For Milano M a g a z i n e
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FLEMING PRESS EDITORE
Hanno collaborato: Elda Bertoli, Pina Bevilacqua, Nolberto Bovosselli, Paolo Brasioli, Paola Comin, Jill Cooper, Cristina E. Cordsen, Jessica Di Paolo, Sara Donati, Dina D’Isa, Tommaso Gandino, Michela Garosi, Marco Gastoldi, Domenica Luciani, Agostino Madonna, Roberto Magno, Elena Martignoni, Michela Martignoni, Demetrio Moreni, Bruno Oliviero, Wanda Liliana Pacifico, Sestilia Pellicano, Manuel Plazza, Valentina Polidori, Marco Pomarici, Lucilla Quaglia, Daniele Radini Tedeschi, Marina Ripa di Meana, Donatella Vilonna. FLEMING PRESS Fabrizio Coscione Amministratore unico Fleming Press Srl Via Montello, 18 - 04011 Aprilia (LT) Tel. 06 92708712 Fax 06 92708714 info@flemingpress.it www.4mag.it Anno II - n. 11 - Marzo/Aprile 2013 Reg. al Tribunale di Latina - n. 7/11 del 13/05/2011
editoriale
«La distensione nervosa, la libertà di spirito, l’infanzia ritrovata, la felicità inconfessabile, che danno i viaggi nell’uscire dalla città, fanno di voi la creatura leggera, indipendente, semplificata, preadamitica che le difficoltà e gli affanni della vita moderna avevano distrutta». Ascoltate le parole del grande scrittore e viaggiatore Paul Morand e volate con le nostre brave e belle Donnavventura sull’Isola di Pasqua, misteriosa e affascinante. E al cospetto dei mille moai, imponenti e inquietanti, scoprirete che Festival di Sanremo, elezioni, tasse, dibattiti televisivi, weekend, palestra e dieta non sono niente. Già che ci siamo, un altro consiglio, gratis e disinteressato (che, naturalmente, potete decidere se seguire oppure no): andate a vedervi al cinema la nuova versione di Pinocchio che vi segnaliamo in questo numero. Un nostro vecchio professore ci ricordava che le avventure del burattino nascondono più significati di qualsiasi altro romanzo, anche il più famoso e il più citato. Giacomo Airoldi
ForCARA magazine MARINA di Marina Ripa di Meana
scrivi a: marina@marinaripadimeana.it
Cara Marina, tutta la vita da mora, con carnagione mediterranea e forme prosperose, con l’arrivo dei capelli bianchi, anziché tingermi di nero, che è sempre un effetto lucido da scarpe, ho scelto di diventare bionda. Mi piaccio, mi sembra di vivere una nuova vita, ma le mie amiche mi criticano in continuazione. Mi suggerisci una frase secca che tappi la bocca a queste invidiose? Luna, Domodossola Cara Luna, non avere fretta di tappar loro la bocca. Ma quando meno se lo aspettano, nei discorsi da donne sulla pelle che cade o sui prodigi di una nuova crema, fai presente che diventare adulti significa chiarirsi le idee e tu hai iniziato schiarendoti i capelli. Meglio una nuova bionda con le idee chiare su cosa conta nella vita piuttosto che tre corvi neri sempre pronti a dar aria al becco. Tua, Marina
Cara Marina, sono sposata da sei anni con un uomo che ha molti anni più di me, ricco ma anche noioso. Mi ha aiutato nella mia professione (sono una dentista). Grazie a lui ho potuto acquistare apparecchi sofisticatissimi. Mi ritrovo, però, con un marito che mi rinfaccia il suo aiuto: “In questi anni non ti ho fatto mancare niente. Di che ti lamenti?”. Confesso che sono stanca di questo piattume, anche se non voglio passare per una persona ingrata. Lei cosa mi consiglia? Mirella, Acquasparta Cara Mirella, non abbia paura di sentirsi ingrata. Combatta la sua infelicità e si separi al più presto da suo marito che, oltre ad essere noioso, è anche molto volgare. Rassegnarsi a un rapporto con una persona così, con il tempo la trasformerebbe. Volgarità e noia sono contagiose. Scappi, per carità!
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UOMO DEL MESE di Ivan Rota
Patrick J. Adams
Sul red carpet dei Golden Globe Patrick J. Adams in tuxedo Salvatore Ferragamo era uno splendore: classe e vera eleganza per il ragazzo laureatosi in arte drammatica. Molte fan lo seguono essendo una delle star di Cold Case, tra le serie televisive statunitensi più amate. È trapelato poco della sua vita privata: un ragazzo serio, “ di una volta” come si diceva un tempo. Ma secondo i ben informati ha un temperamento che potrebbe riservarci delle sorprese. Soprattutto in fatto di gusti.
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DONNA DEL MESE
Rachel Weisz In occasione della première a New York del film The Deep Blue Sea, Rachel Weisz ha indossato un abito Bottega Veneta: la diva è l’emblema della raffinatezza e, non a caso, ha colpito al cuore James Bond, alias Daniel Craig, attore che grazie al suo fisico scultoreo è entrato nell’immaginario di tante fan. Rachel e Daniel hanno passato alcuni giorni sulla costiera amalfitana. Purtroppo la bella attrice ai recenti Golden Globe ha sbagliato abito: poco importa che fosse di Louis Vuitton.
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ForCover magazine di Tommaso Gandino
La ragazza della porta accanto
Laura Barriales, la conduttrice di Mezzogiorno in famiglia, è solare, sempre sorridente e sa quello che vuole fare domani: la mamma! Lei, soprattutto all’inizio della carriera, è finita spesso nella categoria “ragazza sexy”: le andava bene o non ne ha potuto fare a meno? «In realtà io mi sono sempre considerata una “bella ragazza”, ma non “sexy”. Sono la ragazza della porta accanto, il ruolo della “femme fatale” non fa per me». Per molte donne è difficile accettare una realtà che non sia la realizzazione dei propri sogni adolescenziali. Lei è
arrivata dove sognava d’arrivare? «No, perché io da piccola volevo fare la cassiera del supermercato. Mi piaceva vedere i codici a barre dei prodotti passare alla cassa. Non avrei mai immaginato che invece avrei avuto una carriera nel mondo dello spettacolo, cosa che ovviamente oggi mi rende molto felice. Ricordo che quando dicevo che volevo fare la cassiera i miei genitori si preoccupavano molto».
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Da ragazzina anche lei aveva una cotta per qualche attore? «No, non sono mai stata una ragazza con i poster in camera dell’attore e del cantante famoso del momento». Cosa l’attrae dell’altro sesso? «È difficile da dire. Non le dico “essere simpatici”, perché poi alla fine è come se desideri di stare con un comico accanto. Diciamo che ci deve essere un insieme di cose. Sicuramente un uomo non deve farmi annoiare». Se un ragazzo si avvicina è automatico che ci provi? «No. Quando ero una teenager non mi si avvicinava nessuno perché ero la più alta del gruppo e soprattutto molto piatta. Di conseguenza non ero interessante per i ragazzi. Diverso oggi che sono più conosciuta. Proprio per via della mia notorietà è difficile fidarsi della reali intenzioni dei ragazzi». Secondo lei un’amicizia può sopravvivere al sesso? «Secondo me solo dopo un po’ di tempo che la storia è finita. Ma nell’immediato no». Qual è il genere di corteggiamento che preferisce? «Sono strana. Io più che altro mi affeziono alle persone. Non sono la tipa da colpo di fulmine. Per questo l’amore può arrivare dopo un po’ di tempo che frequento una persona». Il primo appuntamento è più facile o difficile se sei una celebrità? «Difficile. Come accennavo prima non è semplice capire le reali intenzioni della persona che ti invita ad uscire». Con gli uomini prende l’iniziativa o aspetta che siano loro a fare la prima mossa? «Quando sono fidanzata sicuramente io. Altrimenti loro». L’uomo che paga il conto le piace o la offende? «A me offende. Credo che se nella coppia io sono quella che ha una situazione economica migliore è giusto che contribuisca anche io a pagare il conto. Diverso è quanto esco con un amico: in quel caso si può fare a metà». Mai picchiato un uomo? «Assolutamente no». Ridurrà prima o poi la mole di lavoro per alimentare i suoi rapporti privati? «Certo. Lo farei già da domani con la persona giusta. Perché sogno una famiglia». Niente spese folli, quindi, dopo i primi soldi guadagnati? «Non sono una maniaca dello shopping. Invece amo molto frequentare le spa e fare massaggi. Per il resto spese folli non ne ho mai fatte. Con i primi guadagni ho comprato una casa, l’investimento della mia vita». Nessun progetto personale? «Fare la mamma!».
Nata a León, in Castiglia, Laura Barriales (30 anni) fa il suo debutto nella Tv italiana nel 2006 come valletta di Carlo Conti nella trasmissione di Raiuno I Raccomandati. È stata fidanzata con gli sportivi Simone Inzaghi e Sete Gibernau.
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Colazione offerta da Ezio Indiani, direttore del Principe di Savoia, ai senzatetto di Milano. Presenti all’evento charity Enrico Marcora, Elio Fiorucci, Daniela Javarone, Paolo Del Debbio, presentatore di Quinta Colonna, Mario Furlan, presidente dei City Angels, Stefano Bolognini e altri volontari. Tra i vip che hanno fatto da
camerieri Cinzia Sasso, moglie del sindaco Giuliano Pisapia, Maria Rita Parsi, Enrico Beruschi, gli assessori Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Maran. Sono stati serviti 250 pasti per i poveri che almeno per un giorno hanno vissuto una colazione diversa.
ROTAZIONI di Ivan Rota
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Al Just Cavalli Club di Milano per la presentazione della nuova “Vodka Night Edition” dello stilista Roberto Cavalli c’era la bellissima cantante inglese Sophie Ellis Bextor, affiancata dal compagno e bassista degli Stereophonics Richard Jones, che insieme hanno accompagnato i tanti ospiti presenti con uno speciale music and vocal set.
Franco Ragno e Caterina Murino
È l’hair stylist di fiducia di numerose star, da Monica Bellucci a Bianca Jagger: ecco qui Franco Ragno alle prese con l’amica Caterina Murino, ex bond girl che si pensava destinata ad impegni più importanti. La bellissima attrice si è un po’ accasata e un po’ è indolente, ma la sua carriera oggi ha leggermente segnato il passo. Le cure di Franco Ragno la faranno tornare al glamour di pochi anni fa?
Roberto Cavalli e Sophie Ellis Bextor
Visto nella fiction I Cerchi nell’Acqua, Alessio Boni è ammiratissimo dalle donne, ma molto schivo, si sa poco della sua vita privata. Ora, però, durante le vacanze di Natale, si è intensificata l'amicizia con la bella giornalista Beba Marsano: un diluvio di sms sui rispettivi telefonini. Stefano De Martino
Da una parte il rapper coreano che vanta novecento milioni di clic su Youtube e che ha fatto ballare anche il presidente americano Barack Obama; dall’altra i bracciali più belli di sempre che da agosto spopolano sui polsi di milioni di persone in tutto il mondo: il rapper Psy, mentre festeggiava il suo compleanno a Time Square, a New York, ha ricevuto in dono da un fan alcuni braccialetti Cruciani e da quel momento non se n’è più separato. Un fan o un inviato speciale?
In mezzo a mostre, performance artistiche e camouflage, ecco anche il ballerino Stefano De Martino, testimonial di John Richmond. Il toy boy di Belen Rodriguez, dal quale la showgirl è in dolce attesa, non si è certo distinto per la falcata in passerella: poco sciolto, ma fotografatissimo con la sua bella nel parterre. Emma Marrone, ex, ancora abbastanza adirata, è apparsa in tenuta da gran signora al cocktail di Valentino con la performance dell’artista cinese Liu Bolin. Giudizio del pubblico: Emma, in stile, batte Stefano dieci a uno!
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• Pochi lo sanno, ma Enrico Dalceri, attore che interpreta la mitica Mabilia nella compagnia "en travesti" dei Legnanesi, di giorno lavora da Giorgio Armani: è uno dei più importanti collaboratori della maison per la linea uomo. • Gianna Nannini era stata invitata alla trasmissione Riusciranno i nostri eroi e si dice che avesse preteso un consistente cachet per cantare due canzoni del suo nuovo cd in playback. Solo che la volevano gratis per cantare un medley dei suoi più grandi successi e quindi alla fine la Rai ha detto no!
Nella splendida cornice del Grand Hotel et de Milano finalmente un respiro di eleganza con il cocktail dedicato a “Sir Oscar”, collezione in onore di un dandy contemporaneo, da Massimo Crivelli e Mirko La Grassa. Negli antichi
saloni dell’hotel, bollicine a profusione e la presenza di numerosi invitati e amici: tra questi la grafologa Candida Livatino, Daniela Javarone, Giovanni Bozzetti, Eva Leitgeb, i bellissimi attori Giulio Berruti e Luigi Tabita.
Se la suona e se la canta da sola: dice di sé nel comunicato stampa: “Federica Torti… un bocconcino prelibato per Philippe Daverio”. Va bene, andando oltre, continua così: “La bellezza naturale di un’eleganza quasi inglese della conduttrice Sky Federica Torti ha incarnato perfettamente lo spirito british del giornalista Philippe Daverio”. Tutto questo durante un incontro presso lo studio Luca Pignatelli, dove Daverio ha presentato dei parallelismi tra alcune delicatezze gastronomiche di Carlo Cracco e Luca Taglienti e alcune famose opere d’arte.
Isabella Ferrari
«Ma com’è carina Isabella Ferrari e che naso lungo ha Adrien Brody, anche se ha un certo fascino», commentavano le “sciure” alla serata organizzata da “L’Uomo Vogue” all’interno della galleria milanese Christian Stein, con le belle immagini di star fotografate dai più grandi del mondo. Su tutte svettavano quelle di Michael Jackson e Penelope Cruz. Prosecco a gogò per gli oltre cinquecento invitati tra i quali un simpaticissimo Francesco Mandelli de I Soliti Idioti, Warly Tomei a Eva Riccobono, ancora arrabbiata per i fischi al film da lei interpretato E la chiamano estate, inoltre i bellissimi Giulio Berruti, Giorgio Pasotti e Alessandro Preziosi, infine Gaia Trussardi, Goga Ashkenazi e Diego Della Valle. E poi la solita pletora di artisti, direttori e simili.
Philippe Daverio e Federica Torti
Elenoire Casalegno
Franco Zanellato, oltre a presentare la “icon bag” La Postina, in collaborazione con l’artista vicentino Giovanni B. Tresso, ha pensato ad un vernissage legato al tema della donna blogger come vettore di fashion style e tendenze: “Vis à Vis”, ossia dieci ritratti delle fashion blogger più seguite in Italia fissati su tela in chiave newpop dalla mano di uno dei più stimati artisti emergenti. Sapori della tradizione gastronomica veneta con “pasta e fasoi, polenta e baccalà” per un cocktail divertente e informale. Tra gli ospiti, Paola Ambrosini, Elenoire Casalegno, Bianca Balti, Paola Bonera, Federica Nocerino.
Linda Santaguida, Vanessa Ravizza, Costanza Caracciolo, Andres Gill, Anastasia Kuzmina, Francesca Fioretti.
Franca Sozzani con Adrien Brody
Quando si dice “i grandi nomi”: a Firenze è stata presentata la collezione Sweet Years per il prossimo autunno-inverno, con le nuovissime t-shirt animate in 3D (cioè che si animano scaricando un’app gratuita). Atmosfera giovane, anche troppo, ricchi premi e cotillon con la simpatia dei vincitori di Ballando con le stelle, Andres Gill e Anastasia Kuzmina. Per il resto, un gruppo di quasi desaparecidos di reality e
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altro: ecco l’ex velina Costanza Caracciolo, ora rimpianta da molti mentre quando era in Tv tutti la criticavano, Linda Santaguida, meteora de L’isola dei famosi ed ex fidanzata di Costantino Vitagliano, Vanessa Ravizza e Francesca Fioretti, concorrenti del Grande Fratello. In pratica, una riunione di reduci. Ma quale sarà il destino di queste ragazze?
For magazine PROGETTI di Tommaso Gandino
La vita è una soap. O no? Dopo Centovetrine e Un posto al sole Emanuela Tittocchia è proiettata nel futuro. Che non è solo lavoro, ma, finalmente, costruire una famiglia Per lavorare nello spettacolo è necessaria una componente di esibizionismo? «Penso di sì, anche se io ero molto timida. Il teatro mi ha aiutato tantissimo e soprattutto la mia voglia di fare. Spesso stavo al centro dell’attenzione, anche da piccola per la grande vivacità e il desiderio di inventare cose nuove. Però, devo dire che ora quando si esce con amici o sono a cena non amo molto prendere la scena, preferisco rilassarmi. Nel mio lavoro è normale voler mostrare quello che si fa, ma io penso che le persone troppo esibizioniste non piacciano molto». C’è qualcosa che cancellerebbe dalla sua carriera?
«Nella carriera no, nella vita privata forse sì. Tutto quello che si fa nel lavoro serve a capire, ad arricchirsi, a conoscere persone. Io mi sono sempre buttata in ogni avventura, senza pensarci troppo. Spesso sono stata criticata per alcune mie scelte professionali ma io penso che se qualcosa accade un motivo c’è sempre». Lei è arrivata quasi per caso: com’è il suo ambiente di lavoro? «Non esiste il caso secondo me, però è vero che ci sono persone disposte a tutto per fare questo lavoro. Io ho lottato tanto, ho iniziato con la scuola di teatro e con le televisioni private del Piemonte quasi vent’anni fa. Ho studiato tanto. Il mio ambiente si è imbastardito, c’è di tutto, finti
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attori, finti registi, finti produttori, gente che si inventa un ruolo dall’oggi al domani». La solidarietà femminile esiste davvero? «Purtroppo l’invidia esiste tra tanti esseri umani. Però io ho scoperto una bella solidarietà femminile nel mio ambiente. Forse sono stata fortunata ma io non ho mai avuto problemi con le mie colleghe, anche a Centovetrine. È più difficile con gli uomini, che spesso entrano in competizione o provano invidie anche tra di loro». Oggi qual è il traguardo più importante da raggiungere per le donne? «Nel lavoro è la capacità di farci apprezzare per quello che siamo, che trasmettiamo, per la nostra cultura o capacità. Ma il traguardo più grande è riuscire ad essere donne, mamme, mogli, belle, comprensive, protette, tutto quello per cui siamo state create». Cosa manca alla sua vita? «Una mia famiglia. Ho dedicato e dedico tutto il mio tempo alla costruzione della mia vita, al lavoro, alla mia ricerca, alle mie passioni. Allo stesso tempo non ho mai incontrato qualcuno che mi abbia veramente compresa o fatto nascere il desiderio di fermarmi e pensare concretamente di sposarmi e avere bambini?». Ci racconta un aneddoto della sua carriera? «Avevo 17 anni, ero in vacanza con i miei genitori in un villaggio al mare. Io amo molto giocare a calcio e lì facevano un torneo, ma mentre giocavo una pallonata terribile mi ha colpito in viso e sono svenuta. Mi sono risvegliata in braccio ad un signore che aveva una voce meravigliosa. Mi faceva domande ed io continuavo solo a pensare “che bella voce”. Gli ho subito fatto i complimenti e lui mi ha detto che era un doppiatore, la voce di Blake Carrington di Dynasty e di tanti altri. L’ho conosciuto, abbiamo parlato e per la prima volta ho capito che la voce si può educare. Insomma, anche spinta da lui, appena tornata a casa a Torino mi sono iscritta alla Scuola di Teatro. Esperienza fantastica!». Quale fu la sua prima grande emozione televisiva? «La prima trasmissione a Mediaset, nel 1992, ne Il gioco delle coppie con Corrado Tedeschi! È stato divertentissimo: bisognava scegliere un ragazzo con il quale andare in vacanza che stava dietro un muro. Si sentivano solo le loro voci». Cos’è stato importante per costruire una soap di successo come Centovetrine? «Tutto è importante. Al primo posto ci sono le storie. Gli sceneggiatori sono veramente bravi, riescono ad avere una fantasia incredibile e poi si vede che lo fanno con passione. Poi sicuramente gli attori: è difficile girare tante scene al giorno, non perdere la concentrazione ed essere credibili. C’è un gruppo di lavoro composto da tantissime persone molto preparate, dai tecnici, ai montatori, ai costumi, al trucco-parrucco. Una squadra che lavora tanto». Una persona che ha ammirato o ammira particolarmente in Tv? «Il mio grande mito è sempre stato Fiorello. Il più grande! È un genio. Io ho partecipato al Karaoke nel 1993 con lui che è una forza della natura!». Lei è più legata al passato o totalmente proiettata nel futuro? «Assolutamente proiettata al futuro, forse troppo. Dovrei imparare a vivere il presente. Il passato non esiste più. Tendo a dimenticare per fare spazio a cose nuove». Se potesse guardare avanti che cosa vorrebbe vedere? «Vorrei vedermi con un grande sorriso, con la voglia di cantare e ballare, con una bella persona vicino, in mezzo ad una decina di cani. Sicura-
Emanuela Tittocchia (42 anni) ha preso parte anche alle fiction Tv Ho sposato uno sbirro (2008) e Non smettere di sognare (2009-2010). Nel 2009 ha curato la rubrica settimanale “Lettere sull’amore” all’interno della trasmissione Mediaset Mattino 5.
mente all’estero, in un paese caldo, l’Italia mi ha un po’ stufato. Troppi problemi, troppe persone nervose che si alterano per nulla. Ho la nausea di questa gente». Spesso per incontrare l’uomo giusto si passa attraverso quello sbagliato… «Esatto. Nessun uomo è giusto, nessuno è sbagliato. Ognuno ha un proprio carattere e sceglie di vivere la vita come vuole. Ci sono scelte che non condivido, lontane dal mio modo di pensare. Ho conosciuto qualche ragazzo che all’inizio ha dato un’immagine molto diversa dalla realtà, che si è mostrato per quello che non era, che ha mentito. Forse bisogna passare anche attraverso questa tipologia per arrivare ad essere allergici alle menzogne e trovare una persona sincera». Lei è attratta dalle zone d’ombra di un uomo? «Purtroppo sì. Sono molto sensibile e ho sempre il desiderio di aiutare chi si trova in difficoltà. Mi dicono che sbaglio, che se faccio così divento presuntuosa ma è più forte di me. Le zone d’ombra mi inquietano, io sono molto aperta e solare, però al tempo stesso mi attraggono perché vorrei capire. Però, preferisco vivere serena senza farmi assorbire dal buio in cui vivono certe persone. Amo la luce!».
