i Quaderni della comunicazione
N° 106, maggio 2016 - Poste Italiane Spa - Spedizioni in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comm.1 DCB Milano
la guida per orientarsi nel mondo dei media, della pubblicità e del marketing
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direttore responsabile Salvatore Sagone - salvatore.sagone@adcgroup.it coordinamento editoriale Tommaso Ridolfi - tommaso.ridolfi@adcgroup.it art direction e realizzazione Marco Viale - marco@mvcreative.it stampa P.F. direttore commerciale Maria Cristina Concari - cristina.concari@adcgroup.it account manager Andrea Gervasi - andrea.gervasi@adcgroup.it Ilaria Granato - ilaria.granato@adcgroup.it Paola Morello - paola.morello@adcgroup.it Daria Pasquini - daria.pasquini@adcgroup.it Elisabetta Zarone - elisabetta.zarone@adcgroup.it abbonamenti abbonamenti@adcgroup.it I Quaderni della Comunicazione periodico mensile n° 106 maggio 2016 registrazione tribunale di Milano n° 679, 30/11/2001 Società Editrice ADC Group Srl presidente: Salvatore Sagone sede legale: via Freguglia, 2 - 20122 Milano Redazione e pubblicità: Via Copernico, 38 - 20125 Milano tel: +39 02 49766316 – e-mail: info@adcgroup.it La collana de I Quaderni della Comunicazione è disponibile esclusivamente in abbonamento annuale. Abbonamento ai Quaderni della Comunicazione euro 105,00 Abbonamento ai Quaderni della Comunicazione + Nc - Il mensile della Nuova Comunicazione euro 275,00 Abbonamento ai Quaderni della Comunicazione + Nc - Il mensile della Nuova Comunicazione + Advexpress euro 380,00 (+IVA) I Quaderni della Comunicazione© Copyright 2016 ADC Group Srl Finito di stampare nel mese di maggio 2016 da: P.F. via Kramer, 17/19 - 20129
Editoriale
Sblocchiamo il traffico? ADBLOCK PLUS, il più diffuso software per contrastare la pubblicità online, ma non certo l’unico, ha ‘festeggiato’ a inizio maggio i 100 milioni di installazioni attive. Poiché a gennaio ne dichiaravano 50, è chiaro che in meno di sei mesi la sua base utenti è letteralmente raddoppiata. Con la complicità della grancassa mediatica, da quando la scorsa estate Apple ha ammesso per la prima volta questa tipologia di app nel suo store, l’adblocking è diventato ‘argomento del giorno’. E lo è rimasto per mesi. Il suo trend di crescita è talmente rapido che, nonostante i molteplici sforzi, le stime che cercano di quantificare il fenomeno quasi invecchiano prima ancora di essere diffuse. Fino ai primi mesi di quest’anno, era opinione abbastanza condivisa dai vari istituti di ricerca e studiosi che la percentuale di utenti refrattari o infastiditi dalla pubblicità a tal punto da installare un software di ad-blocking viaggiava fra il 20 e il 25% a livello globale. Un ulteriore dato, di fonte Juniper Research e datato 11 maggio, parla di una perdita secca di 27 miliardi di dollari fra il 2016 e il 2020 se i publisher non troveranno strategie e contromisure efficaci. I problemi non mancano anche sul fronte opposto, quello dei marketer e delle loro agenzie: trasparenza e viewability sono le parole con cui si aprono ormai la stragrande maggioranza degli articoli, dei workshop e dei convegni dedicati al digital advertising. A questi due vocaboli possiamo aggiungerne un terzo: frodi, quelle dovute ai famosi ‘bot’, altrimenti definiti ‘traffico non umano’, e anche in questo caso si stima un danno per gli inserzionisti superiore agli 8 miliardi di dollari l’anno. Lascia esterrefatti che un sistema così avanzato stia andando a sbattere su questo genere di problemi, soprattutto dal momento che fin dalla sua nascita ha fatto una bandiera delle sue ‘differenze’ rispetto alla filiera dei media classici. Oggi il programmatic è sul banco degli imputati per la frequente incapacità di mantenere la promessa che è alla sua base: grazie all’uso dei dati, consegnare il messaggio giusto, all’utente giusto, sul device giusto e nel momento giusto. Quando ‘giusto’ non si riferisce all’utente-destinatario della comunicazione, ma a chi può spuntare un margine superiore! Per contro, lo testimoniano perfettamente i principali protagonisti di questo mercato nel Quaderno che state per leggere, tenendo fede alla sua parola il programmatic diventa uno strumento efficace ed efficiente come forse nessun altro. Anche per i consumatori che, traendo beneficio da una pubblicità che diventa vero e concreto servizio, non avvertirebbero il bisogno di bloccarla. Salvatore Sagone direttore responsabile e presidente ADC Group
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indice
Indice Editoriale, di Salvatore Sagone
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LA GEOGRAFIA DEL MERCATO Capitolo 1. Un quarto del display Capitolo 2. Caos calmo, ma non troppo Capitolo 3. To see or not to see Capitolo 4. La mia banca-dati è differente! Capitolo 5. A.A.A. specialisti cercasi
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I PROTAGONISTI Rocket Fuel. ‘Momenti’ di gloria StickyADS.tv. Monetizzazione premium Teads Italia. Premium video at scale Turbo. Un partner qualificato Xaxis. Unici sul mercato ZenithOptimedia. Data is king
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DOVE TROVARLI Gli indirizzi 98
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Un quarto del display A fine 2015 il mercato programmatico italiano era stimabile in 234 milioni di euro in crescita del +113% sul 2014. Il trend positivo proseguirà nel 2016 raggiungendo i 300 milioni di euro e una quota superiore al 25% del totale mercato display. Ci avvicineremo così ai paesi più avanzati, anche se Gran Bretagna e Stati Uniti resteranno per molto tempo irraggiungibili
GLI ULTIMI dati ‘ufficiali’ sono quelli rilasciati lo scorso dicembre nel corso dello IAB Forum da Marta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano e partner di IAB Italia: “Anche nel 2015 il mercato è cresciuto a due cifre, al di sopra delle aspettative di inizio anno – aveva affermato infatti Valsecchi –, confermando alcuni grandi trend, come Social, Video, Mobile e Programmatic Adv. A trainare il mercato sono stati soprattutto i social network, che registrano un incremento del 63% rispetto al 2014 e sono responsabili di oltre metà della crescita complessiva. Al secondo posto come driver di crescita si confermano i Video (+19 % sull’anno passato) che crescono sia su Mobile sia su PC, mentre al terzo posto si piazza la Search che continua a crescere (+5% nel 2015). Guardando alla prospettiva dei device, il Pc è sostanzialmente stabile (+1%) mentre gli investimenti pubblicitari su Smartphone crescono di ben il 54%, passando da 293 milioni a 452 milioni di euro, ovvero oltre un quinto del totale dell’Internet Advertising. Ed è solo l’inizio: le potenzialità di crescita del Mobile sono ancora molto elevate. Infine il Programmatic Advertising, ossia l’acquisto di spazi tramite piattaforme automatizzate, cresce del 113% arrivando a quota 234 milioni di euro (19% del display advertising)”. Fra i trend più importanti rilevati da Osservatorio 10
La presentazione di Marta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano, nel corso dello IAB Forum del dicembre scorso
e IAB nel corso del 2015 che stanno proseguendo anche nel 2016, c’è stato in primo luogo il netto miglioramento della qualità degli spazi disponibili: l’accostamento del programmatic al ‘low cost’ e all’invenduto che aveva accompagnato inizialmente la sua diffusione sembra quindi ormai in gran parte superata. Contemporaneamente, riflettendo i trend di crescita dell’intero mercato del digital
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1. INTERNET ADVERTISING: LA DINAMICA DEL MERCATO
Fonte: Osservatorio Internet Media Politecnico di Milano e IAB Italia - * Dati a preconsuntivo
advertising, anche nel programmatic si è assistito a una crescita di video e mobile: nel caso dei formati video l’inventory appare ancora limitata dal punto di vista quantitativo, nel secondo, è passsato da piattaforme di trading già il 15% del totale investimenti in mobile display. Oltre allo spostamento ormai generalizzato su queste piattaforme degli investimenti a performance, sono cresciuti, e molto, anche gli investimenti con obiettivi di branding, così come stanno crescendo in misura ragguardevole i Private Marketplace. Infine, la maggiore richiesta di utilizzo delle piattaforme di programmatic da parte degli investitori ha determinato la conseguente crescita – con tassi sempre più forti nel corso del 2015 – dei budget derivanti dalle agenzie media. A fronte di tutto ciò, la stima è che gli investimenti in programmatic proseguano nel loro trend positivo, crescendo di circa il 30-40% su base annua, tanto da raggiungere e
probabilmente superare i 300 milioni di euro complessivi alla fine del 2016. Il contesto globale Quello italiano, naturalmente, non è l’unico mercato in crescita, e i report e i forecast più accreditati sul mercato della comunicazione pubblicitaria mondiale (anche se non unanimi nell’indicarne i valori), concordano tutti su un fatto ineluttabile: l’advertising programmatico non solo sta rivoluzionando il modo in cui le inventory di spazi digitali sono comprate e vendute, ma sta anche contribuendo a far crescere gli investimenti in quasi tutti i formati display ed è a tutti gli effetti un fenomeno ormai globale e irreversibile. Stando alle previsioni di ZenithOptimedia e del suo report Programmatic Marketing Forecasts, pubblicato lo scorso dicembre, nel 2015 il programmatic advertising avrebbe già superato la metà del totale investimenti in digital display 11
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2. INTERNET ADVERTISING: LA VISTA PER FORMATI
Fonte: Osservatorio Internet Media Politecnico di Milano e IAB Italia - * Dati a preconsuntivo
(53%), con una previsione di crescita di tale quota al 60% nel 2016. “Il programmatic advertising – sostengono gli analisti di ZenithOptimedia –, che nel 2012 pesava solo il 12% dell’investimento in display, è cresciuto fino a dominare il mercato digital display in pochi anni. La spesa pubblicitaria in programmatic è salita dai 5 miliardi di dollari del 2012 ai 38 miliardi nel 2015, con un tasso medio di crescita del 100% l’anno”. Questa crescita tende a rallentare più si arriva ai confini del mercato display, anche se ZenithOptimedia si attende che il programmatic advertising crescerà di un ulteriore 34% nel 2016 e di un 26% nel 2017, punto in cui due terzi della pubblicità display globale saranno gestiti in programmatic. Gli Stati Uniti sono di gran lunga il più grande mercato pubblicitario programmatico, un mercato che vale 16,8 miliardi di dollari nel 2015 e pesa per il 44% dell’investimento programmatic globale. Il Regno 12
Unito, invece, si piazza al secondo posto, con un valore di 2,6 miliardi di dollari e un peso del 7%. Secondo i dati e le stime di Magna Global, il valore del mercato programmatico globale relativo a video e display è destinato a crescere dai 14,2 miliardi di dollari di fine 2015 ai 36,8 miliardi di dollari del 2019, quando per la prima volta più del 50% del mercato totale sarà transato da piattaforme programmatiche rispetto al 31% di fine 2015 (Fonte: Magna Global Advertising Revenues Forecast, dicembre 2015). Nel suo report specifico Magna Global Programmatic Intelligence, (la cui ultima edizione è del settembre 2015), la unit strategica globale del Gruppo Interpublic definisce come programmatic trading “ogni transazione pubblicitaria basata su piattaforme automatizzate che utilizzano dati relativi ai consumatori”: definizione che comprende sia Real Time Bidding (RTB) che altri tipi di transazioni automatizzate in cui alcuni aspetti (per esempio il prezzo) sono
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3. INTERNET ADVERTISING: LA VISTA PER DEVICE
Fonte: Osservatorio Internet Media Politecnico di Milano e IAB Italia - * Dati a preconsuntivo
pre-definiti e non in tempo reale (automated guaranteed, programmatic direct, ecc.). Rispetto ai suoi forecast precedenti, però, e così si spiega anche la differente valutazione complessiva rispetto a quanto indicato da ZenithOptimedia, dallo scorso anno Magna Global ha deciso di escludere dai conteggi l’advertising sui social media: pur trattandosi infatti di pubblicità display, di fatto, esattamente come la search, è una spesa già ‘programmatica’ al 100%, e secondo Magna Global la sua inclusione ‘annacquerebbe’ le osservazioni e i risultati sul resto del mercato. Da un punto di vista geografico, la transizione verso il programmatic procede, anche se a ritmi molto diversi, in tutti i 41 paesi analizzati dallo studio: il primo mercato mondiale si conferma naturalmente quello degli Stati Uniti, che con 7,7 miliardi di dollari nel 2015 rappresentava, da solo, il 54% del totale mondiale. A seguire Gran Bretagna, Giappone, Cina e Germania, anche
se questi ultimi 3 sono ancora molto indietro dal punto di vista della penetrazione (meno del 25% del totale display e video è acquistato e venduto in programmatic), ed è unicamente per la dimensione complessiva dei rispettivi mercati pubblicitari che il totale dei loro investimenti automatizzati acquista maggior rilevanza. Al di là dei numeri, però, i diversi mercati stanno seguendo linee di sviluppo marcatamente differenti. In Nord America, Australia ed Europa Occidentale il programmatic trading è arrivato quando già esistevano e si erano affermati altri canali di vendita per spazi digitali premium. Per questa ragione i publisher hanno iniziato a vendere e trattare questi spazi solo in ambienti rigidamente controllati, come per esempio atraverso le cooperative fra editori, un’idea nata in Francia ma poi ampiamente diffusa. Nella regione Asiatica e del Pacifico c’è una fortissima competizione fra le soluzioni 13
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4. INTERNET ADVERTISING: GLI ACQUISTI IN PROGRAMMATIC ADVERTISING
Fonte: Osservatorio Internet Media Politecnico di Milano e IAB Italia - * Dati a preconsuntivo
tecnologiche dei player globali che dominano la scena altrove e piattaforme alternative strettamente locali: insieme ai metodi di vendita classica e fondati sulle relazioni interpersonali fortemente radicati, in quest’area l’adozione del programmatic sta procedendo a un ritmo relativamente più lento. Nei paesi dell’America Latina, la forza dominante è quella dei grandi editori, e sono loro a esercitare un controllo determinante sull’espansione del mercato a seconda della loro maggior o minor inclinazione ad adottare soluzioni di vendita programmatica. Sul fronte dei formati, la quota maggioritaria della spesa pubblicitaria mondiale deriva oggi da banner e display, prosegue il forecast, che nel 2015 valevano il 74% del totale della spesa in programmatic. Ma entro il 2019 il mercato si ribalterà, e dall’attuale 26% il video arriverà al 55% – anche se USA e UK sono già fin dallo scorso anno oltre il 50%. 14
Non solo la quota degli investimenti video è destinata a crescere, ma anche il loro valore assoluto: ciò è dovuto alla sempre più ampia offerta di contenuti video premium che saranno via via resi disponibili attraverso le piattaforme di trading. Magna Global cita come esempio la nuova soluzione programmatica di Hulu (una delle principali piattaforme online di video on demand) che ha per la prima volta ha reso disponibile la sua premium inventory su qualsiasi device, desktop, mobile, smart Tv. E iniziative analoghe cominceranno presto a diffondersi anche nel resto del mondo. A proposito di device, il desktop continua a dominare il mercato raccogliendo il 72% del totale investimenti in programmatic. Anche in questo caso, però, le cose saranno molto diverse nel 2019 quando mobile e desktop si spartiranno equamente la torta. La crescita del traffico attraverso le app e la scarsità di spazi premium desktop saranno alla base della crescita
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5. ITALIA: IL PESO DEL PROGRAMMATIC SUL MERCATO MEDIA COMPLESSIVO
Dati a fine 2015 Fonte: Osservatorio Digital Innovation Politecnico di Milano
del mobile, contrastata però almeno in parte dalla sfida tecnologica e dalle difficoltà relative al tracciare e targettizzare i consumatori attraverso molteplici device. Il costo crescente del programmatic Il forecast più recente è quello rilasciato a fine aprile da GroupM: Interaction 2016, che fa parte della serie This Year Next Year della media unit del Gruppo WPP, prevede che nel 2016 la share degli investimenti digital rappresenteranno il 31% del totale media rispetto al 28% dello scorso anno, con una crescita del +14,4% che ne porterà l’ammontare complessivo oltre i 160 miliardi di dollari (il perimetro cui si riferisce il report è di 45 paesi). In riferimento al programmatic, GroupM stima
che nel 2015 il 37% degli investimenti display sia transitato da piattaforme di programmatic buying rispetto al 21% del 2014. Lo studio coordinato dal Chief Digital Officer, Rob Norman e dal Futures Director, Adam Smith, approfondisce in particolare alcuni trend quali l’adblocking, l’integrità della pubblicità online, la crescita del mobile e l’espansione della ‘app economy’, la transizione della televisione verso l’Over The Top, l’applicazione dei dati alla marketing communication e lo sviluppo dell’e-commerce. In particolare, uno degli aspetti focalizzati dall’analisi riguarda proprio l’efficacia di questi investimenti a fronte di problemi relativi alla misura effettiva delle frodi, della viewability e della ‘ad avoidance’ – ovvero il rifiuto da parte 15
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6. MONDO: IL PESO DEL PROGRAMMATIC SULLA DISPLAY ADVERTISING
Fonte: Osservatorio Internet Media Politecnico di Milano e IAB Italia, eMarketer - * Dati stimati per il 2016
degli utenti – degli annunci display. Trovare soluzioni a queste sfide è indispensabile per rendere la pubblicità online davvero efficace e garantire l’engagement dei consumatori nei confronti dei brand, ma ci si arriverà solo attraverso un processo lungo e anche costoso in termini di risorse, che richiederà l’impegno e la collaborazione di tutta la digital industry. In un certo senso, il programmatic buying è, almeno parzialmente, vittima del suo stesso successo, e nel breve periodo Smith prevede un incremento dei costi per gli investitori, dovuto a diversi fattori. Il primo è proprio la crescita della domanda più rapida rispetto a quella dell’offerta, a meno di un’improvvisa, ma al momento difficilmente prevedibile, crescita della disponibilità di spazi. In secondo luogo la promessa – e la necessità – di un’offerta di contenuti pubblicitari qualitativamente migliori: qualità che ha 16
anch’essa costi crescenti sia dal punto di vista della creazione e produzione, sia da quello della certezza che quei contenuti raggiungano effettivamente i consumatori ai quali sono indirizzati. Terzo, l’aumento del capitale richiesto per ricerca e sviluppo sia dal punto di vista della tecnologia che delle risorse umane, che a sua volta esercita una pressione al rialzo dei costi del programmatic: gli investimenti in figure professionali sempre più specializzate e in piattaforme di automation sempre più sofisticate è infatti destinato a crescere di pari passo con lo sviluppo di un settore che è pur sempre nella sua ‘infanzia’. Il tutto è legato alla necessità di raccogliere, utilizzare e comprendere meglio i dati sui consumatori: “Nonostante non ci siano dubbi che il programmatic trading produca risultati migliori – ha dichiarato Adam Smith alla stampa americana –, ogni ‘strato’ di dati che si va ad aggiungere tende a incrementarne il
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7. MONDO: REAL TIME BIDDING VS. PROGRAMMATIC DIRECT
Fonte: Osservatorio Internet Media Politecnico di Milano e IAB Italia, eMarketer - * Dati stimati per il 2016
costo”. Se inizialmente si pensava che più dati si avevano meglio si poteva pianificare, “Oggi ci si è accorti che la qualità conta più della quantità e che l’eccesso di informazioni è difficilissimo da gestire”. Il valore aggiunto dell’automazione La rapidissima e tumultuosa crescita del programmatic, accompagnata dalla frammentazione che caratterizza quasi sempre le fasi iniziali di un nuovo mercato, può dunque essere considerata un ‘limite’ del mercato stesso? E se, prima ancora che lo facesse GroupM, già molte aziende investitrici – sia quelle che lo hanno provato sia quelle che finora sono rimaste a guardare – si sono interrogate sulla reale efficacia del programmatic, si può davvero dire che l’uso della tecnologia abbia portato un contributo positivo alle pianificazioni? Qual è il concreto valore aggiunto del Programmatic? È sempre in grado
di generare ROI? E in che termini? Nel cercare una risposta a questi interrogativi avviamo il giro di microfono tra alcuni dei più rappresentativi progonisti del mercato italiano. “La comunicazione digitale sta attraversando una nuova fase di discontinuità dettata da evoluzioni tecnologiche che, come poche altre volte nella storia, vanno di pari passo con evoluzioni culturali e sociali – esordisce Fides Tosoni, Chief Digital Officer GroupM –. Finalmente le nuove tecnologie rendono realmente possibile una maggiore capitalizzazione della vasta mole di dati disponibili, che mai come ora permettono di raggiungere il consumatore con una conoscenza sempre più puntuale e approfondita. Consumatore che oggi non solo è sempre più connesso, ma anche sempre più esigente sulla qualità del messaggio che riceve. Si tratta di un nuovo consumatore, più attento all’utilizzo che viene fatto delle informazioni che 17
