I rom di San Nicolò d'Arcidano tra integrazione ed intercultura

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A.D. MDLXII

U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ

DI

L ETTERE

E

F ILOSOFIA

___________________________

CORSO DI LAUREA IN ANTROPOLOGIA CULTURALE ED ETNOLOGIA

I ROM DI SAN NICOLÒ D’ARCIDANO TRA INTEGRAZIONE ED INTERCULTURA

Relatore: PROF.SSA MARIA MARGHERITA SATTA

Correlatore: PROF. MARIO ATZORI

Tesi di Laurea di: VALENTINA MURA

ANNO ACCADEMICO 2010/2011



Sao Roma dabo babo Sao Roma o daje Sao Roma dabobabo Ederlezi



Indice 0. Introduzione

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PARTE PRIMA 1. I Rom nella storia 1.1. Un popolo non sempre ai margini della società

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1.2. I Rom nell’immaginario collettivo

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1.3. Il Rom Porrajmos

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2. I Rom: Europa e Italia a confronto 2.1. La discriminazione nelle leggi italiane sulla «sicurezza»

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2.2. Il riconoscimento dei Rom come minoranza etnica

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2.3. Gli sgomberi e la discriminazione “urbana”

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PARTE SECONDA 3. I Rom in Sardegna 3.1. Le prime comunità

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3.2. La L.9/88 o Legge Tiziana e i primi passi verso il dialogo interculturale 3.3. La comunità Kanjarija di San Nicolò Arcidano

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4. Conclusioni

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5. Bibliografia

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6. Ringraziamenti

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Introduzione “Dovremmo esser capaci di vedere le differenze culturali come fenomeni superficiali. Nella mia esperienza sono le somiglianze negli innumerevoli tentativi dell’uomo di controllare la sua realtà, e non le differenze, che sono culturalmente sorprendenti” A. Fuglesang

La mia tesi, dal titolo La comunità Rom a San Nicolò d'Arcidano. Esempi di intercultura e integrazione ha l‟obiettivo di dimostrare l‟importanza del ruolo dell‟antropologo nei processi di dialogo interculturale. L‟Italia ha visto crescere, negli ultimi 40 anni, ma in modo molto più forte a partire dagli anni ‟80, al suo interno movimenti migratori sempre più ampi provenienti da ogni parte del mondo. Con l‟aumento delle migrazioni si è maturato, all‟interno del dibattito scientifico interno agli studi sociali, e in particolare all‟Antropologia culturale, un percorso di studi volto a comprendere il fenomeno in tutte le sue parti: dal perché della partenza, al senso del viaggio, all‟arrivo e alle condizioni in cui il migrante si trova prima e dopo la sua partenza. L‟Antropologia ha avuto soprattutto il ruolo di scardinare le tesi che vedevano l‟uomo come un essere stanziale, stabile, come la cultura che esso rappresenta. In realtà la Cultura, l‟Identità sono tutt‟altro che stabili. Esse sono il frutto di continui intrecci, incontri, scontri che l‟uomo ha avuto nel corso della Storia e che ha saputo plasmare e adattare a seconda delle proprie esigenze. Per dirla con Giulio Angioni:

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Se fosse troppo dire che fortunatamente il mondo è sempre stato dei bastardi (e purtroppo, ma secondariamente, dei leghisti di ogni tempo), gli antropologi amano dire che i frutti puri, se mai ci sono o ci sono stati, quelli, i frutti puri, o che si vogliono e credono puri, impazziscono1 (ANGIONI 2012).

È in questo senso che si sta muovendo l‟Antropologia delle migrazioni in Italia, ossia nella comprensione sia del fenomeno migratorio in sé, sia dei mutamenti a livello culturale, sociale ed economico nei paesi di partenza e di arrivo, sia del riaffacciarsi in Italia, e in ambito europeo, di ideologie razziste e xenofobe che nella prima metà del „900 hanno portato a milioni di vittime in tutta l‟Europa. Tra le vittime ci sono anche i Rom e i Sinti, che hanno subito lo sterminio nazista, ma a differenza della popolazione ebraica, non hanno visto riconosciuto il loro dramma. Con la mia tesi, partendo dal primo capitolo, ho voluto:  ripercorrere le tappe che hanno portato gli Zingari all‟arrivo in Europa, per capire la loro Storia e se hanno sempre vissuto la loro vita ai margini della società o hanno avuto importanti scambi con le popolazioni autoctoneViene difficile fare un distinguo tra autoctoni e non quando si parla di Zingari. Al contrario di ciò che comunemente si pensa, non tutti i gruppi praticano – o hanno praticato – il nomadismo. È preferibile parlare di viaggiatori, di commercianti che hanno animato, insieme ad altri gruppi, le strade dell‟Europa fin dall‟età Moderna. L‟unico distinguo da fare è l‟assenza di patria, almeno nel senso in cui la intende il pensiero occidentale. Infatti la mancanza di territorialità è l‟alibi maggiormente usato dai Governi per non riconoscere questo popolo come minoranza, nonostante abbia impregnato, con la sua cultura, la Storia europea. Ed è l‟alibi usato anche nel processo di Norimberga per non riconoscere il Rom Porrajmos – lo sterminio dei Rom da parte dei nazisti – come uno sterminio in chiave razzista.

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Fonte: http://lanuovasardegna.gelocal.it/cronaca/2012/01/14/news/il-mondo-e-dei-bastardi-nei-percorsidei-migranti-le-vie-del-nostro-futuro-5540148 (consultato il 14/01/2012)

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 l‟immagine degli zingari nell‟immaginario collettivo, con l‟analisi di testi letterari, opere teatrali e liriche che hanno avuto tra i personaggi principali lo zingaro “furbo” e la zingara “ammaliatrice”;  le vicende che hanno portato alla “soluzione finale” del Porrajmaos, il suo non riconoscimento e le conseguenze che ancora oggi si porta dietro il popolo rom. Nella stesura di questo primo capitolo ho trovato non poche difficoltà. Prima di tutto ho dovuto affrontare la mia scarsa conoscenza storica e, di conseguenza, la difficoltà nel reperire fonti e testi che fossero attendibili e scientifici. Purtroppo gli studi “zigani” sono fermi e molti dei testi e delle riviste che trattano l‟argomento non sono più in commercio e spesso nemmeno reperibili in biblioteche o, peggio ancora, le biblioteche non concedono il prestito interbibliotecario! Ho cercato, infatti, di fare un excursus storico in modo più coerente possibile in modo tale da poter rendere comprensibili quei processi che hanno portato, da una certa integrazione/interazione con gli altri popoli europei alle molte situazioni di emarginazione e povertà che conosciamo ora. Nel secondo capitolo, pur con i limiti dovuti alla mancanza di basi prettamente giuridiche, ho confrontato la realtà italiana con quella europea in materia di rispetto dei Diritti Umani, di tutela delle minoranze, della lotta alle discriminazioni e alle questioni legate alla sicurezza. Ho parlato di queste tematiche cercando un approccio che potesse essere interdisciplinare grazie anche agli studi che, nell‟Antropologia, si stanno portando avanti nel campo dei diritti umani. La questione è “calda” e anche piuttosto ambigua. Il rischio di appoggiare certe rivendicazioni identitarie ha portato gli antropologi a rivedere concetti quali quelli di uguaglianza e diversità i quali portano, a loro volta, alla possibilità di estremizzare il concetto di relativismo. Quando si parla di diritti universali vi è la necessità di prestare attenzione sia alle specificità culturali di ogni gruppo culturale, sia alla pericolosità di arrivare a giustificare, come fatti culturali, comportamenti 3


che potrebbero scaturire in scontri. Con queste premesse ho fatto un breve elenco di quelle che sono alcune normative attuate a livello europeo e la loro attuazione o meno in Italia. Per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, pare che il nostro Paese sia molto indietro. La situazione dei Rom e dei Sinti ne è la prova. Mentre in altri Paesi UE sta crescendo la tendenza, oltre al loro riconoscimento come minoranza, ad attivare politiche volte alla promozione e valorizzazione della cultura e all‟inserimento lavorativo. Esemplare in questo caso è l‟esperienza dell‟autocostruzione. Mentre in Italia vige una politica di discriminazione urbana, in più parti d‟Europa si punta ad incentivare il lavoro dei Rom assumendoli nelle ditte di edilizia che costruiranno le loro case all‟interno del tessuto urbano. Nel terzo nonché ultimo capitolo ho inizialmente tracciato un brevissimo quadro storico della presenza dei Rom in Sardegna. Anche qui la reperibilità delle fonti è risultata complicata. Ho poi continuato con la stesura della ricerca sul campo iniziata a luglio del 2011. La ricerca, oltre lo studio del materiale bibliografico, ha compreso una serie di interviste sia ai membri di alcune famiglie rom di diversa età, sia agli operatori socio – culturali, sia ad alcuni insegnanti. Nonostante la diffidenza iniziale tipica di chiunque ospiti in casa un estraneo, sono riuscita con il tempo a farmi accettare dalla comunità e ho instaurato anche dei rapporti di amicizia che mi hanno permesso di entrare in un mondo che pensavo totalmente diverso dal mio, ma che poi si è svelato avere tanti punti in comune. Durante la ricerca ho maturato la consapevolezza che l‟antropologo possa essere la chiave giusta per mediare tra la cultura “altra” e le istituzioni che il più delle volte sono prive degli strumenti che permettono di guardare la “diversità” senza pregiudizi e che, forse anche ingenuamente, corrono il rischio di maturare al loro interno forme di razzismo istituzionale. La figura dell‟antropologo può essere di supporto alle scuole che vogliano intraprendere percorsi didattici volti alla promozione e alla valorizzazione del dialogo interculturale, che passa dal raccogliere materiale etnografico delle diverse culture d‟appartenenza all‟insegnare il rispetto reciproco. Nel 4


corso di questi mesi ho notato, infatti, che la scuola sente la necessitĂ di essere affiancata da figure professionali che riescano a mediare gli scontri e a favorire la conoscenza dellâ€&#x;altro.

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1. I Rom nella Storia «Gli Zingari - strano popolo! Errante, disperso, oppresso, maledetto, ribelle alle leggi e alla civiltà, vissuto senza mescolarsi in mezzo a noi, che appena da cento anni abbiamo tentato di strappare a questa razza d’intrusi il segreto della loro origine, della loro lingua, de’ loro costumi»

Colocci A.

1.1. Un popolo non sempre ai margini della società Tracciando una linea immaginaria che collega Roma a Helsinki, passando per Vienna e Praga, troviamo numerose comunità che si denominano rom (Piasere 2004: 15). A ovest, invece, troviamo comunità che si nominano diversamente, e i rom sono la minoranza: sinti, manuś, kale (kalos), romanicels. Queste comunità parlano dialetti «intercomprensibili, costituenti il romanes, che i linguisti affermano derivare da varianti popolari del sanscrito e che trovano nelle attuali lingue dell‟India del Nord-Ovest la parentela più prossima» (ivi: 17). L‟aspetto linguistico ci permette poi di distinguere un ulteriore gruppo che non parla dialetti indiani (ibid.). Come affermava Boas, «languages and cultures are so intimately connected that each human race is characterized by a certain combination of physical type, language and culture» (1938: 145). Anche se la lingua e la cultura non coincidono perfettamente, infatti, è innegabile che la lingua è cosi intimamente legata alla percezione soggettiva dell‟identità culturale che il tema del prestito e quello collegato dell‟evoluzione o dello sviluppo linguistico costituiscono argomenti dotati di una forte carica emotiva. Ciò è particolarmente vero per la linguistica zingara, nel cui ambito così spesso è stata messa in discussione l‟esistenza della lingua e della cultura zingara e dove il fenomeno del prestito è spesso ed esplicitamente interpretato in termini di perdita dell‟identità linguistica. (…) il prestito, e più in generale il fenomeno del cambiamento linguistico, 6


sembra prestarsi maggiormente ad essere visto come un segno di capitolazione culturale nel caso del romanes; e molti linguisti non sarebbero forse disposti ad affermare che la “vera Ziganità non è stata in alcun modo diminuita da tali prestiti”(DICK ZATTA 1990: 47).

I membri di queste comunità, sparse in tutta Europa, vengono invece dall'esterno categorizzati con l'eteronimo zingari per il loro nomadismo o per il loro status di paria. La visione dello «zingaro sporco» va di pari passo con la concezione della «tradizione popolare europea che considera gli zingari un popolo immondo» (Piasere 1991:182). Già nel 1975, Kenrick e Puxon mostrarono che il pregiudizio più diffuso contro gli zingari fosse quello riguardante la loro sporcizia e la conseguente diffusione di malattie (Kenrick – Puxon 1975:39). A questo riguardo, L. Piasere sottolinea efficacemente come «l‟etnografia storica dei gage è consistita nei discorsi eruditi e semi-eruditi costruiti dai gage riguardo agli zingari2 nel contesto italiano, nel periodo che va dal 1422 al 1812» (Piasere 2004). Queste due date racchiudono il periodo in cui, nei documenti, è prevalsa l‟idea dell‟origine egiziana degli zingari e della loro discendenza diretta da Cus, figlio di Cam, figlio maledetto di Noè. Questi discorsi sull‟homo cingaricus, discendente dal seme maledetto di Noè, ossia dal seme maledetto del creatore del mondo postdiluviano in cui gli autori ritenevano di vivere, risultano fondamentali per capire l‟attuale posizione dei rom all‟interno della società dei gage. (ibid.)

Ciò è dovuto in parte al fatto che, per tutto il cammino della loro storia, gli zingari non hanno lasciato nulla di scritto o raccontato, lasciando ampio spazio all‟immaginazione (Liegeois 2007). Sin dal loro primo arrivo nell‟Europa occidentale, durante il XV secolo, la questione delle loro origini ha attirato l‟attenzione di molti studiosi (Soulis 1961: 143). La varietà linguistica dei dialetti parlati dai rom ha fatto supporre una loro origine dall‟India. Infatti pare derivino: dal sanscrito con prestiti dal persiano, dal curdo e dal greco. L‟analisi di questa lingua, nota come romani, e altra documentazione hanno consentito di stabilire quasi con certezza che gli zingari abbandonarono il subcontinente indiano oltre mille anni fa, probabilmente in ondate 2

Il termine “zingaro”, nonostante sia da considerarsi un dispregiativo, viene ad altri preferito in letteratura per la sua semplicità. Piasere (2004:3) lo colloca nella categoria delle parole politetiche. Il termine “gagé” è usato dagli “zingari” per definire i “non zingari”.

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successive, migrando progressivamente verso l‟Europa attraverso Persia, Armenia e Turchia (Lewy 2000).

Nel Rinascimento il filosofo e medico Henri Cornelius Agrippa, nella sua Declaration sur l’incertitude, vanité et abus des sciences, pone il problema di «coloro che sono chiamati Cyngri o Egiziani», sostenendo che: Queste genti venute da una regione fra l‟Egitto e l‟Etiopia, discendenti di Cus, figlio di Cam, figlio di Noé, portano ancora il marchio della maledizione del loro progenitore, conducono una vita vagabonda su tutta la terra, si accampano fuori delle città, nei campi e nei bivii, erigendo là le loro tende, fanno assegnamento sul brigantaggio, su furti e trucchi, o divertono la gente dicendo la buona ventura, fingendo di indovinare con l‟arte della chiromanzia, e con tali imposture mendicano la loro vita. (AGRIPPA 1530, in DE VAUX DE FOLETIER 1990:25)

Nel 1322 abbiamo la testimonianza del francescano Simeon Simeonis che incontrò gli Zingari nell‟isola di Creta e affermò la loro discendenza dalla «razza di Chaym». Si tratta di Caino o di Cam? Alcuni hanno fatto discendere gli Zingari direttamente da Caino, perché la Genesi cita, nella posterità di Caino, Jubal «padre di tutti quelli che suonano la cetra e la zampogna» e Tubalcain «costruttore di ogni specie di arnesi di rame e di ferro» (e sono appunto i mestieri degli Zingari). Ma, osserva Thomasius nella sua Dissertatio philosophica (Dissertazione filosofica), è un‟assurdità, poiché la razza di Caino è stata inghiottita dal diluvio. (ibid.)

Risale al 1422 una delle prime testimonianze della presenza in Italia di un gruppo rom fornitaci da frate Girolamo da Forlì e dalla sua frase «Aliqui dicebant, quod erant de India» (Sigona 2007). L‟origine indiana viene associata a queste genti che, ci dice una Cronaca Fermana d‟Antonio di Niccolò di poco successiva, erano “dette Zengani” (riportate nei Rerum Italicarum Scriptores di Ludovico Antonio Muratori nel 1731). Ma l‟India, come ha rilevato Hübschmannová (2002), più che un luogo geografico reale nella memoria dei “Zengani” di allora, è probabile che rappresentasse in quel momento “il simbolo per gli europei di una terra lontana abitata da persone dalla pelle scura, dalla parlata incomprensibile e con un strana cultura „barbara‟”. L‟India citata in questo primo documento sembra quindi solo un‟altra delle numerose speculazioni circa la presunta terra d‟origine di quel popolo. La lista includeva, tra le altre, Nubia, Etiopia, Caldea, Egitto, e il continente scomparso di Atlantide. (ibid.)

Delle origine indiane abbiamo inoltre notizia dalla Cosmographia universalis del geografo Sebastian Münster (Wiernicki 1997: 14). Una traduzione italiana venne edita a Colonia nel 1575, e nel 1565 è stata adattata in francese da François de 8


Belleforest (De Vaux de Foletier 1990: 24). Durante un soggiorno a Heidelberg l‟autore interroga alcuni Zingari. Ma non possono o non vogliono rispondere in maniera precisa alle sue domande; mescolano a tradizioni vere o false nomi di paesi lontani e di popoli stranieri di cui hanno sentito parlare nel corso dei loro vagabondaggi: «Vidi un loro passaporto, che dicono che fu impetrato in Landoia da Gismondo imperatore (…)Udii proprio io di un di quei cianciatori (…), che avendo a tornarsene nella patria, bisognerebbe che essi passassero quella terra ove abitano i Pigmei (…). E dimandandoli ove quella terra fosse, rispose essere assai spazio lontano di là un pezzo da Babilonia. Dissi dunque, il vostro minore Egitto non è nell‟Africa allato al Nilo, ma nell‟Asia allato al Gange e all‟Indo fiume. Il quale argomento egli con altra bella facezia eluse, confessando, che egli non sapeva in che luogo si fosse l‟Africa o l‟Asia». (ibid.)

L‟ipotesi della discendenza da Cus è sostenuta inoltre nei Disquisitionum magica rum libri sex, scritti dallo spagnolo Martino del Rio nel 1633. «Pure il nome tedesco Zigeuner deriverebbe semplicemente da Chusener, cioè discendenti di Cus» (ibid.). Nel XVI secolo hanno inizio i primi studi sulla lingua: risale al 1542 la pubblicazione, a Londra, di The Fyrste boke of the Introduction of Knowledge di André Borde, breve manuale di conversazione zingara. Da questo periodo in poi, cresce la produzione di vocabolari zingari, fino ad arrivare alla fine del Settecento, quando si iniziarono a collegare le origini degli Zingari alla lingua romanì (Wiernicki 1997: 14). Secondo Wiernicki, la lingua è l‟unica testimonianza che gli zingari «si portarono dall‟India, l‟unica eredità, il solo patrimonio culturale» (ibid.). A metà del Settecento, infatti, la filologia zingara, iniziò ad essere considerata una vera e propria scienza (Ivi: 15). La tesi dell‟origine indiana venne esposta quasi contemporaneamente da un Tedesco, Rüdiger, e da un inglese, Bryant. Lo studio di Rüdiger, composto nel 1777, fu pubblicato nel 1782 con il titolo Von der Sprache und Herkunft der Zigeuner (Della lingua e dell‟origine degli Zingari). L‟anno seguente un altro Tedesco, Grellmann, la divulgò fra un pubblico più vasto nell‟ultima parte di un‟opera generale sugli Zingari Historischer Versuch über die Zigeuner (Saggio storico sugli Zingari). Una traduzione parziale in francese del libro di Grellmann per opera del barone de Bock apparve a Metz nel 1788 «con un vocabolario comparato delle lingue indiana e zingara». (DE FAUX DE FOLETIER 1990: 34).

La nascita della questione delle origini indiane è da collocarsi nel 1776, quando «Samuel Augustini ab Hortis comunica nelle Anzeigen aus sämmtlitch9


kaiserlich-königlichen Erbländern di Vienna la scoperta casuale fatta da Stephan Vali circa la parentela del romanes con le lingue dell‟India» (Piasere 2004:VII). Nel 1777 vennero presentati, alla Società degli Antiquari di Londra, il vocabolario e le note di Jacob Bryant sulla somiglianza fra la lingua zingara o gypsy e le lingue della Persia e dell‟Indostan (De Vaux de Foletier 1961:34). I primi che hanno cercato di dare una risposta definitiva sulle origini indiane, sono stati Pott e Miklosich a metà del XIX secolo attraverso l‟analisi dei dialetti (Soulis 1961: 143). A careful examination and classification of foreign elements in the different dialects of the European Gypsies enabled Fr. Miklosich to conclude that all of them belong to one and the same stock, and must have lived for a considerable time in the Greek and Slavic speaking lands before settling in their present homes.3 From the Greek world the Gypsies took an extensive vocabulary, including a number of expressions for abstractions like heaven, time, week, Sunday, and Friday; the numerals seven, eight, and nine; such names as raven, goose, and dove; berry, raisin, cherry, rasberry, leek, onion, and broth; the terminology for the metals lead and copper, table and chair, key, glass, nail, horseshoe, market-town, fair, and mansion. It has also been suggested with good reason that even the designations used by the European Gypsies to identify themselves and their language, Rom, Romdni, may very well derive from the Byzantine Romaioi or Romania (ibid.).

Nonostante gli studiosi affermino l‟origine indiana degli Zingari, «gli indianisti moderni tendono a non considerarli come un gruppo omogeneo, ma come un antichissimo popolo viaggiante, composto da elementi diversi, di cui alcuni potrebbero provenire dal sud-est dell‟India ed appartenere al gruppo dravida» (De Vaux de Foletier 1990:37). Jules Bloch spiega la diversità dei caratteri fisici come «la traccia di una diversità originaria mascherata per noi dall‟unicità del nome di Dom» (ibid.)3. Non si conosce ancora la precisa regione di provenienza, nonostante i numerosi studi storici e linguistici: Miklosich nota rapporti stretti tra la lingia rómani e dialetti dell‟Indokust (gruppo di parlate dette «Darde»), mentre Woolner li trova tra il rómanes e le lingue dell‟India centrale; Turner accetta la doppia parentela. (…) Jules Bloch: «Dobbiamo dunque pensare a gruppi provenienti dall‟Indostan e fermatisi ai confini dell‟Iran in un‟epoca abbastanza remota, perché certi arcaismi si siano conservati nella loro parlata e perché nello stesso tempo 3

Osserva Jules Bloch, Dom in India è il nome di una tribù. O meglio di un agglomerato di tribù molto diffuse e conosciute nell‟antichità. In un trattato sanscrito di astronomia del VI secolo esso è associato al nome Gandhavra, «musicista». Nel XII secolo figurava più volte nella cronaca kashmiri di Kalhana, associato a quello di candala, «intoccabile, paria»; dei «Domba» sono impiegati nella caccia. (ibid.)

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questa parlata abbia subìto influssi dai dialetti locali? La spiegazione è buona nell‟insieme, malgrado qualche difficoltà. Bisogna anche ricordare la forte presa culturale indiana sugli altipiani afgani, conquistati poi dall‟Islam e dagli Iraniani. Si può dunque, per ipotesi, situare sulla carta una popolazione, di cui gli Zingari avrebbero fatto parte, in paesi attualmente afgani» (ivi:38).

Sulle cause dello spostamento dall‟India, gli studiosi hanno proposto alcune ipotesi: forse per possibili conflitti con le popolazioni vicine o con invasori; per fame, povertà e speranza di trovare condizioni di vita migliori. Intorno al X secolo d.C abbiamo le prime testimonianze scritte su un popolo che arrivava in Persia dall‟India, importanti nonostante siano testi letterari e leggendari. Nel vocabolario zingaro sono rimasti influssi linguistici persiani: «Questi vocaboli sono certamente imprestiti abbastanza antichi, perché dopo un certo tempo si formarono due gruppi fra gli Zingari della Persia, e gli stessi vocaboli persiani si riscontrano nell‟uno e nell‟altro4» (ivi 43). Gli Zingari rimasti sino alla nostra epoca in Iran e nell‟Asia occidentale hanno vissuto nell‟ombra, ignorati dai cronisti, «ma hanno conservato, assieme a numerosi imprestiti dalle lingue dei paesi in cui soggiornano, l‟essenziale della loro lingua originale» (ivi:44). Soulis parte dai primi studi sulla presenza degli zingari nell‟impero bizantino, in particolare da quelli dell‟orientalista tedesco De Goeje, il primo a occuparsi dell‟arrivo degli zingari a Bisanzio: who put forward the theory that European Gypsies, who passed through Byzantium, are the descendents of a group of Jats, an Indian tribe whose name in ordinary Arabic pronunciation is Zotti (plural, Zott). This theory is based mainly on an account by the Arab chronicler Tabari, which relates how some 27,000 Zott who, early in the ninth century, had been transferred to northern Syria from the valley of the lower Tigris, were taken prisoner when the Byzantines captured Ainzarba in 855 and were transported, with their cattle, to the Byzantine Empire. (ibid.)

La sua teoria fu però smentita da altri studiosi che confutarono alcuni punti critici: (I) the absence of Arabic influence on the dialects of the European Gypsies, which one would expect to find if De Goeje's theory were correct; (II) the almost conclusive evidence afforded by specialists that Jataki, the surviving vestige of the parent tongue of the Indian Jats, is wholly dissimilar from the language of the Gypsies. It is, therefore, with good reason that De Goeje's 4

Sampson distingue i due gruppi dal modo di aspirare o meno alcune lettere, e li distingue in Zingari Ben e Zingari Phen. (ibid.)

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identification of Tabari's Zott with the Gypsies has been rejected in a most convincing manner by many orientalists, among them R. Pischell, who stated that "the information which De Goeje has given us from Arabic sources is the history not of the Gypsies, but of the Jats." (ivi:144)

Venne attribuito loro il nome dell‟antica setta manichea degli Atsingani: «un monaco del Monte Athos parla degli Atsingani come di discendenti dei Samaritani, adepti di Simone il Mago, incantatori, bricconi, avvelenatori di animali. Ma probabilmente non si tratta ancora di Indiani» (De Vaux de Foletier 1990:46). Una fonte agiografica, La vita di San Giorgio l’Athonita, risalente al 1068 ca., è la testimonianza più antica della presenza degli Zingari a Costantinopoli e nell‟impero bizantino [e ci viene da] : We read in this text that in the year 1050 the Emperor Constantine Monomachus (1042-55) wished to exterminate the wild animals that had invaded the imperial park of Philo- pation in Constantinople and were devouring the game which the Emperor kept there for hunting purposes. To accomplish this, the Life informs us, he called upon "a Sarmatian people, descendants of Simon the Magician, named Adsin- cani, who were renowned sorcerers and villains" (Erat nempe gens Samaritano- rum, e stirpe Simonis magi, qui A dsincani vocitabantur, divinatione ac maleficiis famosi). These Adsincani, the Life continues, succeeded in destroying many of the ferocious beasts simply by leaving in places frequented by them pieces of meat endowed with magical properties, which, when eaten, killed them instantly. (SOULIS 1961:145)

Wiernicki distingue due gruppi migratori che si muovono dal territorio bizantino in un periodo che oscilla tra il X e il XIV secolo: La prima attraverso l‟Egitto e l‟Africa settentrionale, da dove, più tardi raggiunsero la penisola iberica. Questi zingari vengono chiamati da alcuni studiosi “zingari ben”. La seconda verso il nord-ovest europeo con tappe intermediarie in Armenia e nella regione sud del Caucaso. (…) Al secondo gruppo, quello occidentale dei phen, appartengono i boša (bosha) in Armenia e nel Caucaso meridionale, nonché tutti gli zingari europei. (WIERNICKI 1997: 17)

I primi gruppi arrivarono dall‟Oriente in Europa tra il XIV e il XV secolo: Les premiers groupes découvrent l‟Europe, de l‟est à l‟ouest, essentiellement aux XIVe et XVe siècles. Et l‟Europe les découvre avec étonnement, inquiétude, et incompréhension. Ces campeurs chevelus qui se présentent devant villageois et citadins sont inclassables et des noms divers, relatifs à une origine supposée ou à une identité mal comprise, leur sont attributes. (LIEGEOIS 2007: 17) 12


La quasi assenza di documenti non ci permette però di confermare un periodo preciso del loro esodo né la causa: Le tracce della presenza rom nelle terre bizantine prima del Trecento sono sporadiche e non sempre chiare. Se in un documento dell‟XI secolo (…) i rom sono individuabili sotto la denominazione di adsincani, in diversi altri non è sempre chiaro fino a che punto siano confusi con gli athinganoi, membri di una setta sorta in Asia minore e accusata di essere dedita alla arti magiche. La cosa certa è che la loro denominazione è spesso confusa con quella di costoro, ma anche che essi sono già conosciuti come «egiziani», due nomi che si porteranno addosso per il resto della loro storia. Sono segnalati come addestratori di animali e acrobati e le donne da cui guardarsi. Alcuni documenti del Trecento e del Quattrocento (…) ne attestano, oltre ai nomi,la presenza in terre greche, dove già convivono con le popolazioni locali, in situazioni che prefigurano quelle che nell‟età moderna caratterizzano le loro esistenze in altre parti d‟Europa. (…) A partire dalla seconda metà del Trecento, diversi viaggiatori notano la comunità rom di Modone (Methoni), una città portuale del Peloponneso. Fin dal 1384 i suoi membri sono indicati come romiti, vivono su un colle fuori dalle mura, in un insediamento stabile fatto di capanne, sono quasi tutti fabbri-ferrai e sono povera gente. Questo tipo di insediamento sarà tipico dell‟Europa carpatobalcanica e lo si ritroverà anche in Spagna, in particolare in Andalusia, e in qualche caso nell‟Italia meridionale. I viaggiatori non forniscono informazioni sui rapporti politici di questi rom do Modone con i gagè locali, ma danno notizie del loro numero (…). A partire dallo stesso periodo cominciano a comparire nell‟Italia meridionale, in Sicilia e in Sardegna, e in Spagna degli zingari esplicitamente chiamati «greci» e che seguono il rito greco. (PIASERE 2004:32)

La città di Modone era uno dei principali centri zingari. La città era nota ai viaggiatori occidentale, in quanto era lo scalo principale sulla via della Terra Santa. Il viaggiatore italiano Frescobaldi «scorse a Modone nel 1384 un gran numero di persone che chiamò «Romiti», credendo ingenuamente che fossero occupati a “fare penitenza dei loro peccati”» (De Vaux de Foletier 1990:46). Il pellegrino francese Jean de Cucharmys, arrivato a Modone nel giugno 1490, scrive che «i sobborghi di quella città sono popolati da Zingari, proprio di quelli che girano per il mondo, e vengono da cinque leghe più in là, da una piccola città chiamata Gype e per questa ragione sono chiamati Gypziani e non Egiziani». Dunque secondo lui, se gli Zingari abitano nei paraggi di Modone, il paese di Gype, da cui provengono, è un po‟ discosto (ivi: 47).