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REPORTAGE di Michela Garosi
Lʼisola dei misteri
Il cratere del vulcano Rano Raraku, una cava di pietra situata nella parte meridionale dell’Isola di Pasqua, in Cile, che è stata la fonte per le famose sculture monolitiche moai.
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Le nostre Donnavventura ci portano ai confini del mondo, in un luogo magico e isolato: Rapa Nui per i nativi, “Isla de Pascua” per i colonizzatori europei che la scoprirono nel 1722. Mare impetuoso, tramonti rosso fuoco e la solennità dei moai, i giganteschi busti di pietra che “vegliano” su questa terra suggestiva
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Le Donnavventura presso Ahu Tongariki, il sito archeologico più imponente del luogo.
Rapa Nui, Isola di Pasqua: luogo di rara bellezza e dal fascino misterioso. Per qualche giorno il team delle nostre neoreporter ha sostato qui e si è fatto stregare dal segreto secolare e inspiegabile che avvolge i moai, i grandi monoliti in pietra frutto dell’instancabile forza umana. Siamo sull’isola abitata più “isolata” del mondo, una terra magica sebbene davvero minuscola. Poco più piccola dell’Isola d’Elba per intenderci, ma a ben 19.557 km da Roma. Un luogo appartato e sperduto, quindi, dove la storia e la leggenda s’intrecciano riecheggiando fino all’altra parte del mondo. Chi infatti non ha mai sentito parlare dell’Isola di Pasqua? I crateri, come quelli del Rano Kau e del Rano Raraku, fanno da cornice a questo paesaggio vulcanico, e se possibile lo rendono ancora più affascinante e suggestivo. Ma torniamo un po’ ai moai. Gli oltre 600 esemplari disseminati sull’isola catturano certamente l’attenzione di ogni visitatore, passando dai siti più spettacolari come quello di Tongariki ai siti più nascosti ma non meno affascinanti. Le statue si presentano sotto diversa forma, ubicazione e grandezza, sebbene il loro peso superi sempre diverse tonnellate. Uno di questi colossi misura oltre 21 metri di altezza, ma non è mai stato spostato dalla cava dove è stato costruito. E non si scherza quando si dice che di fronte ai moai si provino timore, rispetto e soggezione. Sembra davvero che questi busti di pietra dagli occhi sbarrati siano stati messi lì come ammonimento. Sono tante poi le domande che vengono in mente
di fronte a simili giganti. Per esempio, ci si chiede come ha fatto il popolo che abitava questa terra a trasportare ed erigere le sculture? Perché la leggenda racconta che i moai “camminavano” fino agli ahu (altari sacri)? Ancora non abbiamo risposte certe e forse è meglio così… Tuttavia, ciò che forse ha maggiormente stupito e catturato l’attenzione delle nostre ragazze è il calore e l’accoglienza, oltre che una buona dose di curiosità, della popolazione dell’isola. Se ad un primo impatto appare schiva e riservata, in realtà non è così: la gente di Rapa Nui è molto cordiale e generosa e le Donnavventura non hanno tardato a fare amicizia con gli isolani, tanto che sono state subito coinvolte in una grigliata fra amici di vecchia data a casa di un abitante locale. E non è mancata neanche la piacevole compagnia di una ragazza conosciuta in giornata sul mare. In tutti i personaggi incontrati è emerso un comun denominatore: la voglia di raccontare della loro terra e delle storie tramandate di generazione in generazione dalle loro famiglie sul mistero fittissimo che avvolge i moai e le civiltà che abitavano questo territorio diverse centinaia di anni fa. Non ci crederete ma qui abbiamo incontrato anche un italiano. Si chiama Dario e si è trasferito sull’isola ormai qualche anno fa. Le Donnavventura non potevano non incontrarlo, anche perché l’isola è piccola e le voci corrono. Intervistato dal team, Dario ha raccontato della sua scelta di vivere qui e non si può certo dire che non si sia ambientato bene. Fra gli abitanti dell’isola non mancano mai i cavalli, che si dice siano
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Il vulcano Rano Raraku, oggi non attivo, era il vivaio dei moai: alcune di queste enormi statue, che rappresentano gli antenati venerati, giacciono incomplete in questo posto, cosÏ come molte altre che non furono sollevate a causa delle loro colossali dimensioni. Ogni busto è ricavato da un unico blocco di tufo vulcanico.
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Il vulcano spento Rano Kau: l’Isola di Pasqua sorge su un territorio vulcanico dominato da colate di hawaiite e basalto, che sono ricche di ferro e mostrano affinità con le rocce magmatiche che si trovano sulle isole Galapagos.
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Quindici moai allineati lungo la costa del Pacifico su una piattaforma di pietra lavica presso il sito Ahu Tongariki.
La Donnavventura Stefania mentre si rilassa presso l’hotel di Hanga Roa, capitale dell’isola.
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Gli abitanti di Rapa Nui (letteralmente “grande baia”) si sono dimostrati molto accoglienti con le ragazze del team, raccontando loro le tradizioni della propria terra. Alla data dell’ultimo censimento, nel 2002, l’isola era popolata da 3791 residenti. Altri nativi, invece, hanno preferito trasferirsi sulla terraferma in Cile.
Barche presso il porticciolo di Hanga Roa: la pesca è una delle attività principali dell’economia locale.
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Moai vedente al tramonto: sembra che uno tsunami, nel 1960, proiettò alcune statue fino a 100 metri verso l’interno dell’isola.
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La Donnavventura Michela Garosi nelle vesti di reporter con la sua macchina fotografica: è lei la nostra inviata specialissima.
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Un tramonto sulle acque agitate dell’Oceano Pacifico.
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Cavalli allo stato brado: equini, bovini e suini sono stati tutti importati dai colonizzatori europei.
Il sito di Anakena, una spiaggia con sabbia bianchissima, acque trasparenti e moai collocati sulla costa.
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Alba rossa sui moai di Ahu Tongariki, che ogni anno richiama centinaia di turisti. Dal 1967 è possibile raggiungere quest’isola remota con voli aerei che partono esclusivamente dal Cile; più difficile l’approdo via mare poiché il piccolo porto di Hanga Roa non è in grado di ospitare le grandi navi da crociera.
anche più delle persone! Utilizzati come mezzo di spostamento, spesso sostitutivo alla macchina, se ne trovano molti anche allo stato brado, ed è pressoché impossibile non fermarsi a guardarli mentre pascolano indisturbati in mezzo ad un paesaggio così inconsueto e sorprendente.
Alle ragazze del team tuttavia piace ricordare l’Isola di Pasqua così: i moai irradiati dalla luce rosa dell’alba, il mare impetuoso alle loro spalle, il canto dei gabbiani e la magia del ritorno alle origini di Rapa Nui.
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La potenza del mare in una delle tante piccole cale che caratterizzano il litorale dell’Isola di Pasqua.
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For magazine YACHTING di Sestilia Pellicano
Oltre i confini del mare “Innovazione” è la parola d’ordine che unisce i modelli di questo mese, realizzati da Benetti, Ferretti e Silver Arrows Marine: prestazioni, dinamismo, soluzioni di lusso e tecnologia mutuata dall’automobilismo
“Granturismo of the Seas” è il nome completo del nuovo modello firmato Silver Arrows Marine, nato in collaborazione con Mercedes-Benz Style.
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Molte delle tecniche utilizzate per realizzare una barca così innovativa sono di derivazione automobilistica, come ad esempio l’acquisizione dei dati strumentali.
GRANTURISMO Dinamismo, comodità e lusso nell’innovativo prototipo realizzato da Silver Arrows Marine con Mercedes-Benz
Obiettivo di questo yacht è coniugare prestazioni elevate e alto comfort di bordo, proprio come i modelli Granturismo del mondo dell’auto.
L’innovativo scafo prodotto da Silver Arrows Marine, in collaborazione con Mercedes-Benz Style, coniuga l’eleganza delle linee con la tecnologia di derivazione automobilistica, utilizzata per l’acquisizione dei dati strumentali, in una sorta di trait d’union fra il mondo nautico e quello dell’auto. In linea con gli obiettivi prefissati, questo esclusivo yacht a motore di 14 metri ha superato brillantemente le prove a mare alla metà dello scorso dicembre. «È stata un’esperienza entusiasmante per Silver Arrows Marine e posso affermare con soddisfazione che la barca ha dato prova di tutto il suo potenziale – ha dichiarato Jacopo Spadolini, Chief executive officer di Sam –. La barca si è dimostrata efficace e, con certezza, possiamo affermare che si distinguerà da qualsiasi altra imbarcazione in circolazione». Grazie all’utilizzo di apparecchiature come gli accelerometri e i giroscopi, oltre che alla determinazione della posizione tramite Gps, si è delineato un buon quadro delle capacità dell’imbarcazione. Le prove includevano anche un “circuito di gara offshore” completo di angoli virtuali, così da consentire la registrazione dei tempi di ciascun giro per valutare l’influsso dei diversi assetti sulle prestazioni, la maneggevolezza e il comfort dell’imbarcazione. Il prototipo utilizzato per le prove in mare è uno scafo aperto, privo della sovrastruttura che arricchirà con molteplici caratteristiche stilistiche lo yacht finito. Ron Gibbs, Presidente di Silver Arrows Marine, ha dichiarato: «Il successo di questo importante primo passo nel processo di sviluppo sta ad indicare che lo yacht a motore di Sam verrà presto realizzato. Lo scafo ha mostrato quello che può fare, ora l’attenzione può quindi concentrarsi anche sulla sovrastruttura. C’è ancora molto da fare, ma sono certo che il primo prototipo di Silver Arrows Marine Granturismo sia sulla strada giusta».
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Il prototipo utilizzato per le prove in mare è uno scafo aperto, privo della sovrastruttura che arricchirà con molteplici caratteristiche stilistiche lo yacht finito.
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«L’evoluzione dello stile, del design e del “family-feeling” che hanno fatto la storia di Benetti in 140 anni di vita è un obiettivo ambizioso – ha dichiarato Vincenzo Poerio, Ceo della Megayacht Business Unit di Benetti –. Guardare avanti e anticipare il mercato fa parte del dna di Benetti Yachts».
JOLLY ROGER 65 metri di eleganza per questo bolide del mare disegnato da Ludovica e Roberto Palomba per la nuova gamma Benetti Design Innovation
Peculiarità del nuovo Benetti è il lungo ponte sospeso a prua, capace di creare uno spazio dove vivere e rilassarsi in compagnia.
«Siamo partiti dall’idea di “bolide del mare”. Aristocratico e futurista. Un dna automobilistico che si legge nelle strutture, che liberano i ponti da ingombri visivi restituendo il rapporto con la natura e il mare. Infine, grandi vetrate e un lungo ponte che sembra una terrazza sospesa sull’acqua». Ludovica e Roberto Palomba, ai quali Benetti ha affidato questo progetto della gamma Design Innovation, sono dei veri ambasciatori del design Made in Italy, riconosciuti a livello mondiale. Se l’ispirazione, dunque, è nata dal settore automobilistico, dal quale sono state mutuate le linee, alla base del progetto di questo yacht di 65 metri c’è la volontà di affermare il rapporto privilegiato con il mare. Il sistema di “nervature attrezzate”, che sorregge i ponti, alleggerisce i volumi e consente l’inserimento di vetrate molto ampie. Un lungo ponte sospeso a prua crea uno spazio tutto da vivere e luogo di aggregazione. L’armatore si è riservato un intero piano a disposizione, sul ponte più alto: una posizione privilegiata che gli consente anche di ammirare il cielo nelle notti stellate grazie ad una copertura mobile. Anche per questo magnifico particolare Jolly Roger ristabilisce una relazione tra il dinamismo dello yacht e la natura. Benetti, storico cantiere italiano fondato nel 1873, si è affermata nel corso degli anni come icona di design ed eleganza “senza tempo”, registrando la maggiore crescita nel settore dei megayacht. Nel complesso, il grande progetto Benetti Design Innovation prevede lo sviluppo di ben 27 modelli e 16 firme del design internazionale, da Bannemberg & Rowell a Marco Casali, da Luca Dini a Cristiano Gatto, da Nauta Design a Quarto Stile, per citarne solo alcuni. La gamma comprende imbarcazioni che vanno dai 50 metri ai 90 metri.
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La velocità di crociera è di 15 nodi, la massima di 16. È stato voluto per 12 ospiti, compreso l’armatore, e consente di alloggiare 23 persone di equipaggio e 10 di staff.
CHOPI CHOPI Circa 3.000 persone, ad Ancona, hanno festeggiato il varo del megayacht Crn di 80 metri, il più grande costruito finora dal cantiere del Gruppo Ferretti
«Chopi Chopi, di cui abbiamo curato il progetto delle forme esterne e la compartimentazione interna, è un passaggio importantissimo per il mio studio, perché da un lato è attualmente la nostra più grande realizzazione, dall’altro costituisce l’inizio di una nuova fase di ricerca focalizzata alla definizione di imbarcazioni di maggiori dimensioni». Così si è espresso l’architetto Gianni Zuccon, designer del megayacht di 80 metri Chopi Chopi, che poi ha aggiunto: «Questa imbarcazione sottolinea ancora una volta la mia convinzione di concepire il prodotto come risultante di una corretta e limpida fusione tra il dato linguistico e quello ergonomico-funzionale». Interamente costruita nel cantiere di Ancona, in acciaio e alluminio, è la nave numero 129 di Crn e ha un valore superiore agli 80 milioni di euro. Frutto della collaborazione tra Crn Engeneering, per l’architettura navale, lo Studio Zuccon e l’interior designer Laura Sessa Romboli per gli arredi interni, è uno scafo dislocante articolato in sei ponti, di cui uno riservato esclusivamente all’armatore e il sub lower deck dedicato all’impiantistica. Grandi volumi, ariosità degli spazi e massima attenzione a tutti i dettagli, privilegiando il contatto diretto con il mare, tutto da vivere grazie anche alle grandi vetrate, al portellone di poppa che si trasforma in un beach club di oltre 100 mq. a pelo d’acqua e alle terrazze apribili delle 6 suite. Come non condividere, in modo particolare in considerazione della congiuntura economica che stiamo vivendo, quanto affermato da Lamberto Tacoli, presidente e a.d. di Crn, per il quale questa realizzazione può essere un motivo di vanto anche per tutta la nautica italiana e, più in generale, per la nostra industria.
Lo scafo appena varato è opera di Gianni Zuccon, che ha fatto della multidisciplinarietà la propria forza e collabora in modo costante con il Gruppo Ferretti.
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ForAUTO magazine di Demetrio Moreni
Potenza e velocitĂ
La Porsche Cayenne Turbo S utilizza il medesimo telaio della Cayenne Turbo, monta le sospensioni ad aria (PASM) ed è dotata di Active Damping Control, oltre al sistema Torque Vectoring Plus (PTV Plus) e alle barre antirollio pneumatiche. Di serie anche il pacchetto Sport Chrono e ovviamente la trazione integrale.
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Porsche Cayenne Turbo S è il Suv di nuova generazione della Casa tedesca: non solo grandi prestazioni, ma anche attenzione all’estetica esterna e definizione degli interni raffinati e dotati di tecnologie d’avanguardia
Turbo S 35 For Magazine
È stata presentata durante l’ultimo salone di Los Angeles la Porsche Cayenne Turbo S di nuova generazione, caratterizzata da un’accentuata impronta sportiva che raccoglie l’eredità del modello precedente e rappresenta un miglioramento nel comparto dei Suv. Nata nel 2003 da una joint venture con Volkswagen, la linea Porsche Cayenne incarna, infatti, il prototipo di primo Suv ad alte prestazioni della Casa automobilistica di Stoccarda. Ma, nonostante le dimensioni notevoli e il baricentro alto, questo modello è in grado di sprigionare tanta potenza, accelerando da 0 a 100 km/h in soli 4,5 secondi e raggiungendo la velocità massima di 283 km/h. Oltre alle performance si è puntato molto su temi come design, idoneità all’uso quotidiano e varietà di optional, con l’intento di percepire più potenza ed esclusività, ma anche una massiccia dose di emozioni per chi è alla guida di questa vettura, offrendo così anche un certo livello di lusso. Un principio applicato anche all’equipaggiamento raffinato, elegante, moderno e tecnologico grazie ai dispositivi supplementari di serie, come il sistema di regolazione del telaio Porsche Dynamic Chassis Control (PDCC) e il Porsche Torque Vectoring Plus (PTV Plus) che, consentendo una gestione più efficiente della motricità delle ruote posteriori, garantisce una dinamica di guida senza confronto e un’ottima tenuta di strada. Le peculiarità delle linee esterne si concentrano nella presa d’aria centrale di grandi dimensioni e nel powerdome particolarmente marcato che, assieme ai tratti del frontale che corrono direttamente verso i fianchi, donano alla nuova Cayenne sportività e dinamicità. Il concept dell’auto si evince anche dalla silhouette affusolata, tipica di una coupé, e dalle linee muscolose del paraurti posteriore. Anche il portellone sul retro denota potenza elevata in virtù della scritta cromata “Cayenne turbo S”. I colori esterni di serie della carrozzeria sono il nero e il bianco, ma è possibile scegliere direttamente
For magazine Il gioiello della Casa di Stoccarda ha un cambio di serie a 8 rapporti, denominato Tiptronic S, in grado di trasformare la potenza in forza motrice. Inoltre, la trazione integrale permanente Porsche Traction Management (PTM) trasferisce abilmente la forza motrice alla strada, assicurando la giusta ripartizione in ogni situazione, e aumentando la dinamica di guida.
Particolari caratteristiche estetiche della nuova Porsche sono l’impianto di scarico in colore titanio e due listelli in carbonio, ciascuno con scritta «turbo S». Sono realizzate in carbonio anche le scritte «4.8» e «V8», che lasciano intuire molto di più su tutto il sistema di trazione.
la cromatura dalla gamma di colori della Porsche. Anche i passaruota allargati e il profilo dello spoiler sul tetto sono verniciati di serie nel colore dell’esterno. Per creare un effetto di eleganza a vantaggio di coloro che hanno aspettative elevate in termini di estetica, alcuni componenti sono in nero lucido: l’intera griglia delle prese d’aria, incluse le lamelle, la parte inferiore degli specchi retrovisori esterni e il supporto specchio, i cerchi da 21 pollici 911 Turbo II con stemma della Casa tedesca. Infine, i terminali di scarico in alluminio lucido hanno quattro uscite: la degna conclusione di uno straordinario design esterno. Quanto agli interni, invece, sono realizzati in pelle con una nuova combinazione bicolor nero/beige Luxor o nero/rosso Carrera e creano un’atmosfera sportiva ed elegante. Soprattutto nella zona intorno a guidatore e passeggero sono presenti ulteriori elementi rifiniti in colore a contrasto.
Tappetini neri con cucitura decorativa lungo il bordo e scritta “Porsche” in colore a contrasto completano gli esclusivi interni. Naturalmente, su richiesta, è possibile rendere ancora più sofisticato l’abitacolo scegliendo fra un’ampia selezione di colori e pacchetti di equipaggiamento alternativi, come la pelle naturale o i legni pregiati. Il cielo, le alette parasole, i montanti e altri elementi sono rivestiti in alcantara, un materiale seducente e piacevole al tatto. Le modanature del cruscotto e delle porte anteriori e posteriori, la cornice della consolle centrale e la leva selettrice del Tiptronic S sono realizzate in carbonio. I listelli sottoporta sono in acciaio legato con denominazione modello “turbo S”. I sedili adattativi combinano comfort elevato ad una posizione di seduta tipicamente sportiva: la regolazione elettrica a 18 vie permette di adattare perfettamente i sedili alle esigenze di guidatore e passeggero. L’abitacolo è super accessoria-
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Al comfort della vettura provvede il Porsche Communication Management (PCM) dell’abitacolo con schermo touchscreen a colori munito di comandi agevoli e intuitivi. Il motore V8 4.8 biturbo sviluppa ben 550 Cv e 750 Nm, numeri ancor più consistenti di quelli del V8 4.5 (520 Cv, 700 Nm) della vettura uscente.
Performance elevate e sicurezza per la Turbo S: i dischi freno hanno diametro di 390 mm anteriormente e di 358 mm posteriormente. L’impiego dell’alluminio riduce il peso e le masse non sospese per una migliore aderenza al terreno, maggiore comfort di guida, agilità più elevata e maneggevolezza ottimizzata.
to, a partire dal Porsche Communication Management (PCM) con schermo touchscreen a colori da 7 pollici ad alta risoluzione, che offre comandi confortevoli e intuitivi. Il PCM è l’unità di comando centrale dei sistemi d’informazione e comunicazione per la gestione del modulo di navigazione con disco fisso, radio, cd/dvd, regolazioni sound, computer di bordo o telefono. Il sistema adattivo di regolazione della velocità (ACC), incluso Porsche Active Safe (PAS), regola automaticamente la distanza dal veicolo che precede, frenando quando la distanza preimpostata diminuisce, se necessario fino al completo arresto. Per offrire maggiore sicurezza c’è il dispositivo che assiste per i cambi di corsia (SWA), controllando la zona laterale posteriore della vettura e segnalando al guidatore, tramite una spia luminosa, la presenza di eventuali veicoli che sopraggiungono da dietro sulla corsia adiacente.