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8. UN MERCATO GLOBALE DA 37 MILIARDI DI DOLLARI ENTRO IL 2019 • Le tecnologie del programmatic buying stanno rivoluzionando l’acquisto di media digitali. Negli oltre 40 paesi analizzati da Magna Global, l’inventory display e video transata attraverso piattaforme programmatiche ha raggiunto globalmente i 14,2 miliardi di dollari nel 2015(+49% vs. 2014). • La crescita proseguirà nel prossimo quadriennio con un tasso annuo medio del +31%, fino a raggiungere un totale di 36,8 miliardi di dollari nel 2019. • I driver principali di questa crescita comprendono l’opportnuità di ridurre i costi delle transazioni (sia dal lato venditori, sia da quello acquirenti), l’opportunità di monetizzare uno spettro più ampio di impression digitali, e l’opportunità di sfruttare i dati sui consumatori su larga scala per migliorare l’efficienza delle campagne. • Globalmente, la share della spesa in programmatic sul totale investimenti display e video è stata del 31% nel 2015, era stata del 24% l’anno precedente, e arriverà al 50% entro il 2019. • Gli Stati Uniti guidano l’adozione del programmatic a livello globale – nel 2015 il 54% delle transazioni in programmatic è avvenuta negli USA – grazie a un mercato che lo scorso anno ha raggiunto i 7,7 miliardi di dollari. A fine 2015 la quota del programmatic negli USA è stata pari al 43% del totale investimenti in display e video, e crescerà entro il 2019 fino al 62%. • Il Real Time rappresentava lo scorso anno l’81% degli investimenti totali in programmatic, con la maggior parte delle transazioni avvenute in open market o attraverso marketplace privati, con ristrettezze maggiori ma meccanismi di pricing in ogni caso ‘auction based’. Fonte: Magna Global’s Programmatic Forecasts (Dicembre 2015)
lo riguardano e sempre meno tollerante verso forme invasive che ancora contraddistinguono certe pratiche di comunicazione. La sfida nella Nuova Era si gioca, quindi, sulla capacità di comunicare in modo mirato, sfruttando tutte le potenzialità che le nuove tecnologie mettono a disposizione. Dati e tecnologia ci permettono infatti – ora come mai prima - di superare gli approcci probabilistici e di individuare puntualmente il nostro reale ed effettivo consumatore per indirizzare precisamente a lui la nostra comunicazione, nel momento più utile e con le modalità più efficaci”. “Parlando sia come Vice Presidente di IAB Italia, sia come Chief Digital Officer Sky Italia – ribadisce Aldo Agostinelli – e quindi come buyer di un’azienda che fa il 95% dei propri investimenti in display attraverso il programmatic, non posso che confermare il trend chiaramente 18
positivo evidenziato dai dati ufficiali: a fine 2015 il mercato ha raggiunto quota 234 milioni di euro con una crescita a tre cifre (+113%) per il secondo anno consecutivo. La sua quota sul totale display ha toccato il 20% e prevediamo che quest’anno supererà il 25%, anche se siamo ben lontani dal 50% degli Stati Uniti. Questi numeri fanno capire che stiamo parlando di un settore la cui forte efficacia ed efficienza è già in un certo senso ‘provata’. Quello che il programmatic non è o non fa è soltanto permettere di acquistare a un prezzo inferiore: sbaglia chi lo interpreta semplicemente sotto questa luce, scambiando il fatto di poter risparmiare comprando in real time bidding la display advertising, il video o comunque lo spazio pubblicitario su di un sito. Sicuramente l’efficienza economica è un aspetto importante, ma la parte essenziale su cui nasce il programmatic è la possibilità di raggiungere con
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9. INVESTIMENTI DISPLAY E VIDEO (MLD $)
Fonte: Magna Global’s Programmatic Forecasts (Dicembre 2015)
molta più precisione l’audience di riferimento, cioè gli utenti con un profilo molto vicino alle richieste dell’investitore che in quel momento stanno guardando quel sito”. “Il valore concreto del programmatic – precisa Nereo Sciutto, presidente Webranking – dipende dalla sua filosofia di utilizzo. Finora il programmatic è stato visto come uno strumento per comprare tante impression a un costo inferiore rispetto a quello di altri canali. Noi crediamo nella concezione opposta: il vero valore del programmatic sta nel comprare meglio le impression per raggiungere le persone che sono più interessate. Questo si riassume dicendo che dovremmo comprare meno impression più qualificate, quindi anche a un prezzo superiore. Crediamo stia avvenendo una searchalization della rete display che comporta una più attenta pianificazione ROI-oriented: l’obiettivo quindi non è avere il maggior numero di impression, bensì avere un ROI positivo sulla campagna con CPM mediamente più alti ma migliori ritorni economici. D’altronde le logiche di bidding sono le stesse del paid search. Come in tutte le attività l’efficacia delle azioni dipende dalle
10. LA PENETRAZIONE DEL PROGRAMMATIC
Fonte: Magna Global’s Programmatic Forecasts (Dicembre 2015)
competenze e dalla bravura degli interpreti ma serve, comunque, un cambio di mentalità nei confronti dello strumento ritenendolo in grado di generare conversioni e non solo awareness”. Questione di misura Quella indicata da Sciutto è la filosofia corretta, è d’accordo Agostinelli, ed è in questo modo che il programmatic diventa la modalità di investimento più efficace nel mondo digitale: “Le post-analisi mostrano che chi ha fatto investimenti in programmatic ha sicuramente ottenuto dei benefici rispetto a chi si è limitato a investimenti ‘old fashion’. Ma a una condizione: che l’investimento e tutte le attività a valle siano misurate, controllate e verificate, meglio se internamente, e che ci siano le competenze per farlo. Nei seminari, negli incontri, nei vari speech che ho occasione di tenere, consiglio sempre a chi ha la possibilità di fare investimenti, non dico notevoli ma comunque sia di una certa consistenza, di seguire l’esempio della mia azienda: utilizzare il centro media per il planning e il buying, ma attrezzarsi con un po’ di tecnologia in modo tale che misurazioni e 19
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11. INVESTIMENTI IN PROGRAMMATIC PER NAZIONE
Fonte: Magna Global’s Programmatic Forecasts (Dicembre 2015)
controlli siano fatti sui sistemi interni e proprietari”. Su questo binario si innesta il ragionamento di Alessio Angiolillo, managing director Performics: “Alcuni clienti che un anno fa neppure tracciavano le campagne in full redirect, oggi hanno adottato internamente uno stack tecnologico come quello che utilizziamo noi perché hanno capito che non si tratta più di ‘media’, di esporre una creatività su un banner come se fosse su un cartellone: hanno smesso, cioè, di utilizzare il digital come una ‘stampa digitale’. Hanno compreso che l’importante – e questo è il puro spirito del performance marketing… – è vedere quello che succede 20
dopo il click. In altre parole si sono accorti, anche quelli che non fanno performance e che tipicamente investono il 95% del loro budget in Tv, che comunque ci sono dei dati da andare a vedere e analizzare e sono passati a una seconda fase in cui non si vive solo di reach. L’analisi delle performance post esposizione li aiuta inoltre a capire quale budget di marketing allocare l’anno successivo”. L’argomento è davvero ramificato e il discorso di Angiolillo apre un’altro tema ancora: “Quando hai già individuato un’audience che ti ha dimostrato la sua reattività, utenti che sono stati esposti, hanno cliccato, sono arrivati sulla
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12. INVESTIMENTI IN PROGRAMMATIC PER FORMATO
Fonte: Magna Global’s Programmatic Forecasts (Dicembre 2015)
landing page, hanno lasciato la mail, hanno partecipato al concorso, cominci ad avere dei target media e almeno già quattro/cinque sotto-cluster che puoi classificare in funzione del loro comportamento. In base a questi cluster puoi quindi capire quali leve e quali messaggi e canali andare a utilizzare per portarli nel punto vendita, per farli registrare, o se devi ritargettizzare per aumentare l’engagement perché, pur se arrivati alla pagina, non hanno fatto assolutamente nulla.... La strategia dei brand che vanno in Tv per muovere le vendite va bene, si continuerà a farla. Ma se alla Tv darai sempre il ruolo mass media, al digitale dovrai cominciare a dare un ruolo diverso: soprattutto brand nel settore dei consumer goods che finora hanno usato lo stesso spot in Tv e online si sono accorti che è un errore. Nel digitale la comunicazione fatta per la Tv non funziona: se si comunica qualcosa online
bisogna farlo nella modo giusto per quegli utenti e per essere fruita con quegli strumenti. Una volta online, uno spot di trenta secondi che parla di una brioche cosa porta in più? Un incremento di reach di qualche punto percentuale? bene, ma Mostrargli qualcosa d’altro, porta quegli utenti ad ingaggiarti su altri strumenti e si vedranno le vere differenze. Ecco: il vero valore del digitale è proprio questo, e questa è la vera strategia nuova che il dato porta alle pianificazioni in programmatic”. Angiolillo ricorda perciò la necessità della grande attenzione da porre sulla produzione di contenuti e la gestione delle campagne always on: “Un’azienda che produce e vende cioccolato cosa fa? Passata la Pasqua chiude i punti vendita, non produce più niente, chiude le fabbriche, licenzia tutti e riapre a Settembre? Non funziona così.... Quindi il suggerimento da dare al cliente è semplice: hai un prodotto stagionale? Bene, cerca di avere una strategia di comunicazione stagionale che segua i picchi di vendita, ma mantenendo sempre alta la comunicazione attraverso la produzione di contenuti. Comincia ad allocare dei budget sulla produzione di contenuti da erogare agli utenti anche nei momenti destagionalizzati per tenere sempre alta la loro attenzione per costruire e per valorizzare il rapporto. Perché quando quell’utente sarà poi colpito dalla comunicazione in periodo di stagionalità sarà più pronto a recepire quel messaggio. Ancora di più se ti rivolgerai a lui con un messaggio completamente diverso da quello di massa. Di questo dobbiamo andare a parlare ed è questo il tipo di strategia di comunicazione che grazie al programmatic possiamo e dobbiamo proporre. Più tecnologia, più efficacia Il parere condiviso è che il contributo della tecnologia al miglioramento delle pianificazioni non possa essere messo in discussione: “L’uso
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13. LA PENETRAZIONE DEL PROGRAMMATIC PENETRATION PER NAZIONE
Fonte: Magna Global’s Programmatic Forecasts (Dicembre 2015)
della tecnologia a mio avviso è sempre un fatto positivo – afferma per esempio Constantijn Vereecken, Managing Director WebAds –. Rende possibili e veloci processi che finora richiedevano un’enorme quantità di tempo, senza raggiungere la stessa precisione. Quindi il valore aggiunto è sicuramente la maggior precisione del target, ma quello che cambia è solo il processo di compravendita. La capacità di generare ROI sicuramente aumenta grazie al fatto che la pubblicità è più mirata, ma alla base rimane sempre la creatività e la scelta del target, che sono decisioni sempre in mano alle persone”. “Siamo convinti che la tecnologia stia dando un contributo decisivo al miglioramento delle possibilità di pianificazione e acquisto lato buyer e posizionamento e monetizzazione lato publisher – concorda Luca Morpurgo, Country Manager Italy & Spain Stickyads Tv – . L’uso del dato, la targettizzazione sempre più precisa, 22
l’economicità del processo, la valorizzazione dei formati all’interno del contesti editorial in cui vengono inseriti, il meccanismo dell’asta sono solo alcuni degli elementi eccezionalmente innovativi che la tecnologia e il mondo del programmatic hanno introdotto ormai stabilmente nel mondo del media. È qualcosa che va aldilà del semplice processo di acquisto e vendita di pubblicità, impatta fortemente anche su tutto ciò che sta a monte sia lato publisher nella costruzione del miglior prodotto editoriale sia lato buyer nella ricerca della miglior strategia di comunicazione degli advertiser”. Anche secondo Claudio Calzolari, CEO Turbo, non c’è alcun dubbio che l’uso della tecnologia abbia portato e porti sia una maggiore efficienza che più efficacia: “Le piattaforme utilizzate per acquisto/vendita di spazi pubblicitari, ottimizzano i processi necessari che sono spesso ripetitivi e di valore aggiunto relativo, lasciando
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UK: IL ROI ‘SUPERIORE’ DEL PROGRAMMATIC Secondo quanto riportato dal report ‘State of the Industry 2016’, pubblicato a marzo di quest’anno da AdRoll, in UK – un mercato certamente più avanzato rispetto al nostro –, il programmatic buying è considerato più efficace dei metodi tradizionali da una larga maggioranza degli investitori: all’incirca i due terzi (il 61%) delle aziende intervistate da AdRoll ha dichiarato che il ROI degli annunci pianificati attraverso piattaforme automatizzate è superiore a quello dei media classici. Di conseguenza, il 45% ha intenzione di incrementare i propri investimenti in questo settore su tutti i canali disponibili, con il 70% degli intervistati che destinerà fra il 10% e il 50% dei budget pubblicitari a campagne pianificate in programmatic.
spazio (inteso come tempo) agli operatori per ragionare sugli aspetti strategici e di comunicazione vera e propria. L’utilizzo dei dati e gli algoritmi permettono invece di qualificare quello che acquistiamo, rendendo più valido il contatto tra l’Azienda che comunica e la persona che la ascolta. Non dimentichiamoci che le persone sono bersagliate dalla pubblicità, spesso sono infastidite. L’unico modo per ridare valore al Digital Adv, uscire dal ‘rumore di fondo’ ed evitare che fenomeni come l’ad blocking emergano in modo esagerato, è fare una comunicazione il più personalizzata possibile, all’interno di ambienti non sovraffollati e senza colpire l’utente ‘a ripetizione’ con livelli di frequenza illimitati. Tutto questo può essere il risultato del Programmatic, se gestito correttamente dal Trading Desk”. Un ROI positivo “È sempre difficile, in presenza di un piano media eterogeneo e spesso ‘affollato’, poter stabilire chi e che cosa funziona davvero – osserva Enrico Quaroni, Managing Director Italy, Spain and MENA Region Rocket Fuel –. Quella che posso raccontare è un’esperienza recente in cui, grazie a un budget sostanzioso rispetto alla media, ed essendo l’unico partner di un cliente, abbiamo mandato in out of stock i suoi magazzini. Mi sembra una testimonianza più che evidente che pianificare in modalità programmatica sia assolutamente efficace: ma è
altrettanto evidente e necessario che chi la fa la sappia far bene – a queste condizioni, parlando di digital display, è un metodo che per efficacia non è secondo a nessuno –, perché se ci si affida ai venditori di fumo la delusione è dietro l’angolo”. “Il contributo del programmatic – concorda Dario Caiazzo, Managing Director Teads Italia – è in primo luogo quello di dare agli advertiser la possibilità di acquistare spazi in maniera più efficiente, in real time e senza intermediari. Inoltre, il ROI può essere misurato con precisione grazie, da un lato, all’ausilio di software in grado di ottimizzare al meglio i parametri di una campagna e, dall’altro, alla possibilità di selezionare l’audience utente per utente”. Il tema del ROI del programmatic, conclude però Agostinelli, va affrontato con prudenza: “Può essere non dico pericoloso ma certamente ambiguo: dipende infatti dall’obiettivo che ogni azienda si propone con ogni specifica campagna. Se l’investimento in comunicazione è relativo al brand, non avrebbe significato andare a calcolarne il ritorno dal punto di vista degli acquisti o delle conversioni. Diverso è il caso della performance, quando la comunicazione, per esempio di un operatore telefonico che nell’arco di 30 giorni vuole ottenere il maggior numero possibile di contratti, ha obiettivi che invece si prestano alla misurazione di specifici KPI”.
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Caos calmo, ma non troppo La frammentazione del mercato e la complessità della filiera creano due ordini di problemi: da una lato di ‘trasparenza’, indispensabile alle aziende per sfruttare al meglio il potenziale del programmatic; dall’altro di integrazione, per la necessità di far dialogare piattaforme e processi spesso non comunicanti fra loro. Come si affrontano e si risolvono queste difficoltà?
PARAFRASANDO una vecchia pubblicità: programmatic vuol dire sfiducia? Seguendo il dibattito internazionale sul tema della trasparenza è effettivamente avvertibile quanta sfiducia ci sia da parte degli utenti-consumatori nei confronti della pubblicità online (e all’adblocking sarà dedicato il prossimo capitolo), da parte dei clienti verso le agenzie, da parte delle agenzie riguardo ai loro stessi partner tecnologici. Oltre la boutade, il discorso segue direttamente quello già impostato nel capitolo precedente: gli utenti si fidano davvero del programmatic? È veramente un comparto trasparente come lo si vuol fare apparire? Come può un sistema consulenziale reggersi se manca la fiducia fra gli interlocutori? La questione non è di carattere ‘etico’ ma, al contrario, strettamente connessa allo sviluppo della tecnologia e alla crescita della complessità che questa ha portato sul mercato della digital economy. La frammentazione della filiera, con i suoi multipli passaggi da quando l’advertiser pianifica una campagna a quando il consumatore la vede, si è infatti inserita in un contesto e in uno scenario media già di per sé inficiato da un’avvertita e diffusa mancanza di trasparenza – anche se in Italia la situazione si era forse riuscita a 24
chiarire meglio che altrove. Da uno studio condotto da Technology Business Research (TBR) fra 240 utenti negli USA e in Europa, pubblicato a marzo e riferito ai programmi di investimento delle aziende per il 2016, emerge come solamente il 40% circa dei budget digitali delle aziende arriva oggi al vero e proprio ‘media’, contro il 29% che serve al pagamento dei diversi servizi delle agenzie e al 31% che è invece destinato a coprire i costi delle molteplici tecnologie sulle quali una campagna fa affidamento: quella che negli Stati Uniti è chiamata ‘technology tax’ e che in realtà non è neppure così ‘sorprendente’, visto che anzi fonti diverse sostengono che la percentuale sia ancora più alta. In ogni caso, tornando al problema della fisducia/sfiducia/trasparenza, il problema nasce dal fatto che in moltissimi casi le aziende non sono a conoscenza dell’effettivo mark up di questi layer tecnologici, e non hanno di conseguenza la possibilità di calcolare la reale performance e verificare i benefici promessi dall’intera ‘catena’ del programmatic. Programmatic ‘fai da te’ Date le premesse, non c’è da stupirsi se il trend che vedeva alcune delle maggiori
capitolo2
1. LA DIVISIONE DEI BUDGET NEL 2016
Fonte: Technology Business Research (TBR), marzo 2016
aziende mondiali portare ‘in casa’ la tecnologia alla base del programmatic è proseguito e si è anzi esteso. Secondo uno studio realizzato a febbraio dall’Association of National Advertisers (omologa statunitense della nostra UPA) e da Forrester, il numero di marketer che utilizza il programmatic è esploso nel 2015: il 79%, infatti, ha dichiarato di aver effettuato acquisti in programmatic lo scorso anno, più del doppio rispetto al 2014 quando lo aveva fatto solo il 35%). Il 70% degli intervistati si è detto preoccupato e ha identificato nelle frodi e nella ancora insufficiente trasparenza i due ostacoli chiave all’ulteriore sviluppo del programmatic: manca trasparenza sui costi associati alla supply chain, sulle inventory disponibili e sui dati, e sono scarse le informazioni su se e quanto le agenzie ottengano ritorni economici da parte di editori e concessionarie
attraverso la gestione dei busget dei clienti (i ‘sempiterni’ DN o diritti di negoziazione…). In risposta a queste problematiche, fra le altre iniziative adottate, gli investitori USA hanno citato: • la richiesta alle agenzie partner di linee guida prima e reportistica dettagliata poi su ogni campagna (62%) • hanno continuamente aggiornato le ‘blacklist’ (51%) e attivamente targettizzato le ‘whitelist’ (45%) • hanno acquistato inventory attraverso marketplace privati creati dalle media company (42%) • hanno inserito negli ordini di acquisto un linguaggio più chiaro per aumentare la trasparenza (40%) Ma soprattutto, il 31% degli investitori ha dichiarato di aver aumentato le proprie 25
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2. PRINCIPALI OSTACOLI ALL’INTEGRAZIONE DELLE ATTIVITÀ DI MARKETING
Note: interviste a marketer e professionisti dell’ecommerce in tutto il mondo - % di risposte Fonte: Econsultancy, “Quarterly Digital Intelligence Briefing: The Multichannel Reality”, in association with Adobe (settembre 2015)
competenze e le proprie capacità tecnologiche per gestire tali acquisti internamente. Un rappresentante di spicco del mondo delle agenzie come Sir Martin Sorrell, chairman di WPP Group, ha dichiarato che questo trend sarà di breve durata, rappresentando in realtà una risposta alle difficoltà economiche attraversate dal mercato della comunicazione. Ma diverse voci hanno ribattuto che la situazione economica o l’intenzione di tagliare i costi sono solo in minima parte responsabili delle decisioni aziendali in quest’area: una ragione più profonda è infatti nella realizzazione che la tecnologia digitale sta ridefinendo l’intero processo di acquisto dei media, così come ha già ridefinito interamente altri settori industriali ed economici. “Internalizzare il programmatic – ha scritto per esempio Martin Kelly, Chief Executive e co-fondatore dell’agenzia indipendente 26
inglese Infectious Media – è solo un modo per alcune aziende di esplorare nuovi modelli di relazione con il mercato, centralizzando e gestendo internamente i dati di prima parte per effettuare acquisti basati su una strategia unitaria e non frammentata. Per altre si tratta invece di ridiscutere il rapporto con le stesse agenzie, che fino a poco tempo fa avevano un ruolo guida nella scelta dei partner tecnologici: lo shift delle piattaforme da strumenti di analisi e reporting a tool operativi sta cambiando tutto, e anche se il tempo e gli investimenti necessari a effettuare questo passaggio non sono indifferenti, molte aziende hanno intenzionalmente scelto la strada del ‘fai da te’ per poter scegliere le tecnologie alle quali appoggiarsi e chiedere poi alle agenzie di operare attraverso di esse”.
