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Il Terzo Tempo

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______IL TERZO TEMPO______

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IMPARIAMO DI NUOVO A DESIDERARE

di Lidia Ravera

20 I spazio50.org I DICEMBRE 2019 MI ARRIVANO, PER QUESTA PAGINA IN CUI SI RIFLETTE SUL TERZO TEMPO DELLE NOSTRE VITE, MOLTE LETTERE. Quasi tutte parlano di sesso e di amore, di nuovi incontri fuori tempo massimo, di stanchi matrimoni, di vedovanze inquiete. Questo mese vorrei rispondere alla lettera che vi riporto interamente nella sua secchezza e tristezza: «Cara Lidia Ravera, dopo i 50 anni vivere con il marito o la moglie è deludente. Si condivide poco. Tentare di sostituire o rimpiazzare è inutile. È preferibile allora ricostruirsi una vita da soli. Senza passioni e sesso si vive in bianco e nero». Siete d’accordo? La lettera non è firmata. Il giudizio è drastico, ma non manca di una sua verità. I matrimoni stanchi sono peggio di una decorosa e volonterosa solitudine. Rilevare giorno dopo giorno il tasso di ripetizione, i tic, le piccole manie, le distrazioni, le invo

lontarie sgarberie, pesa parecchio. Le parti in commedia ve le siete assegnate decenni fa, con gli anni si sono esasperate: lui fischietta tutte le mattine, voi vi svegliate di pessimo umore, voi siete superattive e lui pigro, lui si incolla alle partite di calcio (ormai ce ne sono tre al giorno tutti i giorni) e voi amate il cinema (ormai ce n’è tanto anche in televisione con i vari Netflix e Sky), lui è silenzioso a tavola, voi adorate fare conversazione e ricordate con nostalgia quando restavate a tavola a chiacchierare fino a mezzanotte. Lui non vi fa un complimento neanche a pagarlo. Non vi sentite desiderate, perciò quando allunga stancamente la zampa per darvi quattro pesanti carezze e poi chissà... vi voltate dall’altra parte, “Buonanotte” e via. Vi rendete conto che la vostra intimità subisce tutti gli automatismi che impediscono di guardarsi davvero. Lui non vi vede più, voi non lo vedete più. Divorziare? Senza che ci sia violenza o tradimenti è molto difficile. Decidere, sopra i 50 (i 60?) di restare sole o soli, è come saltare nel buio. Avete un paio di amiche, che borbottano ma restano spo

PARLIAMONE... CHI VOLESSE SCRIVERE A LIDIA RAVERA PUÒ FARLO: PER POSTA C/O REDAZIONE 50&PIÙ VIA DEL MELANGOLO, 26 00186 ROMA PER FAX 066872597 PER MAIL REDAZIONE@50EPIU.IT +

sate. Allargare il cerchio delle amicizie quando sei in pensione sembra impossibile. Pensate che quando sarete una “single” non più giovane non verrete più invitate alle cene, perché sono tutti accoppiati, perfino il burraco si gioca in coppia. La solitudine fa paura. E allora guardiamola in faccia questa solitudine, questo mondo “in bianco e nero” che ci spaventa: siamo sicuri che sia meno colorato del terribile matrimonio svuotato di senso? I vostri figli sono cresciuti, i vostri genitori sono morti. Sarebbe il momento della libertà, non avete più nessuno da curare, non avete più nes

suno da educare. Siete sole, siete soli, ma non è poi così male. La solitudine vi spinge fuori, con l’alibi della coppia restate a casa in ciabatte, sotto l’urto della solitudine uscite. Se non la vivete come qualcosa di vergognoso, una specie di malattia da nascondere, troverete altre persone sole con cui scambiare parole nuove, non usurate da decenni di convivenza. Se posso permettermi un consiglio: evitate come la peste le soluzioni tipo “separati in casa”. Sono a rischio. Il confronto con il passato può rendervi così amareggiate da diventare antipatiche (uso il femminile per empatia di genere, ma anche

i maschi non sono certo in salvo dal rischio antipatia). Stare zitti in due, seduti alla stessa tavola, è molto peggio che cenare da soli, magari guardando un film o con un libro aperto appoggiato al cestino del pane. In definitiva mi trovo d’accordo con lo sconosciuto lettore: «È preferibile costruirsi una vita da soli». Come si fa? La prima regola è capire che cosa volete veramente, perché se vi siete sottoposti per anni al tormento di un matrimonio stanco, nove volte su dieci avete disimparato a desiderare. Bisogna ricominciare da lì. Difficile? Certo, ma molto meno che intestardirsi a far funzionare le cose, quando le cose non funzionano più.