Nel XIV secolo è documentata la loro presenza in Grecia, dove vengono chiamati atsiganoi o atziganoi (Lewy 2000): (…) venue d‟Asie mineure, une secte hérétique dont les membres, qui évitaient le contact avec leur entourage, avaient réputation de devins et 13


magiciens est connue depuis plusieurs siècles en Grèce sous le nom d‟Atsinganos ou Atsinkanos («intouchés/intouchables») quand vers 1100 un moine du mont Athos parle d‟un groupe d‟Atsingani. Il se trouve que le nom de cette secte sera attribué à des groupes de voyageurs venant de l‟Est, et qu‟il leur restera attaché pour de nombreux pays et langues (Tsiganes en français, Zigeuner en allemand, Sigöyner en norvégien, Zigenare en suédois, Zingari en italien, Ciganos en portugais, etc.). (LIÉGEOIS 2007:18)

A metà del XIV secolo, nell‟isola di Corfù, esiste un «feudo degli zingari», la cui presenza è attestata per secoli sotto i veneziani. Qui, l‟imperatrice Caterina di Valois diede ai signori il potere di ridurre in vassallaggio alcuni nomadi, “nomine vageniti”, venuti dalla terra ferma. Questa fu l‟origine del «feudo degli Acingani» o «baronia degli Zingari». Il regime feudale, instaurato dagli Angioini, fu conservato dai Veneziani, quando presero possessi dell‟isola nel 1386. Tutte le famiglie zingare erano soggette alla giurisdizione del barone. Egli esercitava su di loro tutti i diritti della giustizia. (DE VAUX DE FOLETIER 1990: 48)

Intorno alla metà del „400 i rom si stabiliscono nel Peloponneso dove i veneziani assegnavano la carica di «drungario degli zingari» agli stessi rom5. Nella seconda metà del Quattrocento abbiamo le prime attestazioni dell‟impiego degli Zingari per la servitù del gagiò. Questi ha sui servi un forte potere: può giudicarli e punirli, renderli schiavi e assoggettarli a corvées. Questo regime durerà fino all‟Ottocento in tutti i principati romeni (Piasere 2004: 32). Benché non sia stata studiata a fondo la situazione dei rom sotto gli Ottomani, sappiamo con certezza che era completamente diversa dalla situazione nell‟Europa occidentale. I rom erano inseriti nel registro delle tasse della provincia della Rumelia: “tutti i rom dovevano pagare una tassa annuale pro capite (harağ) eccetto i fabbri arruolati nell‟esercito e quelli insediati nelle fortezze. Unica discriminante: i rom musulmani non dovevano unirsi con quelli cristiani” (ivi:34). Gli Ottomani istituirono uno «Stato predatore» che si basava sullo sfruttamento dei dominati con un sistema di tasse che inglobava tutto l‟Impero, cui anche i rom partecipavano. Stahl attesta che, nell‟Impero Ottomano, gli zingari svolgevano lavori socialmente deprecati, come quelli di boia e di impagliatori di teste, poiché: Il drungario era un comandante militare a capo di una drunga e occupava il settantaseiesimo posto della gerarchia bizantina. (…) Aveva la facoltà di chiedere privilegi per i suoi rom, ma di altre sue funzioni o prerogative non sappiamo niente. (Piasere 2009:33) 5

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Nelle regioni balcaniche la nozione di impurità in rapporto o attraverso gli Zingari aveva un posto importante. Lo Zingaro è in generale un essere immondo, non bisogna avvicinarlo. Mangia animali morti di vecchiaia, di malattia o soffocati, e non esclusivamente animali sgozzati, come invece fanno le altre popolazioni. (STAHL 1986:49)

Tuttavia, nonostante nell‟Impero Ottomano vigesse un regime di schiavitù, [ma in generale] i rom non erano schiavi: nonostante facessero parte degli ultimi gradini della società, non hanno mai subito discriminazioni tali da essere paragonate a quelle subite in Occidente o, soprattutto, nei due principati di Valdacchia e Moldavia, dove, dal Trecento all‟Ottocento, si costruì «il più grande, sistematico, controllato sistema schiavistico dell‟Europa moderna». (Piasere 2004: 35) Nel 1386 Mircea I, voivoda della Valacchia, confermò la donazione fatta verso il 1370 da suo zio Vladistas al monastero di Sant‟Antonio, presso Voditza, di quaranta famiglie di Atsingani. L‟atto in questione prova che i rappresentanti di questa razza erano già ridotti in schiavitù nella regione. La schiavitù degli Zingari nei principati moldavi e valacchi è dimostrata da allora in un gran numero di documenti, ma la sua origine resta oscura. Forse i primi Zingari erano arrivati sulle rive del Danubio durante le invasioni mongole del XIII secolo come prigionieri di guerra degli invasori Tartari e di conseguenza come loro schiavi (per questo li avrebbero chiamati «Piccoli Tartari»). (DE VAUX DE FOLETIER 1990: 48)

In seguito alle Crociate, la diffusione dei commerci aveva reso prosperi i territori della Romania. Gli Zingari facevano parte della vita economica esercitando vari mestieri, soprattutto di carattere artigianale, «ma rifuggivano da lavori di lungo impegno e non si fermavano a lungo sullo stesso posto» (ivi:49). Furono così costretti alla sedentarietà perdendo la loro indipendenza e restarono schiavi fino alla metà del XIX secolo. Dalla fine del XIV, inizia una vasta documentazione sugli zingari schiavi con i primi documenti che attestano la presenza zingara nell‟attuale Romania6. Dal regime di dominanza/sottomissione presente nell‟Impero ottomano, si passa a un rapporto di contrattazione tra i capi rom e i governanti gagé (Piasere 2004: 47): (…) contrattano anche l‟acquisizione dei beni dai governanti gagé, inserendosi nell‟universo religioso del tempo e fingendosi pellegrini 6

Il principe Dan I, nel 1385, conferma al monastero di Tismana la donazione di quaranta celjadi (famiglie) di atsigani, già appartenuti al monasteri di Vodiţa. La donazione era stata fatta dal principe Vladislav I fra il 1371 e il 1377. (Piasere 2004: 35)

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egiziani convertiti e in viaggio di espiazione. I «conti» e i «duchi» di tali «egiziani» si pongono, quindi, come mediatori tra i gagé e la comunità con una funzione invertita: raccogliere beni dall‟alto per ridistribuirli «in basso» garantendo ai propri di non accettare il modello di dominanza /sottomissione dei gagè locali. (ibid.)

Nei paesi bizantini, i Rom hanno vissuto a stretto contatto con il mondo cristiano, apprendendo varie lingue, usi e costumi, e prendendo dai cristiani parte delle credenze e dei riti; conoscenze che si riveleranno utili per essere accolti nell‟Occidente cristiano. L‟esodo fu causato da diversi fattori, tra cui hanno un certo peso il tentativo di sfuggire alla schiavitù sotto la quale erano costretti in Moldavia e Valacchia, e [per la] spinta dei Turchi, arrivati da conquistatori alle porte di Costantinopoli, in Serbia e in Bulgaria. Non si tratta di un esodo di massa, e la maggior parte degli Zingari è rimasta nell‟Europa balcanica. Dopo il 1400, alcuni gruppi si presentavano come pellegrini o penitenti, e «vennero in un primo momento accolti con favore e poterono godere della carità pubblica e privata». (Lewy 2002:4) En 1416, la ville de Kronstadt, en Transylvanie (Brasov en Roumanie), fait des dons d‟argent et de victuailles à «Seigneur Emaus d‟Egypte et ses cent vingt compagnons». L‟année suivante, des Tsiganes traversent les villes hanséatiques et sont signalés en Saxe, en Bavière, dans la Hesse et près de la frontière suisse. Ils se déplacent en groupe, avec femmes et enfants et, à leur tête, un «chef», «duc», «comte», «capitaine» ou «voïvode»; ils possèdent des chevaux, parfois des chariots pour leurs bagages, et se disent pénitents ou pèlerins, subsistant ainsi par des aumônes privées ou publiques. (LIÉGEOIS 2007:19)

La vicenda del pellegrinaggio è raccontata in molte versioni e fonti e «secondo alcune, provenivano dall‟Egitto e stavano facendo penitenza per essersi allontanati per un certo periodo dalla religione cristiana. Secondo altre, stavano espiando i peccati dei loro antenati che non avevano voluto prestare aiuto alla Beata Vergine e al Bambino Gesù durante la fuga in Egitto». (Lewy 2002: 4) Tra il 1417 e il 1430 sono state notate, in un‟area che va dalle città anseatiche all‟Italia centrale, dall‟Olanda alla Provenza, compagnie di tali sedicenti egiziani guidate da conti e duchi e composte da uomini, donne, bambini, cavalli e cani. I cronisti coevi, in modo assolutamente indipendente l‟uno dall‟altro, riportano invariabilmente un‟unica storia, pur nelle sue varianti, raccontata da quelle persone: «Siamo egiziani ma cristiani, dobbiamo espiare una penitenza per un peccato di apostasia che ci condanna a un pellegrinaggio di sette anni prima di poter ritornare nella nostra terra. Per favore aiutateci. Eccovi le lettere di protezione che lo attestano». 16


(PIASERE 2004:47)

Le cronache del tempo ci forniscono chiare informazioni sia sulle date di arrivo nelle città, sia sul loro aspetto e sul loro modo di viaggiare. «I capi viaggiavano a cavallo, vestiti con dei pastrani colorati, spesso rossi e verdi, ornati da grandi bottoni d‟argento. (…) le donne viaggiavano su carri trainati dai buoi. Alcuni di loro portavano orsi e scimmie ammaestrate» (Wierwicki 1997: 26). Nel 1416 la città di Brassov, in Transilvania, offriva denaro e vettovaglie «al signore Emaus d‟Egitto e ai suoi centoventi compagni. Nella medesima regione una famiglia nobile offrì quaranta montoni ai poveri pellegrini d‟Egitto, che stavano ritornando, così dicevano, a Gerusalemme» (Vaux de Foletier 1990: 52). Una importante banda attraversò rapidamente l‟Ungheria, penetrò in Germania e riuscì a farsi consegnare dall‟imperatore Sigismondo, re di Boemia e di Ungheria, lettere di protezione per duchi e principi, città e fortezze, vescovi e prelati. Cronisti contemporanei ne fanno menzione, senza precisarne la data. Un secolo più tardi il geografo Münster vide a Heidelberg, nelle mani di un capo zingaro, una copia di queste lettere, che sarebbero state scritte a Lindau (…). Queste lettere furono di grande utilità per gli Zingari, quando, nel corso di una rapida marcia, verso la fine del 1417 attraversarono la Germania (…). Motivavano il loro vagabondare come un pellegrinaggio di sette anni, imposto dai vescovi in espiazione di una apostasia. (ibid.)

Un esempio di descrizione dettagliata sul loro arrivo ci arriva dalla Cronaca di Bologna del18 luglio 1422: Al dì 18 luglio 1422 venne in Bologna un duca d‟Egitto il quale aveva il nome Andrea e venne con donne, putti ed uomini del suo paese e potevan essere ben cento persone…quando arrivarono in Bologna alloggiarono alla porta Galiera, dentro e fuori, e dormivano sotto i portici, salvo il duca che alloggiava nell‟albergo del re. Stettero in Bologna quindici giorni. In quel tempo molta gente andava a vederli per rispetto della moglie del duca che sapeva indovinare e dire quello che una persona doveva avere in sua vita e anche quello che aveva in presente e quanti figlioli e se una donna era cattiva o buona, e altre cose. Di cose assai diceva il vero. E quando alcuno vi andavano di quei che voleano far indovinare de‟ loro fatti, pochi vi andavano, che loro non rubassero la borsa o non tagliassero il tessuto alle femmine. Anche andavano le femmine loro per la città a sei e otto insieme. Entravano nelle case dei cittadini e davano loro ciance. Alcuna di quelle si ficava sotto quello che poteva avere. Anche andavano nelle botteghe, mostrando di voler comprare alcuna cosa, e una di loro rubava. Onde fecero un gran rubare in Bologna. (…) Erano magri e negri e mangiavano come porci. (WIERWICKI 1997: 26-27)

Da questi episodi nacquero [dei] dissidi tra le popolazioni locali e gli zingari, 17


chiamati «egiziani» e in forma distorta gypsies in inglese e gitanos in spagnolo. Iniziano le accuse di stregoneria, magia, rapimento di bambini e spionaggio. Prima dei bandi emanati dai governi sono stati i cittadini stessi ad attuare misure contro i nomadi: Il 7 novembre 1453 alcuni Egiziani si presentarono al borgo della Cheppe in Champagne, presso Châlons-sur-Marne, in numero di sessanta-ottanta. Rifiutando di rivecerli, gli abitanti corsero a cercare bastoni, spiedi e picche, (…) e gli archi (…). Il procuratore reale fece osservare agli stranieri che erano già venuti recentemente – oppure «altri simili» - e che non avevano lasciato un buon ricordo. Si accettava di rifornirli, ma dovevano andare ad accamparsi in un borgo vicino. (DE VAUX DE FOLETIER 1990: 70)

Dopo l‟espansione turca nei Balcani, la dieta del Sacro Romano Impero nel 1497 «accusa gli zingari di essere spie al servizio dei turchi e negli anni seguenti ne decreta l‟espulsione da tutti i territori germanici» (Lewy 2002:4). Le corporazioni di mestiere cercano di limitare l‟esercizio dei lavori tradizionali degli zingari, i quali, di conseguenza, dovettero ricorrere sempre più spesso all‟accattonaggio e ai furti, confermando lo stereotipo che li accompagna da secoli (ivi: ). In questo periodo hanno inizio anche le persecuzioni attuate dagli Stati contro gli zingari «dal momento in cui sono riconosciuti come vagabondi. Possono essere perseguitati come tali, ma anche come categoria a sé» (Piasere 2004:49). Nell‟Europa occidentale la loro presenza si scontra con le esigenze del nuovo ordinamento politico europeo: Quando la struttura «a stato» si rafforza e si comincia a sentire l‟esigenza di un maggiore controllo entro i propri confini come garanzia di uno stato «ben governato», le grandi persecuzioni, cioè le persecuzioni decise a livello centrale, scattano inesorabili. Sono diversi i motivi delle persecuzioni: esse si rivolgono contro i rom in quanto persone che non rispettano le modalità di mobilità accettate, in quanto persone che non si sottomettono al lavoro salariato, in quanto portatori di un‟alterità deprecabile se non addirittura diabolica e destabilizzante (ivi:50).

Si tratta di quel processo che gli studiosi dello Stato moderno indicano come «rapporto amico-nemico, e che in Europa ha fatto sì che gli Ebrei e gli Zingari venissero percepiti come un corpo estraneo intento a coltivare soltanto il proprio interesse e non quello della collettività» (Mannoia 2007: 23-24). La politica del rifiuto diventa così norma con le prime legislazioni statali 18


antizingare, iniziate in Svizzera e in Nord Italia: Con la diffusione della Riforma i pellegrini perdono lo status particolare di cui godevano in precedenza, e l‟accattonaggio viene considerato con grande severità. A livello locale, le parrocchie sono attrezzate per soccorrere i poveri del luogo, ma i mendicanti di provenienza straniera vengono di norma respinti. Come fa osservare Angus Fraser, «in genere, le popolazioni stanziali non si fidano dei nomadi, e in una società europea nella quale la maggioranza della popolazione conduce una vita ispirata alla pietà, o segnata dalla condizione servile e dalla fatica, gli zingari costituiscono una negazione lampante dei valori fondamentali e delle premesse su cui si basa la moralità dominante». (LEWY 2002: 5)

Gli Zingari non si integravano nella società. «Per i giuristi olandesi erano turbatores socialitatis (più tardi si dirà «asociali») e persino nemici del genere umano («hostes generis humani»)» (De Vaux de Foletier 1990: 71). Iniziano a ricorrersi sempre più voci che collegavano agli Zingari ogni genere di misfatti: Molti di questi misfatti erano di quelli che si possono affibbiare a itineranti occasionali: le truppe di armati, anche in tempo di pace, erano estremamente temute e le loro truppe contrassegnate da gravi disordini; c‟erano sulle strade e sui sentieri molti vagabondi di ogni specie, che se ne andavano da soli o in gruppi, guardati dovunque con diffidenza. Ma, fra tutti i viandanti, gli Orientali facevano più paura. Il loro colorito scuro, i vestimenti bizzarri, il modo di vita e il linguaggio incomprensibile li indicavano come stranieri, e come stranieri temibili. (ibid.)

Un altro fattore di disturbo era la mendicità, considerata un flagello fin dal Medioevo. Per gli Zingari era un vero e proprio mestiere, praticato soprattutto da donne e bambini; con una circostanza aggravante per le persone superstiziose: la minaccia della cattiva sorte. A parecchie riprese Zingari, che la giustizia non poteva accusare di alcun furto, vennero condannati «per aver esigito alimenti in modo importuno e spesso con trucchi e frodi»; oppure «di essersi fatti dare con astuzia o minacce viveri per sé e per i loro cavalli». (ibid.)

L‟altra accusa principale è il furto, tema sfruttato nel romanzo picaresco e nel teatro. Cervantes, nelle sue Novelle esemplari, li descrive così: «Sembra che Gitani e Gitane non siano sulla terra che per essere ladri; nascono da padri ladri, sono educati al furto, s‟istruiscono nel furto e finiscono ladri belli e buoni al cento per cento; la voglia di truffare e la furfanteria sono in loro accidenti, di cui si liberano solo alla morte».

Dal 1500 al 1700 si diffusero in tutta Europa decreti penali contro gli Zingari che «furono di una tale gravità che sembravano persino non riguardare esseri umani» (Mannoia 2007: 23). 19


«Chi colpisce lo Zingaro non commette reato», decretò nel 1500 la Dieta dell‟Impero; «ogni cittadino è libero di ammazzare tutti gli zingari impune e di levar loro ogni sorta di robbe, di bestiame e denari che trovasse», sentenzia una grida milanese del 13 marzo 1663, prescrivendo anche la forca a ogni nomade che fosse entrato nel territorio del Ducato. Dal 1601 al 1770 ben 23 disposizioni aventi come oggetto specifico gli Zingari vennero emanate nello Stato di Savoia, proibendo a chiunque di «dar loro ricetto» ed esortando «di dar loro la caccia senza risparmio delle vite loro». (ibid.)

Nel 1547, un decreto inglese sembra «moldovalacchizzare» l‟Europa occidentale: «ogni vagabondo deve essere preso, marchiato con una V e dato in schiavo per due anni a un padrone che lo può battere e incatenare; ma risulta troppo duro per poter essere applicato in patria e dopo due anni viene cancellato». (Piasere 2004: 53) Nel 1652, l‟elettore di Sassonia Giorgio I bandisce gli zingari dalle sue terre; nel 1711, Augudto I di Sassonia ordina che chi contravviene al bando venga fustigato, marchiato e, in caso di reiterazione del reato, messo a morte. Nel 1710, il principe Adolfo Federico di Mecleburgo-Strelitz ordina che gli zingari catturati siano condannati ai lavori forzati a vita; gli anziani e le donne in età superiore ai venticinque anni devono invece essere fustigati, marchiati ed espulsi. I bambini al di sotto di dieci anni vanno affidati a famiglie di buoni cristiani per essere allevati convenientemente. (Lewy 2002:6)

I bandi antizigani, che si diffondono in tutta Europa7, provocano una reazione anomala rispetto alle forme di disobbedienza che hanno caratterizzato i «popoli senza storia» (ibid.). La criminalizzazione di massa contro gli zingari, e «il reale stato di banditi (…) in cui erano caduti quei gruppi che non volevano proletarizzarsi» riflette la situazione del rapporto zingaro/gagé nell‟Europa non balcanica (Piasere 1999:14). Nell‟Europa balcanica, la criminalizzazione colpì chi fuggiva dai padroni schiavisti e diventava bandito (ibid.). Una delle conseguenze delle politiche antizigane è spiegata da Piasere con l‟esempio delle direttive del re Giovanni V in Portogallo: In seguito alle direttive del re Giovanni V i portoghesi iniziano, a partire da 1718, una massiccia deportazione di zingari in Brasile. Perseguitati e banditi nel paese di provenienza, nel nuovo ambiente della colonia essi si inseriscono nel sistema economico locale diventando… commercianti di schiavi. Specie el sud del Brasile, gli zingari dominavano i mercati interprovinciali agendo come intermediari tra i proprietari di schiavi nella 7

Tra il 1497 e il 1774, nei territori tedeschi vengono emanati 164 editti contro gli zingari, e circa i tre quarti dei provvedimenti adottati contro gli zingari tra il 1551 e il 1774 risalgono al secolo immediatamente seguente la guerra dei Trent‟anni (Lewy 2002: 5)

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costa e i latifondisti delle piantagioni dell‟interno. (…) vi è quindi un periodo storico che va dall‟inizio del Settecento alla seconda metà dell‟Ottocento in cui gli zingari erano al contempo, in contesti economici diversi, schiavi e schiavisti. (PIASERE 1999: 15)

È innegabile che gli zingari giocarono un ruolo importante nell‟economia feudale romena e in quella schiavista brasiliana. Ma «il processo di schismogenesi in atto non assegna mai alcun riconoscimento alle attività zingare nella costruzione dei sistemi socio-economici regionali o nazionali» (ibid.). Inoltre si levarono poche voci contro la repressione degli zingari: «il loro status di popolo senza radici era considerato un‟aberrazione da combattersi da parte del potere statale» (Lewy 2002: 6-7). In Spagna, il primo testo che tratta degli zingari è la Pragmatica di Medina del Campo del 1499: les incite à trouver un métier et un maître, leur interdit le voyage en groupe et leur reproche surtout d‟aller «de lieu en lieu», sans métier. Au cours des siècles suivants, les mesures prises affineront ce premier texte et seront, sauf rares exceptions, la preuve d‟une volonté politique constante d‟intégration autoritaire des populations tsiganes dans la société espagnole. (LIÉGEOIS 2002: 121)

Nella penisola iberica si cercò di rispondere al “problema” in maniera diversa. Piasere considera il modello spagnolo «uno sviluppo del «laboratorio» grecoveneziano nella sua variante di Modone/Methoni. Funziona solo se viene imposto da poteri forti e non a caso lo troviamo nel periodo dell‟assolutismo» (Piasere 2004: 54). È stato anche definito modello dell‟«inclusione», che non [si] prevede il genocidio ma l‟etnocidio, l‟assimilazione forzata. En Espagne, le premier texte concernant les Tsiganes atteste une arrivée par le nord; il s‟agit d‟un sauf-conduit délivré à Saragosse par Alphonse V, le 12 janvier 1425, au profit de «Don Johan de Egipte Menor». Le document ordonne qu‟on le «laisse aller, demeurer et passer», pendant trois mois, lui, tout son équipage, et ceux qui l‟accompagnent. Pour le Portugal, le roi D. João III, par un premier texte en 1526, soit un siècle plus tard, décrète l‟expulsion des Ciganos; mais il est probable qu‟ils se soient trouvés bien plus tôt sur le territoire portugais; la première référence connue figure dans un poème qu‟on peut dater de 1510, et probablement les Tsiganes sont-ils arrivés au Portugal au cours de la seconde moitié du XVe siècle. (LIEGEOIS 2007:20)

Per quasi tutto il Seicento, ai gitani era stato vietato, attraverso una Pragmatica, «di riunirsi, di vestire in modo diverso dagli altri spagnoli, di usare il romanes, di 21


abitare in quartieri di soli gitani, stabilisce che essi non possono esibirsi in danze, né nomadizzare, né definirsi gitani, ma «nuovo castigliani»» (Piasere 2004: 54). En 1611, le métier doit se rapporter à la culture de la terre, ordre fonctionnel après l‟expulsion des Maures qui laisse de nombreuses terres en friche; l‟ordre vient du roi en opposition au Conseil d‟Etat qui veut, après les Maures, expulser les Tsiganes. Puis le vêtement, le nom, la langue sont interdits, la domiciliation dans une localité de plus de 1 000 habitants est obligatoire, les réunions publiques et privées interdites; si un individu est trouvé hors de la localité qui lui est assignée, il devient l‟esclave de celui qui l‟a découvert. En 1695, un recensement de tous les Tsiganes doit avoir lieu dans les trente jours: ils doivent déclarer leurs métiers, modes de vie, armes, montures, etc., puis ils ont trente autres jours pour quitter le royaume ou se fixer dans une localité de plus de 200 habitants. D‟autres interdictions s‟ajoutent aux précédentes: les chevaux sont interdits, de même que la fréquentation des foires et marches. (LIÉGEOIS 2002:121)

Alla fine del secolo, le disposizioni cambiarono: «i gitani possono vivere solo con più di duecento abitanti, svolgere solo lavori legati all‟agricoltura, devono evitare il commercio degli equini e tenersi alla larga dalle fiere» (Piasere 2004: 54). Verso la metà del Settecento, il processo di sedentarizzazione viene ancora più ristretto: ogni cento abitanti ci deve essere una famiglia di gitani. Tuttavia il nomadismo persiste, seppur in maniera minore, al quale i regnanti spagnoli risposero, nel 1749, con una «grande retata» imprigionando oltre diecimila gitani. Nella seconda metà del secolo la politica assimilazioni sta si irrigidisce con un decreto che stabilisce: «rigida sedentarizzazione e, per chi non obbedisce, chiusura dei figli in collegi con istruzione obbligatoria, e iscrizione in un registro speciale; per i recidivi di nomadismo la pena prevista è l‟esecuzione capitale» (ivi: 55). Il «modello spagnolo» verrà attuato anche dagli Asburgo, «quando, nel 1687, riconquistarono la Transilvania e tutta quella parte di Ungheria (…) che era caduta sotto gli Ottomani nel 1526, ossia nel periodo in cui era cominciata in Europa occidentale la grande caccia agli zingari» (ibid.). I rom ungheresi, durante il dominio ottomano, erano presenti fino al nord dei Carpazi. Dopo la riconquista, gli Asburgo «si ritrovano il loro territori pieni di rom» (ibid.). La politica «all‟occidentale» non funzionò: non si trattava più di far fronte a poche migliaia di persone, ma con decine di migliaia di persone ben radicate e inserite fra la popolazione. La Slovaquie, au début du XVe siècle et pendant trois siècles, a fait prevue 22


d‟une tradition d‟accueil des Roms. Mais au début du XVIIIe siècle elle s‟aligne, bien que parfois avec plus de souplesse, sur les pratiques des pays voisins, avant de développer une politique de réclusion violente avec MarieThérèse d‟Autriche et Joseph II, politique qu‟on retrouvera beaucoup plus tard, et de parvenir à l‟assimilation par la sédentarisation, le travail et la scolarisation. Cette volonté d‟assimilation, mise en oeuvre de façon arbitraire et le plus souvent violente, marquera toute la période du régime communiste, à partir de la fin des années 1940. La loi de 1958 – à la même époque dans les pays voisins la législation est identique, par exemple en 1952 puis en 1964 en Pologne – sur la fixation définitive des nomades est appliquée avec brutalité: quelquefois la police tue les chevaux et enlève les roues des chariots pour stopper le voyage. (LIÉGEOIS 2002:127)

Con la De regulatione zingano rum del 1782, Giuseppe II estende alla Transilvania le disposizioni della madre, inasprendole con, ad esempio, l‟abbassamento dell‟età dei bambini da togliere ai genitori dai cinque ai quattro anni, aumentando la pressione fiscale e introducendo registri speciali per gli zingari, vietando il commercio dei cavalli. La riforma rimase però inapplicata in quanto «la nobiltà e la popolazione non avevano alcun interesse a che i rom venissero sedentarizzati per controllarne il modo di vita. Funzionò, invece, la legge che abolì la schiavitù rom in Bulgaria (…), nell‟ambito della politica illuminista tesa ad abolire la servitù della gleba» (Piasere 2004: 56). Come fa notare Lewy, «soltanto in maniera molto graduale i venti dell‟Illuminismo che percorrevano l‟Europa riuscirono a mitigare la crudeltà degli ordinamenti legislativi determinando un miglioramento della condizione degli zingari» (Lewy 2002: 7). Per sopravvivere, gli Zingari cercarono di sfruttare tutte le scappatoie consentite da questo sistema oppressivo; trassero così vantaggio dalle molteplici giurisdizioni e dai diversi codici esistenti negli Stati germanici. Alcuni diedero più padrini ai figli, altri, mettendo a frutto una capacità collaudata, falsificarono i passaporti e ottennero la tanto desiderata licenza di esercitare un mestiere itinerante (Wandergewerbeschein) richiesta a partire dalla prima metà del XIX secolo. A quanto sembra, il loro talento musicale ebbe una funzione importante nel suscitare un certo atteggiamento di tolleranza. (ibid.)

Non fu così in tutta Europa. L‟Illuminismo contribuì ad affermare un nuovo modo di vedere le istituzioni e la società, facendo vacillare l‟oscurantismo dei secoli precedenti. Ma per gli Zingari continuarono le persecuzioni, «rischiarono di scomparire sotto l‟assimilazione forzata, dimenticando per sempre di essere stati un popolo» (Viaggio 1997: 88). 23


Dalle persecuzioni contro le «orde zingare» si passò a una più raffinata politica di controllo, «che pretese di razionalizzare anche la composizione etnica dei popoli» (Mannoia 2007: 25). Nell‟impero asburgico di Maria Teresa d‟Austria [1717 - 1780] e di suo figlio Giuseppe II [1741 - 1790], nel Regno di Spagna di Carlo III [1716 1788] e nei domini italiani che erano sotto l‟influenza di questi ultimi, vi fu un susseguirsi di provvedimenti volti ad affermare la forma di un vero e proprio “Stato di Polizia”, che si fondava su un controllo sociale e politico del territorio in nome dell‟ordine. (…). Nell‟Italia dell‟Ottocento, specialmente nel periodo precedente l‟unificazione, vi furono ripetute limitazioni delle libertà civili e dunque anche gli Zingari e tutti coloro che non avevano fissa dimora subirono non poche persecuzioni. (ibid.)

Con il Positivismo nascono nuovi argomenti a sostegno dei pregiudizi contro gli zingari (Sigona 2007: 23); ed è in questo periodo che l‟antropologia inizia il suo sviluppo sia in Europa che in America, qualche anno dopo l‟abolizione della schiavitù (Piasere 1999: 16). Piasere collega la nascita dell‟antropologia con la fine dello schiavismo: Se prendiamo come data di nascita più o meno ufficiale dell‟antropologia il 1871, con la pubblicazione di Primitive Culture di Tylor in Europa e di Systems of Consanguinity and Affinity of the Human Family di Morgan in America, ci accorgiamo che essi appaiono una decina di anni dopo l‟abolizione della schiavitù zingara in Europa (Bessarabia russa: 1861) e quella negra in America del Nord (decreto di emancipazione di Lincoln: 1862). (…) E in Francia e in Inghilterra esistevano le Società di Etnologia fin dal 1839 e 1843. Ossia, sembra esservi un intreccio tra la politica antischiavista e la nascita dell‟antropologia che, con il suo paradigma (…) dell‟unità psichica del genere umano, scardina il precedente convincimento che aveva imperato per millenni circa le incolmabili disuguaglianze interne al genere umano, ideologia che giustificava la pratica della schiavitù. (ibid.)

Per tutto l’ancien régime gli zingari erano considerati della stirpe di Caino o di Cham, due stirpi maledette: «la prima condannata a girovagare per il mondo a causa del fratricidio del progenitore, la seconda ad essere fatta schiava a causa del peccato di Cham, che aveva visto nudo il proprio padre Noé» (Piasere 2004: 57). Quando, dal Settecento, si sviluppa la razziologia su base biologica, e nell‟Ottocento si unisce con l‟evoluzionismo, le razze maledette della tradizione biblica scompaiono, ma ne nascono altre non meno infelici.(…) Per tutto l‟Ottocento noi abbiamo una visione schizofrenica degli zingari: sono considerati «selvaggi di casa nostra», a volte sono detti peggiori degli Ottentotti, e, da Lombroso in poi, una razza delinquente «atavica», cioè delinquenti per nascita e in modo definitivo; ma 24


a questa visione negativa se ne contrappone un‟altra, quella letteraria che, rifacendosi al primitivismo romantico, esalta la figura dello zingaro in questo più vicino alla natura con la sua passionalità e istintività. (ibid.)

