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ISSN 1826-1426
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CARBURATORI BERGAMO
INTERVISTE: Angelo Goffi Roberto Amaddeo Simone Rona e Roberta Rona Enrico Giannetto
FEBBRAIO / MARZO 2017
Anno 20 - N°1 Febbraio/Marzo 2017 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, LOM/BG In caso di mancato recapito inviare al CDM di Bergamo, per la restituzione al mittente previo pagamento resi. Prezzo euro 3,00
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ISSN 1826-1426
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Anno 19 - N°5 Ottobre/Novembre 2016 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, LOM/BG In caso di mancato recapito inviare al CDM di Bergamo, per la restituzione al mittente previo pagamento resi. Prezzo euro 3,00
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Aggiornamento al 12/01/2017
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Edito riale
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romuovere il dialogo fra le culture. Una sfida di alto livello per il professor Enrico Giannetto - formazione scientifica ma approdo umanistico - da un anno direttore del Dipartimento di Lettere, Filosofia, Comunicazione. Una sfida, tra l'altro, caratterizzata da una crescita del numero di iscritti ai corsi, grazie anche a scelte che vanno incontro con efficacia alla richieste del territorio (Lettere, ad esempio, ha inaugurato il curriculum dedicato alla Moda). E' lui il protagonista di questo numero della nostra serie di interviste ai docenti dell'ateneo con ruoli istituzionali. Personaggio interessante anche nella vita privata, il professor Giannetto: si definisce vegano animalista e anarchico tolstoiano, ha molte passioni ma «ha tentato di far coincidere il più possibile la dimensione del lavoro con quella di crescita esistenziale». Di coincidenza di passioni si può parlare anche per un altro dei personaggi che abbiamo incontrato, Roberto Amaddeo, figlio di Mimmo, fondatore del noto ristorante e consigliere delegato della Giunta Gori per quella Città Alta in cui è cresciuto: «Riuscire a diventare patrimonio dell'Umanità, ovvero ottenere il riconoscimento dell'Unesco, ci permetterebbe di esprimere tutte le nostre potenzialità: potremmo selezionare le tipologie merceologiche dei negozi e le caratteristiche architettoniche». Completano la nostra sezione di interviste Angelo Goffi, fondatore dell'Italcanditi Vitalfood di Pedrengo, che oggi soddisfa il 50 per cento della domanda europea di marron glacè, e l'avvocato Simone Rona, che con Roberta Rona ci racconta quali diritti hanno gli animali in condominio. Poi i soliti approfondimenti sulle aziende che si distinguono per eccellenza (Carburatori Bergamo, per fare un nome), rubriche scritte da autorità del settore, inaugurazioni, appuntamenti istituzionali e culturali. Buona lettura! e.lanfranco@inwind.it
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di Emanuela Lanfranco Direttore Responsabile
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Approfondimento
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Rumore di infanzia
ilano, leggo, è la città con uno dei tassi di natalità più bassi del mondo. Gulp. E di seguito leggo anche altri dati che mi allarmano per la loro incoerenza: molti giovani affermano di desiderare un figlio, forse anche due, e anche abbastanza in fretta, mentre chi diventa madre ha oggi, in media, 31 anni virgola 7. Ed è solo il 4,9% di ragazzi tra i 18-32 anni a dire che non vuole averne; sotto i 25 anni il 42% non utilizza alcun metodo contraccettivo durante la prima esperienza sessuale,
il 24% delle donne utilizza mezzi di contraccezione poco sicuri, in Italia l’uso della pillola è tra i più bassi in Europa (16,2%). Nel 2014, sono diventate madri 7.819 ragazze che avevano meno di 19 anni, tra queste più della metà vive nelle regioni del sud. Come interpretare questi dati contradditori che paiono utili solo a illuminare la complessità dei fattori che confluiscono nel dato statistico di natalità? Certamente possiamo rilevare poca educazione sessuale o forse la convinzione irragionevole che
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di Emanuela Lanfranco
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sia un figlio a segnare quell’emancipazione dalla famiglia d’origine che la crisi economica costringe a rimandare. Ma se ci si guarda in giro, di bambini se ne vedono pochi. Amici giovani mi raccontano esperienze molto diverse da quelle della mia generazione. Se “un tempo” (ma poco tempo fa: non ho l’età di Matusalemme!) fare dei figli, una volta sposati, era la normalità, oggi alla notizia di una futura maternità, il vissuto del gruppo di coetanei è quasi di imbarazzo “non vi vedremo più”; “ma siete sicuri che è il momento giusto?”; “come farete con una sola camera da letto?”; “e con il lavoro? Ci hai messo così tanto ad arrivare fin lì, e ora?” “Le baby sitter costano, agli asili nido devi essere veramente povero per poterci andare a un costo ragionevole e poi si sa i piccoli sono sempre ammalati…”. Infatti le culle sono vuotissime: 537. 242 nati nel 1999, 485.780 nel 2015, l’Italia è in quarta posizione tra i paesi con il più basso tasso di natalità al mondo, è al diciottesimo tra quelli con il più basso tasso di fecondità. E anche l’idea stessa di famiglia è cambiata: la dimensione media è di due persone mentre oltre quattro milioni di famiglie sono monoparentali,
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composte da un genitore che vive con uno o più figli, ci dice Smallfamilies, associazione delle famiglie a geometria variabile. Andando ai giardinetti, scopro che l’area bambini si è ristretta e quella riservata ai cani si è allargata. Non ce l’ho certo con i cani, ma qualcosa non va. E’solo una questione legata alla crisi economica? Non direi. Siamo perfino disposti a sopportare la recente rivelazione di Freud che ci fatto scoprire che i bambini sono esserini tutt’altro che innocenti, che cercano il piacere e che perfino esiste una sessualità infantile, ma quel che proprio oggi non ci va giù è la loro “differenza”, così lontana dalla media standard. Sono difformi dai parametri della nostra vita così regolare e ben organizzata di adulti, ci mandano per aria i nostri piani, ci obbligano a guardare le cose da un altro punto di vista, il che ci affatica. Sono, insomma, scomodi. E infine: fanno rumore, soprattutto perché siamo diventati incapaci di dettare le regole e dobbiamo urlarle. Così viene in mente il memorabile passaggio di un film. “Invece Ugo, tu lo chiami Ugo... chillo come sta vicino 'a mamma che se sta pe' move, "Ugo!" 'o guaglione non ha nemmeno 'o tiempo, capito? Po' fa 'nu
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passo, però "Ugo!", adda' turna' pe' forza perché 'o sient' 'o nome”. Era Massimo Troisi, in Ricomincio da tre (1981) a suggerire che un nome breve è la garanzia di un bambino ideale, che non fa guai e non si allontana troppo. Ugo sempre, Massimiliano mai: scappa intanto che lo chiami. Ecco, noi non vogliamo più fare i conti con i Massimiliani. A me viene spontaneo, andando controcorrente, spendere due parole sulle coraggiose donne che ancora oggi mettono al mondo figli, che accettano di rischiare (ogni gravidanza è una scommessa contro l’incerto), che perfino si rassegnano a diventare brutte per un po’, a ingrassare, che hanno il coraggio di sentirsi potenti, perché niente dà al genere umano il brivido e la responsabilità di sentirsi potente come la generatività, che accettano la croce della più tirannica delle dipendenze affettive, in tempi dove la regola vigente è l’autonomia del soggetto. Insomma che fatica nascere oggi! O troppo detestati, al punto di non essere chiamati al mondo, o troppo amati, al punto di essere educati a un delirio di onnipotenza che produrrà gravi danni: per fortuna che loro, i bambini, spesso sono forti abbastanza per sopportarci.
Sommario Editoriale Approfondimento
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cover story
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in Vetrina
Il consiglio di Mattarella agli studenti: «Cogliete l'occasione della cultura» Ristorante N.O.I., una gustosa novità «Coltivate principi etici e professionalità» Defibrillatori a Orio: «Aeroporto cardioprotetto» L'aeroporto festeggia l'11milionesimo passeggero
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vip & news
LA CREATIVITÀ
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Speciale
La dolce vita di Italcanditi Vitalfood «Una Città Alta migliore con l'Unesco» Animali e condominio «Molto positiva la tendenza degli iscritti. Crescono praticamente in tutti i corsi»
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interviste
SPOSI
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Speciale
Presente Futuro Luberg Cucina Spiritualità Motori Arte Cinema il Pensatore il Veterinario
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rubriche
Donizetti Opera: tutto esaurito, con tanti stranieri Samuele Bersani, ora la voce è tornata Al Donizetti arriva il miglior clown del mondo La «fotografia globale» di Mario Cresci Peter Hook, un mito della new wake La Trinità di Lolmo a Sant'Agostino
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cultura
L'officina che fa scuola agli americani Città dei Mille - anno 20 n. 1 Aut. Trib. n. 52 del 27 Dicembre 2001 Editore: AD Communication S.r.l. direzione@adcommunication.it www.adcommunication.it Direzione e Redazione: Viale Giulio Cesare, 29 Bergamo Tel. 035 35 91 011 www.cittadeimille.com Direttore responsabile: Emanuela Lanfranco Redazione: redazione@cittadeimille.com Abbonamenti: 035 35 91 011 1 anno - 15 euro
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L’officina che fa scuola agli americani
Un paio di volte all’anno i titolari organizzano dei corsi negli Usa finalizzati all’ottimizzazione delle centraline. Ma la vera novità di Carburatori Bergamo, con sede in via Grumello a Bergamo, riguarda l’uso di un nuovo banco prova di ultimissima generazione fornito dalla ditta tedesca Maha
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on l’obiettivo di potenziare i propri strumenti tecnologici, Carburatori Bergamo ha fatto un ulteriore passo in avanti. L’azienda, infatti, si è dotata di recente di un nuovo banco prova di ultimissima generazione fornito dalla ditta tedesca Maha, che tra l’altro è l’unica certificata dalle grandi case automobilistiche tedesche. La novità è stata messa in pista quasi tre mesi fa ed è andata ad affiancare l’altro Maha già in dotazione, che ha riscosso notevoli soddisfazioni nei titolari di Carburatori Bergamo, e il primo della serie denominato Bapro.
Quello nuovissimo che ha fatto il suo ingresso nell’officina a fine 2016 consente, tra l’altro, di misurare potenze elevatissime a livello di supercar, come ad esempio le Lamborghini e le Ferrari. I risultati di prestigio ottenuti da Carburatori Bergamo Srl, che da tre anni ha sede in via Grumello 32 a Bergamo, sono frutto del grande impegno e dell’esperienza maturata in diversi decenni dai protagonisti di questa azienda. Un percorso segnato da continue evoluzioni in quanto scandito sempre più da scelte mirate verso la tecnologia e l’innovazione.
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a cura della redazione
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Aperta nel 1981 da Giovanni Vendemiello, che tra l’altro è un patito delle macchine d’epoca, si è poi assistito ad un avvicendamento ai vertici dell’azienda poiché sono subentrati come titolari Marino e Andrea Vendemiello, rispettivamente fratello e figlio di Giovanni. Da citare una curiosità: Marino ha diciassette anni in meno del fratello maggiore e a sua volta altrettanti in più di Andrea. Ma il fondatore ha comunque mantenuto la sua preziosa presenza come consulente nella sede di via Grumello e sottolinea: «Una continuità che ci auguriamo risulti ancora longeva. Proprio per questo la ditta è in continuo sviluppo, sorretta da notevoli investimenti economici». Oggi offre la propria assistenza ad ogni tipo di auto, anche a quelle d’epoca, e alla preparazione delle vetture da competizione che si esibiscono nelle piste e nei rally. In quest’ultimo caso gli interventi riguardano l’allestimento elettronico e meccanico. Ma nell’officina si eseguono anche le autodiagnosi ufficiali delle case e i prova iniettori, oltre ad altri interventi che permettono di testare a 360 gradi tutte le vetture che transitano in azienda. Dei tre banchi prova di cui la ditta dispone, attualmente ne ha due attivi. Si tratta di una specie di fiore all’occhiello per Carburatori Bergamo che ha stabilito questo primato a livello nazionale. «Mi piace però sottolineare – dice Giovanni Vendemiello – che in Italia c’è un altro proprietario di un banco attivo come il nostro. Si tratta del carissimo collega Leonardo Liciardello, titolare dell’officina che sorge a Giarre, in provincia di Catania». Affrontando poi alcuni aspetti tecnici Marino Vendemiello precisa: «Questo banco prova di ultimissima generazione ci consente, ad esempio, di fare la pulizia dei fap senza andare per strada ma facendoli girare sui rulli. Ci sono poi tante altre operazioni impensabili da eseguire con un banco normale e soprattutto quelle rivolte a macchine potentissime che superano i 1.500 cavalli. Questo banco è un prototipo realizzato dalla Maha su nostra richiesta e in definitiva rappresenta per noi un premio che suggella tanti anni di attività». Dunque a livello di prestazioni può essere considerato un passo in avanti rispetto agli altri due pur validissimi banchi in dotazione
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alla Carburatori Bergamo. Non a caso è l’unico ad essere stato omologato da Audi, Mercedes e Bmw come strumentazione ufficiale. Da sottolineare, inoltre, che i due attuali titolari, Marino e Andrea, per ottimizzare al meglio il lavoro, diventato veramente tanto, si sono divisi i compiti: il primo si occupa della parte elettronica e l’altro di quella meccanica. Un altro segnale positivo viene dall’incremento di manodopera registrato negli ultimi decenni. Basti dire che di recente sono saliti a tredici i dipendenti dell’officina. «Evidentemente – dicono i titolari – non avendo avuto alcun tipo di crisi, nonostante emerga in molti altri settori, alla fine il lavoro ci ha premiato». La necessità di procedere all’acquisto del sofisticato banco prova, inoltre, la dice lunga sul tipo di clientela che contatta Carburatori Bergamo. «Fino a qualche anno fa – conferma Marino – arrivavano da noi persone residenti per lo più nella Bergamasca e nell’hinterland di Milano mentre oggi le richieste di prestazioni provengono fino da metà Italia e ancor più giù, per non parlare dei contatti che stiamo avendo con dei mercati stranieri tipo Germania, Svizzera e Francia. La cosa è abbastanza spiegabile se si pensa che attualmente siamo gli unici ad avere in Italia e in Europa tre banchi prova potenza, macchinari che ci consentono di simulare perfettamente la strada e soprat-
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tutto di ottimizzare al meglio tutto quello che già esiste su ciascuna vettura, comprese quelle da competizione». «Un buon motivo per rivolgersi a Carburatori Bergamo – conclude Marino Vendemiello – è che noi riusciamo a portare a termine operazioni che altri difficilmente possono fare in quanto disponiamo di particolari attrezzature, peraltro costosissime, e di tanta tecnologia. La nostra mission è dunque quella di consentire a una vettura di rendere al meglio». Lo sviluppo della tecnologia ha permesso di ottenere risultati impensabili rispetto al passato, ma non meno importante si è rivelato il patrimonio professionale che ha accompagnato questa evoluzione. In sintesi si può dire che il personale di Carburatori Bergamo sa molto bene dove mettere le mani. Tanto è vero che un paio di volte all’anno, di solito ad agosto e a dicembre, i titolari fanno dei corsi in America finalizzati all’ottimizzazione delle centraline. Strano ma vero, Carburatori Bergamo fa scuola agli americani.