Nel 2050 gli over 60 raddoppieranno, arrivando a 2 miliardi, il 22% della popolazione globale. Quali politiche e azioni intende promuovere l’Onu per l’invecchiamento?

L’INVECCHIAMENTO SANO E ATTIVO È RICONOSCIUTO DALLE ISTITUZIONI DI TUTTO IL MONDO COME UN DIRITTO SOCIALE, CHE RIENTRA A PIENO TITOLO NELLA REALIZZAZIONE DI UNA SOCIETÀ SOSTENIBILE E PER TUTTE LE ETÀ. L’Onu (Organizzazione delle Nazioni Unite) si è posta l’obiettivo di promuovere un piano di azioni concertate per formulare delle politiche che rafforzino in tutti i settori le capacità delle persone anziane, in collaborazione con gli Stati membri e i partner internazionali e nazionali. Il documento che ne sta alla base è l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile per la realizzazione di un mondo adatto a tutte le generazioni attuali e future, anziani compresi. Sottoscritta il 25 settembre 2015 dai 193 Stati membri delle Nazioni Unite, l’Agenda si articola in 17 obiettivi e 169 traguardi. Ma cosa significa al lato pratico e quali sono gli obiettivi e le azioni specifici per promuovere la qualità della vita degli anziani e l’invecchiamento sano e attivo? Facciamo il punto. In termini generali, l’Agenda 2030 parte dal presupposto che l’invecchiamento sano può contribuire a costruire una società IL PROGRAMMA Obiettivi e traguardi da raggiungere L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione che ha come obiettivo la realizzazione di un mondo sostenibile per le generazioni attuali e future. Sottoscritta nel 2015 da 193 Paesi dell’Onu, l’Agenda ingloba 17 obiettivi e 169 traguardi da raggiungere entro il 2030. AGENDA 2030 E ANZIANI: IL PUNTO

a cura del Centro Studi 50&Più

MAN MANO CHE LE PERSONE INVECCHIANO, I LORO RISULTATI SULLA SALUTE, I BISOGNI E CIÒ CHE APPREZZANO POSSONO CAMBIARE. DIVENTA QUINDI FONDAMENTALE SOSTENERE QUESTI CAMBIAMENTI CON AZIONI MULTISETTORIALI +

coerente, pacifica, più giusta, sicura e sostenibile. Ne consegue che un’azione per favorire l’invecchiamento in buona salute possa aiutare a combattere le disuguaglianze e garantire che le persone anziane invecchino in modo sicuro in un luogo adatto a loro, che siano libere dalla povertà, che possano continuare a sviluppare le proprie capacità e che possano contribuire alle loro comunità mantenendo l’autonomia e la salute. Oggi, la maggior parte delle persone vive più a lungo e una percentuale significativa della popolazione mondiale è costituita da persone anziane. Entro il 2050 gli over 60 saranno 2 miliardi, pari al 22% della popolazione globale. La tendenza non può che aumentare, visto il progressivo calo delle nascite e l’aumento della speranza di vita di uomini e donne. La cosiddetta transizione demografica ha forti implicazioni sullo sviluppo sostenibile della società. Su questo fenomeno incidono anche le dinamiche migratorie, che contribuiscono a modificare le strutture di età della popolazione di alcuni Paesi e Regioni e la progressiva concentrazione della popolazione nei centri urbani.