Tra il mito del buon selvaggio e quello del cattivo, ha la meglio il secondo, soprattutto nei tribunali e nelle caserme di polizia «dove vige lo scientismo della razziologia criminale» (Piasere 2004: 58). Si sente ancora la minaccia al mantenimento dell‟ordine pubblico dovuta all‟ozio e al vagabondaggio. Nel 1852, il ministro Galvano dichiara: l‟ozio e il vagabondaggio quando non sono energicamente repressi dalla legge sono origine di gravissimi reati. L‟ozioso e il vagabondo possono considerarsi in permanente reato, frodano la società della parte che ogni cittadino le si deve e non si possono concepire come possano, privi quali sono di mezzi, esistere senza supporre una continua sequela di truffe (…) e se la sorveglianza della polizia, in tempi in cui i delitti sono così frequenti, non la estendiamo alle persone legittimamente riconosciute sospette, a chi la estenderemo? (GALVANO 1852, in SIGONA 2007: 24)

Gli scritti "a favore" degli zingari vanno dal romanticismo della rivista Journal of Gypsy Lore Society alla «difesa schiettamente antirazzista e antilombrosiana di Napoleone Colajanni» (ibid.). In perfetto contrasto colla buona fama di cui godono generalmente gli Ebrei è quella degli Zingari. Essi sono, dice Lombroso, l‟immagine viva di una razza di delinquenti, e ne riproducono tutte le passioni e i vizii. Hanno in orrore tutto ciò che richiede il menemo grado di applicazione; sopportano la fame e la miseria piuttosto che sottoporsi a un piccolo lavoro continuato; vi attendono solo quanto basti per poter vivere; sono spergiuri anche tra di loro; ingrati, vili e nello stesso tempo crudeli (…). Sono vendicativi all‟estremo grado. (COLAJANNI 1889: 198-199; LOMBROSO 1887: 28)

Dal Rinascimento in poi, i dotti si sono interessati a queste “nuove” popolazioni, dando il via, in pieno Ottocento, a «quella scienza che oggi ha il nome, dal suono un po‟ barbaro in verità, di ziganologia» (De Faux de Foletier 1990: 13). Alla fine del XVIII secolo si fecero sensibili progressi: venne confermata la parentela della lingua zingara con le lingue dell‟India e, di conseguenza, fu risolto almeno in parte il problema delle origini. In seguito a queste scoperte lo studioso tedesco Grellmann scriveva la sua prima opera generale consacrata agli Zingari. Mezzo secolo più tardi un inglese, George Barrow, si appassionò ai Gypsies, e i suoi scritti, didattici o romanzeschi, contribuirono a ridestare l‟interesse degli studiosi. (ibid.)

In Italia, tra gli studiosi della cultura zingara di metà Ottocento, una figura di spicco è sicuramente quella di Francesco Predari, il quale, nel 1841, pubblicò 25


l‟opera Origine e vicende dei Zingari. L‟opera è «viziata da inesattezze storiche e da preconcetti» (Mannoia 2007: 26) ma è comunque una testimonianza importante per quanto riguarda la descrizione di usi e costumi. (…) quando assassini antropofagi, quando eroi di cavalleria e feccia di bordello, quando spie abbominevoli e martiri di libertà, e nello stesso tempo tanto profondo silenzio della storia su la primitiva organizzazione della loro società, su le vicende e le cause di quella dispersione profuga ed errabonda cui sembrano essere stati sospinti da qualche catastrofe politica e dalla quale sono pur tuttavia tenuti da una specie di maledizione celeste che li perpetua nell‟abbominio universale degli uomini. (PREDARI 1841: VII-VIII)

Nell‟Inghilterra vittoriana gli studi sulla cultura rom si sviluppano grazie all‟opera di Charles Godfrey Leland, scrittore americano noto come il “mentore più in vista della cultura zigana” (Turrini 2007: 75). Nel giugno del 1888, esce il primo numero della rivista Journal of Gypsy Lore Society, sotto la redazione di David MacRitchie, storico dei “popoli marginali”, e Francis Hindes Groome. Della JGLS farà parte anche Adriano Colocci Vespucci, marchese italiano, che entrerà a far parte dei vertici della redazione della rivista, della quale diventerà presidente nel 1911. La sua ricerca ricostruisce l‟intera vicenda storica del popolo zingaro, con mappe storiche, statistiche e caratteri culturali: Gli Zingari - strano popolo! Errante, disperso, oppresso, maledetto, ribelle alle leggi e alla civiltà vissuto senza mescolarsi in mezzo a noi, che appena da cento anni abbiamo tentato di strappare a questa razza d‟intrusi il segreto della loro origine, della loro lingua, de‟ loro costumi. Era il principio del secolo Decimoquinto – e l‟Occidente aveva perfino perduto il ricordo delle infinite traslazioni dei popoli orientali – ogni razza si era addensata alla meglio nei limiti a lei concessi dalla natura o dalla conquista – quando si videro sbucar fuora da mille parti queste orde ariane e scorrere, furtive ed inermi, tutta quanta l‟Europa, cangiando incessantemente di dimora, stupefacendo per la bellezza delle loro donne, favellando idiomi strani, praticando usanze arcane e diaboliche, adorando forse in segreto iddii sconosciuti. (COLOCCI VESPUCCI 1889: 1)

Colocci ebbe il merito di aver dato rigore scientifico agli studi sul popolo zingaro, ma senza successo. La letteratura antizigana ebbe indubbiamente maggior peso. Nel 1914 George Black scrisse A Gipsy bibliography, elencando i titoli di 4.577 opere o articoli di rivista stampati fino a quel periodo. Nel 1955, in Francia, nasce la rivista dell‟associazione Études Tsiganes, e nel 1965, in Italia, nasce la rivista 26


Lacio Drom8 (Buon Cammino) del Centro Studi Zingari (De Vaux de Foletier 1990: 14). Un altro contributo alla letteratura antizigana viene dal criminologo austriaco Hans Gross il quale sosteneva che lo Zingaro fosse «dominato da una cupidigia insaziabile che esige una soddisfazione immediata, è vendicativo e crudele, incredibilmente vigliacco» (Mannoia 2007: 28). Sulla scia di Gross si pone il giudice italiano Alfredo Capobianco, il quale, nel 1914, pubblicò il saggio Il problema delle genti vagabonde in lotta con le leggi. Capobianco basa le sue teorie sul problema dell‟ordine pubblico disturbato da chi pratica il nomadismo, e propone la pianificazione di un intervento statale affinché «si liberi il nostro territorio da questa razza di stranieri vagabondi per i quali Noi riteniamo che la sorveglianza non sia mai eccessiva né infruttuosa» (Capobianco 1914: 103). Sostiene Capobianco che “la legittimità di tali misure trova un sicuro fondamento nelle ragioni storiche che l'accompagnano” (ibid.: 114). Chiaramente si riferisce ai bandi dei secoli precedenti. La proposta elaborata dal giudice, sulla falsa riga delle misure adottate in Francia nel 1912, prevedeva l'istituzione di un registro speciale per gli zingari, un libretto antropometrico e norme speciali da concordare con gli stati vicini. In Italia queste proposte non furono ascoltate. (SIGONA 2002:66)

Altro esponente delle teorie razziste antizigane era Pietro Ellero, il quale affermava nella sua Vita dei Popoli che: «…non sono per fermo né stupidi né ottusi, bensì molto avveduti e scaltri, e per di più in quelle pochissime arti, a cui di malavoglia si applicano, destri e mirabilmente esperti. Che se in pari tempo sforniti di mentale cultura, digiuni affatto di lettere, inetti alle astrazioni speculative di qualunque sorta e persino all‟idea del dovere… ciò dessi ascriversi all‟essersi eglino arrestati a tal grado di socievolezza o di insocievolezza, che non permise l‟attuoso sviluppo del loro spirito. Il che tutto il noto, perché se ne tragga la conseguenza, che sì sotto l‟aspetto intellettuale non si potrebbero, almeno virtualmente, assegnare ad una razza (come si suol dire) inferiore»

Nel periodo di studiosi come Ellero e Lombroso, «l‟antropologia italiana si preparava a entrare in epoca fascista e a essere utilizzata dal regime per sancire la presunta superiorità della razza italica» (Mannoia 2007:31). Questi scritti razzisti trovarono la loro fonte di ispirazione principale nell‟Essai sur l’inégalité des races humaines (1853-55), opera del conte francese Joseph-Arthur de Gobineau il quale ha dato il via agli studi sulla superiorità della razza ariana e attribuiva 8

Il n. 6 del 1999 di Lacio Drom è l‟ultimo numero della rivista dell‟Opera Nomadi.

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uno status inferiore ai Mischlinge (sanguemisti). Le sue idee vennero riprese dallo scrittore Houston Stewart Chamberlain nel libro Die Grundlagen des neunzehnten Jajrhunderts, risalente al 1899. Accanto alla visione romantica che indica il popolo zingaro sì «primitivo ma vicino alla natura (…) emerge ora un ritratto assai meno benevolo che ne fa un gruppo razziale inferiore la cui presenza in terra tedesca costituirebbe una minaccia per la purezza della razza germanica» (Lewy 2002: 8). La congiunzione tra le teorie degli antropologi razzisti italiani e tedeschi hanno costituito la base scientifica dell‟olocausto: «se gli zingari erano pur sempre di origine ariana, come si riconosceva, essi erano talmente degenerati dopo gli incroci con gli asociali europei da essere diventati essi stessi degli asociali da estirpare» (ibid.). Il baró porrajmós, il «grande divoramento» è stato il culmine di ciò che in Europa si tentava di fare da secoli: «liquidare completamente gli zingari (oltre ad altri, certo), per il bene dell‟Europa. O degli ariani» (ivi: 59). Gli avvenimenti storici hanno fatto sì che gli Zingari revisionassero i loro rapporti con i gage. Se questa revisione è stata quasi nulla all‟inizio e lenta poi, è stato perché ai cambiamenti giuridici che intervenivano non corrispondevano cambiamenti reali di fatto. La costruzione dei ”gage“ è sempre stata collegata a quella degli ”zingari“ in modo complementare, non nelle decisioni formali ma negli atteggiamenti reali. (…). Si può dire che fino alla Seconda guerra mondiale gli zingari sono stati i capri espiatori delle faglie dei sistemi democratici. Come nell‟era moderna gli Stati europei si sono formati anche sull‟antiziganismo, così tra Otto e Novecento, mentre cominciavano a imporsi negli ambiti intellettuali le idee dell‟unità psichica del genere umano, gli zingari erano ancora trattati come bestie da tenere sotto controllo: è del 1905 il famigerato Zigeuner-Buch di Alfred Dillmann, che giustifica con quarant‟anni di anticipo il genocidio che verrà; è del 1912 la legge francese che impone il possesso del carnet anthropométrique a tutti gli zingari, una legge che sarà abolita solo nel 1969, e che qualcuno ha recentemente proposto (…) di predisporre per gli zingari di Roma. (Piasere 1999: 17)

È del 2011 la proposta di legge che prevede la sterilizzazione delle donne rom in Slovacchia9. Anche l‟Italia ha avuto la sua parte nella caccia agli zingari: Nel 1910 assistiamo a una caccia agli zingari in tutto il territorio nazionale perché sospettati ingiustamente di propagare malattie; nel 1914 un giudice, Capobianco, propone l‟applicazione di misure simili a quelle francesi e nel 9

http://it.peacereporter.net/articolo/30029

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1926, già epoca fascista, abbiamo la chiusura delle frontiere agli zingari stranieri. (ibid.)

A questa democratizzazione gli zingari rispondono con una serie di associazioni di rivendicazione: Tra il 1919 e il 1939 nascono almeno sette associazioni nell‟Europa balcanica e in Urss. L‟Unione degli zingari in Russia, in particolare, nata nel 1925, fu una risposta al riconoscimento dei rom come minoranza etnica, riconoscimento in seguito cancellato da Stalin. Nel 1934 si tiene a Bucarest la prima assemblea rom che si conosca, che fonda l‟Unione generale dei rom della Romania. Un‟altra organizzazione, l‟Associazione panellenica culturale degli zingari greci, fondata nel 1939, è importante perché creata su iniziativa di due donne. (…). Più i gage allargano le maglie della partecipazione democratica, più zingari escono dall‟invisibilità. (ibid.)

Gli zingari, per adattarsi al nuovo clima democratico, devono ridefinire i loro rapporti con i gage, ridefinendo, prima di tutto, i propri rapporti interni. Continua Piasere: Gli zingari hanno tutt‟oggi, specie nell‟Europa occidentale, una struttura a polvere, sparpagliati come sono in mezzo ai gage. È una struttura idonea a resistere ai tentativi di sterminio (fisico o sociale), da un lato, e sfruttare con successo le risorse economiche in territori distinti, dall‟altro. I granelli di polvere, le comunità locali esse stesse più o meno fluide, sono formati da membri tendenzialmente legati da vincoli di parentela, quindi molto coesi, in cui l‟ideologia maschilista è più o meno forte a seconda dei gruppi. (…). Le culture zingare sono il frutto della storia, e in particolare della storia dei rapporti con i non zingari (…). Più il processo di democratizzazione dei gage si allarga fino a considerare gli zingari dei partner paritari (e fino a questo punto non si è mai arrivati) , più gli zingari si organizzano in associazioni volte a rinegoziare il conflitto e più rimettono in discussione le strutture di potere interno. (ivi: 17-18)

Nel processo che porta ad attenuare la schismogenesi vi è il freno dato dall‟organizzazione e dal controllo dei gage negli Stati nazionali. «Se è vero che gli Eschimesi hanno marcato il loro rapporto con l‟ambiente coniando qualche decina di termini per dire ”neve“, gli zingari hanno fatto lo stesso usando altrettanti termini per dire ”polizia“» (ibid.). Inoltre i primi riconoscimenti in favore degli zingari, fatti nel dopoguerra, sono pervenuti da organismi sovranazionali non legati a forze di coercizione. La pressione antizingara degli Stati è comunque rimasta forte: Durante la seconda guerra mondiale vennero uccisi oltre 500.000 zingari, vittime del nazionalsocialismo e dei suoi folli progetti di dominazione razziale. (…) la persecuzione degli zingari in epoca nazista risulta essere 29


l'unica, ovviamente con quella ebraica, dettata da motivazioni esclusivamente razziali: proprio come gli ebrei, infatti, gli zingari furono perseguitati e uccisi in quanto « razza inferiore» destinata, secondo l'aberrante ideologia nazionalsocialista, non alla sudditanza e alla servitù al Terzo Reich, ma alla morte. Ma proprio questo è il nodo centrale del problema. Per molto tempo dopo la guerra, infatti, lo sterminio nazista degli zigani non è stato riconosciuto come razziale ma lo si è considerato conseguenza - in un certo senso anche ovvia - di quelle misure di prevenzione della criminalità che, naturalmente, si acuiscono in tempo di guerra. Una tesi che trova fondamento nella definizione di « asociali» con la quale, almeno nei primi anni del potere hitleriano, gli zingari vengono indicati nei vari ordini e decreti che li riguardano. (Boursier 1995)

Se il riconoscimento della discriminazione razziale arrivò dalla Germania solo nel 1980, la storia delle deportazioni è stata fortemente censurata in tutti i Paesi alleati alla Germania nazista: tra questi, l‟Italia presenta quella che Piasere (1999:19) ha definito una «situazione penosa». Va comunque tenuto presente che, almeno per ciò che riguarda il nazismo (e grazie soprattutto all'impegno della studiosa ebrea Miriam Novitch che dedicò gran parte della sua vita a raccogliere documenti sullo sterminio del popolo Rom), esiste oggi una documentazione sufficiente a dimostrare che gli zingari sono stati tra le vittime dello sterminio razziale e che almeno 500.000 di loro sono morti nei Lager, dopo esser stati imprigionati, torturati e violentati come tutti gli altri prigionieri. Altri sono stati uccisi nelle esecuzioni di massa nei paesi dell'est, ma su questo i dati sono davvero scarsissimi. Non si può invece parlare di ricerca per quel che riguarda l'Italia dove le conoscenze sulla persecuzione degli zingari durante il fascismo sono poche e contraddittorie e si basano quasi esclusivamente sulle testimonianze raccolte nel dopoguerra dai pochi studiosi (tra i quali spicca la figura di Mirella Karpati, del Centro studi zingari, che ha raccolto quasi tutta la documentazione orale oggi disponibile) che si sono occupati della deportazione degli zingari, senza mai ricevere la dovuta attenzione. (…) Purtroppo, finora, l'esistenza dei campi di concentramento per zingari è documentata quasi esclusivamente dalle testimonianze orali. I ricordi degli zingari sono frammentari, spezzati dalla riservatezza della memoria e dalla mancanza di una tradizione scritta che caratterizza la loro cultura, ma raccontano l'esistenza di luoghi di detenzione come Perdasdefogu, in Sardegna, il convento di San Bernardino ad Agnone, in provincia di Campobasso, Tossicia, in provincia di Teramo. (BOURSIER 199810)

A livello internazionale si può notare una mancanza di interesse verso le minoranze Rom e Sinti. Infatti, il primo documento dell‟Onu in cui gli Zingari vengono specificatamente nominati come vittime del nazismo fu una risoluzione del 1977, «che definì i nomadi come la minoranza peggio trattata nei diversi

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Fonte: http://www.storiaxxisecolo.it/deportazione/deportazionezingari1.htm, consultato il 24/11/2011

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paesi europei» (ibid.). Queste mancanze non sono, però, frutto solo delle dimenticanze dei governi o degli organismi internazionali. Vi è anche una certa «difficoltà oggettiva nell‟adottare strumenti giuridici internazionali facilmente applicabili alla tutela dei Rom, e dei Sinti» (ibid.). (…) gli Zingari non hanno mai reclamato la sovranità di un territorio e, per ciò stesso, risulta impossibile non solo l‟applicazione del principio dell‟autodeterminazione dei popoli, ma anche la difficoltà di far rientrare questo popolo nel concetto tradizionale di minoranza etnica, religiosa o linguistica o di tutelarlo in assenza della cittadinanza dello Stato in cui soggiornano (ibid.).

Nei paesi socialisti, invece, si cerca di combattere il nomadismo assimilando i rom con la proletarizzazione. Nel 1956 Krusciov emana un decreto che vieta la vita nomade e prevede cinque anni di lavori forzati per chi oppone resistenza. Alcuni paesi alleati scelgono linee più dure. «L‟Ungheria e la Romania decidono che i rom non sono minoranze etniche ma sono uno strato marginale della società per il quale c‟è bisogno di un‟azione massiccia di inserimento in fabbrica e in cooperativa così come nella scuola» (Piasere 2004:61). In Slovacchia, invece, c‟è un problema numerico: gli zingari sono troppi. Nel 1965 viene attuato «un grande piano di dispersione e trasferimento, in base al quale molte famiglie vengono sparpagliate nella Cechia attuale (…). Ma le misure sembrano essere ancora insufficienti, per cui funzionari e quadri di partito spingono le donne rom a non avere figli, ad abortire, a farsi sterilizzare» (ibid.).

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1.2 I Rom nell’immaginario collettivo Ma quante sono le menti umane capaci di resistere alla lenta, feroce, incessante, impercettibile forza di penetrazione dei luoghi comuni? Primo Levi, La tregua

Tutte le società producono stranieri: ma ognuna ne produce un tipo particolare, secondo modalità uniche e irripetibili. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità

La produzione dell‟altro, del diverso, fa parte del vissuto di quasi tutte le società umane (Aime – Severino 2009: 8). Le società demonizzano il diverso, colui che non fa parte di essa, per definire il confine tra il «bene» e il «male» e «da un lato, ciò può avere anche la funzione di creare una maggiore coesione all‟interno della società, dall‟altro genera una produzione continua di alterità» (ibid.). Gli antichi lo avevano capito bene con l‟intuizione del capro espiatorio, sacrificato agli déi per scongiurare le sventure e per alleggerire la colpevolezza collettiva (Memmi 2002: 42): «accusato di essere all‟origine delle catastrofi che colpivano i suoi concittadini, doveva perire per cancellare il dramma. Spesso era anche irresponsabile, lui stesso vittima di circostanze funeste, come Edipo, o di qualche macchinazione divina» (ibid.). E lo stesso succede ancora con lo straniero. Si fa a turno, come nella poesia di Brecht: prima gli zingari, poi gli ebrei, gli omosessuali, i comunisti. Poi gli albanesi, gli extracomunitari e i clandestini. Lo straniero è una categoria “debole”, è meno protetto dalle leggi e fa parte di una minoranza già sospetta (ivi: 43). Formano eccellenti attaccapanni per l‟ansia collettiva. Non è un caso se si sono uccise così tante streghe e così pochi stregoni: le donne, meno adatte a difendersi, cristallizzavano più facilmente le paure e i risentimenti. In tempi più recenti sono state bruciate le vittime nere dei linciaggi, come si è bruciato sotto l‟Inquisizione. Il genocidio degli ebrei, realizzato per un terzo, è l‟ultima metamorfosi di questo rogo permanente. Il male 32


esteriorizzato e incarnato è separato da noi, reso meno temibile: lo si può manipolare, trattare, distruggere con il fuoco. Bisogna notare questo denominatore comune: il fuoco, che purifica tutto, compresi noi stessi…ma bruciando gli altri. Il che è più economico. (ibid.)

Il pregiudizio, comunque, non sempre ha un risvolto negativo. È un‟arma di difesa dovuta all‟esperienza o all‟inesperienza totale: Una volta che, da bambini, ci siamo fatti male a un dito picchiandoci sopra con un martello, non abbiamo più bisogno di provarci con tutti gli altri martelli per sapere che è meglio evitarlo: abbiamo fatto una generalizzazione sulla base di esperienze limitate, e ci siamo creati una convinzione che ci guiderà quando avremo dubbi sul che fare. In altri casi non ci sono neanche le esperienze limitate, e le nostre convinzioni sono autentici (e fondatissimi) pregiudizi. Sappiamo che è meglio non immettersi alla cieca in autostrada anche senza esserci mai schiantati contro un camion, e che l‟acquaragia non va bevuta anche senza bisogno di averla assaggiata. (BARBUJANI – CHELI 2008:32)

Gli scritti che parlano del popolo zingaro si diffondono sin dai primi secoli del Mille. Gli stereotipi legati all‟immagine del popolo zingaro vanno dal pregiudizio del tutto negativo legato all‟essere sporco, ladro e bugiardo, all‟immagine romantica dei figli del vento. Si creano quindi due filoni letterari: la meraviglia e la curiosità, da una parte, originano quella produzione letteraria che, da Rousseau a Burns, da Goethe a Merimée, da Hugo a Baudelaire, inneggia alla vita libera dei Rom-Sinti, alla sensualità fiera delle loro donne, e creano figure romantiche di bohémiens e danzatrici, suonatori e poeti avvolti da un alone di seducente mistero; d‟altra parte, la paura della diversità e la scarsa conoscenza di questo popolo venuto da chissà dove producono una letteratura dell‟odio in cui i personaggi Rom-Sinti sono ladri ed accattoni, fannulloni, rapitori di bambini, sporchi e senza legge morale11.

Il pregiudizio positivo può essere lo stesso dannoso in quanto provoca comunque costruzioni arbitrarie e unilaterali. «Lo “zingaro” libero, figlio del vento, l‟artigiano nomade che lavora il rame, l‟allevatore di cavalli, appartenente al popolo anarchico per eccellenza, che balla e canta melodie struggenti al chiaro di luna, che dorme sotto le stelle e vive alla giornata. Sono in genere nient‟altro che luoghi comuni dell‟esotismo, proiezioni romantiche di ciò che vagamente corremmo essere. In ogni caso, sono costruzioni arbitrarie e unilaterali». (MONASTA 2008: 22)

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http://sucardrom.blogspot.com/2009/02/rom-e-sinti-nella-letteratura1-gli.html

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Per secoli il viaggio è stato associato alla vita dei pellegrini o a quella dei soldati e «all‟espiazione di un peccato personale o collettivo» (Narciso 1990: 20). Per questo la vita nomade dovette apparire a Nicolò da Poggibonsi come innaturale. Un destino a tal punto contro natura non poteva che essere il frutto di un pervertimento o di una punizione divina. Per questo, il frate, uomo del XIII secolo, interpretò il nomadismo di quella gente che aveva incontrato nei pressi di Damasco, come un segno inequivocabile di una maledizione che gravava su tutta la loro stirpe, costringendoli a vagare per il mondo senza sosta. Egli fu tra i primi ad identificarli con i discendenti di Caino, uccisore di Abele, e a intravedere in quelle incessanti peregrinazioni la prova della realizzazione delle parole di Dio, che aveva detto a Caino: Ora lungi da quel suolo che per opera delle tue mani ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai la terra, essa non ti darà più frutto. Ramingo e fuggiasco sarai su tutta la terra (Genesi 4, 11). (ibid.)

Wierwicki (1997: 181) schematizza gli stereotipi in quattro categorie: 1.

La bella zingara, giovane e sensuale, donna quasi irraggiungibile,

ma anche possessiva e fatale per l‟uomo gagio; 2.

la vecchia zingara che legge le carte e che, nella letteratura

romantica, appare come un personaggio da favola (la sua capacità di predire il destino si trasformerà in seguito in superstizione); 3.

lo zingaro come geniale musicista, per lo più violinista, in grado di

incantare chiunque con la sua musica; 4.

lo zingaro vagabondo, libero, pericoloso, ladrone, un selvaggio

buono, ma anche bugiardo .

Esistono quindi due atteggiamenti principali: uno legato al folklore o mosso da pietà e compassione, l‟altro negativo che descrive lo Zingaro sporco, immorale, asociale: Roms, Voyageurs, Tsiganes sont considérés comme voleurs, bruyants, sales, immoraux, trompeurs, asociaux, ne travaillant pas. On les dit «enseigner des choses diaboliques»; leur art de devin attire et fait peur tout à la fois. Les terminologies des différentes langues ou argots ressassent les stéréotypes: to gyp c‟est voler en argot anglais, Zinganar c‟est tromper avec habileté en dialecte vénitien, et l‟espagnol dira embustero como un gitano (trompeur comme un Gitan). Dans la plupart des pays le terme employé pour designer communément les Roms et Voyageurs est péjoratif et à lui seul porteur de toute la négativité de l‟image, au point que même la désignation d‟un métier devenu traditionnellement associé à une pratique des Roms, Voyageurs ou Tsiganes a acquis une forte charge négative: «c‟est un vannier», dit en France, est plein de sous-entendus péjoratifs, de même que le tinker (étameur) en Irlande ou le karekládes (fabricant de chaises en Grèce) (LIÉGEOIS 2007: 159) 34


Oltre le terminologie, anche le metafore e i modi di dire rimandano a stereotipi negativi. Continua Liégeois: Pour rester en Grèce, «une maison de Tsigane» (du mot Yiftos) est une maison sale, en désordre; «un travail de Tsigane» est un travail bâclé; «une odeur de Tsigane» est une mauvaise odeur; «un mariage tsigane», beau mais superficiel; «un Tsigane» (Kaltsivelos), un homme sale, qui sent mauvais; «tu es un Tsigane» (Yiftos), avare, âpre au gain, etc. Expressions ou proverbs grecs également: «Quelque chose se passe chez les Tsiganes» (pour signaler un fait de peu d‟importance); «le Tsigane a rencontré ses semblables, et son coeur est réjoui» (pour signifier qu‟un homme a rencontré quelqu‟un qui le comprend car il a les mêmes défauts que lui). L‟expression «avaler de travers» est souvent donnée en hongrois comme cigányútra ment («aller selon le chemin tsigane») et «mal faire quelque chose» comme nem úgy verik a cigányt («ce n‟est pas ainsi qu‟on bat les Tsiganes»). (ibid.)

La presenza di elementi estranei alla collettività provoca, quindi, un senso di incertezza e disorientamento nella collettività stessa. Sull‟estraneo si scaricano colpe che verrebbe altrimenti difficile accettare. La stampa, la televisione e la politica ne sono esempi chiari e palesi. Da quando nelle nostre città la presenza degli immigrati si è fatta più evidente, è emerso: un insieme di problematiche e di questioni riguardanti non solo la ricostruzione di un equilibrio sociale messo in crisi dalla comparsa repentina di questi nuovi attori in un tessuto apparentemente omogeneo, ma anche gli aspetti relativi alle modalità con le quali la società di accoglienza riconosce la presenza degli immigrati all‟interno della propria comunità. Questa presenza, identificata prevalentemente nella popolazione di colore o in quella nomade, può provocare conflitti più o meno palesi che sfociano talvolta in episodi di intolleranza, dettati dalle reciproche forme di diffidenza che alimentano il pregiudizio etnocentrico. (MANNOIA 2007:121)

L‟intolleranza si trasformerà, spesso, in una sorta di lotta tra poveri, in quanto lo straniero «si colloca generalmente nelle fasce inferiori degli strati marginali della popolazione» (ibid.). Le statistiche sul razzismo nel nostro paese non sono di sicuro confortanti: Il 94% degli stranieri intervistati per un vasto rapporto (2009) dell‟Agenzia dei Diritti Fondamentali dell‟UE dimostra che il razzismo e la discriminazione sono il pane quotidiano dei Paesi membri dell‟Unione Europea, ma le vittime molto spesso nemmeno sporgono denuncia, per paura o perché non credono di poter essere aiutate dalle autorità. Lo studio, realizzato nei 27 paesi della UE, si basa su 23500 interviste a persone appartenenti a minoranze etniche e ad immigrati. E indovinate chi troviamo in testa a questa speciale classifica? Proprio la nostra bella e cara Italia: ben il 94% degli intervistati dice di essere stato vittima di discriminazioni 35


(GAZZANNI 2010)12.

L‟inchiesta ''Io e gli altri. I giovani italiani nel vortice dei cambiamenti'', realizzata dall'istituto Swg di Trieste ha analizzato gli atteggiamenti e le pulsioni che caratterizzano i ragazzi italiani tra i 18 e i 29 anni. L‟inchiesta è stata svolta su un campione di 2000 ragazzi: In base allo studio, l'universo giovanile italiano si spacca nettamente in due aree: da un lato il fronte 'aperturista', che include quasi il 40% degli intervistati, in cui troviamo almeno tre agglomerati: gli ''inclusivi'' (che sono il 19,4% dei giovani), i ''tolleranti'' (che sono il 14,7% dei ragazzi e delle ragazze) e gli ''aperturisti tiepidi'' (che sono il 5,5%). Sul versante opposto c'e' l'area di quelli piu' chiusi. Qui si colloca il 45% dei giovani italiani, suddivisi in tre gruppi: i romeno-rom-albanese fobici (che sono il 15,3% dei giovani), gli xenofobi per elezione (che sono il 19,8% dei giovani) e gli improntati al razzismo (che sono il 10,7%). In mezzo alle due aree si colloca un ulteriore gruppo, con il 14,5% dei giovani. Gli inclusivi sono il clan pienamente aperto verso gli immigrati, sono disponibili verso le posizioni altrui e riescono ad accettare serenamente le idee divergenti. Sono soprattutto ragazze (55,3%), persone tra i 22 e i 25 anni e residenti nelle Isole, al Sud e al Centro. Ad un gradino di capacità di apertura leggermente inferiore ci sono i ''tolleranti'' (14,7%), sono un po' più freddi e calmierati rispetto agli inclusivi. La loro apertura verso il prossimo appare dettata da una presa di posizione razionale che nega gli atteggiamenti razzisti, piuttosto che da una effettiva capacità di riconoscersi nell'altro. Così i giudizi sulle altre etnie, pur essendo nel complesso positivi, si caratterizzano per una maggior morigeratezza13.