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VETRINA
VIP
Il consiglio di Mattarella agli studenti «Cogliete l’occasione della cultura»
Inaugurazione dell’anno accademico davvero speciale, lo scorso 30 novembre, per l’Università di Bergamo: la presenza in Sant’Agostino del presidente della Repubblica, in città dalla sera prima per il concerto di Muti
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n’apertura davvero speciale, lo scorso 30 novembre, per la cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico 2016/2017 dell'Università degli Studi di Bergamo. Il 48 esimo. L’ospite intervenuto in Sant’Agostino è stato il più prestigioso a cui si possa ambire: il presidente della Repubblica. Sergio Mattarella ha parlato subito dopo l'esecuzione dell'inno nazionale da parte del Gruppo di ottoni dell'Istituto Superiore di Studi Musicali «Gaetano Donizetti». Ad apertura di cerimonia il rettore Remo Morzenti Pellegrini ha poi svolto la sua prolusione. Sono quindi intervenuti il rappresentante degli studenti,
Andrea Saccogna, e il rappresentante del personale tecnico-amministrativo, Rosalba Pellegrini. Philippe Daverio, ordinario presso la Facoltà di Architettura dell’università di Palermo, ha svolto la lectio magistralis dal titolo «L'Europa che vorremmo: quella della cultura». Quindi è arrivato il turno di Mattarella. Erano presenti il ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Maurizio Martina, il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, autorità, docenti e rettori di altri atenei. Il Capo dello Stato, prima di partire per Roma, ha visitato la Basilica di Santa Maria Maggiore, il Duomo e la Biblioteca Civica Angelo Mai
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recentemente restaurata. La prolusione del rettore ha sottolineato l’ampia sostenibilità economica e culturale dell’ateneo bergamasco grazie a un aumento notevole degli studenti: «Un ulteriore trend di crescita in positivo del 10% quest’anno – ha detto Morzenti – ci permetterà di articolare ancora meglio il nostro programma didattico, modulandolo sempre più in termini di risposta alle esigenze del territorio. Il tutto confluirà a breve nell’approvazione del nuovo Piano strategico triennale di Ateneo. Solo scegliendo di investire in cultura, come saggi e accorti mercanti di luce, potremo aspettarci di migliorare tutti noi e sconfiggere così quell’oscurità e quell’oscuran-
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tismo, che oggi sono purtroppo qualcosa di più che semplici metafore. Mi rendo conto che le mie parole possono forse sembrare eccessivamente idealistiche, se non addirittura utopistiche, proprio come il testo di Bacon. Sono tuttavia convinto che senza forti motivazioni, senza la capacità di proiettarsi in avanti con ideali in cui credere, difficilmente riusciremo a dare quei “lumi” di cui parlava Mascheroni e che i giovani si aspettano da noi. Noi, intendo noi istituzione universitaria, dobbiamo aver fiducia del nostro ruolo culturale e sociale, e dobbiamo credere di “poter illuminare il presente con idee per costruire il futuro”. E con questi sentimenti e auspici che dichiaro ufficialmente aperto l’Anno Accademico 2016- 2017, 48° dalla fondazione dell’Università degli Studi di Bergamo». (e.l.)
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Ristorante N.O.I., una gustosa novità
Acronimo di Nuovaosteriaitaliana, il locale in via Pitentino ha aperto lo scorso agosto. Ai fornelli Tommaso Spagnolo, che si può inserire nella nuova generazione di cuochi promettenti. A poco meno di 30 anni, vanta già collaborazioni importanti
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tmosfera intima e da bistrot. E s s e nz ia le ed elega nte. Un piccolo ristorante, N.O.I., acronimo di Nuovaosteriaitaliana, ma un po’ anche Nostraosteriaitaliana, aperto dal 16 agosto 2016. Nasce dalla passione incessante per il buon cibo e il buon vino, e dall’arte della accoglienza, di due amici, Guido e Tommaso. Esperienze diverse e il sogno di un ristorante in città. Sogno che 5 anni fa era già a tutti gli effetti un progetto, un obbiettivo, una certezza. Guido, in sala, e responsabile degli aspetti manageriali, si specializza negli anni nel settore accoglienza e turismo,
ed è tutt'oggi titolare di The Cityhub di piazzale Marconi, uno dei primi esempi in Italia di ufficio turistico privato, e di The Cityhub Real Estate, giovane e dinamica agenzia immobiliare che sta portando a Bergamo diverse novità nel settore. Tommaso è in cucina. Dopo il liceo rende la sua passione una professione, lavorando prima in ristoranti della città, Frosio e Saraceno, poi in Toscana dalla chef Valeria Piccini, fino a Londra, Dinner by Heston Blumenthal, e New York, presso il tristellato e terzo ristorante migliore del mondo, Eleven Madison Park. Il menù è veloce e snello. Varia quasi
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quotidianamente. Oltre alla selezione vini, una curata proposta di cocktail, anche in abbinamento. «Da N.O.I. mangiate l’Italia, sentite Bergamo e il suo territorio – dicono i due -, ma riscoprite anche sapori lontani. Non siamo fissati con il biologico, lo diamo per scontato, nel limite del possibile. Vogliamo sostenere il territorio senza dimenticare il gusto». (e.l.)
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«Coltivate principi etici e professionalità»
Questo l’invito rivolto ai frequentatori dei corsi dall’ispettore per gli Istituti di Istruzione della Guardia di Finanza, generale Luciano Carta, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. La cerimonia lo scorso 17 dicembre in Sant’Agostino
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ia ufficiale all’anno accademico 2 0 1 6 / 2 0 1 7 d e l l’ Ac c a d e m i a della Guardia di Finanza. La cerimonia d’inaugurazione si è tenuta sabato 17 dicembre, nell’aula magna dell’Università degli Studi di Bergamo, all’interno dell’ex Chiesa di Sant’Agostino in Città Alta. Hanno presenziato il presidente del Copasir, senatore Giacomo Stucchi, e l’ispettore per gli Istituti di Istruzione della Guardia di Finanza, generale Luciano Carta, nonché i magnifici rettori delle università di Bergamo, di Milano-Bicocca e di Roma-Tor Vergata, oltre a varie autorità nazionali e locali. La tradizionale prolusione è stata tenuta dal professor Ivano Dionigi, già rettore
dell’Università di Bologna, sul tema «Res publica: la parola più nobile», che nell’incipit ha enfatizzato la molteplicità di significati della parola «res». Nel corso della cerimonia, alla presenza anche dei frequentatori dei corsi di applicazione e speciali giunti dalla sede romana, sono stati premiati gli allievi risultati primi negli studi nei rispettivi corsi di accademia, nonché gli ufficiali risultati costantemente primi in graduatoria nell’arco del quinquennio di formazione. L’inaugurazione è stata, inoltre, l’occasione per premiare i vincitori del concorso «UniversitAccademia», aperto anche agli studenti dell’Università di Bergamo e Milano-Bicocca: premiate le
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migliori tesi di laurea triennale nelle aree giuridiche ed economiche. Al termine della Cerimonia l’ispettore Carta, invitando i frequentatori dei corsi a coltivare principi etici e professionalità, ha dichiarato ufficialmente aperto il nuovo anno di studi. (e.l.)
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Defibrillatori a Orio: «Aeroporto cardioprotetto»
Undici sono stati installati all’interno dell’aerostazione. Altri tre tra la pista e gli uffici direzionali. Funzionano con guida vocale, pronti per chiunque sappia riconoscere un attacco cardiocircolatorio
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’aeroporto di Milano Bergamo diventa «cardioprotetto», grazie all’installazione di 14 defibrillatori, di cui 11 all’interno dell’aerostazione. L’iniziativa, realizzata da Sacbo in collaborazione con Areu Lombardia, nasce dalla volontà di dotare le aree aeroportuali, in particolare il terminal passeggeri, di dispositivi che consentano di intervenire in modo tempestivo in caso di attacchi cardiaci. Si tratta di unità Dae (Defibrillatore Automatico Esterno), ovvero apparecchiature semiautomatiche maneggevoli e pratiche per un rapido intervento. I defibrillatori, proprio per le loro caratteristiche automatiche e per la guida vocale di cui sono dotati, possono essere utilizzati in caso
di emergenza, oltre che dagli operatori del 112, anche da chiunque riconosca un arresto cardiaco e voglia intervenire, offrendo così una maggiore tempestività nell’esecuzione delle prime manovre di soccorso. La scelta dell’installazione dei 14 defibrillatori è stata effettuata privilegiando la copertura delle aree aeroportuali maggiormente interessate dalla presenza di notevoli flussi dei passeggeri, nonché di alcune aree che si trovano molto distanti dal terminal. Oltre alle 11 unità posizionate in aerostazione, ne sono state previste una presso la centrale elettrica luci pista, una in area manutenzione nord e una terza nella palazzina uffici direzionali a Grassobbio. I defibrillatori sono collocati in punti facil-
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mente individuabili da tutti i passeggeri e dagli operatori aeroportuali tramite lo specifico cartello segnaletico che riporta il simbolo dell’apparecchio e la sigla Dae. Ogni unità è inserita in un’apposita teca dotata di un pannello informativo (in duplice lingua) sul quale sono rappresentate in sintesi le corrette modalità di utilizzo del defibrillatore. All’apertura della teca si attiva un allarme acustico dalla durata di circa 30 secondi. Con l’installazione dei defibrillatori si procede parallelamente alla formazione assolutamente necessaria - del personale preposto all’utilizzo, che sarà in possesso di attestato Blsd (Basic Life Support Defibrillation). (e.l.)
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L’aeroporto festeggia l’11milionesimo passeggero
Il nuovo record del 2016 è stato salutato nell’area check-in dell’aerostazione con la premiazione di un viaggiatore, il 29enne milanese Alessandro Galletti, in partenza per Mosca con il volo di Pobeda Airlines
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uova vetta raggiunta per l’aeroporto di Bergamo. Lo scorso martedì 27 dicembre ha salutato la quota di 11 milioni di passeggeri transitati in un anno, la più alta di sempre nella sua storia, consolidando la terza posizione nella classifica degli scali italiani dopo Roma Fiumicino e Milano Malpensa. Nel 2015 lo scalo di Orio aveva registrato 10,4 milioni di passeggeri. Il nuovo record è stato festeggiato nell’area check-in dell’aerostazione, con la premiazione di un passeggero, il 29enne milanese Alessandro Galletti, in partenza per Mosca con il volo operato da Pobeda Airlines. Alla cerimonia hanno presenziato il direttore generale Emilio Bellingardi e l’aviation director Giacomo Cattaneo.
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L’anno 2016 si è chiuso un consuntivo di 11.159.631 passeggeri, che corrisponde a un incremento del 7,26 per cento rispetto al dato 2015. Il migliore tra gli scali sul podio. Il risultato si è concretizzato pochi giorni dopo la consegna a Sacbo, da parte di Enac, della nuova versione del Certificato di Aeroporto, riferita al Regolamento Europeo n. 139 del 2014 e che attesta il possesso dei requisiti richiesti dal nuovo modello europeo, ottenuto dall’aeroporto di Bergamo dopo Roma Fiumicino e insieme all’Aeroporto di Venezia. Al nuovo massimo storico nel movimento passeggeri all’aeroporto si associa il dato annuale delle merci aeree, sempre più sostenute dalla crescita dell’e-commerce,
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il cui quantitativo si attesta a 117mila tonnellate, pure con contestuale diminuzione nei movimenti aerei cargo nell’ordine del 4,9% (corrispondente a 440 voli in meno operati nel corso dell’anno). Nel 2017 sono programmate 114 destinazioni servite dall’aeroporto di Bergamo, mentre il budget di esercizio prevede un incremento di fatturato nell’ordine del 9% rispetto al 2016, per un totale di oltre 135 milioni, e un margine operativo lordo di oltre 30 milioni. Previsti, inoltre, investimenti per circa 25 milioni, dei quali 5 dedicati alle infrastrutture di volo e 6,4 al completamento del parcheggio P3, la cui capienza passerà da 3.000 a 5.000 posti auto. (e.l.)
Più si fa, più vien voglia di fare Le arti manuali stanno spopolando. Dal ricamo al patchwork, dal découpage allo scrapbooking, dalla pittura alla decorazione di ceramica. E altro ancora. C'è anche una fiera dedicata: Creattiva, dal 2 al 5 marzo.
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a creatività legata alle attività hobbistiche, che impegnano mani e cuore, sta spopolando. Arti manuali, le chiamano, e ci si dedicano in grande maggioranza le donne. È un fenomeno sociale e di costume, ormai. Un fenomeno che attiva la creatività di venditori e appassionati, generando un circolo virtuoso che chi ci si dedica conosce a menadito: più si fa, più vien voglia di fare. E alle volte ne esce un piccolo capolavoro. C’è anche una manifestazione ad hoc dell’hobbistica, e a 360 gradi: Creattiva, che si tiene alla Fiera di Bergamo dal 2 al 5 marzo. Ma ci si può anche servire dai negozio di fiducia: quelli che vendono tessuti, ad
esempio, o mercerie e filati. In altro ambito, indispensabili un colorificio e una cartoleria; il target, dicevamo, è soprattutto femminile: alcuni settori come il modellismo e la lavorazione del legno appassionano e coinvolgono più gli uomini, altri come la lavorazione dei tessuti, il ricamo, il patchwork, il quilting, lo scrapbooking, le tecniche pittoriche e in genere le tecniche decorative sono generalmente più legati anche per tradizione alla manualità femminile. Gli stessi venditori sono gli attori di una fitta programmazione di corsi e laboratori didattici e di approfondimento sui temi di bricolage, decoupage, ricamo, modellismo, fai da te e molto altro.
Belle Ar ti Hobbistica Decoupage Dimostrazioni gratuite Giocattoli Ar ticoli Regalo Ar ticoli Stagionali Ricorrenze Centro Stampe E inoltre... Forniture a:
Negozi - Aziende - Uffici - Comuni - Scuole Via Borgo Palazzo, 205 - Bergamo Tel. 035 3884100 - Fax 035 236878 www.scuolaufficio.it - email: info@scuolaufficio.it Orario continuato da martedi a sabato dalle 9 alle 19 Lunedì solo per esercenti dalle 9 alle 19
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giungere alla foto o al layout del disegno progettato. Esempio: bigliettini, frasi in rilievo, fiori veri esiccati come quelli creati con le proprie mani, adesivi, ritagli di giornale, etc. Con la stessa tecnica dello scrapbooking si possono realizzare infinite varianti di lavori: diari, quaderni, cornici, biglietti invito, biglietti di ringraziamento, decorare scatole, bomboniere. Il decoupage, invece, è una tecnica decorativa; la sua parola deriva dal francese e indica l’azione di ritagliare. È una tecnica che risale al ‘500 e, dall’epoca vittoriana, e non ha fatto altro che diffondersi e diventare sempre più popolare non solo tra gli artisti, anche nelle case della gente comune. Il decoupage con carta parte da un ritaglio: scegliete la figura da sfruttare come decoro e ritagliatela con molta attenzione. La figura sarà poi trasferita sul supporto (di vetro, legno, plastica, metallo…) e fatta aderire grazie a una soluzione data da colla e acqua (in genere colla vinilica). Quando il decoro si sarà del tutto asciugato, sarà possibile fissare il ritaglio in modo definitivo eseguendo un’attenta laccatura o spennellando della vernice trasparente.