Per quanto riguarda le performance, la Cayenne Turbo S è alimentata da un motore biturbo V8 da 4,8 litri con iniezione diretta (DFI), VarioCam Plus e intercooler; sviluppa 405 kw (550 Cv) a 6.000 giri/min, la coppia massima di 750 Nm si raggiunge tra 2.250 e 4.500 giri/min. Il propulsore si trova direttamente sotto il cofano motore: il suo cuore pulsante, realizzato in costruzione leggera, concepito in funzione di prestazioni elevate e consumi relativamente contenuti (11,5 l/100 km). Il cambio Tiptronic S a 8 rapporti, di serie, converte la potenza in forza motrice impressionante. Il sistema si adatta allo stile di guida e al profilo del manto stradale. Le due leve al volante SportDesign consentono cambi marcia sportivi: un tocco verso destra e il Tiptronic S passa alla marcia superiore, uno verso sinistra e scala la marcia. In Italia le consegne della Porsche Cayenne Turbo S sono iniziate nel mese di gennaio al prezzo di 155.515 euro.
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For INmagazine RETE di Marco Gastoldi
Silvia Abbate è diventata famosa nel 2006 quando si presentò come “aspirante sosia di Paris Hilton” alla prima edizione del reality show di Mediaset La Pupa e il Secchione, dove in coppia con Fabio Spinò si classificò al terzo posto, risultando tuttavia la concorrente in grado di suscitare maggiore clamore.
La pupa e il suo blog
Semplice, pop e ironico il portale fashion curato da Silvia Abbate offre utili consigli per un look originale e di tendenza, senza mai rinunciare alla femminilità e all’eleganza 38 For Magazine
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La Abbate ha dichiarato che non rinnega il suo passato: «Non mi toglierò mai di dosso l’etichetta di “pupa”. Oggi di quell’esperienza porto con me soltanto gli elementi positivi, come la popolarità, per offrire alla gente una nuova Silvia, più matura e consapevole, ma che resta comunque la ragazza solare e ironica di sempre».
«Ciao fashioniste! Siamo in pieno Man Fashion Show qui a Milano, non ho parole e sono di corsa per correre da una sfilata all’altra, da un evento ad un altro, da una festa ad un’altra, ma volevo postare qualcosa…». A pubblicare il messaggio correlato da una serie di scatti glamour è la neo-blogger Silvia Abbate, ex “pupa” della trasmissione Tv La Pupa e il Secchione, orgogliosa del suo passato diventato oggi il suo trampolino di lancio. Sembra che a sette anni di distanza dalla partecipazione al programma di Mediaset, Silvia non voglia ancora scendere dalle nuvole. Da tre mesi sul web, il suo inedito blog – nel quale la ragazza veste i panni di esperta fashion blogger per raccontare la sua vita modaiola a spasso per le griffe milanesi – mostra la protagonista ritratta seduta su una nuvola e attorniata da sacchetti per lo shopping. Circondata dai brand come nella vita
di tutti i giorni: Jimmy Choo, Gucci, Stella McCartney e Juicy Couture sono solo alcune delle firme predilette dalla nuova fashion victim. Nato per gioco, come molti dei progetti di successo, il blog Silvia in the sky ha ottenuto in poco tempo il consenso della rete: 190 mila contatti raggiunti in soli 90 giorni per un totale di più di 320 mila visite, grazie alla community di fan che seguono la “pupa” dagli esordi in televisione. Semplice, modaiolo, facile, immediato, pop, gioioso e felice: è proprio con questi aggettivi che lei ama definire il suo spazio virtuale, creato ad hoc per rispecchiare la sua personalità poliedrica ed energica. Dopo una serie di viaggi per il mondo, una laurea in arte moderna e l’arrivo del piccolo Federico, Silvia ha deciso di rimettersi in gioco definendosi una business woman sempre attenta alle novità e a nuove prospettive lavorative, rimanendo allo
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stesso tempo una ragazza normale, amante delle cose belle e senza peli sulla lingua, che non ha paura di svelare il suo punto di vista. La nuova consulente di stile ama scrivere della sua vita, del suo lavoro e del suo tempo libero in maniera tanto ironica quanto pungente, accostando ad ogni ambito della sua giornata la grande passione per la moda, nata dal suo trascorso come modella conosciuta anche all’estero. Amante della fotografia, cerca di riunire negli scatti che la ritraggono il mix di sensualità e classe. Da via Montenapoleone a via della Spiga arrivando in corso Venezia, Silvia ci guida all’interno dei negozi più glamour descrivendo i suoi gusti e dispensando i suoi consigli in fatto di look. «Questo blog è una parte della mia vita. Spero con le mie pillole letterarie e le mie immagini di farvi sorridere, di informarvi e di rendere più leggeri i vostri giorni».
For magazine IN PASSERELLA di Demetrio Moreni Foto di Roberto Magno
Fascino eterno
Quello della Capitale che ha ospitato il suo fashion week con la nuova edizione di AltaRoma AltaModa, l’evento glamour ricco di sfilate, concorsi e magnifiche creazioni dei migliori stilisti del Made in Italy e non solo Per quattro giorni, dal 26 al 29 gennaio scorsi, Roma si è trasformata nel centro nevralgico dello stile e del look più rinomato e raffinato, in virtù del grande evento di haute couture che si è celebrato con la 18esima edizione di AltaRoma AltaModa, presso il Complesso Monumentale Santo Spirito in Sassia. Il programma prevedeva un calendario ricchissimo di sfilate che hanno avuto come protagonisti sia i brand italiani d’Alta Moda più noti sui palcoscenici internazionali, come Balestra, Gattinoni, Ferrera, Curiel, Lettieri, Sarli, solo per citarne alcuni, sia le creazioni di fashion designer di nuova generazione, quali Molaro, Curti, Ribeiro. Non solo: ospite speciale è stata anche Stella Jean, senza dimenticare, poi, il libanese Abed Mahfouz, Tony Ward, la new entry Jack Guisso, Camillo Bona e Rami al Ali, l’olandese Addy Van Den Krommenacker e, infine, i giovani stilisti di Made in W.I.O.N (ovvero “Who Is On Next”, il concorso di Vogue Italia che va in scena nelle versioni estive della kermesse). Come era facile immaginare, questa edizione si è confermata un momento importante per svelare le collezioni dei capi d’abbigliamento dedicati alla prossima stagione primavera/estate 2013.
Curiel
I fiori sono stati il fil rouge che ha unito questa rassegna invernale 2013. Infatti, una serie di abiti con motivi floreali è stata al centro delle creazioni di Raffaella Curiel (premiata in Campidoglio dal sindaco Gianni Alemanno): tailleur in lino, giacche avvitate sui fianchi, tubini e mise per cerimonie esaltati da petali gialli, chiffon, organza. Ma la couturier lombarda ha reso omaggio anche al mondo dell’arte, scegliendo come icona di stile una nobildonna rinascimentale, come quelle ritratte nei quadri di Botticelli, per nobilitare la bellezza, la femminilità e il fascino senza tempo delle donne.
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BALESTRA
Renato Balestra ha regalato al pubblico la sua collezione a forti tinte blu (“blu Balestra”, appunto) caratterizzata da abiti monocromatici con accenni di bianco e fantasie floreali; invece, per gli outfit serali lo stilista triestino ha portato in passerella tessuti in tulle nero, o intrecciati con il suo blu, ornati con mantelli di organza e rifiniti con eleganti ricami. Altro must della linea è stato il fiordaliso, fiore scelto sempre per la sua tonalità blu. Un disegno floreale è apparso anche sul vestito nuziale, ricoperto di perle, indossato dall’ex Miss Italia Maria Perrusi.
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Gattinoni
Tocco completamente diverso negli abiti fatti sfilare da Gattinoni. Guillermo Mariotto, direttore artistico della maison, ha preferito giocare con le dimensioni, affidandosi alla tecnologia e alle manipolazioni di computer grafica: ecco allora comparire sulle sedie del parterre i classici occhialini 3D per poter ammirare la tridimensionalità dei jumpsuit, tagliati sul tulle e lavorati su piÚ strati di pizzo, dei disegni optical dei vestiti e delle geometrie aerodinamiche. Tanta sensualità e giochi di trasparenze, grazie a tessuti leggerissimi, bikini in strass, shorts con camicie in organza o con intagli di pizzo sul tulle, ideali per l’estate e le tenute da spiaggia.
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For magazine COSE DI MODA di Marco Gastoldi e Ivan Rota
Lo stile senza limiti
Tra le novità delle collezioni autunno/inverno ce n’è per tutti i gusti: precisione nel design, purezza delle linee, tessuti trattati tecnologicamente e colori dalle tinte pop. In passerella anche i capi per Pitti Uomo e Pitti Bimbo. E poi uno sguardo oltreoceano per ammirare abiti e accessori delle dive sul red carpet
ALEXANDER WANG
Con un consolidato e ormai raggiunto successo internazionale, Alexander Wang si è dimostrato anche per l’attuale collezione invernale uno dei talenti più interessanti della moda emergente contemporanea. Linearità e pulizia sono i concetti chiave del suo stile che evolve nel tempo mantenendosi fedele alle caratteristiche comuni minimal che si intravedono collezione dopo collezione. Per l’inverno 2013 Wang sceglie una silhouette decisa e architettonica formata da linee dritte e giacche a scatola, da portare con gonne a matita o pantaloni alla caviglia. I tessuti sono tutti trattati tecnologicamente: tweed laccati effetto lucido, nappa doppiata con lana e ricami. Le sfumature sono solo alcune ed essenziali: avorio, bianco, nero e rosso scuro.
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JOHN GALLIANO
Ispirata all’universo equestre delle nobildonne, la collezione invernale firmata John Galliano propone mantelle asimmetriche e cappotti in stile cavallerizza. I pantaloni lunghi a vita bassa si caratterizzano per il taglio delle forme da fantino tondeggiante, che giocano sul contrasto maschile/femminile, ed elaborate giacche-parka con profili in pelliccia che si abbinano a pantaloni alla zuava, mentre il corredo per l’equitazione è sostituito da short corti e parigine. Le gonne compaiono sotto forma di modelli in chiffon di seta con spacchi vertiginosi e sensuali. Gli abiti per la sera variano in lunghezza, manifestando la loro semplicità abbinata a materiali come raso e chiffon. Le sfumature cromatiche variano dal nero all’oro fino ad arrivare al verde oliva e al pesca, mentre le forme sono arrotondate nelle spalline, appesantite nella parte superiore del corpo e skinny in quella inferiore.
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BLUMARINE
Una collezione brillante e grintosa quella firmata da Anna Molinari per Blumarine, dedicata ad una donna sicura di sÊ che ama essere ammirata. Outfit scintillanti da mattina a sera, arricchiti da pellicce fluo e dall’effetto metallizzato dei completi, sono i capisaldi del frizzante marchio insieme alle paillettes che riflettono ogni raggio di luce. Un inverno abbagliante dalle tinte pop del giallo, turchese, verde, arancio e fucsia in declinazioni fluo, oro, argento e sfumature pastello per l’effetto metallizzato e rainbow per le pailettes. Le forme si dimostrano audaci e contemporanee passando dalle voluminose pellicce agli shorts cortissimi da abbinare con le calze. Leggerissimi gli abiti da sera da sfoggiare con maxi bag in pitone laminato e bracciali in plastica con cristalli.
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JOSEPH ABBOUD
Il marchio Joseph Abboud lancia la linea uomo Etichetta Rossa negli Stati Uniti, Europa, Russia e Medio Oriente, tramite una collaborazione produttiva con l’azienda italiana del lusso Cipriani Spa. La genesi di Joseph Abboud Etichetta Rossa è stata concettualizzata e ispirata da articoli di sfilata esclusivi mostrati durante la settimana della moda di New York. Le categorie di prodotti da uomo inizialmente presentate saranno abbigliamento sportivo, abiti aderenti, accessori. Il design delle nuove collezioni di lusso sarà supervisionato dal direttore creativo del brand Bernardo Rojo. «Siamo felicissimi che Joseph Abboud abbia scelto Firenze per il debutto della sua prima linea», dice Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Uomo.
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MASSIMO REBECCHI
Un capo icona dedicato ai nuovi “city boys in Tokyo” che diventa un segno di distinzione: inedita fantasia camouflage per la bohemien jacket firmata Massimo Rebecchi che reinventa la classica giacca da smoking in versione bohemien, per un modo di vestire cittadino fuori dagli schemi. Black tie ma in una inedita fantasia camouflage: il modo perfetto per sfuggire all’omologazione e interpretare l’eleganza in maniera personale e contemporanea. Una moda ispirata a una libertà totale, alla passione per una vita senza troppe radici che rilegge la tendenza bohemienne del XIX secolo e la concentra nel centro nevralgico del nuovo secolo, Tokyo. I temi più urbani sono contaminati dall’approccio autentico della collezione: i blazer sono vissuti, destrutturati, dal gusto sartoriale in lana con stampe mimetiche; la maglieria è sofisticata e declinata nei colori autunnali (“castagna'” bruciati e muschio, colori del sottobosco), tradotta su filati come mohair e merinos infeltriti. Abiti dall’anima stropicciata in cui tweed e lane invecchiate si mescolano ai velluti delavè nei colori più grintosi, quali ocra e salvia, per un guardaroba iconico con esuberanti stampe cachemire, talvolta sovra tinte. T-shirt più che camicie, cui si sovrappongono giacche destrutturate in jersey street, con texture joie de vivre e nuance dai colori forti.
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SALVATORE FERRAGAMO
Salvatore Ferragamo propone per l’inverno 2013 una collezione classica rivisitata in chiave contemporanea e attuale. Tutto sembra ruotare intorno al business, alla metropoli, agli affari: le sfumature grigio cemento influenzano la palette cromatica mentre le esigenze delle nuove tecnologie definiscono il design degli accessori. L’uomo si dimostra così attento al guardaroba quanto alle attività lavorative e dimostra una forte attenzione per il dettaglio. I colori variano dal grigio al bordeaux fino al vinaccia e al viola melanzana, creando accostamenti inediti come i colori tipici della città dalla consueta matrice grigia. Lana bouclè, velluto stampato e pelliccia in astrakan si mescolando a stivaletti in vitello, porta-iPad in pelle e stringate degrade.
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MISS GRANT
Grande successo alla 76ma edizione di Pitti Bimbo per il debutto di L:ú L:ú girl, la collezione minimal chic di Miss Grant che ha sfilato presso la Sala della Ronda insieme con le altre stelle dell’universo della maison. La collezione autunno/inverno 2013-14 di L:ú L:ú girl, dedicata alle bambine dai 2 ai 14 anni, ha portato in passerella modelli dal look gipsy chic, caratterizzati da un’identità unica, originale e da un tocco di casual raffinato. Per interpretare lo stile trasversale delle linee di Miss Grant – Miss Grant Couture, Miss Grant Easy&Chic, So Twee by Miss Grant e Grant Garçon – hanno sfilato in passerella quaranta bambini di nazionalità diverse, accompagnati da ben quattro cambi di scenografia.
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CELEBRITIES IN VAN CLEEF & ARPELS
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Van Cleef & Arpels ha illuminato il red carpet alla 70° edizione dei Golden Globe Awards, che si sono svolti pochi giorni fa al Beverly Hilton Hotel a Beverly Hills. Tra le star che hanno scelto i gioielli della maison parigina: Adele, vincitrice del premio per la migliore canzone originale con il brano Skyfall, tratto dall’omonimo film della serie su James Bond, ha indossato un paio di orecchini “Estate” in oro giallo e diamanti della collezione Heritage, 1971.
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Catherine Zeta Jones, in veste di presentatrice, con abito Jenny Packham, ha indossato orecchini “Majestueux” della collezione Bals de Légende in platino e diamanti, taglio smeraldo, radiant e marchise; bracciale “Art Deco” in platino e diamanti baguette taglio square della collezione Van Cleef & Arpels Private.
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Photo by Jeff Vespa - Getty Images
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Isla Fisher, in veste di presentatrice, e outfit firmato Reem Acra, ha indossato un bracciale “Palmyre” a tre file in oro bianco e diamanti della collezione Palmyre, un bracciale “Galuchat” in platino e diamanti round della collezione Lines, un bracciale in platino e diamanti della collezione Van Cleef & Arpels Private, e un anello “Dentelle” in oro bianco e diamanti della collezione Dentelle.
Sienna Miller, in abito Erdem, nominata per il premio alla migliore interpretazione femminile nella miniserie televisiva The Girl, ha indossato orecchini “Fleurette” in oro bianco e diamanti, della collezione Fleurette.
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double feature di Ivan Rota
Naomi Watts ha partecipato all’evento G’Day Usa Black Tie Gala 2013, a Los Angeles, indossando un paio di scarpe in raso color argento della collezione Ferragamo Red Carpet, abbinate ad una pochette double face in razza e oro: l’attrice, nominata agli Oscar per il film catastrofico The Impossible, ha più di quarant’anni, ma sembra ancora una ragazzina e porta questo abito rosa di Gucci con una grazia infinita.
Paz Vega non si smentisce mai. L’eleganza della ragazza che fece strabuzzare gli occhi ai benpensanti con le sue performance erotiche in Lucia y el sexo ne ha fatta di strada: è diventata un’icona glamour e ha interpretato numerosi film. Su di lei aveva messo gli occhi Javier Bardem prima che sposasse Penelope Cruz. Paz centellina le sue apparizioni, ma quando si fa vedere è sempre un piacere, come alla festa della Weinstein Company’s dopo la notte dei Golden Globe. 54 For Magazine
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Lana Del Rey si è presentata al party InStyle and Warner Bros. con pochette di cristalli swarovski color oro e struttura in metallo della nuova collezione Ferragamo Red Carpet: la bambolina che ha battuto ogni record di vendite canta con un filo di voce. C’è da dire che è molto attenta al look, anche se dovrebbe evitare ulteriori ritocchi estetici. Ultimamente è spesso a Milano. È stata vista all’Armani Cafè, ma era in compagnia di un amico, lo stilista Massimo Crivelli. L’uomo segreto dovrebbe essere un altro.
Rodrigo Santoro era a Los Angeles durante l’anteprima mondiale di The Last Stand, il nuovo film con Arnold Schwarzenegger. L’attore brasiliano, dal fascino perverso e molto intrigante, si è presentato con un insolito completo per la sera: niente smoking, ma un abito chiaro che, a dire il vero, lo ingrassava un po’. Solo che con quella faccia e quel fisico può permettersi di indossare ciò che vuole. E le donne svengono… 55 For Magazine
For magazine COME UNA STAR di Valentina Polidori
MILA KUNIS:
la sensualità venuta dal freddo
Scopriamo da vicino lo stile dell’attrice ucraina che ha rapito il cuore del collega Ashton Kutcher e conquistato la fama con il film Il cigno nero Da qualche tempo Mila Kunis è sulle copertine di tanti giornali e in tutte le sale cinematografiche. Con i suoi 163 cm di altezza, la ragazza, ormai quasi 30enne, sta spopolando tra i più accaniti cinefili. Nata in Ucraina da genitori ebrei, a 14 anni vince un provino per aspiranti attori che le apre le porte della recitazione. Di lì in poi, una serie di successi sul grande schermo l’ha vista protagonista: dall’avventuroso Max Payne al toccante Il cigno nero (per cui vince il Premio Mastroianni nel 2010 alla Mostra del Cinema di Venezia), dal divertente Amici di letto all’esilarante Ted. Dotata di una bellezza estremamente particolare, quasi magnetica, riesce ad interpretare ruoli tanto drammatici quanto comici, senza mai perdere credibilità e fascino. Minuta ed esile nel fisico, può permettersi di indossare abiti dai colori tenui e dalle forme aderenti, come questo di Elie Saab Haute Couture, sfoggiato alla cerimonia dell’assegnazione dei premi Oscar nel 2011. Lungo, con morbido strascico, nell’attualissimo color lavanda, questo vestito in seta, tulle e pizzo ha una consistenza leggerissima, quasi impalpabile, e ricade delicatamente sul corpo della giovane diva. Molto scollato, con un raffinato profilo di pizzo sul décolleté, segna il punto vita con una stretta fascia, un raso ton sur ton che enfatizza il drappeggio dell’abito, sia nella banda di tessuto liscio, plissettata sul davanti, sia nei volants di pizzo ricamato ai fianchi. Seppur monocolore, realizzato in una delle tinte uniche più fini, si tratta comunque di un capo estremamente elegante, da minimizzare con accessori decisamente low profile. Ecco, infatti, che la donna capace di rubare a Demi Moore il suo toy boy, vi abbina un paio di décolleté color nude, così come la pochette da sera è declinata in un colore neutro Unghie cortissime, smalto tenue e capelli raccolti sulla nuca in morbide onde, l’unico vezzo che l’attrice si concede è quello di valorizzare i suoi grandi occhi color smeraldo con un tocco di eye liner nero, lasciando le labbra naturali, così come l’incarnato. Completano l’outfit da sera bangles in oro bianco al polso destro ed orecchini a disco di brillanti ai lobi. Pelle diafana, occhi di giada e recitazione versatile: tutti elementi volti a suggerire che se sentiremo ancora parlare di Mila Kunis non sarà solo per i suoi meravigliosi, incredibili, elegantissimi look.
