CELEBRAZIONE DEL 25 APRILE “Se non dovessi tornare non mostratevi inconsolabili” scrive Giaime Pintor – bella figura di giovane raffinatissimo intellettuale antifascista – pochi giorni prima di cadere nel tentativo di attraversare le linee tedesche per organizzare la Resistenza in Lazio. Poco più avanti, nella stessa lettera, rivendica di “non aver trascorso invano questi anni di giovinezza”. Per dire che la scelta drammatica che mette in gioco la vita di un giovane ha il valore di una vita intera, piena, perché riscatta quella di un popolo intero. C’è in queste parole, non solo la grandezza e la nobiltà d’animo del martire, ma anche il sentimento dell’avanguardia che, con la Resistenza, la lotta di liberazione, dopo la dittatura fascista e l’oppressione dell’occupante nazista, dà un senso, una direzione di marcia all’Italia verso la riconquista della libertà e la costruzione della democrazia. Dedichiamo questo 70° anniversario alla memoria dei partigiani, uomini e donne, caduti nella Resistenza, dei militari italiani che ebbero parte nella liberazione e ai militari degli eserciti alleati che in Italia, con il loro sacrificio, determinarono la liberazione, così come nel resto d’Europa, in Africa e nell’Asia lontana donarono la vita per darci la libertà. E’ la memoria che si deve a chi vinse con ogni ragione, come la storia afferma in modo irrevocabile. L’abisso della Seconda guerra mondiale fu voluto e provocato dai fascismi. Fu un’ecatombe: insanguinò ogni parte del mondo, con 60 milioni di morti, fu l’orrore assoluto della Shoah, si concluse con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
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Oggi c’inchiniamo nel ricordo di tutti quanti, di ogni parte, anche dei vinti, morirono o vissero indicibili sofferenze a causa del mostruoso disegno di morte e di dominazione del nazismo e del cinismo, dell’immoralità più ripugnante e criminale del fascismo italiano. Le responsabilità del fascismo italiano non possono essere messe fra parentesi, edulcorate. Vale dirlo quando si celebrano anche i 100 anni dall’entrata in guerra dell’Italia nella Prima Guerra mondiale. Perché il nazionalismo, il militarismo, il mito della violenza e della potenza, il colonialismo, il razzismo – in primis quello contro gli ebrei –, l’antidemocrazia furono i fondamenti del fascismo, e furono anche le ragioni che s’intrecciarono, prima, nello scatenare la Grande Guerra, un’immane catastrofe, con l’applicazione delle tecniche moderne ad un conflitto che fece strage di oltre 16 milioni di uomini e ne rese mutilati e invalidi altri 20. Un conflitto che, insieme alla Rivoluzione Russa del 1917 – effetto anche della guerra –, cambiò irreversibilmente la storia, gli equilibri globali e che in Europa aprì la strada ai fascismi. La Resistenza fu un moto di popolo che si espresse con la partecipazione diretta alla lotta armata sulle montagne e alle azioni nelle città, ma anche con una diffusa solidarietà verso i combattenti e verso chi, ebrei, antifascisti, dissidenti, avesse bisogno di aiuto per essere messo in salvo o per trovare rifugi e difese. Si sviluppò soprattutto nel nord e nell’Italia centrale, ma fu un moto nazionale: il Presidente Mattarella ha ricordato proprio in questi giorni l’esperienza del padre, antifascista in Sicilia, e anche il grande contributo di combattenti 2
provenienti dal meridione d’Italia che alimentavano le formazioni partigiane in quei territori dove la Resistenza maggiormente si manifestò come impegno militare. Molti di quei giovani del sud provenivano dall’esercito italiano che diede un grande contributo alla lotta di liberazione. Noi ricordiamo l’episodio del tenente Bechi Luserna che a Pisa segnò una pagina gloriosa per la Resistenza e per l’onore dell’esercito italiano. Abbiamo avuto modo di ricordare proprio in questa sala i caduti di Cefalonia e Corfù, della Divisione Aqui. Ricordo, per fare un solo un esempio, Pompeo Colajanni, ufficiale di Cavalleria, che divenne comandante delle brigate Garibaldi della Valle del Po. Vale ricordare questi nomi e questi episodi per rendere sempre più nitido il ruolo svolto dall’Esercito e dalle altre forze armate nella guerra di Liberazione. Nelle formazioni partigiane si cimentarono tanti giovani. Un protagonismo speciale ebbero le donne, tenute ai margini della democrazia prefascista, che anche con la lotta di liberazione conquistarono il suffragio universale nelle prime elezioni libere tenutesi dopo la conclusione della guerra. Furono le donne le prime a vivere l’orrore delle stragi di civili che i nazisti, con l’assistenza dei fascisti di Salò, compirono risalendo l’Italia, insanguinando anche la Toscana e la nostra provincia, ovunque, da Castelnuovo Val di Cecina e Guardiastallo, a Molina di Quosa. Altrettanto importante fu il ruolo che le donne ebbero nelle principali formazioni politiche e nell’Assemblea Costituente che scrisse la nostra Carta Costituzionale. Qui abbiamo ricordato l’esempio di Teresa Mattei. Anche la Costituzione e il modo in cui venne discussa, elaborata e approvata è un risultato della Resistenza. Se 3