La predominanza di donne ed attività a loro è naturale: l’arte manuale domestica è da sempre donna. Non era Ulisse a tessere la tela, ma Penelope, quindi il ragionamento non fa un plissé. Incrociare gli uncinetti e i ferri da maglia sarà pure l’eredità di una società patriarcale, ma si rigenera oggi come passatempo declinato al piacere creativo. Inoltre, senza ricamarci tanto sopra, le appassionate assicurano che seguire con i punti i propri pensieri rappresenta un’ottima seduta di autoanalisi. Infine, altro sano retaggio dei tempi che furono, una donna presa dal tricot affascina sempre l’uomo alla ricerca di una femminilità semplice, rassicurante, laboriosa. Mai troppo rimpianta. Se poi la sciarpa che ne risulta è chilometrica o il maglione non arriva alla cintura, pazienza. Alcune attività citate, oggi molto diffuse, meritano una spiegazione. Come lo scrapbooking, un metodo per conservare un ricordo di storia in forma di fotografie contenuti in album decorati manualmente. Non ci sono delle vere regole per lo scrapbooking, è un hobby che nasce dall'amore per il mondo della carta. Biglietti, Inviti, bomboniere, album e molto altro ancora. Molte persone arricchiscono il proprio lavoro di scrapbooking con abbellimenti che includono ornamenti di vario tipo da ag-
Colorificio
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La dolce vita di Italcanditi Vitalfood
L’azienda di Pedrengo ha un fatturato da 100 milioni e non sente la crisi. Anzi. «Soddisfiamo il 50 per cento del fabbisogno europeo di marron glacè», spiega il fondatore Angelo Goffi. E la crescita continua
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essantamila tonnellate di produzione l'anno, un fatturato da 100 milioni di euro ed esportazioni in cinquanta Paesi sparsi fra Europa, America, Asia e Australia. È Italcanditi Vitalfood di Pedrengo, azienda leader nella produzione di canditi, marrons glacés, marmellate e semilavorati destinati all'industria dolciaria, fondata da Angelo Goffi nel 1963. Qualità della materia prima, impianti altamente tecnologici e rispetto per l'ambiente e le fonti rinnovabili sono del resto le cifre distintive di una politica aziendale che oggi fa di Italcanditi una delle aziende più solide e floride della provincia. Un successo italiano che ben testimonia la lungimiranza, l'impegno e la pragmaticità
dell'imprenditoria bergamasca, che poco lascia al caso, ma tutto deve all'operosità, alla serietà e alla ricerca. Un successo che è anche la rivincita di chi si è fatto da sé con coraggio, sacrifici, dedizione e fatica. «Ho iniziato a lavorare a 13 anni, nel laboratorio di mio padre, Alfredo Goffi, specializzato fin dal 1945 nella produzione di marrons glacés, marmellate e frutta candita. Nel frattempo ho continuato a studiare e mi sono diplomato in chimica industriale. Dopo il diploma ho anche insegnato a scuola per quattro anni mentre continuavo a lavorare con mio padre. È da lui che ho imparato i segreti del mestiere. L'idea di avviare un'azienda mia sviluppando ciò che avevo appreso è venuta nell'ottobre
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di Emanuela Lanfranco
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del 1963. Italcanditi è nata allora grazie all'aiuto economico di Bepi Bertoletti, che aveva la pasticceria in piazza Pontida, e di Pieramabile Micheli, che seguiva la parte amministrativa. Abbiamo iniziato con due capannoncini da mille metri quadri, tra frutta candita e confetture la produzione si aggirava sulle 1.100 tonnellate l'anno, destinate per lo più ai laboratori dolciari della Lombardia». Come si è sviluppata l'azienda nel corso degli anni? «In pochi anni lo stabilimento è cresciuto fino a occupare una superficie di 10mila metri quadrati. Le nuove abitudini alimentari legate al boom economico, in particolare la “merendina” confezionata, ha dato grande
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impulso al settore dolciario e alla Italcanditi. E l'azienda è diventata sempre più appetibile anche per investitori esteri». Si è anche diversificata la produzione? «Alla fine degli anni '70 è stata introdotta la divisione Ricerca e Sviluppo con l'obiettivo di realizzare semilavorati su misura per le aziende committenti. L'idea è risultata vincente e si traduce oggi in 6.700 ricette diverse in portfolio e 500 nuovi progetti sviluppati ogni anno da un team specializzato. A metà degli anni '80 è arrivato poi il primo impianto per la produzione industriale per la preparazione di creme idrate, che vanno a completare l'intera gamma di prodotti richiesti dall'industria dolciaria. Nella seconda metà degli anni '80, sulla
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scorta delle aziende lattiero casearie tedesche e francesi che hanno avviato la produzione di yogurt su larga scala, abbiamo poi aggiunto anche la produzione di semilavorati di frutta per yogurt». All'epoca ha dunque ricevuto offerte interessanti? «Nel 1980 la Swartown di Lubecca era interessata all'acquisizione di Italcanditi, che era ancora agli inizi, aveva un fatturato di 20 miliardi di lire. L'affare è però sfumato e la stessa cifra l'ho offerta io al dottor Micheli per essere liquidato. Nel 1998 è invece intervenuta la multinazionale francese Pernod Richard che ha acquisito l'Italcanditi al 52 per cento. Secondo gli accordi, dopo tre anni avrebbero acquisito anche il restante
48%; inspiegabilmente in quel periodo l'azienda registrò un calo di fatturato e fui io nel 2002 a ottenere di nuovo il controllo dell'intera azienda. Tornato in possesso della mia creatura, ho da subito coinvolto nella gestione i miei figli Maurizio e Patrizia. Oggi l'azienda è corteggiata da molte finanziarie che vorrebbero acquisirla, ma la famiglia non è disposta a cederla». Italcanditi dunque è tornata più che mai a essere un'azienda di famiglia... «Un'azienda di famiglia che si affaccia su un panorama internazionale. Proprio in vista di questo nuovo orizzonte nel 2002 è stato creato il marchio Vitalfood, che oggi affianca il nome Italcanditi. Di pari passo è iniziata una serie di investimenti molto rilevanti, il primo per la realizzazione di una nuova sede aziendale, in via Cavour, su un'area di 4.500 metri quadrati. Nel 2004 si è reso necessario un nuovo piano di investimenti
quinquennale, sono stati realizzati nuovi edifici industriali e nel 2006 sono state implementate le linee produttive di preparati di frutta per yogurt con nuovi sistemi di stoccaggio a -25 gradi. L'investimento più recente risale invece al 2013 ed è rappresentato da un impianto per la produzione di frutta semi candita, trattata con particolari procedimenti che permettono di mantenere il colore e il sapore originari». Oggi dunque come è strutturata l'azienda? «Vi sono cinque divisioni: frutta candita, marmellate industriali e farmaceutiche, frutta per lo yogurt e semilavorati, e creme per l'industria dolciaria. L'azienda occupa una superficie di 80mila metri quadrati e impiega circa 400 dipendenti. La produzione arriva fino a 300 tonnellate al giorno, il 45 per cento della quale è destinata al mercato estero. Un esempio: oggi Italcanditi Vitalfood soddisfa il 50 per cento del fabbi-
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sogno europeo di marrons glacès, pari a 700 tonnellate. Ciò è possibile grazie ai prezzi più concorrenziali sul mercato, ovvero agli investimenti tecnologici nell'impiantistica della produzione». Essere concorrenziali significa anche abbattere i costi di approvvigionamento energetico... «Dal 2009 stiamo promuovendo investimenti in politiche energetiche di tutela e sostenibilità ambientale. È stato adottato un piano di produzione di energia mediante impianti fotovoltaici, mediante il recupero del biogas proveniente dalla depurazione delle acque reflue dello stabilimento. Vi sono poi impianti a olio vegetale. L'impianto a biogas produce 500 kw di energia elettrica al giorno, 24 ore su 24. Farlo funzionare non costa nulla, per di più dallo Stato riceviamo 0,28 euro a kw. Il biogas viene recuperato da un impianto di depurazione
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delle acque tramite un sistema di microrganismi che filtrano ed eliminano le sostanze tossiche dell'acque. Il nostro impianto depura le acque anche per conto di altre aziende. Non spendiamo un centesimo nell'approvvigionamento di energia, anzi: i 4mila metri quadri di fotovoltaico fruttano 400 kw di energia, un mega viene ricavato da un motore alimentato a olio di colza, due mega da un impianto a gas di recente costruzione, più 500 kw dall'impianto di depurazione, in tutto 4 mega di corrente: 2,5 a uso dell'azienda, il restante 1,5 viene invece ceduto. Per far ciò sono stati però necessari investimenti considerevoli. Inoltre gli impianti sono a bassi consumi, ma con sistemi informatici sofisticati, che richiedono una gestione molto qualificata: sono otto i tecnici impiegati. Noi non abbiamo mai
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investito capitali all'estero, ma tutto ciò che abbiamo prodotto è stato reinvestito nell'azienda». La politica produttiva di Italcanditi Vitalfood batte anche la crisi? «A novembre la produzione è aumentata del 7,5 per cento, pari a 378 tonnellate in più, anche se c'è un segno meno nei volumi di produzione, dovuto anche alle diverse abitudini alimentari: si mangiano meno dolci, meno panettoni. Abbiamo dunque rimodellato l'organigramma aziendale incrementando il reparto commerciale per il quale abbiamo previsto uno stanziamento di 5-600 milioni. Stiamo sviluppando il segmento estero». Che progetti ha per l'azienda? «Realizzare una nuova grande sede. Noi oggi occupiamo area di 80mila metri quadri.
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Accanto al nostro stabilimento c'è l'area di una ditta chimica che ha chiuso, il terreno è disponibile ma richiede una bonifica da 50 milioni di euro. Vorrei acquisirlo per riunire tutti gli stabilimenti dell'azienda, oggi sparsi sui due lati di via Cavour, ma recuperare l'area è oneroso sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista della normativa». I figli continueranno la tradizione di famiglia? «Chissà. Oggi non sei più sereno e la burocrazia fiacca lo spirito imprenditoriale. Inoltre non c'è più la professionalità di un tempo, e ciò è sintomo di una decadenza generale del nostro Paese. L'istruzione e il senso del dovere sono spesso purtroppo carenti».
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«Una Città Alta migliore con l’Unesco»
Roberto Amaddeo, figlio di Mimmo, fondatore del noto ristorante, è consigliere delegato della Giunta Gori. «Diventare patrimonio dell’Umanità ci permetterebbe di esprimere tutte le nostre potenzialità»
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è un museo storico, né un centro commerciale a cielo aperto. Città Alta è una città viva e deve continuare a esserlo. Pena il suo futuro. È questa la sfida che l'Amministrazione Gori e Roberto Amaddeo, suo consigliere delegato all’area dentro le mura venete – nonché al progetto Unesco per quelle stesse mura hanno raccolto. Figlio di Mimmo, fondatore del notissimo ristorante di via Colleoni, Roberto Amaddeo in Città Alta ci è nato e cresciuto. Le sue strade, la sua gente, la sua storia sono nel
suo Dna e non è un caso che il sindaco Gori abbia voluto assegnare proprio a lui il difficile compito di salvaguardare e rilanciare il cuore più antico e glorioso della città. Cosa significa «una politica per Città Alta»? «Vuol dire tracciare un quadro complessivo che tiene conto di tutte le sue funzioni: commerciali, abitative, di quartiere, di sede universitaria, dell'associazionismo e della crescita del turismo. La sfida è mantenere attrattivo questo luogo perché solo così può davvero continuare a vivere. Il turista che
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di Emanuela Lanfranco
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arriva in Città Alta deve voler dire: io qua vorrei vivere. Quando vede i bimbi andare a scuola deve pensare: questo è un posto vivo». Come si concretizza questa politica? «Dobbiamo combattere perché le scuole restino, le case popolari restino, le funzioni vitali di un quartiere restino. E non è facile, perché purtroppo l'accesso a Città Alta non è semplice, le infrastrutture, parcheggi e ascensori, sono inadeguati». C’è un rischio di spopolamento? «Demograficamente Città Alta è stabile: conta duemila abitanti circa, che diventano tremila se si comprendono i colli. Però perde pezzi piccoli ogni anno. Oggi spicca una concentrazione di cinquantenni, monofamiglia e con un reddito abbastanza alto. Sono quasi il 45 per cento. Nonostante questo, ci sono però ancora 101 appartamenti comunali, che sono rappresentativi di un tessuto sociale misto». Quale futuro immagina per il commercio? «Se non si fa di tutto per mantenerlo
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legato alle iniziative culturali e sociali di Città Alta, le prospettive rischiano di non essere incoraggianti. Penso per esempio al biglietto dell’Atb rimborsato ai clienti che spendono almeno 20 euro. Se ne spendono 40 il commerciante dona invece 1 euro al progetto Spazio compiti della Parrocchia, in cui l’oratorio fa fare i compiti ai bambini. Se spende 60 euro il cliente riceve in omaggio un biglietto del museo civico e del museo storico. Valore commerciale che diventa valore ambientale, ma anche valore sociale, in modo che tutto faccia parte di un unico sistema integrato. Questa è la filosofia che anima le Politiche di Città Alta: tenere assieme tutte le sue funzioni in modo che il tessuto sociale non si sgretoli». Quali sono gli attori di questo sistema? «Prestigiosa è l'Università, importantissima la cooperativa di Città Alta (Il Circulì), che ha recuperato uno spazio prezioso come le ex carceri di Sant’Agata: fa da bar ai vecchietti, ma al tempo stesso ha ridato vita a uno
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spazio fondamentale assumendo così una importante funzione sociale». E le azioni concrete? «Molteplici. Un'iniziativa che stiamo adottando con il Comune è tenere i parchi aperti, soprattutto per le famiglie e per le scuole. Il parco della Crotta per esempio era chiuso. Poi da febbraio la cooperativa si allarga dentro Sant’Agata, andando a recuperare un altro migliaio di metri quadri, spazi da destinare a funzioni sociali e culturali. Anche la differenziata è partita in Città Alta, nonostante i tanti locali che producono rifiuti organici. E poi penso allo spazio del Carmine, preso in gestione dal Ttb, il Teatro tascabile di Bergamo, che ne ha fatto uno spazio culturale. Città Alta dunque vive soltanto se non è un mero centro commerciale. Non basta la bellezza monumentale, ci vuole l’anima». Questo piano ha un riverbero sulle politiche abitative? «In Città Alta ci sono cinquanta appar-
tamenti comunali a Edilizia residenziale protetta, che non sono stati assegnati perché sono messi male: si trovano all'ultimo piano. Città Alta ha una popolazione mediamente anziana e chi, con il sopraggiungere di acciacchi, non può fare tante scale è costretto ad andarsene. Positivo di contro il fatto che a San Lorenzo ha aperto un piccolo market, ma serve di più per farla vivere». Qual’è la soluzione dunque? «Vorremmo togliere questi appartamenti dall’Erp a dieci alla volta e assegnarli a persone che li possano ristrutturare. Abbiamo iniziato con l’Università, che presto sistemerà i primi sei appartamenti acquisiti. Ci metterà gli studenti. Si tratta di un patrimonio del Comune che si rimette in moto, si rivitalizza con una popolazione giovane e il conseguente aumento di abitanti aiuta a fermare il declino». Una città viva è anche una città ordinata...
«La Giunta comunale destina ogni anno a Città Alta circa 10 milioni di euro. Via Tre Armi, via Monte Bastia, via San Vigilio: tutte strade che hanno bisogno di essere sistemate. Pensiamo ai muretti, ai parapetti. L’attenzione verso la manutenzione è fortissima. Il parcheggio di piazza Mascheroni è invece ancora una nota dolente. La piazza è stata liberata dalla auto, ma si attende il progetto del parcheggio di via Fara, che ci permetterà di liberare dalle auto altre piazze. Un altro grande progetto riguarda l’Unesco: dovrebbe dare a Città Alta un percorso di autostima forte». In cosa consiste il Progetto Unesco? «Se indirizziamo tutte le potenzialità che abbiamo alla valorizzazione del patrimonio che abbiamo, otteniamo senza grandi sforzi la caratterizzazione di quella città fortificata e viva che Unesco auspica. Unesco vuole una città viva, che sappia cosa sono le mura,
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le viva e le rispetti. Diventare patrimonio dell'Umanità - siamo l'unica candidata italiana - ci consentirebbe inoltre di derogare da alcune norme commerciali, alle quali oggi non possiamo derogare per via della liberalizzazione delle licenze. Potremmo così selezionare le tipologie merceologiche e le caratteristiche architettoniche dei negozi. Oggi Città Alta è zeppa di ristoranti, trattorie, pizzerie e locali dove si mangia. Vi sono yogurterie e altri locali in mezzo alla strada... Si potrebbe così progettare una città rispettosa, così come ha fatto Firenze». Su cosa verte? “Promuovere in un’ottica trasnazionale le mura venete come peculiare opera di fortificazione e di difesa dal 1500 al 1700. Il sito seriale transnazionale coinvolge tre Stati, l'Italia, la Croazia e il Montenegro e tre regioni italiane: la Lombardia, il Veneto, il Friuli, e undici città, delle quali Bergamo
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è capofila. Uno Stato di terra e di mare». Come nasce il progetto Unesco? «Il progetto nacque nel 2007 con l'Amministrazione Bruni, su iniziativa dell'allora assessore al Patrimonio Francesco Macario, dell'assessore alla Cultura Fusi, dell'ex direttore della biblioteca “Angelo Maj” Orazio Bravi, e del professor Carulli, la memoria storica di Bergamo. Furono loro ad avere l'intuizione di non candidare le mura in sé, ma l'opera di difesa veneziana in un’ottica transnazionale. La Giunta Tentorio, succeduta all’Amministrazione Bruni, ha costituito l’associazione “Terre di San Marco”, che ha coinvolto le istituzioni della città, il Comune in primis, l'Università, la Camera di Commercio, il Credito bergamasco, la Sacbo, la Provincia e la fondazione Bergamo nella storia. Il progetto è stato quindi ereditato e sostenuto dall'Amministrazione Gori, che tramite l’associazione, presieduta dall'onorevole Cosima Roncalli, ha il compito di accompagnare la candidatura a Cracovia il prossimo giugno». Un sistema integrato significa commercio e cultura insieme... «Abbiamo messo in campo una serie di iniziative fra commercianti e attori
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culturali: dalla festa del casoncello, a “Mi illumino di meno”, al festival di Donizetti, in un disegno di coesione sociale. Questo progetto dovrebbe portarci a dialogare con tutte queste città, accumunate da un'eredità culturale comune. “Dove c'è il leone c'è Venezia. Siamo tutti terra di San Marco”». Questo progetto ha anche il sostegno degli artisti bergamaschi... «Anche il maestro Mario Donizetti ha donato un disegno che ritrae le porte con
il leone di San Marco, che è diventato il logo dell'associazione “Terre di San Marco”. Due parole sulla polemica sui parapetti delle mura sorta su Facebook. «I parapetti risalgono a duecento anni fa e sono stati rifatti migliaia di volte, anche peggio di come sono stati rifatti stavolta, in alcuni casi addirittura con il cemento. Il rifacimento attuale riguarda un tratto di duecento metri, rifatto grazie a un fondo Cariplo di 300mila euro, che andava invelogo Terre di San Marco, disegno di Mario Donizetti
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stito entro il 2016. I parapetti vecchi sono stati demoliti recuperando la pietra arenaria, che oggi non è più disponibile, in sostituzione abbiamo trovato la pietra di Sarnico». Infine il parcheggio alla Fara... «La vicenda parte nel 2001, sotto la Giunta Veneziani, con una convenzione a favore di chi costruisce e l'idea di fondo che lì debbano parcheggiare i residenti. Le condizioni di mercato oggi sono cambiate: due aziende sono fallite, ma rimane la convenzione. Tentorio, Bruni e Gori non hanno potuto far nulla. Se avessimo la possibilità di eliminare la funicolare risolveremmo il problema, ma è vincolata e non si può. Oggi Città Alta ha circa 230 posti auto. Col nuovo progetto del parcheggio alla Fara saranno in totale 350 posti. Cinquanta, 60 posti per residenti, gli altri a rotazione per i non residenti. Si potrà entrare in parcheggio solo se si ha il posto per parcheggiare. Il sistema collega telecamere e pagamento dei biglietti».