capitolo2
3. L’ATTEGGIAMENTO NEI CONFRONTI DELLE DMP
Note: % di risposte su un campione di 148 marketer in tutto il mondo Fonte: Econsultancy, “The Role Of DMPs in the era of data-driven advertising’, in association with Oracle Marketing Cloud, luglio 2015
La risposta delle agenzie “È vero che ancora, molto spesso, i clienti sono diffidenti perché pensano che le agenzie media abbiano sempre qualcosa da nascondere, qualche ‘trucco’ per ingannarli… – commenta Alessio Angiolillo (Performics) –. Dobbiamo ammettere che negli anni un po’ tutta l’industria si è costruita questa immagine di scarsa trasparenza, queste aree di grigio che ovviamente non fanno bene al sistema. Il problema è che il grande business è ancora mosso dai grandi investimenti offline e dalla Tv in primis, che come dicono gli anglosassoni è e rimane ‘the bread winner’, ossia colui che porta a casa i soldi... oggi la Tv condiziona il mercato italiano, le organizzazioni e soprattutto le persone che guidano queste organizzazioni che sono persone di estrazione offline. Quando si va a discutere di digitale e programmatic, di
Alessio Angiolillo, Managing Director Performics
questa nuova visione, serve avere dall’altra parte persone che recepiscano, quindi 27
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CHE IMPATTO POSSONO AVERE 24 CENTESIMI? Maarten Albarda (nella foto), consulente indipendente di Flock Associates, specializzato in Marketing Integration & Effectiveness con trascorsi da responsabile globale per il marketing di colossi come Coca-Cola e Anheuser Busch-Inbev, nella sua rubrica sul sito specializzato Mediapost ha recentemente provato a fare ‘i conti della serva’: “Per ogni dollaro investito in programmatic solo 40 centesimi raggiungono il consumatore. Di quei 40, però, se ne perdono – a spanne – il 25% per colpa dei bot e delle frodi. Quindi i centesimi di dollaro che raggiungono il consumatore diventano 30. Ma non basta: un utente su cinque usa un adblocker, quindi un altro 20% se ne va… Tutto ciò vuol dire che per ogni dollaro speso in advertising digitale restano solo 24 centesimi con cui sperare di generare impatto ed engagement nei confronti del consumatore…” Non sono bravo in matematica, scrive Albarda, ma mi sembra non ci sia proprio da stupirsi se ancora c’è chi mette in dubbio l’impatto dell’adv digitale, se i marketer si portano il programmatic in casa (una soluzione solo parziale), se tutte le misure sull’impatto del digital sono espresse in frazioni decimali... “Che ci preoccupiamo a fare – si domanda Albarda – di creare contenuti e brand story ingaggianti se poi le loro possibilità di essere viste sono decimate da un sistema costruito per molte ragioni ma di certo non per garantire l’impatto sui consumatori?”. E conclude: “Ciò che mi sorprende di più è che l’industria della comunicazione non ha mai accettato la benché minima percentuale di frode o di perdita a causa di pratiche non trasparenti per nessun altro mezzo”. Quando qualcuno o qualcosa ha sollevato dei dubbi – per la televisione, l’outdoor o la radio –, agenzie e clienti li hanno risolti insieme. “Ma siamo arrivati al 21° secolo e il quadro è quello di un intero segmento di questa industria a dir poco losco o, ancor peggio, completamente fraudolento. E non c’è alcuna iniziativa presa di comune accordo per risolvere la situazione. Continuo a pensare che la mia interpretazione sia eccessiva, che mi stia sbagliando: ma i fatti che osservo vanno in direzione opposta. Come usciremo da questo caos?”.
direttori marketing che abbiano comunque una preparazione digitale e una minima conoscenza della tecnologia che abilita il marketing. Spesso, invece, dal lato del cliente ci sono interlocutori che non sono ancora in grado di esporsi, di capire che è la tecnologia che abilita la strategia. So di dire una cosa abbastanza borderline, ma questa è la verità. Parlare di ‘tecnologie di marketing’ significa parlare di SalesForce, dello stack di DoubleClick, di tool di business intelligence… Tecnologie che noi agenzie abbiamo già importato e fatto nostre, strutturandoci per offrire competenze e consulenza su questi aspetti: 28
nonostante ciò, molti clienti continuano a vederci solo come grandi buyer o planner, ottimizzatori di acquisti e non fornitori di soluzioni di marketing. Alla fine i centri media guadagnano con le concessionarie e non con i clienti, ed è chiaro che questo è il grande salto che tutti dobbiamo fare a livello di sistema: nel nuovo modello di business, sono i clienti che devono riconoscere in noi quelle strutture capaci di portare servizi, organizzazioni e soluzioni di marketing e comunicazione sempre più digitali”. Secondo Fides Tosoni (Group M), l’origine dell’attuale diffidenza deriva dal fatto che,
capitolo2
4. INVESTIMENTI IN TECNOLOGIA DELLE AGENZIE Forte Leggero Nessuna Leggera Forte Incremento incremento Variazione Diminuzione Diminuzione Digital Analytics 45% 42% 12% 1% 1% Content Marketing 43% 42% 15% 1% 0% Data Management Platforms 31% 48% 19% 2% 1% Mobile Marketing 24% 42% 31% 2% 1% Social Media 22% 47% 26% 4% 1% CRM or Email Marketing 21% 41% 34% 4% 1% Programmatic Advertising 19% 32% 45% 3% 1% App Development 17% 39% 42% 1% 1% SEO (natural search) 15% 41% 40% 4% 0% Paid Search (PPC) 14% 37% 44% 4% 2% NOTE: interviste a 387 senior manager di agenzie in tutto il mondo - % di risposte Fonte: Econsultancy, “The future of agencies: the progression of agency value in a digital world” in association with Adobe, settembre 2015
Fides Tosoni, Chief Digital Officer GroupM
agli albori, il programmatic era una modalità di acquisto che si avvaleva come fonte di approvvigionamento dell’open market e
quindi della cosiddetta long-tail: “Il programmatic attuale si è evoluto – nota però Tosoni –: oggi la modalità programmatica in realtà è una condizione di gestione della pianificazione sul digitale che permette massima trasparenza sull’andamento della singola campagna. In altre parole, consente di essere a conoscenza in tempo reale dell’efficacia della campagna stessa, e di rivederla, o modificarla, al bisogno, sempre in real time. Il programmatic garantisce dunque un punto di vista neutro e oggettivo quindi, paradossalmente, non crea un problema di trasparenza, ma al contrario offre l’opportunità di adattarla alla luce delle esigenze. Un rischio potrebbe, tuttavia, essere quello di incorrere in un overload di dati e informazioni, che se mal gestiti si rivelerebbero più dannosi della mancanza dei dati stessi. Il nostro ruolo di consulenti verte proprio su questo: dalla definizione iniziale dei KPI e degli obiettivi della 29
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campagna fino alla lettura e interpretazione del dato. La principale sfida di GroupM (e delle Agenzie del Gruppo) è, quindi, sempre più quella di rispondere alle esigenze dei clienti con prodotti ‘chiavi in mano’ o servizi che combinino inventory di qualità, tecnologia, dati e competenze in un’offerta full funnel all-inclusive”. La trasparenza non è un self service “Transparency doesn’t mean self-service”: lo ha scritto nel suo blog – rilanciato anche da ADVexpress – il Team Audience di Yahoo Emea, discutendo del fatto che uno dei più grandi vantaggi del programmatic adv è la trasparenza nell’allocazione della spesa e delle performance: “Ci sono molte piattaforme che permettono di gestire in piena autonomia la propria campagna e, per le aziende che hanno le risorse necessarie per la pianificazione e l’esecuzione di una campagna, questa è una valida opzione che offre loro pieno controllo e visibilità. Tuttavia, portare in-house le attività di programmatic advertising non significa necessariamente guadagnare in trasparenza. Molti vendor di programmatic offrono soluzioni gestite in cui chi fa pubblicità può intervenire e prendere decisioni riguardo ai dati, al target e avere visibilità su spesa e performance. Non esiste un solo modo di ‘fare programmatic’. È importante che chi si occupa di marketing faccia i conti con quello che pensa di sapere sul programmatic, esplori le possibilità e trovi i partner giusti che li aiutino a fare le giuste scelte e prendere le giuste decisioni”. Proprio in qualità di partner si offre StickyADS.tv: “Il nostro concetto di trasparenza si fonda su alcuni semplici presupposti – spiega Luca Morpurgo –. Il
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primo, forse il più importante, sta nella mission di StickyADS, cioè aiutare I publishers a monetizzare al meglio la loro video inventory. Come? Semplicemente mettendo in contatto diretto publisher e buyer all’insegna della disintermediazione, applicando un fee concordato con il publisher sull’attività svolta e sulle revenues generate dall’utilizzo della piattaforma, integrando tutte le più importanti DSP oggi presenti sul mercato (nel nostro caso oltre 90), mettendo sul mercato inventory chiaramente riconoscibile ed esclusivamente con site list trasparenti: whitelist è la nostra parola d’ordine. E poi lasciando nelle mani del publisher la facoltà di cambiare i parametri di commercializzazione dei propri spazi in piattaforma in funzione delle proprie esigenze, strategie, politiche commerciali e col supporto del nostro servizio di insight e analytics molto preciso e dettagliato”. “Se nonostante la lunga catena del programmatic le aziende investitrici ritengono comunque di aver ottimizzato il loro investimento – semplifica Constantijn Vereecken (WebAds) –, al momento non credo per loro ci sia un reale problema: anche la tecnologia ha un costo, e tutti, nella catena, ne paghiamo il prezzo. Secondo me al momento i più penalizzati sono gli editori, ma è un processo che è ancora agli inizi e sicuramente deve essere migliorato”. “Il programmatic ha generato una stack di servizi dove è possibile ‘annegare’ costi di piattaforma e fee di gestione – concorda Nereo Sciutto (Webranking) a proposito della lunga filiera –. Considerando che tutti gli attori sono for profit, non stupisce che il tema della trasparenza diventi un forte hype presso gli advertiser che iniziano a preoccuparsene. Noi siamo probabilmente
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l’unico trading desk che espone ai propri clienti i prezzi e le fee di gestione operando nella più totale trasparenza e aprendo gli accessi alle nostre console. La trasparenza genera fiducia e la fiducia genera nuovi progetti sui quali lavorare. Nonostante il nostro sia un comportamento virtuoso per quanto unico, alcuni tool non dichiarano quale sia la fee che richiedono per funzionare. Il nostro consiglio è quello di focalizzarsi sui risultati alla fine della pianificazione, in termini di ROI e ROAS e non limitarsi a un’analisi del solo buying”. Sulla stessa posizione è anche Enrico Quaroni (Rocket Fuel): “Chi è bello, di solito, non ha alcuna paura o vergogna nel farsi vedere nudo… – sottolinea con un sorriso–. Fuor di metafora, ci riteniamo la società più aperta in assoluto in questo mercato. Qualsiasi cliente può venire da noi, vedere la nostra piattaforma, verificare quali sono i nostri margini, tutto ciò che vuole! Non abbiamo nulla da ‘nascondere’ e siamo felicissimi di dare a loro il massimo controllo su ciò che facciamo. La prima certificazione di questa trasparenza, del resto, i clienti possono misurarla direttamente attraverso il loro ROAS, Return On Advertising Spend: e quando questo è positivo non hanno alcuna ragione di temere chissà che cosa. Quella della trasparenza dell’intera filiera è una problematica diversa, e il timore è ancora abbastanza diffuso, ma solo perché ancora mancano una certa educazione e cultura di base che non permette di stare tranquilli al 100%. La mia personale convinzione è che non tutto ciò che non si conosce sia malvagio”. Chiude su questo argomento il parere di Aldo Agostinelli, (IAB Italia e Sky): “Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti importanti sulla trasparenza rispetto al passato, quando c’erano delle metodologie
Constantijn Vereecken, Managing Director WebAds
di verifica dell’efficienza degli investimenti che adesso non sono neppure più utilizzate perchè superate: un esempio è quella del calcolo della conversion sull’ultimo click. E personalmente credo che con quelle vecchie metodologie la trasparenza fosse assai minore. Oggi esistono numerose possibilità di verifica dei diversi passaggi grazie a strumenti che ogni azienda se vuole può comprare, quindi portandole ‘in casa’, sia attraverso società terze: strumenti che consentono molteplici analisi della dispersione dell’investimento per capire se quegli investimenti sono stati fatti in target, se è stato erogato il livello di impression previsto dall’investimento, e così via…”. Per Agostinelli ciò vuol dire che l’azienda per prima deve in un certo senso crescere
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attraverso l’inserimento di persone con specifiche competenze: “La questione, secondo me, oggi è quindi più nelle mani dell’investitore, tanto che non lo definirei neppure un problema di trasparenza ma di conoscenza e di comprensione. Nel confronto fra pianificazione tradizionale e programmatica non si può dire a priori che uno sia più trasparente dell’altro: di sicuro, però, il programmatic tende quanto meno a garantire se ogni euro investito tramite piattaforme automatizzate e altamente tecnologiche è stato investito nel modo più efficiente e probabilmente anche più efficace. Ma ripeto, non parliamo di trasparenza: tanto più che nel campo degli investimenti digitali si possono avere tutti i report del mondo e avere dalle post campaign tutte le certificazioni del caso, e se c’è qualcosa che non va basta avere le competenze e si scopre subito il problema dov’è”. System Integration C’è un’altra problematica sollevata dalla frammentazione di un mercato in cui tutti si dichiarano capaci di fare un po’ di tutto e la distinzione dei diversi ruoli non è, in molti casi, perfettamente chiara: editori, agenzie, trading desk, società tecnologiche… Perché in questa lunga ‘catena’ ciascun anello propone strumenti proprietari che in troppi casi non si integrano con quelli degli gli altri operatori. Allo stesso tempo, l’innovazione non si ferma e dà continuamente vita a nuove soluzioni, mentre chi deve o vuole gestire i processi ritiene fondamentale l’integrazione delle risorse e dei tool. Quale ruolo giocano in questo contesto tanto le agenzie media quanto le piattaforme indipendenti? “La risposta è complessa perché non c’è e non può esserci un solo modello – osserva
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Angiolillo –. In passato il nostro compito era tutto sommato semplice – portare al cliente un piano media – e l’organizzazione ‘a silos’ era la più funzionale, perché si trattava di dimostrare che l’allocazione di una quota di budget X sui mezzi Y, Z e W aveva un certo costo, con dinamiche di acquisto e di ottimizzazione precise. Le variabili dei dati e del tempo reale hanno cambiato tutto: ciò che oggi portiamo ai clienti è una strategia di comunicazione prima che media, disegniando cioè un percorso di brand experience map in cui definiamo il percorso che secondo le nostre analisi e la nostra visione il consumatore, l’utente o il prospect intraprenderanno esponendosi ai vari touchpoint – la Tv, la radio, l’Out Of Home, e in particolare il digital con tutte le sue sotto-categorie, dai motori di ricerca al video online. In questa brand experience map il cliente trova quindi l’indicazione del miglior percorso di attivazione possibile su ogni touchpoint, ciascuno dei quali ha un suo peso, una sua rilevanza e una sua influenza nel generare intenzione d’acquisto, awareness, acquisto vero e proprio, in base all’obiettivo o agli obiettivi della campagna”. La prima fase di questo processo, spiega ancora Angiolillo, è nelle mani dell’account strategist o del comunication planner – una persona che deve sapere interloquire di business, di media, di comunicazione, di tecnologie –, che in funzione di ricerche sul target, dei dati storici di campagna, del pregresso del cliente, delle performance di campagna tipicamente digitali, elabora tutti questi dati e comincia ad analizzare la possibile user experience per costruire la strategia. “Solo quando questa strategia è approvata dal cliente entrano i campo tutti gli altri specialisti, e a quel punto il lavoro procede effettivamente un po’ a ‘silos’, ma
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non può essere altrimenti e non è una cosa necessariamente negativa. Sia nel lavoro sull’online che sull’offline, rimane infatti un fondamentale filo conduttore che lega tutto, e che sono i dati: tutto ciò che facciamo lo vediamo in una nostra piattaforma – sviluppata per integrare a sua volta diverse altre piattaforme di analytics e di business intelligence di terze parti, che però non si parlano fra loro, come Adwords, Facebook, Twitter e molte altre – che ci permette di verificare i più importanti insight e di vedere in tempo reale l’andamento di ogni campagna. Alla fine, come in una figura a rombo, grazie ai dati l’organizzazione a silos si ricompatta nella figura dell’analyst, che agli strategic account passano gli insight di campagna, di breve, medio o lungo periodo, mentre ai planner, ai campaign manager e alle operations passano quelle che sono le regole di ottimizzazione”. “La missione principale di GroupM è quella di essere a servizio delle Agenzie media del Gruppo – dice Federica Setti, Chief Research Officer GroupM –. E il miglior servizio a valor aggiunto non può che essere frutto di una continua ricerca dell’innovazione attraverso l’integrazione di competenze e best practice. È ormai da tempo che le diverse skill di GroupM lavorano in sinergia per fornire soluzioni e risposte realmente competitive. L’approccio rigoroso del research è stato integrato con l’eclettismo digitale per fornire processi e metodi; la lunga esperienza di chi ha raccontato per anni l’evoluzione degli offline media è stata messa a disposizione del nuovo ecosistema per tradurre in modo semplice ma efficace le complessità tecnologiche del digitale. Senza dimenticare il ruolo centrale nello sviluppo di prodotti rilevanti e distintivi capaci di rispondere in modo concreto ai crescenti bisogni dei
nostri clienti e delle nostre agenzie. Ad esempio l’integrazione di diverse fonti informative, attraverso la costruzione di strutture complesse di architettura dei dati, ci permettono oggi di fornire alle agenzie e ai nostri clienti, soluzioni in tempo reale, evitando sovrastrutture e processi che allungano i tempi di risposta. Oppure l’integrazione forte con il nostro network e con i nostri asset internazionali ha dato vita a prodotti innovativi per il mercato che rispondono proprio all’esigenza di semplificare la complessità. È il caso di LIVE Panel, l’ultimo prodotto nato in casa GroupM, capace di connettere tutti gli strumenti esclusivi di media planning delle nostre agenzie con gli asset esclusivi Kantar e con il mondo Xaxis, così da fornire uno strumento utile per approfondire la conoscenza del consumatore e sviluppare insight di comunicazione realmente media actionable”. La questione è fondamentale anche per Nereo Sciutto: “L’integrazione reciproca dei tool è quello che caratterizza la bravura dei trading desk indipendenti. Non essendo vincolati a nessun vendor in particolare, è possibile avere un orizzonte molto ampio e selezionare per ciascun progetto i tool più adatti alle esigenze del cliente. Questa visione permette di superare l’attuale frammentazione del mercato dove ogni player cura la propria parte e di semplificare la complessità. Parlando per metafore riteniamo che ogni player presenti un pezzo del puzzle e che sia compito dell’agenzia o del team interno del cliente trovare i pezzi che compongano il disegno più soddisfacente”.
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To see or not to see Vedere o non vedere (la pubblicità): è questo il problema? Più di 200 milioni di persone in tutto il mondo dicono di sì, e hanno installato su pc o mobile un software per bloccarla. Altra faccia della stessa medaglia è la viewability: perché anche se non ha installato un ad-blocker la certezza che il destinatario abbia effettivamente visto un annuncio è pressoché inesistente
IL FENOMENO è ‘pericoloso’ e sempre più studiato, e le sempre più numerose fonti concordano: l’Ad-Blocking sta crescendo in modo esplosivo in tutto il mondo. A giugno 2015, indica per esempio il recente white paper pubblicato da IAB Italia, erano 198 milioni gli utenti con un ad-blocker attivo, in crescita del 41% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (Fonte: PageFair, giugno 2015). E anche in Italia il fenomeno aveva raggiunto cifre decisamente importanti: già lo scorso anno il 25% della popolazione con più di 18 anni utilizzava gli ad-blocker (Fonte: GroupM, ottobre 2015). Anche i dati di Human Highway confermavano la diffusione del fenomeno: il 30,6% degli utenti con più di 15 anni utilizza gli ad-blocker su desktop. Negli ultimi mesi, l’impennata dell’attenzione su questo argomento a livello globale – anche da un punto di vista mediatico – ha provocato un ulteriore balzo in avanti della conoscenza degli ad-blocker: una survey realizzata da Accenture (su un campione di 28.000 consumatori di 28 paesi) pubblicata ad aprile indica che il 61% degli utenti è ormai a conoscenza di molteplici opzioni per bloccare gli annunci, e che il 42% si dichiara disponibile anche a pagare pur di eliminare le interruzioni pubblicitarie. Sicuramente ad aumentare non è stata solo la awareness del fenomeno: secondo il Global Web Index, per 34
esempio, nell’ultimo quarter del 2015 l’incremento delle installazioni di ad-blocker su scala mondiale è stato di ben il 10% rispetto al trimestre precedente, arrivando a sfiorare ormai quasi il 40% del totale utenti. Anche il già citato report di GroupM, ‘Interaction 2016’, prova a far luce sul fenomeno, specificando però che manca una verità nuda e cruda sulle sue dimensioni reali: basandosi sui dati forniti da 19 delle sue sedi, GroupM stimava che ad aprile circa il 22% degli utenti complessivi aveva installato un ad-blocker sui propri device. Con oltre il 30%, Francia Polonia e Austria erano i paesi più colpiti, seguiti dal 27% dell’Italia, il 26% del Cile, e il 25% di Germania e USA. Altri dati ancora sono quelli forniti da Teads, che alla fine dello scorso anno ha pubblicato i risultati della ricerca realizzata insieme a Research Now su 9.000 persone suddivise in tre gruppi: utenti con ad-blocker attivo su desktop/laptop, con ad-blocker attivo su mobile e utenti a conoscenza di questi strumenti ma che non ne hanno installato ancora uno. Fra i risultati più interessanti emersi a livello italiano, Teads ne indica cinque: 1. Il potere della scelta: l’85% degli utenti non installerebbe gli ad-blocker se il formato di advertising desse loro la possibilità di skippare o chiudere l’annuncio.
