Città dei Mille Aprile/Maggio 2017

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Edito riale

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ergamo sta spiccando sempre più il volo. Le analogie terminologiche con il successo dell'aeroporto sono necessarie perché una parte cospicua della rinascità di turismo e attrattività sono dovuti all'eccezionale lavoro di chi, grazie allo scalo, avvicina la Città dei Mille al resto dell'Europa. Anche se i soggiorni sono ancora alquanto brevi, come ci racconta Roberta Garibaldi, direttore del progetto East Lombardy e docente universitaria, ci si sta muovendo a vari livelli per accrescere l'appeal del territorio, anche attraverso alleanze enogastronomiche con le province vicine. Restando su argomenti accademici, su questo numero abbiamo intervistato il direttore di un dipartimento fondamentale nel grande momento di slancio che sta vivendo il nostro ateneo: il professor Gianfranco Rusconi, alla guida di Scienze economiche e aziendali. E, per completare il panorama degli studi post diploma, ribadiamo l'importanza delle nostra collaborazione ormai pluriennale con la Luberg, Associazione dei Laureati dell'Università di Bergamo, che nella rubrica di pagina 57 presenta la quinta edizione del concorso letterario organizzato per valorizzare il talento dei giovani bergamaschi e offrire loro la possibilità di confrontarsi con il contesto letterario contemporaneo. E di letteratura, ma in dialetto, si occupa anche il poeta Umberto Zanetti, che continua nella sua opera di difesa della cultura locale perché «interessarsi delle lingue locali non significa rinchiudersi nel cortile di casa, ma rendersi conto della straordinaria ricchezza che può vantare il nostro Paese». Ma nella rivista che avete tra le mani c'è molto di più, dai reportages fotografici tra inaugurazioni e eventi vip a un'ampia rassegna di cosa si sta muovendo sul piano culturale in città, fino alla sezione delle rubriche, firmate da autentiche autorità di settore. Buona lettura! e.lanfranco@inwind.it

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di Emanuela Lanfranco Direttore Responsabile


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Approfondimento

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Basta un click

i si guarda attorno in questo anticipo di primavera e come ogni volta, ogni volta che riparte la fioritura del mondo, perfino tra i marciapiedi delle nostre città, lo avvertiamo. Si ha voglia di aprire finestre e braccia, in quel gesto con cui si dà aria alle stanze, ingrigite dal fumo invernale, e si fa entrare qualcosa di nuovo. Scandali, ruberie, manipolazioni, vessazioni, violenze, guerre, rapine, maltrattamenti. Sì, il mondo va anche così. Ma ci piacerebbe dare spazio anche a una musica diversa. E così vi racconto una storia. E uso la voce di Margherita Mirabella, fotografa italiana di successo, ora in pianta stabile a

New York: “Avevo guadagnato abbastanza da permettermi di lavorare gratis, così ho chiesto a Operation Smile di seguire una missione medica a mie spese. Sono partita come volontaria.” Di cosa stiamo parlando? Se andate nel sito che porta il suo nome, compaiono i soliti link, uno in fila all’altro che occhieggiano invitanti a carpire la mano del visitatore. E potete fare come è capitato a me: cliccare il link “beauty”, parola irresistibile per una donna, dove verranno snocciolati in sequenza visi di donne bellissime, riprese nei dettagli più affascinanti. Primi piani di occhi aperti, socchiusi,

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di Emanuela Lanfranco

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chiari, scuri, tondi, a mandorla; scorci di sorrisi smaglianti, labbra carnose e invitanti, chiome seriche e fluenti di ogni sfumatura che la natura e la chimica sono in grado di produrre nei templi della bellezza. Il tutto presentato attraverso la tecnica di uno sguardo, quello della fotografa, capace di restituire solo il meglio. Insomma “beauty” era la promessa e bellezza incontriamo. Ma poi, grazie alla velocità e alla compresenza di mondi che la tecnica ormai ci consente facilmente di esercitare, se spostate il mouse o il touch o la semplice attenzione sulla mascherina Operation Smile, attratti dal volto che campeggia, il paesaggio cambia. Il collo lungo e il viso perfetto della donna che campeggia, il cui sguardo non è così ridente come quello delle sue colleghe appena visionate, rimane nella nostra retina per un tempo più veloce mentre

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la nostra attenzione viene attratta dal bambino che lei porta sulle spalle, in un modo che per noi occidentali è inconsueto ed esotico. Ma subito dopo i nostri occhi hanno un moto di repulsione, perché quel che vediamo non ci piace, e se con il click guardiamo le altre foto della galleria il nostro orrore aumenta. Non più bambini, ma ragazze, uomini, donne portano i segni di quella deformazione, il labbro leporino, che ormai per fortuna da noi non si vede più. Vuol di re che la natura si è arresa, in occidente? Nooo, vuol dire che per fortuna la tecnologia medica è stata capace di “aggiustare” l’errore di Natura. E laggiù? In quel mondo “altri”? Anche laggiù, si potrebbe fare questa correzione, ma mancano i soldi. E allora riprendiamo la storia di Margherita Mirabella che ha deciso di appoggiare con tutto il peso

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della sua notorietà, con tutte le risorse di cui dispone una donna occidentale di successo, la charity che opera per permettere ai molti che portano in viso la mostruosità della malattia l’accesso ad una vita diversa. E’ un’altra bellezza, questa. Di cui tutti potremmo farci carico. Non è questo che un piccolo esempio e lo scopo non è certo invitare a sostenere questa o quella associazione benefica, ma solo farci riflettere su come basti poco, soprattutto oggi, un lieve spostamento di punto di vista per trascorrere quasi inavvertitamente dal mondo “nostro”, dove alla voce bellezza associamo visi perfetti di sirene che mostrano gli incanti del Mercato, a uno dove la bellezza è la salute: it’s enough, direbbero gli inglesi, è sufficiente, diciamo noi. Fuori da ogni pietismo e da ogni moralismo.


Sommario Editoriale Approfondimento

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cover story

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in Vetrina

Francesca Bellavita e le sexy eroine manga Lilliput , la carica dei 320mila bambini A scuola di sicurezza e soccorso in fiera Aeroporto sempre più senza barriere. Assistenza ai disabili che funziona La ricetta da chef fai da te (in scatola) come souvenir 2.0 per il turista Lario Mi Auto, lo showroom del futuro Due serate da Giuliana per il libro dei Canzian Guardia di Finanzia, l'Accademia sostiene la ricerca Cavalieri dell'Unci, 26esimo convegno Goute de France, cena che fa del bene

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vip & news

«Difendo il dialetto e la cultura locale» «Un vero boom di turisti per Bergamo. Ma i soggiorni sono ancora brevi» Gli animali domestici nella separazione e nel dizorzio «Grandi risultati sul numero degli iscritti e sulla crescente internazionalizzazione»

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Presente Futuro Luberg Cucina Spiritualità Motori Arte Cinema il Pensatore il Veterinario

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rubriche

Castello di Pagazzano: dopo Warhol c'è Dalì Luberg e Confindustria giovani: serata all'insegna dell'imprenditorialità Donizetti Opera, la star è Juan Flòrez L'Accademia Carrara riparte da Raffaello Orto Botanico, sboccia la primavera

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cultura

Dentiera? No grazie! Da oggi c'è Eagle Grid

Città dei Mille - anno 20 n. 2 Aut. Trib. n. 52 del 27 Dicembre 2001 Editore: AD Communication S.r.l. direzione@adcommunication.it www.adcommunication.it Direzione e Redazione: Viale Giulio Cesare, 29 Bergamo Tel. 035 35 91 011 www.cittadeimille.com Direttore responsabile: Emanuela Lanfranco Redazione: redazione@cittadeimille.com Abbonamenti: 035 35 91 011 1 anno - 15 euro Stampa: Sigraf - Treviglio (Bg) Pubblicità: Tel. 035 35 91 158

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Dentiera? No, grazie! Da oggi c'è Eagle Grid

Il Dottor Mauro Cerea, chirurgo e odontoiatra bergamasco, ha messo a punto una griglia in titanio che restituisce il sorriso a chi non può fare a meno della protesi mobile

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igoroso. E pignolo. Due aggettivi che ben descrivono Mauro Cerea, cinquantenne medico chirurgo e odontoiatra con la passione per il volo e la cucina. Ma procediamo per gradi, partendo dall'infanzia di questo professionista bergamasco, periodo nel quale i bambini scoprono le proprie passioni e predisposizioni. Albert Einstein a tal proposito disse “Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso”. Esattamente come il piccolo Cerea, che maneggiando il pollo

che la madre s'apprestava a cucinare s'interrogava sul “come fosse fatto dentro”; testuali parole che dimostrano una precoce curiosità per l'anatomia animale e da li a poco per quella umana. Cresce in fretta il giovane Mauro, figlio unico di un insegnante di educazione fisica nonché pianista e studioso di Donizetti, il Maestro Gianluigi, per oltre vent'anni direttore di palcoscenico del teatro di Bergamo. Dopo aver frequentato il Liceo Lussana, dove conferma di amare particolarmente le scienze, dalla fisica alla biologia, si

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di Claudio Bonaschi

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iscrive a Medicina a Milano. Fa il pendolare per quattro anni per poi prendere casa nel capoluogo lombardo, dove trascorre le sue giornate come studente interno di Chirurgia al San Raffaele. Nell'87 inzia a frequentare il reparto di Maxillo Facciale dei Riuniti di Bergamo per poi laurearsi l'anno seguente con il massimo dei voti e la lode con una tesi semi-sperimentale incentrata sui traumi sportivi e le metodologie per la loro cura. «Ero volontario - ricorda Cerea - nel reparto dell'ospedale di Bergamo a fianco del Primario Dottor Lucio Losapio e del Dottor Ferdinando Faldi». Dopo la “parentesi” obbligatoria del servizio militare per l'Esercito Italiano, come ufficiale medico di complemento, nel '91 vince il concorso a ruolo nazionale per Assistente di Chirurgia Maxillo Facciale ai Riuniti. «Risolvere urgenze come primo operatore - sottolinea - è stata un'esperienza fondamentale e motivo di crescita professionale». E qui, come spesso accade ai giovani medici, i ricordi di tante soddisfazioni per operazioni ben riuscite si mescolano a quelli assai tristi dei primi pazienti che, in seguito ad incidenti stradali, subiscono forti traumi e nonostante il prodigarsi del chirurgo, non ce la fanno. Come prosegue negli Anni Novanta la sua carriera? «In quel periodo inizio ad interessarmi al settore dentale e nel '96 mi dimetto dai Riuniti per intraprendere la libera

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professione. Approfondisco per tre anni consecutivi lo studio della chirurgia ortognatica 1 con lunghi soggiorni a Tarbes, in Francia, dove apprendo le nuove tecniche di un luminare conosciuto a livello europeo. Dal '98 ai primi Anni Duemila sono Primario di Odontoiatria e Maxillo Facciale presso la Clinica San Carlo di Paderno Dugnano». Sul finire del secolo sono nate diverse nuove tecnologie. Anche lei ne ha beneficiato? «Cer tamente. Ad esempio inizia a prendere piede la diagnosi per immagine mediante tac anche per lo studio delle ossa del cranio e per l'implantologia. Per non

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parlare delle innovazioni informatiche. Ciò ha migliorato la fase pre-intervento e di conseguenza il modo di operare». Ha citato l'implantologia. Non è proprio questa branca dell'odontoiatria che l'ha così tanto affascinata rendendola uno dei massimi esperti nel settore in Italia? «Diciamo che ho recitato il mio ruolo e lo sto portando avanti con buoni risultati. E tutto ciò da una ventina d'anni. Da quando ho aperto il mio studio in città, in Via Goethe, ho assistito alla crescita del settore, sia dal punto di vista dei numeri sia per quel che riguarda la qualità degli impianti e della strumentazione chirurgica. La mia passione per l'implantologia deriva dal fatto che rispetto all'odontoiatria tradizionale, di fatto demolitiva, questa tecnica serve a ricostruire ciò che è andato perso senza sacrificare altri elementi dentali. Un punto di contato con la ricostruttiva maxillo-facciale per la riabilitazione della funzione masticatoria». A tale proposito, vogliamo parlare delle tecniche innovative che ha sviluppato in prima persona? «Si tratta essenzialmente di usare meglio l'osso di chi ha perso uno o più denti. I miei studi, le sperimentazioni ed i risultati ottenuti, dei quali oggi ogni mio paziente può beneficiare, vanno tutti in questa direzione, che di fatto si contrappone alla filosofia che voleva ed in parte tutt'oggi vuole, rigenerare l'osso mascellare con


interventi anche assai invasivi. In passato persino prelevando osso dall'anca». Un esempio concreto? «E' anche il mio cavallo di battaglia. L'impianto pterigoideo. Un impianto che ho messo a punto e progettato con gli ingegneri bio-medici dell'azienda vicentina per la quale sono Opinion Leader, la Btk di Povolaro di Dueville. Di lunghezza di 15/18 centimetri è un valido strumento per l'implantologia endo-ossea, che partendo dal cavo orale interessa le lamine dell'osso sfenoidale 2. L'inserimento di tale impianto, nel caso ad esempio di perdita dei molari superiori e contemporanea scarsità d'osso, evita l'intervento di rialzo del seno superiore, ovvero l'ispessimento di una parte dell'osso della mascella tramite intervento chirurgico ed inserimento di materiale osseo bio compatibile. I vantaggi sono notevoli, specie pensando ai disagi e ai tempi di recupero del paziente, che con la tecnica che adotto sono notevolmente inferiori a quelli della metodologia tradizionale. Con l'impianto Pterigo in pochi giorni il paziente può adottare una protesi provvisoria e nel giro di tre mesi circa una protesi definitiva fissa, stabile e duratura». «La percentuale di successo - specifica il Dott. Cerea -, quindi di stabile inserimento dell'impianto e tenuta del carico protesico a distanza di anni dall'intervento è del 97% sulla base di oltre mille casi trattati. In Italia sono il solo per questo tipo di intervento a vantare una

casistica così numerosa». Quale altra attività svolge per la Btk? «Tengo corsi di chirurgia implantologica, all'estero anche su cadavere 3, e partecipo a congressi a livello nazionale ed internazionale. Tutte attività utili alla diffusione della conoscenza delle tecniche che ho messo a punto, creando protocolli dettagliati, nonché alla promozione dei loro prodotti e tecnologie Btk, dagli impianti dentali, alla chirurgia guidata». Ci parli della sua più recente innovazione, che sta pubblicizzando in questi

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giorni in città, con tanto di spot allo stadio ed un autobus di linea interamente aerografato. «Seguendo la stessa logica di evitare interventi invasivi di rigenerazione e per dare a chi ne necessita - per scarsità ossea verticale e trasversale - e in tempi brevi un prodotto funzionale e di lunga durata, tre anni fa con Btk ho iniziato lo studio e la progettazione di Eagle Grid. E' una griglia che si ancora all’osso in maniera orizzontale, bloccata mediante viti di sintesi in titanio alle basi ossee mascellari o mandibolari. Nella fase di pre-produzione, le immagini Tac del paziente vengono inviate ad un centro di elaborazione che provvede alla progettazione in cad cam (virtuale su computer) della Eagle Grid, che viene poi prodotta in modo personalizzato. Un'idea sperimentata già vent'anni fa, ma che allora andò incontro ad una serie di insuccessi a causa del materiale non idoneo utilizzato. Oggi con l'uso del titanio sinterizzato con laser ad alta intensità e grazie allo sviluppo di nuove metodologie radiografiche (tomografia computerizzata Cone Beam, ndr), che permetto la massima precisione dell'atto chirurgico, siamo in grado di offrire a chiunque la possibilità di avere denti fissi con carico immediato 4». In pratica con Eagle Grid anche chi porta la dentiera e non ha la possibi-

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lità di inserire impianti può tornare a sorridere senza il timore che la protesi fuoriesca dalla bocca. E può addentare braciole e costine ad una sagra estiva. «Degli oltre cento casi trattati finora posso riportare le testimonianze di alcuni pazienti anziani che sono tornati a masticare e gustare cibi che non avvicinavano alla bocca da tempo, come anche il caso di una giovane paziente che a seguito di un trauma facciale conseguenza di un incidente stradale era costretta a portare la dentiera avendo fallito numerosi e dolorosi interventi di rigenerazione ossea. Dopo tre ore di intervento la paziente con Eagle Grid è potuta uscire dallo studio con una protesi fissa, quindi senza palato, esternando la sua gratitudine e felicità fino alle lacrime. L'operazione, il cui costo è contenuto, dura infatti dalle due alle tre ore a seconda dei casi ed è condotta in regime ambulatoriale». In pratica è una vera e propria rivoluzione nell'odontoiatria. «In effetti possiamo dire di si. Con Btk sta nascendo una scuola, l'abbiamo chiamata Eagle Grid Academy, per la formazione di medici e odontoiatri che intendono offrire ai loro pazienti questo procedimento innovativo. A marzo abbiamo tenuto il primo corso pratico a Sofia. Inoltre con una pagina facebook dedicata e tramite il sito web www.eaglegrid.it diamo informazioni utili sulla griglia sia ai pazienti sia ai professionisti». Pa r l i a m o d ' a l t r o . E ' c re s c i u t o a Bergamo, dove di recente ha inaugurato il suo nuovo studio. Che rapporto ha con la sua città? «Uno splendido rapporto, fatto di ricordi d'infanzia e di gioventù. E di luoghi che riscopro di volta in volta con rinnovato piacere, come i colli intorno a Città Alta che spesso ho percorso facendo jogging e dai quali si gode una vista unica. Dilettandomi con la gastronomia, specialmente con la preparazione della pizza cotta a legna vorrei citare la pizzeria Da Nasti, che frequento sempre con molto piacere e grazie al cui staff ho imparato i segreti degli impasti e delle farciture per le pizze che in più occasioni sforno per amici e parenti. Sono inoltre tifoso dell'Atalanta, che spero raggiunga il traguardo di un posto in Europa». Da suo padre ha imparato ad amare lo

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sport, quali attività ha praticato? «A livello agonistico lo sci e la pallavolo. Quindi ho praticato il paracadutismo e di recente mi sono appassionato al volo fino ad arrivare a conseguire il brevetto di pilota commerciale». E' un uomo che ama le sfide, Dottor Cerea. Per concludere, parlando in generale della sua professione, con la nascita di tante cliniche dentali com'è cambiato a suo parere l'approccio da parte della gente nei confronti del dentista? Una figura che un tempo era vista, per svariati motivi, con un certo timore. «Ora c'è più fiducia da parte dei pazienti, che rispetto a venti o trent'anni fa, non vanno più incontro ad inutili sofferenze, ma il dentale oggi ha cambiato la domanda e l'offerta. La nascita di queste nuove catene e franchising ha di fatto disorientato i nostri pazienti anche a fronte di messaggi pubblicitari a mio parere ingannevoli, finendo con lo svilire il valore deontologico della professione con una politica di basso profilo commerciale. A mio modo di vedere credo che le

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associazioni di consumatori dovrebbero maggiormente vigilare sull'attività di queste cliniche e debitamente allertare i propri iscritti circa le modalità e conseguenze dei finanziamenti sottoscritti per accedere alle cure. Inoltre il turnover del personale in molte di queste strutture non assicura al paziente un continuum nel rapporto di fiducia che dovrebbe instaurarsi con il medico e spesso crea problemi nel caso di trattamenti che devono necessariamente protrarsi nel tempo». Note 1. La chirurgia ortognatica, o chirurgia dei mascellari, è quella branca della Chirurgia Maxillo-Facciale che permette la correzione di un ampio spettro di deformità o anomalie dello scheletro facciale e dei denti. 2. Osso che fa parte della fossa cranica media, la cui forma assomiglia in qualche modo a quella di una farfalla. 3. Dal 2010 presso l'Istituto Pirogoff di Sofia (BG) sono oltre 200 gli odontoiatri che hanno preso parte ai corsi su cadavere. 4. Protesi provvisoria inserita a fine intervento che consente la guarigione delle gengive e la masticazione.