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Animali e condominio
La presenza d’animali spesso è causa di contenziosi tra condomini. Molto spesso si tratta d’esagerazioni frutto d’acredini tra umani, in cui gli animali hanno pochissima responsabilità e ne fanno tuttavia le spese. A colloquio con l’avv. Simone Rona e Roberta Rona
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on la riforma del condominio, com’è cambiata la disciplina della presenza di animali domestici? Prima della riforma avvenuta nel 2012 i regolamenti condominiali potevano impedire ad un condomino di tenere nel suo appartamento animali domestici; oggi ciò non è più possibile, perché la legge “vieta di vietare” la detenzione di animali domestici. Questo è quanto afferma l’art. 1138 del c.c. cosi come riformato dalla legge 220 del 2012 denominata “Riforma del Condominio”, in vigore dal 18/6/2013.
Da sempre si è discusso se i regolamenti condominiali potessero vietare di tenere nel proprio appartamento animali di compagnia: adesso è finalmente intervenuta la legge a regolamentare tale diritto. Cosa accade in caso di regolamenti ancora in vigore che vietano la presenza di animali domestici? Sul punto, che rappresenta uno degli aspetti più problematici della riforma, si registrano opinioni discordanti. Alcuni ritengono che il nuovo art. 1138 ult.co. possa valere solo per i regolamenti futuri, e quindi un
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di Liutprando
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divieto di detenere animali contenuto in un regolamento precedente alla riforma rimanga valido. Altri invece sono dell’idea secondo cui qualunque divieto alla detenzione di animali deve intendersi caducato con l’entrata in vigore della riforma, configurandosi una forma di nullità sopravvenuta delle clausole contrarie al nuovo disposto normativo. Solo quando si formerà un po’ di giurisprudenza sul punto forse tale “impasse” verrà superato. Noi preferiamo propendere per la seconda tesi stante lo spirito della riforma. Le novità riguardano indistintamente appartamenti e aree comuni o ci sono disposizioni diverse a seconda della zona? La novità normativa riguarda direttamente solo gli appartamenti, nel senso che prima era possibile vietare ad un condomino di tenere animali nella propria abitazione privata, ora non più. La disciplina delle aree comuni, non espressamente interessata dalla riforma, ne viene comunque indirettamente influenzata, posto che, non essendo possibile vietare la detenzione di animali in appartamento, non sarà nemmeno più possibile impedire al condomino possessore di animali di usufruire della parti comuni insieme al suo animale. Quali limiti si possono riscontrare oggi
alla luce delle novità in materia di detenzione degli animali? Anche nel vigore delle nuove regole introdotte dalla Riforma, il diritto di tenere nel proprio appartamento animali di compagnia non può essere illimitato, ma dovrà essere esercitato in modo da non violare le normali regole che governano la vita di una collettività come quella condominiale. Più nello specifico, la possibilità di tenere un animale all’interno del proprio appartamento non significa che lo stesso potrà essere lasciato libero nelle parti comuni dello stabile, emanare cattivi odori o emettere in continuazione rumori molesti senza che alcuno possa obiettare: occorre, infatti, rispettare le comuni regole di sicurezza e di buona educazione, impedendo che lo stesso possa causare danni a persone o cose. Sono sanzionabili, infatti, le condotte che provocano il deterioramento, la distruzione, o che deturpano o imbrattano cose mobili o immobili altrui ( art. 635 c.p. "danneggiamento", art. 639 c.p. "deturpazione" o imbrattamento di cose altrui"). E' quindi importante educare il proprio animale ad avere una condotta rispettosa degli spazi comuni e seguire nei rapporti con i condomini le regole della civile convivenza. I casi in cui il Giudice o l'Autorità Sani-
taria possono imporre l'allontanamento degli animali sono davvero rari e possono verificarsi solo quando vi siano comprovati motivi di ordine igienico. Il regolamento condominiale può dunque prevedere limitazioni al diritto di detenere animali in casa, solo in caso di giustificate e gravi ragioni igienico-sanitarie: può, ad esempio, limitare il numero di animali detenibili nelle singole unità immobiliari, oppure limitare l’accesso degli animali in alcune zone comuni individuate, purchè tali limiti non siano talmente stringenti da impedire, di fatto, la detenzione di animali, in violazione della norma di legge. La normativa è invece rimasta identica riguardo i rumori molesti causati dagli animali, come l’abbaiare dei cani causa di molteplici controversie? Sì, sul punto non vi è stata alcuna modifica. Il principio, a più riprese affermato dalla giurisprudenza, è che l’abbaiare del cane configura molestia solo se anomalo, in quanto incessante o tale da disturbare il riposo notturno; l’abbaiare fisiologico del cane (ad es. quando passa il postino) deve invece essere tollerato dai vicini. Infatti l'abbaiare del cane non può essere considerato un disturbo alla quiete ( ex art. 659 c.p.) fino a quando le lamentele non
vengono fatte da un gruppo indeterminato di persone. Una sentenza ( Corte di Cassazione 1349 del 06/03/2000) ha stabilito che " se gli ululati non disturbano una pluralità di persone, ma ad averne fastidio è il vicino di casa, è inutile querelare il padrone per disturbo alla quiete pubblica in quanto il disturbo non coinvolge che un solo nucleo familiare". Abbaiare è un diritto esistenziale: lo ha stabilito il Giudice di Pace di Rovereto in una sentenza emessa a seguito di una richiesta di risarcimento inoltrata da un uomo nei confronti del suo vicino di casa con due dobermann. Lo stesso giudice ha dichiarato lesivo dei diritti dell'animale l'uso dei collari anti-abbaio ( collari a pile che emettono suoni ad alta frequenza quando il cane abbaia, facendogli abbassare il volume). L’abbaio del cane è un diritto esistenziale, ed un modo per comunicare con gli umani e altri animali. Occorre però non dimenticare come l'insistente abbaiare del cane in nostra assenza potrebbe nascondere un profondo disagio o addirittura un comportamento patologico come stress da ansia da separazione. E' necessario quindi non sottovalutare i segnali che ci giungono dall'animale poiché potrebbero essere un
indice di un equilibrio psico-fisico alterato, aiutarlo a recuperare la serenità. Un esempio pratico: Il figlio di Tizia, mentre giocava nel cortile condominiale, è stato morso dal cane del Sig. Caio . Il Signor Caio è responsabile dell’accaduto? Il fatto di consentire ai condomini di tenere nel proprio appartamento gli animali domestici, non implica che gli stessi possano essere lasciati liberi negli spazi comuni, in quanto possono rappresentare un pericolo per altri animali, cose e persone. Ovunque il cane possa incontrare soggetti terzi, è bene che sia tenuto al guinzaglio e con la museruola a portata di mano, in modo da poterla applicare all’occorrenza. Da sottolineare, inoltre, che l’art. 672 c.p. configura tre fattispecie criminose: “lasciar liberi, custodire senza le debite cautele e affidare a persona inesperta” gli animali, sono comportamenti che determinano la nascita della responsabilità per omessa custodia del soggetto a cui era stato affidato l’animale. Cosa fare se si dovessero ricevere delle minacce? Se un condominio o un vicino rivelasse l'intenzione di nuocere al cane o al gatto, anche se non di proprietà, o di manifestare propositi di avvelenamento è possibile presentare una denuncia - querela alla
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Polizia Municipale, alla Polizia di Stato, ai Carabinieri, o al Corpo Forestale dello Stato per "minaccia" ex art. 612 c.p. che punisce a querela della persona offesa "chiunque minacci ad altri un danno ingiusto", in relazione all'art. 544-bis del codice penale ( uccisione di animali). All’indomani dell’approvazione, era emersa la possibilità che sotto la dicitura “animali domestici” fossero inclusi anche animali come mucche, asini, e qualcuno aveva avanzato il rischio di “condominio fattoria”, mentre non sarebbero inclusi alcuni volatili comunemente tenuti nelle abitazioni…si può tracciare un breve elenco delle specie che non potranno incorrere in divieti di accesso ai condomìni? Il problema nasce dal fatto che la legge non definisce la nozione di animale domestico. In mancanza di una definizione normativa, si fa spesso riferimento alla nozione della scienza veterinaria, che include tra gli animali domestici anche quelli da fattoria, mentre esclude i cd. esotici come conigli nani o tartarughe da acqua. Ai fini dell’applicazione della nuova norma, per animale domestico va invece inteso l’animale da compagnia, cioè quello che ragionevolmente e per consuetudine è tenuto in appartamento per ragioni affettive.
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Inter vista
«Molto positiva la tendenza degli iscritti. Crescono praticamente in tutti i corsi»
Da un anno il prof. Enrico Giannetto è direttore del Dipartmento di Lettere, Filosofia, Comunicazione. Dice di sè: ho tentato di far coincidere il pù possibile la dimensione del lavoro con la crescita esistenziale
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uali impegni ha dovuto affrontare dall'ottobre del 2015 nel suo nuovo ruolo? Sono stato eletto direttore solo a fine gennaio 2016, dopo le dimissioni del mio predecessore. Proprio per questo, tutti insieme abbiamo dovuto fronteggiare una ricomposizione delle varie anime del dipartimento, che avevano vissuto una conflittualità. Gli impegni ulteriori sono stati molti, in parte quelli tradizionali di ogni anno per qualsiasi dipartimento, come lo stabilire un’offerta formativa (per l’anno
2016-17) il più coerente e accattivante possibile. Tuttavia, abbiamo dovuto affrontare la nuova situazione creata dall’unione di Lettere e Filosofia con Comunicazione, che prima era presso il dipartimento di Lingue e Letterature straniere. Le sfide lanciate in tal senso e quelle vinte? Prima di tutto, c’è stata la volontà di gestire il dipartimento collegialmente, inaugurando una nuova maniera di fare il direttore: “dirigere senza dirigere”, cioè senza esercitare un’autorità, un potere; ma effettuando solo un servizio. La sfida principale è poi quella
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a cura della redazione
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di caratterizzare il dipartimento come una vera comunità di ricerca, di didattica, di impegno sul territorio, con progetti comuni o coinvolgenti sempre più persone o gruppi in interazioni transdisciplinari. Per me, che ho una formazione di fisica teorica e che poi ha lavorato soprattutto in storia della scienza, questa è una sorta di vocazione, entusiasmante: sono arrivato qui a Bergamo dall’Università di Pavia, dove lavoravo in un dipartimento di fisica. Superare la divisione fra le due culture, scientifica e umanistica soprattutto per una formazione nuova per le nuove generazioni: fare oltrepassare gli steccati culturali, ma anche i limiti di ogni cultura e i relativi etnocentrismi. La sfida del dipartimento, che contiene anche un corso di studio di filosofia che rappresenta in qualche modo la possibilità di sviluppare un’autoconsapevolezza per la propria esistenza, non può che essere la sfida della nostra società: il dialogo fra le culture, fra le varie forme di vita. La sfida è quindi transculturale, riguarda il nostro modo di esistere, di essere-nel-mondo, di costituire una nuova umanità, fondata su una nuova etica universale del rispetto della vita. Ma questo è un impegno educativo-formativo continuo, che non può essere valutato nell’immediato.