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01. I PRIMI 10 MOTIVI PER BLOCCARE LA PUBBLICITÀ
Sesso, età, reddito e paese di residenza sono poco influenti: ciò che conta è che secondo le persone intervistate da Global Web Index le prime ragioni per bloccare la pubblicità sono i troppi annunci fastidiosi o irrilevanti e la loro eccessiva quantità. Gli operatori hanno ragione a sottolineare che senza pubblicità non ci sarebbero contenuti gratuiti, ma fino a quanto la quantità e la qualità dell’advertising non sarà maggiormente controllata – ponendo la user experience prima del numero di annunci serviti – sarà difficile registrare un cambio di atteggiamento. % di utenti che hanno bloccato la pubblicità sui propri computer/smartphone nell’ultimo mese Fonte: Global Web Index, aprile 2016
2. Passaparola: il 38% degli utenti con un ad-blocker installato su desktop o laptop, ha scoperto l’esistenza di questi software tramite altri utenti. 3. Il tuo browser fa la differenza: il 76% degli intervistati con ad-blocker attivo utilizza Chrome, contro il 39% di Firefox. 4. Profilo di un Ad Blocker: Sono uomini
compresi tra i 18 e i 34 anni e tendono maggiormente ad installare sistemi ad-blocker sui propri device anche mobile. Inoltre, su desktop, il 39% in più degli utenti rispetto al mobile, è più predisposto a guardare un annuncio non intrusivo. 5. Esperienza di navigazione penalizzata: per il 67% degli utenti la pubblicità, 35
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02. I PRIMI 10 MOTIVI PER BLOCCARE LA PUBBLICITÀ MOBILE
Nel caso del mobile, si dà spesso per scontato che siano ragioni pratiche a condurre all’ad-blocking: non sprecare il piano dati del proprio operatore, risparmiare batteria, migliorare la velocità di navigazione. In realtà anche in questo caso la ragione prima è il sovraccarico pubblicitario da cui le persone si sentono vessate. % di utenti che bloccano la pubblicità sui propri smartphone Fonte: Global Web Index, aprile 2016
soprattutto non skippabile, viene bloccata anche perché rallenta l’esperienza di navigazione. Il 57% degli intervistati ritiene che al momento ci siano troppi formati invasivi, classificabili col termine ‘fastidiosi’. L’azione di IAB Italia Affrontando le motivazioni che spingono gli utenti a bloccare gli annunci, spesso le 36
si riconducono alla ricerca di una migliore performance e velocità della web experience e una maggiore tutela della privacy. Ma come recentemente puntualizzato da Global Web Index (vedi tavole X e Y), il tema della privacy così come il discorso ‘utilitaristico’, e perfino le caratteristiche sociodemografiche di età, sesso, reddito e paese di residenza sono solo questioni secondarie: ciò che conta è che
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03. IL FENOMENO AD-BLOCKING PER AREA GEROGRAFICA
Il picco di diffusione dell’ad-blocking su desktop è negli Stati Uniti, quello mobile nell’Asia-Pacifico, dove è quasi il doppio rispetto agli USA e all’Europa: un fenomeno dovuto al gran numero di annunci locali in alcuni paesi asiatici, e contemporaneamente alla diffusione del browser UC in cui la funzione di ad-blocking è presente di default e non necessita di estensioni o plug in aggiuntivi. % di utenti che bloccano la pubblicità sui propri smartphone Fonte: Global Web Index, aprile 2016
secondo le persone intervistate a inizio 2016 le ragioni primarie per cui si blocca la pubblicità sono i troppi annunci fastidiosi o irrilevanti e la loro eccessiva quantità. Gli operatori hanno quindi ragione a sottolineare che senza pubblicità non ci sarebbero contenuti gratuiti, ma fino a quanto la quantità e la qualità dell’advertising non sarà maggiormente controllata – ponendo la user experience prima del numero di annunci serviti – sarà difficile registrare un cambio di atteggiamento. Sarebbe infatti inutile e probabilmente controproducente cercare di contrastare l’ad-blocking usando gli stessi metodi – fallimentari – adoperati anni fa dall’industria musicale nei confronti della pirateria per
‘costringere’ gli utenti a un comportamento che rifiutano. “Crediamo fortemente che la chiave di volta per contrastare l’ad-blocking e favorire la crescita dell’intero settore sia quella di mettere l’utente al centro di ogni decisione strategica – ha dichiarato il presidente di IAB Italia, Carlo Noseda –. Per questo la nostra Associazione è fortemente impegnata nella costruzione di un percorso virtuoso che permette, grazie alla ‘buona pubblicità online’, di far crescere l’offerta di contenuti e servizi di qualità e ad alto valore aggiunto, per garantire soddisfazione reciproca: dei consumatori da un lato – che possono così avere una experience più appagante sia in termini di contenuti che di prestazioni – e 37
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04. LA RAGIONE PRINCIPALE DELL’USO DI AD-BLOCKER È BLOCCARE TUTTA LA PUBBLICITÀ
La motivazione più frequente di installazione di un Ad-blocker è il blocco della pubblicità, a volte percepita come troppo invasiva e limitante la fruizione dei contenuti. Tra le altre motivazioni vi sono anche quelle di tipo più tecnico: gli utenti decidono di installare un Ad-blocker per migliorare la performance e di conseguenza la velocità di caricamento delle pagine web. Un’altra motivazione, di tipo più personale, è legata alla tutela della privacy: gli utenti installano l’Ad-blocker per tutelare la propria sicurezza. Fonte: IAB UK, Febbraio 2016
degli investitori dall’altro, permettendo loro di coinvolgere con più efficacia il proprio target, evitando di sprecare risorse nella diffusione di messaggi non pertinenti”. Il white paper di IAB Italia – coordinato dal Direttore Generale Daniele Sesini e realizzato da un Tavolo di Lavoro di soci che comprende Adform, Banzai, GroupM, Hearst, Ligatus, RCS, VivaKi e Widespace, oltre alla partecipazione di FCP –, rappresenta infatti solo un primo passo verso il triplice obiettivo di aiutare tutti gli operatori della Industry a capire dimensioni e impatto del fenomeno, promuovere l’attenzione all’utente come chiave di sviluppo dell’intero settore e favorire il dialogo tra operatori – editori in particolare – e consumatori finali. L’obiettivo 38
ultimo è far comprendere agli utenti finali che la pubblicità, correttamente gestita ed erogata, rappresenta un valore e finanzia larga parte dei costi di sviluppo, produzione ed erogazione dei contenuti fruiti quotidianamente e a titolo gratuito. Per questa ragione IAB sta coinvolgendo altre associazioni, con l’intenzione di avviare un progetto di ricerca e monitoraggio dell’ad-blocking volto a indagare nei dettagli cause e conseguenze quali-quantitative del fenomeno. Le azioni sul mercato italiano sono parte di un progetto dell’Interactive Advertising Bureau a livello globale – finalizzato a promuovere una maggiore sensibilità e cultura in merito al ruolo economico e sociale
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05. UN QUARTO DEGLI AD-BLOCKER È INSTALLATO SU SMARTPHONE
La situazione sui dispositivi mobili (smartphone e tablet) diviene ancor più esasperante: oltre alle motivazioni già citate per il desktop, gli utenti installano Ad-Blocker per migliorare la performance, per limitare il consumo di traffico dati, il risparmio energetico della batteria e per la ristretta dimensione dello schermo. Fonte: IAB UK, Febbraio 2016
dell’advertising – che inviterà tutti gli operatori del mercato a sottoscrivere un Charter of Good Advertising Practices, un impegno di attenzione nei confronti degli utenti, e a fare propri i principi sintetizzati dalla stessa IAB negli acronimi L.E.A.N. (Light, Encrypted, Ad Choice Supported and Non-Invasive – ossia Leggero, Criptato, Subordinato alla scelta dell’utente e Non-invasivo), e D.E.A.L. (Detect, Explain, Ask and Lift or Limit – cioè Individua, Spiega, Chiedi, Rimuovi o Limita). Non ultimo, IAB US Tech Lab ha messo a punto un software che consente a ciascun editore di identificare gli utenti con un ad-blocker attivo, permettendo un primo fondamentale passo per il processo di dialogo tra consumatori e operatori; una volta identificato a chi rivolgersi, l’editore potrà dialogare in maniera personalizzata con il
lettore, accrescendone la consapevolezza sul valore dell’advertising. Potrà quindi invitare l’utente a disattivare l’ad-blocking, per continuare a fruire gratuitamente di contenuti di qualità, oppure offrire un’alternativa a pagamento. Codice ad-block: la risposta degli editori In occasione del Publisher Day organizzato a Milano lo scorso 7 aprile, 4W MarketPlace ha proposto agli Editori l’adozione di un testo a valore comune per offrire ai propri utenti/lettori il giusto mix di contenuto e pubblicità, una soluzione accettabile ed equilibrata in termini di fruizione e sostenibilità. “Possiamo pensare all’ad-block come fenomeno culturale di questi ultimi tempi – sottolinea 4W –, ma abbiamo capito davvero a fondo quali sono le motivazioni 39
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06. IL TASSO DI CRESCITA DELL’AD-BLOCKING NEL MONDO
Ad Agosto 2015 PageFair ha pubblicato i risultati di una ricerca volta a dimensionare il fenomeno globale dell’AdBlocking e i suoi impatti economici. Secondo PageFair, a Giugno 2015 nel mondo, ci sono 198 milioni di utenti che hanno un Ad-blocker attivo, con un tasso di crescita del 41% vs lo stesso periodo del 2014. Il fenomeno, sempre secondo PageFair, riguarda 77 milioni di utenti internet in Europa, e in questo caso il tasso di crescita è pari al 35%. (Fonte: PageFair-Adobe, agosto 2015) Limitando il perimetro EU ai big 5, la percentuale di utenti che utilizza un sistema di Ad-Blocking è più elevata in Germania e UK (25% e 21%) e più ridotta in Spagna, Italia e Francia (16%, 13% e 10%). Fonte: PageFair - Adobe, agosto 2015
che spingono gli utenti a installare il prodotto per non essere soggetti all’azione pubblicitaria? In termini culturali dobbiamo partire dall’assunto che l’utente va prima di tutto sensibilizzato e informato perché comprenda che il pagamento dell’operatore di rete non può essere considerato in sé una remunerazione per l’accesso a tutti i contenuti dei siti editoriali. Occorre spiegargli che i siti internet sono assimilabili alle Tv commerciali, dove la pubblicità è la fonte di sostentamento per poter produrre contenuti e consentire al business editoriale una sua sostenibilità”. 40
Entrando direttamente nel merito, il network di cui è chairman Gabriele Ronchini riconosce che la ragione principale per l’attivazione di un ad-block è rappresentata dall’invasività della pubblicità, la quale può arrivare a livelli tali da rendere un sito inconsultabile o decisamente lento: “Ciò rappresenta un danno per gli utenti e per gli stessi editori, che così facendo rischiano di generare una riduzione dei propri ricavi. Questi ultimi, sfruttando un’equazione sbagliata, ovvero quella del ‘più pubblicità inserisco, più guadagno’, rischiano di dare una pessima immagine del proprio sito, sia
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07. UN QUINTO DEGLI UTENTI ADULTI UTILIZZA UN SOFTWARE DI AD-BLOCKING
La situazione sui dispositivi mobili (smartphone e tablet) diviene ancor più esasperante: oltre alle motivazioni già citate per il desktop, gli utenti installano Ad-Blocker per migliorare la performance, per limitare il consumo di traffico dati, il risparmio energetico della batteria e per la ristretta dimensione dello schermo. Fonte: IAB UK, Febbraio 2016
agli investitori, che attraverso altri KPI valuteranno ed eviteranno quella pubblicazione, sia ovviamente agli utenti, i quali si sposteranno altrove”. In qualità di aggregatore di traffico che si pone in modalità consulenziale nei confronti degli iscritti alla propria piattaforma, 4W ha quindi deciso di proporre un ‘manifesto’ attraverso il quale suggerire agli editori uno strumento per rassicurare i propri utenti sul fatto che i produttori dei contenuti di cui usufruiscono sono attenti alle loro necessità e stanno intraprendendo tutte le azioni necessarie a rendere migliore la fruizione dei siti per un’esperienza di navigazione di qualità. Il documento, intitolato Codice Ad-Block – La Nostra Risposta, vuole rappresentare un impegno per gli editori nella gestione del
Gabriele Ronchini - executive chairman 4W
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08. I CONSUMATORI CONNESSI CHIEDONO UN ‘NEW DEAL’
Fonte: Accenture Digital Consumer Survey, aprile 2016
rapporto con i propri utenti in termini di invasività del prodotto pubblicitario. Proprio in funzione di questa presa di posizione, comprensiva e collaborativa, si auspica che gli utenti disabilitino l’ad-block sui siti che aderiscono al Codice. L’idea alla base è quella di scongiurare azioni estreme da parte degli editori, quali 42
l’inibizione dei propri contenuti agli utenti muniti di ad-block, evitando che gli utenti stessi si facciano promotori inconsapevoli di un’azione a totale vantaggio degli sviluppatori di questi software, gli unici ad averne dei ritorni economici. “Le voci che questi programmi siano aggirabili pagando delle fee perché non venga bloccata la
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09. LE ATTITUDINI DEI DIGITAL CONSUMER NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICITÀ (APRILE 2016) Totale 14-17 18-24 25-34 35-44 45-54 55+ Le interruzioni pubblicitarie mentre leggo 84% 85% 83% 83% 82% 83% 84% o guardo video sono troppo frequenti Le interruzioni pubblicitarie mentre leggo 73% 76% 71% 73% 74% 73% 77% o guardo video non corrispondono ai miei interessi e alle mie preferenze Sono consapevole delle molte alternative 61% 73% 69% 66% 62% 55% 49% possibili per bloccare la pubblicità mentre leggo o guardo video In futuro sarei interessato a messaggi pubblicitari che coincidono ai miei interessi e alle mie preferenze
50% 63% 52% 54% 52% 45% 39%
Nei prossimi 12 mesi ho intenzione di 42% 56% 44% 46% 42% 34% 31% pagare per soluzioni che eliminino le interruzioni pubblicitarie (per esempio abbonamenti a pagamento) mentre leggo o guardo video Note: interviste online a 28.000 consumatori (14+) rappresentativi della popolazione online in 28 paesi realizzate fra ottobre e novembre 2015 Fonte: Accenture Digital Consumer Survey, aprile 2016
pubblicità considerata ‘accettabile’ ci rende sospettosi – sostiene 4W –, soprattutto perché non esiste ad oggi alcun ente super-partes che possa definire quale sia la pubblicità accettabile. Al contrario, le nuove tecnologie di distribuzione dell’advertising stanno sviluppando sistemi sempre più sofisticati per poter offrire all’utente pubblicità il più possibile pertinente con le ricerche effettuate o con le intenzioni di acquisto. Da questo punto di vista anche la crescita del Native Advertising ci deve far ben sperare, poiché va ad accrescere il contenuto editoriale con informazioni mirate e correlate semanticamente, in decisa controtendenza
rispetto ai formati invasivi”. Il codice di 4W propone quindi 4 punti fondamentali con i quali promuovere azioni efficaci per stabilire rapporti equilibrati tra editore e utente. 1 – Informare i lettori Qualora venisse identificato un utente utilizzatore di Ad-Block, sarebbe opportuno informarlo che i contenuti che sta navigando sono disponibili grazie alla pubblicità che lui stesso ha deciso di non vedere. Un utilizzo massivo di strumenti atti a bloccare i messaggi pubblicitari potrebbe causare all’Editore un danno economico tale da rendere difficilmente sostenibile un alto
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10. ITALIA: PERCHÉ SI UTILIZZA UN AD-BLOCKER? (INDIPENDENTEMENTE DAL DISPOSITIVO)
Fonte: Teads, “Profile of an Ad-blocker”, realizzata da Research Now, novembre 2015
standard qualitativo nei contenuti e/o potrebbe dare spazio a strategie editoriali che riservino i contenuti migliori solo ad utenti privi di Ad-Block. 2 – Armonizzare il numero di spazi pubblicitari con il contesto editoriale Nei CMS più usati o in situazioni come WP ‘Blog’ dove le pagine sono molto lunghe, è possibile distribuire più comunicazioni pubblicitarie in modo armonico e senza alcun sovraffollamento, evitando quindi di disseminare posizioni standard e rich-media nel contenuto editoriale. 3 – Non utilizzare formati invasivi a discapito del contenuto editoriale È consigliabile evitare pop-up o overlay che danneggino la fruizione del contenuto, formati espandibili che vadano a coprire altri annunci pubblicitari o risultino troppo invasivi e, soprattutto, limitarne la frequenza e la presenza al massimo ad una posizione in pagina. Troppo spesso troviamo contenuti inaccessibili perché oscurati da comunicazioni pubblicitarie che ne impediscono la lettura: overlay da chiudere, espandibili, formati fuori pagina che si inseriscono creando altre
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variabili, nuove finestre sopra o sotto il sito che ne pregiudicano la qualità. 4 – Scegliere opzioni video che non disturbino la fruizione del contenuto editoriale I formati video sono particolarmente apprezzati se ben utilizzati e altrettanto particolarmente fastidiosi se mal impostati. Ad esempio è importante evitare che partano in autoplay quando non sono nella porzione visibile della pagina, onde favorire una corretta esposizione della comunicazione e non rappresentare un fattore di puro disturbo. Oltre tutto, anche dal punto di vista dell’obiettivo della campagna verrebbe registrata un’impression non correttamente visualizzata. “L’applicazione di questi punti – conclude 4W – è un impegno che crediamo porti agli editori un’esposizione qualitativamente elevata dando loro maggiore forza e diritto di chiedere ai propri utenti la disattivazione dell’ad-block. Questa operazione rappresenta un accordo stipulato con i propri lettori e la possibilità di avere sempre contenuti migliori da offrire, creando di fatto un circolo virtuoso a vantaggio di tutti. Non
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11. I FORMATI INTRUSIVI SONO LA PRINCIPALE CAUSA DI INSTALLAZIONE DI AD-BLOCKER
Fonte: Teads, “Profile of an Ad-blocker”, realizzata da Research Now, novembre 2015
dimentichiamo che l’editore è anch’esso utente di altri siti, così come l’utente diventa inevitabilmente editore grazie ai suoi numerosi contributi Social”. Come uscire dall’impasse? Come scrive IAB Italia nel suo white paper, solo rimettendo l’utente al centro della Industry per realizzare una ‘Buona Pubblicità’ si dà vita a un circolo virtuoso, a favore di tutti player. Gli utenti, dal canto loro, devono essere consapevoli che la pubblicità paga i costi dei servizi e dei contenuti che vengono fruiti gratuitamente ogni giorno. Su questa posizione convergono quasi tutti i pareri raccolti dal Quaderno. “Il fenomeno ad-blocker – afferma Dario Caiazzo (Teads Italia) – nasce, prima di tutto, da un targeting errato, unito a formati troppo intrusivi. A tale riguardo, la ricerca da noi condotta ha chiaramente messo in
evidenza quali siano i motivi della sua diffusione. D’altro canto, però, abbiamo anche constatato che creare un’esperienza
Dario Caiazzo, Managing Director Teads Italia
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12. FORMATI: I POP UP SONO GLI ANNUNCI PIÙ FASTIDIOSI
Fonte: Teads, “Profile of an Ad-blocker”, realizzata da Research Now, novembre 2015
pubblicitaria non intrusiva, pertinente ai contenuti che si stanno fruendo e adatta all’utente che la vive, si traduce in una drastica riduzione di interesse all’installazione degli ad-blocker e, a volte, addirittura in una disinstallazione. Teads sta combattendo su questo fronte in prima linea, portando continua innovazione nella user experience e mantenendo informati tutti gli attori del nostro settore su quelli che sono i punti chiave per la realizzazione di un’esperienza pubblicitaria ottimale”. “Quando qualche mese fa abbiamo avvertito la necessità di misurare il fenomeno dell’ad-blocking – racconta Federica Setti (GroupM) –, abbiamo deciso di sviluppare una ricerca che non si fermasse soltanto alla semplice quantificazione dell’evento, ma che andasse ad approfondire gli insight più rilevanti sul come e sul perché le persone fruiscono della pubblicità online così da comprenderne barriere e opportunità. Ed è emerso che le persone che hanno installato un ad-blocker non sono contrarie a priori alla pubblicità, ma stanno suggerendo un modello pubblicitario coerente con i benefici più rilevanti della rete: esperienza di navigazione facilitata, contenuti personalizzati, riduzione
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Federica Setti, Chief research Officer GroupM
del rumore di fondo. Di fatti una delle evidenze positive registrate nel corso della ricerca è stato proprio il grado di accettazione della pubblicità online da parte dei consumatori. Una buona fetta di pubblico ha sottolineato che l’advertising su Internet è più vicina ai propri interessi rispetto a quella
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13. GLI UTENTI SONO MOLTO PIÙ SENSIBILI ALLA PUBBLICITÀ SU MOBILE
Fonte: Teads, “Profile of an Ad-blocker”, realizzata da Research Now, novembre 2015
sugli altri mezzi, ma soprattutto rispetto a un anno fa. Questo ci dice che la tecnologia programmatica comincia a raccogliere i suoi frutti e a posizionarsi proprio come un modello alternativo e sostenibile in un’epoca dove il blocco dell’advertising spaventa tutti”. Pianificare campagne pubblicitarie indirizzate ad audience mirate e altamente profilate grazie a dati che segmentano i consumatori in base ai propri bisogni e interessi, controllando il numero di esposizioni con le piattaforme di programmatic buying, in contesti editoriali coerenti è diventata per GroupM e per le sue agenzie una pratica comune ed estremamente efficace: “Crediamo quindi che gli strumenti per arginare la diffusione degli ad-blocker ci siano già – aggiunge Setti – e possano aiutare editori e agenzie media a recuperare e rafforzare il patto pubblicitario con le audience. Si tratta solo di rendere queste soluzioni comprensibili al di là dei tecnicismi e di facilitare la diffusione di strumenti e tecniche di planning più innovative presso le aziende”. Nel frattempo è importante continuare a monitorare il fenomeno e a capirne le motivazioni: “Ed è per questo motivo che abbiamo accettato di partecipare al tavolo di
Claudio Calzolari, CEO Turbo
lavoro sull’ad-blocking voluto da Iab sia come partner di analisi che di ricerca”. “Crediamo che il Programmatic possa effettivamente dare un contributo alla soluzione del problema ad-blocking – concorda Claudio Calzolari (Turbo) –, se utilizzato correttamente. L’esperienza
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14. COME FRENARE L’UTILIZZO DEGLI AD-BLOCKER?