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Francesca Bellavita e le sexy eroine manga

La nuova collezione di calzature «Princess Goth» guarda al lato creativo/trasgressivo del Sol Levante. La designer ama accostare materiali molto diversi tra loro per dare vita a effetti ricercati quanto esclusivi

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a debuttato lo scorso 27 febbraio con una performance di pole dance durante la Milano Fashion Week alla Porta D'Oro, noto night club meneghino, a pochi passi dal Duomo, la collezione autunno-inverno 2017-2018 di calzature «Princess Goth» firmata Francesca Bellavita. L’ispirazione del marchio Made in Italy attinge alle eroine sexy e self confident dei manga giapponesi, rivelandone le diverse anime: dalla più girly a quelle più dark. La ricerca dei contrasti è infatti una firma distintiva per la designer, che ama accostare materiali molto diversi tra loro per dare vita a effetti ricercati quanto esclusivi, come l’abbinamento della lussuosa pelle di serpente con il Pvc, la vernice con il camoscio, la lycra con la nappa. Inoltre i dettagli propri dell’immaginario dei manga, come cristalli e gothic elements, si uniscono a materiali pregiati come il raso e il velluto. «Il Giappone - racconta Francesca - è da sempre una fonte di ispirazione del mio stile e Tokyo è uno dei luoghi dove faccio più ricerca. Dal punto di vista tecnico, i giapponesi sono un riferimento per la cura dei dettagli, la scelta dei materiali,

la vestibilità precisa. E poi c’è tutto l’immaginario giapponese... un mondo ricchissimo di spunti e contrasti, che si comprendono mettendo a confronto la femminilità più zuccherosa delle mie prime creazioni con l’anima più gotica di questa nuova collezione. Si tratta di aspetti che sembrano opposti, ma svelano una complementarietà sottile. La mia prima collezione era divertente ma sexy, stavolta è sexy... ma divertente!». Perché l’essere donna significa rivelare più anime, in un gioco di contrasti e continuità. Non a caso nella collezione A/I 2017 Princess Goth torna il modello Unicorn, proposto nella versione total black. Anche stavolta le Unicorn sono contraddistinte da un kit di dettagli con cui divertirsi a personalizzare la scarpa in modo sempre diverso: ala laterale, cuoricino, stellina e unicorno. Una scarpa, mille scarpe. E anche decidere il look di ogni giorno diventa un divertimento. Sarà per questo che alla presentazione ufficiale a Parigi in molti hanno esclamato: «Barbie is your best client!». «Tutti mi chiedono se sono pazza a fare scarpe da Barbie. Ma pazza perché? Conoscete una sola ragazza al mondo che non vorrebbe essere Barbie? Quella

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t**** ha tutto quello che vuole!». Le collezioni di Francesca Bellavita sono realizzate a Vigevano (la Mecca per la produzione delle calzature di lusso, dove moltissime maison, tra cui Manolo Blahnik, Christian Louboutin, Oscar de la Renta e Valentino, vanno alla ricerca dell’eccellenza del prodotto scarpa) completamente a mano, utilizzando materiali di qualità pregiata. Ogni scarpa è contenuta una scatola rosa shocking che ricorda quella dei giocattoli degli anni Ottanta, con una finestra trasparente da cui si intravede il singolo prodotto. Le scatole sono disponibili in due versioni (ballerine e décolleté), identificate da adesivi colorati e ironici, diversi in base al modello. Nella scatola è presente un piccolo catalogo con tutti i modelli della collezione. Le collezioni Francesca Bellavita sono disponibili in selezionati concept store in tutto il mondo, sul sito www.francescabellavita.com e nella nuovissima App «Francesca Bellavita», dove è possibile conoscere i dettagli di tutti modelli, provare un’esclusiva esperienza d’acquisto e scaricare i divertenti stickers per iMessage. (e.l.)

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Lilliput, la carica dei 320mila bambini

Dal debutto nel 2004 tanti «piccoli» (e altrettanti «grandi») hanno animato l’evento. Nell’ultima edizione, dal 16 al 19 marzo, i visitatori sono stati 40mila, ripagati da divertimento, didattica, spettacoli, formazione

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l villaggio creativo di Promoberg incanta piccoli e grandi e fa ancora centro. Per quattro giorni la Fiera di Bergamo è stata invasa da migliaia di bambini, accompagnati a Lilliput nelle prime due giornate dedicate alle scuole dagli insegnanti e nel week end da genitori e nonni, per un happening ancora più speciale vista la concomitanza con la festa del papà. Particolarmente gradita l’iniziativa di Promoberg di dimezzare il biglietto d’ingresso a tutti i padri che hanno accompagnato nel fine settimana i figli in fiera. Con il suo tradizionale e irresistibile mix fatto di tantissime attività sportive e altrettanti laboratori didattici, di momenti ludici e impor tanti appuntamenti formativi, anche quest’anno il salone

ludico-educativo ha reso felici migliaia di bambini e raccolto unanimi apprezzamenti dalle tante realtà che operano nel settore. Oltre 500 i professionisti della filiera che hanno animato il centinaio di spazi specifici allestiti su 17mila metri quadrati. Durante le quattro giornate si sono ritrovate in Fiera 40mila persone, metà delle quali bambini, arrivate soprattutto da Bergamo e provincia, ma anche da quelle limitrofe. Dal debutto nel 2004 sono 320mila i bambini che hanno animato l’evento, ai quali si sommano altrettanti adulti. Alcuni dati registrati tra gli stand: 10mila cappelli degli Alpini in cartoncino realizzati grazie al Gruppo Giovani Sezione Ana Bergamo; mille litri di latte offerti dal Distretto Agricolo Bassa Berga-

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masca; 7mila carte d'identità rilasciate dalla città di Emergenzopoli; 6 chili di polvere di ceramica e 10 chili di tessere di mosaico per la realizzazione di laboratori storici, presso lo spazio Castello Visconteo di Pagazzano. Tra le sinergie importanti che si sono consolidate negli anni e che sono alla base del successo e della specificità della manifestazione, citiamo quale esempio per tutti, l’area di Emergenzopoli, progetto dedicato alla sicurezza e che riunisce, caso più unico che raro on Italia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Soccorso Sanitario e Vigili del Fuoco.. (e.l.)

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A scuola di sicurezza e soccorso in fiera

Carabinieri, Guarda di Finanza, Polizia di Stato,Vigili del Fuoco e soccorso sanitario insieme a Lilliput per insegnare ai più piccoli ad essere grandi. Perché con l’ordine pubblico e l’emergenza non si scherza

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«Lilliput, il villaggio creativo», importante manifestazione indirizzata ai ragazzi che si è svolta al Polo Fieristico di Bergamo dal 16 al 19 marzo, c’era una città che si chiamava «Emergenzopoli». Come nella città di Bergamo e in tutta la provincia, anche in questa città erano presenti le forze dell’ordine e di soccorso – Arma dei Carabinieri, Corpo della Guardia di Finanza, Polizia di Stato, soccorso sanitario, Vigili del Fuoco – ma per insegnare ai ragazzi, futuri cittadini italiani, la cultura della sicurezza e del soccorso. Per imparare fin da piccoli ad essere grandi. Presente anche l’associazione socio-educativa «Ragazzi On The Road», in campo per diffondere tra le nuove generazioni una rinnovata consapevolezza in materia di sicurezza stradale ed educazione alla legalità.

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Accolti dal sindaco della città, ai ragazzi è stata consegnata una carta d’identità, su cui hanno potuto mettere la loro foto, che è stata timbrata da ogni istituzione presente e su cui la polizia scientifica ha fatto mettere la personale impronta digitale. Alle scolaresche che sono venute in visita nelle giornate di giovedì e venerdì il sindaco ha consegnato le chiavi della città e un diploma che attestava la partecipazione della classe alle esercitazioni svolte nella città di «Emergenzopoli». Come in tutte le città e nei paesi, anche a Emergenzopoli c’era una scuola dove istruttori preparatissimi hanno insegnato ai ragazzi piccole, semplici, facili azioni da intraprendere e spiegano i comportamenti da tenere in caso di emergenza. Nella scuola veniva insegnato anche il N.U.E. (Numero unico di Emergenza): il 112.

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Continuando nella visita i ragazzi hanno potuto provare l’ebbrezza di salire a bordo di veicoli in uso a Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia o di indossare il casco dei Vigili del Fuoco, visitare un’ambulanza; hanno potuto dialogare con gli operatori artefici della sicurezza e del soccorso sul territorio provinciale o ancora incontrare le squadre dei cinofili o degli artificieri, provare a spegnere un principio d’incendio oppure avvicinarsi per sapere a cosa serve quell’elicottero giallo, quello del 118, che ogni tanto gira sulle loro teste o molto più semplicemente, per i più piccoli, salvare il gattino rimasto da giorni su una pianta. (e.l.)


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Aeroporto sempre più senza barriere Assistenza ai disabili che funziona

In crescita i numeri e il gradimento per i servizi dedicati ai passeggeri con ridotta mobilità (Prm). Segno che l’impegno di Sacbo per offrire un supporto di buon livello qualitativo sta dando i risultati sperati

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’ a e ro p o r t o d i Be r g a m o ve d e crescere il proprio impegno e la qualità del livello di assistenza ai passeggeri a ridotta mobilita (Prm), ovvero a tutte le persone in partenza e arrivo che necessitano di essere accompagnate durante le fasi che precedono il volo fino all’imbarco e in quelle di sbarco. Nel 2016 il numero dei Prm gestiti da Sacbo è cresciuto del 14%, vale a dire il doppio rispetto all’incremento annuo del movimento passeggeri registrato nello scalo, e corrisponde a 42.190 contro i 37.142 del 2015. Per ognuno dei Prm in partenza, il tempo di attesa dopo la richiesta di assistenza è inferiore a 3 minuti. Nel 2016 sono stati aumentati i punti di chiamata, con installazione di un punto esterno all’area arrivi del terminal che si e aggiunto a quelli già esistenti

all’esterno dell’area Partenze, abilitato espressamente all’utenza dei non udenti e non vedenti, presso la cassa manuale al parcheggio P1 e al parcheggio P2, e all’Info point situato nell’area pubblica dell’aerostazione, che funge anche da punto attesa dei Prm in saletta dedicata. Nel corso del 2016 il parco automezzi abilitati a questo tipo di assistenza e stato potenziato con l’aggiunta di due nuovi ambulift, uno dei quali omologato per il trasporto fino a 10 Prm. L’apprezzamento, espresso dai rappresentanti delle associazioni dei diversamente abili, per gli investimenti realizzati e il servizio offerto trova riscontro nella generale soddisfazione dei diretti fruitori. Sul totale dei Prm assistiti nel 2016, sono pervenuti 19 reclami (tre in meno rispetto al 2015), conseguenza di prenotazione

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mancante o non correttamente indicata rispetto alle necessita, oppure di mancata segnalazione da parte dello scalo di origine del volo in arrivo. «È fondamentale indicare in fase di prenotazione del volo i requisiti di assistenza e la tipologia di disabilita , per ottenere un servizio idoneo alle proprie esigenze - sottolinea Aldo Vignati, responsabile qualità e rapporti con l’utenza di Sacbo - L’utente esercita un diritto che il gestore aeroportuale si impegna a soddisfare in tutti gli aspetti senza costi aggiuntivi. Tale servizio risulta massimamente efficiente quando programmato». (e.l.)

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La ricetta da chef faidate (in scatola) come souvenir 2.0 per il turista

Presentata a «Identità Golose», l’evento di alta cucina una «My Cooking Box» bergamasca nata in collaborazione con East Lombardy, che valorizza le eccellenze gastronomiche della Lombardia Orientale

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mprovvisare una cena incassando anche i complimenti degli ospiti potrebbe essere un’impresa più semplice di quanto non si pensi. Basta una «My Cooking Box». Questa scatola al suo interno contiene tutti gli ingredienti, pesati al milligrammo, necessari a realizzare con successo ricette tipiche della tradizione italiana. L’idea è venuta a Chiara Rota, ingegnere che intorno ai 30 anni ha deciso di mollare il suo lavoro e fondare una start up: «È iniziata in effetti come una passione che si è trasformata a tutti gli effetti in una azienda. Sicuramente da un lato ha giocato la competenza che ho acquisito durante i miei studi e dall’altra la determinazione». Passione per la cucina italiana e metodo rigoroso da ingegnere, dunque, sono i due ingredienti da cui

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sono nate le My Cooking Box. Ora ce n’è anche una nata in collaborazione con East Lombardy, che raccogli le tipicità enogastronomiche delle province di Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova ed è stata insignita del titolo di Regione Europea della Gastronomia 2017. La My Cooking Box per East Lombardy, presentata a «Identità Golose», evento di alta cucina e pasticceria, contiene tutti gli ingredienti, condimenti inclusi, per preparare la crema di mais con fonduta di taleggio e tartufo, una tipicità del territorio lombardo. Una ricetta studiata e approvata dalla chef bergamasca Petronilla Frosio, patronne del Ristorante Posta di Sant’Omobono Terme, nonché esponente di una longeva e blasonata famiglia di ristoratori che gestisce lo stellato Frosio ad

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Almè. È stata proprio Petronilla, insieme al fratello chef Paolo Frosio, ad aprire, lunedì 4 marzo alle 15 alla fiera milanese, la maratona dei cooking show con la ricetta studiata per My Cooking Box. Un piatto che unisce la delicatezza della crema di mais, al sapore deciso della fonduta di taleggio dop e al burro con tartufo. Per il turista che cerca al suo rientro dall’Italia, un souvenir gastronomico «evoluto»; per la coppia che lavora e ha poco tempo per fare la spesa e cucinare; per chi decide di trascorrere il fine settimana nella propria casa vacanza e non può trasferire l’intera dispensa di cucina; per chi vuol fare bella figura, My Cooking Box è la risposta. (e.l.)


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Lario Mi Auto, lo showroom del futuro

La concessionaria Jaguar Land Rover ha inaugurato in grande stile, ricreando l’atmosfera di un club esclusivo anni ’30, la nuova sede di via Petitti, Milano. Il salone si distingue per tecnologia all’avanguardia a servizio del cliente.