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PROTAGONISTI di Tommaso Gandino
Questione di stile La moda per l’imprenditore Gimmi Baldinini è un mondo affascinante e stimolante, ma allo stesso tempo molto impegnativo, capace di dare risultati solo nel tempo impegnativo, fatto di grande costanza e di un lavoro quotidiano e assiduo che ti può portare ad avere risultati solo nel tempo». Di che cosa hanno bisogno le donne di oggi? «Di sentirsi sempre più belle e orgogliose della propria persona». Qual è la scarpa perfetta per sedurre un uomo? «La scarpa che ogni donna riesce a portare con naturalezza e che la fa sentire affascinante». Quali ambizioni deve ancora soddisfare in una carriera così ricca di successi? «Le aspirazioni sono quelle di non fermarsi mai, di cercare sempre di raggiungere ogni giorno nuovi orizzonti. La mia vita è una continua ricerca ed è questo che mi rende vivo».
Gimmi Baldinini entra nell’azienda di famiglia negli anni ’70, e con la sua gestione imprime il cambiamento necessario per farla crescere e competere con le imprese leader nel settore.
Quando ha cominciato a pensare alla moda come a una professione? «Da sempre, ossia da quando ero piccolo, poiché la mia famiglia faceva lo stesso lavoro che faccio io oggi». Lei sa cogliere in profondità le attitudini delle donne, il loro desiderio di sentirsi belle, eleganti e femminili… «Il saper captare le necessità di una donna è un elemento fondamentale nel mio mestiere, diversamente non potrei conquistarle attraverso le mie collezioni. Ogni proposta deve colpire l’attenzione ed essere intrigante per suscitare il desiderio di averla». Perciò ogni collezione è un’emozione? «Sì, perché vedi realizzato quello per mesi pensi nella testa, e vedere concretamente il frutto della propria passione è di grande gratificazione». Una delle caratteristiche del suo stile è stare al di fuori dai trend… «Penso che ogni prodotto debba avere la propria personalità, ma non per questo deve essere controtendenza; è sempre indispensabile dare la propria impronta con la consapevolezza
di seguire comunque il mood del momento». Come si fa a non passare di moda quando si lavora nel mondo della moda? «Se si è dei professionisti del settore non si può passare di moda, questo mondo ti stimola ad essere ricettivo nei confronti dei cambiamenti di stile, nell’evoluzione del gusto, nelle esigenze dei propri clienti. Si deve rimanere sempre sulla cresta dell’onda per essere tra i migliori». La sua principale qualità professionale? «Penso sia la mia passione per il lavoro, che si traduce nella costanza di volere raggiungere i miei obiettivi». Per il suo lavoro lo stile è una necessità? «Lo stile è d’obbligo ed è ciò che fa la differenza», Il suo accessorio cult? «Non potrei far a meno di una scarpa casual nel mio guardaroba!». Che cosa si sente di dire ai giovani che vogliono affacciarsi al mondo della moda? «Vorrei dire loro che è un mondo molto affascinante e stimolante, ma allo stesso tempo molto
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ForCINEMA magazine di Silvestro Bellobono
IL LATO POSITIVO SILVER LININGS PLAYBOOK È possibile rimettere in piedi la propria vita dopo che si è toccato il fondo? Con un po’ di ottimismo sì! Come ci insegnano Bradley Cooper e Jennifer Lawrence nella commedia amara (e velatamente autobiografica) del controverso David O. Russell
Bradley Cooper (38 anni) è stato voluto personalmente dal regista nonostante la produzione spingesse per affidare il ruolo a Mark Wahlberg. L’attore statunitense ha conosciuto grande notorietà grazie alla commedia Una notte da leoni (2009) e successivo sequel.
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Bradley Cooper e Robert De Niro (69 anni) nel film sono padre e figlio, legati dalla comune passione per la squadra di football locale: i Philadelphia Eagles. I due attori avevano già recitato insieme nel thriller Limitless. La pellicola di David O. Russell ha vinto il People’s Choice Award al Toronto International Film Festival 2012.
Dopo la pioggia di apprezzamenti e premi per The Fighter, che nel 2011 vinse due Oscar, due Golden Globe e ricevette svariate nomination (incluse quelle per il miglior regista) ritorna David O. Russell, cineasta statunitense specializzato in commedie bizzarre (di cui proprio The Fighter è un’eccezione) dai sottotesti profondi come Amori e disastri, Three Kings, I Heart Huckabees. Nel suo nuovo lungometraggio Russell ha messo molto di se stesso, soprattutto nel tratteggio del protagonista maschile, affetto da depressione e disturbo bipolare. Negli ambienti di Hollywood, infatti, il regista newyorkese è piuttosto celebre per i suoi incontrollati scatti d’ira, che in passato lo hanno portato a scontrarsi duramente con i suoi attori, da Ben Stiller a Dustin Hoffman, fino alla scazzottata con George Clooney sul set di Three Kings nel 1999.
Una presa di coscienza del suo carattere difficile che in Silver Linings Playbook (titolo originale più poetico di quello italiano) assume quasi un valore terapeutico, di espiazione e purificazione. A cui, di sicuro, deve aver contribuito la lettura del romanzo omonimo di Matthew Quick (in italiano L’orlo argenteo delle nuvole, Salani Editore) su cui il film si basa. «A farmi conoscere il libro è stato Sidney Pollack, che lo aveva comprato assieme ad Harvey Weinstein – ha raccontato Russell –. Benché la trama fosse di fantasia, l’ho trovato ugualmente ricco di personaggi intensi ed autentici, che rispecchiavano una dimensione precisa e ben nota all’autore: sfere domestiche cariche di sentimento, individui sottoposti a grandi pressioni, situazioni drammatiche e inattese e inconsapevoli venature comiche. Sono sempre stato molto attratto da questo genere
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Jennifer Lawrence (22 anni) per il ruolo di Tiffany ha conquistato da poco il Golden Globe per la migliore attrice in un film commedia o musicale. Lei e gli altri tre attori del cast (Cooper, De Niro e Jacki Weaver), il regista-sceneggiatore e il film sono stati nominati nelle rispettive categorie agli Academy Awards 2013.
di scenari, li trovo affascinanti. Viene descritto un determinato luogo, un determinato momento, cibi e rituali precisi, diversi da tutti gli altri, eppure risulta palese come certe emozioni, il bisogno di amore, rispetto e mezzi di sussistenza siano profondamente universali». Col tono leggero di una commedia romantica pervasa di amarezza, la pellicola narra infatti le vicende di Pat Solatano (Bradley Cooper), un ex insegnante di storia del liceo che, dopo aver trascorso quattro anni in un istituto psichiatrico, anche se lui si ostina a credere che siano stati solo pochi mesi, viene affidato alle cure dei genitori Dolores e Pat sr. (Jacki Weaver e Robert De Niro), tornando ad abitare a casa con loro. Pat ha perso tutto: la memoria, il lavoro, la casa, e soprattutto la moglie, ma non ha smarrito il suo naturale ottimismo, il “silver lining”, ovvero la capacità
di guardare al lato positivo delle cose. Così, convinto fermamente di potersi riconciliare con la sua donna, si impegna per essere un uomo migliore, per rimettersi in forma facendo continuamente jogging e per ritrovare quell’equilibrio mentale che possa donargli nuova felicità. Non mancheranno le incomprensioni familiari, il rischio di ricadute e i nuovi incontri. Come quello con Tiffany (Jennifer Lawrence), la bella vicina di casa rimasta prematuramente vedova, che soffre a sua volta di problemi psichiatrici, eppure si offrirà di aiutare Pat a ricostruire la sua esistenza. Ma, siccome la vita non va sempre secondo i piani, il loro rapporto assumerà una piega inaspettata. Le ottime performance fornite dai protagonisti contribuiscono a fare del film un prodotto riuscito, in grado di emozionare lo spettatore, come
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Robert De Niro e Jacki Weaver (65 anni). Il lato positivo è stato girato interamente nello stato americano della Pennsylvania con un budget di circa 21 milioni di dollari.
conferma lo stesso regista: «Ho subito pensato che Bradley Cooper avesse, per così dire, molta della spontaneità intuitiva, della fierezza e della vulnerabilità che caratterizzano Pat Solatano. Bradley, dal canto suo, era ansioso di interpretare un personaggio intenso e insolito. Non avevo mai incontrato, invece, Jennifer Lawrence di persona, ma il suo provino su Skype mi ha lasciato senza parole. Tra loro si è creata subito un’alchimia perfetta, quasi tangibile, incandescente: sono due persone speciali, un vero dono della natura. Un’altra cosa per cui sono grato è stato poter avere nel cast Robert De Niro, con il suo profondo desiderio di interpretare in modo autentico un ruolo tanto ricco di sfumature, che in più ci riguardava personalmente, in quanto genitori».
SCHEDA DEL FILM REGIA: David O. Russell SCENEGGIATURA: David O. Russell CAST: Bradley Cooper, Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Julia Stiles, Jacki Weaver, Chris Tucker, John Ortiz, Dash Mihok, Anupam Kher, Shea Whigham GENERE: Commedia DURATA: 117' DISTRIBUITO DA: Eagle Pictures USCITA: 7 marzo 2013
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DIE HARD
UN BUON GIORNO PER MORIRE Proseguono le avventure di John McClane, alias Bruce Willis, ovvero l’eroe più giusto nel posto sbagliato al momento sbagliato. Questa volta è in trasferta in Russia per salvare il figlio Jack e il mondo intero da una imminente guerra nucleare
Bruce Willis (57 anni) ha dichiarato che manderà in pensione il suo personaggio solo dopo Die Hard 6: «Nei prossimi anni – ha detto l’attore – si potrebbe facilmente trovare un sostituto per me. Ma per ora posso ancora correre e combattere sullo schermo».
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Bruce Willis con Jai Courtney (26 anni) e Sebastian Koch (50 anni), ovvero John McClane che impugna un fucile a pompa al fianco del figlio Jack, altrettanto armato a dovere, mentre scortano il boss russo Komorov. Le riprese di A Good Day to Die Hard (questo il titolo originale) sono state realizzate a Budapest.
E con questo si arriva a cinque. Ben cinque capitoli della saga actionpoliziesca più longeva di Hollywood (superata anche Arma Letale ferma al momento a quattro episodi) che vede protagonisti i muscoli, la grinta e lo sprezzo del pericolo di John McClane, all’inizio semplice agente di polizia diventato detective nel corso dei vari film della serie, cominciata nel 1988 con Trappola di cristallo e proseguita con 58 minuti per morire (1990), Die Hard - Duri a morire (1995), Die Hard - Vivere o morire (2007). Come il suo personaggio anche Bruce Willis che lo interpreta non ci pensa proprio a riconsegnare pistola e distintivo e ad andare in pensione. Soprattutto ora che la generazione anni Ottanta-Novanta dei “duri americani” ha ripreso a fargli una spietata concorrenza, da Sylvester Stallone con la saga de I mercenari ad Arnold Schwarznegger, che conclusa la carriera politica è tornato davanti alla macchina da presa e sta lavorando al progetto di Terminator 5. E dire che Willis, oggi 57enne, aveva provato a reinventarsi attore per tutte le stagioni, sperimentando sia il suo lato comico in diverse pellicole sia quello drammatico, ottenendo in questo il suo miglior risultato con la parte del sensibile psicologo de Il sesto senso. Ma il primo amore cinematografico non si scorda mai, visto anche che lo ha consacrato come star planetaria, e così puntualmente l’ipertrofico Bruce torna a calarsi nei panni, strappati e sporchi di sangue, dell’eroe solitario nei film d’azione, l’ultimo a restare vivo sul campo di battaglia. Tuttavia, questa volta non è da solo. Nella nuova pellicola della pentalogia Die Hard, ironicamente sottotitolata Un buon giorno per morire e diretta da John Moore su sceneggiatura di Skip Woods, lo spericolato McClane raddoppia: al vecchio John si unisce il giovane figlio Jack, impersonato da Jai Courtney (ex gladiatore del serial Tv Spartacus: Blood and Sand). Dopo essere volato fino a Mosca per tirare fuori di prigione il suo ragazzo, con cui non ha mai avuto un bel rapporto, il rude poliziotto yankee viene accolto da una sfilza di criminali locali agguerriti e pronti a tutto per eliminarlo. Convinto che suo figlio sia un poco di buono, John scopre che
in realtà è un addestratissimo agente operativo della Cia, al quale, una volta saltata la copertura, la malavita russa, dopo aver messo le mani su alcune armi nucleari, sta dando la caccia. I due McClane dovranno unire le forze e far convivere i loro metodi contrapposti per disinnescare un piano terroristico ed evitare una guerra tra superpotenze, sbarazzandosi di mafiosi senza scrupoli come Komorov (Sebastian Koch) e Collins (Cole Hauser). Scommettiamo che i fucili vecchia scuola dell’inossidabile John avranno la meglio ancora una volta? A proposito del lungometraggio, che fa del ritmo serrato e delle sequenze mozzafiato i suoi punti forti, Tom Rothman, capo esecutivo della Fox Filmed Entertainment, ha affermato: «Sono due le novità di questo film: primo, John McClane, l’ultimo eroe americano, va in Russia e si sente come un pesce fuor d’acqua; secondo, è una storia sul rapporto tra padre e figlio. Devo proprio dirlo: sarà un Die Hard decisamente “classico”».
SCHEDA DEL FILM REGIA: John Moore SCENEGGIATURA: Skip Woods CAST: Bruce Willis, Jai Courtney, Cole Hauser, Mary Elizabeth Winstead, Sebastian Koch, Yuliya Snigir, Amaury Nolasco, Megalyn Echikunwoke, Anne Vyalitsyna GENERE: Azione, Poliziesco DURATA: 96' DISTRIBUITO DA: 20th Century Fox
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HITCHCOCK
Con una prova d’attore magistrale, Anthony Hopkins porta sullo schermo la vera storia d’amore tra il “maestro del brivido” e sua moglie Alma Reville, mostrando il dietro le quinte di Psycho. Accanto a lui Helen Mirren e Scarlett Johansson
Sir Anthony Hopkins (75 anni) ha vinto l’Oscar nel 1992 per il ruolo del Dottor Lecter de Il silenzio degli innocenti. Ha ricevuto nomination anche per Quel che resta del giorno, Gli intrighi del potere - Nixon e Amistad. Il suo prossimo film sarà Noah (2014) nella parte di Matusalemme, accanto a Russell Crowe alias Noé.
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Michael Stuhlbarg, Toni Collette e Anthony Hopkins. L’opera è tratta dal libro di Stephen Rebello Alfred Hitchcock and the Making of Psycho, partendo dalla storia dell’assassino Ed Gein (a cui è ispirato il personaggio di Norman Bates) che, nel periodo tra il 1947 e il 1957, uccise due persone in Wisconsin.
A 75 anni, e dopo 45 di carriera caratterizzati da film indimenticabili, performance eccezionali, un Oscar, svariate nomination e altri premi, il titolo onorifico di “Sir”, Anthony Hopkins non è ancora sazio. Dopo essersi calato nei panni di tanti personaggi, reali o di fantasia, da Riccardo Cuor di Leone (il suo debutto cinematografico nel 1967) a Odino (in Thor, 2011), passando per Abraham Van Helsing, Richard Nixon, Pablo Picasso, Diego De La Vega/Zorro e, soprattutto, il Dottor Hannibal “The Cannibal” Lecter (la sua maschera iconografica più celebre), l’attore britannico si confronta con il suo più illustre connazionale che, come lui, ha lasciato un segno profondo ad Hollywood: celato sotto strati considerevoli di trucco, protesi artificiali e abiti extra-large ha assunto, infatti, le sembianze ingombranti del “maestro del brivido” in Hitchcock, pellicola biografica diretta dall’esordiente Sacha Gervasi. Trentatré anni dopo la morte di uno dei più grandi cineasti della storia, Hopkins prova a far rivivere la leggenda (con risultati ottimi come dimostrano le critiche per la sua camaleontica interpretazione), indagando le origini, le controversie e i misteri che ruotano intorno alla lavorazione del suo thriller campione di suspense e grande successo commerciale del 1960:
Psycho. Il biopic di Gervasi – autore dell’apprezzato documentario Anvil! The Story of Anvil sulla band metal canadese – parte dalla vita privata di Alfred Hitchcock, concentrandosi particolarmente sul rapporto d’amore e di lavoro con la moglie e collaboratrice Alma Reville (una perfetta Helen Mirren), per poi approfondire le frustrazioni umane e professionali, le difficoltà economiche a produrre un’opera osteggiata dagli Studios (arriverà persino a ipotecarsi la casa), la sua “insana e morbosa” curiosità per i delitti e la violenza, i rapporti tormentati con i suoi attori («Dovrebbero essere trattati come bestie», diceva di loro). Sullo sfondo, ma ossessivamente presente, il suo capolavoro del terrore, una pellicola che rischiò di non vedere la luce a causa delle discussioni sulla sceneggiatura, della severa censura cinematografica del tempo, del lancio pubblicitario e della distribuzione nelle sale, oltre che per i dubbi attorno ad un progetto in cui non credeva nessuno, nemmeno la Paramount che lo produsse. Ne viene fuori un film nel film, basato sul libro di Stephen Rebello Alfred Hitchcock and the Making of Psycho, dal quale emerge la personalità titanica del regista inglese nel ribellarsi al gusto e allo status quo
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Scarlett Johansson (28 anni) veste, e nella scena della doccia sveste, i panni di Janet Leigh. La sensuale attrice newyorkese è stata sposata dal 2008 al 2010 con il collega Ryan Reynolds. Sebbene ancora a secco di premi importanti, può tuttavia vantare la sua stella sulla “Hollywood Walk of Fame”, ricevuta il 2 maggio 2012.
dell’epoca, in nome della sua visione artistica e della vita, scandita da un maniacale perfezionismo divenuto proverbiale, che lo porta a scontrarsi con tutti, moglie inclusa, per centrare il suo obiettivo finale. E i fatti gli hanno dato ragione, se è vero come è vero che a distanza di oltre cinquant’anni i macabri delitti consumati al Bates Motel occupano i primi posti di tutte le migliori classifiche sui “film di paura”, essendo entrati di diritto nella storia del cinema mondiale. Così come alcune scene celeberrime del lungometraggio, che Gervasi, Hopkins e il resto del cast riportano in vita donando loro nuova e mitica linfa. Su tutte l’inquietante sequenza, capace di creare una psicosi collettiva oltre che un archetipo tecnico per tutti i futuri registi che si sono dilettati a imitarla e citarla,
dell’omicidio sotto la doccia di Janet Leigh (ovvero la protagonista che muore dopo 40 minuti dall’inizio). Ad impersonare l’attrice che ricopriva il ruolo della segretaria ladra Marion Crane è Scarlett Johansson, chiamata qui ad una prestazione intensa e drammatica, capace di rilanciarne l’indiscusso talento e le quotazioni presso la mecca del cinema, dopo qualche passaggio a vuoto in parti minori e in film più leggeri (come Iron Man 2 e The Avengers). Invece a dare vita all’assassino psicopatico Norman Bates, alias Anthony Perkins, è James D’Arcy. Completano il team stellare Jessica Biel (Vera Miles), Toni Collette, Ralph Macchio e Danny Huston.
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Jessica Biel (30 anni) è Vera Miles, attrice amata dal vero Hitchcock che la volle ne Il ladro e Psyco. Nel 2012 la Biel ha sposato in Italia la pop star Justin Timberlake.
SCHEDA DEL FILM REGIA: Sacha Gervasi SCENEGGIATURA: John J. McLaughlin CAST: Anthony Hopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson, Jessica Biel, James D’Arcy, Toni Collette, Michael Stuhlbarg, Michael Wincott, Danny Huston, Ralph Macchio, Kurtwood Smith GENERE: Drammatico, Biografico DURATA: 98' DISTRIBUITO DA: 20th Century Fox USCITA: 7 marzo 2013
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THE HOST Una razza aliena si impadronisce degli esseri umani, ma la coscienza della giovane Melanie è piÚ forte e il suo amore per Jared rovescia il conflitto tra conquistato e conquistatore. Dal romanzo di Stephenie Meyer ha inizio una nuova saga romantica
Diane Kruger (36 anni). La star franco-tedesca deve la sua fama a due titoli su tutti: Troy e Bastardi senza gloria. Sembra che dopo The Host arriveranno in libreria, e poi in sala, due sequel: The Soul (il romanzo è quasi terminato) e The Seeker.
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Saoirse Ronan (19 anni) e Max Irons (27 anni). L’attore britannico è il figlio del grande Jeremy Irons e di Sinéad Cusack: ha recitato accanto al padre in La diva Julia (2004). In seguito ha preso parte anche a Dorian Gray di Oliver Parker e Cappuccetto rosso sangue di Catherine Hardwicke.