Anche l‟UNAR denuncia una situazione analoga, che è rimasta più o meno invariata negli ultimi anni con una «sedimentazione, (…), che anche per il 2009 ha visto tra le sue dirette vittime cittadini di origine africana ed alcune comunità nazionali, in particolare quella rumena, cinese, marocchina e bangladese, e tra i gruppi etnici soprattutto le comunità rom e sinte» (Caritas 2010: 221). Emergono quindi delle “diversità di trattamento” che vedono alcuni gruppi più discriminati di altri, e tra questi gli Zingari. Già dal loro primo arrivo in Europa «gli zingari possono paragonarsi agli emigranti asiatici dei nostri giorni, nel senso che giungevano a piccoli gruppi familiari alla ricerca dell‟occasione di continuare certe arti e certi mestieri presso popolazioni stabili preesistenti» (Kenrick – Puxon 1975: 20). Dalle fonti letterarie, storiografiche e legislative si può esaminare il processo di 12 13

Fonte: http://lospecchioblog.altervista.org/specchio/?p=2171 (consultato il 27/11/2011) Fonte: http://www.stranieriinitalia.it/ (consultato il 27/11/2011)

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deumanizzazione che ha caratterizzato la storia di questo popolo fin dal suo primo affacciarsi nel nostro continente (ibid.). Secondo Melis «una delle analisi che tentano di spiegare il perché l‟Europa si rivelò in una prima fase addirittura accogliente, ma poi così crudele nei confronti degli Zingari, accredita ad essi tutte, o quasi, le colpe» (Melis 1995: 41). Sarebbero stati loro quindi, con i loro comportamenti anomali (magie, trucchi e piccole illegalità), a provocare la reazione di una società che si sentiva minacciata e che tentò perciò in maniera legittima di eliminare con brutalità il corpo estraneo. Nelle cronache e nei vari resoconti dell‟epoca, si mettevano in risalto soprattutto tre aspetti: 1. La loro bruttezza fisica (questa quasi negritudine che terrorizzava una società abituata ad identificare il «nero» come colore demoniaco). 2. Le loro capacità divinatorie (alle quali venivano omologate, in un crogiuolo tutto stregonesco, anche alcune conoscenze di ordine chirurgico e farmacopeico che essi realmente possedevano). 3. La destrezza nei piccoli furti, la mendicità e l‟inventiva nell‟esecuzione di piccole truffe (il Cervantes parlava di «voglia di rubare e il furto» quali sentimenti inseparabili che non si quietano se non con la morte). (ibid.)

L‟etnologo zingaro Jan Kochanowski ha tentato di ribaltare i luoghi comuni: «i Kshattriyas e i Rajputs destinati a diventare i Paria d‟Europa, a suo parere, sarebbero stati tutto fuorché un‟accozzaglia di ladri e accattoni, e se lo diventarono fu perché, a causa delle discriminazioni, gli fu impedito di esercitare altre professioni (…)» (op. cit. in ibid.). Oltre a esercitare attività commerciali, ad essere esperti di cavalli e Ursari14, si occupavano dell‟arte dei metalli. In Romania erano noti come discepoli di Vulcano per la loro abilità nel lavorare il ferro e il rame. Queste abilità furono, a detta degli studiosi, il pretesto per gli occidentali per creare nuovi stereotipi e pregiudizi. La civiltà europea: associava la metallurgia agli dei rappresentativi del male. Nell‟immaginario collettivo, i laboratori dei fabbri e dei maniscalchi, la luce rossiccia del fuoco

che

illuminava

i

volti

di

quegli

uomini

ricordavano

le

rappresentazioni iconografiche dell‟inferno. I fabbri, sorta di arteficistregoni, vivevano ai margini delle città; il loro mestiere, e persino il loro 14

Catturavano gli orsi nei Carpazi, li ammaestravano e li portavano in giro per l‟Europa per divertire il pubblico durante le feste e le fiere. Da queste attività si svilupparono le attività circensi che diedero vita alle dinastie che ancora oggi si occupano di circo (es. le dinastie dei Sinti piemontesi).

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aspetto fisico, i loro abiti rozzi e la fuliggine che anneriva i loro volti simboleggiavano nel folklore europeo, i segni visibili della loro appartenenza al regno di Satana (NARCISO 1990:32)

In realtà avrebbero potuto svolgere molti altri mestieri ma gli veniva vietato «soprattutto per il volere delle potenti corporazioni degli artigiani e dei commercianti». (Melis 1995: 43). Queste imposizioni portarono allo sviluppo e alla specializzazione di altre attività, in primis l‟arte divinatoria, esercitata dalle donne. Gli Zingari si adattarono a una società che viveva nel terrore e nella paura di tutto ciò che era oscuro e misterioso, e che ne era, allo stesso tempo, affascinata. Queste paure permisero agli Zingari di “vendere”, ma portarono anche all‟aumento delle persecuzioni e dei bandi. Come afferma Melis: Non c‟è quindi da stupirsi se lo stereotipo più pregnante costruitosi nel corso dei secoli, e rimasto intatto sino ai nostri giorni, sia quello dello Zingaro mendicante e ladro, per essere ladri e mendicanti, data l‟epoca e le ristrettezze a cui erano sottoposti, non ci voleva poi molto: in Europa non furono certo loro ad importare una pratica che era tanto diffusa sa essere considerata una vera e propria piaga sociale (ivi: 44-45).

Il colore scuro della pelle di queste popolazioni viene descritto sin dai primi testi che parlano dei nomadi di origine asiatica, ben presto identificati come Zingari. Si tratta perlopiù di diari o cronache di viaggio di pellegrini sulla strada per la Terra Santa. «Nel diario del frate francescano Nicolò da Poggibonsi, diretto a Gerusalemme nel 1255, ad esempio, si legge di una popolazione – incontrata in Siria – dalla pelle di colore nero sozzissimo e dagli svariati vestimenti dalle altre genti[...] Essi quando sono presso le città vi ficcano un palo e ivi appiccano le loro masserizie e le loro bestie. E poi vanno per la città procacciando chi faccia loro del bene, e poi fanno beffe di chi ha fatto loro bene; [...]. Andavano di terra in terra con le loro famiglie e con le loro masserizie, e sempre di dì e di notte stanno alla campestre». (COSSETTO 2006:19-20)

Sin dal Medioevo, quindi, il colore nero venisse inteso come segno di inferiorità e malvagità. Antichi cronisti scrissero con repulsione del color nero degli zingari. Il monaco Cornelio da Lubecca, raccontando di certi zingari nei quali si era imbattuto nel 1417, accenna ai loro “visi bruttissimi, neri come quelli dei tartari”. Rufo, altro monaco della stessa città , si accaniva in particolare 38


contro quella pelle nera. Un antico proverbio yiddish d‟origine russa rivela una stretta connessione tra il colore nero e gli zingari: “Lo stesso sole fa bianco il bucato e neri gli zingari”. Italiani e olandesi ricorrono di frequente alla similitudine “nero come uno zingaro”. (KENRICK – PUXON 1975: 21)

Un altro elemento che viene fatto notare dagli autori Kenrick e Puxon è la relazione tra l‟essere nero e l‟avere la lingua rossa da parte degli europei. La più assurda tra tutte le argomentazioni razziste contro il colore nero è però la fantasiosa accusa secondo cui gli zingari, nonostante gli svantaggi dell‟esser neri in una società di bianchi, si tingerebbero intenzionalmente la pelle, ricorrendo al mallo delle noci e ad altre sostanze vegetali coloranti: non potrebbe immaginarsi evidentemente persona più ignobile di quella che fa finta di non esser bianca! L‟arcivescovo Cajano si era a tal punto convinto della veridicità di questa calunnia da emanare un‟ordinanza nella quale si ingiungeva agli zingari di non più annerire la pelle dei loro figli. (ivi: 22)

Altro motivo di risentimento fu la lingua parlata dagli Zingari e la presunta mancanza di radici. Il risentimento verso chi parla una lingua diversa dalla propria non si limita solo agli Zingari, ma nel loro caso si diffuse la convinzione che parlassero «un gergo da malviventi». Inoltre essi provenivano dai territori turchi: «di là venivano infatti gli infedeli, nemici degli stati secolari e della chiesa, privi d‟una propria religione sistematica, ragione per cui clero cristiano e sacerdoti musulmani fecero a gara fin dal principio nel perseguitare il popolo gitano» (ivi: 23). Nell‟occidente europeo in genere la chiesa respingeva gli zingari persino quando costoro si dichiaravano neofiti del cristianesimo: la solita argomentazione dell‟espulsione dall‟Egitto ad opera dei musulmani, appunto a causa della loro fede cristiana, aveva poco peso. (…) Ai sacerdoti di Magdeburgo fu ingiunto di non battezzare i neonati senza la particolare dispensa. La circostanza rispecchia il dubbio che diffusamente assillava gli ambienti ecclesiastici circa il motivo recondito del desiderio degli zingari di essere battezzati, ma anche la preoccupazione di pericolose reazioni da parte di fedeli ortodossi (ibid.)

Le ostilità da parte della chiesa provenivano anche dall‟influenza che gli zingari esercitavano sulle persone di qualsiasi ceto: le arti divinatorie, il predire il futuro attiravano la curiosità di tutti e «a volte entravano in concorrenza diretta con le pretese al monopolio del soprannaturale accampate dai preti» (ivi: 25). Dalla voce che li volle discendenti di Cus se ne svilupparono altre secondo le quali: gli zingari sarebbero l‟immonda prole di un accoppiamento contro natura. Secondo una versione Eva si sarebbe giaciuta con Adamo ormai cadavere 39


per generare il primo zingaro. Una variante in auge nei Balcani occupati dai turchi voleva che il primo zingaro fosse nato a seguito della congiunzione incestuosa di Ken con la sorella Guin. Un‟altra favola affermava che i gitani sarebbero stati i discendenti di una genìa preistorica di nani. (ivi: 32-33)

Il tema delle origini contro natura è ricorrente nelle teorie sulla non purezza razziale degli Zingari e da esso, come da quello sui poteri magici, nasce quella che Kenrick e Puxon chiamano la «calunnia più assurda» (ivi:36), ovvero il cannibalismo. In Turchia e in Albania era infatti diffusa l‟idea secondo la quale gli Zingari si cibavano dei cadaveri prelevati dalle loro tombe15. Molto più diffusa è però l‟immagine dello zingaro rapitore di bambini, anche se è «quasi impossibile, invece, trovare riferimenti anche soltanto a casi presunti di furto di bambini» (ivi:38). Ogni paese ha un modo dire negativo per descrivere lo Zingaro, uno su tutti la minaccia ai bambini disobbedienti di essere portati via dagli Zingari (ivi: 160). Anche la loro lingua viene considerata come un gergo. «En Finlande au XIXe siècle, les notes d‟un pasteur sur la langue tsigane ont été brûlées à sa mort, considérées comme impies, traitant d‟une langue maudite» (ivi:160). Nel XX secolo, nonostante la figura dello Zingaro venisse descritta in letteratura in maniera positiva, essa rimane comunque relegata all‟aspetto folklorico. All‟interno della letteratura Wierwicki distingue due filoni: «a) uno realista, derivato dal romanzo picaresco; b) l‟altro, poetico e romantico» (Wierwicki 1997: 182). Al genere picaresco risalgono, ad esempio, il Cancioneiro geral di Garcia de Resende16 e la commedia Auto das Ciganas del poeta portoghese Gil Vincente, del 1521. Lo stile di vita zingaro è rappresentato spesso «come un mondo dagli affetti forti e pericolosi». (ibid.) Fin dal Rinascimento, l‟immagine dello Zingaro appare nei testi di letteratura, beneficiando «della voga dell‟esotismo» (De Vaux de Foletier 1990: 237). Una commedia di Giorgio Artemio Giancarli, La Zingara, stampata a 15

Una spiegazione parziale la si può trovare nel fatto che «in quei paesi gli zingari spesso seppellivano i loro morti in fosse prive d‟ogni contrassegno e che quindi la gente del luogo non aveva mai visto la tomba di uno zingaro» (Kenrick – Puxon 1972: 36). 16 Segretario di Giovanni II re di Portogallo. Il Cancioneiro «è la prima opera letteraria stampata in terra lusitana e nomina per la prima volta una certa “greca”, cioè zingara» (Wierwicki 1997: 182).

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Mantova nel 1545, comprende un dialogo che si è creduto appartenere a un dialetto zingaro italiano, ma che è stato identificato da Ascoli e da Saulcy per arabo corrotto. Ebbe un grande successo e fu tradotta in spagnolo da Lope de Ruelda con il titolo La Medora. La commedia è caratterizzata da schietto spirito comico: le beffe a due vecchi e scervellati coniugi presi ambedue da improvvisa passione extraconiugale, che la Zingara Agata dovrebbe favorire con sortilegi e filtri d‟amore. Non manca il ritrovamento di un figlio smarrito da bambino. Vi domina lo spirito corale del popolo che, con tutta spontaneità, è il vero protagonista dell‟opera. Costituisce quindi un‟eccezione rispetto alle Zingaresche, che si inseriscono piuttosto nella poesia colta, gradita alle corti principesche (ivi:237-238).

Un esempio di poesia colta è dato dalla Canzone delle Zingane di Guglielmo dello il Giuggiola, che racchiude in sé la figura della Zingara che implora la carità e impietosendo le «care madonne» (ibid.). Anche la tradizione popolare parla della Zingara, la quale entra nel pieno dei riti di propiziazione agraria «come nel contrasto di matrimonio fra Pulcinella e la Zingara rappresentato in Irpinia» (ibid.). La tradizione popolare attribuisce agli Zingari il ruolo della «razza maledetta» che ha forgiato i chiodi della crocofissione: «Son d‟Egitto la Zingarella/ e porto i chiodi nella sportella/ per trafiggere il Signore/ nostro divin Redentore…»(ivi: 238). Nella seconda metà del Cinquecento si ha una grande produzione letteraria in Italia, comprendente canzoni e poesie popolari “zingaresche”: «chi recitava la zingaresca era appunto una zingara o una donna travestita da zingara, che declamava o cantava le proprie avventure passando poi a predire il futuro a una donna di cui celebrava nel contempo la bellezza» (Wierwicki 1997: 183). Nei paesi di lingua tedesca gli Zingari sono spesso i protagonisti del carnevale, e in Inghilterra fanno la loro prima comparsa «come personaggi di teatro, nel 1578 in un dramma di Wehtstone, Promos and Cassandra» (De Vaux de Foletier 1990: 239). I Gypsies appaiono anche nelle opere di Shakespeare: Il nome stesso di Calibano, «l‟essere delle tenebre» ne La Tempesta, è un nome zingaro: kaliben significa «nerezza». In Come vi garba i due paggi, Jaque e Amiens, dichiarano che vogliono cantare «tutti e due sullo stesso tono, come due Gypsies sullo stesso cavallo». Charles Strachey e John Sampson riconoscono in una delle canzoni di Jaque un vocabolo zingaro e in una strofa di Amiens la glorificazione della libera vita dei Gypsies nella 41


natura: Who doth ambition shun And love sto live; the sun Seeking the food he eats And pleased with what he gets (ivi: 239-240)

La farsa delle zingare di Gil Vincente è un insieme di ciò che gli Zingari rappresentavano

nell‟immaginario

collettivo

del

Cinquecento.

L‟opera

«costituisce un piccolo quadro della vita degli Zingari che ballano e cantano, chiedono l‟elemosina, reclamano vestiti, dicono la buona ventura, insegnano l‟arte dei sortilegi» (ibid.). Il Seicento è il secolo in cui gli Zingari diventano i protagonisti principali di romanzi, novelli e opere teatrali, entrando a far parte delle opere degli scrittori picareschi. Nelle Novelle esemplari e ne La Gitanilla, Miguel de Cervantes descrive il mondo gitano che conosce bene, insistendo sia «sui difetti degli Zingari e soprattutto sulle loro ladronerie e truffe» (ibid.) sia glorificando la loro indipendenza e la loro fierezza: La Gitanilla narra di una ragazza zingara, Preciosa, cresciuta da una vecchia gitana che le ha insegnato fin da bambina tutti i trucchi per imbrogliare la gente. Cervantes non si scandalizza affatto di questo atteggiamento, spiega con estrema semplicità che questo è un cliché cui gli stessi zingari si attengono, perché così li vogliono vedere i gage: “ladri che rubano in ogni circostanza, la voglia di truffare è il tratto caratteristico dal quale si liberano solo alla morte”. In realtà, nella novella di Cervantes la vecchia gitana ha rapito un bambina che fa passare per sua nipote (ecco qui lo stereotipo degli zingari che rapiscono i bambini!) (…). Lo zingaro, come del resto anche il picaro, spinto da fame e povertà, si ingegna nei modi più inverosimili. La novella di Cervantes mette in evidenza le caratteristiche dello zingaro secondo schemi ormai prestabiliti: l‟imbroglione, il truffatore, la chiromante, ma con tutto ciò ci restituisce dei personaggi simpatici, beffardi, positivi, raccontati in chiave ironica. (W IERWICKI 1997: 184).

La storia de La Gitanilla verrà ripresa da autori sia di opere teatrali che di

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romanzi. Per buona parte del XVII secolo17. Un secolo più tardi sembra decadere l‟interesse della letteratura per gli zingari. «La letteratura non si interessa quasi più alle tribù vagabonde. Gli autori seri li ignorano o lo disprezzano» (De Vaux de Foletier 1990: 245). Tornano in auge in Francia dove Diderot, nell‟Enciclopedia, condivide i pregiudizi comuni verso i Boemi: «È così che son detti certi vagabondi che esercitano la professione di dire la buona ventura guardando le mani. Il loro talento è di cantare, ballare e rubare» (ivi: 245-246). Anche Voltaire «non è più comprensivo né meglio informato. Consacra un capitolo del suo Essai sur le moers ai Boemi che crede originari delle sponde del Nilo, anzi discendenti dei sacerdoti dell‟antico Egitto» (ibid.). La passione per gli Zingari diminuisce anche in Inghilterra dove esce il romanzo di Henry Fielding Tom Jones: L‟eroe (…) è accolto per caso in un gruppo di Zingari; il capo, che ispira rispettoso timore, gli assicura che «si può essere sorpresi nel sentire che i Gypsies formano un popolo così ben governato come pochi sulla terra». Fielding sembra avere qualche conoscenza del modo in cui i Gypsies parlano l‟inglese (per esempio pronunciando d per th). (ivi:247)

Il tema zingaresco verrà ripreso nell‟Ottocento, con la nascita del Romanticismo durante il quale verrà esaltato l‟amore per la natura e per la libertà, rappresentata, appunto, dallo stile di vita degli Zingari e dei “selvaggi”. Con l‟impulso dato dalle teorie sulla natura di Rousseau, inizia una vasta letteratura che esalta la natura e il vivere primitivo contro il vivere corrotto della società moderna. E lo Zingaro ne fu l‟esempio concreto, passando dall‟immagine grottesca del mondo Picaresco a quella che vuole lo stile di vita zingaro un ideale da seguire, simbolo di libertà e di indipendenza (Wierwicki 1997: 188). Ludwig Achim von Arnim è stato uno dei pochi scrittori romantici che hanno incontrato veramente gli Zingari e ci da notizie sul rito del banchetto funebre, «Totenmahl» (cfr. Wierwicki 1997: 188 e De Vaux de Foletier 1990: 249). Gli scrittori inglesi, influenzati o meno dal romanticismo, «si suddividono in detrattori o difensori degli Zingari» (De Vaux de Foletier 1990: 249): 17

A titolo di esempio: La Gitanilla de Madrid, commedia dello spagnolo Antonio de Solis; Signorina Zingaretta, commedia dell‟italiano Florido de Silvestris; La Gitana spagnola, dramma di Middletone e Rowley; le due tragicommedie francesi La bella egiziana di Hardy (1628) e di Salleray (1642) (cfr. De Vaux de Foletier 1990: 241; Wierwicki 1997: 185).

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Wordsworth, poiché ha visto, un mattino e una sera, dei Gypsies seduti tranquillamente accanto al medesimo fuoco, critica nei suoi Poemi d’immaginazione la loro indolenza e la loro inutilità. Il poeta è vivamente ripreso da un altro scrittore, William Hazlitt, che reagisce contro quella «filosofia da scuola domenicale» e loda presso «i filosofi zingari» la loro facoltà d‟evasione. Li considera pure come «i soli testimoni viventi delle prime età della società» (ibid.).

L‟Ottocento è anche il secolo in cui nasce lo stile della Boheme, ovvero «vita randagia e creativa, povera ed anticonformista, tipica di certi artisti romantici o tardo romantici» (Cossetto 2006). Le canzoni di Béranger dedicate agli Zingari ne fanno rivelare la loro natura: Sorciers, bateleurs et filous, Reste immonde D‟un ancient monde. Sorciers, bateleurs et filous, Gais Bohémiens, d‟ou sortez vouz? (Stregoni, saltimbanchi e furfanti /resto immondo /d'un antico mondo. /Stregoni, saltimbanchi e furfanti, /Gai Zingari, da dove venite fuori?) E gli Zingari a vantare, attraverso la voce dell‟autore, la loro totale indipendenza: Sans pays, sans prince et sant lois Notre vie Doit faire envie. …Tous indépendants, nous naissons Au bruit du fufre et des chansons. …Nos premiers pas sont dégagés Du vieux maillot des prejudges. (Senza paese, senza principe e senza legge/ La nostra vita/ Deve far invidia./ …Tutti indipendenti, noi nasciamo/ Al suon del piffero e delle canzoni./ …I nostri primi passi sono liberati/ Dalla vecchia maglia dei pregiudizi). Questo vuol dire, agli occhi di Béranger, il disprezzo di ogni costrizione, la licenza totale in amore, l‟indifferenza davanti alla tomba. Nulla può dare un‟immagine più falsa degli Zingari che questa canzone. Un solo tratto esatto: l‟amore della libertà. (De Vaux de Foletier 1990: 253)

Le rappresentazioni romantiche della vita zigana contribuirono alla crescita dello stereotipo dello Zingaro viaggiatore, con la sua vita spensierata, simbolo di libertà, di indipendenza e di autonomia dalle leggi e dalle regole (Narciso 1990: 108-109). Con il Romanticismo si passa dall‟immagine dello Zingaro «fannullone, sporco, disonesto e malvagio» a quella del «musicista bruno e innamorato, nobile selvaggio che si accampa nei boschi e vive dei frutti che la natura mette a sua disposizione» (ivi: 109). La donne Zingare vengono invece 44


descritte come ammaliatrici che «al suono della tambura e della cobza 18 eseguivano danze sensuali e ricordavano con le loro nudità, le loro pose eleganti, e l‟abbigliamento fastoso, le voluttuose devadhassi19 dell‟India, le loro antenate, e le lascive almee d‟Egitto, loro sorelle» (Vaillant in Narciso 1990: 121). Questa posizione era però contrastata da quanto affermava Quindalé: «Niente di più voluttuoso che codesti canti e codesti atteggiamenti, guai però al Turco o al cristiano che volesse ottenere da queste bajadere altra cosa che la provocazione plastica! (...). Oscena nei gesti ed atti, nelle sue parole, oscena nelle sue canzoni, ma casta di corpo» (ibid.). Il romanzo Notre-Dame de Paris di Victor Hugo aveva creato il personaggio della bella danzatrice, Esmeralda, figura attorno alla quale si stringe l‟intero romanzo e racchiude in sé tutti gli stereotipi della donna gitana. Se quella fanciulla fosse un essere umano, o una fata, o un angelo, Pietro Gringoire, per filosofo scettico, per poeta ironico che fosse, non avrebbe saputo dirlo di primo acchito, tanto fu affascinato da quella abbacinante visione. […] Ballava, girava su se stessa, vorticava, su un vecchio tappeto persiano negligentemente disteso sotto i piedi; e ogni volta che, girando, lo splendido suo visino vi passava innanzi, i suoi grandi occhi neri vi gettavano un lampo. Attorno a lei tutti gli sguardi erano fissi, tutte le bocche spalancate. E infatti, mentre ella così danzava, al suono del tamburello basco che le sue braccia, pure e ben tornite, sollevavano sopra la testa esile, fragile e vispa come un‟ape, con il corsetto d‟oro senza pieghe, la gonna variopinta che le si gonfiava attorno, le spalle nude, le gambe fini, che la gonna, tratto tratto, scopriva, i capelli neri, gli occhi di fiamma, era una creatura soprannaturale. «Ma è davvero una salamandra» pensò Pietro Gringoire: «una ninfa, una dea… È una baccante del monte Menalio!». Proprio in quella, una treccia della capigliatura della “salamandra” si staccò, e una gialla moneta di ottone che vi era attaccata rotolò, per terra. – Ah no!, – disse Pietro Gringoire – è una zingara! (HUGO 2002:70)

Il romanzo di Hugo è un esempio significativo di come l‟immagine degli Zingari proposta dai romantici non avesse cancellato i pregiudizi passati, dall‟accusa alla stregoneria a quella del cannibalismo.

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Strumento appartenente alla famiglia del liuto tipico della Moldavia e della Romania. Danzatrici al servizio delle divinità dei templi indiani.

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1.3 Il Rom Porrajmos Il trascurare gli Zingari, il tacere del loro massacro, costituirebbe una seconda ingiustizia contro di loro. Chi vi parla è una donna ebrea, che vive per custodire la memoria del suo popolo martirizzato, ma anche per commemorare gli zingari. Che la sua voce non sia una voce che grida nel deserto. Onoriamo queste vittime assieme ai martiri dell‟olocausto. La memoria del popolo zingaro massacrato deve trovare un posto tra tutti i popoli del mondo. Miriam Novitch

La Germania nazista Quella del nazismo si potrebbe descrivere, usando le parole di Pino Petruzzelli, come una fiaba al contrario in cui i cattivi hanno gli occhi color del cielo, i capelli color dell‟oro, la pelle color del latte e le mani pulite. I buoni, al contrario, hanno gli occhi color del buio, i capelli color del catrame, la pelle color del fango, le mani sporche e, come se non bastasse, sono zingari. (PETRUZZELLI 2008: 198)

La persecuzione razziale contro gli Zingari durante la seconda guerra mondiale fu la conseguenza di quello che accadde fin dal loro primo arrivo in Europa fino ai primi studi scientifici sulle razze e sulle relative forme delinquenziali o di superiorità maturati nella seconda metà dell‟Ottocento. Con Morel, ci fu la prima definizione del termine degenerazione (1857): «Le degenerazioni sono deviazione del normale tipo umano che si trasmettono attraverso l‟ereditarietà e portano progressivamente alla distruzione di una razza» (cit. in Narciso 1990:145); teoria ripresa e sviluppata, con grande successo, dal fondatore dell‟Antropologia Criminale Cesare Lombroso. Questa nuova disciplina operava «una distinzione tra i vari tipi di criminali; non in base al delitto commesso, ma secondo “l’intima natura e gli stimoli che li hanno spinti a commettere il crimine”. Alcuni individui, o intere razze, (…), erano inclini a commettere reati come il furto, la truffa, la frode» (ibid.). Dal mito romantico del buon selvaggio si 46


passa a «una visione schizofrenica degli zingari» (Piasere 2004: 57). Da queste premesse nacquero nuove disposizioni da parte dei governi per arginare la piaga zingara, comune a tutti gli Stati europei. Come fa osservare Piasere: Le polizie si organizzano: in Germania a fine Ottocento viene creato un ufficio apposito «contro la piaga zingara», informato a teorie lucidamente razziste. In Francia, a inizio Novecento, si instaura una modalità di controllo del nomadismo basata su indicazioni antropometriche da registrare in una carta individuale. Conosco poche voci dissonanti dell‟epoca: si va dai pochi studiosi, ambigui, impregnati di romanticismo (…) alla lucida difesa schiettamente antirazzista e antilombrosiana di Napoleone Colajanni (ivi: 58).

Le teorie del razzismo su base biologica degli antropologi italiani e tedeschi furono la base dell‟Olocausto nazista; e quelle contro i Rom consistettero «in una lettura biologica della loro precedente maledizione» (ibid.). Il barò porrajmòs (grande divoramento) «non rappresenta altro che un momento del modello occidentale, forse il suo culmine, per la sua intensità del rapporto anni/vittime» (Piasere 2004: 58). Secondo Benno Müller-Hill, il motivo per cui lo sterminio di Ebrei, Zingari e malati di mente avvenne in Germania risiede nel fatto che: La Germania apparteneva ai paesi che erano guide mondiali nel campo della scienza e dell‟industria. La psichiatria e l‟antropologia erano ancora le migliori e le più sviluppate. (…) Quando Hitler prese il potere, psichiatri ed antropologi ne furono entusiasti, poiché vedevano in lui il realizzatore e il promotore delle loro idee. (in MELIS 1995: 57)

Manca però un dato importante: prima ancora della salita al potere di Hitler, esisteva già dal 1899, a Monaco, un “Servizio informazioni sugli Zingari”, che nel 1929 divenne “Ufficio Centrale per la lotta alla piaga gitana” (Kenrick – Puxon 1975: 58; Melis 1995: 57). L‟interesse per la questione zigana da parte del Nazismo si manifestò da subito. Il Servizio informazioni del partito nazista incaricò lo ziganologo Sigmund Wolf di compiere le ricerche genealogiche su elenchi lunghissimi di persone fino all‟ottava generazione. L‟interesse per le ricerche genealogiche sugli Zingari prendeva spunto dagli studi compiuti nel XIX secolo e da nuove materie scientifiche, come l‟eugenetica fondata da Francis Galton (Narciso 1990: 158). L‟eugenetica diede l‟avvio all‟igiene razziale: 47


È bene a questo punto sottolineare le differenze tra igiene razziale in quanto elemento accessorio del misticismo della razza peculiarità dei nazisti, e igiene razziale in quanto parte del movimento eugenetico che si serviva di questo strumento per il controllo del patrimonio ereditario di una razza. I due concetti si sarebbero fusi in seguito, quando l‟inglese Karl Pearson (…) trasferì l‟idea della selezione naturale alla lotta per la sopravvivenza fra gruppi razziali diversi. (…). Nel 1933 Pearson esaltò la politica di Hitler definendola un efficace tentativo di rigenerazione della razza tedesca. (ivi:159)

Secondo Lewy: La politica in materia procedette secondo tre direttrici, sulla scorta di approcci più o meno coerenti. In primo luogo, le autorità periferiche e centrali intensificarono le misure di controllo e i provvedimenti vessatori già adottati negli anni precedenti. In secondo luogo, a partire dal 1937 circa, i programmi del regime per la prevenzione della delinquenza guardarono agli zingari con particolare attenzione, sottoponendoli a controlli molto rigorosi e, in certi periodi, alla detenzione in campi di concentramento. In terzo luogo, le leggi razziali promulgate contro gli ebrei nel 1935 vennero applicate anche agli zingari. (LEWY 2002:25)

Le teorie portarono subito alle prime azioni contro gli Zingari: Già nel 1933 un gruppo di studio delle SS si era interessato agli Zingari e aveva formulato la proposta di portarli tutti in alto mare e di affondare poi le navi. Lo svolgimento successivo dei fatti, in Germania e in Europa, dimostrerà che queste non erano solo folli fantasie (NARCISO 1990:158).