Fonte: Teads, “Profile of an Ad-blocker”, realizzata da Research Now, novembre 2015
personalizzata da far vivere all’utente, che parte da una pubblicità mirata e termina con la possibilità di modificare anche i contenuti del sito di atterraggio (o landing page) è una delle armi da utilizzare contro l’ad-blocking. Ma non può essere la sola. È necessario anche che gli advertiser accettino di pagare un po’ di più l’adv web e gli editori/concessionarie riducano l’affollamento di spazi pubblicitari sui propri siti (minore quantità, maggiore qualità per domanda e offerta). Il native è una ulteriore via da seguire; contenuti adv più in linea con quelli editoriali. Infine, gli utenti devono capire che, per avere contenuti di qualità, è inevitabile o accettare la pubblicità, oppure pagare per i contenuti di cui usufruiscono. Alla fine tutti dovrebbero fare un passo in avanti (o forse indietro) per trovare un equilibrio virtuoso e rendere sostenibile un sistema che, altrimenti, rischia di implodere.” Informazione ed educazione “Una pubblicità più mirata è una condizione necessaria ma non sufficiente al fatto che venga limitato l’uso degli ad-blocker – precisa Nereo Sciutto (Webranking); una pagina con 17 banner personalizzati non è differente 48
da una pagina con 17 creatività standard. La soluzione passa attraverso una riduzione della pressione pubblicitaria sui siti dei publisher che – secondo noi – si può ottenere solo quando questi spazi saranno maggiormente remunerati. I minori spazi pubblicitari infastidiranno meno gli utenti che avranno solo pubblicità personalizzata e quindi maggiori possibilità di convertire generando valore per gli inserzionisti. Non è un discorso facile, ma finché cercheremo solo di spendere il meno possibile, la situazione non sarà certamente sostenibile per il publisher che caricherà più pubblicità in pagina, generando una risposta sempre peggiore da parte degli utenti”. “La questione è lunga e complessa – conferma Luca Morpurgo (StickyADS.tv) –. Le soluzioni esistono anche se ci vorrà tempo per vedere effetti che restituiscano agli stakeholders ciò che si aspettano. Bisogna partire dalla consapevolezza che i contenuti hanno un costo e gli utenti per fruirli sono naturalmente chiamati a sostenerlo con l’attenzione alla pubblicità. Senza questo elemento il sistema implode oppure bisogna cambiare e passare al pagamento dei contenuti in altra forma. Quindi l’utenza va
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15. TRE CARATTERISTICHE CHE RENDEREBBERO MIGLIORE IL MONDO DELLA PUBBLICITÀ
Fonte: Teads, “Profile of an Ad-blocker”, realizzata da Research Now, novembre 2015
informata ed educata in questo senso. D’altra parte gli editori devono cercare di non eccedere sia nella quantità di pubblicità inserita nel contesto editoriale (troppi formati), sia nella qualità della pubblicità (formati eccessivamente invasivi), sia nella ricerca di indirizzare al viewer e potenziale consumatore messaggi pubblicitari in linea con il suo profilo”. Lato advertiser, aggiunge Morpurgo, è assolutamente necessario lavorare sulla creatività, sul linguaggio e sulle metriche utilizzate, sulla durata dei messaggi, sull’engagement che sono in grado di creare: “Quindi tutti sono coinvolti e tutti, ognuno per la sua parte, devono contribuire alla soluzione di questo fastidioso atteggiamento che nasce a sua volta da un fastidio e un disagio dell’utente finale”. Secondo Alessio Angiolillo (Performics), “L’ad-blocking è uno dei fenomeni scaturiti dallo sviluppo a volte incontrollato della tecnologia: una conseguenza dell’overload informativo, dell’eccessivo sfruttamento del
digitale, dell’affollamento degli spazi pubblicitari sulle pagine dei siti e dell’uso talvolta indiscriminato del retargeting. Sono questi gli aspetti che affliggono l’utente medio, che ha la percezione di essere circondato e anche un po’ abusato, e la cui reazione è a sua volta figlia della tecnologia: può usare una app o un software per smettere di subire questa ‘violenza’… e lo fa”. La soluzione-risposta è però ancora forse più teorica che pratica, mette in guardia: “Occorre migliorare la qualità dell’advertising, e per farlo c’è da lavorare su due aspetti, uno infrastrutturale e di sistema e uno più di percezione. Partiamo da quest’ultimo, perché quell’utente medio che non apprezza l’affollamento e il retargeting in realtà non si rende conto che che se può godere di una mail da 15 giga completamente gratis come Gmail, è solo perché quel servizio lo ha ‘pagato’ cedendo i propri dati, e continua a pagarlo ogni volta che Google quei dati li utilizza: in cambio, infatti, non ha solo la mail,
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16. TRE RAGIONI PER LE QUALI LE PERSONE VORREBBERO VEDERE UN ANNUNCIO
Fonte: Teads, “Profile of an Ad-blocker”, realizzata da Research Now, novembre 2015
ma anche un motore di ricerca che soddisfa le sue innumerevoli esigenze con una precisione che da un certo punto di vista quasi fa paura… Gli utenti più avanzati e smaliziati in parte hanno capito tutto ciò, così come ne hanno capito le implicazioni sulla privacy”. Anche secondo Angiolillo occorre perciò lavorare sulla sensibilizzazione delle persone, facendo comprendere lo scambio che è alla base dell’Internet gratuita che siamo abituati a frequentare: dati in cambio di servizi e pubblicità in cambio di contenuti. “Da un altro punto di vista, quando i publisher e le concessionarie riconoscono – sempre grazie alla tecnologia – di essere di fronte a un utente che usa l’ad-blocking, devono essere in grado di fornirgli un servizio a pagamento secondo un modello advertising free. L’alternativa è bloccarlo, negandogli l’accesso ai propri contenuti: il traffico
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complessivo probabilmente calerà, ma potranno compensare alzando il costo medio del CPM”. Lo stesso dalla prospettiva di chi pianifica: “Le agenzie media non possono far altro che prenderne atto e considerarlo un ulteriore elemento di complessità nella pianificazione – dice Angiolillo –. La tecnologia permette di capire quali e quanti utenti hanno utilizzato l’ad-blocking sito per sito, e possiamo escluderli dalle campagne. Personalmente non ritengo quindi un problema ‘alzare’ il CPM medio quando quel CPM medio corrisponde a una vera visibilità dell’annuncio”. “È una questione che riguarda l’intero comparto – sintetizza Enrico Quaroni (Rocket Fuel) – e che personalmente ritengo molto difficilmente risolvibile. Tutto è nelle mani degli utenti: sono loro che possono
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decidere se ciò che oggi è ‘gratuito’ gli andrà ancora bene oppure no. Le alternative sono i paywall e un internet molto meno ‘aperta’ e in fondo anche molto meno democratica”. Viewability: cosa e come misurare? Al di là dei blocchi software installati dagli utenti, quello della viewability è un altro tema ‘hot’ legato – letteralmente – alla visibilità degli annunci pubblicitari. Ad-blocking, viewability e frodi sono problemi diversi ma che nel loro insieme vanno tutti a colpire e inficiare il risultato degli investimenti in digital adv: agli occhi di chi investe, infatti, poco cambia se un annuncio è bloccato, non visto o visto da un robot… Rispetto allle frodi o all’ ad-blocking, in cui le posizioni sono ben definite e convergenti, parlando di viewability le cose stanno diversamente: se molti che la considerano un KPI essenziale per le campagne digitali, altrettanti attribuiscono invece a questo fattore un peso solo relativo. “Chiariamo subito un punto – commenta Quaroni –: quella della viewability è una metrica che è bene misurare ma allo stesso tempo che va misurata bene. Non è un gioco di parole, perché il rischio è quello di concentrarsi su una metrica che è importante ma non è la più importante. Io sto dalla parte di chi la considera secondaria rispetto al ROI, cioè al risultato finale, a quanto fatturato in più ha generato la campagna”. Sarebbe lapalissiano dire che un’impression visibile è meglio di una non visibile: ma di fatto occorrerebbe prima dare una definizione di ‘visibile’ condivisa da tutti gli operatori (quanti pixel per quanto tempo), e a oggi non sembra si sia ancora arrivati a questo punto. “Si tratta di un tema che attiene tutto il mondo dell adv online e non solo quello che transita dal programmatic – puntualizza
Morpurgo –: anzi, per assurdo, il programmatic e la tecnologia aiutano a migliorare le performance anche di questo delicato e impegnativo KPI. Il problema vero è proprio l’assenza di un accordo sulla base del quale calcolare esattamente se uno spazio è ‘viewable’. Publisher e advertiser devono scendere a un ragionevole compromesso pena un muro contro muro che creerà solo danni. All’estero, USA in primis, il criterio è stato fissato da tempo, l’Italia purtroppo spesso si distingue per le complicazioni e non per le soluzioni”. “IAB Italia insieme con IAB Europe ha in qualche modo definito e dato dei parametri di riferimento sulla viewability – ribatte però Aldo Agostinelli (IAB Italia e Sky) –. Oggi tutti gli Ad Server più diffusi hanno comunque come parametro di viewability di base quello consigliato da IAB. Certamente, poi, ogni azienda stabilisce se quel riferimento e quel parametro è troppo vago o, al contrario, troppo restrittivo. Quindi chi acquista – l’azienda direttamente o l’agenzia media di riferimento per suo conto – nel caso quel parametro non corrispondesse all’esigenza del brand, può autonomamente decidere di aumentarlo o diminuirlo”. In ogni caso, ribadisce Agostinelli, un parametro di riferimento comunque c’è. “Giustamente, chi investe esige che la sua comunicazione sia visibile e non vada a finire ‘below the fold’, cioè nella parte dello schermo meno visibile – prosegue –, ma torniamo a quanto già detto a proposito di trasparenza: è corretto, cioè, che il mercato si sia sensibilizzato e abbia introdotto anche questo tipo di parametro, ma ancora una volta il concetto alla base è che servono figure dalle competenze adeguate. Oggi con un Ad Server evoluto si riesce tranquillamente a comprendere se la comunicazione è stata erogata oppure no e se rientra nei parametri
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desiderati. Come ho detto poc’anzi, ormai quasi tutti i publisher più importanti hanno inserito nei propri Ad Server i parametri di viewability sia per i video che per la display, e questo anche perché, per quante resistenze ci siano state, i grandi investitori hanno spinto in questa direzione e hanno innescato un movimento positivo, un circolo virtuoso all’interno del sistema. Se oggi un publisher non garantisce un parametro di viewability sufficiente sul target desiderato l’investitore non fa altro che non inserirlo nella propria pianificazione: fatto salvo che chi acquista ha in ogni caso la possibilità di verificare nella post campaign i dati di benchmark”. “È più che giusto che un cliente paghi solo quello che è viewable al di sopra di una certa percentuale – è d’accordo Angiolillo –, anche se sappiamo perfettamente che una viewability del 100% di per sé non si potrà mai avere se non per alcuni formati. I clienti, anche i più tradizionali, lo hanno digerito: è un’ulteriore evoluzione del sistema ed è giusto che facciano delle richieste anche abbastanza challenging agli editori. Sono questi che si devono muovere, e molto velocemente, perché ancora non esistono veri standard di misurazione sul mercato. Gli Ad Server, lo abbiamo appena presentato ad alcuni clienti, prevedono già funzioni di verifica della viewability: ma sono ancora numerosi quelli che chiedono una certificazione di terza parte e questo, appunto, nonostante la tecnologia di erogazione abbia al proprio interno un sistema di controllo. In quest’area istituti come comScore stanno facendo il loro lavoro, sia sul mercato mondiale, sia su quello italiano, ma hanno ancora qualche problema: da un lato perché a volte promettono cose che, a oggi, neanche loro sono in grado di testare, dall’altro perché i loro sistemi non
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sono ancora integrati con la maggior parte degli editori italiani. In generale, quindi, la misurazione risulta ancora parziale: una specie di ‘carotaggio periodico’, un controllo sulla campagna per vedere che visibilità ha avuto sullo stesso player, sullo stesso formato e sullo stesso editore. E se dai monitoraggi a campione si verifica che quell’editore non ha garantito ciò che ha garantito la precedente campagna, dalla prossima il cliente ha tutto il diritto di escluderlo proprio perché non avrebbe o non ha un adeguato livello di viewability”. Piccoli passi avanti “Va da sé che la viewability sia un KPI importante nella valutazione delle campagne digitali in generale – nota Calzolari –. Rapportandolo al mondo dei media ‘classici’ è l’equivalente dell’OTS (Opportunity to See). L’advertiser che paga uno spazio pubblicitario deve essere ragionevolmente certo che quello che paga possa essere visto dall’utente. Dobbiamo dare merito al programmatic che, di fatto, ha portato alla luce questo aspetto prima nemmeno considerato. Lo stesso utilizzo di strumenti che permettono di analizzare in fase di pianificazione e acquisto di spazi la qualità di un sito in rapporto all’affollamento pubblicitario (ad clutter) o alla presenza di bot, deriva dall’adozione della tecnologia nella gestione delle campagne online. Al solito, dipende da come vengono utilizzati gli strumenti. È l’uomo che deve gestire e impostare le macchine per sfruttarne al massimo le potenzialità. Un po’ di anni fa c’era una pubblicità che diceva: La potenza è nulla senza controllo. Parafrasando quello slogan, potremmo dire che La tecnologia è nulla–inefficace–pericolosa senza controllo (umano)”. “L’attenzione crescente verso questioni come
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quelle della viewablity dimostra la necessità di avere metriche condivise e misurabili – ribadisce Federica Setti –. Sono KPI nuovi, giovani direi, sui quali l’intero mercato pubblicitario sta incontrando non poche difficoltà, ma importanti per la sostenibilità del complesso ecosistema digitale. Noi ci stiamo arrivando attraverso piccoli passi, che integrano le tecnologie esistenti sul mercato con le skill di planning delle nostre agenzie media, accanto a monitoraggi costanti e implementazioni di benchmark study che ci aiutano a definire la strada più corretta da perseguire”. Parlando di viewability, oltretutto, Setti distingue tra formati display e video: “La misurazione dei primi non presenta eccessive criticità, ma ci sono ancora tante complicazioni da superare quando si misura la viewability sui video: da una parte una moltitudine di formati che non riesce a essere misurata in egual misura, dall’altra una quantità di enti misuratori ognuno con i propri requisiti di misurazione. E infine le inventory dei publisher che hanno livelli di misurabilità differenti al variare del formato e delle piattaforme utilizzate per la misurazione, con il conseguente effetto di non riuscire a garantire un bacino di impression realmente misurabile e di qualità. Tutto ciò continua a generare tanta confusione e una tale variabilità di risultati che di certo non facilità l’interpretazione delle performance della campagna e le sue possibili implementazioni future. Crediamo che tali complicazioni e criticità debbano trovare delle vie risolutive attraverso un approccio condiviso e di sistema per la futura sostenibilità del mercato”. Insieme a quella fra i formati, Caiazzo mette l’accento sulla distinzione fra gli obiettivi della campagna stessa: “Se si tratta di branding – osserva –, la viewability è
fondamentale; e se parliamo di video lo è ancora di più. Esiste un grande numero di piattaforme diverse per il monitoraggio della viewablity, ma è difficile trovarsi d’accordo. Il nostro suggerimento è quello di utilizzarne più di una, in modo da ricavare dati sufficienti a ottenere una media, che più ci avvicina alla realtà effettiva. Un altro KPI può essere il completion rate, che ancora mantiene la sua importanza in ambito video, anche se a tendere sarà necessaria, probabilmente, una metrica più consistente. Se, invece, parliamo di performance, tutto cambia, soprattutto rispetto alle conversion. Un nuovo tema è poi l’attribution, che consiste nel comprendere a quale player viene attribuita una conversion. Infine, credo che potrebbe essere interessante trovare il modo di analizzare la viewability della performance”. Per Sciutto la viewability può essere ricondotta alla filosofia attuale di considerare il programmatic un mezzo per acquistare tante impression a poco costo: “Visto che non esistono più i giustificativi per dimostrare l’avvenuta delivery del banner, l’industria si è affidata a un controllo meccanico e automatico definito da standard. Anche in questo caso, una maturazione del mercato porterà a maggiore qualità. Ma questo significa capire, ancora una volta, che il valore delle impression che vogliamo acquistare può essere maggiore”.
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programmaticmarketing
La mia banca-dati è differente! Non è un caso se il programmatic marleting è definito anche data-driven marketing. I dati guidano i piani, gli acquisti, le analisi e il conseguente miglioramento dell’intero processo. La gestione dei dati è quindi un elemento di differenziazione e posizionamento sia per i trading desk che per le agenzie media. In un ottica sempre più cross-device e in futuro anche multi-media
DATI CHE generano campagne, che generano a loro volta nuovi dati, che generano nuove pianificazioni che creano altri dati… È il circolo virtuoso/vizioso insieme del data-driven marketing e del programmatic trading: virtuoso, perché i dati migliorano le pianificazioni che generano dati ancora più precisi; vizioso, perché il rischio di overload informativo è concreto e dietro l’angolo. Non tutti i dati, inoltre, sono ‘uguali’. Ce ne sono di prima, seconda e terza parte. Ce ne sono di sempre più grandi e di sempre più intelligenti – Big & Smart, come si usa dire… Ma da qualunque parte provengano e di qualsiasi tipo siano, i dati sono e continueranno a essere il perno su cui si regge l’intera metodologia del programmatic e la base di qualsiasi acquisto e pianificazione. Questa chiave di lettura porterebbe a identificare proprio nei dati un elemento ‘unificante’ del sistema. La realtà è invece abbastanza diversa. Le Data Management Platform e il loro ruolo centrale sono infatti al centro dell’attenzione, e come abbiamo già più volte evidenziato nei capitoli precedenti, agenzie, publisher, desk indipendenti, le stesse aziende che investono e decidono di portare la gestione del programmatic in casa… e insieme tutte le altre società le cui tecnologie servono a validare, verificare, taggare, misurare e quant’altro le 54
Nereo Sciutto, presidente Webranking
campagne display, e il cui lavoro si fonda comunque sulla gestione di database sempre più potenti e veloci… Ciascuno degli operatori citati si sta impegnando o si è già impegnato nella messa a punto di uno stack tecnologico proprietario che però, in moltissimi casi, non è in grado di interfacciarsi al 100% con piattaforme esterne o che produce a sua
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1. L’OTTIMIZZAZIONE ATTRAVERSO DISPOSITIVI DIVERSI AUMENTA LA PERFORMANCE DEL 31%
Fonte: Test Rocket Fuel controllato di confronto A/B fra l’ottimizzazione DR standard e l’ottimizzazione cross-device agosto 2015
volta dati comunque non confrontabili e non standardizzati. A queste condizioni, insomma, il dato, da fattore ‘unitario’ si trasforma in ulteriore elemento di frammentazione e complessità. E in queste condizioni, diventa sempre più difficile risolvere nodi importanti come quelli del riconoscimento e dell’identificazione dei consumatori ‘cross device’ e dell’attribuzione del ROI. “In realtà pensiamo che il mercato della pianificazione programmatica e quello dei dati rappresentino due facce della stessa medaglia – afferma Nereo Sciutto (Webranking) –: è impensabile, secondo noi, fare programmatic che non sia data-driven, ossia senza che i dati
ci indichino la direzione migliore per modulare i nostri budget. All’interno dell’ecosistema dell’industria (agenzie, desk indipendenti, publisher e aziende) sono i capi della filiera a doversi attrezzare con DMP potenti: gli advertiser perché possiedono già i dati di prima parte e possono profilare meglio la loro offerta commerciale e i publisher per qualificare la loro audience e potere offrire target molto più rispondenti alle esigenze degli investitori pubblicitari. Le tematiche di cross-device, invece, restano appannaggio delle grandi company come Google e Facebook, che raggiungono in maniera diversa questo obiettivo”. “Parlando di cross-device – interviene Dario 55
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2. L’ESPOSIZIONE PUBBLICITARIA TRASVERSALE FRA VARI DISPOSITIVI È IL SEGRETO DEL SUCCESSO?