A pochi mesi dalla conclusione della saga cult Twilight, torna sul grande schermo un prodotto firmato da Stephenie Meyer, ormai vera e propria “macchina da soldi” dell’industria culturale statunitense e indubbia garanzia di successo al box office. Molto probabilmente sarà così anche per The Host, romanzo dai temi più adulti e fantascientifici che la popolare scrittrice del Connecticut ha dato alle stampe nel 2008 (in Italia è stato pubblicato da Rizzoli col titolo L’ospite), e che comunque si rivolge anche a quel target di adolescenti al momento orfani dei vampiri Edward e Bella. Soprattutto se si considera che tutta la vicenda ruota attorno alla storia d’amore tra due ragazzi solo parzialmente umani. Infatti, in un futuro prossimo, sulla Terra non esistono più guerre, regna la pace e la vita procede tranquilla: ma non è più il mondo che conoscevamo. Una razza aliena ha preso il sopravvento sul nostro pianeta, sterminando gli umani e utilizzandone i corpi come involucro fisico. Gli invasori sono degli esseri chiamati “Anime” che si spostano nell’Universo portando l’armonia tra gli abitanti di vari pianeti, inserendosi nel cervello altrui per prenderne il possesso. Una di queste creature, Viandante, si appropria del corpo di Melanie Stryder (Saoirse Ronan), una
giovane donna unitasi ai ribelli terrestri che si oppongono all’invasione dei “parassiti” e per difendersi si sono rifugiati in comunità. Subito l’entità aliena si accorge che la coscienza di Melanie è ancora viva dentro di sé e ne comincia a condividere le memorie, le sensazioni, gli affetti, i pensieri e soprattutto l’amore per Jared (Max Irons), un sentimento sconosciuto che prevale e sovverte ogni regola della propria specie. È così che l’anima extraterrestre, chiamata ora Wanda, inizia a cercare il ragazzo alleandosi con il subconscio di Melanie nel tentativo di salvare la razza umana. Ma dovrà guardarsi le spalle dai pericoli rappresentati dalla Cercatrice (Diane Kruger), un’anima incaricata di trovare gli umani ancora liberi. I produttori Nick Wechsler, Steve e Paula Mae Schwartz hanno voluto che Stephenie Meyer fosse coinvolta nell’adattamento del suo libro e nell’intero processo realizzativo, prendendo parte attiva alle decisioni creative. A tal punto che la scelta del regista Andrew Niccol è stata caldeggiata proprio dalla “mamma di Twilight”, in passato fan dei film scifi Gattaca e The Truman Show, entrambi scritti proprio da Niccol, che una volta contattato ha letto il romanzo, ne è rimasto affascinato e ha deciso di incontrare i produttori e la Meyer, accettando di scrivere e dirigere The
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Saoirse Ronan è nata a New York ma è cresciuta in Irlanda, di cui è originario il padre. Si è fatta notare dal grande pubblico nel 2007 con Espiazione (film tratto dal libro omonimo di Ian McEwan) in cui rubava la scena a Keira Knightley. Il ruolo le valse una candidatura agli Oscar del 2008 come miglior attrice non protagonista.
Host. Il regista neozelandese ha da sempre una buona familiarità con le opere di fantascienza dai risvolti sociali, come dimostrano anche le sue pellicole S1m0ne (2002) con Al Pacino e In Time (2011) con Justin Timberlake, che hanno fatto di lui un esperto del genere. Nel cast brilla la stella luminosa di Saoirse Ronan, attrice irlandese diciannovenne dal curriculum già lunghissimo e di qualità, che si è guadagnata “sul campo” i ruoli da protagonista indiscussa, stimata dai critici dopo le brillanti prove in Espiazione, Amabili resti e Hanna. Accanto a lei i giovani Max Irons e Jake Abel, oltre al veterano di lungo corso William Hurt e alla bellezza teutonica di Diane Kruger.
SCHEDA DEL FILM REGIA: Andrew Niccol SCENEGGIATURA: Andrew Niccol CAST: Saoirse Ronan, Jake Abel, Max Irons, William Hurt, Diane Kruger, Frances Fisher, Boyd Holbrook, Chandler Canterbury, Scott Lawrence, Raeden Greer, Marcus Lyle Brown GENERE: Fantascienza, Thriller DURATA: 109' DISTRIBUITO DA: Eagle Pictures USCITA: 28 marzo 2013
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PINOCCHIO Enzo D’Alò, già autore de La freccia azzurra e La gabbianella e il gatto, offre la sua personale rilettura, con qualche spunto innovativo, del romanzo di Collodi sul burattino più amato dai bambini. Le musiche originali sono di Lucio Dalla
Prodotto da una collaborazione tra Italia, Francia, Belgio e Lussemburgo, il film si avvale anche dei disegni di Lorenzo Mattotti, il grande illustratore che lavora con importanti quotidiani e riviste come The New Yorker, Le Monde, Das Magazin, Repubblica.
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Enzo D’Alò ha scritto il film insieme con Umberto Marino nel più assoluto rispetto dei dialoghi originali di Collodi. Il regista napoletano ha lavorato anche per la Tv nella serie animata del 1997 dedicata a Le Nuove Avventure della Pimpa, la cagnolina a pois rossi dalle lunghe orecchie nata dalla penna di Francesco Tullio Altan.
Ci sono voluti diversi anni per vedere la luce (il primo trailer risale addirittura al 2000), ma ora, finalmente, il Pinocchio di Enzo D’Alò arriva nelle sale italiane, e poi in quelle di tutto il mondo. Come già successo per i suoi quattro film precedenti, capaci di consacrarlo agli occhi di pubblico e critica come uno dei massimi esponenti europei del cinema d’animazione, l’unico autore italiano che sappia esportarli all’estero. Dopo le trasposizioni cinematografiche di La freccia azzurra (1996) ispirato al libro di Gianni Rodari, La gabbianella e il gatto (1998) basato sul romanzo di Luis Sepulveda, Momo alla conquista del tempo (2001) tratto da un racconto di Michael Ende (tutti realizzati dallo studio di animazione torinese Lanterna Magica), e Opopomoz (2003), D’Alò non poteva che cimentarsi con la più grande favola italiana per bambini, quella scritta nel lontano 1881 da Carlo Lorenzini detto Collodi. Un’opera universale con la quale si sono confrontati in molti, da Walt Disney a Roberto Benigni, passando per il memorabile adattamento televisivo di Luigi Comencini. Grandi autori a cui il lavoro del regista napoletano è di certo debitore, ma l’impronta personale non manca in questa
rilettura per certi aspetti innovativa. «È dal 2000, appena terminata la quarta versione della sceneggiatura, che mi arrovello su quale sia la strada corretta e originale per ri-raccontare la storia di Pinocchio – ha dichiarato D’Alò –. Abbandonata. Ripresa. Abbandonata, poi ripresa, poi nuovamente abbandonata. Per quale reale motivo Collodi scrisse una storia per bambini, moralista, troppo, lui che moralista non appariva? Qual era il punto di vista della storia? Pinocchio o Geppetto, la Fatina o il Grillo? Alle tante metafore contenute nel testo mi mancava il collegamento e soprattutto la motivazione iniziale dell’autore. Poi il mio babbo ci ha lasciati, una notte di novembre del 2003. Ho cercato di approfondire i perché di un dialogo spesso sempre superficiale, avevo bisogno di capire e giustificare il mio atteggiamento di figlio “non ubbidiente”. Ho riletto il romanzo di Collodi sotto questa nuova luce». Così, benché la storia del burattino bugiardo che sogna di diventare un bambino vero sia quella che tutti conosciamo, D’Alò approfondisce lo sguardo su Geppetto, che non ha mai dimenticato di essere stato un bambino pieno di fantasia e, mentre costruisce Pinocchio, si rivede nel
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Il Gatto e la Volpe hanno le voci di Maurizio Micheli e Maricla Affatato. Oltre alle musiche e alle canzoni di Lucio Dalla – che dà anche la voce al pescatore verde – nel film sono presenti i brani Mangia e bevi eseguito da Nada, La canzone di Turchina cantato da Leda Battisti e Busker intonato da Marco Alemanno.
suo volto, immagina ciò che la marionetta di legno vede e rivive con nostalgia il suo passato, le sue aspettative, le sue emozioni di bambino perduto. «Il rimpianto, la memoria, il futuro diventano Pinocchio», ha sottolineato il regista, che nella pellicola offre anche una chiave di lettura diversa della Fata Turchina, vista qui non come una figura materna, bensì come un’amica, una coetanea, una possibile compagna di Pinocchio. Ai personaggi, disegnati con tocco classico ma personale da Lorenzo Mattotti, prestano le voci alcuni noti attori italiani come Rocco Papaleo (Mangiafuoco), Maurizio Micheli (il Gatto), Paolo Ruffini (Lucignolo), Pino Quartullo (Carabiniere). Tuttavia, il contributo più importante è stato quello del compianto Lucio Dalla, che ha firmato le musiche originali e cantato due canzoni del film. «Questa colonna sonora è ricca ed elaborata, poetica e raffinata, ma allo stesso tempo rock popolare e contaminata, hip hop, charleston e R&B, come deve essere la musica di un film rivolto ad un pubblico eterogeneo – ha spiegato D’Alò –. E la presenza di Lucio, musicista eclettico e appassionato, si
percepisce anche nei suoi assoli di clarinetto, o nel suo skat serrato della canzone piena di ritmo e allegria scoppiettante che descrive il Paese dei Balocchi».
SCHEDA DEL FILM REGIA: Enzo D’Alò SCENEGGIATURA: Enzo D’Alò, Umberto Marino CAST: Gabriele Caprio, Mino Caprio, Maurizio Micheli, Rocco Papaleo, Paolo Ruffini, Maricla Affatato, Andy Luotto, Pino Quartullo, Lucio Dalla GENERE: Animazione DURATA: 84' DISTRIBUITO DA: Lucky Red USCITA: 21 febbraio 2013
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For magazine CONSIGLI & SCONSIGLI di Dina D'Isa
Il Film da non perdere
LES MISÉRABLES
Hugh Jackman (44 anni) e Anne Hathaway (30 anni) hanno vinto il Golden Globe per questo musical. L’attore australiano ha al suo attivo diversi spettacoli a Broadway.
Toccante, epico e superbamente interpretato è uscito anche nelle sale italiane il musical Les misérables, diretto da Tom Hooper, che ha già fatto incetta di nomination agli Oscar e di Golden Globe. Teatro, musica e cinema sono perfettamente mescolati nella colossale produzione Universal, fedele all’opera di Boublil e Schonberg. La trama è nota e tratta dal romanzo di Victor Hugo ambientato nella Francia della post Restaurazione. A Toulon, nel 1815, sotto lo sguardo impietoso del carceriere Javert, tra un gruppo di forzati al lavoro, spicca il prigioniero Jean Valjean, condannato a 5 anni per aver rubato del pane con cui sfamare la sorellina e a 14 anni aggiuntivi per aver tentato la fuga. Arriva il suo ultimo giorno di detenzione, ma la libertà tanto attesa non sarà così piacevole. L’unico a trattarlo con gentilezza è il Cardinale di Digne che gli salva la vita negando alla polizia il furto di alcuni pezzi di argenteria che Valjean aveva rubato di notte. Superba la performance attoriale e canora di Hugh Jackman nei panni di Jean Valjean, soprattutto quando canta What have I done?. Meno convincente invece Russell Crowe, nei
panni del temibile Javert, che sembra tanto accorto al timbro della sua voce da dimenticare poi l’intensità della sua interpretazione. L’azione si sposta 8 anni dopo a Montreuil sur Mer, dove Valjean ha una nuova identità: è il rispettato proprietario di una fabbrica, oltre che sindaco della città. Proprio nella sua fabbrica lavora Fantine (una straordinaria Anne Hathaway dalla voce travolgente quando canta I dreamed a dream), donna disperata e ragazza-madre licenziata ingiustamente, poi costretta alla prostituzione che, scena dopo scena, conduce agli inferi anche Valjean. Nella parte della terribile Madame Thenardier appare una poco accattivante Helena Bonham Carter, mentre Cosette è interpretata da Amanda Seyfried. I botteghini italiani rappresentano una grande prova per il film poiché il nostro pubblico è in genere poco abituato al musical. Infatti, chi non ama il genere potrebbe trovare noiose le oltre due ore cantate della pellicola. Ma, in ogni caso, Les Misérables è un affascinante esempio di trasposizione dal teatro al grande schermo: intenso, sfarzoso e vibrante.
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For magazine Il Film da evitare
REC 3 - LA GENESI
Clara (Leticia Dolera) e Koldo (Diego Martìn). L’attrice spagnola nel 2008 è stata tra i protagonisti del film Imago Mortis, diretto dal regista italiano Stefano Bessoni.
Diretto da Paco Plaza (che ha abbandonato la fortunata collaborazione con Jaume Balaguerò), il terzo film della saga spagnola sul virus che trasforma le persone in zombie spiega precedenti informazioni e svela l’arrivo di un capitolo finale. In Rec 3 - La Genesi, Clara ((Leticia Dolera) e Koldo (Diego Martìn) hanno organizzato il loro matrimonio fin nel più piccolo dettaglio, in modo da renderlo il giorno più bello e indimenticabile di tutta la loro vita. Ma sulla giovane coppia incombe sempre un’ombra scura, e nel giorno più felice della loro vita si scatenerà un inferno di orrori da cui è impossibile fuggire, poiché non hanno previsto che nessuno degli invitati potrà cancellare dalla mente quanto sta per accadere, a causa di un misterioso virus che si propaga velocemente durante il ricevimento. L’horror non riesce però a fare paura, ma anzi annoia e in certe scene desta pure ilarità suscitata da situazioni ridicole, laddove vorrebbero invece essere drammatiche. Anche se ci sono sequenze girate alla luce del sole, che danno al film una realtà del tutto nuova e non sempre inquietante come dovrebbe essere
una pellicola dell’orrore. L’infezione ha lasciato l’edificio e riunisce le trame dei primi due film, facendo scoprire (forzatamente) informazioni nascoste nei capitoli precedenti e lasciando la porta aperta per l’ultima parte, il preannunciato Rec 4 - Apocalypse. A differenza degli altri, questo terzo atto è stato girato solo in parte con videocamera amatoriale, mentre tutta il resto, che mira solo intenzionalmente ad essere più concitato e pauroso, è stato filmato in maniera tradizionale, cosa che ha fatto infuriare i fan della saga. Non è convincente nemmeno la scena in cui, durante festa uno zio di Koldo, morso da un cane nel suo studio veterinario, comincia a manifestare strani comportamenti: sembra semplicemente ubriaco, ma all’improvviso si sporge da una balaustra e cade precipitando su un tavolo delle sala da ballo. Gli invitati si avvicinano per soccorrerlo ma vengono morsi e contagiati uno dopo l’altro. È così che la paura, il panico e gli zombie dividono i due novelli sposi, dando inizio all’incubo.
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FENOMENI di Sara Donati
Diavoli volanti 76 For Magazine
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Sfidando la legge di gravità disegnano in cielo acrobazie incredibili. Con la moto osano qualsiasi cosa. Ma i temerari su due ruote si sfidano anche nel deserto, in montagna, nei corsi d’acqua. Senza dimenticare quelli che guidano i loro bolidi in pista
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Sopra i tetti, nel deserto, al circo, nei fiumi e nelle foreste: i “pazzi” delle moto non hanno paura di niente. Quelli più “normali” sembrano i piloti che corrono in pista, come Pedrosa (sopra). Ma forse dimentichiamo che sono arrivati a velocità vicine ai 400 chilometri all’ora…
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For magazine ROCKSTAR di Nolberto Bovosselli
Il ritorno del Duca
David Robert Jones nasce a Londra l’8 gennaio 1947. In questa immagine del 1976, scattata durante un live all’O’Keefe Centre, veste i panni dandy di The Thin White Duke.
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Bianco Anticipato dal singolo Where Are We Now?, dopo dieci anni d’assenza dai riflettori dello spettacolo, David Bowie sconvolge ancora il mondo della musica lanciando a sorpresa un nuovo album. Proprio quando il Victoria & Albert Museum di Londra ha deciso di dedicargli una mostra glamour per celebrare il suo mito senza tempo
Quando il mondo intero lo credeva ormai in pensione da tempo, lui, spiazzando tutti per l’ennesima volta, nel giorno del suo 66esimo compleanno ha rivelato sul suo sito ufficiale l’imminente uscita (a metà marzo 2013) di The Next Day, il ventisettesimo album registrato in studio. A distanza di dieci anni da Reality, David Bowie ritorna con un cd di inediti costituito da 14 tracce, precedute dal singolo Where Are We Now?, già in vendita su iTunes. «Questo è David – ha detto Tony Visconti, il produttore che assieme a lui ha lavorato al progetto in gran segreto per due anni –, un artista che viaggia in accelerazione nel tempo e nello spazio e che ama le sfide impossibili. La mattina dell’8 gennaio ha annunciato dal suo sito un nuovo disco. Nessuno sospettava nulla. Twitter e Facebook sono rimasti al palo. E lui ha vinto ancora». Già, il Duca Bianco anche stavolta ha rivolto lo sguardo al suo passato per osservare il futuro del mondo. È sempre stato un precursore dei tempi, un artista avanguardista, un esploratore visionario capace di arrivare largamente in anticipo laddove gli altri avrebbero impiegato anni per giungervi. Eppure, proprio nell’epoca storica in cui tutte le celebrities “cinguettano” qualsiasi informazione che le riguardi, la rock star britannica è riuscita a mantenere uno strettissimo riserbo su quello che è diventato di fatto l’album più atteso del 2013: niente rumors, niente foto, niente note in anteprima on line, ma solo il silenzio più assoluto su questa importante pubblicazione che ora ha messo in fibrillazione il mercato discografico internazionale. «Ho passato gli ultimi due anni ad ascoltare i brani dell’album in cuffia, camminando per New York», ha affermato sempre Visconti, l’unica voce pubblica al momento. Infatti Bowie tace. Come accade da circa dieci anni, durante i quali in molti hanno provato a stanarlo dal suo rifugio dorato di New York, dove vive
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La foto di Bowie di spalle con il cappotto che ritrae i colori della Union Jack, la bandiera del Regno Unito, fu scelta per la cover dell’album Earthling (1997). È possibile ammirarla nella mostra al Victoria & Albert Museum di Londra accanto al mitico vestito a strisce dell’“Aladdin Sane Tour” datato 1973.
con la moglie, l’ex-fotomodella somala Iman Mohamed Abdulmajid, e i due figli. E ci avevano provato soprattutto in occasione delle Olimpiadi di Londra nell’estate del 2012, che hanno celebrato la sua musica e la sua leggenda durante la cerimonia ufficiale, ma lui aveva declinato l’invito, lasciando intendere un abbandono definitivo delle scene artistiche, forse per stanchezza e sopraggiunti limiti d’età. Invece, eccolo risorgere dalle sue ceneri come l’Araba fenice e ritornare tra noi come Thomas Jerome Newton, l’alieno protagonista di L’uomo che cadde sulla Terra, il film di fantascienza che nel 1976 segnò il suo debutto cinematografico. E qualcosa di “extra-terrestre” si trova anche in questo nuovo The Next Day, come ha spiegato ancora Tony Visconti: «È un album piuttosto rock, con materiali estremamente forti e belli; chi cerca il classico David Bowie lo troverà in questo album; chi cerca un Bowie innovativo troverà anche questo». Quello che, al contrario, tutti i fan possono decisamente scordarsi è una tournée: infatti, non è prevista
alcuna forma di promozione dal vivo attraverso concerti o apparizioni live, come ha sottolineato il produttore dell’artista: «David è abbastanza categorico sul fatto che non si esibirà mai più. Uno dei ragazzi gli ha chiesto: “Come faremo a fare tutto questo dal vivo?”. E lui ha risposto: “Non lo faremo”. Ne ha fatto un punto fermo ripetendolo tutto il tempo». Del resto è sempre stato così, l’anticonformista Bowie ha fatto a modo suo sin dagli esordi, quando, circa quarant’anni fa, comparve sulle scene musicali con l’album esplosivo The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. Era il 1972 e nei panni di Ziggy Stardust portò in giro uno show dalle meraviglie in cui realtà e finzione scenica si mescolavano in un unicum. In quel decennio sfornò un disco all’anno, opere straordinarie come Aladdin Sane, Pin Ups, Diamond Dogs, Young Americans, Station to Station; poi dal 1977 al 1979 sfoderò il suo electro pop intellettuale con la cosiddetta trilogia berlinese di Low, Heroes e Lodger, album realizzati parzialmente a Berlino e influenzati dalle conta-
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David Bowie nel film di fantascienza L’uomo che cadde sulla Terra, diretto nel 1976 da Nicolas Roeg, tratto dall’omonimo romanzo di Walter Tevis.
La copertina di Aladdin Sane, il disco del 1973. Il titolo è anche un gioco di parole: Aladdin Sane (Aladino sano di mente) diventa “A lad insane” (un ragazzo pazzo).
minazioni tra rock ed elettronica dei gruppi tedeschi dell’epoca. Decisivo fu l’incontro con Brian Eno, altro reduce dal glam-rock dei primi ’70 che permise all’artista di sperimentare soluzioni nuove, non solo musicali ma anche nel look, passando dal personaggio androgino Ziggy Stardust al più macho The Thin White Duke (noto in Italia come il Duca Bianco), influenzando con il suo stile le future generazioni di artisti. Come scrisse il Times: “I Beatles e i Rollings Stones si contesero gli anni Sessanta, poi venne Bowie e si prese i Settanta tutti per sé, ma da allora praticamente non se n’è più andato”. Un simile monumento dello spettacolo meritava, quindi, di essere celebrato come un’opera d’arte: ci ha pensato il Victoria & Albert Museum di Londra, che dal 23 marzo al 28 luglio 2013 gli dedicherà una mostra speciale per ripercorrere le tappe più importanti della sua sfavillante carriera. David Bowie Is è l’esclusiva esposizione che il prestigioso museo realizzerà, avendo ottenuto il pieno accesso all’archivio del Duca Bianco, dal quale
sono stati estratti testi scritti a mano, fotografie, film, video e scenografie, strumenti e spartiti musicali, copertine degli album e, soprattutto, costumi di scena e dei concerti. Un totale di circa 300 pezzi esposti, tra cui il famoso vestito a strisce del suo Aladdin Sane Tour del 1973, così come il minuscolo costume di Starman, usato per la performance del 6 luglio 1972, in cui cantò il primo singolo dell’album Ziggy Stardust. «Da quel giorno, con il suo modo di fare, la sua voce, i suoi abiti, le sue scelte, Bowie ci diceva in sostanza: ho un aspetto diverso da quello degli altri, anche voi potete essere diversi, siate tutto ciò che volete», ha dichiarato Victoria Brockes, curatrice della mostra, soddisfatta per la grande mole di materiale avuto a disposizione ma dispiaciuta per non aver mai incontrato la star, che si è rifiutata di collaborare con il Victoria & Albert, lasciando che il museo scegliesse autonomamente di presentare la sua vita e le sue opere come voleva. Andando, ancora una volta, in controtendenza.