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erata in grande stile per l’inaugurazione della nuova concessionaria Jaguar Land Rover, targata Lario Mi Auto, giovedì 9 marzo in via Petitti 8. Nulla è lasciato al caso, per soddisfare i più alti canoni espositivi della Casa Madre. L’intervento di ristrutturazione della sede ha riguardato ogni singolo dettaglio degli oltre 4mila mq, andando così a creare uno spazio tanto avveniristico quanto elegante. Il risultato ha lasciato senza parole i numerosi ospiti intervenuti all’evento esclusivo di inaugurazione. Una serata mondana dove da farla da padrone sono stati la classe e il glamour. Il primo piano della struttura è stato completamente allestito ed è stata creata l’atmosfera di un vero e proprio club esclusivo anni ‘30. Il benvenuto agli ospiti è stato dato da Eleonora Boi, giornalista

sportiva di Sport Mediaset, madrina della serata: è spettato a lei presentare i vari ospiti che si sono susseguiti. A partire dalla Black Bottom jazz band. Presente anche il presidente di Jaguar Land Rover Italia, Daniele Maver, che ha voluto premiare Lario Mi Auto per l’apertura ufficiale consegnando al titolare, dottor Saul Mariani, una targa di congratulazioni. «È con grande piacere che vi accolgo in questa che sarà la nuova “casa” Jaguar Land Rover di Milano - ha detto Mariani -, una casa aperta ed accogliente per tutti i possessori e gli amanti dei nostri marchi, e che vi offrirà tutti i comfort necessari per una esperienza eccellente in sapore british». In uno scambio di battute poi con Daniele Maver sono stati anticipati i nuovi prodotti in uscita sul mercato italiano, dall’imminente lancio della Nuova Disco-

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very all’assoluta novità della nuova Range Rover Velar, vera protagonista al Salone di Ginevra dal 9 al 19 Marzo. La serata di inaugurazione della sede di via Petitti è stata anche l’occasione per celebrare la presenza di Lario Mi Auto a Milano come unica concessionaria ufficiale del marchio Jaguar e Land Rover. Alla sede di via Petitti, che copre la zona Nord-Ovest della metropoli, si affianca quella di via Lario nella zona Nord-Est e quella di via Mecenate per il Sud-Est. Senza dimenticare le sedi storiche di Lecco in Corso Carlo Alberto 122/A e la neo-nata sede di Grumello del Monte in via Brescia 78. Lario Mi Auto -Via Petitti, 8 02.36931600 (e.l.)

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Due serate da Giuliana per il libro dei Canzian

Il 14 e 15 marzo Red, storico bassista dei Pooh, ha presentato con la figlia Chiara il volume «Sano vegano italiano». Due cene con oltre cento ospiti: c’era anche Roby Facchinetti

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ell’ormai sempre più frequente diatriba tra vegani e onnivori, c’è chi prova a mettere un po’ di pace. O, come preferisce dire lui: «costruire un ponte tra chi è vegano e chi non lo è». Parliamo di Red Canzian, musicista e compositore dei Pooh, che lo scorso anno, tra una tappa e l’altra del tour «Reunion» che celebrava i 50 anni della band, ha trovato anche il tempo di scrivere un libro assieme a sua figlia Chiara, «Sano vegano italiano», edito da Rizzoli. Il volume è stato presentato in due serate, martedì 14 e mercoledì 15 marzo, alla trattoria d’Ambrosio (Giuliana) di via Broseta, al termine delle quali Red e Chiara hanno tenuto una sessione di «firmacopie». Mercoledì era presente anche Roby Facchinetti. «In questo libro cerco di spiegare perché,

secondo me, si dovrebbe preferire l’alimentazione vegana - ha spiegato -. Lo si fa per amore degli animali, della propria salute e di quella del pianeta. Non mi piaceva l’approccio delle due parti, i vegani troppo integralisti e gli onnivori spesso sprezzanti. E quindi ho cercato di mettere chiarezza e soprattutto di scrivere un libro gentile». «Sano vegano italiano» si rivolge quindi principalmente ai non vegani. Per questo le presentazioni sono organizzate in ristoranti non veg (come Giuliana...) in giro per l’Italia, «perché è qui che dobbiamo fare proseliti. Se la sera, quando le persone tornano a casa, prima di dormire si fermano anche solo un minuto a riflettere su quello che hanno visto, sentito e assaggiato, io sono contento». (e.l.)

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Guardia di Finanza, l’Accademia sostiene la ricerca

Con le donazioni raccolte in occasione del tradizionale Concerto di Natale, svoltosi il 19 dicembre, ha scelto di scendere in campo a sostegno dell’Associazione Oncologica Bergamasca. Contro il melanoma

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n dermatoscopio dotato di sistema fotografico digitale e un obiettivo digitale per il microscopio capace di immortalare le immagini istologiche per migliorare la capacità diagnostica, il monitoraggio e la condivisione multidisciplinare dei casi di melanoma. È questo il frutto delle donazioni raccolte in occasione del tradizionale Concerto di Natale, svoltosi il 19 dicembre dello scorso anno e organizzato dall’Accademia della Guardia di finanza di Bergamo, che quest’anno ha scelto di scendere in campo a sostegno dell’Associazione Oncologica Bergamasca. A sua volta Aob ha deciso di aiutare il Centro di ricerca e cura del melanoma Ce.R.Mel. del Papa Giovanni XXIII,

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tra i centri di riferimento in Italia per il trattamento di una patologia che colpisce soprattutto i giovani e registra ogni anno solo in Italia circa 7 mila nuovi casi, di cui 300 curati all’ospedale bergamasco. Il nuovo dermatoscopio, che verrà acquistato con la donazione, è composto da una lente e da un sistema digitale di fotografia che consente, in modo semplice ma preciso, di salvare, condividere e studiare le immagini delle lesioni cliniche sospette. L’obiettivo digitale, inoltre, consentirà di acquisire immagini dai vetrini su cui viene effettuata l’analisi istologica delle lesioni pigmentarie sospette. «L’Accademia della Guardia di Finanza rivolge un caloroso e sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito

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al buon esito di questo evento benefico, a partire dagli artisti che hanno allietato la serata - ha dichiarato il generale Virgilio Pomponi, comandante dell’istituto -. È bello constatare come ancora una volta la sinergia tra l'Accademia e la comunità bergamasca abbia consentito di raggiungere un obiettivo concreto, che in questo caso vede facilitare il percorso di cura e la qualità della vita dei malati oncologici e delle loro famiglie. Il coinvolgimento attivo dei nostri allievi in progetti così nobili costituisce per loro un’opportunità altamente formativa, anche al fine di stimolare lo spirito di servizio a cui ispirare il loro futuro ruolo di comandanti». (e.l.)


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Cavalieri dell’Unci, 26esimo convegno

L’appuntamento annuale degli insigniti della sezione provinciale si è tenuto domenica 12 all’Hotel Excelsior San Marco. Consegnati diplomi e onorificenze. Resoconto delle numerose iniziative di solidarietà

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li insigniti della sezione provinciale dell’Unci (Unione Nazionale Cavalieri d’Italia) di Bergamo domenica 12 marzo si sono ritrovati in una sala affollata dell’Hotel Excelsior San Marco per il 26° convegno annuale. All’appuntamento, che si è tenuto con il patrocinio della Provincia, del Comune e della Camera di Commercio di Bergamo, sono intervenute numerose autorità: civili, militari e religiose. La riunione si è aperta con l’Inno d’Italia cantato da tutti i presenti in sala. Parole di elogio per l’organizzazione guidata da Marcello Annoni e da Tina Mazza, unitamente al consiglio direttivo provinciale, sono state espresse da alcune delle autorità chiamate sul palco. Hanno preso la parola, in particolare, l’assessore Maria Carolina

Marchesi e il consigliere regionale Mario Barboni. È seguita la relazione di Annoni (anche presidente nazionale), il quale ha ricordato che i soci Unci di Bergamo sono oggi oltre 500. È seguita una relazione sui programmi, le iniziative e le attività che l’associazione ha portato avanti nel corso dell’anno. Vari i contributi consegnati dall’Unci dopo la riunione dell’anno scorso: il 14 ottobre ha donato una casa mobile ai terremotati di Amatrice. Il 27 novembre è stato proposto il 23° Premio della Bontà Unci Città di Bergamo, con consegna dell’attestato e contributo a cinque associazioni che operano nel volontariato. Il 21 dicembre presso il Centro Diurno Disabili in Via Presolana, le donne dell’Unci hanno organizzato per i ragazzi disabili la consegna di delizie dolciarie.

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L’8 gennaio, solidarietà all’Associazione Franco Pini per i bambini di Nyagwethe in Kenya. Si è proceduto alla consegna di vari diplomi e onorificenze, tra cui la distinzione «Onore e Merito Unci» a Margherita Venturelli «per l’opera svolta nel campo professionale e sociale, distinguendosi per impegno, serietà e correttezza civica e morale». L’incontro si è poi concluso con il brindisi e il pranzo sociale, durante il quale i soci Unci, come ogni anno, hanno raccolto fondi per il «Premio della Solidarietà» all’Associazione Onlus Uro Sol di Bergamo che fa prevenzione dei tumori ed educazione sanitaria.. (e.l.)

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Goût de France, cena che fa del bene

L'istituto alberghiero di San Pellegrino Terme ha preso parte per la seconda volta all'iniziativa organizzata dall'ambasciata francese in Italia. Il ricavato dell'intera serata è stato devoluto alla Fondazione A.R.M.R

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artedì 21 marzo all’Istituto Professionale di Stato Servizi Alberghieri e Ristorazione di San Pellegrino Terme si è tenuta la cena “Goût de France” a favore della Fondazione A.R.M.R. L’evento è rientrato nelle “Giornate della gastronomia francese in Italia” organizzate dall’Ambasciata di Francia in Italia e dall’Institut Français Italia con Atout France, l’Ente per il Turismo Francese, su iniziativa del Ministro degli Affari esteri e dello Sviluppo Internazionale. Duemila ristoranti in contemporanea si sono cimentati con un menù tradizionalmente francese, con un unico Istituto Scolastico della Provincia di Bergamo tra i partecipanti: per la seconda volta, l’onore

è toccato all'IPSSAR di San Pellegrino Terme. Il preside, dottor Brizio Campanelli, coadiuvato dai docenti dell’istituto, ha organizzato la serata in modo eccellente; gli studenti tutti, con il team di cucina coordinato dal prof. Manrico Brignoli, hanno profuso tanta passione e professionalità per il buon esito dell’evento. La presidente della Fondazione Aiuti per la Ricerca sulle Malattie Rare Daniela Guadalupi, interpretando il pensiero di tutti i presenti, ha ringraziato il preside Campanelli per aver scelto ancora una volta la Fondazione quale destinataria degli introiti della serata che contribuirà a formare una Borsa di Studio per giovani ricercatori che studieranno le cure per le

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malattie “orfane". Perché la ricerca medica raramente se ne occupa. La cena è stata eccellente, curatissima e raffinata, l’accoglienza dei ragazzi è stata impeccabile. Ogni piatto è stato introdotto dagli studenti che hanno raccontato con garbo la storia degli ingredienti e la scelta dei vini in abbinamento. Una bella serata all’insegna dell’Amicizia e della Ricerca. (e.l.)

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«Difendo il dialetto e la cultura locale»

Umberto Zanetti, poeta, ha sposato una causa. Per nulla provinciale. «Interessarsi delle lingue locali non significa rinchiudersi nel cortile di casa, ma rendersi conto della straordinaria ricchezza del nostro Paese»

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adicale, come solo un creatore può essere, e graffiante, come chi ha i piedi ben piantati a terra e le radici le sente. Senza compromessi. Carne, sangue, sogni e sacrifici, vite e vita, quella della gente bergamasca che la lingua, ostica ai forestieri, custodisce e nutre, venendo nutrita. Scrive in dialetto Umberto Zanetti, e non è un caso. È un poeta, è neppure questo è un caso. Da qui guarda il mondo, Bergamo, la società che cambia, si fa globale, gli immigrati che arrivano e le tradizioni, dialetto compreso, che vengono gettate in soffitta, quasi fossero

qualcosa di cui vergognarsi. Qualcosa che fa provinciale. «Io ho sposato una causa: quella della difesa della cultura locale, ovvero del dialetto. Termine che proviene dall’illuminismo francese e riflette la distinzione fra il paesano e il cittadino che parlava in punta di forchetta. A dispetto dell’egualité. L’abate Rota però, riferendosi al bergamasco, parla di “lingua bergamasca” e così anche l'abate Parini per il milanese. Non dobbiamo dunque essere prigionieri dei nominalismi. L’importante è avere il senso del valore della

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di Emanuela Lanfranco

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tradizione». Questi linguaggi di carattere regionale, provinciale o municipale, sono ricchi di storia e di umanità. Dialetto lingua nobile, dunque... «Queste lingue derivano dal latino orale, che si parlava qui da noi nel III, IV, V secolo dopo Cristo. Se noi vivessimo in quel tempo parleremmo latino, non quello di Cicerone, ma latino. La lingua si modifica. Interessarsi delle lingue locali non significa rinchiudersi nel cortile di casa, nel proprio claustro. Significa invece rendersi conto della straordinaria ricchezza che dal punto di vista glottologico vanta il nostro Paese. Quando passiamo un fiume o un confine, ci rendiamo conto che cambia anche la parlata. E questa è una nostra straordinaria ricchezza. Altri Paesi non ce l’hanno. E poi i proverbi, i modi di dire che esprimono l’anima collettiva di quella gente. È una ricchezza che rischia di essere cancellata

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con la stessa brutalità con la quale dei pazzi scatenati hanno fatto saltare il teatro romano di Palmira». Quella di Zanetti non è una mera difesa linguistica, in ballo c’è molto di più: c’è l’identità stessa di un popolo, che vuol dire politica, società, vita quotidiana. «Ogni cultura, ogni civiltà è preziosa e va preservata. Il presente, ciò che noi viviamo, è figlio del passato. Io non mi sento demodé, o prigioniero di una forma localistica perché mi occupo di dialetto. Sono in contatto con filologi, con poeti dialettali. Scrivo in bergamasco, ma credo di saperlo fare anche in italiano. Ritengo che la lingua popolare sia più autentica dell’italianese contemporaneo. Se devo fare opera di poesia, che è opera di creatività, preferisco ricorrere alla lingua popolare, che è autentica e spontanea, come è in particolare il bergamasco». Vi sono luoghi comuni da sfatare, ma anche bisogno di rispetto.

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«Il fatto che tanta gente storca il naso quando sente parlare di bergamasco dipende da una mentalità piccolo borghese, poco colta, che ignora ciò che crede di poter disprezzare e soprattutto colonialistica. Non posso pensare di andare in casa d’altri e pretendere che gli altri parlino la mia lingua. Quando si va in casa d’altri bisogna chiedere permesso e pulirsi le scarpe sullo zerbino. Bergamo è una città che ha più di tremila anni di vita. Dai reperti archeologici, seppur scarsi e scarni, si può dire che è stata fondata prima di Roma ed è addirittura una delle prime fondate sull’arco alpino, sui colli, in una posizione privilegiata, che garantisce una visuale strategica e la possibilità di coltivare ciò che si vuole. Come si fa a venire in una città come Bergamo, ricca di storia, e dire “non si capisce niente di quello che dite”. Ci vuole rispetto». A chi si riferisce? C’entrano gli immigrati


e le politiche dell’accoglienza, oggi tanto di moda? «C’è da fare un discorso a parte sull'accoglienza, che è stata affidata a dei burocrati che non capiscono niente di territorio. Politicanti che hanno dimostrato di non essere all’altezza della situazione. Non si possono mandare a Lizzola cento persone di colore. È una follia. Un politico con un minimo di intelligenza si sarebbe rivolto ai sindaci, sono loro che conoscono il territorio. Non si affida a chi non conosce il territorio una partita sociale delicata come questa, che ha poi inevitabili conseguenze. Oggi la politica dell'accoglienza continua a essere fatta in un modo assolutamente inaccettabile, senza rispetto per chi viene accolto e anche per la nostra popolazione. Questo accade ovunque in Italia, non solo da noi, perché il nostro è uno Stato centralista e fascista nella sua burocrazia. Il cittadino qui è ancora l’amministrato, vota, ma poi si vede cosa ne viene fatto della delega elettorale». Come dovrebbe essere invece? «Chi viene accolto deve cercare di dare un suo contributo alla comunità che lo accoglie. Qui si vede qual è il rispetto per la nostra comunità e per la nostra cultura, per la

nostra lingua. Se si ha questo animus, si partecipa alla comunità contribuendo al suo arricchimento, e allora ben venga, altrimenti non è più un atteggiamento civile. Ma può suscitare delle comprensibili reazioni». L’immigrazione e la contaminazione culturale sono inevitabili, non crede? «Mi rendo conto che nessuno può arrestare la storia. Problema linguistico: destino dei dialetti italiani. Qual è stato il destino della lingua più diffusa dell’antichità, il latino, conosciuto in tutto l’impero romano? Nel 410 Alarico scende in Italia, una scia di sangue, arriva a Roma e distrugge tutto. Barbari. Fanno strage di tutti gli abitanti. Quando viene meno il centro di irradiazione di una lingua, questa a poco a poco si estingue. Estinto il latino, riaffiorano le lingue locali, con i loro suoni. Da noi quella dei celti. Reprimere il dialetto, come ha fatto lo Stato burocrate centralista francese con i patois, significa disconoscere la storia. Perché la storia la scrivono le persone comuni, i semplici soldati che sono andati a morire, non i grandi generali. L'anima del dialetto è questa. È un gesto privo di civiltà quello di scagliarsi contro le lingue locali, come invece ha fatto una didattica ottusa, centralista.