Fonte: Test Rocket Fuel controllato di confronto A/B fra l’ottimizzazione DR standard e l’ottimizzazione cross-device agosto 2015
Caiazzo (Teads Italia) –, il problema che si riscontra è che mobile e desktop restano due ambienti tecnologicamente diversi. Su mobile non esistono cookie, ma altri tipi di dati, molto più precisi. Per avere una garanzia deterministica precisa, bisogna avere dati più mirati, per esempio i dati di login. Quindi, quello che un’azienda può fare, è cercare di adottare più di un tool e investire sullo sviluppo delle competenze necessarie al loro utilizzo, in modo da lavorare anche in ottica attribution”. Le persone al centro Poiché il numero di utenti di dispositivi mobile dotati di connessione internet continua a crescere – nel 2016 è stimato intorno ai 33 milioni (era 25,6 milioni nel 2013) mentre il numero medio di dispositivi connessi per persona è salito a 2,25 (era 1,5 nel 2012) –, la soluzione proposta da Rocket Fuel nell’affrontare temi quali cross-device e 56
attribution sta in un radicale cambio di prospettiva, prendendo cioè in considerazione le persone e non i loro device. Non si tratta di una ‘vision’ astratta ma di una metodologia provata ed efficace: riconosciuto l’utente attraverso indirizzo IP, geolocalizzazione, orari di collegamento, cookies di navigazione web, frequenza, utilizzo di app, e molto altro, il suo profilo unificato può arrivare a contenere dal 60% al 200% di dati in più rispetto a un profilo standard. Questi dati incrementano a loro volta le performance, consentono report più dettagliati ed efficienza ottimizzata della spesa sui vari media durante tutta la campagna (Tavole da 1 a 4). Questi incrementi non dipendono però dal fatto che il consumatore possa visualizzare gli annunci pubblicitari su più di un dispositivo: la vista unificata sulla persona è quella che consente di pianificare non solo l’annuncio giusto alla persona giusta sul device giusto, ma
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3. IL SEGRETO È NELLA VISIONE UNIFICATA DEL CONSUMATORE…
Fonte: Dati per ciascun profilo sui profili unificati Rocket Fuel con esattamente 1 computer, 1 smartphone, e 1 tablet
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4. …E NELLA MAGGIORE POSSIBILITÀ DI SCEGLIERE IL MOMENTO GIUSTO
Fonte: deposito dati Rocket Fuel 2015
Enrico Quaroni, Managing Director Italy, Spain and MENA Region Rocket Fuel
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anche e soprattutto il momento giusto: “La riconoscibilità cross-device è oggi un fattore chiave – conferma Enrico Quaroni (Rocket Fuel) –, e per quanto ci riguarda direttamente è anche un fattore di ‘supremazia tecnologica’. La capacità di calcolo dell’algoritmo di Rocket Fuel è infatti in grado di creare una correlazione fra l’utente e i suoi molteplici device che ci permette di riconoscerlo in modo corretto nel 97,5% dei casi: una precisione straordinaria – certificata da Nielsen –, che non sarebbe possibile se dietro non ci fosse uno strumento vero e funzionante”. Un livello di riconoscimento pressoché pari a quello delle grandi piattaforme social come Facebook che però possono riconoscere l’utente in modo non probabilistico ma deterministico grazie ai dati di log in… “Questo è esattamente il punto che ci differenzia dal resto del mercato: siamo
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convinti che il momento e il contesto in cui la pubblicità è veicolata siano fondamentali tanto quanto il raggiungere il target corretto. Identificare dove si trova e cosa sta facendo l’utente in un preciso momento è un requisito essenziale per una pubblicità efficace, perché se mando il messaggio giusto nel momento sbagliato quell’opportunità è persa. Come si riconosce quel momento? Attraverso l’analisi di milioni se non miliardi di informazioni per qualsiasi asta cui partecipiamo, grazie forse all’unico vero algoritmo di raccomandazione predittivo, identifichiamo volta per volta, per ogni singola impression, se quella è o non è una opportunità valida. So che può sembrare arrogante, ma è la pura verità. Ed è la ragione del successo di Rocket Fuel”. La vision delle agenzie media “Indubbiamente – riflette Fides Tosoni (GroupM) – la sempre maggiore digitalizzazione e connessione dei consumatori comporta anche la moltiplicazione dei punti di contatto e un vero e proprio ‘overflow’ di dati e informazioni che tracciano, in maniera sempre più approfondita e dettagliata, i comportamenti e le azioni dei consumatori. Diventa quindi fondamentale rimettere al centro il consumatore, valorizzando gli insight che emergono da questa molteplicità di informazioni. I dati non possono e non devono più essere organizzati per silos, ma gestiti in un’unica soluzione in grado di integrare informazioni digitali e offline, sia per quanto concerne la dieta mediatica che i consumi. Inoltre essi possono e devono essere capitalizzati soprattutto dagli investitori pubblicitari. Per questo le Agenzie di GroupM supportano gli investitori con Turbine, una soluzione di rapidissima attivazione che valorizza i dati interni di ciascun investitore e permette di arricchirli con dati e profilazioni
proprietarie GroupM, online e adesso anche offline, grazie a LIVE Panel. Questa soluzione permette di integrare e di conseguenza continuamente arricchire le eventuali DMP in possesso dei singoli investitori per poter personalizzare anche i propri canali di comunicazione/interazione e/o per consentire una segmentazione delle campagne secondo una logica di Customer Lifetime Value (CLV), attraverso l’integrazione dei dati di CRM”. Tosoni racconta come questa via sia stata percorsa in una recente case history: “Un cliente Retail che ha lavorato sulla conoscenza degli utenti per sviluppare le proprie audience, limitando la dispersione e conducendo i singoli utenti verso i più adatti contenuti, servizi e progetti con un’ottimizzazione del costo per contatto. Risultato reso possibile grazie alle analisi dei profili degli utenti esposti e dell’indice di affinità nei confronti del brand, il tutto effettuato mappando il traffico del sito del cliente e incrociandolo con le categorie di interessi presenti in Turbine. La piattaforma di Data Management ha così permesso di sviluppare una pianificazione mirata in grado di indirizzare in maniera puntuale le comunicazioni più in linea con gli interessi dei diversi target generando l’obiettivo di traffico atteso”. Alessio Angiolillo (Performics) si ricollega al discorso della frammentazione: “Come sempre, quando in un mercato succede o arriva qualcosa di nuovo, tutti si buttano su questa novità. Oggi, del resto, ci sono almeno sette, otto piattaforme d’acquisto che possiamo definire realmente programmatiche: e a ben guardare queste piattaforme offrono tutte più o meno le stesse funzioni. Quelle sette, otto, nove tecnologie ormai sono abbastanza ecumeniche, e in buona sostanza coincidono con gli Ad Server degli inizi anni 2000 che si sono prima evoluti e oggi hanno aggiunto alle vecchie funzioni anche quella di
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acquisto in real time”. Performics, spiega il suo managing director, lavora con tutte le più importanti DSP: “Alle tecnologie più diffuse e che usano tutti applichiamo i nostri studi e le nostre analisi, interfacciandole con la nostra DMP: in questo modo riusciamo a dare ai clienti un servizio molto più customizzato sfruttando tutte le tecnologie presenti sul mercato. Non avrebbe senso per noi inventare qualcosa di nuovo in questo senso: piuttosto ci concentriamo sulla strategia e sulla qualificazione dell’audience che i clienti intendono raggiungere, indicando loro in base alle diverse campagne e ai diversi obiettivi quali sono i cluster su cui puntare e attraverso quali formati e tipologie di comunicazione raggiungerli”. Programmatic oltre il web? Non è necessaria una sfera di cristallo per prevedere che da cross-device il programmatic presto o tardi diventerà anche cross-media. Proprio i dati, alla fin fine, sono la chiave grazie alla quale l’automazione delle pianificazioni potrà finalmente aprire le porte degli altri mezzi: e su questo punto le opinioni convergono. È invece sulle tempestiche e le modalità in cui questa apertura avverrà che i pareri sono più sfumati. “L’allargamento al mondo offline, a partire dalla televisione, è solo questione di tempo tecnico e i primi segnali sono già presenti – risponde Luca Morpurgo (StickyADS.tv) –. Fra un anno saremo qui a commentare l’effetto di questo avvento tecnologico su un mondo fino ad ora piuttosto distante dalla tecnologia. StickyADS, che nasce per il video e per la televisione, è in prima fila su questo tema e sarà certamente tra I primi a spingere su soluzioni innovative anche in questo campo”. Sulla stessa linea la risposta di Caiazzo: “In Italia siamo ancora un pochino indietro dice il
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Luca Morpurgo, Country Manager Italy & Spain Stickyads tv
managing director di Teads Italia –. Il problema nella gestione del marketing ‘oltre il web’ è spesso di carattere politico: non è tanto un problema tecnologico, quanto più di congiunture nei processi. Sicuramente, siamo consapevoli che la tecnologia programmatic vada integrata su tutti i mezzi di advertising possibili. Inoltre, il fatto che ci sia già un numero rilevante di società attive in questo senso è senza dubbio un buon punto di partenza per il mercato italiano”. “Previsioni su scala globale evidenziano che oltre la metà degli investimenti media
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digital entro il 2018 saranno orientati al programmatic advertising – dice Fides Tosoni –. Definizione di programmatic che, per le sue logiche di efficacia combinata con efficienza, va oltre i confini dei media digitali – desktop, mobile e social media – e influenza positivamente i media tradizionali come televisione, radio e Out Of Home, fino a raggiungere nel medio periodo l’Addressable Tv in tutte le sue sfaccettature. In questo scenario è fondamentale per GroupM, in quanto leader di mercato, promuovere l’innovazione e le nuove tecnologie, a tutto tondo. Anche per questo, riallacciandomi al tema precedente, la prima evoluzione da portare a compimento nel breve termine è l’integrazione dei dati di prima parte delle aziende, compresi i dati di CRM dove disponibili, consentendo così di segmentare la comunicazione media secondo una logica di Customer Lifetime Value e rendendo la pianificazione in programmatic un canale misurabile fino alla radice”. “Finora sul discorso dell’applicazione ad altri mezzi qualche esperimento è stato fatto, ma il risultato è ‘non pervenuto’ dal punto di vista tecnologico – riprende Angiolillo –. Dal punto di vista teorico e culturale, l’acquisto ‘programmatico’ di altri mezzi già si fa: si acquistano in anticipo dei volumi di spazi opportunamente targettizzati per alcuni clienti, che in sostanza è la definizione di acquisto programmatico. Dal punto di vista tecnologico non vedo evoluzioni: qualche esperimento sull’Out Of Home è stato fatto, è in corso, lo stiamo facendo anche noi; forse IPTV e Smart Tv potrebbero aprire al discorso televisivo; la radio si è digitalizzata, e quindi di per sé ci sarà una evoluzione anche in quel senso. Ma ad oggi non vedo annunci o sviluppi particolari su nessuno di questi mezzi”. Per chiarire ulteriormente Angiolillo riprende
il noto paragone col mercato azionario: “In borsa, fino a vent’anni fa, le azioni si compravano a mano con dei foglietti: ecco, l’acquisto di spazi ‘classici’ si fa ancora oggi con dei ‘foglietti elettronici’ e mandando delle mail. L’acquisto programmatico c’è quando c’è una inventory vendibile e acquistabile in tempo reale in funzione della domanda, senza il bisogno dell’intervento umano per mandare una prenotazione. E come in borsa, oggi tutto passa da una piattaforma tecnologica. Questo è programmatic”. “Come in tutte le azioni di frontiera – ricorda Sciutto –, anche nel programmatic fatto oltre Internet o offline, i rischi maggiori ricadono sul first mover: è lui a prendersi tutte le negatività dell’esperimento e i relativi successi in caso positivo. La tecnologia è già disponibile e sarà proveniente dall’estero perché su queste cose non esiste un mercato italiano o una protezione geografica. Il nostro mondo è globale. Quello che resta locale è l’investitore italiano e la sua disponibilità a innovare in un terreno poco conosciuto e quindi più rischioso”. Quaroni si dichiara non pessimista ma realista: “La verità? Sono convinto che il programmatic arriverà a toccare tutti gli altri mezzi ma non nei prossimi 20 anni. Oggi siamo ancora al punto zero… C’è molta curiosità e c’è anche la volontà di lavorare in questo senso, ma l’orizzonte mi sembra ancora lontanissimo, perché mancano ancora sia l’infrastruttura tecnologica sia la predisposizione mentale e culturale perché il vero programmatic e non la semplice automazione di qualche processo possa essere proficuamente utilizzato su media diversi dal digital. Oggi come oggi – conclude il Managing Director Italy, Spain and MENA Region di Rocket Fuel –, quale Tv, radio o concessionaria di esterna penserebbe davvero di mettere la sua inventory a disposizione di un open market?”.
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A.A.A. specialisti cercasi In un settore giovane e ancora relativamente nuovo come quello del programmatic c’è un’enorme fame e bisogno di cultura, di competenze, di educazione e di formazione: requisiti imprescindibili per contribuire a fare quella chiarezza che tanto invocano i protagonisti del mercato, la cui prima necessità è oggi in molti casi quella di reperire figure senior già formate
EROGARE una la giusta pubblicità, alla giusta persona, nel giusto momento, in maniera automatizzata: questo è il concetto alla base del programmatic. un concetto lineare, ma la cui esecuzione è decisamente più complicata. D’altra parte di non immediata comprensione è anche il linguaggio tecnico, anch’esso in continua evoluzione, pieno di acronimi e termini gergali, specchio di un universo complesso al quale è richiesta una maggior chiarezza relativamente ai ruoli e alle opportunità offerte dai diversi attori della filiera. Come è stato più volte puntualizzato nei precedenti capitoli, complice anche la sua giovane età dell’ecosistema programmatico, la diffusione della sua cultura e il livello medio dellecompetenze sono in molti casi insufficienti: educazione e formazione, del mercato nel suo insieme e dei suoi operatori singolarmente, diventano quindi un must. Perché se da un lato serve una maggior cultura trasversale e una miglior conoscenza del mercato e delle sue regole, sul piano strettamente operativo chi nel mercato già opera ha la doppia necessità di aggiornare i propri profili senior, e di attingere a nuove risorse umane sufficientemente preparate o meglio ancora specializzate. Le aziende italiane e il programmatic buying Partiamo quindi da una domanda affatto 62
Luca Brighenti e Riccardo Guggiola, Co-Fondatori di Lens Academy
scontata: quanto conoscono davvero gli inserzionisti il programmatic buying, e come si stanno organizzando nei suoi confronti? La risposta arriva da un sondaggio condotto ad aprile da Lens Academy e IlFAC.it in più paesi europei proprio con l’obiettivo di capire quanto le aziende italiane, comparate alle altre nazioni, conoscano effettivamente il
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1. HAI MAI SENTITO PARLARE DI PROGRAMMATIC BUYING?
Fonte: “Programmatic Buying Italia”, IlFac/LensAcademy, Aprile 2016
programmatic buying. Ebbene, il 44,5% del campione non sa che cosa sia (Tav. 1). “Ci aspettavamo questa risposta – precisano però Riccardo Guggiola e Luca Brighenti, co-fondatori di Lens Academy –, così abbiamo fornito noi una definizione, descrivendo il programmatic come l’automazione dei processi di acquisto degli spazi pubblicitari mediante piattaforme tecnologiche. Abbiamo inoltre ribadito i concetti di DMP e DSP e poi riproposto
la domanda: a quel punto solo il 22,4% dei rispondenti ha affermato di conoscere il tema (Tav. 2). E per loro, il 96% degli intervistati è preparato in modo scarso o molto scarso rispetto l’argomento”. Al questionario hanno risposto 235 aziende, selezionate da Lens Academy all’interno del database di contatti di responsabili comunicazione e marketing aziendali de IlFAC.it, società di TBS Italy guidata da Matthieu De 63
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2. DOPO AVERTI DATO LA DEFINIZIONE DI PROGRAMMATIC BUYING, NE HAI MAI SENTITO PARLARE?
Fonte: “Programmatic Buying Italia”, IlFac/LensAcademy, Aprile 2016
Mongolfier: “Per la selezione degli inserzionisti e delle aziende da coinvolgere – spiegano i promotori della ricerca – abbiamo cercato di mantenere il campione più eterogeneo possibile per quanto riguarda le categorie merceologiche (Tav. 3), privilegiando aziende che investono in pubblicità digitale e hanno almeno un sito internet”. Fra i rispondenti che dichiarano di conoscere il programmatic buying, il 31,2% ha detto di 64
avere una conoscenza almeno buona, il 45,3% sa cos’è e come funziona una Demand Side Platform (DSP) e pianifica di acquisire più conoscenza rispetto all’argomento mediante internet e networking ad eventi. I risultati del sondaggio evidenziano la volontà e l’intenzione da parte delle aziende di colmare il gap di conoscenza rispetto all’argomento: lo conferma il fatto che solo metà degli intervistati prevede di appoggiarsi completamente
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3. CAMPIONE: LE AZIENDE ITALIANE E IL PROGRAMMATIC BUYING
Fonte: “Programmatic Buying Italia”, IlFac/LensAcademy, Aprile 2016
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a un’agenzia o a terze parti tra 12 mesi, mentre una quota crescente desidera aumentare le competenze interne o capirne di più puntando a un modello ‘ibrido’ di gestione dei processi e degli investimenti (Tav. 4). Anche tra le sfide più urgenti da affrontare gli intervistati hanno le idee chiare: al primo e secondo posto spiccano infatti Qualità dell’inventario (42,6%) e Brand safety, ossia la certezza di posizionamenti appropriati per i propri annunci (37,7%) (Tav.5), ma già al terzo troviamo la Carenza di competenze nel team (indicata dal 26,2% del campione). [La ricerca completa è scaricabile dal sito di Lens Academy a questo link: http://lens.academy/resources/] La strada della formazione “Si stima che il trend di crescita della ricerca di specialisti in questo campo sia inarrestabile – spiegano Guggiola e Brighenti –, tanto da poter aumentare del +35% ogni anno”. Fondata nei Paesi Bassi nel 2015, Lens Academy vuole essere la risposta a questa crescente domanda, creando le giuste competenze per chi opera nel digital media: la formazione – erogata attraverso elearning, corsi in aula, soluzioni tecnologiche proprietarie e workshop per aziende e professionisti –, è affidata ai maggiori esperti del data driven advertising e del programmatic in Europa. Con l’obiettivo di rimanere agnostica, ovvero neutrale rispetto ai numerosi player del mercato nazionale e internazionale, Lens Academy ha creato dei veri e propri ‘simulatori’ delle tecnologie di programmatic buying, frutto di benchmark e analisi delle funzionalità delle principali piattaforme operanti sul mercato. I candidati possono quindi imparare anche nella pratica le logiche alla base delle nuove metodologie di compravendita automatizzata dei media. Ma quali basi bisogna avere per poter capire
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di programmatic? Il programmatic è una disciplina dove non serve essere ingegneri dell’informazione o data scientists. In questo mercato innanzitutto bisogna saper utilizzare delle piattaforme web based, saper leggere i dati e applicare le logiche simili al trading finanziario. Per negoziare bene, occorre apprendere a pieno le nuove dinamiche di compravendita che il programmatic ha introdotto, conoscere gli attori e le tecnologie del mercato per sapere a chi rivolgersi per comprare o vendere spazi pubblicitari ed essere padroni della giusta terminologia. Saper leggere i dati diventa fondamentale in quest’epoca della pubblicità guidata dai dati. L’obiettivo per i buyer (inserzionisti) è quello di ridurre le dispersioni di budget nel momento che si investe in pubblicità, mentre per i seller (editori) è quello di ottimizzare e monetizzare al meglio l’inventario disponibile. Non bisogna essere degli ‘smanettoni’ per poter utilizzare le piattaforme tecnologiche: basta una preparazione di base. Chi sa usare l’internet banking è già sulla buona strada per diventare Programmatic Specialist! Quali sono le risorse alternative al mondo dell’Università? Il mondo universitario sta sempre più integrando lezioni e approfondimenti sui temi digitali. Oggi ancora troppo pochi master post laurea si focalizzano su questi temi e c’è ancora molta dispersione di informazione. Quello che manca è un vero percorso di formazione che si focalizza sui bisogni delle aziende odierne, le quali hanno bisogno di profili diversi da quelli di una volta. Le aziende si sono finalmente convinte che la tecnologia possa cambiare l’efficacia del marketing aziendale in maniera radicale. Questo approccio sta trovando conferma proprio nel mercato pubblicitario. La tecnologia aiuta sempre più le aziende a capire i propri clienti, fornendo insight molto
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4. MODELLI DI DELEGA DEGLI INSERZIONISTI A TERZE PARTI
A. Delega completa: tutte le attività di programmatic buying vengono svolte dall’agenzia o centro media, che compra attraverso un “seat” sulla DSP. Riceviamo solamente della reportistica durante la campagna e a campagna finita B. In-house: compriamo internamente alla nostra organizzazione gli spazi in programmatic buying, dato che possediamo un “seat” sulla DSP e abbiamo strutturato un team di media buyers competente, interno all’organizzazione, che segue gli acquisti. Chiediamo raramente consigli ad agenzie e centri media. C. Ibrido: abbiamo una persona o un team dedicato dentro all’azienda, che ha accesso alla DSP e condivide l’esperienza di acquisto con un partner esterno o un’agenzia. Ad ogni modo, la maggior parte delle operazioni si svolge al di fuori della nostra organizzazione. Fonte: “Programmatic Buying Italia”, IlFac/LensAcademy, Aprile 2016
importanti per ottimizzare i costi e generare maggiori ricavi. Per poter comprendere al meglio questo percorso di transizione tecnologica, bisogna affidarsi a chi, per mestiere, sa spiegare questi concetti in maniera semplificata. Quanto è necessario investire per formare internamente i nuovi specialisti? L’investimento in formazione esterna da parte delle aziende risulta oggi necessario per poter comprendere al meglio questo mercato e diventarne un leader. Tante aziende tendono ad
internalizzare la formazione convinti di avere i migliori specialisti in casa. Un’azienda oggi deve sforzarsi per capire le tecnologie, i processi che stanno dietro a ognuna di esse e imparare ad organizzarle per renderle sinergiche e funzionali agli stessi obiettivi, sia di marketing che di pubblicità. Le risorse gratuite online, quelle messe a disposizione dai partner tecnologici o estrapolare informazioni frammentate dagli esperti non risolve di certo il tema centrale di una formazione specialistica e professionale che solo gli esperti sanno fornire.
