem.

50


Nell’area di Tharros, in particolar modo nelle necropoli, appartengono una piccola figura femminile stante, a tutto tondo, proveniente dal Vicino Oriente; un coperchio discoide di cista con decorazione a rosetta centrale e fascia anulare a treccia; un altro pezzo raffinatamente plastico è la palmetta a tutto tondo, forse il manico di qualche oggetto, ha tredici petali disposti a ventaglio intorno a un fiore di loto sovrapposto a un bottone e sormontata da un calice a due volute, molto simile agli esemplari, oltre a quelli orientali, di Mozia, di Cartagine e anche a Monte Sirai.

4.4 I gioielli I gioielli fondamentali nel rito funebre fenicio e punico, accompagnavano il defunto nel loro viaggio verso l’aldilà, possibile gli stessi oggetti usati in vita, anche oggetti eseguiti apposta per i defunti, viste le loro raffigurazioni di carattere sacro e magico. Principalmente in tutto il periodo arcaico prevalgono i gioielli in argento, pochi esemplari aurei, utilizzati maggiormente nei corredi punici12. Tharros è la città fenicia-punica con il maggior numero di gioielli ritrovati, anche se molti dispersi, trafugati e venduti negli anni, si ritrovano nelle diverse collezioni private e nei Musei di Cagliari, di Sassari, nell’Antiquarium Arborense (la maggior parte rubati negli anni Sessanta), infine nel British Museum13. Le tecniche principali utilizzate per la lavorazione dei gioielli furono quella della filigrana, del cloisonné e della granulazione. Grazie allo studio di Giovanna Pisano14 sui gioielli tharrensi, sappiamo che tutte le tipologie presenti a Tharros non sono presenti né a Cartagine e né in altri centri fenici; le tipologie ritrovate a Tharros sono tra le più elaborate e ricche. Le tipologie appartenute a Tharros sono orecchini, anelli da naso, astucci, pendenti, sigilli, bracciali e anelli di varie forme, anelli crinali o ferma-trecce. 12 Ivi, p. 253. 13 S. MOSCATI, I gioielli di Tharros (= Collezione di Studi Fenici, 26), Roma 1988. 14 G. QUATTROCCHI PISANO, I gioielli fenici di Tharros nel Museo Nazionale di Cagliari (= Collezione di Studi Fenici, 3), Roma 1974.

51


Nella categoria degli orecchini appartengono diversi tipi di pendenti: con forma di falco, simboleggianti il dio Horus, o di globetto o di canestro. Il canestro prismatico rappresentava il moggio, l’unità di misura del grano; questa tipologia è stata ritrovata in diversi sepolture fenicie, anche più di una decina in argento. Questi monili rappresentavano un siclo, l’unità di misura ponderale in uso in Fenicia, quindi simboleggiava la ricchezza e l’abbondanza e molto probabilmente poteva avere il valore di moneta o di lingotto15. Inoltre sono numerosi gli anelli, in argento e in oro, con pietre preziose,

Fig. 30.

all’età fenicia appartengono quelli con il castone a forma di cartiglioOrecchin o in oro

faraonico; o anche quelli di tipo a staffa con rappresentazioni di diversoda tipo prese dai modelli orientali greci sono presenti soprattutto nell’età

Tharros.

punica16.

Fig. 31. Castone di anello in oro da Tharros.

Una categoria di particolare rilevanza sono i bracciali composti da un semplice cerchio in metallo anche non prezioso, e talvolta composti da più lamine d’oro e riccamente decorati con figurazione simboleggianti l’immortalità dell’anima o la resurrezione, ispirati dai modelli dell’antico Egitto17.

Fig. 32. Bracciale in oro da Tharros.

15 P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, pp. 259-262. 16 Ibidem. 17 S. MOSCATI, I gioielli di Tharros (= Collezione di Studi Fenici, 26), Roma 1988.