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Da quando l’Italia si è unificata, la didattica della lingua è sempre stata violenta: insegnare l’italiano cancellando il dialetto». Qual è stato il risultato di questa didattica della lingua? «Basta accendere la televisione per rendersene conto. Sembrano tutti usciti dalle bettole di Trastevere. L’italiano corretto non esiste più. Che fine ha fatto l’italiano del Bacchelli? Non mi meraviglio poi che sia stata cancellata la lingua italiana nei documenti della Comunità europea, senza che i nostri governanti siano stati capaci di difenderne la dignità: è la quarta lingua più studiata al mondo solo per il fatto di aver avuto il più grande poeta della storia dell’umanità. Chi fra quelli che oggi siede in Parlamento sa recitare un canto di Dante a memoria? I nostri maestri, i nostri professori, ce li insegnavano ed erano autorevoli. Un tempo si finiva la scuola superiore che si sapevano tradurre gli esametri di Virgilio a prima vista». Tanti pensano che il latino sia una lingua morta. A cosa serve oggi studiarlo? «Serve a non essere come l’asino nella stalla. Significa che sei una persona razionale. Il latino, mediante la costruzione della

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frase, insegna a ragionare. E poi impari il significato delle parole. Mediante il latino acquisisci la padronanza della lingua che parli oggi. E persino quella popolare, che parli davanti al focolare domestico, quando vuoi esprimere un giudizio sincero». Per esempio? «”Chèl lé l’è ü balabiòt”… C’è una storia dietro. Quando i marcolini, quelli che difendevano San Marco, la Repubblica di Venezia, scendono a rivendicare la loro libertà, dopo che era stato deposto il podestà veneto, si trovano davanti i soldati francesi che sparano e ne uccidono tanti. I francesi portano i cadaveri in Città Alta e li dispongono attorno all’albero della Libertà che avevano issato in Piazza Vecchia, al posto della fontana, spaccata a martellate, e lì assoldano alcuni giovinastri ubriachi e li invitano a ballare nudi attorno ai cadaveri in segno di dispregio. Oppure “l’è ü quarantòt”, che si riferisce ai moti del 1848 a Bergamo. In città era giunta la notizia delle rivolte a Milano, e mentre i bergamaschi tengono asserragliati gli austriaci, costituiscono una colonna di duecento volontari e si appostano a Porta Tosa, da dove gli austriaci tentavano di scappare verso il Bresciano. Lì però gli austriaci si trovano il fuoco di fucileria dei bergamaschi. Ecco perché Radetzsky era particolarmente rancoroso verso i bergamaschi». Cosa pensa della promozione della cultura a Bergamo? «Se do un’occhiata alla mia città, non so fino a che punto esista nei gestori della cosa pubblica il senso di valorizzazione della cultura. Se per cultura si intendono gli eventi di massa, non c’è neppure un minuto di tempo da perdere con chi ragiona in questo modo. Non sanno cosa significhi élite culturale. La cultura è lo studio, l’erudizione, è rivivere la somma delle erudizioni che diventano cultura. La cultura di una città come questa è rendersi conto che uno dei più grandi bergamaschi di tutti i tempi si chiamava Gasparino Barzizza, umanista insigne, autore del primo libro stampato a Parigi. Se non si sa chi era, non si fa cultura, la si lasci fare a chi la sa fare. Se un giorno si vorrà fare un convegno su Gasparino Barzizza, richiamerà latinisti da tutto il mondo. Oppure Stefano Minossi. Chi si ricorda l’automobile Esperia? Oggi si va a scuola all’Esperia. Un giorno il signor

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Agnelli acquistò l'automobile Esperia e iniziò a fare i soldi. Stefano Minossi era il motorista dell’Esperia. Nel campo di Osio riuscì ad alzarsi in volo con un trabiccolo. Anche dal punto di vista imprenditoriale Bergamo offre spunti notevoli». Cosa si dovrebbe fare per valorizzare la nostra cultura locale? «Noi siamo arretratissimi dal punto di vista della raccolta dei termini del nostro bergamasco, considerato una sorta di dialetto autonomo da tutti gli studiosi, non solo perché considerato ostico, ma anche perché era la lingua degli Arlecchini. Sbaglia Brevini quando dice che l’unico autore bergamasco che merita di essere conosciuto è Carlo Assonica, che tradusse in bergamasco la “Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso. L’abate Giuseppe Rota e Giacinto Gambirasio sono autori che volano, quest’ultimo fu antologizzato da Pasolini. Non fa nulla poi se Brevini non ha mai letto le poesie di Umberto Zanetti. A me basta essere stato antologizzato per Garzanti da Spagnoletti e Vivaldi, basta che un editore tedesco mi chieda di tradurre in bergamasco il “Piccolo Principe” e che una rivista belga pubblichi

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le mie poesie”. Quante raccolte di versi ha composto? «Ho scritto una ventina di sillogi, non ricordo neanche più di preciso. Ora sono diventato molto severo con me stesso. I tempi stanno cambiando ancora e se voglio lasciare una testimonianza deve essere l’ultima, e se dev’essere l'ultima dev’essere scritta bene, deve dire qualcosa, ci penserò...». Chi scriverà ancora in bergamasco? «Non ho discepoli. Maurizio Noris scrive in bergamasco, ma con uno stile diverso dal mio. E meno male. C’è molta estemporaneità, molto dilettantismo e scarsa conoscenza della parlata nella quale si scrive». Qual è la prima cosa da fare per evitare che il nostro patrimonio culturale si disperda? «Il vero problema ora è documentare il bergamasco, ed è già tardi, e allestire la più ampia raccolta possibile del lessico bergamasco. Abbiamo due dizionari, uno è quello dell'abate Angelini, inutilizzato perché all'epoca il bergamasco aveva esiti fonetici diversi da quelli attuali. Poi c'è il Tiraboschi, un repertorio costruito in soli otto anni di vita, ma non si trovano un


dell'Ateneo dando l'adeguato riconoscimento a questa istituzione e al suo prezioso patrimonio documentale e librario. Ora siamo al paradosso: Roma riconosce l'importanza dell'Ateneo di scienze, lettere e arti quando Bergamo la disconosce. E l'ateneo non ha mai ricevuto alcuna comunicazione di questo spostamento. È inaccettabile. Se ancora ci fosse il professor Passerini Tosi, assessore alla Cultura ai tempi di Giorgio Zaccarelli, questo non sarebbe successo. Avrebbe scelto forse di collocare i suoi uffici nel palazzo del podestà». Un giudizio senza mezzi termini... «Io sono un fegatoso. Fra i miei avi devono esserci stati dei santi predicatori, dei navigatori, della gente che ha combattuto. E poi degli amatori. Il sogno. Nel Dna passano certe memorie degli antenati. Una volta mi sono visto in una scena di battaglia, un'altra volta su un veliero...». sacco di cose. Esistono molte centinaia di vocaboli che non sono stati registrati e che si stanno perdendo. Esempio: piripòta, una che non vale niente, termine tipico di Ranzanico. O spotech, cioè privo di ipoteca, libero da vincoli. E una rèla, un ristagno. Per poter fare un'operazione di questo genere occorrerebbe che si muova un’istituzione pubblica, un assessorato alla Cultura (in Friuli le hanno fatte queste cose), affidandole ad accademici. Un'impresa non da poco: c'è il bergamasco di città, e le varianti locali, persino il cremasco, poi il trevigliese. Servono persone erudite, che conoscono il latino, che sappiano spiegare i termini specificamente locali. Oggi non è più pensabile che sia uno solo a fare tutto questo. Serve un gruppo di specialisti, coordinato da chi sa cosa si sta facendo, che conosca la glottologia». Quindi? “Non è possibile che in una città come Bergamo si perda un archivio di Stato, solo perché non si ha contezza di cosa voglia dire avere un archivio di Stato funzionante, e tutti i documenti verranno mandati altrove e non saranno più consultabili. Non concepisco che un assessore alla Cultura non sappia cos’è l’Ateneo di scienze, lettere e arti, una delle più illustri accademie d'Italia, fondata nel XVII secolo. Un’accademia di cui fecero parte Gaetano Donizetti,

Gianandrea Gavazzeni, Giacomo Quarenghi, Angelo Roncalli. Una realtà che sta dando lustro alla città, che si rivolge ai più dotti, alle élites. Sono le élites che guidano la civiltà. È inaccettabile che un assessore alla Cultura dichiari che non sa dove mettere le scrivanie dei suoi uffici e le voglia mettere qui, nell'Ateneo di scienze, lettere e arti. Con un gesto del genere si ottiene la morte delle istituzioni. Come a suo tempo fece il federale Antonio Valli durante il fascismo. Solo nel dopoguerra, quando alcuni amministratori sensibili si resero conto del torto inflitto all'Ateneo – fu il sindaco Costantino Simoncini – fu fatto un atto di riparazione: destinò all'Ateneo una sede nel palazzo civico. Anche la Giunta Bruni si è resa conto dell'importanza

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«Un vero boom di turisti per Bergamo Ma i soggiorni sono ancora brevi»

Roberta Garibaldi è un’autorità del settore. Direttore scientifico di East Lombardy, che raccorda Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova, vede nell’enogastronomia un volano per favorire l’attrattività del territorio

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ocente universitaria di Marketing e di Economia e gestione delle imprese turistiche all’Università di Bergamo, specialista nel binomio food e turismo e nel turismo culturale, membro del Board di Igcat, l’istituto Internazionale della Gastronomia, Cultura Arte e Turismo, direttrice e coordinatrice scientifica del Progetto Regione Europea della Gastronomia per la Lombardia Orientale 2017, ambasciatore

per l’Italia della World Food Travel Association, delegata regionale per la Sistur, Società Italiana di Scienze del Turismo, delegata per il turismo del Comune nel biennio 2013-2014. Roberta Garibaldi, classe ‘69, sul turismo certo può dire la sua. Come va il turismo a Bergamo? «Negli ultimi anni è molto cresciuto, e la crescita è stata superiore sia alla media nazionale sia alla media lombarda. Sicu-

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di Emanuela Lanfranco

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ramente l’aeroporto di Orio ha fatto da volano, ma non è stato l’unico fattore. Qui si è sviluppata una specifica organizzazione territoriale, vi sono un portale unico del turismo e attività organizzate di promozione. E poi ci sono stati gli investimenti fatti nella valorizzazione del patrimonio artistico, storico e culturale della città: penso al Donizetti, alla nuova Carrara, al teatro sociale, al museo del Cinquecento, al museo della cattedrale. Tutto ciò ha concorso a favorire lo sviluppo turistico». Di che tipo di turismo si tratta? «Oggi Bergamo si caratterizza per la presenza soprattutto di turisti stranieri, soprattutto in Città Alta. La provenienza è spesso determinata dalle rotte dell’aeroporto. Bergamo è molto gradita anche secondo gli indici di Trivago, il sito specializzato nella valutazione degli alberghi. Dunque plauso agli alberghi,

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ma anche alla città. E all'accoglienza che sa dare il nostro territorio. Per Trivago siamo fra le migliori dieci destinazioni in Italia. Da sottolineare in particolare soprattutto la crescita dell'extra alberghiero». E come va la competizione fra alberghi e bed & breakfast? «Oggi soprattutto si parla di competizione fra alberghi e appartamenti fruiti da turisti, ma non denunciati come ricettivo, sempre più numerosi. La nuova legge regionale sta sanando la situazione dell'abusivismo e si sta pensando a una tassazione anche dei soggiorni in appartamenti. Ciò serve sia a tutelare chi va a soggiornarvi, sia a regolare la concorrenza». Quali sono, invece, le criticità di questo turismo? «Il nostro tallone d'Achille è la permanenza media, più bassa rispetto alle altre città

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d'arte. Criticità che va risolta favorendo soggiorni più lunghi». Come? «Io sono il direttore scientifico del progetto “East Lombardy”, che raccorda Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova, il che significa i quattro Comuni, le quattro Camere di commercio, la Regione oltre a 99 associazioni di categoria e consorzi. L’obiettivo è la valorizzazione dell'enogastronomia dei territori. Il nostro patrimonio enogastronomico è considerato di eccellenza. Dai formaggi, il numero di Dop è il più alto in Europa, a Vittorio che è uno dei top chef del mondo, ma anche l’acqua San Pellegrino, il gelato, ma anche il caffè di via Quarenghi, che ha preso il premio come miglior caffè, a Simon Mattia Riva, il miglior sommelier di birre. A Brescia penso alla Franciacorta, a Iginio Massari come miglior pasticcere. E


cosi via. Una ricchezza mai prima valorizzata, a vantaggio di altre leve, come quella industriale. Dunque gli obiettivi sono valorizzare la filiera corta e le nostre eccellenze enogastronomiche, facendo emergere le esperienze correlate. Patrimonio dell'identità di noi cittadini, ma anche attrattiva per il turismo». E poi c'è il tema della sostenibilità... «È uno dei nostri obiettivi. Mangiare sano, eliminare gli sprechi di cibo, preservare la biodiversità. Pensiamo alla grandissima varietà di tipologie di sementi che ritroviamo nella Valle della biodiversità in la valle di Astino, apprezzata moltissimo dai nostri partner internazionali». A che punto è il progetto? «Siamo molto soddisfatti della rete che si è creata, con i 99 stakeholders e gli oltre 700 operatori che si sono iscritti. È dalla rete e

dalla valorizzazione dell’enogastronomia locale che faranno gli operatori del territorio che dipenderà il successo del progetto. Se i ristoratori valorizzeranno le produzioni e i piatti locali, se i produttori avranno piacere di aprirsi ancora di più al turismo, ». E rispetto al territorio? «Sono molteplici i progetti che si stanno portando avanti sul territorio, dalla formazione alle azioni di sensibilizzazione verso i cittadini e i giovani nelle scuole, dagli eventi alle azioni legate alla sostenibilità ». Come va dunque il turismo enogastronomico? «Il turismo enogastronomico è in forte crescita, oltre il 90 per cento degli intervistati in undici Paesi del mondo ha dichiarato che quando è in viaggio vuole fare esperienze enogastronomiche “memorabili”. Ciò significa, oltre alla cena gourmet e

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l'itinerario enogastronomico, partecipare a eventi legati al food». Vi sono eventi simili a Bergamo? «Certo, pensiamo all’evento sul casoncello, ai Mercatanti o alla festa del cioccolato: quante decine di migliaia di persone attirano. Poi ci sono “Gourmarte in fiera”, la festa del moscato di Scanzo». Turismo anche come impresa. Ma Bergamo cosa offre dal punto di vista della formazione all’impresa turistica? «L’Università di Bergamo prevede un corso di laurea specialistica in turismo, internazionalizzato, con studenti italiani e del resto del mondo. Vi sono docenti italiani, europei, ma anche canadesi, che insegnano da noi. Il triennio è di lingue, il biennio è di turismo. Il gradimento è alto: conta una settantina di iscritti».

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Inter vista

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Gli animali domestici nella separazione e nel divorzio

uasi una famiglia su due in Italia vive con un animale domestico e sempre più nella vita quotidiana vi sono casi di separazione e/o divorzio fra coniugi, nei quali cani, gatti ed altri animali diventano oggetto del contendere in un quadro normativo carente. Non è raro che la separazione personale tra i coniugi costringa quest’ultimi a confrontarsi non solo sull’affidamento e il mantenimento dei figli, ma anche su quello degli animali domestici. Infatti le condizioni relative alla suddivisione delle spese di mantenimento e di cura del cane rivestono un indubbio

contenuto economico, al pari di qualunque altra spesa relativa a beni o servizi di interesse familiare - né contrastano con alcuna norma vigente – così che nessun dubbio può sorgere circa il loro inserimento nella stipula di un accordo di separazione e/o divorzio al fine di assicurare a ciascuno dei comproprietari la frequentazione con l’animale (in via alternata) e la responsabilità sullo stesso. Ne parliamo con gli avvocati Rona Roberta e Rona Simone. Come si può risolvere il contendere? E come si approccia al problema? Sebbene il microchip del cane o del gatto

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di Liutprando

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possa essere intestato ad uno dei coniugi, ciò non determina in senso assoluto la proprietà dell’animale. Il cane non è un bene mobile registrato e pertanto, benché intestato a un coniuge, il cane può aver sviluppato una relazione affettiva con l’altro. Inoltre l’anagrafe canina non dispone alcun controllo sulla veridicità di quanto affermato dal richiedente: di solito ci si presenta dal veterinario autorizzato, si fa il microchip per il cane e questo determina l’immediata intestazione. La ratio del microchip è quella di poter risalire all’identità del padrone che, però, va inteso in senso ampio quando il cane convive all’interno del un nucleo famigliare. Appurata dunque la possibilità per i coniugi di regolamentare consensualmente all’interno della separazione e/o di un divorzio anche il loro rapporto con l’animale domestico, vanno però fatte alcune precisazioni sullo stato della legislazione in Italia sul punto – abbastanza carente - e sulle pronunce giurisprudenziali emesse ad oggi, nel caso dunque tale accordo tra i coniugi al contrario non vi sia. Infatti da diversi anni in Parlamento risiede un disegno di legge che mira ad introdurre nel codice civile, l’art. 455-ter: “Affido degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi” con il seguente testo: “In caso di separazione dei coniugi, proprietari di un animale familiare, il Tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti i coniugi, i conviventi, la prole e, se del caso, esperti di comportamento animale, attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dall’animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere. Il tribunale è competente a decidere in merito all’affido di cui al presente comma anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio.” Nelle more che il Legislatore affronti la questione, la giurisprudenza ha reso alcune interessanti pronunce visto che il problema principale riguarda oggi proprio il caso in cui non ci sia accordo tra coniugi circa la gestione dell’animale di casa e dunque debba essere demandato ad un Giudice

ogni decisione in merito. La giurisprudenza, di recente, attraverso un’ordinanza resa dal Presidente del Tribunale di Foggia, ad esempio in sede di provvedimenti temporanei in una causa di separazione, affidava il cane al marito indipendentemente dall’intestazione formale. Il giudice ha così privilegiato l’interesse materiale e spirituale-affettivo dell’animale conteso, affidandolo al coniuge che, secondo la sommaria istruttoria, era risultato essere quello che maggiormente assicurava il migliore sviluppo possibile dell’identità

dell’animale lasciando al coniuge risultato meno idoneo (la moglie) la possibilità del cosiddetto “diritto di visita” per alcune ore determinate nel corso della giornata. Il magistrato foggiano, secondo il nostro avviso , da un’interpretazione condivisibile, quando afferma che “il giudice della separazione può ben disporre, in sede di provvedimenti interinali, che l'animale d'affezione, già convivente con la coppia, sia affidato ad uno dei coniugi con l'obbligo di averne cura, e statuire a favore dell'altro coniuge il diritto di prenderlo e tenerlo con


sé per alcune ore nel corso di ogni giorno”. L’ordinanza è interessante e, di fatto, applica per analogia quanto previsto dal codice civile per i figli minori. Sullo stesso filone anche il Tribunale di Cremona con una sentenza del 2008 abbastanza rivoluzionaria ha garantito ad entrambi i coniugi la gestione condivisa dell’animale, dividendo al 50% le spese per il mantenimento, parlando per la prima volta di affido congiunto anche per gli animali di casa, e attribuendo all’animale domestico gli stesi diritti affidati ai figli. Da ultimo, il Tribunale di Como, con la recente sentenza del 3.2.2016, ha omologato l’accordo con il quale i coniugi hanno concordato le modalità di gestione e cura dell’animale domestico. La pronuncia è rilevante nella parte in cui afferma che le disposizioni con cui le parti concordano l’assegnazione ed il mantenimento dell’animale domestico non contrastano con l’ordine pubblico. Tali pronunce si allineano con l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nel 2007, secondo cui “il cambiamento della natura del rapporto tra proprietario e animale di affezione, non più riconducibile alla mera proprietà di un oggetto di cui il detentore avrebbe la completa disponibilità (...)”. Invece in senso contrario va segnalato il

Tribunale di Milano che con provvedimento del 2.3.2011, ha dichiarato inammissibile la domanda volta all’assegnazione degli animali di casa in quanto l’ordinamento attualmente non prevede la possibilità di affidare o assegnare gli animali domestici, “né essendo compito del giudice della separazione quello di regolare i diritti delle parti sugli animali di casa”.