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For magazine ARTE di Nolberto Bovosselli
Tiziano Vecellio, Autoritratto, 1566 circa, olio su tela. Madrid, Museo del Prado © Museo Nacional del Prado.
A tutto Tiziano
Roma rende omaggio ad uno dei più grandi pittori del Rinascimento, presentato attraverso le tante sfumature della sua produzione artistica, dagli esordi innovativi al tocco geniale della maturità e alla sua attività di “imprenditore” 92 For Magazine
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Tiziano Vecellio, Flora, 1515 circa, olio su tela. Firenze, Galleria degli Uffizi © Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Storicamente sono molti i grandi artisti che nel corso dei secoli hanno dato lustro all’Italia, realizzando opere d’arte uniche, osannate ancora oggi in tutto il mondo. Se poi si concentra lo sguardo sull’età rinascimentale e i capolavori di valore inesti-
mabile e bellezza incommensurabile che ci ha donato, i nomi si restringono a quattro figure che hanno definito, o ridefinito, i parametri tecnici e i canoni estetici da seguire: Raffaello, Leonardo, Michelangelo e Tiziano. Proprio a uno di questi massimi
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Tiziano Vecellio, Madonna in gloria con il Bambino, san Francesco, san Biagio e il donatore Luigi Gozzi, 1520, olio e tempera su tavola. Ancona, Pinacoteca Civica "F. Podesti" e Galleria d’Arte Moderna.
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esponenti del Cinquecento, periodo incredibilmente proficuo e fecondo per l’arte italiana, le Scuderie del Quirinale dedicano la mostra antologica Tiziano, che per circa quattro mesi (per l’esattezza dal 1 marzo al 16 giugno) permetterà di ripercorrere i passaggi principali dell’inarrestabile carriera dell’assoluto maestro veneziano: dagli inizi del suo lavoro nelle botteghe di Giovanni Bellini e Giorgione sino all’indipendenza raggiunta con le grandi tele per i dogi, gli Este e i Della Rovere, per arrivare infine alle committenze imperiali di Carlo V e poi del figlio Filippo II. Una rassegna sontuosa che conclude simbolicamente il percorso di rilettura della pittura veneziana, sviluppato dal museo quirinalizio analizzando l’opera dei protagonisti della rivoluzione pittorica moderna – da Antonello da Messina a Giovanni Bellini, da Lorenzo Lotto a Tintoretto –, di cui Tiziano è l’eccellente testimonianza finale. Nato a Pieve di Cadore nel 1480 circa, cittadino della Repubblica di Venezia (dove morì nel 1576), Tiziano Vecellio è stato un pittore innovativo e originale, capace di differenziarsi e poi ergersi sulle pitture di quegli anni. Maestro, insieme con Giorgione, del colore tonale (ossia la tecnica di stesura tono su tono per ottenere un effetto plastico sui soggetti), si può considerare oggi un vero imprenditore ante litteram di un’azienda di natura artistica. Infatti, in virtù delle sue “capacità manageriali” attirò su di sé l’attenzione delle più importanti maestranze dell’epoca, strappando lauti incarichi ai più facoltosi committenti d’Italia, entrando direttamente a contatto con loro e divenendo in breve tempo il pittore ufficiale della Serenissima. Inoltre, la sua fama crebbe notevolmente con l’avvicinarsi al circolo umanistico di Venezia, grazie al quale la sua pittura assunse tratti legati ai temi filosofici, mitologici e musicali, con la realizzazione di dipinti dal carattere elitario, che fecero di lui un modello per opere ispirate alle forme della classicità e uno dei maggiori esperti della ritrattistica rivolta a uomini potenti. Le sue tavole erano allora dominate dal risalto della luce e delle penombre, con una gamma di colori brillanti e corposi, carichi di forza espressiva, che man mano diminuisce chiaramente dal semplice tonalismo della sua giovinezza. Il suo stile, almeno per quanto concerne il primo periodo di produzione, consisteva essenzialmente in quel “fondamento sul colore” che nella tradizione cinquecentesca contrappose la scuola veneziana/veneta a quella fiorentina, basata sul michelangiolesco “primato del disegno”. Tiziano usò la forza espressiva del colore per dipingere le emozioni dei personaggi, grazie ad una tecnica fatta di macchie di colore e di ombreggiature che, oltre a rendere unici i suoi lavori, riuscivano a conferire alle tele vita propria. L’esposizione romana, la prima dopo diversi anni in grado di ripercorrere l’intero arco d’attività dell’artista, permette di sottolineare anche i cambiamenti e le evoluzioni che la sua tecnica ha subito nel tempo, fino a mostrare un Tiziano che arriverà a dipingere non più con i pennelli ma con le dita, mescolando i colori direttamente sulla tavolozza. La sua abilità sorprendente fu ammirata già da Giorgio Vasari (1511-1574) quando osservava come le prime opere del pittore veneto «siano condotte con una finezza e diligenza incredibile, e da essere vedute da presso e da lontano; le ultime, condotte di colpi, tirate via di grosso e con macchie (…) appariscono perfette». Decennio per decennio, i visitatori possono ammirare l’evoluzione della pennellata tizianesca anche attraverso interessanti confronti iconografici, tra i quali il più significativo è quello tra la Crocifissione della chiesa dei domenicani di Ancona, il Crocifisso dell’Esco-
Tiziano Vecellio, Carlo V stante col suo cane, 1533, olio su tela. Madrid, Museo del Prado © Museo Nacional del Prado.
rial di Madrid e il frammento di Crocifissione oggi presente nella Pinacoteca Nazionale di Bologna. Al palazzo delle Scuderie sono esposti anche alcuni tra i dipinti più celebri come il Concerto e la Bella di Palazzo Pitti, la Flora degli Uffizi, la Pala Gozzi di Ancona, la Danae di Capodimonte, il Carlo V con il cane e l’Autoritratto del Prado o lo Scorticamento di Marsia di Kromeriz. Una rassegna cospicua, dunque, resa possibile grazie al sostegno e ai prestiti delle massime istituzioni museali italiane e straniere, così da consentire al grande pubblico di comprendere appieno la straordinarietà di un assoluto protagonista della storia dell’arte rinascimentale in Italia.
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For magazine DI CALCIO INNAMORATI di Elena e Michela Martignoni www.elenaemichelamartignoni.com Una coreografia dei tifosi del Milan, distinti in diversi gruppi riuniti sotto il nome di “Curva Sud Milano”.
Derby d’Italia
Una divertente intervista a due supertifosi di Inter e Milan che hanno raccontato la loro “insana” passione in un libro tutto da gustare. Ma ogni stracittadina ha le sue storie e i suoi protagonisti: da Milano a Roma, da Genova a Torino 96 For Magazine
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La curva Nord dello Stadio Giuseppe Meazza appartiene di diritto ai tifosi dell’Inter. Il prossimo “derby della Madonnina” si disputerà il 24 febbraio (all’andata terminò 1-0 per i nerazzurri); invece, salvo modifiche per anticipi o posticipi, il 7 aprile si giocherà Roma - Lazio, il 14 aprile Genoa - Sampdoria e il 28 aprile Torino - Juventus.
In copertina ci sono Rivera e Mazzola che si stringono la mano. “Loro” invece sono quelli fotografati sul retro. Uno con la sua bella maglia rossonera e l’altro con quella nerazzurra. Due sorrisi goduti, convinti. Nemmeno Caraceni riuscirebbe a cucire un abito in grado di procurare loro la stessa felicità. Due ragazzi di cinquant’anni (…e rotti) con la faccia da bambini e il cuore che batte per la propria squadra. Claudio Sanfilippo, professione cantautore, e Tiziano Marelli, professione giornalista, fedi opposte, stessa passione: il calcio. Vissuto fin dall’adolescenza in modo viscerale, come si può leggere nel libro che hanno scritto a quattro mani per Mondadori: Fedeli a San Siro. Un libro che per quelli della nostra generazione – i nati dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta – e cresciuti a Milano, è un ritorno a sensazioni, profumi, atmosfere della passata (ma non del tutto) giovinezza. Pur non essendo tifose sfegatate di calcio come gli autori, leggendo Fedeli a San Siro ci è capitato di ridere da sole, ma anche di commuoverci, ritrovare luoghi perduti nella memoria, e riconoscerci in molte situazioni. Qualche esempio. Impagabile il capitolo in cui Sanfilip-
po racconta di quando andava a piedi dal Gallaratese a San Siro in mezzo alla neve, con la “sciura” Carla (sì, esistevano ed esistono tifose scatenate anche tra le attempate signore milanesi). Noi conosciamo “la” Sara, una bellissima signora dagli occhi lunghi e ammalianti e un caschetto di capelli corvini tagliati come quelli di Valentina di Crepax. Un’interista sfegatata, che non si perde una partita. E la cabala che nel tempo costringerà il Marelli a evitare di assistere alle partite dell’Inter insieme con suo padre? Per non parlare del Sanfilippo che in una camera d’albergo segue la partita alla Tv con un pannolino in testa per scaramanzia. Basta, non vi riveliamo altro, sono racconti che meritano di essere letti senza anticipazioni. Storie di calcio e di tifo ma anche di vita, di amicizia e rispetto, di giornalismo coi fiocchi, di un’Italia che non dobbiamo cancellare dalla memoria. Il calcio non è morto, anzi, i ragazzi sognano, ci credono, lo vivono anche oggi, non come allora, però. Da madri possiamo dire che ora lo vivono in modo troppo… virtuale. Quando sentiamo i nostri figli esultare per un gol realizzato con la play station portatile, ci piange il cuore. Come sarebbe meglio che quel
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Fedeli a San Siro. Storie di calcio, di derby e non solo di Claudio Sanfilippo e Tiziano Marelli, Mondadori (collana Strade blu), 17,50 euro. Prefazione di Gianni Mura.
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La Curva Sud dello Stadio Olimpico di Roma, storicamente occupata dai supporter giallorossi, è una delle tribune del tifo più calorose d’Italia, anche grazie alle colorate, e spesso colorite, coreografie calcistiche. Durante il derby della Capitale è un tripudio di bandiere e striscioni con i dirimpettai tifosi della Lazio posti nella Curva Nord.
gol fosse stato segnato su un campo vero, magari di un oratorio, magari nel fango, tra i sassi e la polvere, su un prato senz’erba, ma reale! Ora i ragazzi sono inquadrati come soldatini nelle giovanili e fanno tutti troppo sul serio. Non c’è quella spensieratezza priva di fini che non fosse il puro divertimento o l’emulazione di un campione amato, che ci descrivono Marelli e Sanfilippo. Oggi bisogna vincere, diventare subito fenomeni, e soprattutto guadagnare, pensare ai contratti, agli sponsor, “a tutte quelle cose lì”, importanti d’accordo, ma che hanno inaridito e trasformato anche lo sport in un business miliardario dove non c’è spazio per il cuore. I tempi cambiano e bisogna accettarlo, altrimenti ci si trasforma in vecchi “babbioni” ammuffiti. Lasciateci però ricordare com’era – usando un parolone – poetico, quando era tutto spontaneo come un “quasi gol”. Chi ha voglia di ricordare si legga questo libro. Noi, per conoscerli meglio, abbiamo intervistato i due autori. Chiediamo a Claudio: che cos’è il Milan per te? Dacci una definizione del milanista tipo. «Appassionato, scoperto, battagliero, anche quando la squadra non gira. Il milanista riflette la tradizione rossonera, che è legata al bel gioco, votato all’attacco».
Inevitabile chiedere a Tiziano: chi è il puro interista? «Non credo esista una “purezza” nerazzurra, ma, a differenza della mia estrazione ultraproletaria, mi piace pensare all’interista-tipo come a qualcuno con la puzza lievemente sotto il naso, non solo in ambito calcistico, che poi è proprio quello che dicono di noi. L’interista classico ama i toni moderati allo stadio come da Taveggia a colazione la domenica mattina prima del derby, il sorriso come massimo sfottò quando la squadra dell’altra sponda perde (spesso, da qualche tempo), il ricordo della fantastica squadra allenata dall’Helenio Herrera (Sarti, Burgnich, Facchetti e via andare: se la ricordano tutti) al pari di quella che con Josè Mourinho ha vinto il “triplete”. In ogni caso, quel tipo aborre quelli che dietro la nostra sciarpa lanciano i motorini dal secondo anello, e anche quelli che ogni tanto danno di matto in curva. Ci piacerebbe non succedessero mai queste cose: meglio andare a mangiare la pizza dopo la partita con gli amici, e pensare già alla prossima. Guardiamo avanti, insomma, e non dormiamo sugli allori come i milanisti, che su quelli e sui ricordi ormai lontani sembrano campare di rendita all’infinito». Geografia del tifo. La storia della rivalità di Milan e Inter definisce anche il carattere del “milanese”, e la città è una grande protagonista del vostro libro. Ci sono zone di Milano più interiste o zone più
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Le due tribune opposte dello stadio Luigi Ferraris, situato nel quartiere Marassi di Genova, ospitano il cosiddetto “derby della Lanterna”: da un lato i sostenitori blucerchiati della Sampdoria, dall’altro quelli rossoblu del Genoa, la più antica e longeva società calcistica italiana, fondata il 7 settembre 1893.
milaniste? CS: «Per tradizione il Milan è la squadra “del popolo”, mentre l’Inter è più legata alla borghesia e alle fasce più ricche, e quindi anche le diverse zone di Milano riflettono un po’ l’origine delle due tifoserie. Anche se negli anni le carte si sono rimescolate e oggi è molto più difficile associare le due squadre ai ceti sociali e di conseguenza alle zone di residenza». TM: «Non credo ci siano mai state differenze sostanziali tra quartiere e quartiere. Proprio nel libro io e Claudio descriviamo con dovizia di particolari e figure l’aria dei nostri quartieri, entrambi periferici ed entrambi “confusi” dai colori delle due maglie. Se proprio vogliamo guardare il pelo nell’uovo, io dico sempre, facendo arrabbiare il Sanfilippo, che in genere quasi tutti gli intellettuali “impegnati” – milanesi e non – sono interisti piuttosto che milanisti. Lui s’incazza di brutto, ma è indubitabilmente vero, e qualcosa vorrà pur dire…». Nel libro raccontate il modo in cui siete diventati “amici”, o meglio per dirla alla Disney, nemici/amici come Red e Toby. Però l’amicizia rimane, resa viva da sfottò e continue provocazioni. Un bell’insegnamento per i ragazzi. Credete che anche tra le tifoserie di oggi esistano casi come il vostro? Come si comportano i ragazzi allo stadio? CS: «La mia prima volta a San Siro risale al 1965, avevo cinque anni…
poi, dal 1973 al 1996 ho avuto l’abbonamento, ma da una quindicina d’anni vado a San Siro tre o quattro volte a stagione e quindi non ho più “il polso” della situazione come un tempo. Però credo che a Milano, a parte le solite eccezioni, il tifo per la propria squadra sia vissuto in modo mediamente civile. Anche nei derby non ricordo episodi particolarmente gravi. Quando vado allo stadio mi sembra che i ragazzi desiderino godersi la partita come noi. La provocazione e lo sfottò, in una città come Milano, è il sale della rivalità, ma sempre col sorriso sulle labbra». TM: «Ne approfitto per citare un episodio che mi è sfuggito dalla memoria quando ho scritto il libro, ma che ci sarebbe stato proprio bene. Molti anni fa, in una delle mie prime interviste da giornalista sportivo, ebbi la (malsana, a pensarci bene) idea di riunire in un “trani” della città i capi delle due opposte tifoserie milanesi con i loro luogotenenti. Mi ricordo bene, era la Trattoria degli Artisti, alle colonne di San Lorenzo (oggi non c’è più, era anche un “covo” nerazzurro a partire da Franco, il proprietario: un altro pezzo di città che se n’è andato). In quel periodo le fazioni erano particolarmente violente anche fra di loro, e non passava derby che non ci fossero botte, anche da orbi. L’inizio dell’incontro fu molto teso: le due delegazioni si guardavano in cagnesco e si lanciavano occhiate di fuoco. Poi pian piano il clima si sciolse, e anche su quei tratti da ceffi comparvero i sorrisi, e arrivarono gli sfottò fra interisti e milanisti.
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La Curva Maratona è il settore dello Stadio Olimpico, un tempo Comunale, occupato durante le gare casalinghe dai nuclei più accesi della tifoseria del Toro. Fino al 2011 ha ospitato anche le partite interne della Juventus ed è stato teatro di storici e infuocati “derby della Mole”.
Poco tempo dopo il nostro incontro in trattoria, le due tifoserie siglarono un patto di non belligeranza, e questa è storia della tifoseria nazionale. Sarà certo stato un caso, ma mi piace pensare di aver contribuito a pacificare gli animi. Un giro lungo, questo, per dire che senz’altro esistono molti altri casi come quello mio e di Claudio, e andare a vedere un derby a Milano oggi non rappresenta quasi più un pericolo. Di violento sono rimasti solo i cori, ma tutto sommato fanno poco male e “ci stanno” ». Il calcio è cambiato. Leggendo il vostro libro sorge il dubbio che si sia molto involgarito, che sia talmente inquinato dagli interessi economici da aver perso quel gusto della sana competizione che emerge dalle vostre pagine. È cosi? CS: «Sì, è così, ma questo è un destino al quale è impossibile sottrarsi nel momento in cui uno sport entra nel mondo dello spettacolo e muove interessi giganteschi fin dalle squadre giovanili. Poi, resta il pallone che corre sul prato, il gesto tecnico che fa la differenza. Gianni Brera, prendendo a prestito un verso di Gozzano dedicato alle donne, ha chiamato il calcio “misterosenzafinebello”, e io la penso come lui, anche quando mi tocca leggere definizioni come “fair play finanziario”…». TM: «Cambiato lo è molto, e la cronaca anche di questi mesi non smet-
te mai di ricordarcelo. Però, anche “ai nostri tempi” non sono mancati i calciatori “fuorilegge”, e in fondo fu proprio una squalifica molto soft comminata a Paolo Rossi che gli permise di disputare comunque il Mundial di Spagna, nel 1982, e far sì che lo vincessimo (fra l’altro, il nostro libro parte proprio da lì). Credo che le “tentazioni” ci fossero ieri come oggi, solo che adesso è tutto più esasperato, e anche mezze figure e comprimari delle serie minori hanno a disposizione mezzi tecnologici e di comunicazione che facilitano l’atto illecito. Ad esempio, una volta era complesso telefonare a un amico calciatore di una squadra di serie A, magari in albergo la sera prima della partita, per “combinare” una scommessa. Adesso si fa tutto con un colpo di telefonino, una “twittata”, una mail o un post su Facebook. Il mondo corre molto più veloce, e quindi anche la possibile frode sportiva». Ci è molto piaciuto che abbiate raccontato anche la storia dello stadio. Probabilmente la maggior parte dei tifosi ci va senza sapere nulla, né chi sia San Siro, né, probabilmente, chi sia Meazza. In modo semplice e divertente il vostro libro ci ricorda che anche il calcio può diventare cultura, e gli articoli che scriveva Gianni Brera, con le sue geniali invenzioni e con il suo inimitabile stile, lo dimostrano. Anche
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La tribuna Est dello Juventus Stadium, il nuovo impianto all’avanguardia della Vecchia Signora inaugurato l’8 settembre 2011. Con i suoi 41.000 posti garantisce un’ottima visibilità in tutti i settori. Attualmente è l’unico stadio della Serie A ad essere posseduto dal proprio club e il solo italiano privo di barriere architettoniche.
oggi, secondo voi, esiste un giornalismo sportivo di qualità? CS: «Quando ho cominciato a seguire il calcio sui giornali potevi leggere, oltre a Gianni Brera, scrittori come Arpino, Del Buono, Pasolini, Bianciardi e molti altri. Oggi non è più così, anche se qualche nobile erede resiste, come Mura, Beccantini, Perrone o Garanzini, ma ci sono realtà che quel “nobile osso” non lo mollano, come il blog sportivo/letterario “Quasirete”, che si può leggere nel sito della Gazzetta, con cui ho l’onore e il privilegio di collaborare». TM: «Sì, i giornalisti di “razza sportiva” ci sono ancora, eccome. Viene subito in mente Gianni Mura (che fra l’altro è un caro amico di entrambi, e ha curato la prefazione del nostro libro), ma anche Gigi Garanzini e Giorgio Teruzzi non sono certo da meno. E poi alcune delle grandi firme dei giornali, quelle che magari non si occupano solo di calcio, ma vantano un orizzonte professionale più vasto: penso ad Aldo Cazzullo e Beppe Severgnini, solo per citarne due. In ogni caso, ci mancano e mancheranno sempre personaggi come Gianni Brera o Beppe Viola: di quelli fatti così hanno distrutto lo stampino, e uguali a loro non ne escono più». Tiziano, cosa ne pensi della nuova maglietta rossa dell’Inter? «Sono passato dall’essere perplesso e frastornato all’accettazione con-
vinta, perché come novità mi pareva azzardata, ma, ogni tanto, uno scossone alle abitudini bisogna pur darlo. Poi, il rosso in genere mi piace, a parte quello alternato sulle maglie del Milan che è insopportabile. Quando invece ho scoperto che si è trattato, di fatto, di un’imposizione dello sponsor tecnico ci sono rimasto un po’ male. Ma finora, con quella maglia, in Europa, abbiamo vinto sempre, quindi: indossiamola pure, che la cosa val bene un sacrificio alla tradizione. Tanto, ogni anno si cambia, e siamo sempre in tempo a metterla nell’armadio dei ricordi. Si spera belli, anche stavolta». Claudio, hai scritto delle canzoni bellissime sul calcio e alcune proprio sulla rivalità Milan/Inter, come Senza Brera: l’ispirazione ti viene allo stadio? «L’ispirazione viene quando è il momento, lo decide lei, ma bisogna essere attenti e predisposti. Insomma, carpe diem. I luoghi dell’ispirazione sono tutti e nessuno, certo che lo stadio, soprattutto in anni in cui era tutto più “naif”, è stato un bel serbatoio. Cose viste e vissute che poi quando meno te l’aspetti, magari a distanza di dieci anni e più, saltano fuori e accendono la miccia…».