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Specialist certificati Il corso promosso da Lens Academy si compone di 3 moduli (Le basi del Programmatic Advertising, il Programmatic dal punto di vista della domanda e Il Programmatic dal punto di vista dell’offerta) che affrontano l’argomento da ogni prospettiva. Ciascun modulo si compone di 12 lezioni e prevede un test di verifica, per appurare l’effettiva conoscenza dei temi trattati. Sostenendo l’esame finale si ottiene la certificazione di Programmatic Specialist, che dopo il riconoscimento e l’adesione di AssoCom (che ne ha condiviso l’utilità per il mercato Italiano e la validità per le Agenzie Media presenti al suo interno), grazie all’accordo appena stipulato fra Lens e IAB Italia ha acquisito un’ulteriore rilevanza – anche a livello internazionale – rientrando nell’ambito dell’offerta di IAB Certification, il programma di formazione e certificazione messo a disposizione degli operatori del mercato per garantire professionalità e continuo aggiornamento, che al momento offre già le certificazioni legate agli ambiti Digital Media Sales e Ad Operation. “Lens Academy è il partner ideale per questo tipo di certificazione, non solamente per la riconosciuta expertise nel Programmatic, grazie anche al contributo di docenti internazionali, ma soprattutto in quanto player agnostico e completamente indipendente, con una struttura agile e modulabile, concepita per chi già lavora nel campo della pubblicità digitale – ha dichiarato Daniele Sesini, Direttore Generale di IAB Italia –. La formazione è uno degli obiettivi principali dell’Associazione ed è un tema particolarmente caro al Direttivo in carica. L’accordo con Lens Academy si inserisce quindi nel percorso intrapreso. Il Programmatic è sicuramente uno dei trend di punta della nostra industry e siamo fiduciosi che potrà aiutare il nostro settore a continuare a crescere”. L’accordo con Lens Academy non si ferma alla
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Daniele Sesini, Direttore Generale IAB Italia
certificazione ma riguarda più in generale le attività di formazione portate avanti da IAB Italia. Sul sito di Lens sarà infatti disponibile IAB Academy, la piattaforma che IAB Italia ha messo a punto per rispondere alle necessità di formazione e aggiornamento degli operatori della pubblicità digitale. IAB Academy (che al momento prevede percorsi formativi generali sui principali trend dell’online marketing completati da vertical courses con approfondimenti specifici sui singoli temi) vuole essere uno strumento concreto, in grado di supportare gli operatori della pubblicità online nell’affrontarne tutti gli aspetti: dalle decisioni strategiche alla progettazione fino all’execution delle campagne. La nuova piattaforma si arricchirà presto di nuovi contenuti sempre aggiornati e
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4. MODELLI DI DELEGA DEGLI INSERZIONISTI A TERZE PARTI
Fonte: “Programmatic Buying Italia”, IlFac/LensAcademy, Aprile 2016
permetterà anche di condividere esperienze, casi di successo e di insuccesso, nuove tendenze e numeri del business digitale in Italia e nel mondo. La collaborazione con Lens Academy è un ulteriore conferma dell’attenzione e dell’impegno concreto di IAB nell’ambito della formazione, vera e propria leva strategica per favorire la creazione e la diffusione di un advertising di qualità, a beneficio della crescita e dello sviluppo dell’intero settore. Mancano i senior Ben venga dunque la formazione certificata Lens Academy/IAB, ma resta il doppio tema di fondo di come il sistema e la industry italiana della comunicazione debbano e possano fare e
condividere cultura, e di dove le imprese possano reperire i nuovi specialisti, soprattutto quando le necessità non sono a livello di new entry ma di management. “Per quanto riguarda la cultura diffusa – è la testimonianza di Enrico Quaroni (Rocket Fuel) –, tutte le nostre attività sono orientate all’education del mercato: dagli incontri con clienti e prospect per sessioni di formazione e per rispondere a qualsiasi loro domanda, fino a una lunga serie di pubblicazioni. Dal punto di vista della formazione, come ha scritto Pedro Domingos nel suo libro ‘The Master Algorithm’, entro il 2018 nei soli Stati Uniti mancheranno oltre 190.000 data scientist e 1,5 milioni di manager ‘data savvy’, che letteralmente vuol dire ‘che ci sappiano fare con i dati’. Detto ciò,
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personalmente in questo momento quando cerco una persona mi interessa relativamente se è laureata in materie scientifiche, mentre tento di individuare piuttosto profili dal carattere versatile, elastico e soprattutto veloci ad apprendere e a interpretare i dati per capire come si evolve il mercato”. “Sono convinto che le nuove generazioni siano più preparate di quanto fossero la mia e quelle precedenti, – sostiene Aldo Agostinelli (VP IAB Italia e CDO Sky) –, grazie a una mentalità più aperta e una maggiore capacità nativa che facilita l’acquisizione delle technical skills necessarie. Il problema è che questi giovani sono pochi, ma ancor meno sono le figure di livello senior: per trovare un laureato in matematica, ingegneria o scienze statistiche, con un percorso professionale alle spalle e che fosse già formato, io ho personalmente impiegato più di sette mesi! Perché sono così difficili da trovare? Spesso perché scappano e vanno all’estero, pensando di poter raggiungere un bagaglio più ampio di conoscenze e di essere maggiormente valorizzati. I professionisti in questo campo hanno a disposizione tecnologia e indirizzi ben definiti, le loro analisi forniscono risposte anche in termini di business e comunicazione, e allo stesso tempo sono le fondamenta per ‘costruire’ qualcosa che man mano può servire l’azienda nell’ambiente digitale”. Non avrebbe senso, quindi, affidare a persone di questo livello compiti tutto sommato banali o ben poco gratificanti come l’analisi del ROI di una campagna… “Il problema più grave, non nascondiamocelo, è proprio il management: che in molte aziende da questo punto di vista è ancora a livello zero, che fa fatica a capire dove indirizzare e come utilizzare le risorse, come costruire un hub digitale, come allargarlo all’interno dell’azienda. Che pensa alla trasformazione digitale come se bastasse pensare a un sito, a un carrello di
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e-commerce oppure a un investimento in comunicazione!”. E questo – ribadisce Agostinelli – è davvero un problema, un deficit per il paese. Fides Tosoni (GroupM) parte dal presupposto che il primo effetto della ‘Digital Transformation’ sia mettere l’individuo al centro della comunicazione di una qualsiasi marca: “Per questo, tutto il concetto della trasformazione digitale in senso lato diventa sempre più importante, non solo all’interno del settore della comunicazione ma, più in generale, all’interno di ogni singola azienda. Ampliare gli orizzonti e optare per una collaborazione integrata sono i key-pillar per diventare a tutti gli effetti consumer-centric. Essere realmente ‘orientati al consumatore’ significa l’avere un’organizzazione flessibile, che lavori in sinergia per indirizzare tutte le componenti del marketing – dalla strategia, al prodotto, alla comunicazione – verso il consumatore finale al fine di rispondere in maniera tailor made agli specifici segmenti di clientela o di consumatori. Ciò comporta una trasformazione necessaria all’interno della struttura di un’azienda (e del suo intero ecosistema) per lavorare in maniera più fluida, più efficace ed efficiente, modificando i propri processi e soprattutto le metriche che si utilizzano per definire la strategia, misurare i propri risultati e prendere le decisioni chiave. Questo cambiamento di organizzazione, di processi e di sistemi non può prescindere dalle nuove tecnologie e dal mondo dei dati, e quindi dal programmatic. Sono proprio le tecnologie le protagoniste in questa evoluzione poiché rendono tutto più flessibile e rapido, mentre i dati permettono di generare insight evoluti in maniera continuativa e frequente nel tempo – ed è proprio questo l’aspetto che forse in passato è mancato di più”. Oggi, è il parere di Tosoni, la vera difficoltà risiede nella necessità di passare da una
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logica di ricerca e reperimento delle ‘giuste’ competenze a una logica di gestione dei talenti e della conoscenza: “Non c’è dubbio che vengano richieste alle agenzie media nuove competenze, nuove figure professionali e un modo di lavorare diverso, più integrato, ma proprio per questo ritengo sia fondamentale sviluppare sistemi che favoriscano la crescita di tali competenze all’interno dell’azienda. Essenziale diventa, quindi, assicurare sharing, condivisione delle informazioni, delle lesson learned e della knowledge in senso allargato. Come? Prevedendo una gestione dei talenti che sia cross aziendale e che abbracci l’intera organizzazione, in modo da permettere loro una continua crescita professionale e una formazione a tutti gli effetti always on, non solo in modalità tradizionale e accademica, ma che sia veramente sviluppata on the job e che riguardi sempre più l’organizzazione in toto e non specifici ruoli o individui”. La formazione vera si fa sempre sul campo “Il punto è sempre quello e riguarda tutto il ‘sistema Italia’: l’education si fa sul campo – afferma Alessio Angiolillo (Performics). Sì le accademie, i master, tanta bella teoria: ancora una volta, però, soprattutto quando si parla di nuove tecnologie, l’Italia resta un paese culturalmente molto chiuso e poco aperto all’innovazione. Noi abbiamo stagisti che provengono da Bocconi, Sole 24 Ore, Iulm, Statale: vengono qui e l’80% di loro li assumiamo perché ci rendiamo conto che sono persone veramente preparate. Ma hanno bisogno di una introduzione all’elemento pratico molto forte e di solito ci mettiamo sei mesi per formarli operativamente: ma alla fine sono persone pronte a gestire con responsabilità e autonomia le campagne. Di master e di programmi di studio e specializzazione post laurea che costano fior di
Aldo Agostinelli, vice presidente e coordinatore del Tavolo Programmatic di IAB Italia e Chief Digital Officer Sky
soldi ormai ce ne sono moltissimi, molti dei quali ottimi: ma quello che servirebbe è che i futuri professionisti – soprattutto gli ingegneri informatici, gli statistici, i matematici –, potessero entrare subito, durante i primi anni di università, a fare qualche stage settimanale in azienda. Ripeto: è un discorso di sistema”. “I data scientist, in effetti, non sono moltissimi – aggiunge Dario Caiazzo (Teads Italia) –. C’è indubbiamente moltissima domanda da parte delle società e i profili si creano a una velocità impressionante, tanto da superare i tempi di formazione. Dal punto di vista delle aziende, è quindi cruciale investire nella formazione dei propri dipendenti”.
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L’ACADEMY DI QUANTCAST Nonostante la rapida crescita, il programmatic e in particolare il Real-Time Advertising, al di fuori degli esperti e degli addetti ai lavori, rimangono anche tra i professionisti di altre discipline della comunicazione un argomento complesso e spinoso, che necessita di formazione e aggiornamenti costanti: per questa ragione, Quantcast, uno dei player mondiali nell’applicazione dei Big Data alla pubblicità digitale e mobile, ha lanmciato anche in Italia il programma di formazione Real-Time Advertising (RTA) Academy. Nato nel 2013, attraverso corsi gratuiti e personalizzati, il corso garantisce ai partecipanti una maggiore conoscenza e comprensione del linguaggio, degli strumenti e dei processi fondamentali per lanciare campagne di programmatic, convertire nuovi clienti ed espandere gli obiettivi delle pubblicità digitali. “Il panorama digitale e il programmatic advertising in particolare sono in continua evoluzione, e i marketer devono necessariamente informarsi e aggiornarsi con la stessa rapidità – afferma Ilaria Zampori (nella foto), General Manager di Quantcast Italia –. Real-Time Advertising Academy permette ai nostri clienti, ai centri media e a tutti i professionisti del settore, indipendentemente dal loro livello di conoscenza, di acquisire rapidamente le competenze chiave della pubblicità digitale attraverso corsi completamente gratuiti e su misura, tenuti da trainer italiani professionisti che dedicano il 100% del loro tempo alla formazione e all’aggiornamento”. Il valore e l’efficacia di RTA Academy sono riconosciuti a livello internazionale: lo dimostrano la recente partnership con 4A’s, la principale associazione americana delle agenzie pubblicitarie, e l’approvazione dello IAB UK. Finora l’Academy ha formato più di 3.000 professionisti, e ultimamente ha ampliato la propria offerta formativa affiancando ai workshop esistenti anche corsi e certificazioni online.
Programmatic For Real Accanto ai grandi eventi istituzionali qualche operatore ha scelto la strada di iniziative magari più piccole ma da un taglio forse più praticoe concreto: un esempio è ‘Programmatic for real’, evento organizzato a fine aprile da Webranking presso la Camera di Commercio Svizzera a Milano per presentare il mondo del programmatic advertising con un approccio differente dal solito, concentrato sulla pratica e sui risultati ottenuti da case di successo come ING Bank e Infinity (Gruppo Mediaset). Nereo Sciutto, che di Webranking è presidente, plaude alle iniziative istituzionali di formazione, ma sottolinea che non sono sufficienti:
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“Le nuove specialità e le nuove abilità saranno definite dalle associazioni di categoria – dice infatti –, il cui ruolo è quello di creare uniformità e certificazione, a livello internazionale. Lo stesso è già accaduto in passato: basti pensare ai banner che sono standard IAB. Proprio lo IAB sta promuovendo corsi e certificazioni su queste nuove tematiche, ma non basta. Noi lavoriamo tantissimo con Master in Digital Marketing, per esempio, in primis perché l’università ci cerca come docenti per mancanza di competenze interne. Il nostro settore si muove troppo velocemente rispetto anche solo alla definizione dei programmi di studio. Poi c’è la formazione interna: in Webranking investiamo
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300.000 euro ogni anno per formare le nostre persone e farle competere con il resto del mondo. Perché le regole del gioco sono globali”. “Il programmatic è certamente un’opportunità – interviene Luca Morpurgo (StickyADS.tv) –: non solo per ingegneri o data scientist che, così come studiano a applicano le proprie conoscenze ad altri mondi in cui tecnologia e analisi dei dati viaggiano a braccetto, come ad esempio la finanza, possono farlo anche nel mondo dei media. Ma tutto ciò rimarrebbe lettera morta se non ci fosse un’attività di utilizzo dei princìpi base del marketing ben noti a tutti gli operatori del nostro mercato, quindi spazio sempre maggiore a chi questi elementi sarà preposto a coniugarli e trasformarli in comunicazione, opportunità commerciali, prodotti editoriali, strategia e consulenza”. In fondo, nota Morpurgo, nulla di molto diverso da ciò che già c’è: “Solo fatto da persone più skillate e con strumenti diversi e più moderni rispetto a quelli classici… A chi spetta guidare? Al mondo accademico sicuramente, ma insieme agli operatori del mercato, siano essi aziende, edirori, centri media, che dovranno indirizzare i formatori nella direzione a loro più utile per avere a disposizione il maggior numero di candidati prima e professionisti poi, per continuare a darsi battaglia sul fronte delle vendite, della quote di mercato, della costruzione dei valori di una marca, della creazione e del lancio di nuovi prodotti, come nella migliore delle tradizioni ma con strumenti diversi e più evoluti”. Anche Agostinelli osserva come alla fine, all’interno dei confini della digital industry e della comunicazione digitale in senso stretto, chi lavora nei trading desk, nelle agenzie media o all’interno dei publisher o delle loro concessionarie le competenze le abbia già: “Competenze che grazie alla tecnologia sono emerse ancora di più, tanto è vero che ormai sembra quasi del tutto venuto meno il modo di
comprare e vendere spazi ‘un tanto al kg’, diciamo così, o comunque lontano dai KPI. Il problema è quello di estendere queste competenze e una vera e propria cultura digitale a chi ancora non le ha: e in questo senso IAB Italia è l’associazione che più di ogni altra sta cercando di fare sistema, investendo in risorse interne, reportistica, tavoli di lavoro congiunti, e così via”. Il fiore all’occhiello, però, è ovviamente IAB Forum: “Un evento ‘ecumenico’ sul quale l’attuale consiglio direttivo ha fortemente investito – grazie peraltro al supporto degli sponsor e alle quote versate dai soci – cambiandone completamente il format: continuiamo a chiamarlo Forum anche se alla fine si tratta di un gigantesco seminario gratuito per tutti, addetti e non addetti ai lavori, che nell’ultima edizione ha raggiunto punte di oltre 14.000 partecipanti – un numero superiore persino a quello della blasonata Advertising Week di New York. Chi altro, oggi, in Italia, organizza eventi di questo genere e di queste dimensioni?”. Agostinelli conclude ricordando le iniziative ‘verticali’ che nell’ultimo biennio hanno iniziato ad affiancare IAB Forum: “Dopo quelli su mobile e programmatic siamo passati a seminar sulle industrie del Farma e del Food, entrambi settori in cui l’Italia raggiunge vette di eccellenza e nei quali riteniamo necessario evangelizzare gli operatori nei confronti del digital, facendo così crescere l’intero mercato”.