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Troppi laureati in facoltà umanistiche, che faticano a trovare sbocchi lavorativi: in un'epoca di internazionalizzazione come rendere ancora appetibile la laurea in filosofia? Che io sappia, il problema degli sbocchi lavorativi non riguarda soltanto o soprattutto le aree umanistiche e il nostro impegno, ancora prima che procurare sbocchi lavorativi, è quello di formare uomini nuovi. Se perdiamo di vista questi obiettivi primari, allora sì che tutto perde di senso. Comunque, la laurea magistrale in scienze filosofiche che dovrebbe partire nel 2018 dovrebbe nascere come inter-ateneo con l’Università di Pavia, rafforzandola notevolmente. E, ancora di più, abbiamo appena concluso un accordo con importanti docenti dell’Università di Oxford che verranno a tenere dei corsi da noi per la laurea magistrale, con questa caratterizzazione internazionale che prevede scambi reciproci di studenti. Questo, oltre a valorizzare anche la laurea triennale, dovrebbe innanzitutto richiamare, presso l’Università di Bergamo, possibili studenti da un bacino d’utenza molto più ampio della provincia di Bergamo e della Lombardia, tutti quelli che vogliano seguire un percorso d’eccellenza; e, inoltre, dovrebbe, almeno potenzialmente,
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aprire ai nostri laureati un mondo della ricerca e del lavoro internazionale. Come si concretizza la collaborazione con altri dipartimenti? Attualmente abbiamo una laurea magistrale in comune, quella in Diritti dell’uomo e Cooperazione internazionale, con Giurisprudenza ed Economia, e anche la laurea magistrale in scienze filosofiche dovrebbe essere anche interdipartimentale con Scienze umane e sociali. Ci sono poi reciproche mutuazioni di insegnamenti, che però sono limitate per evitare disagi orari agli studenti. E certamente ci sono poi singoli rapporti di ricerca con altri colleghi: io, per esempio, sono in un progetto di ricerca “prin” di storia della scienza con il collega Franco Giudice del dipartimento di Scienze umane e sociali. Lo staff dei docenti a suo parere è numericamente adeguato? Ed avete anche dei dottorati? Sì, siamo in circa 47: numero con cui soddisfiamo i vari requisiti per i corsi di studio attualmente attivi. Ma al di là della quantità, è da sottolineare la qualità, che ha fatto sì che il nostro dipartimento sia fra quelli più produttivi per la ricerca e che conti il più alto numero di abilitazioni a fasce superiori. La nuova generazione dei dottorati non afferisce più ai dipartimenti,
ma a una Scuola d’Ateneo: comunque molti nostri docenti appartengono a un dottorato in studi umanistici e interculturali. Al dipartimento afferiscono ancora i vecchi dottorati che stanno completando i cicli precedenti, ma non sono più attivi con nuovi cicli, come il dottorato di Antropologia ed Epistemologia della Complessità, che ancora dirigo e che fu istituito dal Ministero come centro d’eccellenza. Sempre parlando di numeri, ci descriva il recente trend del numero di iscritti e di laureati. Quanti si accontentano del corso triennale e quanti proseguono anche con la specialistica? Quest’anno la tendenza è stata molto positiva: siamo cresciuti praticamente in tutti corsi: per la triennale di Comunicazione c’è stato un aumento che ci ha costretti a raddoppiare vari insegnamenti per garantire l’agibilità delle aule e l’efficienza didat-
tica. Lettere sta crescendo molto anche in relazione al recente curriculum di Moda. Filosofia è in piccola crescita, nonostante sia stata rimandata ancora l’apertura della magistrale, fondamentale per l’insegnamento e per la ricerca che costituiscono gli sbocchi più naturali. Culture moderne e comparate, nata come continuazione naturale della triennale di lettere, da tre anni si è attrezzata di un curriculum filosofico nell’attesa della magistrale di scienze filosofiche, e tiene molto bene in proporzione alla triennale. Forse, quella che “soffre” di più in rapporto alla triennale è la magistrale di Comunicazione, perché la triennale presenta più possibilità di sbocchi immediati. Gli sbocchi occupazionali per i suoi studenti ci sono sul nostro territorio e in tal senso come si instaura il dialogo tra enti, istituzioni ed aziende? Sì, certamente sono presenti sul territorio
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e si cerca di rendere sempre più efficace il dialogo: per questo obiettivo, si cerca di garantire agli studenti un numero sempre più cospicuo di enti in cui è possibile svolgere il tirocinio che rappresenta l’esperienza privilegiata per questa mediazione nei confronti del mondo del lavoro. Anche per il rapporto con le scuole, è fondamentale l’esperienza del tirocinio. Ma pensiamo che anche l’impegno sul territorio, che costitusce quella che è ora chiamata la “terza missione” dell’università, nelle sue progettualità possa costituire, come effetto “secondario”, una strada per rafforzare le possibilità di sbocchi professionali. La ricerca in che modo è portata avanti dal suo dipartimento ed avete collaborazioni con altre università, anche straniere? E’ difficile, o meglio impossibile, dare conto di tutte le ricerche e di tutte le collaborazioni con università straniere che
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sono attive nel dipartimento. Senza fare torto alle altre, e solo a titolo d’esempio, posso far presente le collaborazioni con la Sorbona di Parigi, e con il Max-Planck di Berlino per la storia della scienza, nata con il suo direttore Juergen Renn con il quale mi legano rapporti di ricerca e di amicizia da molti anni, e che poi ha coinvolto tutta l’Università in un accordo. Si tenga anche conto che in questi anni è stato attivo da noi un dottorato Erasmus Mundus diretto dalla collega Franca Franchi. Credo che la forza dei dipartimenti scientifici stia soprattutto nella dimensione collettiva, di gruppo, della ricerca: cercherò di fare superare il “paradigma individualista” della ricerca, dominante nei dipartimenti umanistici. Che critiche muove al sistema universitario italiano e quali sono le tre maggiori
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novità e cambiamenti che vorrebbe venissero introdotti? Questo è un tema molto complesso e che andrebbe affrontato seriamente in documenti approfonditi. Posso qui solo dire quello che è sotto gli occhi di tutti e che non richiede lunghe riflessioni e argomentazioni: il regime di semi-autonomia economica delle Università italiane non funziona bene e non permette alla fine nessuna politica culturale; i vincoli sulle nuove assunzioni e sulle promozioni, i vincoli sui corsi di studio percorribili, limitano del tutto le potenzialità di sviluppo. C’è poi un processo di sempre maggiore burocratizzazione che rischia di uccidere del tutto lo spirito dell’università. Ma questi due punti non sono forse che quelli più “superficiali”, di una crisi profonda che ha radici complesse
e qui indiscutibili. Ci parli del Signor Giannetto. E' sposato? Che passioni coltiva al di fuori dei ruoli accademici? Il Sig. Giannetto non è sposato e non ha figli, è un vegano “animalista” e un anarchico tolstoiano (cioè sulle basi del discorso della montagna del Vangelo), è un obiettore di coscienza al servizio militare. Ha molte passioni, ha tentato di far coincidere il pù possibile la dimensione del lavoro con una di crescita esistenziale: così, ha cercato di coltivarle insieme a quelle che poi si sono più concretizzate nel lavoro (fisica teorica, storia della scienza, storia del Cristianesimo, filosofia): dalla poesia alla musica, dal teatro al cinema e alle arti visuali. Ma il sig. Giannetto in sé non esiste e comunque non è rilevante: avrei anche preferito non comparire nelle
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foto. Perché non si tratta di rivestire dei ruoli accademici, ma di donare la propria vita agli altri anche nel lavoro, perché solo questo può dare senso alla propria finitezza esistenziale, può trascenderla. C’è bisogno di persone che non si identifichino nei ruoli di potere alienando sé stessi, di persone che restano tali anche nel lavoro avendo a cuore nella didattica, nella ricerca, nell’impegno verso il territorio solo il bene comune di tutte le forme di vita. Come scrive Jorge Luis Borges ne “La scrittura del dio” (nella raccolta “L’Aleph”), chi ha contemplato la bellezza dell’universo non può più pensare a sé stesso, all’essere umano che è, perché ha compreso, nel profondo senso esistenziale dell’astuzia di Ulisse, di essere effettivamente “nessuno” (“outis”) nell’infinità dell’universo e della vita.
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Speciale Sposi Matrimonio nel 2017: idee, tendenze, temi La tendenza per le nozze di quest’anno sarà la celebrazione dei matrimoni all’aperto. Via libera a sposalizi eco-friendly, attenti all’ambiente e con atmosfere informali e leggere. Gli sposi scelgono il loro colore preferito come fil rouge per tutti gli elementi
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e nel 2016 il rosa quarzo e la tonalità blu serenity sono stati i colori dell’anno, ci sono già delle indiscrezioni sui nuovi trend per le tonalità del matrimonio nel 2017. Vediamo insieme le nuove proposte, le idee e gli spunti per il matrimonio degli sposi del nuovo anno.
Le tendenze
Iniziamo con il dire che la tendenza per i matrimoni del 2017 sarà la celebrazione dei matrimoni all’aperto. Via libera a nozze eco-friendly, attente all’ambiente e con atmosfere informali e leggere. Un ricevimento dallo stile boho-chic per esempio, un pic nic rilassato o un matrimonio sulla spiaggia, saranno tra le maggiori tendenze per il nuovo anno. Gli sposi che scelgono il rito civile inoltre, sognano sempre più di sposarsi direttamente nella location, ancora meglio se in un bel giardino o su una romantica spiaggia. Tra le tendenze matrimonio 2017 troviamo anche lo stile country chic.
I colori
Più che ad un tema o ad uno stile, sono sempre più gli sposi che scelgono il loro colore preferito come fil rouge per tutti gli elementi delle nozze: dalle partecipazioni, al bouquet fino alle bomboniere. In ogni caso, resiste il rosa quarzo ma si fa strada un nuovo colore, il verde smeraldo. Tra i colori più gettonati anche il turchese, nell’amatissima tonalità del Tiffany, perfetto da abbinare al matrimonio tema mare sulla spiaggia. Tra le novità, spiccano colori caldi come l’albicocca e, per gli sposi che vogliono osare, anche il giallo. Infine, non passano mai di moda due colori classici come il rosso corallo e il blu elettrico.
I temi
Gli sposi che invece scelgono di affidarsi ad un tema per
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LOCATION • WEDDING CAKE • SCENOGRAFIE • PARTECIPAZIONI E STAMPATI • WHITE TABLE • BOMBONIERE • CONFETTI • FLOWER DESIGN • SERVIZI FOTOGRAFICI E VIDEO • MUSICA • MAKE UP ARTIST • HAIR STYLIST • CATERING • BANQUETING • INTRATTENIMENTI • ANIMAZIONI • ABITI DA SPOSA • HONEYMOON • LISTE NOZZE • AUTO DA CERIMONIA
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le loro nozze, devono sapere che saranno ancora di gran moda i matrimoni a tema mare e a tema viaggi. In particolare, il tema mare si presta per matrimoni sulla spiaggia o in location con vista mare, da abbinare al color Tiffany e a decorazioni con conchiglie e stelle marine. Per il tema viaggi invece, c’è l’imbarazzo della scelta per quanto riguarda i colori, i nomi dei tavoli e tutte le decorazioni. Tra i protagonisti non possono mancare mappamondi, valige o cartine.
Capelli
Anche quest’anno il ventaglio di scelte è ricco e variegato: acconciature raccolte, eleganti e classiche, si mixano sapientemente a semi-raccolti più friendly ed innovativi. Immancabili le acconciature con treccia, vero must di questi ultimi anni. Ed ancora acconciature sposa con capelli corti, ricci, con frangia e soprattutto acconciature-non acconciature: uno stile informale boho-chic, sceglien-
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do di lasciare i capelli sciolti. L’acconciatura di per sé è già una piccola opera d’arte ma dovrà essere arricchita da accessori eleganti e sofisticati: per le spose più classiche consigliamo il velo, da quello corto a quello in stile Lady D, e per le più «sbarazzine» un cappellino o una corona floreale.
Viaggi di nozze
Si stanno affermando mete come Oriente, Canada e Nuova Zelanda: destinazioni che uniscono alle ottime strutture turistiche la possibilità di esplorare la natura e i grandi spazi. Fra i viaggi di tendenza per il 2017 c’è senz’altro il Giappone, destinazione che negli ultimi anni ha vissuto un vero e proprio boom. Un viaggio in Giappone è un viaggio in un mondo a sé dove tradizione e modernità si incontrano. Il punto di forza di un itinerario in questo Paese sta nella possibilità di arricchirlo con esperienze uniche: dal pernottamento in un ryokan, le abitazioni tradizionali in legno, dove si dorme sui futon, ai workshop per imparare a preparare il sushi, alle sessioni di meditazione nei templi.
Wedding planner
Il wedding planner è colui che trasforma gli ingredienti
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ke-up artist, scelta dell’hair stylist, supporto per scelta gruppi musicali, servizio fotografico, flower design. È al timone delle nozze, insomma.
Le 10 fotografie immancabili
Oltre alle classiche foto che immortalano i momenti salienti della giornata più bella della vostra vita, ce ne sono 10 molto particolari che dovreste proprio realizzare. Accanto agli scatti tipici delle nozze, come l’arrivo della sposa, lo scambio delle fedi, l’uscita dalla chiesa o dal municipio, il lancio del bouquet e il taglio della torta, ecco tutte le altre foto matrimonio più originali che stanno letteralmente riempiendo gli album di nozze degli sposi di oggi: il “backstage” dei preparativi degli sposi; la foto collage di tutta la giornata; i dettagli di addobbi e decorazioni; il selfie degli sposi con gli amici; una foto divertente; uno scatto rubato; il “Wedding Photo Booth” al ricevimento, un angolo dedicato allo scatto di foto, per gli sposi e gli invitati, dove solitamente vengono messe a disposizione cornici e vari oggetti per realizzare foto originali fai da te. Inoltre, il primo (strano) ballo degli sposi; una foto artistica e romantica degli sposi; il “trash the dress” del dopo matrimonio con sposi immersi nell’acqua, sporchi di fango, che si lanciano tempera colorata addosso oppure che affondano nella neve (per i matrimoni invernali) con i loro abiti di nozze.
dell'amore e le emozioni dei futuri sposi in realtà. Una figura sempre più irrinunciabile. Si occupo di consulenza generale, progettazione e design del matrimonio, selezione e trattative con i fornitori, selezione e scelta della location, selezione e scelta del menù, servizio di food&beverage (staff di chef, sommelier, camerieri, maitre, hostess per accoglienza ospiti anche in lingua), servizio di open bar, supporto per adempimenti burocratici, supporto per la scelta dell’abito nuziale, scelta del ma-
Fiori
Per i matrimoni dal tono elegante ci sarà sicuramente un grande ritorno ai classici: rose, peonie ma anche tulipani. Torneranno di moda le composizioni grandi, opulente, con fiori di grandi dimensioni che richiamano gli inserti floreali 3D che vedrete su molte collezioni sposa 2017. Accanto a questa tendenza resistono anche i più umili e semplici fiori di campo: tra questi la lavanda e il girasole per i matrimoni country, o vintage, ormai sempre più diffusi. La continua ascesa dei matrimoni shabby, boho o country-chic continuerà a condurci verso composizioni cadenti, dal tono romantico, messe in risalto dall’uso gabbie, lanterne e candele, che vi permetteranno di creare una atmosfera sognante di dare libero sfogo alla vostra creatività. Per il bouquet, ma anche per le decorazioni dei tavoli, assisteremo ad un mix di fiori dai colori assai diversi legati tra loro da molto verde, per richiamare un’atmosfera retrò.
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*Presente Futuro di Eugenio Sorrentino Giornalista scientifico aerospaziale
La protezione informatica passa dai numeri primi sempre più grandi
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a sicurezza informatica torna puntualmente alla ribalta ogni qualvolta vengono violati i server e la privacy dei massimi livelli istituzionali, politici, industriali, manageriali. Dopo le polemiche che hanno caratterizzato la campagna elettorale negli USA, nel suo primo discorso da presidente eletto, Donald Trump si è appellato alle più fini menti cibernetiche del Paese per garantire la protezione delle reti. Nel frattempo, l’Italia ha scoperto di avere le spie in casa. In realtà la protezione informatica è una questione di numeri. O meglio, delle loro combinazioni. Per renderle massimamente complesse, si è costantemente alla ricerca dei numeri primi più alti, per intenderci quelli divisibili solo per uno o per se stessi. Potremmo definirli gli “atomi” della scienza matematica e, oltre a possedere un grandissimo valore teorico, i numeri primi sono anche fondamentali in applicazioni pratiche, come appunto quelle che riguardano
la sicurezza dei nostri dati sensibili. Per cercarli basta applicarsi con costanza e pazienza, aggregandosi a uno dei progetti finalizzati alla scoperta del nuovo numero primo sempre più grande. Una sfida che si rinnova e che viene affrontata quotidianamente inoltrandosi nello scenario infinito anche attraverso il personal computer di casa. Può succedere che un appassionato di matematica contribuisca alla scoperta del nuovo più alto numero primo, così come un astrofilo individua una nuova cometa o un asteroide con il suo cannocchiale. Ci sono anche bergamaschi che si applicano in questa come in altre discipline scientifiche operando, come sul dirsi, da remoto. I volontari che partecipano alla caccia decidono di fare parte di un sapere collettivo, sapendo che in caso di successo vedranno riconosciuti i propri sforzi con un premio in danaro. Una formula decisamente attrattiva, lungi dall’essere una delle proverbiali catene di S. Antonio.Nel 2016 Curtis Cooper,
professore della University of Central Missouri, che tre anni prima aveva individuato un numero record, ha calcolato il nuovo numero primo più grande mai trovato, composto da oltre 20 milioni di cifre (per la precisione 22.338.618), circa 5 milioni di cifre più lungo del precedente. Per rappresentarlo si ricorre al metodo escogitato da un monaco francese del 17mo secolo, Marsenne. In questo caso si ottiene elevando 2 alla 74.207.281-ma potenza e sottraendo uno al risultato. Marsenne doveva essere geniale a suo tempo, perché il personal computer del prof. Cooper ha eseguito un mese continuo di calcoli per arrivare alla certezza della scoperta, poi verificata da computer più potenti nell’arco di 3 giorni. Il lavoro di Cooper rientra in uno dei progetti più famosi esistenti per il calcolo di numeri primi sempre più grandi, la ricerca Great Internet Mersenne Primes Search (GIMPS) basata su volontari in tutto il mondo che mettono a disposizione i propri personal computer in uno sforzo comune. Aderire è semplice: basta infatti scaricare il software libero dal sito del progetto, lanciarlo sul proprio computer e farlo funzionare in background, per aggiungersi ai 150 mila utenti già coinvolti in questa sfida. Avere a disposizione numeri primi molto grandi è una delle “garanzie” di inviolabilità della crittografia, che utilizza algoritmi di protezione che “cifrano” i dati personali come il pin di una carta di credito oppure la password della posta elettronica.