L’80% di questa importante fetta di popolazione vivrà in Paesi a basso e medio reddito. Man mano che le persone invecchiano, i loro risultati sulla salute, i bisogni e ciò che apprezzano possono cambiare. Diventa quindi fondamentale sostenere questi cambiamenti con azioni multisettoriali sull’invecchiamento e sulla salute. Ben 9 obiettivi dell’Agenda su 17 riguardano in modo diretto gli anziani e i loro diritti. Vediamoli uno a uno. OBIETTIVO 1 Zero povertà. I diritti e il benessere delle persone anziane possono essere tutelati sostenendo le loro scelte lavorative e fornendo una rete di sicurezza per loro e le loro famiglie. L’obiettivo 1 contiene azioni su politiche pensionistiche flessibili e misure di tutela per i lavoratori informali, percorsi di formazione e riqualificazione dei lavoratori, servizi di supporto e assisten-

za alla famiglia (caregiver), accesso garantito ai servizi sanitari anche a lungo termine. OBIETTIVO 2 Zero fame. L’attenzione all’alimentazione delle persone anziane può aiutare a invertire i modelli di malnutrizione che aumentano la dipendenza degli anziani dalle cure e diminuiscono la capacità intrinseca. L’obiettivo 2 prevede azioni per rendere accessibile il cibo agli anziani poveri e che vivono in zone isolate, così come il potenziamento dell’apporto di vitamine, minerali e proteine negli alimenti. OBIETTIVO 3 Salute e benessere. Mantenersi in salute in tutte le fasi della vita porta con sé più indipendenza, più partecipazione sociale ed economica nella società e minori costi sanitari. L’obiettivo 3 promuove i binomi salute-assistenza a lungo termine per garantire la prevenzione delle malattie, la cura e la riabilitazione degli anziani, nonché l’accesso ai medicinali e alle tecnologie a favore del potenziamento delle capacità funzionali (tecnologie abilitanti). OBIETTIVO 4 Istruzione di qualità. L’apprendimento permanente permette all’anziano di essere parte attiva della società, svolgendo attività e prendendo decisioni. È quanto »

o superiore a 80 anni nel 2015; le donne, inoltre, vivono mediamente più a lungo degli uomini. L’obiettivo 5 mira a potenziare la presenza e il ruolo delle donne sul lavoro, per contrastare povertà, aumentare l’accesso alla pensione con pensioni sociali e migliorare le condizioni di salute e di gestione della famiglia. OBIETTIVO 9 Industria, innovazione e infrastrutture. Favorire l’invecchiamento sano e attivo è anche questione di innovazione nella produzione e nelle infrastrutture. L’obiettivo 9 promuove le tecnologie “eHealth” per la telemedicina e il monitoraggio della salute e la prevenzione delle malattie dell’anziano, ma anche l’interoperabilità dei dati racI PROPOSITI Per trasformare il nostro mondo I 17 obiettivi dell’Agenda 2030: 1 sconfiggere la povertà; 2 sconfiggere la fame; 3 salute e benessere; 4 istruzione di qualità; 5 parità di genere; 6 acqua pulita e servizi igienico-sanitari; 7 energia pulita e accessibile; 8 lavoro dignitoso e crescita economica; 9 imprese, innovazione e infrastrutture; 10 riduzione delle disuguaglianze; 11 città e comunità sostenibili; 12 consumo e produzione responsabili; 13 lotta contro il cambiamento climatico; 14 vita sott’acqua; 15 vita sulla terra; 16 pace, giustizia e istituzioni solide; 17 partnership per gli obiettivi. I dettagli sul sito istituzionale: https://sustainabledevelopment.un.org. IN SINTESI l’obiettivo 4 si propone di realizzare attraverso programmi specifici di alfabetizzazione di base, sanitaria e di acquisizione di nuove competenze (ad esempio, tecnologie), abbattendo le barriere che impediscono all’anziano di accedere all’istruzione. OBIETTIVO 5 Uguaglianza di genere. Le donne rappresentano il 54% della popolazione mondiale di età pari o superiore a 60 anni e il 61% di quelle di età pari

colti dalla ricerca per la creazione di soluzioni e prodotti a misura di anziano. OBIETTIVO 10 Riduzione delle disuguaglianze. Gran parte della discriminazione vissuta dagli anziani deriva dagli ambienti fisici e sociali in cui essi vivono (casa, quartiere, comunità, ambiente di lavoro). L’obiettivo 10 mira ad abbattere le discriminazioni di età, di genere, etnia e livello di istruzione. OBIETTIVO 11 Città e comunità sostenibili. Gli anziani che vivranno in zone urbane entro il 2050 saranno 908 milioni. Una città per tutte le età deve ripensare molti dei suoi settori: salute, assistenza a lungo termine, trasporti, logistica, alloggio, lavoro, protezione sociale, informazione e comunicazione. Gli attori coinvolti sono governo, fornitori di servizi, società civile, anziani e loro organizzazioni, famiglie e amici.