Nel 1936 fu fondato il massimo istituto nazista per la questione gitana da parte del dottor Robert Ritter, il quale, con la sua equipe, propose una serie di soluzioni possibili con l‟impegno di redigere tavole genealogiche degli zingari tedeschi (Kenrick – Puxon 1975: 69). Le indagini genealogiche ebbero inizio nel 1938, dopo la promulgazione del Decreto per la lotta contro la minaccia gitana. Ritter si avvalse dell‟aiuto dell‟antropologa eugenista Eva Justin. I due studiosi: stilarono migliaia di genealogie e di «diagnosi razziali» per stabilire il grado di «purezza» ariana dei sinti e rom tedeschi, fornendo indicazioni sulle persone da deportare. Finita la guerra, non furono mai portati davanti a un tribunale. Anzi, ci fu chi accolse la loro eredità intellettuale, come Hermann Arnold, che pubblicò decine di lavori nel dopoguerra usando il materiale di Ritter e Justin e partecipò attivamente a riunioni e incontri «ziganologici» europei fino ai primi anni Ottanta. Ritter propose nel 1941 la seguente classificazione: -

è zingaro chi ha fra i nonni tre zingari puri;

è mezzo-zingaro di primo grado chi ha fra i nonni almeno due mezzi-zingari di primo grado; 48


-

in tutti gli altri casi si ha un non-zingaro. (P IASERE 2004: 59).

La questione zigana passò poi sotto il controllo di Himmler, il capo delle SS, il quale, l‟8 dicembre 1938, promulgò il decreto che indicava di combattere la „razza zingara‟ (Bravi 2007: 8). Da una lettera di Adolf Eichmann, capo dell‟Ufficio per l‟Emigrazione, ad Arthur Nebe, responsabile della RKPA, sappiamo che i meccanismi per la deportazione degli zingari si stavano attivando già dal 1939 Secondo la Karpati, le misure di igiene razziale iniziarono prima, nel 1936, con l‟invio di convogli nel Campo di Concentramento di Dachau (Melis 1995: 59). I massacri si estesero per tutti i Balcani, in Olanda, in Belgio e in Norvegia, dove «sopravvissero solo alcune decine di Zingari» (ibid.). Dalle ricerche condotte da Paul Polansky nei territori della penisola balcanica sappiamo che «le città ed i centri più grandi avevano una comunità ebraica ed una Rom» (Polansky 2011:176). In Macedonia sopravvissero solo i Rom, mentre in Cecoslovacchia non ci fu lo stesso bilancio: Nel 1939, il “New York Times” aveva pubblicato un articolo in cui stimava che in Boemia e nella Moravia vivevano trentacinquemila Rom e che Ottomila stavano in Slovacchia. Dopo la guerra il governo cecoslovacco riportò che solo trecento Rom erano sopravvissuti in Boemia e Moravia. (…) In Slovacchia invece l‟esito fu opposto: secondo i censimenti ed i rapporti stilati dal governo, oltre il 90% dei Rom sopravvissero, probabilmente perché, essendo cattolici, ebbero l‟appoggio di Monsignor Josed Tiso, prete cattolico e allora dittatore slovacco. (ivi:177)

Nei campi non vennero attuate solo misure di sterminio ma i deportati vennero sottoposti ad esperimenti scientifici20. I più famosi furono quelli condotti ad Auschwitz dall‟antropologo Mengele, il quale, dopo la guerra, riuscì a sottrarsi alla giustizia. Il dott. Mengele prese servizio ad Auschwitz il 30 maggio 1943. Il suo diretto superiore, l‟SS-Standortarzt (medico della guarnigione) dott. Eduard Wirts, lo nominò Lagerarzt (medico del campo) del cosiddetto “Zigeunerfamilienlager” (campo famiglie per gli zingari), il settore BII e di Birkenau (Mattogno 2009:18). 20

A Dachau, già nel 1938, 2.000 Zigani tedeschi vennero sottoposti ad esperimenti sul freddo e sul paludismo. A Buchenwald vennero impiegati in esperimenti sul tifo (…). A Natzweiler-Stutthof Zingari francesi, cechi, polacchi ed ungheresi furono le cavie per gli esperimenti della società di studi sull‟ereditarietà. Ad Auschwitz un certo prof. Clauberg praticava la sterilizzazione tramite iniezioni intrauterine di formaldeide. (Melis 1995:60)

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Il laboratorio del dott. Mengele era situato accanto al settore zingaro e ricercò, tramite i suoi esperimenti, sul nanismo, sulla bicromia oculare e sulle malattie che si diffondevano nel campo, in particolare il Noma21 (Boursier 2003: 22). La soluzione finale della questione zingara arrivò con l‟Auschwitzerlaβ, il decreto di Himmler con il quale si ordinava di internare, o trasferire, tutti gli zingari ad Auschwitz (ivi: 25).

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Tumore della pelle causato dalla denutrizione e particolarmente diffuso tra i bambini zingari prigionieri (ibid.)

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I Rom durante il Fascismo Non si sa molto sulla presenza degli Zingari nell‟Italia fascista, sia per la mancata cura degli archivi sia per un basso interesse verso l‟argomento da parte degli studiosi (Boursier 1999: 3). Gli studiosi, infatti, secondo la Boursier, si dividono: tra coloro che ritengono la politica fascista nei confronti del popolo zingaro essenzialmente circoscritta all‟ambito delle ragioni di pubblica sicurezza, identificando nelle misure persecutorie strumenti di ordine pubblico indirizzati contro gli Zingari stranieri, e coloro che invece non tralasciano le norme che riguardano gli Italiani e vi leggono possibili ipotesi di politica razziale da relazionare al quadro generale di costruzione di uno stato razziale in atto nel nostro paese almeno dal 1936. (ibid.)

Rimane comunque difficilmente confutabile che ci fu una reale intenzione di perseguitare gli Zingari, da parte sia del Ministero dell‟Interno che dalle prefetture e dagli organi di governo locali, attraverso misure di controllo, di espulsione e, successivamente, di reclusione e internamento verso gli Zingari stranieri. In una circolare ministeriale del 1926 si legge che gli zingari dovessero essere cacciati dal regno per «epurare il territorio nazionale della presenza di carovane di zingari, di cui è superfluo ricordare la pericolosità per la sicurezza e per l‟igiene pubblica per le loro caratteristiche abitudini di vita» (Boursier 2003: 29). Dal 1940 i provvedimenti si allargarono anche agli Zingari italiani, quando il ministero impose il loro rastrellamento e concentramento. Le testimonianze di questi fatti provengono soprattutto da fonti orali e dalla documentazione che riguarda la presenza di luoghi di prigionia. Quando, nel 1938, vennero promulgate le leggi antirazziali, gli Zingari non furono contemplati ma esistono comunque riflessioni e note di studiosi e funzionari pubblici che pongono la questione come un problema razziale. Oltre al noto articolo di Guido Landra (1940), va segnalato un saggio del 1939, intitolato Gli Zingari e scritto da Renato Semizzi (…) in cui l‟autore, dopo un‟ampia descrizione della storia e delle migrazioni degli zingari, si concentra sulle loro «qualità psico-morali razziali» per definirle «mutazioni regressive razziali» e concludere con un‟ampia digressione sui «prodotti dell‟incrocio fra zingari e italiani» che «costituirebbe uno sfavorevole apporto razziale determinato da caratteri psichici e morali negativi» (BOURSIER, in PIASERE 1999: 4) 51


Le fonti più interessanti arrivano però dai fascicoli personali degli arrestati, che risalgono al periodo 1928-1943, dai quali si evince il vero motivo della loro persecuzione: il nomadismo. «Il solo fatto di non avere dimora e lavoro fisso comporta l‟etichettatura di delinquente e le conseguenti azioni repressive stabilite per legge» (Boursier 2003: 29). Questo periodo si divide in due fasi che comprendono la schedatura e l‟espulsione (prima del 1940) e l‟internamento in più parti d‟Italia: Vinchiaturo e Boiano (CB), Isole Tremiti, Perdasdefogu22 (OG), Tossicia (TE). Una caratteristica dei campi in Italia fu l‟attivazione di vere e proprie scuole con l‟intento preciso di omologare gli Zingari alla società ed eliminare le cause del loro essere elemento di disturbo: il nomadismo e il vagabondaggio, che portavano a devianza e delinquenza. Tentativi di educazione (o ri-educazione) erano già stati fatti nel corso della storia degli Stati europei. La piaga zingara era considerata pericolosa soprattutto perché simbolo di una sorta di anti-stato. Bisognava combattere l‟asocialità nel nome di un‟idea di nazione che doveva avere tutto e tutti sotto controllo. Lo slittamento verso la lettura di una asocialità zingara che si fa macchia razziale si lega dunque indissolubilmente ai percorsi educativi tentati e falliti da ogni stato europeo nei confronti degli zingari. (…) La lettura della persecuzione fascista dei rom avvenuta per motivi di pubblica sicurezza rappresenta perciò soltanto una faccia della medaglia che si lega indissolubilmente a quei tentativi in campo rieducativo applicati lungo l‟arco della storia (…). Il periodo fascista rappresenta quindi in momento storico gravido di conseguenze decisive da un simile punto di vista: da un lato le spinte rieducative dei governi filantropici continueranno a rappresentare una linea di intervento che si radicherà culturalmente e che troverà espressione anche all‟interno dei campi, dall‟altra si muove una scienza della razza in grado di proporre soluzioni innovative e rassicuranti per la cultura dominante capaci di fornire una spiegazione culturalmente accettabile ai fallimenti patiti. (BRAVI 2007: 43)

I rom venivano rilasciati dai campi alla fine del percorso rieducativo in quanto, seppur i risultati fossero positivi nel cambiamento del comportamento del singolo, le tendenze di razza sarebbero comunque riemerse (ivi: 61). Questo aspetto della politica fascista ha fatto sì che Luca Bravi potesse affermare che ci 22

A Perdasdefogu detto Foghèsu - erano state "deportate" almeno tre famiglie non meglio identificate di zingari, qui chiamati «pilingrìnus», più vagabondi senza lavoro che pellegrini penitenti. (…) Del tutto falso e antistorico è che quello di Perdasdefogu potesse essere un lager di filo spinato, «un campo di concentramento» come hanno scritto diversi storici riferendosi alle altre località dove i rom erano stati inviati (Mameli, in La Nuova Sardegna, 03/04/2011).

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fosse una certa discontinuità dalla politica nazista contro gli zingari, fornendo una risposta al problema posto da altri studiosi come Giovanna Boursier, ossia: dovrebbe essere chiarito se in Italia la persecuzione e l‟internamento degli zingari fossero dovuti solo a ragioni di ordine e sicurezza o potessero preannunciare intenzioni di politica razziale anche nel nostro paese. Le ipotesi finora fatte sostengono che nell‟Italia fascista non ci sono i presupposti per individuare una “questione zingara” analoga a quella tedesca e perciò definire razziale la persecuzione dei rom e dei sinti. (BOURSIER 2003: 31)

Il tentativo di rieducazione e assimilazione delle popolazioni rom ha radici antiche, che sono state efficacemente riassunte da Bravi (Bravi 2007: 68) in tre momenti principali. Il primo è quello dell‟individuazione di un progetto rieducativo perdurato nei secoli e che partì da san Colasanzio, fondatore degli Scolopi, il quale, alla fine del XVI secolo, avvicinò un gruppo di zingari nella capitale per insegnare loro il catechismo, e che arrivò alla fondazione del progetto svizzero Les Enfants de la grand-route che si occupò di prelevare i bambini rom dalle loro famiglie per sradicarli dal nomadismo23. Il secondo elemento è la visione dello zingaro come oggetto di rieducazione coatta « che faccia di queste persone dei cittadini utili e controllabili dallo Stato» (ivi: 69). L‟ultimo elemento è il fatto che non ci fosse un diretto collegamento tra il percorso della scienza razziale e quello legislativo: «l‟immagine culturalmente condivisa dello zingaro» si sarebbe concretizzata nel momento in cui una carovana di zingari si fosse materializzata sul territorio di competenza. In tale istante, l‟anello di congiunzione tra spinte rieducative ed elementi attestanti un‟inferiorità a livello razziale da parte dei rom prendeva concretamente corpo. Con il tempo, anche a livello legislativo, si sarebbe cominciato a sottolineare che gli zingari avevano qualcosa di specifico e ciò lo si rintracciava proprio in riferimento a dei caratteri comuni a tutto il gruppo etnico. (…) Questo tipo di lettura avrebbe portato ad unità l‟immagine di “zingaro” propria dell‟uomo della strada, quella propria dello scienziato e quella del legislatore. (ivi: 70)

Anche per i Rom, come per gli Ebrei, la situazione precipitò dopo l‟8 settembre 1943 e l‟occupazione dell‟Italia centro-settentrionale da parte delle truppe 23

Una testimonianza importante di questo progetto è stata raccolta dall‟attore Pino Petruzzelli nel suo libro Non chiamarmi zingaro, con l‟intervista alla scrittrice jenisch Mariella Mehr (Petruzzelli 2008: 281).

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tedesche. Come riferisce Marco Impagliazzo: In particolare, gli zingari dimoranti nel Trentino e nel Veneto non ebbero scampo e seguirono la tragica sorte degli zingari in Germania. Molti di loro non sopravvissero neppure al viaggio verso Auschwitz e morirono nei treni piombati. (IMPAGLIAZZO 2008: 29)

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Dopo la guerra Finita la guerra lo sterminio degli zingari finì nell‟oblio e nel disinteresse, com‟è testimoniato dall‟incertezza delle stime sulle vittime, che oscillano tra i 200.000 e i 500.000 (Impagliazzo 2008:29). A Norimberga non fu mai chiamato uno zingaro a testimoniare. Tuttavia, come riferiscono Kenrick e Puxon (1975: 209), in uno di quei tanti processi ci fu la presenza di militari zingari inglesi che avevano prestato servizio volontario per fornire la guardia presso la corte marziale: Tra noi e il sergente di servizio c‟era un divisorio di vetro attraverso il quale il sottufficiale ci segnalava il momento di introdurre in aula gli imputati. Furono portati nel vestibolo dell‟aula cinque SS. Quattro rimasero addossati ad una parete, mentre noi due, al cenno del sergente, accompagnavamo il quinto in aula. Quando gli fu ingiunto di presentarsi ai giudici per subire il procedimento, l‟SS si irrigidì sull‟attenti, scattò nel saluto nazista e gridò: «Heil Hitler!». Persi le staffe, tutto ciò che avevo visto mi tornò istantaneamente davanti agli occhi: in un lampo abbassai il fucile e gli piantai la baionetta nello stomaco.

Al processo contro Adolf Eichmann, nel 1961, fu affrontato il tema ma l‟accusa cadde poiché «non è stato provato che l‟imputato sapesse che gli zingari erano portati via per essere sterminati» (Boursier, cit. in Impagliazzo 2008:30). La Germania, fino al 1980, non ha riconosciuto il carattere razziale della deportazione degli zingari, trattandola solo come una questione di pubblica sicurezza togliendo il diritto all‟indennizzo. Nel 1950, il ministero dell‟Interno del Württemberg dichiarò che gli zingari erano stati «perseguitati sotto il regime nazista, non già per motivi razziali, bensì per i loro precedenti asociali e delinquenziali», quasi a giustificare la persecuzione (ibid.). Nel 1956 la Corte suprema della Germania federale dichiarò che la persecuzioni era stata provocata da una campagna preventiva contro i crimini. L‟indennizzo venne riconosciuto solo ai deportati dal 1 marzo 1943, poiché solo da quella data la deportazione iniziò ad avere un‟effettiva connotazione razziale.

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2. I Rom: Europa e Italia a confronto 2.1 La discriminazione nelle leggi italiane sulla «sicurezza» L‟eteronimo „zingari‟ abbraccia una varietà di autonimi con un termine che stigmatizza negativamente vari sottogruppi diversi tra loro e che si preferisce non usare quando si tratta della questione minoranze. Sul fronte legislativo si usa un altro termine, „nomade‟, che però risulta approssimativo dato che la maggioranza di queste popolazioni sono ormai sedentarie, «tanto che a volte viene usato l‟ossimoro „nomadi sedentari‟ per indicare la condizione dell‟80% di loro» (Vitale 2010: 1). Ma anche parlare di comunità Rom24 può essere fuorviante: «l‟espressione è ambigua in italiano, laddove il sostantivo “comunità” è invariante per numero» (ivi: 2). Meglio, secondo Tommaso Vitale, «riconoscere la varietà dei gruppi in questione, considerando le loro differenze ed eterogeneità come un punto imprescindibile sia per l‟analisi che per la formulazione di politiche pubbliche» (ibid.). Questa varietà di gruppi non ci priva però di considerarla parte di un‟unica minoranza25, con una lingua di base comune. L‟eterogeneità dei gruppi e gli stereotipi causano non pochi problemi per la formulazione di politiche pubbliche, in Italia e anche in ambito europeo.

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«Le comunità che sinteticamente identifichiamo con l‟appellativo di rom si compongono di almeno tre categorie di soggetti dotati di un differente patrimonio di diritti: cittadini italiani, cittadini di altri Stati membri, extracomunitari. A questi, se si vuole, potrebbero aggiungersi gli apolidi e i rifugiati» (Loy, in Cherchi – Loy 2009: 20). 25 Per minoranza, secondo una definizione risalente, si intende «un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione di uno stato in una posizione non dominante i cui membri – essendo di nazionalità dello stato – possiedono caratteristiche etniche, religiose o linguistiche che differiscono da quelle del resto della popolazione» (http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2011/05/Mazzotta.pdf; consultato il 14/09/2011).

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Il quadro europeo Prima di parlare specificatamente delle discriminazioni in Italia è utile soffermarsi su quella che è la situazione europea. Le istanze del Consiglio d‟Europa hanno avviato, dalla fine degli anni Sessanta a oggi, la serie di azioni, provvedimenti e risoluzioni che hanno avuto come obiettivo principale la tutela e la promozione dei diritti dei Rom. Nel 1969, con la Raccomandazione 563 sulla situazione degli Zingari e dei nomadi in Europa26, il COE ha attirato l‟attenzione su temi quali la discriminazione, la scolarizzazione, gli organi consultivi, la sicurezza sociale e l‟assistenza sanitaria (Liégeois 2004: 240). Nella Risoluzione (75) 13 Contenente Raccomandazioni sulla Situazione Sociale dei Nomadi in Europa27, adottata nel 1975, vengono affrontate questioni di politica generale, di sosta e di alloggio, di educazione, di lavoro, di azione sanitaria e di sicurezza. La Risoluzione 125 (1981)concernente la conferenza dei poteri locali e regionali d’Europa sul ruolo e la responsabilità delle collettività locali e regionali di fronte ai problemi culturali e sociali delle popolazioni di origine nomade28 affronta la situazione globale delle comunità zingare. L‟importanza data all‟educazione ha portato il Consiglio di cooperazione culturale ad organizzare nel 1983 un seminario internazionale che concerneva la formazione di insegnanti dei bambini zingari, la preparazione del libro Zingari e Viaggianti destinato soprattutto agli insegnanti, e altri cicli di seminari che si sono svolti in diverse parti d‟Europa riguardanti il tema dell‟istruzione (ivi: 240-41). L‟interesse verso gli Zingari da parte della Comunità Europea inizia più tardi rispetto al COE quando, nel 1975, i parlamentari hanno interrogato la Commissione europea e gli Stati membri sugli aspetti che concernevano i Rom. Nel 1984 quando il Parlamento europeo adotta una risoluzione per l‟educazione dei bambini senza fissa dimora (16 marzo) e nel maggio adotta una risoluzione sulla situazione degli Zingari nella Comunità per migliorare le loro condizioni di vita ma senza intaccare le loro tradizioni e la loro 26

http://www.coe.int/T/DG3/RomaTravellers/archive/documentation/recommendations/parec563(1969)_e n.asp (consultato il 14/09/2011) 27 http://www.asgi.it/public/parser_download/save/risoluzione.75.13.contenente.raccomandazioni.sulla.situ azione.sociale.dei.nomadi.in.europa.pdf (consultato il 14/09/2011) 28 http://www.sucardrom.eu/europa.html#potloc (consultato il 14/09/2011)

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cultura (Liégeois 2007: 234). Nel 1986 viene pubblicato il rapporto di sintesi dello studio commissionato dalla Comunità Europea sulla scolarizzazione, dal titolo La scolarizzazione dei bambini zingari e viaggianti. La ricerca fu condotta da un gruppo di esperti nel Centro di ricerche zingare dell‟Universita René Descartes di Parigi. Nel 1987 vengono consultati i ministeri dell‟istruzione e i rappresentanti delle comunità zingare per discutere sul rapporto e formulare politiche educative adatte a rispettare la cultura e le tradizioni. Dalla discussione è nato il Documento di orientamento per la riflessione e per l’azione, largamente diffuso dal 1988, che portò a un sempre più alto interesse verso la questione Rom in molti paesi della CE. Nel maggio 1989 il Consiglio e i Ministri dell‟Educazione hanno adottato la Risoluzione concernente la scolarizzazione dei figli degli zingari e dei girovaghi (89/C 153/02)29. Liégeois afferma che si tratti di un testo importante «que l‟on peut qualifier d‟historique. C‟est un des acquis les plus fondamentaux pour les communautés roms/tsiganes» (ivi: 235). All‟inizio del testo si riconosce agli Zingari « que leur culture et leur langue font partie, depuis plus d‟un demi-millénaire, du patrimoine culturel et linguistique de la Communauté» (ibid.). La prima azione concreta dopo l‟adozione della Risoluzione è stata l‟incontro su La scolarizzazione dei bambini zingari e viaggianti: ricerca-azione e coordinamento, svoltosi a Carcassonne in Francia, che ha avuto come obiettivo il « favoriser le dialogue et les échanges entre des Roms et les différentes catégories de personnels s‟occupant de l‟éducation de leurs enfants» (ibid.). L‟impegno del Parlamento europeo si è sviluppato nei primi anni Novanta con la mobilitazione di molti deputati che hanno puntato sull‟educazione e la scolarizzazione dei bambini zingari e sull‟educazione interculturale. Le azioni promosse, che si basavano sulla richiesta della risoluzione di attivare lo „sviluppo di un procedimento strutturale e globale‟, ruotavano attorno a:

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http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:41989X0621(01):IT:HTML (consultato il 14/09/2011)

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 Organizzazione di scambi di punti di vista e di esperienze (riunioni dei ministeri dell‟educazione, di esperti zingari, di insegnanti, formatori e promozione di scambi di esperienze e materiale didattico)  Sviluppo di progetti innovativi (reti europee di progetti pilota, transizione scuola/vita attiva, l‟insegnamento a distanza, formazione di mediatori zingari)  Informazione e documentazione  Coordinamento, valutazione e diffusione Da queste premesse si è arrivati, nel 2005, ad adottare una Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione dei Rom nell'Unione europea30, nella quale si insiste sull‟urgenza e l‟importanza di riconoscere i Rom come una minoranza europea e si raccomandano azioni mirate contro la discriminazione e la zigano fobia, azioni per promuovere la partecipazione dei Rom alla vita politica degli Stati membri e alle decisioni che riguardano loro31 (ivi: 239). Eva Rizzin afferma che l‟allargamento dell‟UE (2004) e l‟entrata della Bulgaria e della Romania (2007) hanno spinto l‟Europa e gli Stati membri a prestare più attenzione alla tutela dei diritti delle minoranze etniche rom e sinte (Rizzin, in Cherchi – Loy 2009: 81). Tuttavia la reale partecipazione di rom e sinti nelle decisioni e nelle politiche è piuttosto limitata. La mancata partecipazione di coloro che sono i diretti interessati delle politiche e delle attività promosse dall‟UE è preoccupante in quanto priva i rom e i sinti di essere soggetti attivi e di diventare i promotori della loro autonomia. L‟UE e gli organismi internazionali che si occupano della difesa dei diritti delle minoranze riconoscono nella partecipazione diretta la chiave per una emancipazione reale, ma ciononostante la questione rom non è trattata né discussa in modo appropriato: Valeriu Nicolae, attivista rom, nonché direttore della Ong European Roma Grassroots Organization, ha ricordato, al meeting organizzato nel marzo 2008 al Parlamento europeo dal gruppo dei socialisti (PSE), come «tra le migliaia di dipendenti della Commissione UE non ci sia nemmeno un rom». 30

http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference=P6-TA-2005-0151&language=IT (consultato il 14/09/2011) 31 La Risoluzione è stata approvata l‟8 aprile, data in cui si celebra la Giornata Internazionale dei Rom istituita nel 1971 in occasione del Primo Congresso internazionale del popolo Rom.

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Peggio, nessun rom partecipa al Gruppo interservizi sui rom: si tratta di un tavolo di discussione e coordinamento tra i vari servizi dell‟esecutivo europeo: «è come se un gruppo di lavoro sugli italiani fosse composto solo da tedeschi e francesi. Neppure un rom nemmeno all’Agenzia europea per i diritti fondamentali» (ivi: 81)

Gli obblighi assunti dagli Stati, in materia di rispetto delle Convenzioni internazionali sui Diritti Umani, sono molto vincolanti e la loro violazione può portare a condanne e sanzioni agli Stati che non adempiono a tali doveri (Loy, in Cherchi – Loy 2009: 36). Rizzin sostiene che i Paesi membri siano ancora lontani dall‟attuare misure serie contro le discriminazioni in quanto privi di strumenti conoscitivi sugli episodi di razzismo (Rizzin, in Cherchi – Loy 2009: 75) nonostante in Europa si sia sviluppata una normativa antidiscriminatoria molto solida32: volta a rafforzare il principio di uguaglianza anche mediante la individuazione delle forme più subdole di discriminazioni e l‟adozione di strumenti di tutela che rendano effettiva o più agevole del diritto violato. (…) Il diritto antidiscriminatorio, tuttavia, nelle sue articolazioni, pur facendo riferimento all‟uguaglianza come principio generale , tende a specificarsi e a differenziarsi in relazione alle diverse fattispecie prese in considerazione dai legislatori e offre significati nuovi al concetto stesso di uguaglianza (ivi: 37).

I concetti di uguaglianza e diversità sono talvolta ambigui e possono portare ad errori e interpretazioni che portano, a loro volta, a un‟estremizzazione del relativismo. L‟Antropologia culturale ha dimostrato, negli anni, che il rischio di appoggiare certe posizioni di rivendicazione identitaria che sono sfociate poi in episodi di apartheid è molto alto. Il passaggio da un‟antropologia imperialista a un‟antropologia nativista è breve e ciò lo dimostra Kuper quando attacca „la tendenza a produrre quella che ci sentiremmo di definire una antropologia «etnica»‟ (Fabietti 2008: 107). E passare dal „nativismo‟ alle posizioni del razzismo debiologizzato non è così difficile: Noi sappiamo che il razzismo classico prospettava una idea dell‟umanità come costituita da una gerarchia di popoli ordinati in base a criteri razziologici. Il razzismo debiologizzato invece non fa più riferimento a fattori di ordine fisico, ma attinge a quello che potrebbe essere considerato un relativismo culturale estremizzante. (…) questo razzismo debiologizzato 32

Per i testi della legislazione europea sui Rom vedi: http://ec.europa.eu/justice/discrimination/law/index_en.htm (consultato il 14/09/2011)

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considera le culture come universi del tutto distinti e in comunicanti. A questo neorazzismo non è quindi estraneo il concetto di apartheid e, diciamolo, neppure quello di «pulizia etnica», che comincia sempre dalle rivendicazioni di autenticità da parte di qualche gruppo di intellettuali (ivi: 108).

Anche quando si tratta di parlare di diritti universali è bene tener conto, quindi, delle specificità culturali senza però giustificare comportamenti che i singoli gruppi potrebbero rivendicare in nome della propria etnicità. Per quanto riguarda i rom il rischio è ancora più alto in quanto la loro specificità «esaltata nella legislazione

di

tipo

promozionale,

già

si

affaccia

nell‟ambito

della

discriminazione» (Loy, in Cherchi – Loy 2009: 37). La discriminazione, in questo senso, è riconosciuta anche dal Parlamento Europeo il quale, nella Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione delle donne rom nell’Unione Europea (2005/2164(INI))33 del 2005, fa riferimento al fenomeno delle discriminazioni multiple: le donne sono infatti discriminate in quanto rom e in quanto donne, su base etnica e di genere (ivi: 38): Fino agli anni sessanta, in Svezia e in Norvegia, le donne rom venivano sterilizzate e nei paesi dell‟Europa centrale e orientale, particolarmente nell‟ex Cecoslovacchia (…) la pratica della sterilizzazione forzata è continuata fino agli anni Novanta. È terribile per esempio che fino al 2001 in Europa esistessero ancora preoccupanti casi di segregazione nei reparti di maternità e sterilizzazioni delle donne rom senza il loro consenso informato (RIZZIN, in CHERCHI - LOY 2009: 74)

La Risoluzione è la prima azione che evidenzia la “discriminazione multidimensionale” subita dalle donne rom in Europa. L‟Osservatorio Europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia34 riferisce che le donne rom hanno accesso alle cure mediche solo in casi di estrema emergenza (ibid.). Il quadro giuridico antidiscriminazione dell‟Unione europea si basa in particolare su tre dispositivi specifici: la direttiva 2000/43/CE35 (che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica), la direttiva 2000/78/CE36 (stabilisce un quadro generale per la parità di 33

Per il testo della Risoluzione ved. http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=//EP//NONSGML+TA+P6-TA-2006-0244+0+DOC+PDF+V0//IT (consultato il 18/09/2011) 34 http://europa.eu/legislation_summaries/other/c10411_it.htm (consultato il 18/09/2011) 35 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32000L0043:it:HTML (consultato il 18/09/2011) 36 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2000:303:0016:0022:it:PDF (consultato

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trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) e la decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia (2008/913/GAI) 37 il quale prevede che i comportamenti razzisti e xenofobi debbano costituire reato e come tali debbano essere perseguiti (Anderini 2008: 3). Nonostante l‟impegno delle organizzazioni internazionali e

gli strumenti volti a ridurre e rimuovere le

discriminazioni contro i rom , quale ad esempio la Strategia dell'UE per l'inclusione dei rom (2010/2276(INI))38, nella maggior parte dei Paesi membri non esiste una legislazione specifica. Nonostante le denunce da parte sia dell‟UE che delle ONG, e l‟approvazione della Strategia per i Rom (gennaio 2008), nella maggior parte degli Stati europei non si è mai attuata una linea politica volta contro le discriminazioni e i Rom non godono ancora di una legislazione specifica. Nel testo, votato a larga maggioranza, si punta non solo alla lotta alla discriminazione, ma anche, ad esempio, al pieno riconoscimento del Porrajmos, alla pari di altri gruppi vittime del nazismo, e alla costruzione di una «mappa paneuropea delle crisi, sulla cui base sono individuate e monitorate quelle aree dell'UE le cui comunità Rom risultano essere le più minacciate dalla povertà e dall'esclusione sociale» (Strategia per i Rom, 31 gennaio 2008, art.13). Dal 1995 il Consiglio d‟Europa si è dotato di un Comitato di esperti sui Rom e i nomadi che ha l‟incarico di studiare, analizzare e valutare l‟attuazione delle politiche e delle pratiche sui Rom da parte degli Stati membri; stilare delle linee guida per promuovere i diritti dei Rom e dei nomadi e documentare la loro situazione legale e la situazione legislativa degli Stati membri39. Altro organo che si occupa della difesa dei diritti della popolazione Rom in Europa è l‟ERRC (European Roma Rights Centre), nato nel 1996 è un organo consultivo del Consiglio d‟Europa. Nel giugno del 2011 i leader dell‟UE hanno approvato il piano della Commissione per l’integrazione dei Rom (IP/11/400)40. L‟Unione Europea ha il 18/09/2011) 37 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2008:328:0055:0058:IT:PDF 38 La Strategia per i Rom è stata votata a larga maggioranza dal Parlamento europeo nel gennaio 2008, e condanna senza eccezioni tutte le forme di razzismo e di discriminazione cui sono soggetti i Rom e sollecita la Commissione europea a sviluppare una strategia quadro per il loro inserimento (Anderini 2008:3)http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=REPORT&reference=A7-20110043&language=IT (consultato il 22/09/2011) 39 http://www.coe.int/t/dg3/romatravellers/mgsrom_en.asp (consultato il 22/09/2011) 40 http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/11/400&format=HTML&aged=0&languag

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fissato agli Stati membri il raggiungimento di quattro obiettivi: il completamento della scuola primaria per tutti i bambini rom; eliminare il gap lavorativo trai i Rom e gli altri cittadini; ridurre il divario sanitario e la mortalità infantile; migliorare l‟accesso agli alloggi e ai servizi pubblici. Nel Rapporto annuale sul razzismo e la xenofobia41 negli Stati membri dell‟Unione Europea vengono denunciate la precarietà delle sedi abitative, le pessime condizioni sanitarie, una bassissima di scolarizzazione, e un alto tasso di analfabetismo e un tasso di disoccupazione che in alcune zone arriva al 100%. Roma segregation remains a problem to be tackled by Member States. In some countries, the extreme deprivation of housing for Roma is heightened by their vulnerability to forced evictions and relocations. In a number of countries, repeated cases of forced evictions and other violations of the right to adequate housing led the European Roma Rights Centre to lodge several complaints with the Council of Europe European Committee of Social Rights. Also the Council of Europe Commissioner for Human Rights has expressed concern with regard to the continual threat of forced evictions that some Roma populations face. Their precarious housing situation, coupled with high levels of unemployment, locks Roma in a vicious circle of exclusion and segregation. However, the many initiatives promoted by a range of international organisations seem to indicate that Roma exclusion is becoming increasingly visible on the agendas for action of official and NGO bodies in Europe (2007: 11).