Dall'università al mondo del lavoro
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l senso profondo dell'essere un'associazione risiede in quell'idea di appartenenza che accomuna chi ne fa parte. Un'idea che si fonda sull'aver condiviso un'esperienza o dei valori, ma soprattutto sul perseguire uno o più obiettivi per il presente e per il futuro. Si deve tradurre, insomma, in una progettualità che muove da una premessa per trasformare l'esistente. Ed è proprio in questi aspetti che l'agire di LUBERG si è espresso nel corso di questi anni, dalla sua fondazione sino ad oggi. Ad accomunare i soci e gli amici LUBERG che in questi anni hanno partecipato alla vita dell'associazione è innanzitutto il riconoscimento dell'Università degli Studi di Bergamo come luogo fondante dell'identità stessa degli oltre 30.000 giovani, uomini e
COME ASSOCIARSI A LUBERG Sei un laurea to dell'Università di Bergamo e ti riconosci nella mission di LUBERG? Sostieni l’associazione e avrai l'opportunità di contribuire a valorizzare l'università di Bergamo e a rafforzarne il legame con la città. - Possono diventare SOCI ORDINARI tutti coloro che abbiano conseguito presso l'Università una laurea, un d ip l o m a u n ive r s i t a r i o, u n a l a u re a specialistica, una laurea magistrale. La quota annua associativa è di 20 Euro per i laureati fino ai 30 anni d'età e di 50 Euro per i laureati oltre i oltre i 30 anni. - Sono considerati SOCI SOSTENITORI dell'associazione le persone fisiche e/o giuridiche, gli Enti e le Associazioni che si impegnano a sostenere economicamente l'Associazione mediante un contributo annuale o una tantum. Per maggiori informazioni sulle modalità di iscrizione o rinnovo della quota associativa, consulta il sito Luberg.it alla sezione "SOCI".
donne, che si sono affacciati all'età adulta sui banchi dell'ateneo cittadino. Un percorso che per moltissimi è stato un rito di passaggio per l'ingresso alla vita sociale oltre che una tappa per affrontare le sfide professionali e personali dell'esistenza, forti di una bagaglio di umanità e di competenze nate nelle aule, dal confronto con i professori e dallo studio individuale e di gruppo. Attraverso la sua stessa esistenza, LUBERG ha voluto - e vuole - celebrare l'importanza di questo cammino, offrendo a tutti i laureati la possibilità di alimentarlo, anche una volta raggiunto il titolo accademico, "con progetti, azioni e servizi finalizzati a supportare i neolaureati nel proprio percorso professionale o imprenditoriale", come recita la mission dell'associazione. Nel corso di questi anni, sono stati quindi organizzati eventi, incontri, premiazioni, corsi di formazione e concorsi che hanno mirato a promuovere un'elevazione socio culturale, a diffondere una cultura di impresa e professionale basata sui valori etici a servizio del territorio. Progetti che hanno premiato il valore delle nuove generazioni in occasione delle quattro edizioni del concorso letterario e del concorso “Diventa Imprenditore”, a testimonianza di un tessuto sociale creativo, dinamico e capace di
esprimere nuovi talenti. Il dialogo con la città, che l’associazione ha instaurato nel corso degli ultimi anni, ha preso invece corpo attraverso gli appuntamenti serali del CLUB LUBERG che hanno visto la partecipazione di rappresentanti delle istituzioni, imprenditori, docenti dell’università, manager e associazioni professionali. Al centro di questi incontri tutti i principali temi dell’attualità - innovazione e lavoro, le nuove frontiere del digitale, il ruolo dei social network per trovare lavoro, il sistema bancario italiano, il cambiamento della società - affrontati con ospiti autorevoli come i rettori dell’ateneo Stefano Paleari e Remo Morzenti Pellegrini, i sindaci di Bergamo Franco Tentorio e Giorgio Gori, professionisti di successo come Nando Pagnoncelli, Luca Tiraboschi e Mario Comana, ma anche con i protagonisti del mondo dello spettacolo e dell’informazione, come Roby Facchinetti e Fulvio Giuliani. Grazie a tutte queste iniziative, LUBERG rappresenta oggi un'occasione per tutti i laureati e neolaureati che vedono nell'università uno dei fondamentali attori del nostro territorio e che vogliono mantenere vivo un percorso iniziato in giovane età, per costruire la Bergamo di domani.
*Cucina di Pierangelo Cornaro Chef Patron del Ristorante Colleoni & dell'Angelo (Bergamo)
La cucina globale (filosofia di cucina, Gualtiero Marchesi 1983)
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i sta facendo strada una nuova tendenza che coniuga le esperienze culinarie più avanzate con quelle della grande tradizione e permette quindi la compresenza nel medesimo pranzo di preparazioni composte direttamente nei piatti individuali e portate presentate nel piatto di servizio. Negli ultimi anni la cucina è stata al centro di numerosi dibattiti. Molto spesso si è cercato di dividere, discriminare, sottilizzare attorno ai diversi approcci che si sono verificati negli ultimi vent’anni. Si è spesso dibattuto sul significato e sulla portata del fenomeno delle nuove tendenze culinarie espresse dalla “nuova cucina” in Italia, però non sempre con cognizione di causa: il sentito dire dilagava più della conoscenza diretta. Quello che appariva alla superficie, e quindi era evidente per tutti, era la disposizione delle vivande nel piatto che in qualche modo rompeva con gli schemi tradizionali. In realtà, chi si è preso la briga di capire cosa fosse sostanzialmente maturato, ha finito per trovare la chiave di lettura necessaria per capire che la nuova cucina in Italia, quando si è concretata, ha rispettato le radici culturali di qualsiasi piatto abbia interpretato. “Rivisitare”, nella sua accezione più ampia e deleteria, è stato spesso l’eufemismo di stravolgere. In altri rami culturalmente più solidi, con lo stesso nome si indica un modo di procedere basato su altri principi. Rivisitare Omero o Wagner, non significa sicuramente strapazzarne l’opera, semmai cercare di capirla da un nuovo punto di vista.
Inoltre chi rivisita Omero o Wagner è un letterato o un esperto di musica. Anche la cucina, cultura novella, ha una dignità che va rispettata, ma quante volte è stata rivisitata da chi non possedeva neppure l’Abc della culinaria? Il risultato è che la variopinta ricchezza della gastronomia italiana, si trovò di colpo appiattita: dalle Alpi alle isole. Infatti la “nuova cucina”, intesa come cucina che si rinnova, ossia un momento di evoluzione quasi fisiologico, non è stata proposta solo da chi conosceva bene quella classica. Spesso erano proprio persone che accedevano alla ristorazione da altri campi ad improvvisarsi chef. È come se, nel campo della pittura, in piena tendenza astratta, anche chi non avesse mai tenuto in mano una matita o un pennarello, tracciando quattro righe sopra una tela si sentisse un artista. In altre parole applicare le tecniche dell’alta cucina, poniamo nell’esecuzione di una piccata di fegato alla veneziana, significa anziché stravolgerla, sottolinearne il vero sapore eliminando, semmai esistessero, pratiche gastronomiche errate, luoghi comuni tramandati per inerzia. La cucina così intesa non rinuncia agl’ingredienti del territorio. Nell’esecuzione dei piatti del territorio impiegherà, se occorressero, zenzero e timo, che però non utilizzerà in modo dissennato per preparare un pesce all’acqua azza o un risotto alla milanese. Quanto detto dovrebbe chiarire qual è sostanzialmente il modo di vedere e di operare. Vorrei concludere sottolineando
che tra sostanza e forma il nesso esiste. Ecco perché anche la presentazione del cibo assume particola importanza. Il nuovo cuoco non sempre delega alla sala il compito di disporre la preparazione nel piatto. Il suo compito, cioè, non si esaurisce nel cucinare il cibo, ma si conclude solo con la sua presentazione. Il riso alle erbe qui proposto è stato ideato per essere presentato in questo modo, e non come può decidere il cameriere in sala. Trova infatti la compiutezza, la simmetria, l’equilibrio armonico nel piatto concepito dal cuoco perché cosi arrivi al cliente. Al tempo stesso un’altra portata trova la sua migliore presentazione nel piatto di servizio, ed è la gestualità del cameriere che la porziona a conferirle completezza. Ecco quindi, nel menu proposto, il branzino che arriva intero al tavolo per sottolineare la sua importanza. A questo punto vale la pena chiarire che non esiste contrapposizione tra le varie impostazioni culinarie, se queste sono serie e professionali. Ogni vivanda vive di vita propria: per questo ritengo che, se alla base c’è la cucina, nel senso migliore che può avere questo termine, una preparazione composta direttamente nel piatto individuale e una servita nel piatto di servizio possano e debbano convivere in modo armonico nel medesimo pranzo. Ci troviamo quindi a coniugare quello ritenuto da molti pedanti inconciliabile: è una cucina nuova che unisce le esperienze più avanzate e la grande tradizione e che ho cominciato a chiamare Cucina Globale.
*Spiritualità don Giambattista Boffi Direttore Centro missionario diocesano
Cristiani, ma non troppo!
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i sono argomenti che i saccenti superficiali amano affrontare e che gli uomini di spessore accostano con molto rispetto. L’identità del cristiano oggi è uno di quelli. Andare oltre i luoghi comuni, le precomprensioni, le riduzioni ideologiche e le farse dei paladini della laicità (chissà cosa intendono per laicità) è un impegno non indifferente. Neppure crociate estenuanti e illusori spazi di potere aiutano in questa impresa. È il caso di dire che: “cristiani si diventa”. Si apre così lo spazio indispensabile della libertà che chiede impegno, coerenza, alla fine, credibilità. Non si tratta di essere perfetti, credersi superiori agli altri, ostentare la soluzione di ogni problema, ma di percorrere un “cammino” di consapevolezza e responsabilizzazione. Papa Francesco ha tratteggiato più volte e con immediatezza i diversi volti di cristiani “ma non troppo” nelle sue riflessioni quotidiane a Santa Marta. I cristiani “part-time” sono quelli che si riscoprono tali in alcuni momenti della vita, magari quelli più precari o in occasione di grandi ricorrenze; quelli “satellite” sono quelli che hanno una certa ammirazione per Gesù, ma con un mare di riserve perché preferiscono “starne fuori”; “in poltrona”, quelli comodamente sdraiati con tanto di pantofole che fanno una cernita del Vangelo scegliendo quello che non li impegna e fa comodo in alcune situazioni. Ci sono i cristiani “di pasticceria” che attorno al the del pomeriggio organizzano ritrovi di cultura generale
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e inservibili discussioni teologiche; non mancano i cristiani “a parole”, esperti comunicatori di cose che non vivono oppure quelli “da balcone” che scaricano sempre sugli altri responsabilità e scelte, loro stanno a vedere il cadavere che passa sotto la finestra di casa, magari mormorando anche. Nel mondo poi tanti sono i cristiani “invisibili”, completamente omologati dalla mondanità che minaccia ogni persona nella Chiesa. Sbizzarrirsi tra queste macchiette di cristiani può essere utile a chi si professa tale anche solo per una verifica seria e serena della propria vita di fede. Ancora di più può diventare una provocazione alla riscoperta dell’esperienza vera del cristiano oggi anche nel mondo estraneo alla Chiesa e alle sue istituzioni. Una riflessione adulta è quella da mettere in campo, capace di mediare esperienza e contenuti, entrare nell’inquietudine delle situazioni, nella precarietà del tempo senza paure e giudizi azzardati spesso affidati ai luoghi comuni. Togliere la protezione del “sentirsi a p p o s t o” e r i s c o p r i re i l s e n s o d e l cammino, questo quanto chiesto a chi vuole seriamente interrogarsi sulla fede. “Abbiamo bisogno di cristiani con visione del futuro, non chiusi nelle piccolezze della vita”, così papa Francesco in un suo intervento. Ci aiuta in questo l’invito ad essere “persone decentrate”, capaci di non mettere al centro dell’esistenza il nostro io, a volte gonfiato dell’individualismo e dall’egocentrismo, ma pronti a dialogare profondamente, nel pensiero e nelle scelte, con la
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persona di Gesù nel suo Vangelo. Il cristiano vero pone al centro della sua vita Gesù Cristo. Non è un “arrivato”, ma uno sempre in “partenza”, segnato da quell’inquietudine che le parole di Sant’Agostino ci ricordano bene: “Ci hai fatti per te, Signore, e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te”. Una delle minacce più grandi alla vita cristiana oggi è quella della routine, il dejà-vu, l’incapacità di stupirsi. “Santo Padre – chiese un giornalista a papa Benedetto alla vigilia della Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia nel 2005 – quale è il messaggio specifico che lei vuole consegnare ai giovani che da tutto il mondo vengono a Colonia? Qual è la cosa più importante che vuole trasmettere loro?”. E il Papa rispose con semplicità: “Vorrei fa capire loro che è bello essere cristiani”. Prima di ogni elucubrazione, speculazione, approfondimento, tentativo di trovare risposte, credo che recuperare lo stupore davanti alla vita e alla storia non possa che aprire lo spazio dell’incontro con Dio. “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”: questo l’incipit di Evangelii Gaudium, esortazione apostolica di papa Francesco sul tema dell’evangelizzazione. Solo con queste premessa è possibile un approccio all’esperienza della fede che non sia limitato e limitante per vincere la tentazione di essere cristiani.. ma non troppo!
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Range Rover Evoque Convertible Vistoso, provocatorio, divertente
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n queste settimane è possibile scoprire la nuova Evoque Convertible alla palestra Sportpiù di Cenate Sotto. Il gruppo Lario, infatti, da tempo sviluppa azioni di comarketing con le palestre Sportpiù di Curno e Cenate Sotto, oltre che con Area Donna presso Coin a Bergamo e con la discoteca Capogiro. La Range Rover Evoque Convertible è un’auto irrazionale. Dove irrazionale, però, è un complimento. È vistosissima, soprattutto quando ha la carrozzeria arancio metallizzato e cerchi neri da 20 pollici. La Convertible, in fondo, è l’esaltazione del concetto che ha reso la Evoque un grande successo commerciale: un design senza compromessi, unito a prestazioni eccellenti. Gli interventi necessari sulla carrozzeria per adeguare la Evoque coupé al nuovo abito cabrio sono stati diversi; infatti, la zona dietro la portiera è anch’essa stata modificata, così come i passaruota. Inevitabilmente, l’adozione della capote e il relativo cinematismo a Z impattano sulla capacità del bagagliaio, ridotta a 251 litri, da un volume originario di 550 litri. Poco male, Range Rover Evoque Convertible sfoggia altre carte vincenti. L’abitabilità a bordo consente di viaggiare in quattro, con i sedili posteriori protetti in caso di ribaltamento dall’attivazione di due rollbar, che fuoriescono in appena 90 millesimi di secondo. L’abitacolo accoglie anche il nuovo infotainment InControl Touch Pro, caratterizzato da un sistema touch, del tutto assimilabile a quello degli smartphone, e con un display da
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ben 10,2 pollici di diagonale, contro gli 8 pollici dell’infotainment finora impiegato sulla Evoque 5 porte. Inoltre, offre la connettività 3G e assicura funzioni di hotspot Wifi, oltre a quelle di navigatore satellitare avanzato InControl Touch Pro Navigation. Concentrarsi sulle note estetiche di Range Rover Evoque cabrio può distogliere l’attenzione dalle doti fuoristradistiche, e sarebbe un errore. Perché è vero che il look cambia, che si potranno scegliere cerchi in lega da 17 a 20 pollici di diametro, così come fari full led in alternativa ai proiettori alogeni della versione SE Dynamic e i bi-xenon della HSE Dynamic, nonché il pacchetto Black, con cerchi in nero satinato, terminali di
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scarico neri, fari posteriori e fendinebbia con superfici nere e finiture Narvick black sulla carrozzeria. È altrettanto indiscutibile la capacità di affrontare l’off-road impegnativo, con trazione integrale e cambio 9 marce di serie sia sul motore turbo benzina da 240 cavalli che sul 2 litri turbodiesel Ingenium, con potenza di 150 o 180 cavalli. Ce n’è abbastanza per potersi lanciare nei passaggi più difficili senza il timore di non avere le carte in regola. Sono 13 le tinte carrozzeria proposte, due gli allestimenti e uno il particolare più chic, la luce che proietta sull’asfalto, di sera, la silhouette di Evoque cabrio da sotto lo specchietto retrovisore esterno. Stile e praticità, visto che illumina l’area di accesso a bordo.