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For magazine MATTATORI di Tommaso Gandino
Vita da attori
Dario Cassini ha una parte razionale e una selvaggia: di volta in volta sceglie se lasciare emergere l’una o l’altra, che si tratti di un film di Monicelli o di Colorado Il segreto del suo successo è quello di non piegarsi ai ruoli che interpreta, ma di sottomettere i personaggi al suo carisma: Dario Cassini sarà nella quarta serie di Rex con Ettore Bassi, dove interpreterà il protagonista di puntata, con un ruolo negativo e ambiguo, ovvero un ex gigolò che insegnerà tecniche d’approccio e che verrà sospettato di un omicidio.
«Stanco ma contento, perché quelli che nella mia vita professionale un tempo erano sogni li sento oggi concretizzati. Nella vita sentimentale sono ancora in attesa di un reale appagamento, ma sono certo che anche questo prima o poi arriverà. Diciamo che per ora mi godo l’unico grande amore che sinora non mi ha tradito: il pubblico».
Come si descriverebbe in questo momento della sua vita?
Fare l’attore è sempre stato un suo sogno o è capitato per caso?
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«Finché non ci sono riuscito più che un sogno è stato un incubo. Poi quando la grande passione che avevo si è trasformata in un lavoro che mi manteneva allora è divenuto un sogno concretizzato. E questo non lo devo assolutamente al “caso” ma alla tenacia avuta, specialmente in tante situazioni difficili». Se dovesse indicare il vero punto di svolta della sua carriera quale sarebbe? «Per la popolarità acquisita senza alcun dubbio le partecipazioni a Le Iene e Zelig Circus; per la preparazione gli anni di teatro con Cobelli e il cinema con Monicelli, un uomo burbero, quasi inconsapevole della leggenda vivente che rappresentava, in possesso di una personalità tre volte superiore alla sua statura. La persona con il maggior senso dell’umorismo che io abbia mai conosciuto». Spesso lei ha ruoli impegnativi. Li sceglie o glieli offrono? «Me li offrono e mi piace moltissimo interpretarli perché è uno stacco netto con quello che faccio come comico; ce ne sono stati diversi ma quello a cui sono più affezionato è il poliziotto corrotto di Cemento armato. Ricordo che quando me l’hanno proposto ho solo chiesto: “Si spara?”. Mi hanno risposto “moltissimo” e io ho firmato subito senza nemmeno leggere la parte». Lei si mette sempre in gioco e rischia. Perché? «Non vedo altro modo che considerarlo un gioco, e d’altronde in inglese recitare si traduce proprio con “to play” che significa giocare. Per i greci antichi invece l’attore era “l’ipocrites”, colui che si nasconde: per me l’attore deve completarsi in queste due valenze, giocare a nascondersi in vesti altrui esaltando al massimo ambedue gli aspetti». C’è un ruolo che non l’ha fatto dormire di notte? «Quello che interpretavo in Facciamo paradiso per Monicelli, che mi sgridava di continuo non facendomi dormire la notte. Solo dopo ho saputo dai suoi collaboratori che era uso prendersela con il più giovane del cast per fargli capire che questo mestiere non era una passeggiata, ma finché non me l’hanno detto è stato un vero dramma: si girava a Milano, in piena estate, con un caldo che non ti dico e il regista che mi trattava malissimo. Ero abbattuto, pensavo proprio di non esser capace». Che cosa si sente di dire a un giovane che volesse seguire la sua strada? «Forza e coraggio! Nella prosa è importante studiare fino allo sfinimento; nella comicità iniziare rubando anche agli altri, fino a trovare una dimensione personale». La parola “destino” che cosa le fa venire in mente? «Qualcosa tipo Final destination, cui si è costretti a soccombere. Diciamo che al destino io credo, ma credo anche che l’uomo possa intervenire aggiustandoselo al meglio. Per esempio io sono nato a Napoli e per anni ho vissuto a Roma, due grandi città quindi il mio destino era quello di morire nel traffico della Capitale: invece cinque anni fa mi sono comprato una casa a Todi e ho scelto di vivere con i miei cani, gatti e galline tra il verde e la tranquillità. Ho modificato il mio destino quadrandomelo sulle mie esigenze». La sua paura più grande? «Non lo so, forse andare a dormire e non svegliarsi. Oppure chissà: povero, malato e solo? Troppo brutto anche solo a immaginarlo». E che cosa c’è nella sua parte “buia”? «Il desiderio di voler essere sempre giovane, una passione smodata per il sesso, il concreto rimpianto di non avere più 30 anni, che per me è stata in assoluto l’età più bella, perché hai ancora il fisico dei 20 ma lo adoperi con la testa dei 40».
Non solo Tv e cinema, nel curriculum di Dario Cassini (45 anni) c’è anche il teatro e la radio con la conduzione di Kiss Kiss Bang Bang su Radio Kiss Kiss.
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For magazine PROTAGONISTI di Tommaso Gandino
LE MIE IDEE VINCENTI
Dalla radio-Tv alla vice presidenza dell’Associazione Nazionale
di Produttori
e Organizzatori di Eventi: Fabrizio Pacifici svela le chiavi del suo successo Quando e come ha iniziato a occuparsi di eventi nella Capitale? «Da sempre ho avuto una piacevole predisposizione a fare relazioni, ed è questo che negli anni mi ha facilitato il lavoro di organizzatore e produttore di eventi e di cura di uffici stampa». Il suo lavoro ha cambiato la sua vita? «Il mio lavoro è la mia vita. Non voglio dire che vivo per lavorare, ma sono talmente appassionato che quasi non riesco a distinguere le due cose». Come riesce ad esprimersi sempre al massimo? «Fa parte di me. È ovvio che se uno vuole distinguersi deve stare molto attento alla qualità più che al ricavo. E in un momento così difficile chi riesce ad esprimersi a livello soddisfacente e credibile non teme crisi». Della sua attività di che cosa va più orgoglioso? «Negli ultimi due anni ciò che più mi inorgoglisce è la formazione. Insieme a Fabrizio Borni (presidente dell’Associazione Nazionale Produttori Orga-
nizzatori Eventi) abbiamo creato un percorso formativo che ci sta dando enormi soddisfazioni». Del suo mondo cosa non le piace? «L’approssimazione e il facile entusiasmo che porta molti a credere che questo lavoro si può anche improvvisare». Qual è il vip italiano o straniero che l’ha colpito di più? «Direi Francesco Totti, Antonello Venditti e Will Smith, autentici numeri uno nei loro settori e tra le persone più umili che abbia mai conosciuto in questo ambiente». Oggi a Roma c’è spazio per proporre idee nuove? «Roma è una città che ha vissuto degli anni straordinari e che secondo me in quest’ultimo periodo si è un po’ addormentata. Chi ha idee vincenti può lavorare bene ovunque». Quali sono i suoi punti di forza? «Umiltà, onestà, preparazione, duro lavoro». (Nella foto in alto Fabrizio Pacifici con Will Smith).
IN CUCINA CON I MAESTRI
Per lo chef Leonardo La Cava è impor tante nutrire nel modo più
corretto
il commensale e coinvolgerlo emotivamente con la semplicità del singolo ingrediente Cos’è fondamentale in cucina? «È una questione di odori, sapori, consistenze. Con una materia prima di bassa qualità si ottengono solo risultati mediocri. Se possiamo darci delle regole sulla scelta degli ingredienti, la stagionalità e l’ormai famoso “km zero” sono le linee guida per la miglior riuscita di un piatto». Dove trova l’ispirazione? «Prendo spunto dalle ricette originali dei grandi maestri della cucina italiana. Come afferma Gualtiero Marchesi “l’esempio è la più alta forma di insegnamento”. Detto questo l’ispirazione viene da sé, cercando di bilanciare gli ingredienti».
concedere il tempo di assaporare appieno ciò che si mangia, dedicando qualche istante ad una “riflessione culinaria” che porta all’arricchimento della propria cultura enogastronomica». Lei è un sostenitore della nutrizione corretta a base di cibi freschi e organici? «Non potrebbe essere altrimenti. Come insegnatomi da Alessandro Circiello, il primo compito del cuoco è quello di nutrire nel modo più corretto il commensale».
Come si prepara un piatto unico? «Combinando al suo interno una varietà di fattori nutritivi, ad esempio un piatto di pasta (carboidrati complessi) con un condimento a base di carne (proteine animali)».
Lei è contrario a scatolame e cibi precotti? «Credo che in cucina non esista in assoluto qualcosa di giusto o sbagliato. Se lo scatolame viene prodotto con materia d’eccellenza e con le procedure più consone, perché non usarlo? Per quanto riguarda il precuocere i cibi, è tutta una questione organizzativa: l’importante è mantenere le giuste temperature di conservazione».
Per gustare un piatto è necessario mangiare con moderazione? «Bisogna senza dubbio prestare particolare attenzione alla masticazione: infatti il vero sapore degli alimenti si trova al loro interno. Ci si deve
Qual è l’accessorio a tavola di cui non potrebbe fare a meno? «Il bicchiere. Si può anche mangiare “finger food”, ma non rinunciare ad un buon calice di vino!».
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L’ANGOLO DEL BENESSERE
For magazine
di Elda Bertoli
RITOCCHI DI LEGGEREZZA Per donare al viso nuova elasticità e relax, con un evidente effetto di ringiovanimento, è possibile avvalersi di una innovativa tecnica, diversa dall’intervento chirurgico classico: è il soft lifting. Il dottor Marco Sonnino ci illustra la procedura
Continua il viaggio nel mondo della bellezza e del benessere al femminile. Abbiamo più volte detto che oggi è sempre più facile rimodellare viso e corpo avvalendosi delle straordinarie scoperte della medicina estetica e della chirurgia plastica. L’appuntamento di questo mese è dedicato ad un rimedio in grado di ridonare alle donne di mezzo mondo l’espressione di un volto riposato, rilassato e fresco, che magari non avevano più. Stiamo parlando del soft lifting, una metodica che ringiovanisce il volto in maniera delicata senza ricorrere all’intervento classico di lifting chirurgico. Nel corso degli anni, il passare del tempo e le condizioni ambientali e genetiche possono influire sulla perdita dell’aspetto giovanile del viso, come sostiene il dottor Marco Sonnino, specialista in chirurgia plastica, dirigente medico presso il reparto di chirurgia plastica e ricostruttiva dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma. Si chiamano “NeckTite” e FaceTite” le due procedure innovative ed efficaci in grado di risolvere inestetismi fino ad ora trattati con tecniche chirurgiche tradizionali. Si tratta di due rivoluzionari manipoli che applicano la tecnologia Rfal (radio-frequency assisted lipolisys), racconta Sonnino, e che attraverso una nuovissima
procedura neutralizzano piccoli depositi di grasso di viso, collo, mento e ridefiniscono i contorni per ridare compattezza alla pelle. “NeckTite” è un trattamento che scioglie delicatamente e aspira il grasso del collo in eccesso in aree di piccola e media dimensione. Il manipolo che sfrutta la tecnologia Rfal fornisce un riscaldamento profondo ma leggero, che determina la contrazione della pelle ridefinendo il contorno della zona trattata come quella del collo, ma che è in grado di rimodellare anche interno braccia e interno cosce. “FaceTite”, invece, è un’ottima soluzione per risolvere lassità della pelle in piccole aree del volto che non presentano grasso localizzato, ma in cui è solo necessario ricompattare la pelle e ridisegnarne i contorni. La metodica non è dolorosa e, a seconda dei casi, continua il dottor Sonnino, i due trattamenti possono essere usati singolarmente o in maniera combinata. Questo soft lifting sta dando grandi risultati; i pazienti trattati, che normalmente hanno un’età variabile tra i 35 e i 50 anni, ne sono soddisfatti perché l’energia termica utilizzata da “NeckTite” e “FaceTite” compatta le aree di collo e viso in maniera più importante rispetto alla liposuzio-
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ne tradizionale. Evitando il lifting chirurgico si può, inoltre, beneficiare di un post trattamento meno disagevole e quindi meno gonfiore, meno ecchimosi, proprio perché la procedura è eseguita in anestesia locale o sedazione leggera. Ne possono beneficiare tutte le persone che vogliono migliorare e rinfrescare il loro aspetto. Il risultato è visibile immediatamente, ma quello vero e proprio si può avere dopo 6-12 settimane. Per ottimizzare ulteriormente questo tipo di procedura è possibile, infine, trattare i visi più rilassati con i fili di sospensione elastici e semielastici riassorbibili, che vengono introdotti all’interno del volto, producendo un delicato tiraggio poco invasivo ma molto efficace nel risultato finale. Dopo l’applicazione dei fili si può avere un leggero gonfiore che, tuttavia, scompare dopo 3 o 4 giorni, e il paziente può riprendere tranquillamente l’attività lavorativa e sociale. Normalmente tutte queste tecniche non chirurgiche durano 2-3 anni e si possono rifare nel tempo senza alcuna controindicazione. Anche i costi non sono eccessivi e variano tra i 1500 e i 4000 euro, a seconda delle metodiche utilizzate.
unamagazine lettura per lasciar traccia… For di Donatella Vilonna
NEL CUORE DELLA CRISI
“Abbiamo cominciato con Monti e finiamo con Beppe Grillo. Dalla supplenza della politica al trionfo dell’antipolitica. È sempre più complicato spiegare agli stranieri che abbiamo per leader del momento un comico che le battute le fa per mestiere” Il palazzo e la piazza è l’ultimo libro di Bruno Vespa. Partendo dalla crisi di Wall Street del 1929, l’autore ripercorre la politica di Benito Mussolini durante la peggiore congiuntura economica mondiale, i miracoli del dopoguerra, il tormentato ingresso nell’euro con i costi e benefici che esso ci ha portato, le ragioni della crisi che hanno causato la bancarotta di alcuni paesi, con il rischio che anche noi ci finissimo dentro, la durissima e talvolta incomprensibile politica di Angela Merkel, la fine traumatica del governo Berlusconi e la nascita del governo Monti. “I paragoni fra eventi lontani quasi un secolo sono impropri per definizione, ma la vera differenza tra i due momenti storici è che allora l’Italia era un paese agricolo (oltre il 50 per cento dei lavoratori erano contadini) e, secondo le analisi di Luigi Einaudi, aveva maggiori possibilità di reimpiegare in agricoltura personale momentaneamente espulso dall’industria. La stretta imposta da Mussolini provocò naturalmente diffusi malumori, ma storici ed economisti sono concordi nel riconoscere che essa dimostrò, al contempo, la forza ormai acquisita dal regime fascista”. Vespa racconta, inoltre, che il 2012 sarà ricordato come l’anno più infelice del dopoguerra, con la crisi economica che sembra divorare le certezze consolidate degli italiani, costretti a un’austerità forse necessaria, ma insostenibile in una tremenda recessione, tramutandosi poi in ribellione di massa inizialmente silenziosa e rassegnata, poi gridata nelle piazze, al cospetto limitato di un mondo politico riluttante ad allinearsi agli umori e alla disperazione dei cittadini, a sacrificare i propri privilegi e i preservati benefici. Attraverso le voci e le testimonianze dei protagonisti, aggiornate come di consueto al momento dell’uscita del libro, Vespa racconta i retroscena di un anno triste, convulso e decisivo per la vita del nostro Paese. Accanto a forme sempre più spregiudicate di finanziamento illecito, sono emersi nuovi e incredibili episodi di appropriazione del denaro pubblico, come dimostrano i casi Lusi, Belsito, Fiorito e altri ancora, che evidenziano come ci sia gente inebriata dal maneggio di un’impressionante quantità di soldi pubblici. Mentre la bufera dell’antipolitica segna il trionfo del Movimento 5 Stelle di Grillo. In una lunga conversazione, il premier svela i retroscena della sua difficile navigazione, spiega il perché di tanto rigore e apre al futuro, interrogandosi anche sul suo ruolo dopo le prossime elezioni. Il palazzo e la piazza è un libro fondamentale per capire come gli errori del passato stanno influenzando il presente e il futuro.
“La premessa, tuttavia, è altrove: gli italiani dovranno imparare un po’ di “normalità” dagli altri cittadini europei, e i politici uscire dal Palazzo e scendere nella piazza. Per ascoltare e capire”.
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Il palazzo e la piazza di Bruno Vespa Mondadori, euro 14,25
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IN FORMA con Jill Cooper
UN LATO B DA FARE INVIDIA! Per combattere l’inarrestabile perdita di elasticità del grande gluteo, il muscolo più potente e più grosso del corpo, è necessario seguire alcuni utili consigli, ricordando che per questo tipo di allenamento la qualità più importante è la costanza Quello appena trascorso è stato un anno intenso e non proprio facile per l’Italia. Sicuramente, come è successo per ogni altra crisi finanziaria in passato, prima o poi ce ne tireremo fuori e, in seguito, troveremo la luce alla fine del tunnel. Ma quello di cui vorrei parlare adesso è forse più realistico e al primo approccio più arduo da mandar giù: lo svuotamento del grande gluteo ad una certa età. Il “sedere a mandolino” purtroppo non rimane per l’eternità, soprattutto se una persona non si impegna per controbattere alla naturale tendenza legata all’inattività e alla forza di gravità. La buona notizia c’è, però, perché con costanza e qualche altro trucchetto è possibile ottenere e/o mantenere glutei alti e sodi. Bastano cinque mosse: 1. Lavorare sui talloni. Se fai un allenamento in palestra o a casa, sulla bici da camera o sullo stepper, ricorda di spingere sul tallone, e non sulle punte dei piedi, per concentrare il lavoro più sulla parte posteriore della gamba e del gluteo. 2. Dedicare almeno dieci minuti al giorno, per tre giorni alla settimana, ai semplici esercizi di corpo libero. La costanza è quella che conta di più quando si tratta di ottenere e mantenere un bel fondoschiena. Potresti anche seguire i miei allenamenti sul mio canale Youtube (http://www.youtube.com/watch?v=Yme1if7cjhU). I risultati saranno visibili in sole due settimane. 3. Usare le inclinazioni sui tapis roulant. Non è necessario correre per avere un ottimo allenamento, basta aggiungere almeno quattro gradi, passeggiare al ritmo di una camminata veloce tra 5.5 e 6 km/ora, e contrarre il gluteo alla fine di ogni falcata. Inoltre, occorre fiancheggiare leggermente verso lo stesso lato d’appoggio del piede ad ogni passo. Rallentare il tapis roulant solo se è necessario per controllare al meglio il movimento: 15 minuti fatti in questo modo ti consentiranno di rassodare il gluteo in modo ottimale.
4. Usare gli elastici. Il semplice elastico per legare le caviglie è la maniera ideale per rassodare il sedere e l’esterno delle cosce. Poi, fare un tap laterale senza lasciar rallentare l’elastico e/o il passo dal granchio con quattro passi da ogni lato, controllando sempre la tensione dell’elastico. 5. Usare gli elettrostimolatori nei buchi di tempo. Se devi lavorare ore e ore di fronte al computer, perché non fare qualche sessione di elettrostimolazione? Così abbini l’utile al dilettevole e i tuoi glutei saranno più belli e scolpiti. La questione per mantenere i glutei in forma ruota tutta intorno alla costanza che si impiega negli allenamenti. Perciò, dedica un po’ di tempo a questa attività, almeno tre volte alla settimana, e anche se l’economia italiana non ti fa sorridere, almeno gli altri diranno che hai un gran bel lato B! Buon allenamento da Jill Cooper.
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ForSCATTI magazine di Bruno Oliviero
La sua bellezza è notevole, ha uno sguardo intrigante, una sensualità prorompente ed è una brava attrice. Vive a Roma, ma spesso parte per gli Stati Uniti dove la attende sempre un set cinematografico in cui può esprimersi a livello internazionale. Ha preso parte ad alcuni film interpretando ruoli importanti come in Mister Judge 2, pellicola diretta da Arkady Kordon, Questioni di famiglia, da poco uscito in Italia per la regia di Dennis Berry, accanto a Emmanuelle Seigner e Sergio Castellitto, Zana, in cui ha recitato al fianco di Daniel McVicar. Ha partecipato al film Tv Il Conte di Montecristo accanto a Gérard Depardieu, alle miniserie L’avvocato Porta con Gigi Proietti, Le ragazze di piazza di Spagna di Josè Maria Sanchez, Mia Forever con Claudia Cardinale e John Savane. Ha presentato la manifestazione “Italy in The World” e ha premiato Sylvester Stallone e Robert De Niro. Insomma, questa splendida donna è una vera star! Con gli occhi grigio-celesti, un corpo 90-60-90 da far invidia e il suo grande talento nella recitazione continuerà sicuramente ad ottenere altri splendidi successi.