Nel rapporto si legge inoltre che solo la Svezia e il Portogallo possono essere un esempio positivo per le politiche di inclusione, soprattutto per quanto riguarda la questione abitativa. Two of the selected initiatives are particularly relevant inasmuch as they illustrate two different models of re-housing Roma families: on the one hand, maintaining the traditional lifestyle by being faithful to the environment, architecture and spatial distribution of a Roma settlement; on the other hand, attempting to integrate Roma into the urban fabric by allocating families to the existing housing stock. Both initiatives seem to offer good results, and exemplify two parallel ways of attaining housing desegregation (ivi: 11-12).

La scolarizzazione non è garantita dappertutto. Alcuni Stati membri ignorano il gap esistente tra i gruppi più privilegiati e quelli che lo sono meno. Questo è soprattutto un problema di didattica, in quanto «„Integration‟ is not perceived as

e=IT&guiLanguage=en (consultato il 22/09/2011) 41 http://fra.europa.eu/fraWebsite/attachments/ar07p2_en.pdf (consultato il 22/09/2011)

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something the education system has to achieve, but as something that is up to the individual» (ibid.). Uno degli Stati europei in cui la situazione dei Rom è tra le più gravi è l‟Ungheria. Nel giugno del 2005 l‟organizzazione Chance for Children

Foundation

(CFCF)

ha

proposto

un‟actio

popularis

contro

l‟amministrazione comunale di Miscolc accusando il Consiglio comunale di essere indirettamente responsabili della discriminazione di bambini rom dalle scuole primarie perché non sono stati ridisegnati i confini di alcuni distretti scolastici provocando la chiusura di alcune scuole (Rapporto UE 2007: 24). In Romania, il NCCD (National Council on Crime and Delinquency), sotto il monitoraggio dell‟UE, stilò delle statistiche sulla discriminazione etnica per gli anni 2002-2006: From a total of 1,542 complaints, 252 complaints are complaints of alleged ethnic discrimination. Sanctions are issued in 21 per cent of complaints. Statistics are also available on the areas in which ethnic discrimination occurred and sanctions were applied in 2002-2006nine facts of discrimination against Roma people and set six fines: four for discriminatory public speaking, one for segregation of Roma children in education and the last for access to public spaces (ivi: 24-25).

Anche i luoghi della memoria vengono offesi senza alcun riguardo. Nell‟ex campo di concentramento di Lety u Pisku (attuale Repubblica Ceca) oggi c‟è un‟azienda di allevamento suino: Feci un cenno a Lubo, il quale stava dicendo ai suoi amici Rom che il governo ceco aveva dissacrato le tombe dei Rom a Lety, costruendoci sopra un allevamento di maiali (POLANSKY 2011: 32)

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Il quadro italiano Secondo alcune stime si calcola che in Italia siano presenti tra i 120.000 e i 150.000 tra Rom e Sinti, e circa il 60% sono di cittadinanza italiana, e questi sono per la maggior parte stanziali. Il restante 40% è composto da cittadini stranieri arrivati nel Paese in diversi periodi. Alla fine degli anni Settanta ci fu l‟ondata migratoria più vasta a causa della crisi economica della Jugoslavia, cresciuta negli anni ‟90 con la dissoluzione del Paese (Sigona, in Bragato – Menetto 2007: 27). Nonostante i numerosi interventi, le direttive e le raccomandazioni fatte dagli organismi internazionali, l‟Italia è molto lontana dall‟attuazione di misure di inclusione e dialogo con la popolazione Rom e Sinta presente in tutto il territorio. Nel Rapporto conclusivo dell'indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia42 compilato dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica italiana, in riferimento alla discriminazione multipla, si fa un quadro statistico di come le discriminazioni verso l‟appartenenza ad un‟etnia e il genere siano il «doppio rispetto a coloro che hanno pregiudizi contro gli omosessuali e quattro volte più numerosi rispetto a coloro che hanno pregiudizi rispetto ai disabili». Secondo il Rapporto del Senato «la normativa europea non è però così chiara sulla "discriminazione multipla"»: Le Direttive Europee che regolamentano le discriminazioni di genere, di razza e di orientamento sessuale non impongono agli Stati membri una legislazione che sanzioni espressamente i casi di discriminazione multipla. Spesso la normativa europea non prende in considerazione il fenomeno se non in maniera molto generica. Un accenno al concetto di discriminazione multipla si trova solo al paragrafo 14 della Direttiva 2000/43/CE del Consiglio dell'UE del 29 giugno 2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica: nell'attuazione del principio della parità di trattamento a prescindere dalla razza e dall'origine etnica la Comunità dovrebbe mirare, conformemente all'articolo 3, paragrafo 2, nel trattato CE, ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità tra uomini e donne, soprattutto in quanto le donne sono spesso vittime di numerose discriminazioni.

42

http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/dirittiumani16/Rapporto%20conclusivo%20inda gine%20rom,%20sinti%20e%20caminanti.pdf (consultato il 22/06/2011)

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La discriminazione giuridica in Italia non è da meno rispetto ai casi degli altri Paesi membri. La legislazione che è stata attuata, in particolare in questi ultimi anni, va contro la Costituzione e in particolare contro l‟art. 2.1 secondo cui «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell‟uomo», e i commi 1 e 2 dell‟art. 3 per i quali la Repubblica «garantisce pari dignità sociale ed uguaglianza senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» e «si impegna a rimuovere gli ostacoli di ordine economico che impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (Loy, in Cherchi - Loy 2009: 19). A fronte delle più generali enunciaizioni di principi ed alla elencazione di diritti, la specificità di una comunità, quale quella dei rom, dovrebbe essere irrilevante. Il motivo dominante della legislazione costituzionale, almeno in apparenza, è quello dell‟uguaglianza, il diritto antidiscriminatorio costituisce una delle sue moderne inclinazioni (ibid.).

Secondo quanto sostiene Gianni Loy, l‟appartenenza etnica dei rom è irrilevante per l‟accesso ai diritti; importa che siano „uguali‟ e l‟unica discriminante possibile è la cittadinanza: «I cittadini italiani sono destinatari di diritti che non sono riconosciuti, o non nella stessa misura, agli stranieri presenti nel territorio» (ibid.). Il principio della cittadinanza italiana cade però nel contesto comunitario europeo: la cittadinanza in un Paese membro è un complemento alla cittadinanza originaria (ivi: 20). Loy individua tre fasi che a livello legislativo hanno caratterizzato le politiche dei Rom in Italia. La prima viene denominata tempo dell’indifferenza: i rom, o zingari, «erano ancora parzialmente interessati da residui fenomeni di nomadismo ed individuati come „altro‟ nettamente distinto» (ivi: 21). Il problema della loro presenza si poneva solo nel caso in cui vi fosse il contatto con la popolazione locale. Durante la seconda fase, il tempo dell’ineffettività, ci si è accorti che il nomadismo, tratto caratterizzante fino ad allora i rom, era praticamente finito. Ciò portò, da parte del legislatore, in particolare i legislatori regionali, alla necessità di occuparsi delle comunità nei rispettivi territori. Tuttavia non è stato avvertito «il carattere di stanzialità delle comunità ed il rilievo che poteva essere costituito dalla cittadinanza» (ivi: 23). In questa fase, ovvero dagli anni ‟80 in poi, si è creato una sorta di paradosso in 66


quanto, la spinta da parte dell‟Unione Europea a rispettare i Diritti Umani e a utilizzare un diritto antidiscriminatorio, ha reso

più stridente la condizione di vita delle popolazioni rom. La presenza di strumenti giuridici che dovrebbero facilitare l‟esercizio dei diritti anche da parte dei rom rende più evidente la loro condizione di esclusione. Anche quando, faticosamente, si avvia un processo di riconoscimento dei diritti (…) si ha l‟impressione che non sia considerato effettivamente tale (ivi: 23).

In questa fase il diritto è, talvolta, usato “contro” e gli stereotipi negativi, come documentano vari organi di ricerca e controllo dei diritti umani e dei diritti dei Rom, sono aumentati, così come è aumentata la xenofobia. L‟Italia ha infatti ricevuto una serie di sanzioni per la violazione dei diritti umani da parte di organismi europei tra cui: il Comitato Europeo per i diritti sociali, con decisione del 7 dicembre 2005 (…) ha ritenuto che il governo italiano non abbia assunto misure adeguate ad assicurare ai rom e sinti l‟accesso ai diritti e ai benefici collettivi che devono essere disponibili a tutti, non ha assunto misure per offrire abitazioni sufficienti, per qualità e quantità, ai loro bisogni. Illegittima (…) è anche la pratica degli sgomberi forzati, delle minacce di allontanamento, la distruzione sistematica delle proprietà e l‟invasione delle abitazioni dei rom e sinti da parte delle autorità italiane (ivi: 24).

Dal maggio del 2006, il governo italiano è stato messo sotto controllo dal Consiglio dei Ministri del Consiglio d‟Europa. La terza fase, che Loy definisce il tempo di una legislazione speciale non del tutto inedita, segna un peggioramento rispetto alle politiche precedenti.

Fino al 2008, secondo Loy, ci si poteva

lamentare solo dell‟indifferenza da parte del legislatore. Dal 2008 abbiamo però una serie di provvedimenti in seguito al clima di intolleranza e razzismo alimentato non solo dai media e dall‟opinione pubblica ma anche, e soprattutto, dai reclami propagandistici che la politica faceva in nome della “sicurezza”. Loy fa iniziare questa fase il 21 maggio 2008, data in cui è stato approvato il decreto del presidente del Consiglio dei ministri, dal titolo Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti delle comunità nomadi nelle regioni di Campania, Lazio, Lombardia43 decretando così lo stato d‟emergenza fino al 31 maggio 2009 (Rizzin, in Cherchi – Loy 2009: 77). I due 43

http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/9BF7E323-7BA8-4676-B167554B73954D2B/0/Focus_N8_Allegato2_DPCMstatodiemergenzaROM.pdf (consultato il 22/09/2011)

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decreti - «Patto per Roma sicura» e «Patto per Milano sicura» - segnano, secondo Loy, un salto di qualità per due motivi. Il primo è che «si ritiene che la presenza in un territorio di una o più comunità di persone possa costituire una calamità naturale» (ivi: 26) e queste persone vengono identificate nella categoria di comunità nomadi. Il secondo motivo è che inizia a costruirsi una legislazione speciale riservata ai sinti e ai rom. Il presidente del Consiglio dei Ministri, nel maggio 2008, ha adottato tre ordinanze per l‟attuazione del decreto nelle tre regioni e per portare avanti gli interventi sono stati designati come commissari responsabili i prefetti di Roma, Milano e Napoli (Rizzin, in Cherchi – Loy 2009: 78). In conseguenza a queste ordinanze, a Napoli numerosi rom «sono stati censiti attraverso il rilevo delle impronte digitali (anche minori superiori all‟età di 14 anni) e l‟indicazione della religione e dell‟etnia»(ibid.). Il censimento etnico, effettuato a Napoli, anche se volontario, si è dimostrato una scelta totalmente ingiustificata e profondamente discriminante, poiché viola ogni normativa internazionale sui diritti umani ed è incompatibile con le direttive UE sulla parità di trattamento (ivi: 79)

Il Parlamento europeo, con la Risoluzione del Parlamento europeo del 10 luglio 2008 sul censimento dei rom su base etnica in Italia 44, ha espresso la sua preoccupazione sul rischio di discriminazione diretta e indiretta, sulla violazione della privacy (94/46/CE), contro le discriminazioni (2000/43CE) e sulla libera circolazione dei cittadini comunitari (2004/38/CE). Preoccupazioni espresse anche dall l‟UNICEF, numerose ONG e comunità religiose, come si legge alla lettera M del testo45. Queste misure discriminatorie si nascondono dietro a obiettivi giudicati positivi, quali la scolarizzazione dei bambini o l‟inserimento e l‟integrazione sociale. Contro il censimento „etnico‟ hanno espresso il proprio allarme anche antropologi e associazioni. Marco Aime ha scritto un libro, sottoforma di lettera, indirizzato a un bambino rom, nel quale fa una riflessione sulla capacità del popolo italiano di dimenticare la propria storia, 44

http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference=P6-TA-2008-0361&language=IT (consultato il 22/09/2011) 45 Risoluzione del Parlamento europeo del 10 luglio 2008 sul censimento dei rom su base etnica in Italia: L'UNICEF, il Segretario generale del Consiglio d'Europa e il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa hanno espresso preoccupazione, mentre detto Commissario ha inviato al governo italiano un memorandum concernente, tra l'altro, il razzismo, la xenofobia e la tutela dei diritti umani dei rom.

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fatta di migranti che all‟estero non sempre sono stati trattati bene. Il titolo del libro, La macchia della razza, è molto significativo e denuncia come la paura del diverso abbia preso il sopravvento andando a colpire pure coloro che, nella nostra società, sono considerati „anime pure‟, i bambini. L‟Associazione 21 Luglio 46 ha pubblicato un memorandum come allegato al rapporto stilato congiuntamente all'European Roma Rights Centre presentato poi al CERD (Committee on the Elimination of Racial Discrimination of United Nation) nel gennaio 2012 47. Il memorandum è il risultato di un‟indagine svoltasi nei sette campi rom di Roma, nata per «monitorare e analizzare la procedura di richiesta di protezione internazionale e la raccolta di dati dattiloscopici e fotografici». Il senso del documento, come scrive Il Corriere della Sera del 16 gennaio 201248, sta nel titolo Violazione della normativa nazionale, internazionale e dei diritti fondamentali dei rom e dei sinti da parte delle autorità italiane nella procedura di richiesta protezione internazionale e nella raccolta di rilievi dattiloscopici e fotografici nella città di Roma. Come sottolinea Loy, gli obiettivi riguardanti la sicurezza, la scolarizzazione e l‟integrazione servono da copertura alla legge che discrimina, in quanto l‟obbligo scolastico esiste già ed è esteso a tutti. Anche le iniziative che potrebbero sembrare positive rivelano dei forti limiti, come l‟Ordinanza n. 3677 (lettera h) che prevede: interventi finalizzati a favorire l‟inserimento sociale delle persone trasferite nei campi autorizzati, con particolare riferimento a misure di sostegno ed a progetti integrati per i minori, nonché ad azioni volte a contrastare i fenomeni del commercio abusivo, dell‟accattonaggio e della prostituzione. L‟operazione è stata poi interrotta a causa delle critiche sollevate dalle autorità comunitarie (il Parlamento europeo e il commissario per i Diritti umani del Consiglio d‟Europa) (ivi: 30).

L‟attenzione viene sempre posta all‟emergenza campi, attribuendo a un‟intera comunità, identificata su base etnica, la responsabilità di comportamenti delinquenziali. Altro punto di discriminazione è quello secondo cui le politiche di integrazione e di inserimento debbano essere rivolte solo alle persone trasferite 46

L‟Associazione 21 Luglio è nata a Roma nel 2010 e si occupa della tutela e della promozione dei diritti dell‟infanzia. 47 http://www.21luglio.com/images/Memorandum_richiesta_protezione_def.pdf (consultato il 17/01/2012) 48 http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/12_gennaio_16/schedature-rom-sinti-1902887244114.shtml (consultato il 17/01/2012)

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nei campi autorizzati, escludendo di conseguenza tutte le altre. altro punto saliente di questa terza fase è la decisione di prendere le impronte digitali ai bambini rom, azione giustificata con il deterrente della dispersione scolastica. Il problema della dispersione scolastica riguarda tutti i bambini e non ha nazionalità. Perché allora prendere le impronte solo ai bambini rom e non a tutti quelli a rischio? (ivi: 31). L‟aspetto più inquietante di questa terza fase, di questo periodo di gretto rinchiudersi nei propri egoismi, sta nella saldatura che si va creando tra le spinte xenofobe dell‟emozione popolare e le risposte offerte dal legislatore e dall‟azione amministrativa del governo. (…) Pulsioni di piazza, al ritmo di «dagli all‟untore», che hanno il significato di caricare sull‟altro, sul diverso, sullo straniero, il peso e le colpe di una società disorientata ed incapace di intuire il proprio futuro (ivi: 32-33).

Daniele Todesco, in una sua ricerca49 pubblicata da Caritas Migrantes sottolinea la crescente richiesta di una legislazione speciale per gli zingari con un‟attenzione particolare sui minori. Tra gli esempi da lui riportati si possono segnalare alcuni pezzi di articoli di quotidiani di stampa nazionale che riportano le preoccupazioni e i giudizi di magistrati e/o procuratori: Il giudice Federico Eramo, del tribunale dei minori dell‟Aquila…ammette che occorre una nuova norma. “Se si pensa ai minori slavi, albanesi ma soprattutto agli zingari, dove il pericolo di fuga è quasi implicito perché sono senza fissa dimora diventa del tutto evidente l‟importanza di ottenere la misura restrittiva per il pericolo di fuga (Il Messaggero, 27.07.00)

In realtà, la legislazione speciale esiste da tempo, come ammette Paolo Dusi, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Venezia: …[esiste] nei confronti dei minori nomadi, una sorta di legislazione speciale, nonché un modo speciale di applicare le norme nei loro riguardi… Quando vengono condannati la pena che viene loro inflitta è generalmente più alta di quella che otterrebbe un ragazzo «normale»; ma ciò è conseguenza della pericolosità sociale…(Dusi in Zatta 1992)…l‟essere nomade comporta una minore applicazione di istituti indulgenziali (Boemi e altri 1995, p. 51) (TODESCO 2004: 149).

49

«Le maschere dei pregiudizi. L‟innocenza perduta dei pregiudizi positivi. Una categoria esemplare: gli Zingari», in Quaderno di «Servizio Migrante» nr. 47, Caritas Migantes, Roma, 2004.

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2.2 Il riconoscimento dei Rom come minoranza etnica Il riconoscimento delle minoranze Rom in Europa A livello europeo l‟interesse per la questione rom è sempre stato alto, ma non si è mai arrivati a politiche precise (ibid.): Nel 1969 l‟Assemblea consultiva del Consiglio d‟Europa si è dichiarata “profondamente allarmata” dalla mancata implementazione di politiche a sostegno delle comunità rom e dalle “frequenti frizioni fra le famiglie nomadi e la popolazione sedentaria” (ibid.)

Secondo Vitale l‟Europa avrebbe potuto fare molto di più dato che la storia dei Rom fa parte da secoli della storia europea e soprattutto perché essi rappresentano la più grande minoranza presente nel continente. Piasere parla di una «storia d‟Europa censurata, sottostimata, dimenticata perché evitata, evitata perché intrigante per l‟identità europea stessa che si vuole costruire» (2003: 51). Quella Rom è la minoranza etnica più numerosa in Europa, suddivisa in centinaia di gruppi che si differenziano tra loro in base al paese di provenienza, al dialetto, alla religione, tuttavia, anche nei Paesi in cui la loro presenza è numerosa, non sono riconosciuti. Les Roms ne sont alors pas reconnus comme minorité, bien qu‟ils représentent dans certains endroits, par exemple à l‟est de la Slovaquie, plus de 10 % de la population, et ils sont définis non pas par leur identité culturelle mais par un mode de vie. Ainsi, ceux qui sont considérés comme intégrés, ou ceux qui semblent mener une vie proche des autres citoyens, ne sont plus considérés ni recensés comme Roms (LIÉGEOIS 2004: 127).

Nella Risoluzione del Parlamento Europeo del 31 gennaio 2008 si parla di 10 milioni di Rom all‟interno dell‟UE (Rizzin, in Cherchi – Loy 2009: 72). È l‟unica minoranza europea ad essere presente in tutti gli Stati, ma è anche la meno tutelata a livello legislativo e la più discriminata. Francesco Palermo fa una divisione tra le politiche attuate dai Paesi dell‟Unione Europea in esclusionisti, agnostici, cautamente promozionali, pienamente promozionali. Il primo gruppo, che comprende l‟Armenia (per supposta mancanza di interesse ad applicare la

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Convenzione Quadro del Consiglio d‟Europa50, la Danimarca (per presunta piena integrazione dei Rom nella società), i Paesi Bassi e il Portogallo (per mancata soddisfazione del criterio territoriale) (Palermo 2011: 158). In alcuni Paesi mancano anche misure specifiche per i Rom in quanto non ne viene riconosciuta la natura distinta (ivi: 159). Nei Paese cosiddetti agnostici vige una tutela parziale, nel senso che i Rom non sono considerati una minoranza nazionale – Italia e Slovenia – o sono considerati «una minoranza di diversa natura rispetto alle minoranze nazionali che godono della piena tutela offerta dalla Convenzione» (ibid.). In questi casi o si ha «una tutela giuridica nulla compensata da meri programmi speciali (ad es. in Italia) ad una tutela giuridica piena e solo nominalisticamente distinta (ad es. in Polonia)» (ibid.). Nei Paesi cautamente promozionali la tutela dei Rom come minoranza viene attuata solo ai cittadini. La Germania attua questa politica, non tanto per mancata volontà da parte delle istituzioni, quanto per la forte opposizione da parte di Rom e Sinti tedeschi ad ogni forma di apertura (ivi: 160). La stessa situazione si ripete anche in Svizzera, Estonia, Austria e Romania. La Finlandia rappresenta il caso opposto alla Germania «restringe la tutela della Convenzione Quadro ai soli cittadini, anche se, si ritiene, la distinzione non comporta particolari differenze nella prassi» (ibid.). In Spagna vengono riconosciuti come minoranza solo i Rom che hanno la cittadinanza e sono esclusi tutti gli altri gruppi per rifiuto a considerarlo minoranza. Il Regno Unito è tra quei Paesi che riconoscono, invece, del tutto i Rom come „minoranza nazionale‟ senza il criterio di distinzione tra cittadini e non cittadini.

50

La Convenzione Quadro del Consiglio d‟Europa è l‟unico trattato internazionale in tema di minoranze.

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Il riconoscimento delle minoranze Rom in Italia La questione Rom è comunque la più dibattuta a livello politico, soprattutto quando si tratta di parlare di sicurezza, dato il sentire diffuso dell‟impossibilità a far integrare gli zingari nel tessuto sociale. Ed è dibattuta anche nel contesto scientifico, dagli storici, agli antropologi, agli sociologi e anche gli stessi Rom si raccontano attraverso la letteratura, la musica e l‟utilizzo dei media (Simoni 2003: 54). Alessandro Simoni si concentra sulla mancanza di un discorso giuridico sulla questione „zingara‟: Tra le voci che parlano di rom, negli ultimi decenni era stata pressoché assente quella dei cultori del diritto. Accanto a quello antropologico, sociologico, storico, politico, non sembrava infatti percepirsi la necessità di un discorso giuridico, di affrontare cioè il problema dei conflitti tra rom e non-rom in termini di diritti, individuali o collettivi; un po‟ un paradosso, se si pensa alla generale tendenza a giuridicizzare ogni tipo di conflitto. Che almeno negli ultimi anni mancasse un discorso giuridico sui rom non vuol dire che i giuristi intesi come comunità professionale non avessero contatto con essi. Sappiamo invece tutti che questi contatti erano e sono frequenti, in quanto molto del conflitto rom-non rom si è svolto e si svolge attraverso la macchina del diritto (ibid.)

Il rapporto „diritto – rom‟ viene visto solo dal punto di vista della sicurezza, dei processi e quando c‟è da trovare un avvocato disposto a difendere lo „zingaro‟. Non c‟è mai stato, secondo quanto sostiene Simoni, un approccio di riconoscimento nel governo dei rapporti tra sistemi giuridici statali e rom (ivi 65). Dietro l‟apparente indifferenza dei sistemi giuridici moderni rispetto all‟essere una persona classificabile „rom‟ o „zingara‟ si sono nascoste diverse pratiche discriminatorie, come ad esempio il divieto di mendicare o le „espulsioni collettive‟ (ibid.). Ci sono però situazioni in cui la specificità dei rom è stata riconosciuta, come la volontà, da parte delle istituzioni, di affrontare il problema degli insediamenti: Sappiamo tutti come quello della condivisione dello spazio tra rom e nonrom sia un‟eterna occasione di conflitti. Gli interventi, apparentemente “imparziali” ma nella sostanza profondamente discriminatori (…) erano occasionati dalla volontà di obbligare in un modo o nell‟altro un gruppo rom ad allontanarsi da una certa zona. Sovente, il motore di molti interventi repressivi è costituito da amministratori locali, pronti a tutto pur di sbarazzarsi di una presenza ingombrante (ivi 66). 73


Una lacuna importante, nel quadro legislativo dello Stato italiano, è rappresentata dalla mancanza di una legge che tuteli i Rom come minoranza a livello nazionale. Simoni parla, in tal proposito, di regionalizzazione della tutela delle minoranze: La legislazione, variamente denominata, a tutela dell‟identità etnica rom, è stata vista come parte integrante di questo processo, che ha tuttavia la sua matrice in un sistema di tutela centrato su minoranze linguistiche con un forte radicamento territoriale. L‟estensione del processo di regionalizzazione della tutela, già discutibile nel caso delle minoranze linguistiche “tradizionali”, a una minoranza priva di tale radicamento, senza lingua pienamente standardizzata e, soprattutto, con una così peculiare storia di subìta intolleranza non sembra la migliore premessa per una soluzione (ivi 73).

La prova che in Italia il riconoscimento dei Rom come minoranza sia un „tabu‟ sta nella vicenda della legge del 1999 sulle “minoranze linguistiche storiche”: Mentre la prima versione del testo comprendeva tra le lingue tutelate una lista che comprendeva le “lingue zingare”, queste scomparivano dalla versione finale (nonostante il radicamento plurisecolare di molte comunità rom italiane) a seguito di una negoziazione politica le responsabilità della quale sono - per chi voglia - facilmente identificabili dalla lettura dei lavori preparatori accessibili sul sito internet del parlamento (ibid.).

La questione della lingua è fondamentale dato che essa è «il criterio distintivo primario per identificazione e l‟individuazione di un gruppo minoritario»51 e la Costituzione italiana prevede nell‟art. 3 il divieto alla discriminazione su base etnica e linguistica e nell‟art. 6 la specifica tutela per le minoranze linguistiche. Come per il riconoscimento delle minoranze etniche, anche per la lingua vale o il criterio territoriale o il criterio personale (ibid.): nel primo caso la lingua viene tutelata in base alla diffusione sul territorio, nel secondo caso si privilegia l‟uso individuale della lingua indipendentemente dal luogo di insediamento. In Italia vige un criterio di tipo territoriale infatti la legge 15 dicembre 1999 n. 48252 «ribadisce i tre fondamentali pilastri su cui si fonda la costituzione delle minoranze: il criterio linguistico come elemento identificativo, la necessità di riconoscimento e l‟ancoraggio territoriale dei diritti riconosciuti» (ivi: 2). L‟unico gruppo a non essere riconosciuto è, appunto, quello dei Rom e dei Sinti. La 51 52

http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2011/05/Mazzotta.pdf (consultato il 17/01/2012) http://www.camera.it/parlam/leggi/99482l.htm (consultato il 17/01/2012)

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mancata tutela è stata giustificata con il fatto che i Rom e i Sinti non sono mai stati un popolo stanziale e non si sono mai radicati regolarmente nel territorio. Negli ultimi la tendenza al nomadismo è tuttavia diminuita e «tale popolazione è oramai presente sul nostro territorio da molto tempo, ragione per cui si potrebbero inquadrare tra le minoranze “storiche”» (ivi: 4). Rizzin e Tavani sostengono che la legge Venne approvata solo dopo un dibattito travagliato tra le forze politiche a seguito della cancellazione di qualsiasi riferimento alle minoranze rom e sinti, disattendendo così norme, principi e impegni internazionali, in particolare la Carta Europea per le lingue regionali e minoritarie53, che prevere la protezione anche di lingue sprovviste di territorio (punto c), e la Convenzione Quadro (R IZZIN-TAVANI, in VITALE 2009: 49-50).

La necessità del riconoscimento, oltre ad essere oggetto di critiche verso l‟Italia da parte dell‟ECRI e dal commissario per i Diritti Umani del COE, è stata ribadita durante la prima Conferenza internazionale sulla situazione dei rom, organizzata dal ministero dell‟Interno e dal ministero della Solidarietà Sociale, in cui è stato illustrato il progetto per riconoscere lo status di minoranza linguistica. Il progetto ha avuto un primo risultato positivo con la proposta di legge n. 2858/2007, Modifiche alla legge 15 dicembre 1999, n. 482, per l' estensione delle disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche storiche alle minoranze dei rom e dei sinti 54. Sarebbe quindi un presupposto per restituire dignità a chi vive da tantissimi anni in Italia senza quel riconoscimento dato invece ad altre minoranze storico – linguistiche; inoltre aprirebbe spazi di dialogo e di confronto alla pari, sottolineando che in realtà la particolarità di rom e sinti non sconvolge nessun euilibrio (R IZZIN-TAVANI, in VITALE 2009: 50)

53 54

http://conventions.coe.int/Treaty/ita/Treaties/Html/148.htm (consultato il 17/01/2012) http://www.senato.it/leg/15/BGT/Schede/Ddliter/28640.htm (consultato il 17/01/2012)

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2.3 Gli sgomberi e la “discriminazione urbana”

«L‟abitare è una dimensione cruciale della vita in società» e la condizione abitativa di molti gruppi zingari influisce sia sulla qualità di vita degli autoctoni sia degli stessi abitanti dei campi nomadi (Vitale – Brembilla 2009: 163). La dimora è «il luogo in cui si apprende a “sapersi mantenere in pubblico” e al tempo stesso in cui ci si può “riposare” dalla scena pubblica» ed è nell‟abitare che la persona si singolarizza e costituisce la sua personalità(ivi: 165). Inoltre, «l‟abitare è la palestra in cui si apprendono le didattiche elementari del vivere insieme» (ibid.). L‟esclusione da un luogo idoneo in cui abitare «conduce a una spersonalizzazione e a un‟umiliazione dell‟individuo stesso» (ibid.) e ciò avviene soprattutto in quei casi di precarietà abitativa propria delle tante baraccopoli che si sono sviluppate nelle periferie delle città. Nel raccontare una delle sue prime esperienze con i Rom, Leonardo Piasere racconta della ricerca di un posto in cui accamparsi: Ma una volta trovatone uno ritenuto idoneo (…), il permesso veniva puntualmente rifiutato da chi di competenza adducendo motivi igienici. Per quello strano modo di procedere del cervello umano noto come “inversione”, lo zingaro che voleva allontanarsi dalle discariche altrui si sentiva negare uno spazio, perché accusato di essere una discarica ambulante. Ironia della sorte (…), in quei rari casi in veniva concessa la sosta in luoghi indicati da chi di competenza, succedeva che quei luoghi erano giusto privi di un punto d‟acqua potabile (PIASERE 1991: 182).