52


Invece per la categoria dei pendenti, usati anche, per essere cuciti sugli abiti o come ciondoli per le collane o per i bracciali, ne esistono diversi tipi, che coprono in arco cronologico dal VII-VI secolo fino al V secolo a.C., protomi femminili che rappresentano divinità, tra le quali la dea Ashtart, simboli astratti come l’idolo a bottiglia affiancato da serpenti urei che simboleggiano il faraone e quindi ha un valore magico. Altri pendenti, sempre, che si riferiscono al sacro sono quelli con la figurazione del falco, inoltre quelli con la forma di cuore umano, di fiore di loto, di crisalide o di anfora18.

Fig. 33. Placchetta in oro della dea Ashtart da Tharros.

Fig. 34. Astuccio "portaamuleti" in oro da Tharros.

Infine le collane composte da vaghi in paste vitrea policroma e anche da materiali preziosi e non, come il legno e il cuoio, che con il tempo sono scomparsi, per questo motivo ai nostri occhi appaiono così ridotte; un esempio molto bello è la collana, oggi esposta al Museo di Cagliari, in oro e corniola19.

18 P. BARTOLONI, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna, Sassari 2009, pp. 259-262. 19 Ibidem.

53


4.5 Le armi

Fig. 36. Uno stiletto in bronzo con rivestimento in ferro; due spilloni a testa modanata in bronzo. VII sec. a.C. Tharros necropoli fenicia settentrionale.

Fig. 35. Armi indigene (1-3 stiletti) e fenicie ( 4-6 puntali di lancia) dalla necropoli fenicia di Capo San Marco (tratta da R. Zucca).

Nelle necropoli fenicie di Tharros sono stati ritrovati diversi oggetti in metallo, armi indigene come delle faretrine votive, degli stiletti e infine armi fenicie in ferro, punte e puntali di lance, con ali asimmetriche20.

4.6 La ceramica Premettendo che a Tharros non sono presenti tutte le forme e le tipologie delle ceramiche fenicie, troviamo le tipiche ceramiche utilizzate per il corredo funerario, per le aree sacre e urbane. Grazie agli studi archeometrici e il raffronto tra le diverse forme ritrovate nelle colonie fenicie, possiamo conoscere in base ai dei dettagli della lavorazione o della decorazione se quel manufatto è locale o importato21. 20 P. BARTOLONI, Archeologia fenicio-punica in Sardegna, Introduzione allo studio, Cagliari 2009, pp. 105-106. 21 E. ACQUARO, La ceramica di Tharros in età fenicia e punica: documenti e prime valutazioni, in La ceràmica fenicia en Occidente: centros de producciòn y àreas de comercio, Actas del I

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Nei corredi tharrensi, come nelle altre necropoli fenicie22, ritroviamo le due brocche caratteristiche per questa civiltà: la brocca con orlo “a fungo”, usata per lo spargimento dell’unguento sui corpi del defunto, facilitato appunto dalla particolarità della bocca; l’altra brocca è quella denominata come brocca con orlo trilobato, usata per le libagioni. In alcuni degli esemplari delle brocche con orlo “a fungo” si può notare la decorazione a fasce, in vernice rossa dalla bocca fino a un terzo del collo e in vernice nera a righe sia sul collo che sulla parte alta della pancia; per quelle trilobate Fig. 38. Brocca

si presenta nella parte alta della bocca e nellatrilobata dalla Fig. 37. Brocca con necropoli di parte superiore dell’ansa un ingobbio rosso. “orlo a fungo“dalla necropoli di Tharros.

Tharros.

Questi due tipi di brocca trovano riscontro negli esemplari delle città fenicie occidentali, precisamente per

la brocca con orlo “a fungo” in quelli di Bitia, Sulky e Othoca; invece per la brocca con orlo trilobato a Bitia, Mozia e Byrsa23. Un’altra tipologia di ceramica usata soprattutto nei contesti funerari, principalmente nel tofet, è il vaso “à chardon”, utilizzato appunto come urna, è attestato a Tharros con diverse caratteristiche. Il tipo con collo slanciato e svasato nella parte alta e il corpo ovoide e la base distinta; oppure con un maggior Fig. 39. Vasi "à chardon" dalla necropoli settentrionale di Tharros.