OBIETTIVO 16 Pace, giustizia e istituzioni più forti. Anche l’immaginario sull’invecchiamento va corretto: le campagne di sensibilizzazione, la diffusione di buone pratiche e la promozione di politiche per l’inclusione degli anziani possono preparare il terreno al necessario cambio di paradigma. Come visto, sono davvero molti i fronti su cui occorre lavorare e mancano solo 11 anni alla “chiusura” del programma dell’Agenda 2030. Per il tempo che rimane, l’Oms ha istituito il “Decennio sull’invecchiamento sano 2020-2030”. L’obiettivo è di attivare in modo congiunto e sinergico governi, società civile, agenzie internazionali, professionisti, università, media e settore privato su un piano di attività che permetta di migliorare la vita delle persone anziane, delle loro famiglie e delle comunità in cui vivono.

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intervista di Raffaello Carabini

«IL SEGRETO È

NON ACCONTENTARSI NEANCHE

DEL TUTTO ESAURITO»

__le INTERVISTE di 50&Più__ «Un’autobiografia me l’avevano chiesta tante volte. Non avevo mai accettato, finché non ho rischiato la vita cadendo dal palcoscenico. Allora mi sono detto che avevo qualcosa da raccontare». Umberto Orsini, il grande attore di teatro, cinema e televisione, ha scritto Sold Out in qualche modo con il pubblico. Spero sempre che sia all’altezza di alcune proposte, lo sfido su qualcosa di nuovo, linguaggi, proposte. Non siamo in un Paese così teatrale da ascoltare a fondo le parole che un attore dice sulla scena. È un pubblico che di solito va a vedere cose che già conosce, e quando proponi il nuovo è un ostacolo. Questo mi disturba. Ma vincere l’ostacolo, convincere il pubblico, venuto ma diffidente, mandarlo a casa con un’acquisizione, una conoscenza più ampia rispetto a quando si è seduto sulla poltrona, è il risultato più grande che io possa avere. Non solo da attore, da persona che sa di essere nello spettacolo per fare qualcosa di utile culturalmente. Non voglio consolare il pubblico, mi piace che la gente in platea senta la sedia bruciare sotto di sé per aver trovato un prodotto che non si aspettava. Come è cambiato il mondo del teatro durante i suoi lunghi anni di carriera e che prospettive vede oggi? È cambiato perché il pubblico cambia. Una volta chiedevano chi è l’attore, oggi la gente chiede quanto dura? Oggi i tempi si sono fatti più ristretti, perché così si consumano altri spettacoli, come la televisione che è molto più rapida di quella di una volta. Allora si facevano romanzi sceneggiati come I fratelli Karamazov, con tempi distesi, tante parole; oggi la gente si annoia facilmente. Il pubblico è diventato più frenetico e lo stesso è diventato il teatro. Prima U offerto diverse volte, né Riccardo III», dice. «Una posizione privilegiata: non ho ancora fatto tutto. Quello che mi interessa è lo spettacolo nel suo insieme più che il ruolo, deve esserci qualcosa di nuovo. Per questo lavoro spesso con registi giovani, che hanno idee innovative. Anche se poi, alcune intuizioni che loro credono nuovissime le ho già conosciute nel corso della mia carriera. Mi fido soprattutto della mia capacità di incontrarmi con i lavori che poi si rivelano quelli “giusti”, come Copenaghen, che ho fatto per 460 recite e che sembrava sulla carta un testo sulla fisica, un argomento non teatrale; invece è stata una scommessa vinta. Tante volte mi piace scommettere». Cosa la disturba di più in un insuccesso? La mia lotta è sempre «SONO SICURO CHE È IL TUTTO ESAURITO, IL “SOLD OUT” CHE MI HA FATTO SOPRAVVIVERE: L’HO SEMPRE ADORATO E NON MI CI SONO MAI ABITUATO COMPLETAMENTE. È IL VERO MIRACOLO PER L’ATTORE» 25 SETTEMBRE 1955. Sul vagone letto che porta da Milano a Roma un giovane Umberto Orsini si sta recando a sostenere il provino di ammissione all’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico, la più prestigiosa d’Italia. Quando esce dalla cabina per fumare si imbatte in un signore corpulento con il sigaro in bocca che discute con la sua compagna in un misto di inglese e italiano. Solo alcuni giorni dopo il 21enne piemontese scoprirà che si trattava di Orson Welles e consorte. Se non fu un segno... Da quel giorno partì una carriera infinita, che lo vede tuttora calcare le assi dei palcoscenici, con ben più di un centinaio di spettacoli cui ha partecipato, decine di film, numerosi sceneggiati (come si diceva una volta) e programmi Tv, persino svariate partecipazioni a fotoromanzi. «Ma non ho ancora fatto né Re Lear, che mi hanno » + + UMBERTO ORSINI