Definendo i Rom popoli delle discariche, Piasere spiega le conseguenze «che questa forma di razzismo comporta nella pratica quotidiana» (ibid.). Usando varie ricerche – per la provincia di Verona, la ricerca di Todesco (1986), per la città il libro bianco curato dal Gruppo Ecclesiale Veronese tra gli Zingari (1989) – Piasere esamina tutti i casi di sgombero per motivi igienico-sanitari proclamati, per la maggior parte, dalla popolazione autoctona: „a volte il loro oggetto non è semplicemente “Sgombero dei nomadi” o simile, ma “Ordinanza in materia di Igiene Pubblica” (ivi: 186). Quello che risalta in particolare è la volontà di tenere il Centro alla larga dai nomadi. Il centro è il luogo in cui sono siti i simboli della 76


città/paese e va protetto da eventuali problemi. La protezione è spesso segnalata da cartelli di divieto, per lo più inutili essendo messaggi scritti e quindi non decodificabili da persone che sono illetterate o comunque semianalfabete (ivi: 191). Nel Comune di Zevio (VR) fu deciso di recintare il territorio con la solita motivazione di questioni igienico-sanitarie. Il sindaco parlò degli Zingari come comunità „creatrici‟ di discariche e non è un caso che in molti comuni italiani il divieto di discarica è posto vicino a quello di sosta nomadi (ibid.). Altri Comuni hanno invece realizzato dei siti riservati alla sosta, e riguardano soprattutto zone in cui il bisogno di manodopera è più alto rispetto ai piccoli centri. «L‟allestimento, in positivo o in negativo, dei campi-sosta è dettato da motivi di ordine protezionistico verso i centri rituali o i centri abitati in genere ed è una forma di quello che Liégeois (1987a) ha chiamato “rigetto indiretto”» (Piasere 1991: 193). Loin de la Constitution, loin des réglementations protectrices, loin des institutions nationales et de leurs discours théoriques, c‟est avec une réalité locale bien concrète – populations, collectivités, pouvoirs locaux – que doit quotidiennement composer le Rom. Un souci prioritaire est de trouver le meilleur compromis possible en matière de logement, qui permette de continuer à mener une vie sociale cohérente et d‟exercer des activités économiques en évitant d‟être l‟objet trop marqué du rejet de son entourage (LIÉGEOIS 2007: 145)

Si concedono i campi sosta per tutelare i rom, poi, con i campi, ci si tutela dai rom (Todesco 2004: 103). Giorgio Agamben in Homo sacer afferma che il campo è diventato “il paradigma biopolitico dell‟occidente” ed evidenzia, in modo convincente, come il campo sia lo spazio che si apre quando lo stato di eccezione comincia a diventare la regola intendendo come stato di eccezione una zona di in distinzione fra esterno e interno, tra esclusione ed inclusione (ibid.)

Il campo diventa il simbolo dell‟ambiguità delle politiche di tutela che si dividono tra assistenzialismo e ghettizzazione. I campi producono alterità e diventano «un ottimo strumento per destrutturare e ricostruire l‟identità rom da parte dei non-rom. E quindi per ricostruire l‟identità non-zingara» (ivi: 104). Dall‟alloggio dipendono non solo le attività interne al campo, ma anche l‟interazione con il mondo esterno e i rapporti con la scuola, la sanità. Rapporti 77


che possono essere caratterizzati da tensioni e conflitti i quali emergono anche alla probabile installazione di campi sosta. Nascono comitati contro la presenza zingara nelle città in quanto il loro stile di vita potrebbe intaccare alla sicurezza dei quartieri vicini. Questa segregazione e questo rifiuto hanno portato i rom a instaurare un meccanismo di auto-segregazione e alla creazione dei rapporti con i gage strettamente strumentali (Vitale – Brembilla 2009: 166). Liégeois riferisce di gravi episodi di violenza anche se essa non è la sola forma di rigetto. Può capitare che davanti allo Zingaro si chiudano negozi, locali pubblici e anche le scuole rifiutano la presenza di alunni rom (Liégeois 2007: 147). Les autorités locales, auprès de leurs administrés, ont plusieurs attitudes possibles. L‟une, encore peu répandue, est la confrontation, c‟est-à-dire l‟opposition aux actes de rejet, en tentant de démontrer leur ineptie, d‟en dénoncer le racisme, de démonter les mythes qui en sont la plupart du temps à l‟origine, ou de relativiser l‟importance d‟une petite délinquance d‟ordre «situationnel», liée aux conditions d‟existence des Tsiganes et Voyageurs, et aux accrochages entre deux populations différentes. Il y a aussi une neutralité active qui refuse d‟intervenir pour expulser, par exemple, en l‟absence de griefs fondés sur des réalités. Il y a une neutralité passive, sorte de laisser-faire, qui alimente les comportements discriminatoires et rejetants en entretenant un climat d‟hostilité vis-à-vis des Roms/Tsiganes par le fait de laisser accréditer les fausses perceptions d‟un groupe considéré comme dangereux pour les biens et les personnes. Une telle attitude justifie en partie les actes de rejet et de discrimination des populations locales, et même sans aller jusqu‟à les cautionner, disculpe d‟avance ceux qui s‟en rendent coupables. Il y a aussi l‟attitude des autorités qui va dans le même sens que celle des populations: interdiction, rejet parfois violent, surveillance pesante et constant (ibid.).

Ciò che risalta è sempre il discorso sulla sicurezza e l‟emergenza quotidiana. Vari fatti di cronaca lo dimostrano. Nel Rapporto Il paese dei campi. La segregazione razziale dei Rom in Italia, pubblicato dall‟European Roma Rights Center nel 2000, si denunciano molte situazioni di degrado e di razzismo contro i Rom da parte delle forze politiche, della stampa e dell‟opinione pubblica: La separazione fisica tra Rom e non Rom in Italia è tanto forte da lasciare quasi in ombra tutti gli altri aspetti. Molte altre questioni legate ai diritti umani prenderebbero altre proporzioni se i Rom non fossero ghettizzati nei campi autorizzati o completamente esclusi da qualsiasi altra decente soluzione abitativa. Gli abusi commessi durante le sistematiche azioni di 78


polizia sarebbero inconcepibili senza la vulnerabilità derivante dall‟indecenza della vita nei campi. La discussione sul diritto all‟educazione sarebbe ben diversa se la frequenza dei bambini non fosse ostacolata dalla separazione fisica dagli istituti scolastici. Tuttavia, la condizione estrema di segregazione dei Rom in Italia, che non si limita alla presenza di un recinto e di un guardiano, ha forse messo in ombra gli altri problemi con cui si confrontano i Rom. Messe da parte le drammatiche insidie della segregazione, il nocciolo della questione emerge in primo piano: razzismo e discriminazione a sfondo etnico (ERRC).

Gli studi di settore concordano sul fatto che la questione dei campi nomadi sia da superare. Vitale e Brembilla danno una loro definizione di campo in quattro punti: I campi nomadi sono un intervento di welfare abitativo riconoscibile per alcune precise proprietà: 1. L‟uso reificante della categoria di “nomadi”, che implica in una identità omogenea una “galassia di minoranze” assai eterogenee 2. Una connotazione etnica che separa nettamente questi gruppi dal resto della popolazione, anche sul piano morale. 3. Un trattamento amministrativo differenziale per ciò che attiene gli standard urbanistici e di edilizia residenziale. 4. Una forte segregazione spaziale degli insediamenti abitativi predisposti (VITALE – BREMBILLA 2009: 167).

Tutti questi aspetti sono stati spesso oggetto di denuncia da parte di organizzazioni internazionali e della stessa Unione Europea, in particolare per quanto riguardo la politica degli sgomberi. La segregazione è innanzitutto un processo che porta tre tipi di meccanismi: concentrazione spaziale di disagio e degli svantaggi sociali; separazione spaziale del contesto abitativo del gruppo considerato; svalutazione della rendita immobiliare nel contesto abitativo (ivi: 168). Ma non ci sono solo meccanismi che producono ma anche meccanismi che mantengono la segregazione: la stigmatizzazione nella sfera mediatica; la diseguaglianza di istruzione; la diffusione di un‟economia informale(ibid.). L‟insieme di tutti questi meccanismi ha contribuito al mantenimento dello status di segregazione e: Se è vero che alcune istituzioni totali separano i propri abitanti dal flusso della socialità urbana, è pur vero che il campo nomadi è l‟unico dispositivo 79


di azione pubblica residenziale che ha riprodotto i suoi svantaggi di generazione in generazione, cumulando effetti sempre più negativi sulle coorti dei più giovani (ivi: 168-169).

La segregazione produce, in chi la subisce, un rafforzamento dell‟identità e dell‟appartenenza al gruppo e delle forme di socialità nel campo. Di contro si ha la creazione di un confine più forte noi/loro, confine simbolico-identitario che produce «nel rapporto con l‟esterno un forte senso di alterità che risale in generalità in termini di ingiustizia, come sentimento di discriminazione misto a molto fatalismo» (ibid.). Piasere descrive la percezione della presenza zingara in Italia come un fatto antisensoriale, che diventa poi un fatto antisociale totale (Piasere 2005: 213).

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3. I Rom in Sardegna 3.1 Le prime comunità I gruppi zingari maggiormente presenti in Sardegna, in maniera più o meno stabile, sono i Romá Xoraxané, di religione musulmana, i Dassikané di religione cristiano-ortodossa e i Sinti. Non è facile stabilire la loro data di arrivo nell‟isola ma si può ipotizzare la loro presenza continuativa dalla seconda metà del XV secolo alla seconda metà del XVII, sotto il dominio spagnolo (Aresu, in Piasere 2004: 239). Le prime tracce le troviamo negli atti del parlamento convocato nell‟isola negli anni 1553-1554 dal viceré Lorenzo Fernandez de Heredia. Nelle parti in cui si parla delle richieste da parte degli Stamenti sulla tutela dell‟ordine pubblico viene segnalata la presenza di zinganos (singanos) o bohemians (ivi: 245). Massimo Aresu sottolinea alcuni elementi significativi che risaltano negli atti: la preoccupazione maggiore dei ceti dirigenti isolani appare quella di vincolare i gruppi nomadi zingari all‟autorità dei signori feudali sardi, nel sottinteso tentativo di sedentarizzarli forzatamente. La mobilità territoriale, infatti, come per le altre categorie di senza fissa dimora, veniva considerata una minaccia per la tutela dell‟ordine pubblico, e oltre ciò la presenza di gruppi di gens sans-aveu, come li definisce Bronislaw Geremek (1992, p. 93-94), svincolati da ogni legame sociale e non inseriti nel meccanismo dei rapporti di dipendenza alla cui osservanza erano tenuti tutti gli altri membri della compagine sociale, rappresentava un pericoloso fattore di destabilizzazione degli assetti gerarchici riconosciuti (ARESU 2008: 245246).

Lo Stamento ecclesiastico si limitò a chiedere che agli Zingari fosse impedito l‟arrivo nell‟isola a causa dei furti e dei raggiri. Le misure di De Heredia pare fossero rimaste inapplicate, dato che «nella prima metà del secolo XVII nuove misure vennero decretate contro gli zingari presenti nell‟isola ad opera del viceré Alfonso D‟Eril» (ivi: 246). Cambia però la terminologia adottata per definire gli zingari: nei documenti del 155-3-1554 troviamo le parole zinganos (singanos) o bohemien, in un pregone del 1618 si parla di gitans. Dal documento si può ipotizzare un peggioramento della situazione zingara in Sardegna con accuse più 81


gravi che, da quelle sui furti e sui raggiri, arrivano a quelle di omicidi e viene ordinata la loro totale espulsione dall‟isola. Secondo il pregone dovevano inoltre essere sanzionati anche coloro che offrivano ospitalità ai gitani senza sporgere denuncia. Ciò potrebbe essere un indizio del fatto che tra gli autoctoni e gli zingari potessero esistere dei contatti. I documenti ci danno un chiaro resoconto di quali fossero le misure restrittive adottate dal Regno, ma non abbiamo indicazione chiare su una possibile mappatura della distribuzione degli zingari nel territorio né sulle loro attività né sul loro inserimento nel tessuto sociale (ivi: 249). La natura dei documenti consultati non solo permette di delineare diversi aspetti relativi al complesso e controverso rapporto tra zingari e autorità religiose, ma apre uno spiraglio nel quadro generale delle relazioni tra zingari e società sarda d‟ancien régime. Un primo contributo può essere offerto da alcune relazioni relative alle missioni popolari portate avanti dai gesuiti in Sardegna. La Compagnia del Gesù si prodigò infatti nell‟isola nel difficile e improbo compito di estirpare presso le popolazioni locali credenze e pratiche definite come superstiziose (Turtas, 1990, p. 369-412). (…) l‟opera educativa interessò anche gli zingari. La prima segnalazione riguarda l‟incontro di alcuni missionari gesuiti con una comitiva itinerante di zingari, avvenuto nel villaggio di Ortueri (…), il 31 gennaio del 1562 (ARESU 2008: 249).

Altri documenti ecclesiastici testimoniano matrimoni misti che confermano la presenza nell‟isola di gitanos già alla fine del Cinquecento. Diverse fonti sono costituite da disposizioni che dovevano essere effettuate dai parroci col concorso del braccio secolare. Erano soprattutto due i reati commessi dai gitanos: guarigioni secondo la medicina popolare e l‟attività divinatoria. La condanna di queste pratiche faceva parte della difesa del monopolio della chiesa nel settore simbolico-rituale e la repressione più pesante arrivava proprio dall‟autorità ecclesiastica. Nei riassunti e nelle relazioni dei processi del tribunale del Sant‟Uffizio in Sardegna si possono trovare: sia riferimenti diretti alla presenza nell‟isola di gitani dediti a pratiche superstiziose o altre attività illecite, sia riferimenti indiretti relativi a tecniche magiche e di guarigione da essi trasmesse, e entrate nell‟uso popolare (ivi: 253).

L‟apparato probatorio, accusatorio e giudicante dell‟Inquisizione aveva un fine pedagogico, fondato sulla paura, che doveva disciplinare quei gruppi che 82


andavano contro i processi di inculturazione. Tra le accuse le più ricorrenti erano quelle legate all‟arte divinatoria. Come riferisce Aresu, gli inquisitori assumevano un comportamento piuttosto indulgente «nei confronti di coloro che praticavano l‟esercizio della buona ventura» (ibid.). Ciò che emerge dalle fonti è limitato ma si possono comunque individuare dei dati importanti, come la provenienza degli zingari in Sardegna. Dagli antroponimi è possibile ipotizzare la loro origine dalla penisola iberica: «Il cognome Fustamante, in particolare, appare una variante dei cognomi gitani De Bustamante, Bustamante, attestati in Spagna fin dalla seconda metà del Cinquecento» (Sanchez Ortega, in Aresu 2008: 258). Sembra accertato anche l‟arrivo dal sud Italia, in particolare dalle aree del mezzogiorno Interessate dall‟ondata migratoria che, a partire dalla fine del Quattrocento, a causa della penetrazione turca nell‟area greco-balcanica, determinò lo spostamento di nuclei di popolazione di cultura ellenofona (tra cui anche rom) verso l‟Italia del sud. Tale ipotesi sembra infatti ricevere conferma dall‟appellativo gringo con cui erano denominati gli zingari in Sardegna (ARESU 2008: 259).

Diversi elementi dimostrano che gli zingari fossero abbastanza inseriti all‟interno del tessuto sociale, nonostante esistessero ostilità e frizioni con la popolazione autoctona. Il contrasto non ha impedito il formarsi di un quadro che Aresu definisce di “organicità conflittuale” «in cui atteggiamenti di paura e di sospetto si alternano a comportamenti di sostanziale accettazione» (ibid.). Più problematici risultavano i rapporti con le autorità laiche e religiose, anche se, nell‟isola, gli episodi di repressione non erano così frequenti come in altri stati europei. Tra l‟altro, la presenza di documenti attestanti che gli zingari prendessero parte non solo alla vita economica ma anche a quella religiosa, testimonia un certo grado di assimilazione culturale, tipica dell‟area mediterranea (ibid.). A distanza di quasi mezzo millennio dagli avvenimenti riportati, questa grande permeabilità sociale sembra essersi mantenuta, assumendo quasi nella sua lunga durata una dimensione braudeliana. Ci piace pensare che non sia casuale che ancor oggi uno dei pochi esempi di convivenza fianco a fianco tra la minoranza rom e i gage si realizzi proprio a Monserrato. È un rapporto difficile, segnato talvolta da conflitti e incomprensioni, ma la cui 83


qualità, grazie anche ai reciproci sforzi di riconoscimento, appare di certo superiore allo standard di insofferenza cui sembra ispirato l‟ordinario rapporto tra rom e gage, in un‟Italia sempre più permeabile a rigurgiti razzisti e intolleranti (ARESU 2009: 68).

Gli Zingari nella Sardegna contemporanea A tutt‟oggi non abbiamo delle stime esatte sulla presenza degli zingari in Sardegna, e le poche esistenti risalgono al 2002 da uno studio svolto da Pireddu e Zurru55 in cui si contavano in tutto 752 unità presenti in 15 comuni (2002). La presenza dei nomadi in Sardegna può essere stimata intorno alle 750 unità, strutturate in circa 115 nuclei famigliari. I territori interessati sono 14, quelli indicati nella cartina: Cagliari (155 persone), Monserrato (32), Selargius (56), Carbonia (52), San Gavino (25), Pabillonis (16), San Nicolò d‟Arcidano (68), Oristano (13), Macomer (12), Nuoro (20), Alghero (52), Sassari (80), Porto Torres (59) e Olbia (83). Comuni

Nr. nuclei familiari

Nr. persone totali

Alghero

7

54

Cagliari Carbonia

25 4

155 52

Ghilarza Olbia Porto Torres

4 17 12

27 83 59

San Nicolò Arcidano Sassari

11

68

10

80

Selargius

10

56

Monserrato Nuoro

5 1

32 20

Pabillonis

1

16

Macomer

3

12

Tipologia insediamento

Garanzia servizi vari

Presenza servizi di collegamento

Campo provvisorio (concesso ma non a norma) Campo sosta regolare Insediamento sparso abusivo Campo sosta regolare Campo sosta regolare Campo provvisorio (concesso ma non a norma) Campo sosta regolare

Insufficienti

Efficienti

Precari Inesistente

Insufficienti isolamento

Dato non f. Precari Precari

Efficienti Efficienti Isolamento

Funzionanti

Efficienti

Campo provvisorio (concesso ma non a norma) Campo provvisorio (concesso ma non a norma) Campo sosta regolare Campo provvisorio (concesso ma non a norma) Campo provvisorio (concesso ma non a norma) Insediamento urbano

Precari

Efficienti

Precari

Insufficienti

Buoni Precari

Efficienti Isolamento

Precari

Dato non f.

Buoni

Dato non f.

55

Il testo dello studio citato è disponibile presso il sito http://www.albertomelis.it/albertomelis_zingari_pireddu_zurru.htm e fa parte degli atti del convegno “Il Viaggio dei Rom. Una storia di difficile scrittura” svoltosi Monserrato, il 21 ottobre 2002 (consultato il 24/08/2011).

84


Oristano

2

13

San Gavino

4

25

regolare Campo provvisorio (concesso ma non a norma) Insediamento sparso abusivo

Precari

Insufficienti

Inesistente

Insuffcienti

Lo studio di Pireddu e Zurru, oltre che aver dato un quadro statistico sulle presenze dei rom nellìisola, è importante per capire le politiche attuate in materia di integrazione, urbanistica e gestione dei servizi grazie, soprattutto, alla legge regionale 9/88, meglio nota come legge Tiziana (Melis 1995: 177). Quello che emerge dalla tabella stilata dai due studiosi, è che le comunità si trovano inurbate, o comunque “urbanizzati”. La maggior parte degli insediamenti sono strutturati in campi provvisori, concessi dai Comuni, e non a norma: «gli unici campi regolari sono quelli di Ghilarza (ora chiuso per l‟assenza dei nomadi), Cagliari, Olbia, San Nicolò d‟Arcidano e Monserrato» (Pireddu – Zurru 2002). Dopo 14 anni dalla nascita della legge che mette a disposizione degli enti pubblici importanti finanziamenti Il 40% circa dei nomadi presenti in Sardegna vive ancora in condizioni forzosamente difficili in campi carenti delle più elementari norme igieniche. Non è stata sufficiente dunque la semplice presenza di garanzie legislative per migliorare le condizioni basilari della vita quotidiana: un tetto sicuro sotto il quale vivere. Sono troppe le amministrazioni che non hanno saputo approfittare di queste disponibilità finanziarie ad hoc, mentre qualcun‟altra (vedi il caso di Monserrato) ha creato strutture di accoglimento senza far riferimento alla legge Tiziana ma a fondi propri (ibid.).

Quello che è lontano dalla realtà è l‟uso del termine “nomadi”, poco consono alla situazione dei Rom che vivono ormai da decenni in modo stanziale nei campi della Sardegna, ma anche dell‟Italia, e più in generale dell‟Europa.

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3.2. La L.9/88 o Legge Tiziana e i primi passi verso l’integrazione In seguito alla morte di una bambina rom, di nome Tiziana, in un campo alla periferia di Cagliari negli anni ‟80, ci fu una mobilitazione politica e sociale che portò alla formulazione della L. 9/88 o “Legge Tiziana”. La legge: nasce con un bilancio annuale consistente (più di un miliardo); consente un utilizzo di fondi non solo alle Province, Comuni ed altri enti locali ma anche ad enti privati costituiti con atto pubblico; mira a favorire la conoscenza e la tutela delle forme espressive, delle tradizioni culturali e delle produzioni artistiche e artigianali degli zingari; allarga la possibilità di erogazione anche ai convitti per ciò che attiene alle varie iniziative di istruzione, offre una particolare attenzione ai bambini in età scolare (cercando di mantenere la giusta distanza di riguardo verso le specificità identitarie degli zingari); consente alle Province e ai Comuni di realizzare, gestire e fare la normale manutenzione dei campi sosta e transito adeguatamente attrezzati; consente, infine, di utilizzare dei danari per ciò che attiene alla formazione professionale al fine di spezzare quella esclusione secolare degli zingari dal mercato del lavoro gagé, nella possibilità di garantire la valorizzazione delle attività tradizionalmente artigianali che hanno connotato per lungo tempo le specifiche manualità della popolazione zingara. (PIREDDU – ZURRU 2002).

La legge, a parere di Zurru e Pireddu, sembra muoversi nella direzione del dialogo tra Rom e Gagé per cercare di costruire un rapporto che non sia fatto solo di sgomberi e controlli ma di interrelazioni, collaborazioni e coinvolgimento in attività che promuovono il rispetto fra le due parti. Il meccanismo procedurale, assolutamente semplice nelle relazioni tra i soggetti proponenti progetti finanziabili con la legge 9/88 e la Regione Autonoma della Sardegna (RAS), consente la copertura del 100% delle spese per quasi tutte le iniziative previste tra cui quella fondamentale dell‟acquisto del terreno e della realizzazione delle opere di infrastruttura nei campi di sosta e transito. (…) al momento dell‟emanazione della legge, la cifra stanziata ogni anno per la realizzazione di tali iniziative non era di poco conto, 1 miliardo e 50 milioni di vecchie lire.

I presupposti sono buoni ma, come fanno osservare Pireddu e Zurru, non si possono assegnare fondi a tavolino senza una reale conoscenza di quelli che dovrebbero essere i soggetti beneficiari, tramite interviste anche verso gli operatori sociali. I due studiosi riconducono la difficoltà nel condurre l‟indagine alla propensione di movimento dei “nomadi”, anche se è più giusto ricondurre questa difficoltà al rifiuto da parte dei rom a far conoscere le proprie generalità. Il 86


nomadismo non è più una caratteristica che si può generalizzare a tutti i rom. Se si spostano, lo fanno per brevi periodi e per tornare al paese d‟origine o per altri motivi oppure per via degli sgomberi, ma non è il caso della Sardegna. O almeno non sempre. Anche la legge parla di “nomadi” e della loro tutela, escludendo quindi chi non pratica più quello di vita dai programmi di inclusione e inserimento lavorativo, sociale e abitativo. Altro elemento critico è quello che riguarda l‟erogazione di fondi per la progettazione di campi sosta o di transito (L. 9/88, art. 12, comma 1, lettere a) e b)), anche se, all‟art. 7 si afferma che: “I Comuni adottano opportune iniziative atte a favorire l‟accesso alla casa delle famiglie nomadi che facciano la scelta della vita sedentaria, utilizzando a tal fine leggi vigenti e in particolare le agevolazioni previste dal Fondo Sociale Europeo”

In pratica si lascia la responsabilità ai fondi europei e non a quelli stanziati dalla “Tiziana”. Il termine “campo” denota in sé un significato negativo segregazione, marginalità e provvisorietà – e non va di sicuro nella direzione dell‟inclusione nel tessuto sociale. L‟Italia è stata più volte richiamata da organi internazionali, quali l‟ONU e la Commissione Europea contro il Razzismo, per rimediare al problema dell‟emarginazione (Madau – Mariotti, in Nodari – Rotondi 2007: 213). Il punto positivo può essere tuttavia individuato sempre nell‟art.12, comma 1, lettera c) in cui la L. 9/88 destina i fondi per «progetto o progetti di iniziative di scolarizzazione, istruzione, formazione professionale, con annesso preventivo di spesa». Occorre, purtroppo, riconoscere che il bilancio complessivo del modello-campo è assolutamente negativo, visto che a distanza di molti anni i campi sosta regolari sono presenti solo in otto Comuni (Alghero, Cagliari, Ghilarza, San Nicolò d‟Arcidano, Selargius, Porto Torres, Sassari e Olbia), dove “regolare” non significa necessariamente efficiente e, lungi dal funzionare come luoghi di inserimento, di integrazione, di incontro fra culture, si caratterizzano soprattutto come spazi di emarginazione (ivi: 215)

Il problema non è solo la concezione di campo in sé, ma l‟idea costante che ci debba essere per forza un legame tra il “campo” e i “rom” e, di conseguenza, tra “rom” e “nomadismo”. Anche perché, come fa notare la Madau nell‟articolo, l‟Italia, secondo quanto stabilito dall‟ERRC e dal Comitato Europeo per i Diritti Sociali, «viola il diritto dei rom e dei sinti all‟accesso ad abitazioni adeguate, 87


garantito dalla Carta Sociale Europea» (ibid.). Nonostante in realtà come quella di San Nicolò d‟Arcidano la comunità rom sia ben integrata nel tessuto sociale, l‟emarginazione è sempre un problema. Non solo rallenta il rafforzarsi di interazioni con la popolazione autoctona, ma crea difficoltà di carattere logistico essendo lontano dal centro e dalle attività economiche di cui usufruiscono. Inoltre, non sempre le amministrazioni locali riescono ad attivare progetti in quanto spesso trovano lo sfavore da parte degli autoctoni: «sarebbero stati più criticati se avessero “mosso” i fondi, che non in caso contrario» (Melis 1995: 181).

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La legge regionale sulle minoranze linguistiche La Conferenza regionale della lingua sarda, svoltasi a Macomer nel novembre 2008 ha avuto come tema principale La diversità linguistica in Europa, Italia e Sardegna. Oltre al ribadire l‟urgenza, da parte della RAS, di dotarsi di una legge di politica linguistica volta a salvaguardare il sardo, si è data attenzione al mancato riconoscimento, in Italia, della minoranze linguistiche Rom e Sinte e alla loro quotidiana discriminazione. Il dibattito ha poi portato al DDL concernente “Norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua sarda e delle altre varietà linguistiche della Sardegna”56, con il quale la RAS, all‟art. 4 Rapporti con le altre comunità linguistiche comma 2 si impegna a promuovere la collaborazione tra le minoranze storiche (sardo e catalano) ocn le altre varietà linguistiche presenti sul territorio, inserendo tra esse anche quelle dei Rom e dei Sinti: La Regione promuove, altresì, rapporti di collaborazione tra le minoranze linguistiche di identità storica sarda e catalana con le altre varietà linguistiche presenti nel territorio: la sardo-corsa (sassarese, gallurese) e ligure (tabarchina). Particolare attenzione viene posta anche alle varietà linguistiche venete di Arborea, istriane di Fertilia e agli idiomi delle popolazioni nomadi (Rom, Sinti) e immigrate di recente.

56

http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_74_20081223154316.pdf (consultato il 12/11/2011)

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3.3 La comunità Kanjarija di San Nicolò Arcidano Era il 1988 quando, a San Nicolò d‟Arcidano, piccolo paese della provincia di Oristano, arrivarono alcune famiglie Rom, in Italia già da un paio di anni. La comunità conta all‟incirca 100 persone, regolarmente iscritte all‟anagrafe comunale, delle quali una quarantina minorenni che frequentano le scuole materna, elementare e media. La comunità è divisa in 14 nuclei familiari e quasi tutti con anziani o minori a carico. Con i fondi della legge 9/88 il Comune ha dotato, nel 1999, le famiglie di un campo sosta e di transito non ultimato a causa dei pochi fondi, sito alla periferia del paese in località “Su riu „e sa murta”. Un ulteriore finanziamento del 2007 ha dato la possibilità di sistemare il campo con il miglioramento dei servizi igienici e delle infrastrutture di collegamento con il centro urbano. In seguito all‟incendio avvenuto il 10 luglio del 2011, durante il quale era presente soltanto una famiglia del campo, sono andate distrutte quasi tutte le baracche, causando ingenti danni che hanno portato alla perdita di veicoli, materiale da lavoro, elettrodomestici, biancheria…Per tutta l‟estate i rom sono stati sistemati nelle tende della Protezione Civile nel campo sportivo dove sono stati aiutati, oltre che dall‟Amministrazione Comunale, dalla Caritas e dalla Co.A.G.I, soprattutto dalla popolazione autoctona. Io ero andata per la prima al campo alla fine di luglio, accompagnata da un volontario dell‟OperaNomadi Sardegna e mi aveva colpito molto l‟organizzazione con la quale si erano sistemati in quel campetto da calcio nonostante la polvere e le temperature che sfioravano i 40°C. Gli unici punti d‟ombra erano forniti da due alberi, dal tettuccio degli spogliatoi e dalle tribune fatiscenti. Alla sinistra del campo c‟erano le tende cariche di polvere che faceva fatica a tenere pulite. Alla sinistra i due alberi, un camper e alcune sedie, una sorta di salotto improvvisato. Gli spogliatoi erano un continuo viavai di mamme che lavavano i panni e si prendevano cura dei bambini. Non credo abbiano fatto molto caso della mia presenza all‟inizio, erano presi da problemi ben più gravi del parlare con una gagé. C‟è chi chiedeva cosa ne sarebbe stato dei permessi di soggiorno, delle assicurazioni, dove avrebbero potuto chiedere un risarcimento, qualora ci sarebbe stato, e i bambini che continuamente si lamentavano per aver perso libri, 90


quaderni e due cuccioli di rottweiler. Non ho avuto il tempo di fare molte domande, ascoltavo e poi uno di loro mi ha chiesto se avessi idea del posto in cui vivevano prima dell‟incendio. Non avevo mai visto il campo, in realtà non ero mai stata dentro un campo fino ad allora. Ho sempre visto quelle immagini tramite la tv, il film Snatch e le canzoni di de André. Un‟immagine troppo stereotipata ma che in quel momento rifletteva bene la realtà. Mi hanno portata al campo incendiato. La differenza con il campetto da calcio si notava subito. Prima di tutto la temperatura. Nonostante fossero passati 10 giorni dall‟incendio, si sentiva ancora il caldo dei rottami, l‟odore acre di due cani e delle galline bruciati e si respirava ancora tanta cenere. Lì c‟erano dei ragazzi che cercavano di recuperare qualche pezzo di ferro da rottamare, e dei bambini che giocavano tra la polvere a una sorta di “Caccia al tesoro”. Prendevano tutto ciò che per loro potesse essere interessante e mostravano il loro trofeo soddisfatti. «Questo era il mio diario e lì c‟erano i miei quaderni!». Le mie visite al campo in quel periodo non sono mai state frequenti. Ho sempre pensato che, in una situazione del genere, sarei potuta essere più d‟intralcio che d‟aiuto. L‟aiuto era già arrivato da gran parte della popolazione: Nonostante fosse un brutto episodio, abbiamo scoperto che gli arcidanesi sono stati molto solidali e molto disponibili. C‟è gente che ci invitava a cena e ci faceva lavare dentro casa. Addirittura ci invitava a dormire. Da queste cose si riesce a capire di essere ben accetti nel proprio paese.