sviluppo

del

collo

e

uno

schiacciamento del corpo o i vasi con un collo più svasato e il corpo globulare; simili agli

Seminario Internazional sobre temas fenicios, Alicante 1999, pp. 13-40. 22 P. BARTOLONI, Contributo alla cronologia delle necropoli fenicie e puniche di Sardegna: RSF 9, 1981, pp. 13- 29. 23 E. ACQUARO, La ceramica di Tharros in età fenicia e punica: documenti e prime valutazioni, in La ceràmica fenicia en Occidente: centros de producciòn y àreas de comercio, Actas del I Seminario Internazional sobre temas fenicios, Alicante 1999, pp. 13-40.

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esemplari nordafricani e arcaici di Bitia e Mozia24. Un altro tipo di urna presente sempre in ambito funerario, sono i vasi globulari, quelle databile al VII secolo a.C., possono essere confrontate con quelle ritrovate a Karaly, Monte Sirai, Sulky e Cartagine25. Questi vasi hanno l’orlo obliquo con il corpo poco arrotondato e monoansata; invece quelle del fine VII-VI secolo a.C. hanno l’orlo piatto e orizzontale. Invece i piatti sono stati ritrovati sia nei contesti funerari, in necropoli, nel tofet usati come copertura delle urne e nell’abitato, gli esemplari del VII-VI sec. a.C. hanno il fondo un umbone piatto sospeso, pareti rettilinee o incurvate, certi sono decorati nell’ombelicatura e sulla tesa da linee a fasce concentriche di colore rosso e/o brune26. Sempre a copertura delle urne del tofet sono stati Fig. 40. Piatto ombelicato fenicio da Tharros.

ritrovati i cosiddetti piattini a “bugia”, i quali si

possono datare in relazione all’urna in cui sono stati trovati. Alla seconda metà del VII e fino al V sec. a.C. si collocano i piattini di maggiori dimensioni, con il vaso inferiore abbastanza profondo, caratterizzato dal piede distinto e con il vaso superiore ben visibile27. Di carattere funerario è anche una doppia patera, ritrovata integra, decorata con un ingobbio rosso, la coppa inferiore è leggermente superiore di diametro a quello della patera più alta, simile all’esemplare di Bitia e di Trayamar28. Caratteristiche del mondo fenicio sono anche le anfore commerciarli, nati nei centri della costa siro-palestinesi, sono diventate il simbolo del commercio fenicio, presenti in tutto il Mar Mediteranno. Le forme commerciali prodotte nelle colonie occidentali si discostano quasi subito 24 25 26 27 28

Ibidem. Ibidem. Ibidem. Ibidem. P. BARTOLONI, Tharros – VII, Ceramiche vascolari nella necropoli arcaica di Tharros: RSF 11, 1981, pp. 93-98.

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da quelle della madrepatria e assumono delle forme sempre più differenziate, assumono un carattere regionale29.

Fig. 41. Anfora commerciale fenicia da Tharros.

I frammenti di anfora ritrovati a Tharros confermano come fin dall’inizio del VII sec. a.C. i modelli convessi-ovoidali cartaginesi; dal VI sec. a.C. si passa da questa forma a un tipo di anfora più slanciata, tutte di produzione sarda30. Tra i materiali d’uso, cosmopoliti della cultura fenicia, sono le oil-bottle, degli unguentari piriformi, imbarcate come carico misto assieme alle anfore vinarie31. Fig. 42. Unguentario piriforme fenicio da Tharros.

Tra le forme di diretta provenienza orientale, a Tharros, appartiene una pilkrim-flasks, c.d. “fiasca del pellegrino”, con quattro bugne di

Fig. 43. Fiasca del

presa, con la pancia frontalmente circolare e lateralmentepellegrino da Tharros. lenticolare, di probabile origine filistea32.