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Anche in caso di assenza del matrimonio ci si possono aspettare queste decisioni da parte dei giudici? No, in assenza di matrimonio invece, dal punto di vista legale, il detentore temporaneo dovrebbe essere obbligato alla restituzione immediata dell’animale al suo intestatario. In caso di mancata restituzione il giudice potrebbe intimare di restituire il cane al proprietario nel momento in cui lo stesso abbia trovato una sistemazione adeguata. In tal caso, se l’intestatario ricorresse alle vie legali, l’altro dovrebbe organizzarsi per dimostrare che l’animale ha sviluppato una relazione affettiva con entrambi e che entrambi se ne sono presi cura in egual misura. Si potrebbe chiedere al giudice l’affidamento congiunto dello stesso e dimostrare che ciò rappresenta il bene dell’animale stesso. In definitiva, si può concludere, anche alla luce delle sentenze richiamate, che nell’ipotesi di un divorzio o di modifica delle condizioni di separazione alcuni giudici, pur omologando le condizioni di separazione consensuale stabilite dai coniugi stessi, sia meglio consigliare loro, per il futuro, di regolare in via stragiudiziale le sorti del loro animale domestico.

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Inter vista

«Grandi risultati sul numero degli iscritti e sulla crescente internazionalizzazione»

Gianfranco Rusconi, direttore del Dipartimento di Scienze aziendali, economiche e metodi quantitativi dell'Università di Bergamo: «Possiamo vantare la presenza di visiting professor di notevole rilevanza»

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uali impegni ha dovuto affrontare dall'ottobre 2015 nel suo nuovo ruolo? Non si è trattato di un nuovo ruolo bensì della riconferma, per il triennio 20152017, dell’incarico di Direttore di Dipartimento. Gli impegni sono stati, e sono, molteplici e consistono nella gestione di un Dipartimento con la responsabilità sia della didattica che della ricerca. Inoltre l’ANVUR, agenzia nazionale che valuta

l’Università e la Ricerca, negli ultimi anni ha aumentato sensibilmente le richieste di rendicontazione dell’attività svolta e ciò si è tradotto in un ulteriore ed impegnativo lavoro amministrativo. Per fortuna sono validamente supportato dai colleghi delegati a presiedere i consigli della didattica e della ricerca e dei consigli dei corsi di laurea, oltre naturalmente dai colleghi componenti questi consigli e dal personale amministrativo del dipartimento.

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a cura della redazione

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Le sfide lanciate in tal senso e quelle vinte? La prima sfida è stata la necessità di fronteggiare, negli ultimi tre anni, il forte aumento degli iscritti in vari corsi di laurea triennale e magistrale; si è dovuto risolvere il problema dell’allocazione degli studenti nelle aule. In presenza di diversi corsi di laurea e diversi curricula, devo ringraziare l’ufficio aule che ha operato in modo efficace facendo quadrare un complesso puzzle di orari. La seconda sfida importante è la progressiva internazionalizzazione, che costituisce elemento chiave della progettualità sia di Ateneo che di Dipartimento. Possiamo vantare la presenza di “visiting professor” di notevole rilevanza internazionale e, nell’ambito degli scambi internazionali, i nostri docenti sempre più frequentemente si recano in Università straniere come visiting professor. Una terza sfida, a cui tengo, è l’instaurazione di un rapporto trasparente

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con gli studenti ,che viene affrontato con una specifica struttura prevista dalla legge 240, con commissioni paritetiche studentidocenti in ogni dipartimento. Le due lauree triennali (Economia Aziendale ed Economia) e le quattro lauree magistrali, di cui due con insegnamenti totalmente in lingua inglese e una con un curriculum in inglese trovano sbocchi lavorativi? Per quanto riguarda gli sbocchi lavorativi, un elemento fondamentale dei nostri corsi di laurea è il legame tra gli argomenti del piano di studio e l’attività lavorativa, come ho potuto constatare con i tirocini e le offerte di lavoro ai miei laureati, specialmente quelli magistrali. Siamo un abituale “fornitore” di bravi laureati per società di revisione, studi commercialisti, aziende (anche grandi) e pubblica amministrazione. Come si concretizza la collaborazione con

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altri dipartimenti? Abbiamo diverse forme di collaborazione anche a titolo personale; compartecipiamo volentieri anche ad un corso di laurea magistrale (Diritti dell’uomo e cooperazione internazionale) presso il dipartimento di Giurisprudenza, ma che annovera docenti del nostro dipartimento (tra cui la prof.ssa Licini, responsabile del corso) e di quello di Lettere, filosofia e comunicazione. Organizziamo con la partecipazione di altri dipartimenti numerosi seminari, workshop e convegni. Lo staff dei docenti a suo parere è numericamente adeguato? E avete anche dei dottorati? Dopo i tagli pesanti attuati dal 2010 al 2014 al fondo statale di finanziamento ordinario all’Università, negli ultimi anni il nostro Ateneo ha potuto beneficiare di alcune risorse grazie al ruolo di alcuni meccanismi


premiali. É chiaro che il nostro dipartimento starebbe meglio se ci fossero più docenti, ricercatori e personale amministrativo, ma i risultati sono comunque buoni per l’impegno di tutti sia nella didattica che nella ricerca. Per quanto riguarda i dottorati, da un lato stiamo portando avanti due dottorati con l’Università di Brescia , di cui uno cogestito dai Dipartimenti di Giurisprudenza di Bergamo e Brescia, che concluderanno i loro cicli nel 2018-19. E’ in fase avanzata di organizzazione un dottorato con il Dipartimento di Giurisprudenza di Bergamo, cui parteciperanno anche docenti di materie aziendali. Stiamo inoltre orga-

nizzando un dottorato con l’Università di Pavia cui parteciperanno nostri matematici, economisti ed aziendalisti. Sempre parlando di numeri, ci descriva il recente trend del numero di iscritti e di laureati. Quanti si accontentano del corso triennale e quanti proseguono anche con la laurea magistrale? Operando un confronto dal 2011-12, si può notare una tendenza alla crescita degli iscritti alle lauree magistrali, nonostante il forte numero di partenza; il dato del 2016-17 sembra mostrare un calo, ma non contempla gli studenti della triennale iscritti con riserva. Nella triennale di economia aziendale, che

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già in partenza aveva un consistente numero di iscritti, l’anno accademico 2016-17 ha raggiunto il numero di 765 studenti facendo il bis con il record di iscrizioni del 2014-15; negli ultimi anni abbiamo assistito ad una importante crescita di iscritti tanto da essere stati costretti a bloccare le iscrizioni tardive. Forte è stata l’espansione della laurea triennale in economia, che ha raggiunto i 164 iscritti, superando largamente la punta massima di 129 registrata nel 2015-16. Per quanto riguarda il proseguimento “interno” dei nostri laureati triennali, prendendo come periodo di osservazione il 2011 / 2016 , dei 2286 laureati triennali 1038 si sono iscritti

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alle specialistiche/magistrali; si tratta del 45,5% circa. Gli sbocchi occupazionali per i suoi studenti ci sono sul nostro territorio, e in tal senso come si instaura il dialogo tra enti, istituzioni ed aziende? Sugli sbocchi lavorativi ho risposto in precedenza. Con enti, istituzioni e aziende abbiamo due modi fondamentali per relazionarci: a) una grande quantità di tirocini, obbligatori per alcuni corsi di laurea: ad ogni tirocinante è associato un tutor che controlla il lavoro svolto; b) ogni corso di laurea tiene contatti con una serie di interlocutori del “mondo esterno”, anche in relazione alla programmazione di nuovi corsi o curricula. La ricerca in che modo è portata avanti dal suo dipartimento ed avete collaborazioni con altre università, anche straniere?

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L’alta considerazione in cui teniamo la Ricerca è testimoniata dalla numerosità di iniziative (workshop, convegni, assegni di ricerca a italiani e stranieri) e dalla quantità e qualità di prodotti editoriali. La ricerca è posta in atto con colleghi e istituzioni nazionali e sempre più frequentemente internazionali. Che critiche muove al sistema universitario italiano e quali sono le tre maggiori novità e cambiamenti che vorrebbe venissero introdotti? Sono convinto che la “materia grigia” italiana sia una delle migliori del mondo; trovo spesso in università straniere giovani italiani che sono riusciti a collocarsi benissimo . Purtroppo nel nostro Paese l’Università e la Ricerca sono state spesso non tenute nella debita considerazione e le risorse ad

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esse destinate oggetto di tagli consistenti. Le tre novità che auspicherei sono: 1) reintrodurre la figura del ricercatore a tempo indeterminato: l’accesso alle posizioni strutturate è talmente lungo ed incerto che può dissuadere alcuni dei migliori studenti dall’intraprendere una carriera accademica che è invece alla loro portata; 2) accelerare l’aumento della quota premiale, magari cambiando alcuni parametri e/o il loro peso nella valutazione, e aumentare, compatibilmente con la situazione della finanza pubblica, i ridotti finanziamenti pubblici; 3) aumentare il grado di autonomia e di responsabilità delle università, riducendo la quantità di tempo che i docenti e ricercatori debbono dedicare alla burocrazia. Ci parli del Signor Rusconi: è sposato?


Che passioni coltiva al di fuori dei ruoli accademici? Sono nato il 14 marzo 1950, vivo a Brescia da quando mi sono sposato (molti anni

or sono) e sono pendolare ferroviario fra Brescia e Bergamo. Il treno Brescia-Bergamo, con le sue vetuste carrozze, le sue lentezze e ritardi, è diventato un mio (anche se un

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po’ scomodo) ufficio viaggiante. Nell’ambiente bresciano mi trovo bene, anche se non rinuncio a tenere per l’Atalanta (che va molto bene!). La mia prima laurea, con successivo perfezionamento, è in filosofia con indirizzo epistemologico; in seguito mi sono laureato in Economia. Insegno nella laurea triennale Ragioneria e nella magistrale Business ethics (corso tenuto in lingua inglese). Faccio parte del comitato esecutivo dell’European Business Ethics Network, nel quale per molti anni sono stato il rappresentante dell’Italia e sono stato eletto per il bienno 2017-8 presidente della conferenza dei direttori di dipartimento italiani di economia e statistica. Sono particolarmente affezionato all’Accademia della Guardia di Finanza, di cui sono il docente decano, dato che vi insegno dal 1984. Un tempo giocavo agonisticamente a bridge e praticavo un po’ di tennis, ora da anni passo il mio (poco) tempo libero a viaggiare, gustare la natura, l’arte e la storia. Seguo da quando ero ragazzo le vicende politico-sociali del mondo e dell’Italia in particolare, con partecipazione, quando posso, anche ad associazioni e all’ attività politica. Frequento il Rotary di Brescia.

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*Presente Futuro di Eugenio Sorrentino Giornalista scientifico aerospaziale

I microorganismi migrano senza frontiere

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l fenomeno delle migrazioni da un punto all’altro del pianeta è legato da sempre alla storia dell’umanità e le ricerche dimostrano come, nel passato remoto, gli spostamenti siano stati dettati soprattutto dall’esigenza di trovare condizioni climatiche tali da garantire approvvigionamento idrico e risorse alimentari di cui nutrirsi. Ma prim’ancora che la specie umana, si è affermata la locomozione microbica naturale che ha coinvolto il mondo biologico e vegetale. Nessun dubbio che le correnti d’aria incidano da sempre mescolando particelle di terre e depositandole lontano dal luogo d’origine. Nell’era attuale, il cambiamento climatico e l’uso antropico del suolo stanno provocando ancora di più migrazioni che non si possono fermare: quelle dei microorganismi. Uno tra i più intensi eventi di trasporto di polveri sahariane, che ha raggiunto le Alpi nel 2014, ha fatto depositare e sigillare nelle nevi la

relativa e consistente carica microbica. L’effetto a noi più visibile è legato alla sabbia piovuta dal cielo che ha ricoperto autovetture e terrazzi. I ricercatori (microbiologi, geologi, chimici e bioclimatologi) si sono spinti oltre per valutare le conseguenze scientifiche del fenomeno, avendo conferma che questa grande tempesta ha depositato enormi quantità di polvere sahariana, che è stata poi sigillata tra strati di neve pulita. Ciò ha permesso di determinare con precisione quali e quanti microrganismi siano associabili alla deposizione. Ne è scaturito che le grandi tempeste di polvere possono muovere non solo frazioni, ma intere comunità microbiche (batteri e funghi) dalle aree sahariane all’Europa e che questo microbiota contiene molti organismi estremamente resistenti e in grado di sopravvivere in ambienti diversi, apparentemente ostili. Un eccezionale evento invernale che ha consentito di scoprire quasi intere comunità di microbi sahariani, trasportate dal vento e congelate in uno strato di neve rosa, isolato sotto lo zero. Una vera e propria traslazione. Batteri e funghi congelati hanno lasciato le loro firme genetiche, così come quelle delle comunità microbiche dei suoli da cui hanno preso il volo, dando modo di verificare che alcuni di questi microbi sahariani sopravvivono anche dopo lo scioglimento delle nevi, probabilmente perché presenti in grandi quantità. Probabilmente il fenomeno recente è solo l’ultimo di questa tipologia di eventi, ma le tecniche di sequenziamento di ultimissima genera-

zione (metagenomica e biologia computazionale) hanno dato la possibilità di vedere microorganismi, identificandoli direttamente dalla firma del DNA, e stabilire che i batteri e i funghi sono in tutti gli ambienti, inclusa l’aria, le nubi e il vento. Quanto scoperto suggerisce che il cambiamento climatico e l’aumentata frequenza di questi eventi possa modificare in modo significativo le comunità microbiche dei nostri suoli. Le Nazioni Unite hanno lanciato una sfida per l’implementazione di azioni di monitoraggio e protezione in materia di tempeste di sabbia e polvere dovuto a trasporto di lungo raggio. Nel caso della fascia alpina e prealpina occorrono metodologie rapide ed efficaci per monitorare i rischi associati alla fusione di neve e ghiacciai contaminati da popolazioni microbiche che arrivano da lontano. E la biometeorologia si dimostra scienza sempre più vicina al territorio di quanto non si pensi.


Concorso letterario 2017

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iunge alla quinta edizione il concorso letterario organizzato da LUBERG per valorizzare il talento dei giovani bergamaschi e offrire loro la possibilità di confrontarsi con il contesto letterario contemporaneo. Il concorso, che nelle precedenti edizioni ha raccolto una nutrita adesione di partecipanti, viene rinnovato anche nel 2017 e si rivolge a tutti gli studenti e laureati bergamaschi, indipendentemente dall'ateneo di provenienza, che credono nella capacità della parola scritta di rappresentare il mondo, nelle sue molteplici sfumature. "Questo – spiega Franco Brevini, Presidente della Giuria - è un concorso per chi crede che esprimersi sia un bisogno profondamente radicato in ciascuno di noi e per chi sia persuaso che le parole continuino a essere strumenti privilegiati per scandagliare l’interiorità dell’uomo e per raccontare il mondo. La letteratura non è tramontata dall’orizzonte dei giovani e anzi continua a restare un riferimento importante”. COME ASSOCIARSI A LUBERG Sei un laurea to dell'Università di Bergamo e ti riconosci nella mission di LUBERG? Sostieni l’associazione e avrai l'opportunità di contribuire a valorizzare l'università di Bergamo e a rafforzarne il legame con la città. - Possono diventare SOCI ORDINARI tutti coloro che abbiano conseguito presso l'Università una laurea, un d ip l o m a u n ive r s i t a r i o, u n a l a u re a specialistica, una laurea magistrale. La quota annua associativa è di 20 Euro per i laureati fino ai 30 anni d'età e di 50 Euro per i laureati oltre i oltre i 30 anni. - Sono considerati SOCI SOSTENITORI dell'associazione le persone fisiche e/o giuridiche, gli Enti e le Associazioni che si impegnano a sostenere economicamente l'Associazione mediante un contributo annuale o una tantum. Per maggiori informazioni sulle modalità di iscrizione o rinnovo della quota associativa, consulta il sito Luberg.it alla sezione "SOCI".