l’Italia poté dotarsi di una Costituzione attraverso un ampio processo democratico fu anche per il modo in cui avvenne la liberazione del nostro paese. Le truppe alleate ebbero un ruolo decisivo. Tuttavia la presenza di formazioni partigiane, i risultati militari non secondari conseguiti dai volontari della libertà – da Napoli a Genova, dove i tedeschi trattarono la resa con il comando della resistenza – tutto questo consentì all’Italia di riscattarsi e di governare il proprio destino. Nella stagione della resistenza le formazioni politiche che avevano agito in clandestinità – socialisti, comunisti, popolari, azionisti – diventano grandi partiti politici di massa o componenti essenziali della costruzione della Repubblica: il nerbo di una democrazia che seppe realizzare anche molte delle aspirazioni sociali dei resistenti. Infatti la Repubblica nata dalla resistenza, la sua Costituzione di così vasto impegno programmatico, una robusta rete di partecipazione popolare attraverso i partiti, consentirono la ricostruzione del paese e un lungo periodo di pace, di crescita e benessere che non ha eguali nella storia dell’Italia unita. Negli anni abbiamo saputo riportare alla luce anche le pagine più nascoste di anni terribili, come quella delle foibe e dell’esodo istriano, senza tuttavia smarrire la differenza tra quelle che furono atroci deviazioni da un percorso di lotta per la libertà e il valore della lotta armata per la libertà. Continueremo a coltivare la memoria e ad aiutare a fare storia. Pisa anche in questi anni è stata d’esempio, con progetti innovativi e coinvolgenti, come “Memory Sharing” e quello sui “luoghi della memoria”, dovuti ad una collaborazione strettissima con le associazioni di partigiani e ex deportati – saluto Giorgio Vecchiani, che oggi non può 4
essere con noi… -. Siamo stati d’esempio, credo di poterlo dire. Abbiamo reso la memoria in modi non rituali, rivolti ai più giovani. Continueremo a farlo, insieme alle scuole e alle nostre università. Oggi, ripeto, ci chiniamo in segno di rispetto davanti a tutti i morti – la resistenza fu anche guerra civile, di fratelli contro fratelli, italiani contro italiani – senza smarrire o negare la differenza tra chi è morto per la libertà e chi ha sostenuto la causa della sopraffazione e dell’ingiustizia. Questo settantesimo anniversario dà finalmente un segno forte di unità. Questo a me è parso di cogliere. Una visione sentita e oggettiva della Resistenza, di tutte le sue componenti e di tutti i suoi aspetti, storicamente fondata, ha fatto sì che oggi essa sia memoria condivisa, patrimonio di tutta la nazione, elemento costitutivo di quell’amor di patria che è il contrario del nazionalismo di cui si alimentarono i fascismi, tratto distintivo dell’identità collettiva condivisa. Nella celebrazione condivisa del 25 aprile possiamo e dobbiamo ritrovare elementi di fiducia e di orgoglio, alimentare l’impegno necessario ad affrontare i problemi del paese, compreso l’impegno per ristabilire un nesso più forte fra cittadini e istituzioni rappresentative, per ristabilire un circuito positivo, rammentando che proprio il disimpegno dalla politica, il suo svilimento nel piccolo cabotaggio senza grandi ideali, la mancanza di una forte partecipazione delle persone alla democrazia, intesa come governo attraverso il dialogo, possono indebolire la democrazia e le ragioni della convivenza. Democrazia e libertà non sono conquiste acquisite una volte per tutte. Vanno curate e alimentate, anche mettendo 5
mano a quelle riforme necessarie a rendere la democrazia più efficace e al riparo da logoramenti. La celebrazione di oggi è concentrata sul senso della ricorrenza, ma anche fortemente ancorata alla realtà. Voglio ricordare un grande esempio positivo, di impegno civile e spiritualità: quello di Elio Toaff, scomparso di recente, che proprio a Pisa poté laurearsi grazie al coraggio del Prof. Lorenzo Mossa che sfidò le leggi razziali. In suo nome celebreremo quest’anno il ricordo delle leggi razziali del 1938, firmate a San Rossore. Con lui ricordiamo il nostro rapporto profondo e antico con la comunità ebraica, l’impegno della Brigata Ebraica nella Resistenza Italiana, ricordiamo le persecuzioni, la tragedia incancellabile della Shoah, il male assoluto che rappresentò. Anche oggi rivolgiamo un pensiero commosso alle vittime della tragedia dei migranti avvenuta nei giorni scorsi, con il naufragio nel Mediterraneo, unendo il pensiero all’impegno per la costruzione di politiche coraggiose ed efficaci, solidali e costruttive, dell’Unione Europea e della comunità internazionale per affrontare e cercare di risolvere un grande dramma della nostra epoca. Perché gli orizzonti della lotta di Liberazione che oggi celebriamo erano ampi come il mondo, che dobbiamo impegnarci a governare secondo ideali di pace, di fratellanza e di giustizia.
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