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Daniela Alviani 109 For Magazine
SPORT di Pina Bevilacqua
LA COPPIA D’ORO Prosegue la marcia trionfale di Sara Errani e Roberta Vinci, le numero uno del tennis mondiale che vincono anche gli Open d’Australia. Ora manca solo Wimbledon Nei circoli teverini si incontra il meglio dello sport italiano. È per ciò d’obbligo brindare all’ennesimo successo delle Sorelle d’Italia: Sara Errani e Roberta Vinci, che veste i colori del Tennis Parioli, si sono confermate regine del mondo, trionfando agli Open d’Australia. La prima vittoria di una coppia di italiane sul cemento di Melbourne. La 25enne romagnola e la 29enne tarantina si sono imposte (6-2 3-6 6-2), in un’ora e 42 minuti, sulla coppia di casa composta dalla 16enne Ashleigh Barty e da Casey Dellacqua (che nel 2008 affiancò Francesca Schiavone nella finale del Roland Garros). Dopo un 1° set vinto facilmente dalle azzurre, le australiane hanno reagito. Nel 3° set, due break consecutivi per le italiane, nel 6° e nell’8° gioco, quindi il 6-2 finale, al 2° match point. Un epilogo perfetto per una marcia trionfale che aveva visto Sara e
Roberta, già forti individualmente (rispettivamente n. 7 e n. 16 nel ranking Wta), mettere ko (3-6 7-6 (1) 7-5) nei quarti le fortissime sorelle Serena e Venus Williams, dalle quali erano state travolte, sempre ai quarti di finale, alle recenti Olimpiadi di Londra (dove le americane hanno poi conquistato l’oro), e in semifinale la coppia russa formata da Ekaterina Makarova ed Elena Vesnina (che nel singolare australiano aveva impedito alla Vinci di raggiungere gli ottavi). Una bella rivincita per le azzurre, nella stessa prestigiosa cornice della Rod Laver Arena che un anno fa le vide cedere in finale alle russe Svetlana Kuznetsova e Vera Zvonareva. Per la mitica accoppiata Errani/Vinci questa di Melbourne è la terza vittoria (e la quarta finale) negli ultimi cinque tornei dello Slam, dopo il Roland Garros e gli Us Open 2012. Ora, nella lo110 For Magazine
ro pesantissima bacheca, per completare uno storico Grande Slam, manca solo Wimbledon. Per ritrovare prestazioni così bisogna risalire agli anni ’50, quando il leggendario binomio Nicola Pietrangeli/ Orlando Sirola vinse al Roland Garros nel 1959, dopo aver raggiunto la finale sempre a Parigi nel 1955 e nel 1956 a Wimbledon. In Australia non ce l’hanno fatta a bissare l’exploit delle colleghe il sanremese Simone Bolelli e Fabio Fognini, della blasonata scuderia Aniene. Gli azzurri sono stati fermati (6-4 4-6 6-1) in semifinale dai numero uno del mondo, i fortissimi gemelli statunitensi Bob e Mike Bryan, dopo unìora e 36 minuti di gioco. Per gli azzurri resta comunque la soddisfazione di aver raggiunto la seconda semifinale in un torneo del Grande Slam, dopo gli Us Open 2011, e di essersi confermati doppisti sopraffini.
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milano
people & stars & event
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Foreventi magazine GLI ANNI FOLLI DELL’ARTE La mostra di pittura Modigliani e gli artisti di Montparnasse, a cura di Marc Restellini, esposta dal 21 febbraio all’8 settembre a Palazzo Reale, presenta 122 opere di straordinaria bellezza di Amedeo Modigliani e degli artisti che vissero e dipinsero a Montparnasse agli inizi del ’900: per la prima volta in Italia i capolavori appartenenti alla ricca collezione di Jonas Netter (Strasburgo 1868 - Parigi 1946), acuto riconoscitore di talenti, senza il quale probabilmente non sarebbero stati scoperti né Modigliani né Soutine né Utrillo. Questi artisti dipinsero durante gli “anni folli” del noto quartiere parigino, che fu centro culturale di avanguardia per via della presenza dello stesso Modigliani, ultimo dei pittori maledetti, e di Chagall, di esiliati politici come Lenin e Trotsky e degli americani Hemingway e Miller, nonché per la ricercata atmosfera bohémien che caratterizzò questo luogo.
NON È CARAVAGGIO Daniele Radini Tedeschi, esperto di pittura e autore di due importanti monografie su Michelangelo Merisi, interviene sul “caso-Caravaggio”, nato recentemente quando alcuni professori hanno attribuito al Merisi il quadro San Giovannino nutre la pecora, di collezione privata. Secondo Radini Tedeschi: «Il quadro accolto così favorevolmente dal piccolo gruppo di critici è un’opera da me e da altri studiosi (Nolfo di Carpegna, B. Nicolson, Giffi, Cuzin, Maurizio Marini) ritenuta di Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino, e non di Caravaggio, poiché come opera di Spadarino è stata pubblicata in una monografia di Gianni Papi; inoltre, nessun elemento stilistico (sfumato, luce diffusa) può rimandare al Caravaggio. Federico Zeri è stato citato con parere favorevole, ma quest’ultimo ha sbagliato e non è un caso che le sue debolezze si concentrino quasi tutte su Caravaggio». Domenica Luciani ARTE GLOBALE Brand New Gallery presenta fino al 9 marzo la mostra di scultura Beyond the object, una group show concepita per mettere in relazione opere di artisti diversi per origine e generazione, che allo stesso modo si trovano necessariamente a confrontarsi con la produzione dell’oggetto, esplorando l’interazione tra la costruzione e la forma, che radicalmente diviene un archetipo investito di un linguaggio proprio. Presupposto di questo progetto è il termine “Anti-Form”, coniato da Robert Morris alla fine degli anni ’60, che segna l’abbandono del concetto tradizionale della produzione artistica: una sfida radicale che ha catalizzato l’attenzione verso nuovi modelli estetici. I materiali diventano l’elemento principale del processo di formazione dell’opera e viene meno la necessità di programmare anticipatamente il lavoro. Le idee riformiste, allora considerate sovversive, si traducono oggi nelle teorie su cui si basa un’arte sempre più globalizzata.
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Daniele Radini Tedeschi
BODY WORLDS
Foto di Fabio Pregnolato
Foto di Fabio Pregnolato
For magazine Scultura, Design & Cinema Indipendentemente dalla propria sensibilità, tutti, sin da bambini, siamo sempre stati affascinati dal nostro corpo, dalle sue forme, da ciò che si cela sotto la nostra pelle e che quotidianamente ci consente di fare, di percepire, di vivere. Quella ideata dall’anatomopatologo tedesco Gunter von Hagens, grazie alla tecnica della plastinazione dei corpi, è senza dubbio la più straordinaria mostra di scultura del mondo: né opere d’arte né oggetti di design, ma corpi umani, in un’esposizione tra fascino e misticismo. Body Worlds è una mostra itinerante che ha al suo attivo oltre 35 milioni di visitatori e che quest’anno, curata da Angelina Whalley, offre ai visitatori della Fabbrica del Vapore di Milano, esposta fino al 17 febbraio, affascinanti spunti di riflessione sul corpo umano, presentato in tutta la sua intelligente conformazione, attraverso le possibilità scientifiche e tecnologhe contemporanee, ispirandosi ai grandi maestri e anatomisti rinascimentali. Fabio Pregnolato BAGNO, DOLCE BAGNO… Poter disporre di un bagno nelle case, negli uffici, nei locali pubblici è, per la maggior parte delle persone del nostro pianeta, una cosa generalmente scontata. Eppure i numeri sono impressionanti: nel mondo sono 2,5 miliardi le persone che non hanno accesso a bagni sicuri. Da questo derivano una serie di problemi di tipo igienico-sanitario e sociali. È per fare il punto su queste situazioni che ogni anno viene organizzata la “giornata mondiale della toilette”, che coinvolge i media, le aziende e la società civile per informare su queste tematiche apparentemente leggere. Ma l’evento è anche l’occasione per una riflessione sul design e sul valore dell’ambiente bagno. Tra le ricerche dell’ultima edizione, per esempio, ce n’è stata una che ha riguardato il ruolo della toilette per la vita dei single: è emerso che per il 52% essa è un nascondiglio, per il 31% una succursale del proprio studio, per il 75% un luogo che incoraggia la creatività! Paolo Brasioli CLOUD ATLAs Il nuovo film diretto dai fratelli Andy e Lana Wachowski sorprende il pubblico italiano. Tratta dal romanzo L’atlante delle nuvole di David Mitchell, la pellicola racconta sei storie ambientate in differenti epoche: dal viaggio di un mercante di schiavi nel 1849 al tenero amore di due gay nel 1936, per poi arrivare negli anni ’70 dove una grintosa giornalista indaga su una centrale nucleare. Negli anni 2000 un simpatico vecchietto di nome Timothy (Jim Broadbent) ci regala sane risate con le varie peripezie che architetta per scappare da una casa di riposo. Le ultime due storie sono ambientate nel 2144 e nel 2300: in quest’ultima i registi descrivono il rapporto tra il pastore Zachry (Tom Hanks) e Meronym (Hally Berry) in un mondo post apocalittico. I primi 45 minuti sono una totale confusione, poi, più si va avanti più i richiami diventano evidenti e il messaggio finale è “la morte non è la fine della vita, ma è solo l’inizio di un’altra”. Jessica Di Paolo
Tom Hanks
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For magazine Cinema & Fotografia LA GRAMMATICA DELLA SUSPENSE Da più di trent’anni il mondo del cinema è orfano del genio di Alfred Hitchcock: ci manca terribilmente la lucidità del suo stile. La più grande capacità del regista era quella di riuscire a capire, meglio di tutti coloro che si sono misurati con il suo genere, l’essenza stessa della narrazione giallistica. Non solo sapeva raccontare attraverso la trama, ma soprattutto con la macchina da presa: la sapeva muovere in maniera misteriosa, creando suspense con colpi di scena, ritmo, disegnandone così il clima. Ma alla fine la sua costruzione appariva talmente lineare e semplice, che sembrava persino istintiva: come certi musicisti che hanno il cosiddetto “orecchio assoluto”, per cui sarebbero in grado di suonare tutti gli strumenti. Grazie a ciò, “Hitch” ha codificato definitivamente tutte le regole d’espressione del thriller stesso. Humour macabro, perfezionismo della tecnica, ossessione per i temi della morte e della colpa, ironia e una sottile morbosità di fondo. Fu per anni considerato dalla critica solo un abile mestierante, raggiungendo solo nell’ultima parte della sua vita l’appellativo di “maestro”. Oggi la grandezza di Hitchcock, però, non è più messa in discussione da nessuno. Il motivo? Semplicemente perché la sua arte rischia di scivolare tra le dita, legata magari ad una sottigliezza di montaggio, ad una sfocatura dell’inquadratura, ad una sfumatura nella recitazione. Seppe stupire anche a pochi giorni dalla morte, quando inscenò il suo decesso: organizzò la sua cerimonia quando ancora era vivo, steso in una bara scoperchiata con intorno un gran numero di fotografi. Il cinema (e la cultura tutta) rimpiange menti fulgide e mai scontate come la sua, in un ambiente in cui ormai tutti copiano opinioni e considerazioni. Agostino Madonna
THE BLACK IN COLOURS
Foto di Wanda Liliana Pacifico
Foto di Wanda Liliana Pacifico
Alfred Hitchcock
Il contrasto tra bianco e nero, tra la luce e le tenebre, tra un’aggressiva dolcezza e l’eleganza nella maestosità di un tempio fa emergere la differenza nel contesto di delicata bellezza e raffinatezza. In questa mia rassegna fotografica sono proprio le differenze cromatiche della natura e della location che l’accoglie a manifestarsi prepotentemente. Olympia Prosperini è una bellissima modella di colore fotografata in questo shooting che ne esalta la sensualità e la grazia. Come quando indossa “Il rosso e il nero”, che non è solo il titolo di un’opera di Stendhal, ma la vera essenza del fascino di una donna, che con determinate tinte riesce ad ostentare il contrasto tra la carne e l’abito. Ad esempio negli scatti in cui è fasciata da una mise lunga e monocromatica bianca, ma anche nell’outfit rosso infuocato che accentua ancora di più l’azzurro dei suoi occhi, enfatizzato anche da un buon gioco di make up ad opera della stessa Olympia. Wanda Liliana Pacifico
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For magazine Fotografia CONFRONTO TRA ARTISTI Fino al 7 aprile la Fondazione Stelline ospiterà una grande mostra fotografica che mette in relazione il fotografo tedesco August Sander (Herdorf, Germania, 1876 - Colonia, 1964), tra le più importanti figure della fotografia del XX secolo, con il fotografo contemporaneo americano Michael Somoroff (New York, 1957). L’esposizione Absence of Subject, curata da Diana Edkins e Julian Sander, organizzata e promossa dalla Fondazione Stelline, in collaborazione con ADMIRA, presenta 80 opere fotografiche e 8 video: 40 scatti originali di Sander dalla famosa serie Uomini del Ventesimo Secolo e 40 istantanee, accompagnate da 8 video, di Somoroff, intervenuto sulle stesse immagini con un lavoro di interpretazione digitale che sottolinea la forza degli scatti dell’artista tedesco anche in assenza del soggetto stesso. Sono ritratti soggetti comuni, tra i quali pasticcieri, contadini, bambini. CODICI, VOLI E SCENE CELESTI Sarà visibile sino al 9 marzo, presso la galleria Silbernagl & Undergallery, la mostra di fotografia di Piero Addis dal titolo Blue Codes. La personale, curata da David Galloway, raccoglie quindici dei suo più recenti lavori fotografici che rappresentano una sorta di rococò digitale moderno, ma profondamente radicato nella tradizione estetica. Il titolo, che si traduce come “codici blu”, si riferisce a voli in aeroplano che l’artista ha fatto in questi ultimi anni: LH3959 per un viaggio da Milano a Francoforte, AF511 per la tratta Damasco-Parigi, SU279 per il volo Mosca-Milano, per esempio. Durante questi viaggi l’artista ha fotografato il cielo visto dal finestrino dell’aereo, raccogliendo materiale visivo che in seguito ha fuso con scene celesti dei dipinti di Giambattista Tiepolo, il grande pittore e incisore veneziano che fu uno dei maggiori artisti del Settecento.
RIFLESSIONI SULLA CITTÀ Torna il tradizionale appuntamento con Prima visione, la mostra fotografica che dal 2006 inaugura l’anno espositivo alla Galleria Bel Vedere. Sono quarantadue gli autori presenti che nel 2012 hanno dedicato almeno un’immagine alla riflessione su Milano. Così il G.R.I.N. (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale) ha voluto proporre, in questa nuova edizione che si concluderà il 2 marzo, una panoramica allargata e diversificata che tiene conto delle tendenze della fotografia contemporanea. Permane una grande attenzione verso i progetti dei cantieri che stanno cambiando la fisionomia di Milano, poi le periferie – abitate o silenziose –, gli alberi che “resistono”, il centro storico nella sua splendida magnificenza. E i milanesi, noti e anonimi. Linguaggi consolidati o sperimentali che raccontano una città in divenire, sempre diversa, come è diverso lo sguardo di chi la osserva. Tra gli artisti esposti ci sono anche Davide Aiello Tecla e Marcello Bonfanti.
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For magazine Fotografia & Benessere LA PARIGI DI DOISNEAU Dopo il successo ottenuto al Palazzo delle Esposizioni di Roma, con una media di oltre mille visitatori al giorno fin dalle prime settimane, arriva allo Spazio Oberdan di Milano, dal 20 febbraio all’1 maggio, la grande mostra fotografica antologica dedicata a Robert Doisneau. Il percorso espositivo, organizzato per aree tematiche, ripercorre i soggetti a lui più cari, e conduce il visitatore in un’emozionante passeggiata nei giardini di Parigi, lungo la Senna, per le strade del centro e della periferia, e poi nei bistrot, negli atelier di moda e nelle gallerie d’arte della capitale francese. I soggetti prediletti delle sue fotografie in bianco e nero sono infatti i parigini: le donne, gli uomini, i bambini, gli innamorati, gli animali e il loro modo di vivere questa città senza tempo. In mostra si possono ammirare alcuni dei suoi capolavori più famosi, tra cui il Bacio dell’Hotel de Ville, divenuta l’icona più riconoscibile della sua arte.
INVESTIRE SULLA SALUTE La salute e il benessere sono il nostro miglior investimento! Anche se sembra la pubblicità di un nuovo farmaco o di una polizza assicurativa, in realtà la buona condizione fisica di ogni individuo è un risparmio per tutta la collettività. Infatti, se stiamo bene siamo attivi, risparmiando giorni di malattia che costano alle aziende in produttività e alle nostre tasche in farmaci, con le relative conseguenze sul Servizio Sanitario Nazionale. La nostra salute non è solo data dall’equilibrio fra mangiare sano, tenersi in movimento e riposare bene: c’è una parte altrettanto importante che è la nostra mente. Curiamola tenendoci lontani dalle negatività e manteniamola allenata coltivando pensieri positivi. I ritmi informativi ai quali la mente è sottoposta creano stati di stress e aspettative continue che producono malesseri. Cercare il silenzio nel chiasso circostante è il solo beneficio per la nostra mente. Cristina E. Cordsen
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Hollywood
Serate di eventi speciali all’Hollywood di corso Como. La stagione 2013 si è aperta con un party esclusivo che ha visto tanti personaggi del mondo dello spettacolo come Marco Rotellini, Daniele Santoianni, George Leonard, Dario Villa, Eliana Ziliani, Zaira Barbagallo, Rosy Dilettuso, Flavia Vento, Guillaume Goufan e tanti altri. È proseguita con la grande festa per celebrare le Yokkao’s Angels (gli angeli di Yokkao): Vanessa Lansom, Yasmin Ogbu, Charlie Bruce, Amy Dean, le 4 più belle e quotate ballerine in Europa, selezionate a Londra tra oltre 80 ragazze provenienti da ogni dove che hanno dato vita ad uno spettacolo unico in occasione di Yokkao Extreme 2013. Foto Fabio Scarpati Press.
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The Club
All’improvviso è già martedì! Ovvero la serata Fidelio al The Club, un evento di culto fra tradizione e innovazione nella movida milanese. Di recente Fidelio ha presentato nell’arco della stessa nottata le note dei resident dj Stefano Pain, Ale Bucci & Mavee con guest dj Luca Bertolaso, resident voice Gaty e guest voice Emil, oltre al dance show di Arte’x by Nu’art. Altrettanto esclusiva la serata What Else? con guest dj Emanuel Paglicci e guest voice Cristian Bruschi. Foto di Bruno Garreffa.
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Nella splendida cornice del Just Cavalli si sono celebrati anche questo mese importanti party vip. A partire dai i compleanni di Natalia Angelini e Federico Mastrostefano, ex tronisti del programma Uomini e Donne. Evento clou è stato, poi, in collaborazione con la Star’s Management di Paolo Chiparo, la presentazione del fashion blog “Silvia in the sky” curato della biondissima Silvia Abbate. La ex concorrente de La Pupa e il Secchione ha festeggiato assieme a Raffaello Balzo, Daniele Santoianni, Debora Volpe, Nicola Santini, Donatella Negro, Elena Galliano. Nel corso della serata si è svolto il fashion contest “modella per un giorno by Vittoria Romano”. Foto Fabio Scarpati Press.
Just Cavalli
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Old Fashion
Pubblico delle grandi occasioni all’Old Fashion, e non solo per le serate Internationalweek. Infatti, di recente, il locale, in collaborazione con il Papeete e Villapapeete di Milano Marittima, oltre a festeggiare il compleanno di Enzo Mammato, ha avuto l’onore di ospitare la premiazione discografica con la consegna, per il terzo anno consecutivo, del disco d’argento 2012. L’ambito premio è stato conseguito per aver superato la quota di 20.000 copie vendute della “Papeete Beach Compilation vol.17”, la cui selezione musicale è da sempre curata da Marco Soldini, titolare dell’omonimo stabilimento. Foto Fabio Scarpati Press.
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Da sempre l’Alcatraz si distingue per la sua versatilità; la sua struttura, che risale al 1946, ha ospitato in un primo tempo un’officina meccanica e in seguito una casa di spedizioni. All’inizio era un magazzino, ora è la discoteca al chiuso più grande della città e sede di tantissimi concerti con centinaia di metri quadri di spazio per ballare. La discoteca è un enorme spazio polifunzionale che da dieci anni rimane unico nel suo genere, ed è adatto non solo a grandi eventi ma anche alle occasioni private più intime. Le strutture a vista e gli impianti tecnologici diventano parte integrante di un’architettura affascinante che lo rende un locale dal respiro internazionale. Fotografie di Internationalweek.it
Alcatraz
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Le Banque
Disposta su due diversi livelli, la discoteca Le Banque si propone nel panorama milanese come un luogo d’avanguardia. Al piano terra il lounge bar con zona per la ristorazione e pista da ballo al piano inferiore. La location, dalle più diverse funzionalità e adatta alla celebrazione di ogni occasione, è rivolta ad un pubblico raffinato ed è arredata con sedute e divani in stile barocco. Ogni giovedì sera il divertimento è assicurato grazie al ritrovo internazionale universitario attraverso la serata Internationalweek, dove la musica spazia dal genere commerciale all’house, fino al revival. Fotografie di Internationalweek.it
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