29 P. BARTOLONI, Archeologia fenicio-punica in Sardegna, Introduzione allo studio, Cagliari 2009, pp. 110-111. 30 E. ACQUARO, La ceramica di Tharros in età fenicia e punica: documenti e prime valutazioni, in La ceràmica fenicia en Occidente: centros de producciòn y àreas de comercio, Actas del I Seminario Internazional sobre temas fenicios, Alicante 1999, pp. 13-40. 31 P. BARTOLONI, Archeologia fenicio-punica in Sardegna, Introduzione allo studio, Cagliari 2009, pp. 112-113. 32 Ibidem.

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Conclusioni Dopo aver descritto i vari studi che negli anni si sono susseguiti, le diverse teorie sull’identificazione dell’impianto urbano e su quello portuale dell’antico centro fenicio, delle indagini effettuate nelle due necropoli ad incinerazione, nella ricostruzione delle tipologie tombali e dei corredi, degli strati iniziali del tofet e delle zone cultuali; vorrei concludere puntualizzando lo stato di degrado che circonda il sito archeologico di Tharros. Uno dei principali problemi, legato alla conservazione e alla valorizzazione del sito, è stato il mancato sistema di irrigimentazione delle acque piovane che provocarono l’erosione dell’area, causando crolli e frane tra le strutture. Nell’antichità questo problema fu risolto con la costruzione di ampie strade pavimentate in basoli di basalto, sotto i quali scorrevano le acque fino al mare, un articolato sistema fognario scavato nell’arenaria, costruito nell’età imperiale. Queste stesse strade venivano percorse dai visitatori moderni, però molti tratti erano privi di basoli e presentano buche e affossamenti che rendono il percorso un po’ difficoltoso e pericoloso, nonostante le continue opere di manutenzione. Grazie ai lavori effettuati in quest’ultimi anni dalla Soprintendenza delle provincie di Cagliari e di Oristano1, in corrispondenza della principale strada, il cardo maximus, si è provveduto allo svuotamento delle condotte in arenaria, in cui sono stata inserite delle strutture di sostegno per il deflusso delle acque, e la successiva copertura in tavole in legno per sostenere anche il passaggio dei visitatori e rendere omogeneo il percorso, collegandosi ai piani originari in basoli. Inoltre si è attuato il recupero dell’antico canale fognario nel tratto medio e finale di via delle Cisterne, sempre per migliorare il deflusso delle acque, apportando anche ulteriori lavori per rendere il piano di calpestio più omogeneo senza 1 P- BERNARDINI – F. FABRIZI – A.M. FERRONI, Lavori di valorizzazione dell'area archeologica di Tharros – Comune di Cabras, 2005; E. ACQUARO – E. GAUDINA, Tharros: definizione di un contesto territoriale archeologico e problematiche di conservazione, in Conservation and restoration of the archaeological heritage, Study Seminary .Cagliari 7-9 april 2000, Cagliari 2002, pp.65-75.

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intaccare quello antico, o almeno ciò che ne resta. Per dare un maggior impatto visivo e complessivo dell’area archeologica è stata rimossa la vecchia recinzione interna e ne è stata messa una nuova realizzata con montanti e cavetti in acciaio. Per valorizzare al meglio l’intero sito di Tharros si dovrebbero unificare e promuovere le diverse aree, in particolar modo la necropoli settentrionale dove negli ultimi anni si svolgono degli scavi archeologici, suscitando l'interesse dei visitatori, e che altrimenti verrebbe ignorata perché distante dal sito archeologico. La recinzione esterna metallica che cinge l’area urbana, il tempietto K e la necropoli settentrionale, non rispetta i veri confini dell’antica città, anzi si rischia sempre di più di limitare i visitatori ad una sola area ed escludere il resto. Le recinzioni sono fondamentali soprattutto per paura di manomissioni, ma si dovrebbe creare un percorso che porti il visitatore a conoscere l’intera area archeologica: le due necropoli e non solo il centro urbano o la torre di San Giovanni. Concludo con la speranza che questo lavoro possa suscitare nuovi interrogativi sull'aspetto fenicio dell'antica Tharros, aprire nuove campagne di scavo, sopratutto nell'area della collina di Su Murru Mannu e la laguna di Mistras, per approfondire e localizzare, almeno per quello che è possibile, il centro urbano e il porto.

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