COME PARTECIPARE AL CONCORSO Per partecipare al concorso letterario è necessario inviare elaborato, scheda di iscrizione e bonifico consegnandoli direttamente alla segreteria LUBERG – a Bergamo in Via dei Caniana, 2 – oppure via mail all'indirizzo concorsoletterario@luberg.it. L'invio della scheda di iscrizione con la copia del bonifico (di 15 Euro per soci LUBERG e studenti e di 30 Euro per laureati) dovrà avvenire entro il 3 MAGGIO 2017. Gli elaborati dovranno essere consegnati in formato pdf, sempre entro il 31 maggio, in duplice copia: una copia riporterà nella prima pagina il nome dell’autore e il titolo del racconto, la seconda copia riporterà nella prima pagina solo il titolo del racconto (scheda d'iscrizione e liberatoria sono disponibili sul sito Luberg.it). Ogni partecipante potrà inviare un racconto inedito a tema libero della lunghezza massima di 10.000 battute - spazi inclusi - ossia 5 cartelle da 2.000 battute ciascuna. I testi che supereranno le 10.000 battute verranno tassativamente esclusi. PREMI E GIURIA Il presidente della giuria dell'edizione 2017 sarà il professor Franco BREVINI, dell'Università degli Studi di Bergamo, che sarà supportato dai membri LUBERG Daniela ANGELETTI, Cristiana CATTANEO,

Aristide DE CIUCEIS, e da Alberto C E R E S O L I ( D i r e t t o r e d e “ L’ E c o d i Bergamo”), Daniele GIGLIOLI (professore Università degli Studi di Bergamo), Riccardo NISOLI (Direttore “Corriere della Sera, Edizione di Bergamo”). Il presidente dell'associazione dei Laureati, Domenico BOSATELLI, e il Rettore dell'ateneo cittadino, Remo MORZENTI PELLEGRINI, saranno i presidenti onorari del concorso letterario. La giuria selezionerà una rosa di finalisti e, tra questi, identificherà i tre vincitori ai quali, in occasione della cerimonia di fine anno, verrà corrisposto un premio in denaro rispettivamente di 1.000 Euro al primo classificato, 500 Euro al secondo classificato e 250 Euro al terzo classificato. I racconti dei finalisti saranno pubblicati in un volume edito da Sestante Edizioni. I VINCITORI DELL'EDIZIONE 2016 In occasione della Cerimonia di Premiazione 2016 la giuria ha premiato i racconti finalisti di Simone Canesi, Elena Capizzi, Giada Cola, Gloria Maino, Paola Ricchiuti, Sara Santini, Letizia Scatà. “Quaderni bruciati” di Veronica Brescianini è stato il racconto vincitore; secondo classificato Giangiacomo Morozzo, con “Il miracolo della banlieu”; terzo posto per Elì Salomon Garcia, con il racconto dal titolo “Sally nel Kali Yuga”.


*Cucina di Pierangelo Cornaro Chef Patron del Ristorante Colleoni & dell'Angelo (Bergamo)

A proposito di guide……

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a più bella battuta l’abbiamo colta da un maestro dei giochi di parole come dei giochi (ma serissimi) a tavola, Gianni Mura, prima firma dello sport e non solo di Repubblica. Forse non riportiamo le parole esatte ma il senso era questo: “Abbasso, lasciamo perdere TripAdvisor; aspetto che qualcuno fondi, con altre modalità naturalmente, Trippadvisor”. Del resto, dopo averne lette e sentite tante ma tante attorno alle malefatte del sito che più di ogni altro sembra abbia la forza di spostare i flussi della clientela, cos’altro si può fare se non riderci sopra? Lo avrebbe certamente fatto per primo Luigi Veronelli che in vita fece suo il motto attribuito a Bakunin e poi ripreso dall’ala anarchica del movimento studentesco “la fantasia al potere e una risata vi seppellirà”. Non possiamo evidentemente sapere se le cose andranno così anche per TA (d’ora in avanti per brevità e pudore citiamo il sito con le iniziali.), ma allo stato attuale delle cose cos’altro potrebbe fare una persona raziocinante in cerca di una tavola che faccia al caso suo? Una bella risata e via andare, seguirà un’altra strada per trovare il consiglio appropriato. Ce n’è tante di opportunità. L’informazione di ogni ordine e grado, dalla carta stampata alla TV ed allo stesso mondo Web forniscono una miriade di notizie tra cui attingere. Certamente da non prendere per oro colato, anzi tutte da soppesare e da valutare nell’affidabilità, nei toni dell’esposizione, nel contesto in cui vengono fornite. Si possono consultare poi le vecchie care

guide cartacee (care a noi che ci lavoriamo da oltre trent’anni) da un po’ di tempo in qua disponibili a prezzi nettamente più bassi in versione App. Meglio se più d’una in modo tale da giocare al rialzo di affidabilità attraverso il confronto (se i giudizi delle guide convergono con più frequenza su certi nomi ci sarà pure un motivo…). Infine ci si può affidare al consiglio di persone che nel campo hanno sensibilità ed esperienza, di chi non si limita a fotografare e postare i piatti per metterli (e mettersi) in mostra, ma che ha la capacità critica e l’apertura mentale per distinguerne e valutarne la qualità. Tutte soluzioni che hanno il vantaggio incommensurabile rispetto al misterioso alibi dell’anonimato delle recensioni postate su TA di essere firmate, di poterne quindi rintracciare gli autori così da poterne soppesare la veridicità e quindi in fin dei conti l’attendibilità (se un amico mi consiglia un ristorante-fregatura è sicuro che la seconda volta non ci casco). Da quando poi la società americana proprietaria di TA ha aggiunto al suo pacchetto il sito di prenotazioni on-line TheFork, la deriva sembra non avere fine. Al ben noto diffondersi di società che offrono ai ristoratori, naturalmente dietro pagamento, pacchetti di recensioni positive per la propria insegna o peggio ancora negativa per quella concorrente, siamo ora alla vendita diretta da parte della stessa TA di recensioni pubblicitarie che fanno comunque algoritmo, in grado quindi di far quindi avanzare di posizione del raking chi le acquista. Iniziative che tra l’altro in altri paesi anche

d’Europa, hanno indotto le istituzioni governative ad intervenire con sanzioni varie e multe salate. Tacciono invece le istituzioni del nostro Belpaese e nemmeno si segnalano prese di posizioni determinate ed efficaci da parte delle associazioni di categoria. Una class action ad esempio, forse potrebbe essere la soluzione ideale per indurre TA come gli altri siti che si comportano nella stessa maniera a dotarsi di regole precise e verificabili. L’anonimato fuori controllo non è accettabile; così come l’utilizzo strumentale dei giudizi e delle valutazioni (cioè a fini di lucro, come appunto dimostrano le ultime iniziative messe in atto da TA anche attraverso TheFork); per finire con l’impossibilità di sfuggire al capestro dacché il ristoratore non può decidere autonomamente di uscire dal circuito. In attesa che questi aspetti non certo marginali vengano affrontati da chi di dovere, al consumatore non resta che fare spallucce sui risultati pubblicati su TA (basta scorrere le classifiche per rendersi conto della loro assurdità). Meglio seguire i consigli di Trippadvisor….


*Spiritualità don Giambattista Boffi Direttore Centro missionario diocesano

Cristiani, ma come?

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ercare di tratteggiare oggi la figura del credente cristiano è davvero difficile. Tanti e pericolosi i rischi. La tentazione della tartaruga è quella di chi si è costruito una corazza: le ragioni del passato come bastione della resistenza. Il rischio della liquidità in chi si appella alla velocità del tempo che corre, cancellando regole e istituzioni, tradizione e baluardi della religiosità. I conti vanno fatti anche con chi si accontenta di una fede a zucchero a velo, che imbianca alcuni momenti della vita, magari quelli che segnano passaggi storici, oppure con chi della fede coglie solo l’aspetto sociale: giusto per non restare tagliati fuori. Mi chiedo spesso, infatti, cosa voglia dire per un non credente: buon Natale o buona Pasqua. Dentro questo guazzabuglio di situazioni esistenziali ci stanno anche gli opinionisti, quelli che indicano in papa Francesco il “demolitore” della fede cattolica o che riconoscono in lui la fonte assoluta della novità, il riformatore. Di fatto del cristiano, che sembra così insignificante, se ne parla, a proposito o meno, in tante e diverse situazioni, nei salotti della tv e attorno al tavolino del bar. Non è nelle mie intenzioni una difesa d’ufficio e neppure la pura apologetica della vocazione cristiana. Un invito è quello al discernimento. Presuppone intelligenza, capacità di entrare dentro le situazioni, le storie, la vita e leggere con categorie positive i

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frammenti di esistenza che ogni giorno affidiamo alla sintesi. Da questo punto di vista la preparazione culturale non si esaurisce nelle competenze acquisite con lo studio, ma chiama costantemente in causa quel bagaglio di “tradizione” che ci portiamo da casa e che permette di stare con i piedi per terra. In questo intreccio si pone anche l’appello della fede. Ragione e vita sono chiamate in causa per scoprire il sentiero della fede. Il passo successivo è allora quello della credibilità. Ne vale la pena: è l’affermazione che muove alla fede. Solo a questa condizione è proponibile l’orizzonte del Vangelo come luogo per interpretare la vita. Nelle fatiche della complessità e della frammentazione del mondo è facile fare della fede un’ancora di salvezza, un rifugio dell’incomprensibile. Che ci siano in giro cristiani rassegnati al dover credere per stare a galla è proprio vero, che qualcuno strumentalizzi le cose di Dio per spingere a devozionalismi è anche questo vero. La credibilità va a braccetto con la libertà. La libertà di chi fa del Vangelo un incontro, una relazione d’intimità. La libertà della fede è persino sfacciata perché esageratamente innamorata dell’uomo e della sua carne. Questo è il terzo passaggio: il cristiano è un uomo di carne! Potrebbe sembrare una banalità o persino un affermazione blasfema: come la mettiamo con la spiritualità? Con tutta la filosofia dello spirito? Con le grandi dispute legate alla morale e all’agire? Uomo di carne vuol dire vivo, da toccare.

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Vuol dire attraversato da sentimenti e passioni, segnato da bisogni e attese. È l’uomo della promessa, compiuto e mai finito, aperto alle domande e nello stesso tempo custode geloso dell’arcano. Questo uomo di carne trova nella fede la concretezza della sua vita: sembra proprio un paradosso. Ed è il pulsare del suo cuore che fa la differenza, la passione che gli brucia dentro che diventa contagiosa e feconda. Sarà allora la continua riscoperta del senso a proiettare lo sguardo oltre il vissuto incrociando costantemente la strada. Sarà la fede a farsi prossimità, la fede a sprecare parole, la fede a segnare presenze e servizi, la fede a significare vissuti. Il mistero di Dio è tremendamente attuale. Come essere cristiani? Non azzardo una risposta se non nella ricerca continua di una figura di credente che trovi nella rivelazione del mistero di Dio la sua luce e la sua forza. È una sfida di quelle che ti invogliano perché mentre la vivi ne scopri il senso.


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nuovi livelli in questa accattivante Dark Edition, che ti offre un allestimento esclusivo con vernice Santorini Black, vetri oscurati, tetto panoramico scorrevole, cerchi da 22’’ a 5 razze doppie Satin Black, Stealth Design Pack* e dettagli decisi come le pinze dei freni rosse. Lasciati affascinare da Range Rover Sport Dark Edition. Vieni a scoprirla in Concessionaria.

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Nuova Discovery, l’auto che fa rima con versatilità

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a meravigliosa serata di inaugurazione della nuova sede Lario Mi Auto di via Petitti, Milano, ha avuto una protagonista d’eccezione: l’ultima arrivata di casa Land Rover, la Nuova Discovery. Un’auto che fa rima con versatilità: è proprio questo il suo carattere distintivo, segno di un’attenzione sempre più marcata verso le diverse esigenze di qualsiasi tipo di guidatore. La quinta generazione della Discovery è stata pensata infatti per adattarsi ad ogni situazione grazie a soluzioni ingegnose che hanno un’unica, fondamentale, finalità: semplificare la vita di chi la sceglierà come sua compagna di viaggio. Rispetto al precedente modello la Nuova Discovery presenta notevoli evoluzioni, a partire dal primo impatto visivo. Il

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design rivoluzionario delle forme esterne ha raggiunto nuovi livelli di raffinatezza, con superfici elegantemente scolpite che la rendono uno dei veicoli Land Rover più accattivanti di sempre. All’interno l’abitacolo offre sette posti disposti su tre file e svariate possibilità di organizzazione degli spazi, che possano essere gestiti anche tramite una comoda App per lo smartphone. Il volume di carico del bagagliaio varia da un minimo di 238 fino a un massimo di 2500 litri. La tecnologia è a servizio della miglior esperienza di guida o di viaggio, con un sistema di infotainment con schermo da 10 pollici dotato delle funzionalità più recenti e innovative per avere il mondo a portata di mano. Alla guida l’auto riflette al meglio l’essenza del marchio Land Rover. Il sistema Terrain Response 2 seleziona automaticamente la modalità di guida per garantire il miglior assetto possibile in ogni contesto. La sicurezza è sempre al top con tutti i più recenti dispositivi di assistenza alla guida presenti

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sul mercato. Per le motorizzazioni Discovery punta sui motori Ingenium quattro o sei cilindri, con una ampia scelta di modelli diesel e benzina, dalle prestazioni straordinarie. Infine la sostenibilità: l’utilizzo dell’alluminio per la struttura garantisce una riduzione del 9% delle emissioni di CO2 durante l’intero ciclo di vita. Con la Nuova Discovery il futuro è già arrivato.


*Arte Mario Donizetti

Nuova tecnica ad encausto

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o messo in opera questo metodo per poter modellare e sfumare il colore che, usato senza colla, si può fissare, in ultimo, con cera. – Preparazione del supporto: la tavola da supporto del dipinto deve essere composta da diversI grossi strati di tele, l’ultima delle quali di trama sottile, e senza nodi. Le tele vanno ingessate una sopra l’altra con gesso da presa, e vanno compresse. L’ultima tela sottile, dopo essere stata velata con il gesso, deve essere accuratamente lisciata con una "cazzuola" metallica da muratore. Sulla tavola, quando risulta perfettamente asciutta, a grafite, si esegue il disegno da colorire. A questo punto la tavola va collegata a una bacinella d’acqua mediante una fettuccia di carta assorbente. Questa fettuccia ha la funzione di portare acqua a tutta la tavola che, bagnata in modo omogeneo, consente l’esecuzione sfumate della fase colorata dell’opera.

a lato: opera eseguita a encausto. Mario Donizetti

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*Cinema Film da rivedere, da riscoprire, da riassaporare

Pietro Bianchi

“Susanna”

di Howard Hawks (1938)

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mmortale. Se devo scegliere un aggettivo per introdurre “Susanna” (nell’originale “Bringing Up Baby”) del grande Howard Hawks, mi pare che questo renda bene l’idea. “Susanna” è uno di quei capolavori che vanno al di là del tempo: è del 1938, ma conserva dopo ottant’anni la freschezza, la vivacità, l’esuberanza del primo ciak. È la screwball comedy per eccellenza, la commedia svitata, eccentrica, sfrenata, dalla traiettoria imprevedibile: un fuoco di fila di trovate, invenzioni, sorprese, un irresistibile e interminabile divertimento, dove è bandito ogni tempo morto. Il protagonista maschile è David Huxley, un paleontologo che al museo di storia naturale sta ricostruendo lo scheletro di un brontosauro: manca un solo osso, una clavicola intercostale. Quando riceve la notizia che l’osso è stato trovato e gli verrà consegnato l’indomani, il giorno già fissato per il suo matrimonio con Alice, la sua integerrima assistente, Huxley pregusta la fine di un lavoro durato quattro anni e le gioie (del sesso, non lo dice ma lo pensa) che gli potrà dare la luna di miele. Alice smorza subito i suoi entusiasmi: dopo la cerimonia dovrà immediatamente rimettersi al lavoro e agli studi. Niente potrà interferire con la sua carriera, tanto meno distrazioni e progetti familiari. L’inizio del film ci mostra dunque un uomo perso nei suoi pensieri, succube di una donna priva di pulsioni, destinato ad una vita piatta, grigia e spenta. Come un fossile… Un importante appuntamento (c’è in gioco una ricca donazione al museo) lo porta su un campo di golf e qui avviene l’incontro con Susan Vance, una giovane ed eccentrica ereditiera, che gli sconvolgerà la vita. Siamo nella classica situazione del "boy meets