*Arte Mario Donizetti
Tempera a tampone su disegno modellato a matita e pastello
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l supporto per questo mia tecnica è costituito da carta di puro cotone incollata su legno compensato. Il disegno, e primo modellato, viene eseguito a matita e pastello. Dopo una prima verniciatura del modellato stendo trasparenti velature organiche di rosso carminio di cocciniglia, giallo di curcuma, verde di clorofilla, mordente noce, con veicolo acqua. Il mordente noce è molto igroscopico quindi, quando una velatura contenente mordente noce si sia asciugata, alitando sul colore questo si inumidisce ed è possibile modellarlo e sfumarlo tamponandolo con il polpastrello, o anche, usando un tampone di tela, per irrobustire il modellato a matita o pastello. Ogni velatura di colore sia organico che minerale (ossidi metallici) va, di volta in volta, verniciata con resina Dammar, oppure gommalacca, Infine, dopo una verniciatura generale, il dipinto si può ancora velare con verde acetato di rame, mordente noce, blu indaco e, nuovamente, e definitivamente, verniciare.
a lato: opera eseguita a tempera a tampone. Mario Donizetti
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*Cinema Film da rivedere, da riscoprire, da riassaporare
Pietro Bianchi
“Una storia vera”
di David Lynch (1999)
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urando il testo dedicato a David Lynch nel volume "501 Grandi Registi" (Atlante 2008), Ernst Mathijs, docente di cinema e drammaturgia all'Università della Columbia Britannica, autore, fra l'altro, di un'opera dedicata al cinema di David Cronemberg, ignora totalmente "Una storia vera". In effetti, questo film del 1999, nella sua linearità e nel suo realismo, si isola nella filmografia di Lynch, autore sempre di storie forti, visionarie ed enigmatiche, da vedere più che da spiegare, che disorientano lo spettatore lasciandolo spesso privo di risposte. Eppure? Eppure non c'è dubbio che proprio "Una storia vera" sia il vero capolavoro di questo complesso regista oggi settantenne. Il titolo originale del film, "The Straight Story" indica il cognome del protagonista, Alvin Straight, 73 anni, che vive nella rurale Laurens (Iowa). È un vecchio malato e testardo, fuma come un turco e non si cura: tra le varie prescrizioni mediche ricevute, accetta solo quella di camminare con due bastoni.Quando poi viene a sapere che il fratello Lyle, che vive a Mount Zion (Wisconsin) a ben 317 miglia di distanza, ha avuto un infarto, non esita a partire per andare a trovarlo e ricucire così un antico strappo, a causa del quale non lo vede e non gli parla da molti anni. Alvin, che non ha la patente, intraprende il viaggio su un tagliaerba e niente e nessuno, né prima né durante il lungo percorso, potrà fargli cambiare idea. Il film si presenta dunque come un road movie piuttosto particolare. Come è stato scritto, "ha tutto per essere fuori moda: lentezza (10-15 km all'ora), malinconia della vecchiaia, personaggi positivi, ritmo disteso senza eventi drammatici" (così Morandini, che lo ha anche definito per le predette ragioni "il film più controcorrente e meno hollywoodiano degli anni '90"). Tutto vero e tutto splendido: un film di assoluta semplicità narrativa, ma anche di grande spessore, con tanti livelli di lettura. Si parte dunque da Laurens: le strade sono vuote, non ci sono giovani, gli anziani sono piuttosto scorbutici. Alvin - scopriremo che ha avuto 14 figli, di cui solo 7 sopravvissuti - vive con la figlia Rose, che ha un evidente difetto di pronuncia (è la brava Sissi Spacek). Hanno
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entrambi strazianti storie alle spalle e questo li rende fortemente uniti. Le giornate trascorrono lente, uguali: Alvin e Rose passano spesso il loro tempo a guardare il cielo, un temporale, gli eventi atmosferici. Poi arriva la telefonata dal Wisconsin e Alvin decide di partire: la sua vita sembrava bloccata, chiusa, finita, non è così. Alvin sente per più motivi la necessità, il desiderio di tornare ancora indietro sulla strada, di ripercorrere la sua vita, ora che volge al termine, per mettervi ordine, per porre riparo agli errori, per trovare finalmente pace. Per far questo, tutto deve essere obbligatoriamente fatto con lentezza: è un lungo viaggio catartico, vanno superate le paure, i fantasmi del passato. Questo dà a Lynch la possibilità di filmare la strada, il cielo, la campagna, le grandi macchine agricole, l'America più tranquilla, generosa e ospitale. Il viaggio all'indietro di Alvin diventa anche un percorso a ritroso nella storia dell'America: il protagonista torna colono-cowboy, in un cammino che è anche scoperta, apprendimento, esperienza. L'avventura inizia male: il vecchio tagliaerba si guasta subito e deve essere abbattuto come un cavallo stremato. Alvin ritorna così al punto di partenza, ma non demorde: acquista un nuovo tagliaerba (un affidabile John Deere) e riparte per una lunga strada fatta di incontri. Uno dopo l'altro, saranno l'occasione per ricucire pian piano la sua storia, per aprirsi e ascoltare, per insegnare ed essere utile: l'esperienza personale, così dolorosa, può essere d'aiuto agli altri. Meraviglioso il primo incontro con una ragazza incinta, scappata di casa: all'inizio domina il silenzio, la diffidenza, poi ci si apre alla confidenza, al consiglio, alla fiducia. Qui come in tutto il resto del film regna un senso di ospitalità e di calorosa accoglienza. Il secondo incontro è con un gruppo di ciclisti ed è l'occasione per un ulteriore ragionamento sulla vita. Chiedono ad Alvin: “Qual è la cosa peggiore della vecchiaia?” e lui risponde: “Ricordare quando eri giovane”. Comprenderemo bene, poco dopo, che la risposta non è dettata dal rimpianto e dalla nostalgia, bensì dal dolore che morde la coscienza per quanto di male si è fatto da giovani (l'uccisione in guerra, per errore, di un commilitone): è il ricordo che non ti
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molla, il rimorso che brucia, il male a cui non si è ancora posto rimedio. Il terzo incontro è la parte più tipicamente lynchiana del film, con una donna che investe un cervo su una strada deserta. In realtà il cervo, i cervi (la donna sostiene di averne già investiti un incredibile numero in poche settimane) sono i fantasmi che lei crea dentro di sé, le paure che ognuno di noi cerca di escludere dalla vita e che invece tornano sempre. L'esplorazione dell'inconscio è un tema molto caro al regista, che qui emerge in tutta evidenza. All'inizio del quarto episodio, in cui sono concentrati più incontri, c'è un incendio dovuto ad un’esercitazione dei pompieri. Il fuoco è il terrore di Alvin, un incendio ha distrutto la vita di Rose. Il tosaerba va in panne, ma i cittadini del posto fanno a gara per dargli ospitalità e riparare il mezzo. Tra loro c'è un vecchio, che capisce bene la tanta strada (e il termine è ambivalente) percorsa da Alvin: sarà a lui che racconterà la personale tragedia vissuta in guerra. Prima di partire, Alvin parlerà con calore ai due gemelli meccanici che, nell'eseguire la riparazione, non hanno fatto che litigare. Si avvicina ormai il momento della ricongiunzione con Lyle: Alvin sta bene - anche una chiacchierata con un prete gli è di aiuto - e si concede dopo tanti anni una birra gelata. Arriva finalmente dal fratello, che lo accoglie, vedendo con che mezzo è arrivato, con stupore e riconoscenza: "Hai fatto tanta strada con quel coso per venire da me?". Quel mezzo ridicolo, che aveva suscitato l'ironica incredulità di tutti, è la chiave che apre il cuore del fratello e riappacifica gli animi. Torneranno a guardare insieme il cielo stellato e in profondità la bellezza del creato. Ho raccontato molto del film, ma è perché per tutta la pellicola non c'è un momento sbagliato, non c'è una parola banale: solo emozione e commozione, senza alcuna enfasi. Gran merito di come la storia entri sotto pelle spetta allo straordinario protagonista, Richard Farnsworth e ai suoi occhi così profondi e intensi, così sinceri e presi dal pensare alla vita. Sapere che, gravemente malato, si è suicidato a ottant’anni dopo una simile interpretazione (con candidatura all'Oscar) sgomenta.
*il Pensatore Spunti e riflessioni di una vita
Liutprandoar
Gli yankees cip e ciop alla conquista dell’Europa
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n questi giorni di post festività (ma in realtà tutto l’anno) sui mass media si può osservare la pubblicità sulle adozioni a distanza di animali esotici in via d’estinzione. Contrariamente a quanto si pensi, molti animali autoctoni si ritrovano nelle stesse condizioni di tigri,leoni e elefanti..., ovvero nella "Lista rossa" della IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) e tra le 16.119 specie a rischio di estinzione, sorprendentemente,compare anche lo Scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris). Lo scoiattolo rosso è una specie autoctona europea; è possibile trovarlo in tutta l'Eurasia, in Asia settentrionale fino alla Kamciatka, in Corea e sull'isola di Hokkaido, in Giappone. La sua presenza in questi territori è antichissima, sono stati ritrovati dei reperti fossili già nel
Pleistocene medio-superiore (400.000 –700.000 anni fa). Il pericolo di estinzione è da ricercarsi nella riduzione delle zone boschive,- ricordiamo che il suo habitat preferito sono i boschi di conifere o di caducifoglie-, nelle sostanze chimiche usate in agricoltura (dal 1977 la caccia a questo roditore è stata messa al bando), ma soprattutto dalla presenza dello scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis) proveniente dal Nord America. Sì, è proprio così, gli yankees cip e ciop stanno conquistando e colonizzando l’Europa e a noi non rimane che formare e informare il grosso pubblico sulla situazione ormai disperata che riversano i “nostri" scoiattoli rossi e aprire una sottoscrizione di firme per la loro tutela a protezione della biodiversità Italiana. In effetti il problema dell’immissione di specie non autoctone in alcuni territori ha spesso creato una forte competizione con le specie “indigene", fino a ridurre quest’ultime alla loro scomparsa. Un po’ come è successo sia per gli indiani d’america che oggi vivono reclusi in moderne riserve, che per gli Europei di razza Caucasica che tra qualche decennio verranno messi nelle riserve, ma, per i
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“nostrani scoiattoli” non vorremmo creare delle riserve bensì ridargli il loro territorio, quindi sarebbe auspicabile una tavola rotonda con gli addetti ai lavori e con le associazioni animaliste, in grado di porre fine a questo “massacro”. L’ecosistema Europeo infatti non è in grado di ospitare i cip e ciop d’oltre Manica senza risentirne ed è quindi un dovere morale bloccare il loro espandersi. Una probabile soluzione potrebbe essere quella di creare degli scoiattoli rossi transgenici, infischiandosene sia dell’ etica che della morale, ammesso che si sappia il significato, anche perché utilizzando le moderne tecniche di clonazione e creando dei soggetti più aggressivi in grado di contrastare i furbetti scoiattoli yankees, ma anche in questo caso a rimetterci sarebbe l’ecosistema ,già compromesso da un altro animale non transgeico, ovvero ”l’uomo”.
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*il Veterinario Angelo Rinaldi Medico Veterinario
Malattia da graffio di gatto: nuova patologia emergente
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a “malattia da graffio del gatto”, il cui acronimo CSD deriva dall’espressione inglese “Cat scratch desease”, è una zoonosi emergente segnalata per la prima volta nell’uomo nel 1931. Il gatto, (la malattia decorre quasi sempre in forma asintomatica), costituisce il tipico reservoir dell'infezione, albergando un batterio (Bartonella henselae) per parecchi mesi o anni nel torrente circolatorio, in completa assenza di sintomi clinici (in alcuni casi sono stati descritti quadri di linfoadenite in soggetti batteriemici). Il batterio si trova nei globuli rossi e in alcuni casi è presente all’interno dei macrofagi (cellule del sistema immunitario), non sempre però si determina una risposta netta da parte del sistema immunitario. L’importanza di questa malattia sta nella possibilità di trasmissione all’uomo. I soggetti più colpiti sono i bambini e i soggetti giovani. I sintomi della CSD compaiono solitamente dopo 1-2 settimane dal graffio o dal morso del gatto e sono caratterizzati dalla comparsa di lesioni cutanee e dall’ aumento di volume dei linfonodi, talvolta con presenza di pus. Meno frequentemente, nei soggetti fortemente debilitati, si possono avere forme più gravi con coinvolgimento di vari organi e tessuti. La malattia, se tempestivamente diagnosticata e curata, ha in ogni modo esito favorevole nella maggioranza dei casi. La trasmissione dal gatto all’uomo avviene attraverso il morso o il graffio mentre un ruolo importante nella diffusione della malattia al gatto è svolto dalla pulce del gatto (Ctenocephalides felis). Nelle colonie
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di gatti si è potuta osservare un’elevata incidenza di questo batterio, la cui diffusione è probabilmente dovuta alle pulci. Il parassita (pulce) infetto è in grado, attraverso l’assunzione del pasto di sangue, di trasmettere l’infezione agli altri gatti, ed inoltre può mantenere, se non addirittura replicare, il germe al suo interno. A tale proposito è stato altresì segnalato un caso di trasmissione di Bartonella henselae dalla pulce direttamente all’uomo. Il ruolo del cane nella trasmissione dell’’infezione da Bartonella henselae è scarso o per nulla importante (sono stati evidenziati solo due casi di trasmissione dal cane all’uomo). Anche i conigli sono soggetti all’infezione (La Bartonella (Bartonella
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alsatica) è stata isolata dai conigli selvatici in Alsazia), il ruolo nella trasmissione della malattia è però, del tutto marginale. La prevenzione della malattia si basa, soprattutto, sull’individuazione dei soggetti con batteriemia. E’ quindi consigliabile andare dal medico Veterinario per eseguire gli esami necessari per individuare i soggetti sieropositivi, anche se bisogna ricordare,che il 2% dei soggetti sieronegativi può essere batteriemico. I soggetti più colpiti, di solito, sono gatti giovani, soprattutto, i trovatelli e quelli infestati da pulci. Il controllo delle pulci risulta essere una misura fondamentale per ridurre il rischio di infezione nel gatto. Quando i gatti manifestano sintomi di malessere generale o notiamo accarezzandoli la presenza di “rigonfiamenti” sottocutanei, è bene effettuare una visita dal veterinario. Nel caso in cui sia diagnosticata un’infezione da Bartonella henselae, esiste la possibilità di somministrare una terapia antibiotica adeguata. Sfortunatamente, alcuni studi hanno dimostrato che il rischio per l’uomo di contrarre la CSD nelle prime fasi del trattamento farmacologico rimane comunque elevato. Di conseguenza, è buona norma, in queste circostanze, evitare il più possibile di essere graffiati o morsi dal proprio animale ed eventualmente proteggersi adeguatamente nel manipolarlo. In tutti gli altri casi, se possibile, la prevenzione deve mirare ad evitare il contatto fra i nostri gatti ed i felini randagi e impedire che i nostri amici a quattro zampe siano infestati da pulci, contro le quali esistono dei farmaci molto efficaci.