c’erano i grandi attori che potevano permettersi il lusso di essere portatori di un messaggio dal palco, oggi la parola dev’essere più penetrante. Gli spettacoli sono sempre in qualche modo lo specchio di chi li sta vedendo. I film e le fiction Tv sono ancora una sorta di corollario, dal punto di vista della recitazione, del teatro? Pensano in molti che siano ambiti differenti, soprattutto in Italia, dove un attore di teatro non trova un travaso nel mondo del cinema e viceversa, come invece avviene in quasi tutti gli altri Paesi. È un’occasione mancata per entrambi; se le due maniere espressive si fossero collegate con un’osmosi naturale, avremmo avuto generazioni di attori differenti sia a teatro che nel cinema e nelle fiction. Come ha vissuto il periodo in cui era sempre sulle copertine dei rotocalchi e protagonista del gossip? Era un periodo in cui avevo una popolarità estesa. I Karamazov facevano 14 milioni di spettatori, oggi mi rivolgo a un pubblico di 300mila persone che conoscono il mio lavoro e mi seguono con fiducia. Quando ero giovane, bello e famoso vivevo quel tipo di fama con molta tranquillità, la cercavo, facevo spettacoli Tv con un pubblico larghissimo, che però non veniva a vedermi in teatro. La Tv è sempre un’offerta subíta, non voluta, mentre a teatro vai a vedere uno spettacolo, paghi il biglietto, scegli. Meglio essere apprezzati da questi spettatori, che essere una sorta di oggetto di consumo non scelto, ma subíto. La forza di essere ancora sulle scene e di fare ricerca teatrale che mantiene nel tempo da dove le viene? Viene dall’infanzia, dall’essermi fatto da solo. Le mie scelte sono state molto autonome. La forza è sapere che, quando sono sul palcoscenico con mile occhi addosso, sono indagato. Mi offro a questa analisi, ma cerco di mantenere un certo mistero, un margine di conoscenza che non viene soddi«ALLORA SI FACEVANO ROMANZI SCENEGGIATI COME “I FRATELLI KARAMAZOV”, CON TEMPI DISTESI, TANTE PAROLE; OGGI LA GENTE SI ANNOIA FACILMENTE» +

In alto, alcuni attori della Compagnia dei Giovani: da sinistra, Romolo Valli, Elsa Albani, Giorgio De Lullo, Rossella Falk, Carlo Giuffrè e Umberto Orsini. Sopra, Orsini in uno scatto del 1960, sulla Vespa con Mina.

sfatto durante la serata. Mi do con parsimonia, sapendo di avere altre armi di riserva per sorprendere il pubblico la volta successiva. In qualche modo è rispondere al bisogno di rinnovarsi, di cambiare l’abito che ti è stato cucito addosso. Il rinnovarsi è lo sforzo maggiore di un attore... Sì, perché significa non accontentarsi. Mi conosco e mi accorgo subito quando riciclo qualcosa che ho già dato. Spero che il pubblico non se ne accorga. Le doti di un attore sono sempre limitate: la faccia è quella lì, che può avere un tot di espressioni. C’è chi ne ha una sola, io non so quante posso averne, però gli anni aiutano, ogni età ha la sua faccia, ha la sua voce. Anche la mia, che è piuttosto conosciuta - quando vado in un negozio e chiedo: «Per favore, avrebbe...», le signore si voltano e dicono: «L’ho riconosciuta dalla voce», mentre io riesco ad avere quell’etto di prosciutto prima di loro - si modifica, anche se rimane in qualche modo un timbro dell’anima.