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girl", l’incontro della coppia che inevitabilmente dovrà formarsi dopo il superamento, altrettanto classico, di scontri, dispetti, litigi e compromettenti situazioni. Susan è un vulcano inarrestabile e il placido tran tran di David viene travolto. Dal primo momento in cui le strade dei due si intrecciano, lo scontro si fa acceso: lui, imbranato e ben poco reattivo, è l’uomo "impacchettato", quasi imprigionato in una camicia di forza; lei, priva di freni e a suo modo irresponsabile, vuole togliergli quella corteccia, portarlo a nuova vita. Uno psichiatra a cui lei si rivolge, rappresentandogli la situazione di un uomo (David) che la insegue per poi litigare appena le parla – questa è la versione, molto soggettiva, che Susan dà ai fatti – le risponde che spesso nell’uomo l’impulso amoroso si esprime in termini di conflitto. Questo conflitto amoroso è il succo stesso della commedia classica, la spina dorsale di tanti film di questo delizioso genere cinematografico. Ma siamo solo all’inizio. David, nell’ordine, viene scambiato per un ladro di borse, si ritrova con il frac strappato, accumula situazioni a dir poco imbarazzanti in acconciamenti ridicoli. Sembra una deriva senza fine e lui fa l’errore di dire a Susan che è anche alla vigilia del matrimonio. Per lei, che sin dall’inizio gli ha messo gli occhi addosso, il gioco diventa sfida. Entrano a questo punto in scena un leopardo mansueto (Baby) che adora le canzoni, un cane (George), a cui naturalmente piacciono gli ossi, un maggiore, amico della zia di Susan, appassionato di caccia grossa che fa i versi degli animali, un altro leopardo, questo però feroce e pericolosissimo, in libera uscita da un circo. Il film accelera sempre più verso il finale e “il meccanismo di concatenazione delle cause

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ed effetti tocca vertici ineguagliati, probabilmente insuperati nel genere” (il commento è di Nuccio Lodato, “Howard Hawks”, Castoro Cinema 1977). Valga, a dimostrazione di questa indiavolata sarabanda, la girandola di arrivi (animali compresi) nella prigione dello sceriffo, un concatenarsi di equivoci e ribaltamenti con personaggi folli e strepitosi interpreti (inclusi i non protagonisti, caratteristi eccezionali), padroni della scena. Ovvio, alla fine, che il programmato matrimonio salti: la distruzione del dinosauro, mentre David e Susan si dichiarano reciproco amore, simboleggia il definitivo smantellamento di una vita, quella a cui lui era tristemente destinato. “Susanna” è puro movimento, che trova in una eccezionale Katharine Hepburn il suo propulsore. Ogni pensiero di Susan (come constata Paola Cristalli, “Commedia americana in cento film”, Ediz. Le Mani, 2007) precipita in istantanea azione. Simbolo di un nuovo tipo di donna che impone la propria presenza moderna nel tessuto sociale americano, Susan esprime un’energia incontrollabile che conduce il maschio maldestro a una nuova consapevolezza di sé e della sua vita. È lei che tiene il pallino in mano e conduce il gioco, costringendo David (Cary Grant, come sempre impareggiabile) a una reattività incessante e a rompere continuamente la compostezza in cui è imprigionato, con inevitabile effetto comico. Finito accalappiato in un retino, dopo essere stato esposto a figure ridicole, alla fine dovrà però ammettere: “Non mi sono mai divertito tanto in vita mia”. Lo stesso piacevole destino che tocca allo spettatore, fatalmente inghiottito in questo folle, splendido, irresistibile capolavoro.


*il Pensatore Spunti e riflessioni di una vita

Liutprandoar

L’intelligenza animale e umana a confronto «

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'intelligenza è l'insieme di funzioni conoscitive, adattative e immaginative, generate dall'attività cerebrale sia dell'uomo che degli animali. È anche definibile come la capacità di ragionare, apprendere, risolvere problemi, comprendere a fondo la realtà, le idee e il linguaggio». Questa definizione è estremamente appropriata, ma pone l’atavico dubbio se l’intelligenza sia innata e quindi determinata geneticamente, o dipenda dall’ambiente in cui ci si rapporta? Sicuramente per gli animali non è così facile come per l’uomo determinarne l’intelligenza, ma per fortuna esiste il test di detour: che consta di un ostacolo trasparente, dove si pone un animale, sotto al quale si fa scorrere un boccone di cibo dal suo lato al nostro, nascondendolo dietro all’ostacolo. Se un animale non fosse intelligente continuerebbe a sbatterci contro, come fa un moscone quando vuole uscire da una finestra chiusa, mentre se dimostrasse intelligenza sarebbe in grado di costruirsi una mappa cognitiva dell’ambiente e quindi di ipotizzare diverse soluzioni per risolvere il “problema”. Considerando il cane un “animale sociale” per prima cosa "chiederà aiuto" all’uomo che gli fa il test scodinzolando e guardan-

dolo, per poi aggirare l’ostacolo in caso di mancato aiuto. Questo test ha un’interpretazione differente nel gatto, in quanto essendo un animale che "vive su tre dimensioni", salterà l’ostacolo. Altri animali, come i topi, aggireranno "l’ostacolo”. Questo è l’unico test riconosciuto, ma mi voglio porre una domanda: se all’uomo si dessero diverse possibilità per essere intelligenti e molti di noi, io compreso, non lo siamo, perché dovremmo rifarci sui nostri animali dicendo che non sono esseri intelligenti? E cosa significa essere intelligenti? Se analizzassimo il problema sotto un’ottica di intelligenza potremmo evidenziare che sono i parametri dell’intelligenza che noi poniamo e non la reale capacità cognitiva. In una lunga intervista l’etologo Mainardi

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si pone le stesse domande con risposte a dir poco eclatanti: ad esempio lui pone l’intelligenza degli animali come equilibrata (abbiamo molto da imparare), e afferma: «se c’è un animale squilibrante e squilibrato è l’uomo», continua asserendo... Per esempio, nonostante la nostra supposta intelligenza, sembriamo non avere ancora un comportamento efficace nell’allevamento della prole. La nostra specie ha talmente privilegiato l’apprendimento e la cultura (e aggiungerei che sono veramente poche le persone che desiderano apprendere cultura, la maggior parte cerca di cogliere unicamente degli espedienti per poter sopravvivere in una società malata)che ha dimenticato le informazioni genetiche primordiali. Direi che basta questo esempio, ma ce ne sono diversi, per farci ricordare quando vediamo un animale di quanto sia difficile per lui la convivenza con noi, e non viceversa. Ricordiamoci sempre che gli animali come gli umani sono esseri senzienti, non oggetti che possono essere utilizzati, violentati, derisi in quanto hanno veramente tanto da insegnarci. Cerchiamo di cogliere la loro intelligenza con l’osservazione, l’affetto e il rispetto per poter forse diventare migliori.

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*il Veterinario Angelo Rinaldi Medico Veterinario

E’ tempo di prevenzione! Filariosi cardiopolmonare

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a filariosi cardiopolmonare è una infestazione elmintica (Dirofilaria immitis) cosmopolita. Nel bacino del mediterraneo è presente nel Nord Italia, dove si trova la più estesa area endemica; in Francia, soprattutto nelle regioni meridionali; in Spagna, Portogallo, Grecia e Turchia. Dal punto epidemiologico tre sono i fattori che condizionano in maniera predominante la diffusione della filariosi cardiopolmonare (Dirofilaria immitis) e sottocutanea (Dirofilaria repens e Dipetalomena spp). I fattori ambientali quali l’elevata umidità e le temperature idonee allo sviluppo e alla attività dei culicidi (ospiti intermedi del parassita); la densità degli ospiti intermedi e la presenza di ospiti definitivi. Gli animali domestici più colpiti sono il cane, il gatto, il furetto e probabilmente la puzzola americana o skunk (Mephitis mephitis), inoltre tra gli animali da zoo più comuni la filariosi è frequente nelle otarie, negli orsi e in alcuni grossi felini. Il ciclo vitale della dirofilaria immitis consta di un ospite definitivo (il cane, il gatto, il furetto), dove il parassita adulto vive e si riproduce e un ospite intermedio (culicidi), che diffonde la malattia e nel quale il parassita agli stadi larvali si sviluppa. I parassiti adulti vivono principalmente nel cuore destro e nell'arteria polmonare. Il parassita adulto può vivere fino a cinque anni. I segni clinici non sono specifici della malattia, ma possono essere comuni ad altre patologie, soprattutto cardiopol-

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monari. In un primo tempo il soggetto colpito da filariosi manifesta un quadro che si definisce come "sindrome da minor rendimento" dove si osserva malessere, minor vivacità e minor resistenza allo sforzo fisico; tale situazione risulta più evidente in un soggetto sportivo, (cane da caccia o corridore), mentre in un soggetto da compagnia o sedentario la sintomatologia può risultare non evidente. Col tempo si vengono a determinare delle alterazioni cardiache anche imponenti, con grave compromissione dello stato fisico del paziente. A questo stadio si può osservare: dispnea, dimagramento, letargia, congestione polmonare, soffio cardiaco, ascite, tosse e morte improvvisa Nel gatto, sono frequenti decessi improvvisi non preceduti da segni clinici particolari o preceduti solo da un’intensa sintomatologia respiratoria. Spesso la malattia viene diagnosticata in sede di autopsia. Per la profilassi della filariosi cardiopolmonare a secondo della situazione possono venire somministrati prodotti per iniezione, per bocca o spot-on. Prima di effettuare la profilassi è buona norma effettuare un test per vedere se il soggetto ha comunque contratto la malattia. La frequenza con cui va ripetuto questo test è annuale, in quanto se si somministrano presidi per via

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orale possono venire sputati, vomitati o in seguito a problemi diarroici venire eliminati prima di un sufficiente assorbimento intestinale. Mentre con prodotti spot-on e con l’ iniezione (non esiste per il gatto e per il furetto) la non risposta potrebbe essere dovuta a una non corretta metabolizzazione del farmaco. Si ribadisce che il trattamento farmacologico non è una vaccinazione ma una terapia vera e propria che parte dal concetto di eliminare le forme larvali eventualmente presenti. Questo trattamento si effettua quindi quando sono presenti le zanzare, in genere da maggio ad ottobre, somministrando l'ultima dose dopo la scomparsa degli insetti. La prevenzione è molto importante, quindi risulta fondamentale rivolgersi al proprio Medico Veterinario di fiducia, anche soltanto per chiarimenti e consigli.


Cult

Castello di Pagazzano: dopo Warhol c’è Dalì

Una sorta di Tate Gallery nella Bassa: cento opere del maestro spagnolo in mostra dal 13 aprile. Dietro l'operazione c'è l'ex arbitro Mario Mazzoleni, presidente dell’omonima Fondazione con sede ad Alzano

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n altro grande colpo per il maniero più creativo della Bassa: d o p o Wa r h o l , Da l ì . A n c h e quest’anno il castello di Pagazzano ospita una mostra di notevole rilievo. È stato infatti reso noto venerdì 17 febbraio, all’inaugurazione della «Agri and slow travel Expo», a Bergamo Fiera, che a partire dal 13 aprile il castello ospiterà ben cento xilografie originali ed autografe

del famoso pittore spagnolo, raccolte ed esposte nella sala Capriate. Le opere, di proprietà della Fondazione Mazzoleni, riguardano tutte il capolavoro dantesco per eccellenza, La Divina Commedia. Durante la conferenza stampa di presentazione è inter venuto anche Mario Mazzoleni, presidente dell’omonima Fondazione: «Dopo l’esposizione di Andy Warhol dello scorso anno - ha precisato

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Mazzoleni - abbiamo deciso di occuparci di un altro grande nome, quello di Dalì. All’interno del castello, dal 13 aprile al 5 giugno, saranno esposte le cento xilografie acquerellate che narrano tramite immagini le tre cantiche dantesche. Titolo dell’esposizione sarà «La Divina Commedia interpretata da Dalì». È importante per noi sottolineare - continua Mazzoleni – la vivacità e l’intraprendenza del Comune nel coinvolgere le scolaresche per promuovere le proprie iniziative. Uno dei nostri compiti è quello di coinvolgere il maggior numero di persone possibile, in modo particolare rivolgendoci ai giovani». A parlare è stata anche Lidia Villa, responsabile dell’ufficio tecnico comunale che ha curato l’organizzazione della mostra: «Siamo partiti con questo progetto l’anno scorso quasi come una scommessa. Quest’anno puntiamo a ripeterci e migliorare grazie ad un evento tanto prestigioso». Salvador Dalí (1904-1989) è stato senza dubbio uno dei personaggi più eccentrici e rivoluzionari a livello artistico del secolo scorso. Pittore, scultore, scrittore, fotografo, cineasta, designer e perfino sceneggiatore, è conosciuto normalmente per essere il principale esponente del Surrealismo, movimento artistico nato a Parigi negli anni Venti. Tra le sue opere più famose si ricordano «La persistenza della memoria», del 1931, e «Sogno causato dal volo di un'ape», del 1944.

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Cult

Luberg e Confindustria giovani: serata all’insegna dell’imprenditorialità

Sperimentato a Palazzo del Monte, sede dell’associazione dei laureati dell’università di Bergamo, l’innovativo metodo gestionale LEGO® SERIOUS PLAY®.

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ono stati più di novanta i partecipanti che lo scorso 14 febbraio hanno animato la serata organizzata dal Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Bergamo e da Luberg per apprendere e sperimentare l’innovativa metodologia “LEGO® SERIOUS PLAY®”. All’iniziativa hanno aderito anche professionisti e rappresentanti dei Gruppi Giovani Imprenditori dell’Asso-

ciazione Artigiani di Bergamo, di Ance Bergamo e i giovani avvocati di Aiga con l’obiettivo di approfondire la conoscenza di questo nuovo metodo gestionale. « Il f o c u s s u l l a m e t o d o l o g i a L E G O ® SERIOUS PLAY® fa parte del più ampio progetto di collaborazione fra il Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Bergamo e Luberg – afferma Marco Manzoni, Presidente del Gruppo Giovani

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di Confindustria Bergamo - per sviluppare e sostenere l’imprenditività e l’imprenditorialità del territorio. In questo ambito rientrano questi appuntamenti formativi in cui è possibile sperimentare un approccio basato sull’esperienza concreta, sul “toccare con mano” per aiutare a far emergere idee innovative e a condividerle all’interno di un team per arrivare ad un concept unico». «Nella pratica - spiega il Presidente Manzoni - il facilitatore pone delle domande in funzione del tema scelto e ogni partecipante le elabora autonomamente sfruttando i mattoncini; le proposte di tutti vengono raccontate e diventano spunto per una riflessione comune ed una risposta condivisa. È un metodo che aiuta ad andare oltre gli schemi abituali, utilizzando processi di apprendimento “mente-mano” proprio come fa un bambino, per il quale il gioco è una cosa serissima.». «Ma il bambino - prosegue Marco Manzoni - ha il grande vantaggio di poter pensare liberamente, al contrario di noi adulti, spesso frenati dagli schemi mentali che rendono difficile la visione innovativa». Infatti, “questa metodologia - dettaglia ulteriormente Daniele Radici, facilitatore professionista Certificato dalla Association of Master Trainers in the Lego® Serious Play® methodology - aiuta a pensare, comunicare e risolvere problemi attraverso l’utilizzo dei mattoncini Lego®. Dirigenti, manager e dipendenti comunicano in maniera orizzontale, mettendo in gioco la propria immaginazione e facilitando la costruzione condivisa di processi risolutivi: il tutto per trasformare la conoscenza indivi-

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duale in capitale organizzativo». «Una modalità operativa trasversale continua Daniele Radici - in grado di lavorare su diversi aspetti come, ad esempio, per la creazione di una vision condivisa in un team di lavoro, la facilitazione del processo di innovazione di un prodotto/ servizio o la risoluzione di un problema complesso all’interno di un’organizzazione: il tutto per trasformare la conoscenza individuale in capitale organizzativo. Costruire soluzioni operative concrete, condivise e praticabili per risolvere i problemi in modo nuovo e, perché no, farlo anche in modo seriamente-divertente tramite la costruzione di modelli ad hoc al fine di sbloccare

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il grande potenziale che ogni persona ha dentro di sé». LEGO® SERIOUS PLAY®, nata e sviluppata internamente in Lego® a metà degli anni ’90 e adottata da istituzioni e società del calibro di Nasa, Microsoft, Boeing, Google e Novartis, è stata fin d’allora utilizzata per descrivere, creare e testare “business concept”, rientrando tra le tecniche di “exploration & innovation” utili per risolvere problemi più o meno complessi. «Ora la nostra sfida - conclude il Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria Bergamo Manzoni - è diffondere queste metodologie, di cui LEGO® SERIOUS PLAY® è un esempio, già adottate con successo in alcune grandi aziende anche nelle piccole e medie imprese, stimolandole ad un approccio culturale basato sulla condivisione dell’innovazione a vantaggio della continuità dell’impresa stessa». Uno dei principali vantaggi derivanti dall’utilizzo di LSP, infatti, è la facilità con cui si raggiunge un elevato engagement delle persone, trasformando i classici business-meeting “mono direzionali”, nei quali tipicamente il 20% delle persone parla e l’80% delle persone ascolta, senza interagire, in un’esperienza diversa e più “democratica” in cui tutti hanno a disposizione tempo per esporre le proprie idee, raccontare la propria “storia” e dare il proprio contributo.


Francesco Micheli

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Donizetti Opera, la star è Juan Flórez

Presentati i dettagli della seconda edizione. Oltre al grande tenore, da sottolineare la presenza dell’antropologo Marc Augé: leggerà il «Pygmalion» di Rousseau. Il festival si svolge in Città Alta dal 22 novembre al 4 dicembre

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estival Donizetti Opera, secondo atto. Si svolgerà in città dal 22 novembre al 4 dicembre e presenterà, accanto a due rari titoli operistici donizettiani e all’altrettanto inconsueto lavoro di Mayr – «Il borgomastro di Saardam», «Pigmalione» e «Che originali!» – altri tre grandi eventi internazionali: il recital del tenore star del belcanto, Juan Diego Flórez (nell’unico appuntamento in Italia per il 2017); la Messa di Requiem di Donizetti affidata alla bacchetta di Corrado Rovaris nel magnifico scenario della Basilica di Santa Maria Maggiore,

e ancora il primo melologo della storia, «Pygmalion» di Rousseau, letto dall’antropologo Marc Augé. Il festival DO2017 avrà un ulteriore punto di forza nello spostamento «forzato» in Città Alta, luogo che, con il suo fascino indiscutibile, saprà conquistare e legare a Bergamo il pubblico. Da alcuni mesi gli appassionati donizettiani di tutto il mondo chiedono di acquistare i biglietti per l’autunno 2017: anche per questo motivo si è deciso di anticipare notevolmente, rispetto agli anni passati, l’inizio della vendita.