Cult
Donizetti Opera: tutto esaurito, con tanti stranieri
La prima edizione del festival si è chiusa con risultati decisamente lusinghieri. Boom di biglietti venduti e il 40% degli spettatori dall’estero: dall'Europa, dalla Russia, dagli Stati Uniti, dalla Cina e dal Giappone
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n f e s t i va l i n t e r n a z i o n a l e a Bergamo dedicato a Donizetti è possibile: lo hanno dimostrato tra fine novembre e inizio dicembre la città, il pubblico e la critica internazionale, il mondo culturale e politico, che hanno risposto all’appello del direttore artistico Francesco Micheli e sono accorsi alla prima edizione del Donizetti Opera per rendere palese il loro amore per il compositore bergamasco e partecipando
numerosissimi alle tante iniziative e agli spettacoli in programma (sei le serate festivaliere sold out). «Donizetti Opera – afferma Francesco Micheli – è la lunga festa di compleanno che la città di Bergamo offre a Gaetano Donizetti e al mondo; ed è da tutto il mondo che il pubblico accorre per celebrare un artista ancora così eloquente: lo dimostrano le produzioni operistiche che ce ne fanno riscoprire gioielli sconosciuti; lo dimostra
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a cura della redazione
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l’affetto con cui Riccardo Muti è stato accolto dall’abbraccio di tutta Bergamo, felice di festeggiare cinquant’anni di carriera inaugurata proprio qui; lo dimostra la solenne presenza del Presidente Mattarella; lo incarna l’entusiasta e generosa presenza di tanti bergamaschi, a partire dalla Fondazione Meru; lo incoraggia la presenza dei tanti ragazzi che affollano le nostre anteprime. A tutti, uno per uno, il nostro grazie. Buon compleanno, Gaetano!». L’analisi su un campione significativo di pubblico (i due terzi dei possessori di biglietto) conferma le intuizioni programmatiche del festival: la percentuale di stranieri (al netto degli abbonati) supera infatti il 40%, con presenze significative, oltre che dai maggiori paesi europei, anche dalla Russia, dagli Stati Uniti, dalla Cina e dal Giappone. Da questi dati si evince quindi che la formula di Donizetti Opera è vincente anche nella collocazione in un periodo di bassa stagione per attrarre così su Bergamo il turismo musicale italiano e internazionale, un turismo di prestigio e qualità, aiutato dalla presenza dell’aeroporto di Bergamo, che rimane in città per alcuni giorni interessato alla programmazione artistica e pronto a scoprire una meta con enormi potenzialità culturali, naturali e di alta gastronomia. La programmazione musicale è stata apprezzata oltre che dal pubblico anche da un foltissimo gruppo di critici musicali internazionali, accreditati per oltre 40 testate giornalistiche e provenienti anche dagli Stati Uniti, dal Giappone, Svezia, Russia, Messico e da tutti i paesi europei, che hanno gradito l'intenso calendario festivaliero pensato da Micheli per far conoscere il repertorio operistico e la figura di Donizetti, coinvolgimento in modo nuovo la città natale di uno degli autori più rappresentati al mondo. «Questa stagione ha dato grandi soddisfazioni – sottolinea Nadia Ghisalberti, assessore alla Cultura del Comune di Bergamo – per gli obiettivi raggiunti: le opere donizettiane sono state recensite con grande favore sulla stampa specialistica a livello nazionale e internazionale, una critica favorevole a cui ha corrisposto una significativa crescita di spettatori. Tra questi
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sì è registrato un alto numero di stranieri, con una ricaduta positiva per il turismo cittadino. Non da ultimo anche le entrate da sbigliettamento segnalano un incremento da 321.380 euro del 2015 ai quasi 400mila euro del 2016. Il Donizetti Opera 2016 ha anche mostrato un festival sempre più radicato nel territorio: è stato infatti accompagnato da tantissime iniziative collaterali realizzate in collaborazione con il Duc e con Ascom. La Fondazione Donizetti, inoltre, parteciperà nel 2017 alla rete di istituzioni europee e locali messa a punto dall’Amministrazione comunale e da Osservatorio Quarenghi per le celebrazioni dedicate a Giacomo Quarenghi, scegliendo per il Donizetti Opera un titolo che porterà il pubblico ai tempi di Pietro il Grande di Russia». Da queste premesse prende vita il progetto artistico del 2017 che fa tesoro dei successi
ottenuti e si consolida in due momenti dedicati esclusivamente al Compositore: il prossimo anno la Donizetti Night avrà luogo sabato 17 giugno, mentre il festival Donizetti Opera sarà concentrato intorno al Dies Natalis (29 novembre) con due fine settimana dedicati alle recite operistiche dei titoli donizettiani e negli altri giorni una serie di appuntamenti che comporranno il ricco programma musicale festivaliero. Nel 2017 le opere andranno in scena tutte nel bellissimo e raccolto spazio del Teatro Sociale, un luogo del quale la città deve ancora riappropriarsi completamente e non considerare come «minore» rispetto al più grande teatro sito in città bassa che sarà chiuso per restauri. Per questo luogo così speciale sono state scelte per il 2017 delle opere speciali, rarissime: «Il
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borgomastro di Saardam» e «Pigmalione», due assolute rarità che coinvolgeranno in prima linea anche la sezione scientifica della Fondazione diretta da Paolo Fabbri e che faranno nuovamente accendere i riflettori sulla città di Bergamo, impegnata verso una sempre maggiore identità con il compositore. Si comincia con «Il borgomastro di Saardam», che è stato scelto per i legami con la storia russa. La Fondazione Donizetti partecipa, infatti, alle celebrazioni per il 200° anniversario della scomparsa di Giacomo Quarenghi, architetto bergamasco autore di imponenti edifici per San Pietroburgo. Per questa importante occasione, l’Amministrazione comunale, tramite l’assessorato alla Cultura, ha deciso di coordinare, insieme all’Osservatorio Quarenghi, una programmazione di
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eventi sia a livello internazionale sia con l’attivazione di una rete locale per riscoprire il celebre architetto. Il secondo titolo donizettiano sarà «Pigmalione», primo lavoro teatrale del giovanissimo Donizetti che viene proposto insieme alla farsa di Giovanni Simone Mayr «Che originali!»: un dittico che nasce da una comunanza di soggetti fra i due lavori che si basano entrambi sull'amore per la musica e l'arte. La scelta di affiancare Mayr e Donizetti, nella prospettiva di una nuova ricognizione del catalogo donizettiano, vuole sottolineare il passaggio di testimone maestro-allievo: si potrà così ascoltare la prima opera di Donizetti («Pigmalione» è del 1816) e dar vita al Donizetti200, il cui obiettivo è di eseguire ogni anno un’opera che compie 200 anni.
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Cult
Samuele Bersani, ora la voce è tornata
Un problema alle corde vocali l’aveva costretto ad annullare la tournée che l’avrebbe portato al Creberg lo scorso 18 ottobre. Ora il tour può finalmente ripartire: il cantautore bolognese sarà a Bergamo il 23 febbraio
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oveva aprire la stagione del Creberg Teatro il 18 ottobre scorso. Invece è stato fermato da problemi alle corde vocali, che l’hanno costretto a rinviare il «La fortuna che abbiamo tour». Ma ora Samuele Bersani riparte a cantare dal vivo da Roma, il 21 febbraio. Due giorni dopo, giovedì 23, è al Creberg Teatro di Bergamo. «Ho avuto un anno abbastanza difficile - ha spiegato il cantautore - perché sono rimasto afono e ho avuto un reflusso fastidioso. Mi sono affidato a medici bravissimi e sono rinato. Il nuovo
album? Uscirà questo autunno». «Ci sono dei colleghi con cui mi piacerebbe collaborare - ha detto il cantautore -, c'è chi sento molto vicino a me ma sono anche quelli più distanti dal mio mondo che mi stimolano parecchio. Io ho una idea su quello che si potrebbe fare. Ad esempio a me piacciono molto Daniele Silvestri e Niccolò Fabi». Samuele ha anche duettato in «Magari»" durante uno dei concerti milanesi di Renato Zero: «Non posso dire quello che ci siamo detti dietro le quinte perché lo voglio tenere per me, ma devo dire che ho
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incontrato una persona davvero generosa e di cuore». Dopo Bergamo, Bersani sarà il 25 febbraio a Padova al Geox, il 27 febbraio a Milano agli Arcimboldi, l’1 marzo a Torino al Teatro Colosseo, il 4 marzo a Bari al Teatro Palazzo, il 6 marzo a Catania al Metropolitan, il 7 marzo a Cosenza al Teatro Rendano, il 12 marzo a Firenze al Teatro Puccini, il 14 marzo a Genova al Politeama, il 15 marzo a Bologna al Teatro Celebrazioni.
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Cult
Al Donizetti arriva il miglior clown del mondo
«È un teatro che nasce inesorabilmente dai sogni e dalle fiabe», racconta Slava Polunin, nato in un piccolo villaggio russo, a cui va il merito di aver reinventato un ruolo prima relegato all’ambito circense
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ppuntamento di primo piano per la prosa al Donizetti dal 22 al 26 febbraio. C’è lo spettacolo «Slava’s Snowshow», creato e messo in scena dal clown russo Slava Polunin, indicato per i bambini di età superiore agli 8 anni. Un titolo che vanta numerosi premi e riconoscimenti (ad esempio: Lawrence Olivier, Drama Desk, Triumph, Golden Nose), trionfalmente portato in scena sin dal 1993, tanto da essere stato visto da ben oltre 4 milioni di spettatori, fino a imporsi come un classico del teatro del XX secolo (lo dice il Times di Londra). Slava Polunin ha infatti lavorato dura-
mente per emancipare la figura del clown dall’ambiente strettamente circense e portarlo nei più grandi teatri del mondo. Slava Polunin è considerato il miglior clown del mondo. Nato in una piccolo e rurale paesino russo, cominciò giovassimo un corso di mimo nella città di Leningrado (attuale San Pietroburgo). Subito si impose per la sua abilità. Nel 1980 fondò la compagnia teatrale Licedei. In questo periodo nacque l’idea del clown giallo. Nel 1993 raccolse le gag e gli sketch più famosi del suo repertorio in un unico spettacolo: «Slava’s Snowshow», appunto (precedentemente intitolato «Yellow»),
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che ben presto risultò un vero e proprio trionfo, tanto da valergli il Time Out Award. La prestigiosa rivista «Variety» ha scritto: «“Slava’s snowshow” rappresenta per il mondo dei clown quello che il Cirque du Soleil rappresenta per il circo… “Slava’s snowshow” è teatrale e al tempo stesso semplice, coinvolgente ed illuminante».
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Cult
La «fotografia globale» di Mario Cresci
La Gamec di via San Tomaso dedica al lavoro fotografico dell’artista ligure la prima grande mostra antologica, dal 10 febbraio al 17 aprile. Un linguaggio unico, il suo, all’interno della scena italiana del Dopoguerra
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a sua figura artistica può essere considerata tra le più ricche e complete, per intenti ed esiti, della scena italiana del Dopoguerra. Lui è Mario Cresci (Chiavari, 1942), al cui lavoro fotografico la Gamec di Bergamo dedica la prima grande mostra antologica dal 10 febbraio al 17 aprile. Cresci utilizza il linguaggio della fotografia per approfondire aspetti legati alla memoria, alla percezione, alle analogie, in un’analisi suggestiva che diventa un invito a confrontarsi in modo inedito con la realtà, con i luoghi, intesi come deposito di relazioni, memorie, tracce. La mostra attraversa la produzione dell’artista dalle prime sperimentazioni sulle
geometrie alle indagini di carattere antropologico sulla cultura lucana della fine degli anni Sessanta, ai progetti dedicati alla ricerca della scrittura fotografica e all’equivocità della percezione, in un percorso espositivo articolato in dodici sezioni capace di mettere in risalto analogie formali e correlazioni concettuali fra le diverse opere, privilegiando, così, uno sviluppo non necessariamente cronologico della sua produzione e poetica. Sarà inoltre presentata la rivisitazione di alcune sue famose installazioni poste in dialogo con opere più recenti, attraverso la ricerca di un’articolazione studiata per i diversi spazi espositivi; installazioni che presenteranno materiali eterogenei, non appartenenti unicamente allo specifico della
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tecnica fotografica, poiché, fin dagli esordi, Cresci è autore di opere composite caratterizzate da una libertà che attraversa il disegno, la fotografia, le installazioni e l’esperienza video. Il titolo della mostra, «La fotografia del no», si rifà al libro di Goffredo Fofi «Il cinema del no. Visioni anarchiche della vita e della società» (Elèuthera, 2015), che rispecchia in gran parte il pensiero dell’artista riguardo alla fotografia, intesa come mezzo privilegiato, ma non unico, per le sue scelte di vita e di relazione con gli altri. Per Cresci, infatti, la fotografia è un «atto globale, non circoscrivibile al singolo scatto», che si contamina, diventando argomento di testi e oggetto di docenza, nella ricerca di un dialogo con le giovani generazioni, per lui cruciale.
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Cult
Peter Hook, un mito della new wave
Il fondatore e bassista di Joy Division e New Order sarà al Druso Circus di Ranica l’8 aprile. Le canzoni dei due gruppi continuano ad essere citate come fonte di ispirazione da innumerevoli band contemporanee
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n Italia è già passato, con i The Light, a presentare i primi due album dei Joy Division, prendere il manto di Ian Curtis e riproporre brani ormai immortali. Nella sua rilettura del passato più glorioso del post punk e della new wave inglese, Peter Hook, fondatore e bassista dei Joy Division e fondatore, cantante e bassista dei New Order, ha poi ripercorso anche la sua vetta artistica e commerciale, i primi due album dei New Order che hanno definito il sound di tutte le band che si sono volute confrontare con synth e bassi nei successivi 30 anni: la definizione vera e propria di musica elettronica che ha radicalmente cambiato il volto dei dancefloor di tutto il mondo. Ora porta sul palco i brani delle compilation «Substance», il meglio delle due formazioni leggendarie. Lo fa anche nella Berga-
masca, al Druso Circus di Ranica per la precisione, il prossimo 8 aprile (ore 22). Ingresso 23 euro in prevendita, 25 euro alla cassa. Hook rimane energeticamente devoto alla musica, al rock and roll e ai vecchi tempi, anche facendo il dj per il mondo con la «Fac51 The Hacienda» e come autore, avendo ad oggi scritto libri su entrambe le sue esperienze all'Hacienda e con la sua prima band, i Joy Division. Il suo essere presente, il suo guardare oltre tutti i 30 anni di carriera da musicista, lo ha visto ridefinire il suo ruolo ed ispirare innumerevoli giovani bassisti nel suonare i classici come «Love Will Tear Us Apart"», «Atmosphere», «Ceremony», «Blue Monday», «Temptation», «Faith», «Bizarre Love Triangle», «Crystal» e altri ancora. Essendo stato ritratto in due importanti
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film «24 Hour Party People» e «Control», a prescindere dall'influenza dei New Order, i Joy Division e la Factory Records continuano ad essere citati come fonte di ispirazione da innumerevoli band contemporanee, come The Killers, The Chemical Brothers e Hot Chip solo la punta di un iceberg sterminato. Quando Peter Hook e i suoi colleghi alla Factory Records aprirono il locale The Hacienda nel 1982 e pubblicarono «Blue Monday» dei New Order nel 1983, sia il club che la direzione musicale della band trovarono ispirazione dai dj, dai clubbers e dai promotori durante l'ascesa della musica dance anni '80 e '90, diventando giustamente i pionieri della club culture come la conosciamo noi oggi.
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La Trinità di Lolmo a Sant’Agostino
Dai depositi della Carrara un gioiello restaurato è ritornato in esposizione. L’Aula Magna dell'Università degli Studi di Bergamo, all’interno dell’ex chiesa, diventato uno spazio per la cultura aperto alla città
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a «Trinità» (1582) di Giovan Paolo Lolmo, un prezioso olio su tela del pittore bergamasco tardo-rinascimentale, è tornata dopo due secoli nella ex Chiesa di Sant'Agostino in Città Alta, sua collocazione originaria. Conservata nei depositi dell'Accademia Carrara dal 1929, l’opera, dopo un sapiente restauro, grazie al contributo dell'Università degli Studi di Bergamo e al sostegno di Ubi Banca-Banca Popolare, è stata presentata il 21 dicembre al pubblico proprio nella cappella della Santissima Trinità, per la quale era stata commissionata e dove resterà esposta per tre anni, in quella che attualmente è l’Aula Magna dell'Università degli Studi di Bergamo, grazie ad un accordo di comodato. Promotori dell’iniziativa il rettore Remo Morzenti Pellegrini e Emanuela Daffra, orami ex direttrice dell’Accademia Carrara, accanto ai quali si devono menzionare Franca Franchi, responsabile scientifico e
organizzativo dell’evento per l'Università di Bergamo, lo sponsor del restauro Osvaldo Ranica, direttore generale di Ubi Banca Banca Popolare di Bergamo e Paolo Plebani, conservatore del dipartimento del museo cui appartiene il dipinto di Lolmo. Con l’inaugurazione del settembre 2015, l'aula magna, dopo un importante evento di restauro, si è presentata alla città come uno spazio non solo legato all'attività accademica, ma come un vero e proprio centro per eventi culturali: il ritorno della tela di Lolmo, pur specifico, si viene così a collocare in progetto più ampio avviato il 2 maggio 2016 con l’inaugurazione della mostra temporanea del Compianto di Bonconsiglio, un prestito dai Musei Civici di Vicenza. Il percorso proseguirà con l'impegno dell'Università degli Studi di Bergamo a riportare in Sant'Agostino le opere che nei secoli sono state allontanate dalla chiesa tramite aste, vendite e cessioni, per ricostruirne il pregio artistico e culturale.
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L’opera di Lolmo sul finire del Cinquecento fu battuta all'asta e poi recuperata dal municipio cittadino, che dopo averla esposta l'affidò in deposito all'Accademia Carrara.
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OPEN DAY(S) w w w. u n i b g . i t
25 marzo 4 maggio 20 maggio
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