BIOGRAFIA

1934

GLI INIZI Nasce a Novara, il giorno di Pasqua. Da piccolo lo chiamavano Betollo. Studia Legge per diventare notaio ma abbandona l’Università per iscriversi all’Accademia d’arte drammatica “Silvio D’Amico”.

1957

L’INCONTRO CON FELLINI Ottiene i primi consensi come attore giovane nella Compagnia dei Giovani di Romolo Valli e Giorgio De Lullo: primo compenso 9.000 lire. Due anni dopo debutta nel cinema: una particina ne La dolce vita di Fellini.

«Vorrei chiudere la carriera con un clamoroso insuccesso, una pièce talmente avanti da non essere compresa»

Umberto Orsini in una scena tratta dal capolavoro pirandelliano “Il gioco delle parti”.

Quando riprendo uno spettacolo fatto anni prima è sempre diverso, perché sono diverso io, sono diversi i tempi e mi baso meno sulla tecnica e più sul sentimento. Pur essendo uguale il guscio, dentro c’è una sostanza diversa e questo il pubblico lo avverte. Come si combatte la difficoltà di una vita sempre in tournée, sempre lontano da casa? Con la routine. Cerco sempre lo stesso albergo, la stessa camera se possibile. In ogni città cerco un mio luo- go preferito, frequento spesso lo stesso ristorante. Cerco in qualche modo di sentirmi a casa, anche standone lontano molto tempo. Lo fanno un po’ tutti gli attori devo dire, che provano malinconia quando non trovano più il ristorantino preferito o il mutare di alcuni posti amati. È come un cambiamento del tuo habitat famigliare. Ricordo con affetto un albergo dove andavo e dove una volta avevo chiesto uno yogurt al limone. In seguito, tutte le volte con gentilezza mi dicevano: «Abbiamo il

TUTTA LA VITA IN UN LIBRO

«Ho scritto la mia autobiografia come fosse uno spettacolo. Sono abituato da sessant’anni a lavorare sulle parole. I testi teatrali li violento, li taglio, li faccio ritradurre, provo soluzioni nuove, li contamino con altri, magari metto una battuta di Strindberg dentro Pirandello, ho l’orecchio allenato. L’ho lavorata come un testo che mi piacerebbe leggere, con la mia voce». E Sold Out (Laterza, pag. 224, €18) si legge tutta d’un fiato, piena di fatti, dal bacio di Mussolini durante una parata al primo, ricevuto da un ragazzo, dal pugno che ruppe il naso alla Falk a Celentano spennato a poker, dalle amicizie di teatro con grandi maestri, come Valli e Ronconi, alle chiacchierate storie d’amore, dalle partite di tennis con Tognazzi al primo programma Tv sulla cucina.

suo yogurt con il limone». Anche quando ho cambiato gusti, me lo facevo portare in camera. Non mi piace contraddire le persone che mi vogliono bene, preferisco glissare o, addirittura, non farmi vedere più. Qual è stato il partner o la partner che l’hanno fatta sentire più a suo agio? Ce ne sono stati molti, tutti bravi. Recitare con loro è un grande vantaggio. Come quando si gioca a tennis. Se lo fai con un compagno di circolo più o meno del tuo livello, hai in risposta palle poco tese, che vanno dove vogliono, mentre giocare con un maestro ti fa essere più bravo e provare tiri più forti. Così è recitare, più bravo è il partner o la partner con cui scambi battute e più migliori. Potendo, ho sempre scelto di recitare con attori bravi, come Carraro oppure Santuccio, anche più giovani di me, come Branciaroli o Popolizio, e partner come la Falk o la Cortese. Diventi più bravo se scambi la palla con chi la rimette nel tuo campo in maniera intelligente. È voglia di confronto e di approfondimento, è evitare la superficialità. Vale nel teatro così come nella vita.

1969

IL GRANDE SUCCESSO Arriva in Tv nel ’60, ma il successo clamoroso lo ottiene quando interpreta Ivan Karamazov nel romanzo sceneggiato I fratelli Karamazov di Dostoevskij, diretto da Sandro Bolchi, regista principe del genere.

1999

IN PALCOSCENICO Debutta il suo spettacolo teatrale più fortunato, Copenaghendi Michael Frayn, regia di Mauro Avogadro. Tre fisici teorici si interrogano su un fatto che nel 1941 li aveva coinvolti nella città danese.

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