Avevo già avuto modo di parlare con il sindaco del paese sulla situazione dei Rom, con alcune insegnanti e con un‟operatrice sociale della Co.A.G.I., la cooperativa sociale che ha in gestione il centro d‟aggregazione e che ha avuto in mano un progetto per aiutare gli alunni rom a scuola. Il quadro che mi è stato descritto ha molti aspetti positivi, ma anche delle criticità. Gli aspetti positivi/negativi sono saltati fuori il giorno dell‟inaugurazione del campo-sosta. Le famiglie Rom, con l‟amministrazione e l‟OperaNomadi Sardegna hanno invitato tutto il paese, oltre le presenze istituzionali, al tagli del nastro. La mattina, intorno alle 10, abbiamo sistemato i tavoli, fuori dalle baracche, per i dolci, le bibite, e per i libri sulla storia dei Rom che l‟OperaNomadi ha dato in regalo a chiunque li volesse prendere. Nel giro di pochissimo tempo sia il cibo 91


che i libri erano finiti! All‟inaugurazione ci saranno state sulle 200 persone che, dopo l‟incendio, si erano mostrate solidali con i loro compaesani offrendo loro anche ospitalità nelle proprie case. In quasi trent‟anni di convivenza non ci sono mai stati grossi problemi, nonostante alcune voci facessero pensare il contrario. Durante il discorso inaugurale del Sindaco, il quale ribadiva l‟importanza della solidarietà, dell‟impegno e del rispetto reciproco, qualcuno ha sussurrato che «Ormai ce li abbiamo, e li dobbiamo tenere». Voce isolata ma alquanto significativa. Com‟è stata significativa la curiosità degli alunni delle medie verso i libri, richiesti con la frase di: «Al di fuori dell‟ambito scolastico o delle nostre uscite ci conosciamo solo di persona, però mi piacerebbe conoscere anche la loro storia». Mi ha colpita soprattutto una ragazza che mi ha detto: «A scuola non tutti li accettano, a volte li prendono in giro, ma noi li conosciamo e, negli anni, abbiamo imparato ad essere amici». Dopo pochi minuti un‟insegnante mi aveva confidato che le barriere più grandi sono quelle poste dai genitori. A volte capita che, al momento di iscrivere i propri figli a scuola, ci sia la precisa richiesta di non inserire i propri figli nelle stesse classi dei rom. La festa, poi, è continuata in tarda mattinata con un convegno dal titolo “Identità sarda e identità rom. Quali problemi e quali opportunità”, al quale hanno partecipato il presidente provinciale dell‟associazione Intercultura Roberto Marongiu, il Prefetto Giovanni Russo, il presidente della CARITAS della diocesi di Ales – Terralba M° Dettori, l‟Assessore provinciale alle politiche sociali Alessandro Murana, il Sindaco Emanuele Cera, la presidente della Cooperativa Co.A.G.I. Adriana Coni e la rappresentante della comunità Rom Sabrina Milanovic. In realtà di identità si è parlato ben poco. L‟unico ad aver fatto accenno alla questione è stato il presidente di Intercultura che ha parlato dell‟importanza della diversità, del confronto, che stanno alla base del progetto Intercultura. Marongiu ha ribadito più volte, durante il suo intervento, che oggi non si può più parlare di identità ferme, stabili (se mai sono esistite) e che bisogna pensare all‟uomo come “cittadino del mondo”. Sabrina, la “portavoce” della comunità, ha incentrato il discorso sull‟importanza del mandare i bambini a scuola.

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La scuola per loro era molto difficile da poter accettare perché erano sempre stati un popolo nomade. Queste sono difficoltà che ancora purtroppo esistono anche se meno, perché da quando i bambini hanno iniziato a frequentare la scuola materna le cose sono iniziate a cambiare, nel senso che i bambini hanno iniziato a conoscere la lingua italiana già dai tre anni, e questa è una caratteristica importantissima, perché si inizia già da piccoli ad apprendere. Lo so per esperienza personale perché io, ma non solo, oltre altri ragazzi, non abbiamo frequentato la scuola materna. Eravamo arrivati alle elementari senza sapere né scrivere né leggere, e tantomeno conoscevamo la lingua. Pian pianino abbiamo imparato anche se con molte difficoltà ma ci siamo riusciti. Questo grazie ai nostri genitori che hanno continuato a mandarci a scuola nonostante non volessimo frequentare. E questo anche grazie agli insegnanti che hanno insistito e hanno dato la propria disponibilità affinché noi imparassimo e ci integrassimo anche se era difficilissimo. All‟inizio c‟era un distacco molto forte avendo un‟altra cultura e un altro modo di vivere. Oggi la scuola per noi di Arcidano non è più vista come un obbligo ma come una via di apprendimento e di insegnamento per i ragazzi.

La sua testimonianza e il suo ruolo all‟interno della comunità, nonostante abbia poco più di 20 anni, sono d‟esempio per i ragazzi in età scolare che, con mille difficoltà, si impegnano per andare bene a scuola. Difficoltà dovute soprattutto alla mancanza di scolarizzazione di molti genitori, spesso semianalfabeti, che non riescono ad aiutare i propri figli con i compiti anche se fanno in modo di motivarli ad andare a scuola. Un padre mi aveva detto: «Non voglio che i miei figli vivano e crescano solo nel campo, lontani dagli altri bambini. Voglio che da grandi abbiano un diploma, un lavoro onesto e soprattutto una casa vera, non una baracca». Queste aspirazioni sono condivise per lo più da molti, stando attenti però a non rinnegare la propria identità di “zingaro”.

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La scuola come terreno dell’integrazione Negli ultimi anni le istituzioni – in particolar modo Comune e Scuola – e gli operatori sociali – assistenti sociali e volontari – si sono occupati del “problema nomadi57” in termini di coinvolgimento e di impegno per quanto riguarda, soprattutto, l‟inserimento scolastico. Le famiglie rom si sono viste coinvolte in una serie di progetti che, dal 2007 ad oggi, hanno avuto come obiettivo principale la lotta alla dispersione scolastica. Da quanto è emerso dalle interviste o dalle semplici conversazioni avute con gli stessi rom o con gli insegnanti, il tema della scuola

è

visto

come

fondamentale

per

non

continuare

a

vivere

nell‟emarginazione e per permettere ai bambini un futuro diverso da quello che solitamente si prospetta a chi vive in un campo e senza istruzione. Tra i vari progetti volti all‟integrazione a al dialogo interculturale, vi è quello della Scuola Secondaria di primo grado destinato agli alunni rom per favorire la loro integrazione e il miglior risultato scolastico e offrire alle famiglie un supporto per incoraggiare i propri figli ad andare a scuola, dal titolo “Verso il mio futuro: studio e mi preparo nella scuola secondaria” e svoltosi nell‟anno scolastico 2007/2008. Dalla relazione del progetto si nota come, negli anni, il livello di istruzione e partecipazione scolastica sia migliorato, nonostante le difficoltà da parte dei genitori a seguire i figli nei compiti a causa del loro semianalfabetismo. Anche il rapporto con gli altri bambini è migliorato e si sono create delle amicizie che vengono coltivate anche al di fuori della scuola. La difficoltà maggiore riguarda l‟uso della lingua italiana in quanto «gli alunni della Comunità Rom parlano in famiglia la loro lingua (…) e conoscono l‟italiano in modo imperfetto». Dato che non ho riscontrato queste difficoltà, almeno per quanto riguarda i bambini in età scolare, si può affermare che il lavoro scolastico sia andato, in questo senso, a buon fine. Un altro progetto, dal titolo “Una scuola per tutti”, (A.S. 2008/2009) ha avuto come obiettivo primario la realizzazione nei confronti degli alunni ROM [di] un‟accoglienza e dei percorsi formativi mirati al rispetto, all‟attenzione individualizzata, al rapporto personale basato sulla fiducia e al positivo inserimento nel gruppo-classe, in modo che 57

Il binomio “nomadi – problema” appare molto spesso nelle relazioni dei progetti scolastici, nonché nei discorsi di chi ha importanti cariche istituzionali.

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crei un‟esperienza valida, che indirizzi ciascun individuo ad un ruolo nella vita sociale e lavorativa il più possibile costruttivo ed equilibrato

e sottolinea l‟importanza «dell‟integrazione come interazione e scambio fra culture diverse». Nella premessa al progetto da una parte si sottolineano i progressi del processo di inserimento scolastico che hanno facilitato anche l‟inserimento sociale, dall‟altra si sostiene che «i bambini appartengono a una cultura i cui valori, regole, abitudini, usi e tradizioni sono profondamente diversi rispetto a quelli del contesto socio-culturale in cui vivono e talora in aperto contrasto. Se ormai essi possono essere considerati semisedentari o sedentari, il nomadismo rimane come condizione mentale, sebbene in crisi di identità». L‟ultima frase lascia un po‟ di perplessità visto e considerato che il nomadismo è una condizione, più che mentale e culturale, dovuta a spostamenti derivate da esigenze di tipo economico o di altro genere. E parlare di condizione mentale lascia intendere anche un velo di pregiudizio e di razzismo. La Storia ci insegna infatti che non tutte le popolazioni zingare hanno praticato il nomadismo e che i modi di vivere delle popolazioni cambiano a seconda dei mutamenti sociali, economici, culturali e ambientali. Non sono condizioni mentali, ma fatti sociali, culturali, economici. E l‟Antropologia insegna che certi atteggiamenti propri di alcune culture non sono dettate da “innatismo” ma, appunto, dalle esigenze economiche e sociali che quel gruppo sente più adatte per la sua sopravvivenza Dall‟argomentazione si potrebbe desumere che, dietro all‟alibi del nomadismo – il quale non viene usato solo dalla scuola ma anche da altre istituzioni – sia nascosta una sorta di scusante per raggirare il problema. Sostenendo la tesi della non-stanzialità si potrebbe cadere nell‟errore di tralasciare aspetti, quali l‟educazione, l‟incontro, o anche lo scontro, perché tanto, prima o poi, i nomadi, se ne andranno. Ma non sembra questa l‟idea delle persone che vivono ad Arcidano da 30 anni, tantomeno dei più piccoli, i quali, alla domanda “Di dove sei?” rispondono “Di San Nicolò!”. Per dirla con Soravia «La definizione “nomadi” è un fariseismo linguistico travestito da democrazia»(Sigona, in ragato – Menetto 2007: 29). Altra frase del progetto che lascia trasparire punte di pregiudizi è la seguente: «Nella comunità zingara la regola non nasce da un accordo comune per la convivenza, ma da un continuo processo di adattamento a 95


realtà che mutano. I bambini crescono inventandosi la vita sulla base degli impulsi, degli istinti, dei bisogni. Appare evidente che l‟incontro con la nostra società e con la scuola sia per loro difficile perché richiede l‟adattamento ad una realtà completamente fondata e strutturata sulle regole e sul loro rispetto. Il bambino zingaro, quando viene a scuola, vive questo dualismo». Non so con quali bambini abbiano avuto a che fare, di sicuro non con quelli che ho conosciuto io. Certo alcune regole possono essere diverse dalle nostre, ma da qui ad affermare che i bambini vivano sulla base degli istinti come fossero in completa anarchia ce ne passa. Il rispetto che si vive nelle famiglie Rom è, per certi versi, diverso da quello che si può vivere nella tipica famiglia italiana (sempre che ne esista una). Se si facesse leggere questa frase a un Rom risponderebbe sicuramente così: «Per noi è rispetto tenere i nostri anziani in casa e non mandarli nelle case di riposo». E soprattutto, da quanto affermano anche molti insegnati, i genitori Rom rispettano molto il ruolo della scuola. Più maestre mi hanno detto: «È abbastanza raro che un genitore italiano si arrabbi con il proprio figlio se prende una nota. È molto più facile che se la prenda con noi insegnanti e a volte può capitare anche una denuncia. Con i genitori Rom è diverso. Hanno molto rispetto del nostro lavoro e vogliono che i loro figli vadano bene a scuola». Da una parte si dice che i Rom non conoscono le regole, dall‟altra li si descrive come un gruppo di anarchici che agiscono tramite istinto come gli animali. Purtroppo questo atteggiamento porta alcuni insegnanti a ritenere che il lavorare con alunni Rom (o stranieri in generale) sia di per sé inutile e controproducente. Parlando con diverse insegnanti, non solo di Arcidano, ho riscontrato che solo una piccola parte pare abbia interesse a muoversi nel campo del dialogo interculturale anche con il supporto di esperti che possano sostenere il loro lavoro con corsi di formazione e informazione. Nel mese di novembre, ad esempio, ho partecipato ad un seminario organizzato dal MEIC58che aveva come titolo “La revisione dei curricoli scolastici in chiave interculturale” nella scuola media di Cabras. Il seminario verteva sulla necessità, se non addirittura sull‟urgenza di cambiare la didattica per far fronte 58

Movimento Ecclesiale per l‟Impegno Culturale.

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alle diversità culturale che il fenomeno dell‟immigrazione ha portato in Italia, e anche nelle scuole. Al corso, al quale sono stati invitati tutti gli insegnanti della provincia di Oristano, si sono presentati in 15. Considerando che gli alunni stranieri nelle scuole della provincia arrivano alle 200 unità circa59, e aumenteranno, il numero dei docenti presenti al corso è risultato esiguo. Ciò che è scaturito dai vari interventi è un quadro preoccupante. Emerge, infatti, una sorta di sottovalutazione del problema, se non addirittura di indifferenza. Gli insegnanti presenti hanno spesso puntualizzato il fatto che, molti dei loro colleghi, non vedessero di buon occhio un‟educazione di tipo interculturale e che ribadissero un‟educazione che punta all‟insegnamento dell‟italianità. L‟alunno straniero è visto come un soggetto da acculturare, al quale far dimenticare le proprie origini in modo tale da renderlo accettato dalla società. Atteggiamento poco scientifico, oltre che dannoso, che ha bisogno ancora di essere ribaltato per far sì che gli insegnati si abituino all‟idea di una società in continuo mutamento e in continua evoluzione. Il sentimento che porta gli insegnanti a pensare essi stessi come stranieri in classe è normale per chi si trova ad affrontare la multiculturalità per la prima volta (Favaro 2011: 22). Ed è stato così anche a San Nicolò quando la scuola ha sentito la necessità di intraprendere un percorso di scambio culturale tra i bambini Rom e i bambini di Arcidano. Negli anni scolastici 2005/2006 e 2006/2007 alcune classi quinte della scuola elementare hanno partecipato a diversi progetti in collaborazione con l‟associazione culturale “L‟aquilone di Viviana”. Non tutti i docenti erano d‟accordo nel far partire il progetto in quanto convinti che la vera integrazione dovesse passare solo attraverso i valori italiani, e sardi in particolare. Il primo progetto è consistito nel raccontare la storia del popolo rom in forma di fiaba e, durante il corso dell‟anno , sono state coinvolte alcune nonne romnì le quali sono andate nelle classi a raccontare racconti e leggende popolari della loro tradizione. Il progetto prevedeva pure un laboratorio di teatro durante il quale i bambini sono entrati per la prima volta in contatto “fisico” tra loro tramite il gioco. All‟inizio, secondo quanto riportato sia da un‟insegnante che da un ragazzo dell‟associazione, la 59

Secondo i dati dell‟Ufficio Scolastico Provinciale, nelle scuole della provincia di Oristano si è passati da 59 presenze nell‟A.S. 2000/2001 a 191 presenze nell‟A.S. 2007/2008.

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diffidenza nel prendersi anche solo per mano era tanta. Con il gioco e il racconto di fiabe inventate dagli stessi bambini le barriere sono cadute e i rapporti sono ancora saldi. «Ricordo che all‟inizio certi bambini provavano paura a toccarsi tra loro, se non addirittura ribrezzo». Sempre nell‟ambito scolastico e contro la dispersione si è mosso il progetto Incontr-ARCI. Progetto per l’integrazione culturale della popolazione ROM che ha previsto la realizzazione del Centro Multiculturale,

luogo

di

supporto

extra-scolastico

per

la

promozione

dell‟incontro e del dialogo. Il progetto non è stato rivolto solo ai bambini ma anche agli adulti, per i quali si prevedeva un corso di alfabetizzazione e piani di inserimento lavorativo. L‟elemento chiave di tutto il progetto è stato però la figura del mediatore culturale che ha il compito di informare sui pregiudizi e gli stereotipi che colpiscono sia la cultura di provenienza degli immigrati sia quella della società che li accoglie; da questo lavoro ci si pone l‟obiettivo di promuovere un‟attenzione attiva e cosciente verso gli immigrati e, infine, svolgere attività di consulenza con gli operatori pubblici. Il progetto si è concluso con la realizzazione di una festa che ha visto coinvolta l‟intera comunità Rom la quale si è “presentata” al paese con i propri balli tradizionali, il proprio cibo e le proprie storie. Racconta Sabrina: da quando è iniziato il centro di aggregazione nel 2009, il quale comprendeva la frequenza pomeridiana, sia dei bambini rom che italiani, facendo sì che in questo spazio pomeridiano i bimbi stessero insieme a stretto contatto giocando e svolgendo moltissime attività ludiche, il distacco è diminuito parecchio. In quell‟anno non è arrivato solo il centro ma assieme alle persone che lavoravano lì era venuta fuori l‟idea di fare una manifestazione nella quale noi avremmo dovuto ballare i nostri balli tradizionali e avremmo dovuto preparare i piatti tipici della nostra cucina. Infatti era andata in porto ed era andata super benissimo. All‟evento ha partecipato molta gente incuriosita ed è rimasta molto soddisfatta. Abbiamo ricevuto un sacco di complimenti e un pochino tutti ci hanno detto che non si aspettavano una cosa del genere. Questo ha favorito molto il dialogo fra gli arcidanesi che hanno da tempo più radici e noi.

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Criticità In mesi di indagine ho potuto rilevare sia aspetti positivi che varie criticità. Innanzitutto il campo, luogo di emarginazione nella periferia del paese che impedisce di fatto lo svilupparsi di rapporti che potrebbero migliorare la situazione sociale della comunità e la frequenza scolastica dei bambini. Altro punto il finto buonismo di parte delle istituzioni che trattano il convivere con i Rom come un problema da risolvere e non come un‟occasione di incontro e di confronto. Il modo in cui si parla dei Rom è carico di pregiudizi. La frase che più si sente, nelle scuole, nel Comune, nelle parrocchie, è sempre quella secondo cui lavorare con loro bene è impossibile, o quasi. Il pregiudizio di fondo è il loro presunto nomadismo - proprio ad Arcidano si può parlare assolutamente di sedentarietà – il quale viene usato come alibi per l‟attuazione di politiche instabili e senza lunga durata. Dalla scuola si sente spesso dire che, essendo loro nomadi, o essendo il nomadismo una “condizione mentale”, un vero inserimento e un vero successo scolastico è un‟utopia: «Sono zingari, sono loro a non volersi integrare, sono restii alla disciplina e all‟organizzazione. Oggi sono qui, domani possono essere altrove». Questa posizione fa cadere ogni responsabilità morale dalla scuola adducendo le loro condizioni di vita precarie semplicemente alla loro cultura. Il chiedere, l‟insistere, il rifiuto ad avere un lavoro appaiono, alle istituzioni, come insiti nel loro DNA, sono valori innati. L‟Antropologia culturale, per fortuna, è andata ben oltre queste teorie “lombrosiane” e credo possa dare un supporto scientifico concreto a tutte quelle situazioni che vedono il pubblico (ma anche il privato) “costretto” a interagire, vuoi per sicurezza, vuoi per politiche di integrazione, con le realtà “altre” e che rischiano di attuare un processo di razzismo istituzionalizzato. Arcidano è un po‟ un misto di queste posizioni. Da un lato si cerca costantemente il dialogo, e la scuola e il Centro di aggregazione hanno i loro meriti, ma dall‟altro il dialogo pare costretto a meccanismi di “assimilazione forzata” che pretendono che “loro” siano come “noi”. Da quanto ho sentito, da ciò che ho visto e che mi è stato detto, il rapporto forse più ambiguo è quello con la chiesa. I Rom di Arcidano sono Dasikhané, cristiano ortodossi, e hanno un senso del Sacro molto alto. La prima cosa che noti 99


entrando nelle loro “case” sono santini, quadri raffiguranti il Cristo e crocifissi appesi nelle pareti. La religiosità si respira in ogni discorso ed è una condizione personale e intima. I momenti di religiosità collettiva si colgono tutti nelle feste, come per il Natale (7 dicembre) e per San Giovanni Battista (19-20-21 Gennaio) che è il santo che loro considerano patrono. Diverso è il rapporto con la chiesa, soprattutto quando ricorda, in più occasioni, che se i Rom si vogliono integrare devono smettere di chiedere con il palmo teso nelle strade e fuori dalle chiese. La prima volta che ho sentito questo discorso è stata all‟inaugurazione del campo, con conseguente stizza da parte dei Rom che a più riprese hanno detto: «I preti tutte le domeniche fanno il giro della chiesa con il cestino in mano e chiedono ogni volta che ne hanno occasione e poi hanno la faccia di dire a noi di smettere». La disponibilità al dialogo data dalle istituzioni rischia di diventare ricatto appena si vogliono imporre, senza un minimo sforzo di confronto, regole e comportamenti che non sono propri della cultura con la quale si ha a che fare. In questo senso c‟è ancora molto da lavorare e le barriere sono tante. La mentalità di un‟Italia in cui i media e la Politica sferrano attacchi contro la diversità ha causato gravi conseguenze nei processi di interculturalità. I pregiudizi, nonostante le statistiche, le pubblicazioni scientifiche, i dati di fatto, rimangono ed è difficile distruggerli se poi coloro i quali che sono “chiamati” a mediare le differenze e ad attuare politiche e a insegnare ne sono impregnati. Quando una maestra mi ha raccontato che, alla presentazione del progetto che doveva coinvolgere anche i nonni dei bambini Rom, molti insegnati hanno obiettato argomentando che sarebbe stato meglio insegnare gli elementi della cultura e della lingua sarda perché sono “loro” a essere venuti in Italia, non viceversa. Il discorso del “facciano quello che vogliono ma non a casa mia” è quindi purtroppo frequente anche nelle istituzioni che dovrebbero avere il compito di cancellare i pregiudizi e insegnare il rispetto per le diversità. E quando questi discorsi partono dalla scuola è un attimo che arrivino nelle case, o peggio, che rinforzino i pregiudizi che esistono in casa. La frase ripetuta spesso ai bambini italiani “Non uscire da solo perché gli zingari ti rapiscono” è ancora viva anche in realtà in cui il rapporto tra rom e gagé pare saldo e scevro di 100


incomprensioni. Ma c‟è anche l‟altro lato della medaglia, dato che anche le mamme rom dicono ai loro figli di stare attenti ai gagé, in particolare quando si parla di assistenti sociali. La leggenda degli zingari rapitori, o delle zingare rapitrici, ha qualche piccolo fondo di verità difficile da scovare negli archivi giudizari (Tosi - Cambini), mentre è un dato di fatto che troppi bambini Rom vengono tolti alle loro madri perché non vivono in condizioni adatte alla loro crescita: Stando alla ricerca di Carlotta Saletti Salza, professoressa presso l‟Università di Verona, su un totale di 8.830 procedure di adottabilità, i minori rom e sinti dichiarati adottabili in sette sedi di Tribunali Minorili italiani nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005 sono stati 258. Quello che è oggi uno dei maggiori studiosi di cultura romanì in Italia, il professor Leonardo Piasere, commenta i dati: “Se consideriamo che la popolazione dei rom e dei sinti in Italia ammonta allo 0,15% circa della popolazione totale, capiamo che la percentuale di procedure di adottabilità dello 0,15%, cioè in sintonia con la proporzione della popolazione, corrisponderebbe a circa 13 procedure sulle 8.830. Ora il numero di procedure riguardanti rom e sinti, è superiore del 1700% a tale cifra!”60

Il problema di fondo è che non esistono politiche di lotta alla povertà in cui versano numerose famiglie rom e sinti in tutta Italia.

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Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/30/bambini-zingari-adottateli-tutti/174165/ (consultato il 30/11/2011)

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4.Conclusioni L‟obiettivo della mia tesi era dimostrare come l‟Antropologia culturale possa essere di supporto nella creazione e nella promozione del dialogo fra culture, prendendo come esempio la convivenza con un gruppo di famiglie Rom a San Nicolò Arcidano. Nonostante numerose criticità credo di poter affermare che questo paese, anche se dopo molti anni di stasi, sia un esempio tutto sommato positivo di convivenza e interrelazione. Non so in quanti, come il ragazzo che lavora presso un negozio del paese, riescano ad imparare il romanes per semplice curiosità e riescano ad innescare rapporti di reciproca fiducia con coloro i quali vengono considerati i “reietti” e i “parassiti” della società. O ancora, in quanti posti della civile Italia, sarebbero stati disposti ad offrire un letto nelle proprie case ai ragazzi che hanno perso tutto dopo l‟incendio. Tuttavia è importante, per mantenere questo stato di convivenza e interrelazione, inserire all‟interno delle istituzioni, soprattutto le Scuole e i Centri di aggregazione sociale, figure che possano facilitare il percorso di dialogo e di conoscenza reciproca quali l‟antropologo. Credo che l‟antropologo debba uscire, ogni tanto, dall‟ambito accademico e mettersi al servizio delle istituzioni per studiare e progettare attività di promozione al dialogo. L‟Antropologia ha da sempre avuto come suo oggetto principale di studio le Culture di popoli sconosciuti, i loro usi e costumi, e le sue conoscenze possono essere sfruttate per fare in modo che si promuova una cultura di cittadinanza diversa da quella promossa in Italia in anni di politiche di emergenza, di sicurezza e di “caccia allo zingaro, all‟albanese, al clandestino”. Un‟Antropologia attiva che sappia mettere in risalto il valore della diversità e il suo

rispetto;

che

condanni

sempre

più

fermamente

le

politiche

di

discriminazione; che sappia fornire gli strumenti giusti alle scuole in cui la presenza di bambini immigrati, o figli di immigrati, è sempre più alta. Parafrasando le parole di Bruno Riccio, sentite durante un convegno di Antropologia delle migrazioni, l‟antropologia deve svolgere un ruolo basilare all‟interno della battaglia per la cittadinanza e nella guerra contro le discriminazioni. Quello del confronto con i Rom credo che sia il terreno più 102


adatto per dare allâ€&#x;antropologo il giusto peso nelle politiche di integrazione e di interculturalitĂ . Gli errori fatti dalle amministrazioni comunali, dalle scuole, forse non si potranno rimediare, ma si può comunque lavorare nel campo delle nuove generazioni che hanno comunque la fortuna, seppur emarginati, di avere strumenti di comunicazione che permettono di avere una finestra sul mondo.

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6.Ringraziamenti Non saprei nemmeno da chi iniziare. Innanzitutto la mia famiglia, che non ho mai inteso nei soli termini di genitori, ma tutti nel senso di: mamma e babbo e Stefania che mi hanno sostenuta e incoraggiata sempre, nonostante le tante divergenze; i miei nonni, quelli che ci sono e quelli che mancano, tanto, e che mi sono stati sempre vicini e che, spero, vadano fieri di me come io vado fiera di loro: nonna Giovanna che mi ha sempre detto di essere forte come il “Che” e umile come san Francesco e di non smettere mai di tifare la Juve, e nonno Nino che non ho potuto salutare; nonna Rosa alla quale non smetterò mai di dire “Grazie!” e nonno Basilio che è uno di poche parole, ed è per questo che è un grande Poeta; i miei zii, quelli a cui rompo le scatole a Oristano e quelli a cui ho rotto le scatole a Sassari; i miei cugini, soprattutto i più piccoli (non me ne vogliano gli altri ma non vi posso più spupazzare), a iniziare da Federica che è la bambina più bellissima del mondo, Giovanni che è fissato con i dinosauri e avrà una splendida carriera da paleontologo, Gabri che inventerà un modo per avere più “Topolino” possibili, Carla che è già più alta di me e questo non va bene, mia figlioccia Sara che è pure più alta di Carla; Erica con la quale non ho fatto altro che preparare torte e gelati ipercalorici; Maddi che mi è stata di enorme aiuto per la tesi e che è un forte punto di riferimento per molti studenti arcidanesi. Un grazie al sindaco di San Nicolò Arcidano che mi ha fornito materiali e spunti molto interessanti per la mia ricerca e per l‟impegno che ha dimostrato nell‟aiutare le famiglie Rom; a Francesco dell‟OperaNomadi che mi ha fatto da informatore, con il quale ho discusso anche con toni un po‟ accesi ma che si impegna e crede molto in quello che fa, e che mi ha introdotta nelle case di persone splendide e che ringrazio una per una per avermi accolta e per avermi permesso di entrare nelle loro vite.

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Ringrazio Elena per avermi prestato il suo prezioso lavoro di tesi. Ringrazio Anna, Massimo e Giorgio che mi hanno aiutata nella ricerca di fonti irreperibili e mi hanno offerto preziosissimi consigli. I miei docenti, la professoressa Satta e professor Atzori. I miei colleghi, a iniziare da Gianna, collega e amica, con la quale ho condiviso speranze e paure, e anche dubbi, parecchi dubbi, e che ha avuto tanta pazienza nel sopportare ogni mia paranoia! I miei colleghi Ass.D.E.A., con i quali condivido l‟impegno e la passione per l‟Antropologia Culturale, quella studiata e sudata. Alessandro e Domenico che mi rimproverano sempre e prendono in giro il mio splendido accento maureddino; Paola, con la quale condivido la passione per il cibo e le prese in giro per l‟accento; Maria Lucia la ringrazio per i battibecchi; Elisa perché mi alza sempre l‟autostima; Marta perché è Marta; Fiorenzo per tutte le volte che ci ha rimproverato con tono paterno e ci appoggia in tutto e per tutto, o quasi. Poi Antonella, Manuel, Martina, Gavino che quando torna non passa mai a salutarci. Le mie coinquiline alle quali voglio un bene dell‟anima e che mi mancano tanto, con le quali ho condiviso bollette, cibo, ansie e alle quali ho rotto l‟anima per la tv. Ringrazio il Comitato Primo Marzo di Oristano che, con me, sente il bisogno di lottare contro le discriminazioni e lo fa con tanto impegno e serietà. Ringrazio Stefano, il mio ragazzo “gnocco e intelligente”, con il quale ho discusso, litigato, che mi ha dato i migliori spunti per sviluppare la mia ricerca e che mi ha sostenuta e incoraggiata e mi ama nonostante le diversità.

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