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«Donizetti Opera – afferma il direttore artistico Francesco Micheli – è la lunga festa di compleanno che Bergamo offre a Gaetano Donizetti e al mondo; ed è da tutto il mondo che il pubblico accorre per celebrare un artista ancora così eloquente: lo hanno dimostrato la presenza nel 2016 del presidente della Repubblica Mattarella, l’entusiasta e generosa partecipazione di tanti bergamaschi, di oltre il 30% di pubblico straniero e di quei ragazzi che affollano le anteprime. A tutti, uno per uno, il nostro grazie e il nostro invito a tornare per il prossimo Dies natalis. Buon compleanno,

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Gaetano!». Anche nel 2017 il festival Donizetti Opera si snoderà infatti intorno al Dies Natalis (29 novembre) con due fine settimana dedicati alle recite operistiche che, – come è noto – andranno in scena tutte nel bellissimo spazio del Teatro Sociale, un luogo tutt’altro che «minore» rispetto al più grande teatro sito in città bassa, che sarà chiuso per restauri; il Teatro Sociale va anzi scoperto e amato come luogo particolarmente adatto all’ascolto della musica di Donizetti, soprattutto del repertorio giovanile e buffo, che poi è quello meno noto al pubblico e che si potrà vedere in scena soltanto a Bergamo. Con il supporto della sezione scientifica della Fondazione diretta da Paolo Fabbri, sono state scelte «Il borgomastro di Saardam» e «Pigmalione», due rarità che faranno nuovamente accendere i riflettori sulla città, impegnata verso una sempre maggiore identità con il compositore. «Donizetti Opera è un festival di respiro internazionale che ha conquistato in due anni uno spazio e una grande attenzione cittadina – afferma Nadia Ghisalberti, assessore alla Cultura di Bergamo – crescendo grazie all’ampio e inestimabile lascito musicale di Donizetti e agli sforzi della Fondazione a lui dedicata. L’Amministrazione esprime gratitudine e apprezzamento nei confronti del direttore artistico Francesco Micheli che ha rivoluzionato il compositore e tutti noi, e a Paolo Fabbri,

direttore scientifico straordinariamente competente e a tutti coloro che lavorano per Donizetti e con Donizetti, contribuendo a farne il concittadino più amato. Attendiamo con entusiasmo la nuova edizione del festival operistico che apre ancora una volta a nuove sfide, forte del sensibile incremento di pubblico registrato dalle ultime due edizioni, degli apprezzamenti della critica e dalla positiva e gioiosa ricaduta che ha avuto sulla città e sulla formazione dei giovani. Con il DO si realizza uno degli indirizzi di politica culturale più significativi: il riconoscimento di Bergamo come città di cultura europea e luogo di crescita e formazione culturale». Si c o m i n c i a c o n « Il b o r g o m a s t ro di Saardam» (24 e 26 novembre, 2 dicembre – anteprima under30: 22 novembre), melodramma giocoso la cui scelta deriva anche dai legami del soggetto con la storia russa, poiché il protagonista è lo zar Pietro il Grande: la Fondazione Donizetti partecipa, come è noto, alle celebrazioni per il 200° anniversario della scomparsa dell’architetto Giacomo Quarenghi e l’inserimento in programma di un’opera che lega il compositore orobico alla Russia è sembrato il contributo più pertinente che si potesse dare. La produzione ha poi un’impronta particolarmente «bergamasca» con la bacchetta di Roberto Rizzi Brignoli e con Davide Ferrario, celebre regista cinematografico di fama internazionale, molto legato alla

Davide Ferrario

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Juan FlÓrez

città e al Lab80, che debutta nella lirica. Il cast vede affiancati Andrea Concetti (interprete di carriera ormai conclamata, protagonista sui palcoscenici di tutto il mondo) a alcune voci che si stanno affermando in questi anni nel repertorio belcantistico come Giorgio Caoduro, Juan Francisco Gatell, Irina Dubrovskaya e Aya Wakizono. L’orchestra e il coro (affidato alla direzione di Fabio Tartari) sono quelli del festival Donizetti Opera, impegnati già dal 2016 nell’esecuzione dei lavori del compositore cittadino. «Il Borgomastro di Saardam», opera composta nell’estate del 1827, ci restituisce un giovane Donizetti già esperto nel creare situazioni teatrali, semplici ma d’effetto. L’intreccio celebra un atto di generosità dello zar Pietro il Grande in favore di Flimann che, insignito di un altisonante titolo, sposa l’amata Marietta. Il libretto, scritto da Domenico Gilardoni, è un perfetto esempio di opera buffa italiana sul quale Donizetti costruisce un discorso musicale elettrizzante con geniali interventi che si discostano dal canone musicale rossiniano, allora imperante. Proprio in quei sottili scostamenti dalle celebri e celebrate partiture di Rossini,


risiedeva la via per crearsi un posto di rilievo nel panorama operistico italiano dell’Ottocento, abitato da impresari più o meno rispettabili e capricciose prime donne molto pericolose. È così che, nell’Introduzione dell’opera, Donizetti introduce un pulsante ritmo di bolero e, nel Terzetto del primo atto, una miracolosa frase ai violini, distesa e lirica, che sarà una delle sue cifre stilistiche più apprezzate. La partitura serba altre gemme che allo spettatore toccherà scoprire. Il secondo titolo donizettiano sarà «Pigmalione», primo lavoro teatrale del giovanissimo compositore, proposto insieme alla farsa di Giovanni Simone

Mayr «Che originali!» (25 novembre, 1 e 3 dicembre – anteprima under30: 23 novembre): un dittico che nasce dalla comunanza di soggetti fra i due lavori che si basano sull’amore per la musica e l’arte. La scelta di affiancare Mayr e Donizetti vuole sottolineare il passaggio di testimone maestro-allievo: la produzione della prima opera di Donizetti darà il via al progetto Donizetti200, il cui obiettivo è quello di eseguire ogni anno un’opera che compie 200 anni. Protagonista del primo lavoro di Donizetti sarà il celebre tenore Antonino Siragusa, con Aya Wakizono nel ruolo di Galatea, mentre nel cast della farsa di Mayr saranno impegnati, fra gli

Aya Wakizono

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altri, Bruno De Simone e Chiara Amarù. Sul podio dell’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala salirà Gianluca Capuano, bacchetta italiana fra le più esperte oggi nel recupero delle prassi esecutive del passato. Regia, scene e costumi sono firmati invece da Cécile Roussat e Julien Lubeck, coppia di artisti francesi, già allievi di Marcel Marceau, che dal 2000 hanno sviluppato un linguaggio teatrale poetico e multidisciplinare ideale per le produzioni di teatro musicale, allestite su importanti palcoscenici europei. Nella farsa di Mayr, il Settecento illuminista viene messo alla berlina e Metastasio viene sbeffeggiato, il tutto con una musica nuova, brillante, libera e leggera. Gli effetti della rivoluzione francese si erano fatti sentire anche sui nuovi prodotti culturali, più critici nei confronti del passato e portatori di nuove istanze di pensiero, «originali» appunto! Pigmalione, composto da Donizetti nel 1816, è una «scena lirica» in un atto, così come il compositore stesso la definì, e rappresenta il suo unico esempio di teatro su soggetto mitologico. Un aneddoto molto significativo ricopre questa partitura di particolare importanza: Donizetti studiava all’epoca a Bologna e, nel settembre del 1816, ricevette la visita di Mayr. Proprio l’incontro tra i due portò alla realizzazione di questo atto unico, come una sorta di piccolo omaggio dell’allievo al maestro. Dalla farsa Che originali! verrà tratta l’opera «Il tormentone», destinata al pubblico delle scuole, con una nuova drammaturgia preparata da Lorenzo Giossi, gli allievi del Laboratorio sulla vocalità donizettiana, l’attore Simone Baldassarri, l’Ensemble dell’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala e il pianista Samuele Pala. In o c c a s i o n e d e l Di e s n a t a l i s ( 2 9 novembre) appuntamento con il repertorio sacro, cui Donizetti si è tanto dedicato: nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove riposano il compositore orobico e il suo maestro, Giovanni Simone Mayr, Corrado Rovaris – che torna a Bergamo dopo il successo di Anna Bolena riconosciuto anche dal Premio

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Marc Augè Abbiati della Critica Musicale italiana – dirigerà l’Orchestra e il Coro Donizetti Opera (maestro del coro Fabio Tartari) nella Messa di Requiem composta da Donizetti nel 1835 per la morte di Vincenzo Bellini. Il 30 novembre, al Teatro Sociale, un appuntamento che accompagna idealmente l’opera dei 200anni: «Pygmalion» di Jean-Jacques Rousseau, melologo (cioè prosa con intermezzi musicali) in un atto che, attraverso il riferimento classicista alla mitologia e alle Metamorfosi di Ovidio, esprime la convinzione del filosofo svizzero secondo cui l’arte e l’artista sono tutt’uno (come estremo approfondimento di una convinzione che già a partire dall’Italia del Rinascimento si era andata diffondendo). A dar voce a Bergamo alle parole del Rousseau filosofo sarà l’antropologo francese Marc Augé: in

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tal modo, almeno idealmente, si tenterà di erigere un ponte storico tra il filosofo dello «stato di natura» e l’antropologo del «non luogo», entrambi, a distanza di secoli, impegnati in un’attenta analisi critica del reale. La parte musicale sarà affidata a Ruben Jais e alla sua orchestra laBarocca di Milano. Il festival si conclude il 4 dicembre con un evento di grandissimo prestigio, un recital imperdibile, che si annuncia sold out e che farà arrivare a Bergamo appassionati da tutto il mondo: protagonista la star del belcanto Juan Diego Flórez, tenore che in vent’anni di carriera costantemente in ascesa ha ridefinito il virtuosismo vocale in tutti i principali ruoli di Rossini, Donizetti e Bellini, con un’agilità, una sicurezza e un’espressività senza precedenti in epoca moderna. Acclamato sui palcoscenici di tutto il

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mondo – ormai storici i suoi bis della donizettiana aria dei nove Do nella Fille du régiment al Met di New York o ancora i cinquanta minuti di applausi e sette bis per il recital del 2015 alla Scala – proporrà un programma dedicato al belcanto con un’attenzione particolare naturalmente a Donizetti, accompagnato al pianoforte da Vincenzo Scalera. Naturalmente le due settimane di festival saranno arricchite da una serie di attività collaterali, conferenze, concerti, che si svolgeranno ancora una volta grazie a una rete di felici rapporti con numerose realtà territoriali che vorranno unirsi per rendere la città di Gaetano Donizetti a misura di festival. I biglietti per tutti gli appuntamenti del festival sono in vendita online sul sito donizetti.org o su vivaticket.it, oppure presso la biglietteria del Teatro Donizetti.


Cult ura

L’Accademia Carrara riparte da Raffaello

Archiviato il benservito a Emanuela Daffra, il nuovo direttore Maria Cristina Rodeschini ha presentato un piano triennale centrato «sullo straordinario patrimonio che la Carrara conserva.Vi sapremo stupire»

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opo le polemiche per il benservito a Emanuela Daffra, l’Accademia Carrara riparte dalla concretezza di una programmazione scientifica ed espositiva da qui al 2020. Un piano triennale presentato venerdì 24 febbraio dal nuovo direttore, Maria Cristina Rodeschini. Come portare più pubblico alla pinacoteca? «Con delle opere ospiti che abbiamo già immaginato – ha esordito Rodeschini -, con tre appuntamenti dedicati a

Baschenis, per i 4 secoli dalla nascita, ad Anton Van Dick, di cui avremo un capolavoro, e soprattutto a Raffaello: è la prima mostra di livello internazionale che la Carrara dedica al mastro urbinate, con la specificità di poter partire dal nostro capolavoro, il San Sebastiano”. Tant’è che il titolo provvisorio che abbiamo dato alla mostra è “Raffaello attorno al San Sebastiano della Carrara”. Questo indica quindi che una grossa attenzione del museo sarà dedicata a iniziative e programmi che abbiano forte

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a cura della redazione

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Raffaello, "San Sebastiano"

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Botticelli, "Storia di Virginia Romana"

Evaristo Baschenis, "Strumenti musicali"

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Evaristo Baschenis, "Strumenti musicali e tendone verde"

pertinenza con lo straordinario patrimonio che la Carrara conserva». Alla presentazione c’era naturalmente il sindaco di Bergamo e presidente della Fondazione Accademia Carrara Giorgio Gori. Ha sottolineato che nel 2017 la struttura sarà sottoposta a aggiornamenti fondamentali, tra cui la risistemazione della barchessa di destra, grazie all’impegno gratuito – un dono, in sostanza - della Vitali. Per quanto riguarda il programma espositivo, la mostra dedicata a Raffaello si tiene dal 7 dicembre 2017 al 2 aprile 2018: verrà ospitata, per questioni di spazio, nelle sale espositive della Gamec, ma una delle sue sei sezioni rimarrà invece in Carrara. Poi l’arrivo di un capolavoro dal Prado di Madrid, del dipinto «La Storia di

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Lucrezia» di Botticelli dall’Isabella Stewart Museum di Boston per l’esposizione che si terrà ad autunno del 2018, e di altre chicche dalla National Gallery. Un altro prestito dalla Frick Collection di New York, una delle più importanti collezioni private del mondo, porta avanti la sequela di collaborazioni internazionali nella primavera 2019. In autunno una retrospettiva del bergamasco (di nascita) Simone Peterzano, «Tra Tiziano e Caravaggio»: si aprirà con una serie di opere di Tiziano, per proseguire in un percorso rettilineo, con quelle di Peterzano e con il primo Caravaggio. Progetti praticabili: la concretezza va di pari passo alla ricerca. E comunque si tiene alta l’attenzione del pubblico. «Abbiamo lavorato in continuità con la gestione precedente perché non

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sarebbe stato logico rivoluzionare tutto», ha annotato la Rodeschini. Sullo sfondo, un progetto che potrebbe vedere la luce tra 2019 e 2020, incentrato sul melodramma come identità culturale di una nazione. Il fulcro? Donizetti, ovvio. L’elenco è lungo, se si parla infine di progetto scientifico. Verrà realizzato un catalogo dipinti del ‘300 e ‘400, replicato nel 2018 in formato elettronico. Continuano i prestiti di opere della Carrara a istituzioni straniere di prestigio. Prosegue l’attività di restauro dei dipinti e l’impegno per un incremento del patrimonio attraverso depositi e donazioni. Nasceranno una rivista museale in formato elettronico e un premio internazionale intitolato a Federico Zeri.


Cult

Orto Botanico, sboccia la primavera

Il primo marzo ha riaperto il Lorenzo Rota, il primo aprile la Valle della Biodiversità ad Astino, inaugurata nel 2015 per Expo. Messi a dimora i tulipani, che daranno il meglio ad aprile. Oltre 50mila visitatori l’anno

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boccia la primavera. Si è «schiuso» il primo marzo l’Orto Botanico Lorenzo Rota, visitabile tutti i giorni dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 17; la Valle della Biodiversità di Astino, invece, ha aperto i battenti ad aprile. Non è facile arrivarci, alla sede storica di Città Alta, però ne vale la pena. Bisogna salire passo dopo passo i 141 gradini che lo separano dal traffico e dalla città. Arrivati in cima, si può godere di un luogo di pace ricco di biodiversità vegetale e da cui si godono ampi orizzonti su Prealpi e Pianura Padana. Durante l’inverno sono state risistemate le aiuole, il gazebo e la serra delle succolente, con nuova cartellinatura per identificare le piante. Sono stati messi a dimora i tulipani, che daranno il meglio di sé a metà aprile. Ma non di sole fioriture è fatto l’orto: «Il visitatore

ha la percezione dell’orto unicamente in determinate stagioni – ci dice il direttore, Gabriele Rinaldi -, invece solo la sequenza delle visite rende giustizia all’alternanza dei cicli delle piante. Il risveglio primaverile di marzo è stupendo, con fiori di scilla, ellebori, Edgeworthia, ma è interessante anche notare i segni ancora evidenti dell’inverno, del riposo, delle difese contro il gelo che le piante manifestano». Nonostante le sue dimensioni alquanto ridotte (circa 3mila metri quadrati), la posizione arroccata dell’Orto Botanico di Città Alta ha permesso la creazione di diversi habitat microclimatici favorevoli alla crescita di oltre mille e duecento specie. «Andremo ad ampliare il numero di quelle autoctone – spiega il direttore Gabriele Rinaldi – e allestiremo come ogni anno il Tropicarium». È un anno

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di consolidamento, in sostanza, in cui «cercheremo di diffondere ulteriormente il messaggio che il Lorenzo Rota vale visite ripetute su più mesi dell’anno, perché l’orto botanico cambia e val la pena vedere i passaggi di questo cambiamento». I visitatori, nel 2016, sono stati quasi 18 mila, ma si punta ad arrivare a 20mila. «Quando abbiamo aperto la Valle della Biodiversità ad Astino, nel 2015 – aggiunge Rinaldi -, per Città Alta si è registrato un calo fisiologico. Il numero in assoluto dei visitatori, però è cresciuto di parecchio: complessivamente siamo a quota 50mila e 800, lo scorso anno».

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