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‘Momenti’ di gloria Che si tratti di performance o di branding, di display, video o mobile, il momento e il contesto in cui la pubblicità è veicolata sono fondamentali tanto quanto raggiungere il target corretto: grazie a questo approccio definito ‘moment scoring’ e a una tecnologia senza eguali, Rocket Fuel continua a registrare una crescita che non esita a definire ‘clamorosa’
INTERVISTA a Enrico Quaroni, Managing Director Italy, Spain and MENA Region Rocket Fuel. Partiamo da un bilancio delle attività di Rocket Fuel sul mercato italiano nell’ultimo anno: come e quanto è cresciuto il vostro business? È stato un anno glorioso, andato meglio di qualsiasi aspettativa grazie a un trend di crescita allo stesso tempo solido e oserei dire clamoroso – non solo in Italia ma a livello europeo e non solo internamente a Rocket Fuel… Gli italiani hanno pienamente sposato la causa del programmatic dimostrando ciò che ho sempre pensato: in questo paese abbiamo tanti difetti ma la furbizia e la visione non ci mancano, e di questo stiamo traendo vantaggio tutti, gli operatori, i clienti e le società tecnologiche. Come si è sviluppata la vostra offerta nei confronti degli investitori del nostro paese? Sul lato delle opzioni standard e in particolare della performance, abbiamo lanciato lo scorso anno le creatività dinamiche, una soluzione perfetta per i pure retargeter che non si basa solo sul cookie pulling ma grazie alla base algoritmica e alla personalizzazione dei messaggi lavora in modo straordinario sui prospect. Lato branding abbia iniziato a offrire una soluzione di altissimo livello specifica per il video 76
Enrico Quaroni, Managing Director Italy, Spain and MENA Region Rocket Fuel
che sta riscontrando grande successo. Infine, nell’anno in cui il mobile si sta davvero consolidando, proponiamo una soluzione cross-device che non ha eguali: come ha certificato Nielsen, nel 97,5% dei casi siamo in grado di riconoscere un utente indifferentemente dal device con il quale sta navigando. In pratica, un risultato che solo Facebook può raggiungere
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ROCKET FUEL
in modo deterministico grazie ai dati di login dei suoi utenti. Rocket Fuel definisce il suo approccio al programmatic come ‘moment scoring’: cosa vuol dire esattamente e quali benefici porta un’ottimizzazione delle campagne di marketing centrata sul ‘momento’ piuttosto che sull’audience? Questo è esattamente il punto che ci differenzia dal resto del mercato: siamo convinti che il momento e il contesto in cui la pubblicità è veicolata siano fondamentali tanto quanto il raggiungere il target corretto. Identificare dove si trova e cosa sta facendo l’utente in un preciso momento è un requisito essenziale per una pubblicità efficace, perché se mando il messaggio giusto nel momento sbagliato quell’opportunità è persa. Come lo si riconosce? Attraverso l’analisi di milioni se non miliardi di informazioni per qualsiasi asta cui partecipiamo, grazie forse all’unico vero algoritmo di raccomandazione predittivo, identifichiamo volta per volta, per ogni singola impression, se quella è o non è una opportunità valida. So che può sembrare arrogante, ma è la pura verità. Ed è la ragione del successo di Rocket Fuel. Poche settimane fa avete annunciato un accordo con Eyeota, specializzata in local audience data, che si inserisce fra le numerose altre partenership che costituiscono parte essenziale di quanto Rocket Fuel offre agli investitori: potete illustrarci quali sono le principali e quali obiettivi si prefiggono? Non sempre i dati disponibili sul mercato sono
Via Federico Confalonieri, 36 – 20124 Milano Tel. 02 89982328 sales-it@rocketfuel.com www.rocketfuel.com/it
Board di direzione: Enrico Quaroni, Managing Director Italy, Spain and MENA Region; Alessandro Stoppa, Head of Sales Italia; Massimo Brignole Genoni, Head of Account Managers Italia. Anno di fondazione: 2008 (in Italia dal 2013) affidabili, e per questa ragione cerchiamo ogni qualvolta sia possibile di adoperare dati di prima parte. Detto questo, però, tutte le partnership che abbiamo stretto e che continueremo a stringere sono sostanzialmente legate al mondo dei dati: l’obiettivo di questi accordi è principalmente quello di arricchire la nostra DMP, quindi chiunque disponga di dati e sia interessato a metterli a disposizione è per noi un partner potenziale. C’è una case history in particolare che potete raccontarci per illustrare le caratteristiche del servizio che offrite ai clienti e i risultati raggiunti? È sempre difficile, in presenza di un piano media eterogeneo e spesso ‘affollato’, poter stabilire chi e che cosa funziona davvero. Quella che posso raccontare è un’esperienza recente in cui, grazie a un budget sostanzioso rispetto alla media, ed essendo l’unico partner di un cliente abbiamo mandato in out of stock i suoi magazzini. Mi sembra una testimonianza più che evidente che pianificare in modalità programmatica è assolutamente efficace: ma è altrettanto evidente e necessario che chi lo fa lo sappia far bene – a queste condizioni, parlando di digital display, è un metodo che per efficacia non è secondo a nessuno –, perché se ci si affida ai venditori di fumo la delusione è dietro l’angolo. 77
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Monetizzazione ‘premium’ Facilità di utilizzo e di integrazione, connessione con oltre 90 DSP a livello mondiale, tecnologia proprietaria, focus sui formati video, un’interfaccia molto user friendly, analytics puntuali e approfonditi: questi sono solo alcuni dei plus con cui STickyADS.tv affronta il mercato del programmatic rivolgendosi a tutti gli editori con un focus particolare sui Premium Publisher e la Tv
INTERVISTA a Luca Morpurgo, Country Manager Italy & Spain StickyADS.tv. StickyADS.tv è nata in Francia nel 2009, e ha aperto i suoi uffici in Italia – oltre che in Spagna, Germania e Gran Bretagna – nel 2014. Nel 2015 è sbarcata negli USA. A cosa sono dovuti il suo successo e la sua rapida espansione? L’intuizione che il programmatic advertising sarebbe diventato in pochi anni la modalità più innovativa ed utilizzata da publisher e advertiser per interagire tra loro unitamente alla scelta di concentrarsi esclusivamente sulla parte più ‘nobile’ del mercato, il video, e una tecnologia proprietaria che funziona molto bene sono certamente i principi fondanti del nostro successo che oltre a quelli citati ci hanno portato ad aprire proprio in questi giorni i nostri uffici anche a Sidney e Singapore. A quali tipologie di editori, publisher e broadcaster si rivolge la vostra offerta? Siamo una SSP video utilizzabile da tutti gli editori, prova ne sia la larghissima copertura che abbiamo in tutti i mercati in cui siamo presenti, ma il nostro focus sono sicuramente i Premium Publisher e la Tv. La mission di StickyADS.tv, come dichiarato sul vostro sito, è quella di ‘aiutare gli editori 78
Luca Morpurgo, Country Manager Italy & Spain StickyADS.tv
premium a gestire il business del video programmatico in modalità controllata e totalmente trasparente’: come si traduce nella pratica questo statement? La nostra piattaforma è data in uso ai Publisher
stickyadstv
STICKYADS TV
che attraverso una interfaccia molto user friendly, analytics puntuali e approfonditi, politiche commerciali e di pricing decise da loro, mettono sul mercato in modalità programmatica la propria inventory video che sarà totalmente visibile ai buyer in tutte le sue caratteristiche (formato, prezzo, disponibilità, ecc...). Noi siamo al fianco di chi vende e, seppur in modo diverso, anche di chi compra, per aiutare entrambi a operare al meglio non solo dal punto di vista tecnico ma anche di ROI. Quali sono i plus che StickyADS.tv mette a disposizione dei publisher per differenziarsi dai competitor? Facilità di utilizzo, facilità di integrazione, connessione con oltre 90 DSP a livello mondiale, tecnologia proprietaria, focus sui formati video, competenza e gestione locale in un ambiente internazionale e con esperienza globale, reattività, indipendenza, approccio consulenziale tech based ma orientato ai ricavi. Con la crescita degli investimenti nel segmento mobile, un approccio multiscreen risulta determinante: come e attraverso quali soluzioni siete presenti e attivi anche in questo campo? Siamo da sempre una piattaforma in grado di gestire inventory multidevice e multiscreen, quindi anche mobile web e in app, purchè VAST e VPAID compliant: siamo perciò pronti a soddisfare la crescente richiesta, finalmente, di mobile advertising e ad aiutare i publisher a monetizzarla al meglio. C’è una case history che potete raccontarci in grado di illustrare le vostre caratteristiche e il vostro posizionamento?
Via Copernico, 38, 20125 Tel. 02 92852129 Italy@stickyads.tv www.stickyads.tv
Servizi offerti/mezzi in concessione: Piattaforma video SSP Anno di fondazione: 2009 Dipendenti: 100 Fatturato 2015: oltre 40 milioni di euro L’obiettivo di Spiegel Online, editore leader del mercato tedesco, era massimizzare il fatturato mantenendo il pieno controllo della propria video inventory, instaurando rapporti diretti con i buyer di formati in-stream e out-stream su qualsiasi device. Per inquadrare la portata dell’intervento basta ricordare alcuni numeri: Spiegel Online ha poco meno di 2 milioni di utenti unici mensili da desktop e 500 mila utenti da mobile, che generano rispettivamente 13 milioni e 2,5 milioni di fruizioni di video, 22 milioni e 6,5 milioni di richieste di annunci. La sfida era quella di unificare con successo le procedure di vendita di Spiegel senza causare problemi alla sua attuale struttura di vendita, completando allo stesso tempo una piena e perfetta integrazione della piattaforma tecnologica di StickyADS.tv con l’Ad Server out-stream proprietario dell’editore. La soluzione è stata l’integrazione del nostro software di monetizzazione ‘plug and play’ in modo completamente fluido con l’Ad Server di Spiegel: il Private Exchange fornito da StickyADS. tv ha garantito all’editore il massimo livello di trasparenza e controllo, offrendo regole granulari la cui prima caratteristica era la creazione di gruppi di buyer prioritari. In questo modo, Spiegel ha potuto consentire l’accesso a tutte le richieste di connessione server-to-server, 79
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supportando pienamente le possibilità di Deal ID. I risultati sono stati positivi e misurabili: per quanto riguarda l’in-stream, l’incremento di fatturato anno su anno (2015 vs. 2014) è stato del +12%, e quello 80
dell’eCPM del +14%; la crescita derivante dalla monetizzazione dell’out-stream è stata nell’ordine del +230%, e i Deal ID creati nel 2015 sono stati 31, il doppio di quelli del 2014.
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Premium video, at scale Una crescita organica del fatturato 2015 rispetto al 2014 del +70% e il primo posto nella classifica comScore del Video adv Ecosystem (dicembre 2015): questi i risultati più importanti raggiunti da Teads, leader globale nel mercato della pubblicità video outstream, che nel 2016 ha in programma il lancio di nuovi prodotti e nuove partnership per consolidare la propria offerta
PRIMO IDEATORE di una piattaforma innovativa per la monetizzazione dei premium publisher online di tutto il mondo e leader globale nel mercato della pubblicità video outstream, da poche settimane Teads ha annunciato il ritorno in squadra di Dario Caiazzo nel ruolo di managing director con l’incarico di guidare il posizionamento dei prossimi progetti d’innovazione, il lancio di nuovi prodotti (che saranno annunciati entro la fine del terzo trimestre), e la gestione di prestigiose partnership che consolideranno l’offerta premium della piattaforma nel segmento del video online. Una nomina importante e una scelta strategica molto ponderata che riflette gli obiettivi di business sempre più focalizzati sullo sviluppo di nuove tecnologie per il programmatic e per il mobile outstream video advertising. “Sono molto contento di essere tornato a casa – dichiara Caiazzo –. Due anni e mezzo dopo ritrovo una piattaforma tra le più avanzate nel panorama dell’ad-tech e una realtà che ha creato un vero e proprio ecosistema mettendo sullo stesso piano gli interessi dei brand, dei publisher e degli utenti”. 130 milioni di euro il fatturato, crescita del +70% sul 2014, crescita del 500% delle revenue mobile: questi i numeri più ‘impressionanti’ del vostro bilancio 2015 a livello mondiale. Come si posiziona e quanto vale per Teads l’Italia in questo contesto? L’Italia è sempre stata una tra le country più performanti e, spesso, è anche stata luogo di test per le tecnologie più innovative, trattandosi di un mercato particolarmente attento a questi topic. Sebbene i numeri non possano 82
Dario Caiazzo, Managing Director Teads Italia
essere paragonati a quelli di Gran Bretagna e Stati Uniti, siamo orgogliosi di essere, in ogni caso, un mercato indispensabile per le operazioni di business a livello internazionale. A breve, inoltre, annunceremo importanti partnership che saranno determinanti per il nostro posizionamento premium e rinforzeremo sempre di più il team. Uno studio di comScore ha classificato la piattaforma video nativa di Teads al primo posto per utenti unici in tutto il mondo: cosa significa per voi questo risultato? Il primo posto è stato la conferma dell’attenzione con cui l’azienda opera nella distribuzione dei video, nella scelta di publisher e nello sviluppo formati di qualità.
teadsitalia
Questo posizionamento, che sottende un’accezione più qualitativa che quantitativa, avvalora anche quella che è la nostra business proposition: Premium at Scale. Quali sono i plus che Teads mette a disposizione degli inserzionisti e come si differenzia dai competitor? Sicuramente, l’attenzione dell’azienda al costante sviluppo di formati nuovi e tecnologicamente avanzati, che tendano sempre più verso quella che è la filosofia di Teads: non limitarsi solo a procurare spazi premium agli advertiser, ma realizzare formati che non risultino fastidiosi per gli utenti. Siamo molto attivi dal lato della raccolta dati, perchè disporre comodamente dei numeri permette di generare performance via via sempre più alte. Infine, un altro aspetto per noi fondamentale, al fine di mantenere la nostra promessa di qualità, è quello di sottoscrivere costantemente delle partnership con gli editori più prestigiosi. Tutto questo si traduce in una crescita esponenziale, a livello globale, della nostra piattaforma SSP programmatic. Abbiamo inventato la pubblicità video nativa nel 2012. Le nostre soluzioni comprendono formati outstream inseriti all’interno di contenuti editoriali sempre viewable by design. Crescono gli investimenti nel segmento mobile, e l’innovazione Teads non si fa attendere, tanto che avete appena lanciato il formato video native ‘inRead vertical’: come nasce, con quali obiettivi e quali saranno le sue caratteristiche? Il formato inRead Vertical nasce dall’esigenza di seguire - a volte anticipare - quelli che sono i trend tecnologici e creativi. App come Snapchat ci hanno fatto capire quanto le modalità di fruizione a cui siamo abituati su smartphone siano oggi centrali nel panorama dell’advertising. Le caratteristiche saranno esattamente le stesse dell’inRead che tutti conoscono: il formato si espande all’interno di un contenuto editoriale premium, con audio off di default e con attivazione solo su tap. La riproduzione del video inizia quando questo è
TEADS ITALIA Via Tortona, 37 - 20144 Milano Tel. 02 4980114 sales-it@teads.tv www.teads.tv
Board di direzione: Dario Caiazzo, Managing Director; Paola Pattano, Chief Financial Officer; Antonella La Carpia, Marketing & Communications Director EMEA; Lucio Mormile, Director of Business Operations & Head of Programmatic; Giulio Giacometti Ceroni, Head of Operations. Servizi offerti: Teads è leader globale dei formati pubblicitari video native e di una piattaforma di monetizzazione globale per i publisher online. I publisher lavorano con Teads per valorizzare al meglio la loro inventory, per monetizzare attraverso la forza vendita di Teads, la propria rete commerciale o l’acquisto in programmatic. Le soluzioni video native di Teads comprendono una serie di formati inseriti all’interno di un contenuto editoriale come l’inRead. Questo formato ha letteralmente ha cambiato le regole del gioco all’interno del mercato della pubblicità video online, creando livelli di inventory premium senza precedenti. I brand e le agenzie, possono accedere a questa premium inventory, sia desktop che mobile, attraverso programmatic o managed service. Anno di fondazione: 2011 Dipendenti: 450 dipendenti in 26 uffici in 18 paesi, tra cui 100 sviluppatori. Clienti Principali: Cartier, Gucci, Breitling, Louis Vuitton, Emirates, Samsung, General Motors, Volkswagen, BMW, Jaguar-Land Rover, Unilever. Publisher Premium: Reuters, Forbes, TheWashington Post, La Razón, Die Welt, II Messaggero, Corriere dello Sport, The Guardian, The Telegraph, OGlobo, il gruppo RCS.
perfettamente parallelo agli occhi dell’utente e va in pausa quando si scorre oltre. A riproduzione completata, il formato collassa su se stesso ridando spazio all’articolo.
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Un partner qualificato Con la crescita ‘naturale’ del Programmatic e lo spostamento di budget verso questa tipologia di campagne, il perimetro delle pianificazioni si è allargato anche alle attività di awareness e all’uso di canali e strumenti come Video, Mobile, Native: ciò ha permesso a Turbo, insieme alla qualità del suo servizio, di crescere a sua volta, raddoppiando il fatturato di anno in anno
INTERVISTA a Claudio Calzolari, CEO Turbo. Turbo è un trading desk indipendente focalizzato su tre aree di business principali: managed services, self service e soluzioni DMP. Vediamo quali sono i punti di forza della vostra offerta in ciascuna di queste aree, partendo dal lato più ‘consulenziale’ dei servizi rivolti ai grandi brand e ai centri media… L’aspetto ‘consulenziale’ e di servizio è uno dei punti fondamentali che ci contraddistingue in ciascuna delle nostre aree di business. Per la parte managed services i nostri clienti lo vedono già dalle prime fasi di raccolta del brief e condivisione della proposta di pianificazione customizzata per ogni campagna. Noi cerchiamo di spiegare esattamente cosa andremo a fare, con quali modalità e strumenti e quali sono gli obiettivi che stimiamo di raggiungere. Oltre alla possibilità di monitorare attraverso una dashboard accessibile via web come evolve l’attività, i nostri partner vengono contattati telefonicamente con cadenza concordata per ogni approfondimento. Anche per la soluzione ‘self service’, che normalmente prevede la totale autonomia da parte dei clienti, abbiamo organizzato una fase di training iniziale e un supporto on going per consigli e suggerimenti rivolti all’ottimizzazione delle attività. Non solo rispondiamo alle richieste, 84
Claudio Calzolari, CEO Turbo
ma siamo noi stessi a sollecitare, via mail e telefono, i possibili interventi. Per le soluzioni DMP abbiamo un rapporto quasi quotidiano con i clienti; il solo fatto di essere in Italia, pronti a rispondere in tempo reale ad eventuali urgenze, ci porta a offrire un servizio di vera collaborazione, che riteniamo differente da quello proposto da altri soggetti internazionali.
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TURBO Via Tortona 37 Tel. 02 56567365 info@turboadv.com www.turboadv.com
A chi si rivolge e quali sono invece le caratteristiche specifiche della piattaforma ‘self service’ White Rabbit? White Rabbit, è stata pensata per tre diverse tipologie di clienti: 1. la struttura medio/piccola che non ha intenzione di attivare uno o più account sulle diverse DSP, che non può garantire certi livelli di investimento, ma che, allo stesso tempo, vuole rendersi autonoma nella gestione di campagne in Programmatic Adv per i propri clienti; 2. il cliente sufficientemente evoluto e in grado di rendersi indipendente con proprie figure interne; 3. l’editore/concessionaria che desidera mettere a disposizione della propria forza vendita areale una piattaforma ‘semplificata’ di gestione di campagne locali sulle proprie inventory. White Rabbit sta subendo un’ulteriore sviluppo e, grazie alla sincronizzazione con la DMP di Turbo, permette di attivare campagne in Programmatic, sfruttando una buona base di dati italiani qualificati. Terza, ma sarebbe forse corretto metterla al primo posto per importanza, è l’area relativa ai dati: fin dalla sua nascita Turbo ha puntato sulla costruzione di Data Management Platforms a misura delle aziende che investono in programmatic. Sì, è corretto: il tema DMP è stato da subito per noi ‘il tema’. Per poter sfruttare al meglio le potenzialità di questo nuovo approccio, l’utilizzo dei dati è indispensabile. E i dati di 1° parte, cioè quelli di proprietà del cliente, sono quelli che
Board di direzione: Claudio Calzolari, CEO; Marco Franciosa, CTO; Stefano Eligio, COO; Matteo Pomi, CCO; Marco Ferrari, Chairman. Anno di fondazione: 2014 Servizi offerti: Trading Desk – Programmatic ADV – DMP Solutions Fatturato 2015: 4 milioni di euro Clienti (principali): Unicredit, Unipolsai, Alpitour, Mediobanca, Winga. fanno la differenza. La conoscenza dei profili è ciò che permette di essere più efficaci in fase di comunicazione, di essere pertinenti e più precisi possibile nell’intercettare individui potenzialmente interessanti per l’azienda e interessati a quello che la stessa sta raccontando. Volendo forzare il concetto, una pubblicità che si avvicina a quelli che sono i miei bisogni e interessi diventa quasi un servizio. Di sicuro mi infastidisce di meno rispetto a quella che non risponde a questi parametri. La DMP permette di essere più efficaci e meno fastidiosi. Quali risultati ha ottenuto Turbo fino a questo momento grazie a questo approccio? Come pensate si svilupperà il mercato? I risultati ottenuti sono molto incoraggianti. Siamo passati da un fatturato di 2 milioni di euro del nostro primo anno, il 2014, ai 4 milioni del 2015. Le nostre previsioni per il 2016 ci portano ai 7 milioni e l’inizio dell’anno è in linea con quelli che sono i nostri obiettivi. Per quanto riguarda il Programmatic in generale, quello che vediamo è una crescita quasi ‘naturale’ dello spostamento di budget verso questa tipologia di campagne. Si è allargato il 85
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Una schermata della Data Management Platform di Turbo
perimetro delle pianificazioni anche alle attività di awareness e all’uso di Canali e strumenti come Video, Mobile, Native. Quello che serve sempre di più è una maggiore trasparenza generale e la consapevolezza che questa nuova frontiera tecnologica forse non sarà la panacea per tutti i mali, ma porta a un cambiamento che può dare vero valore al mondo della comunicazione. Per quanto riguarda invece gli sviluppi del mercato, in questo primo trimestre abbiamo verificato un forte e crescente interesse verso il tema DMP. Come Turbo siamo coinvolti in diverse consultazioni di aziende, sia nostre clienti che prospect, che hanno iniziato ad approfondire le 86
opportunità di utilizzare una DMP per le proprie campagne. Qui sicurezza, proprietà del dato di 1° parte e servizio sono gli aspetti più richiesti. Quali aziende hanno scelto di affidarsi a voi e in quali aree? E come sta crescendo e si sta evolvendo la vostra struttura per rispondere alle loro esigenze? Noi collaboriamo sia direttamente con gli advertiser che con alcuni centri media e agenzie di comunicazione. Copriamo bene l’area finanza, assicurazioni, travel, gaming, food & beverage, ma abbiamo anche clienti in altri settori merceologici. Stiamo crescendo come numero di
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I 4 co-fondatori di Turbo: da sinistra, Stefano Eligio, Claudio Calzolari, Marco Franciosa e Marco Ferrari
persone e come tipologia di figure professionali. Per me che arrivo dai centri media, il cambiamento è stato evidente: ingegneri, statistici, sviluppatori, data scientist sono figure consuete nel Trading Desk, ma nuove per il mondo della comunicazione. Ovviamente rimangono indispensabili anche ruoli più ‘tradizionali’, ma il giusto mix di persone di estrazione marketing & comunicazione e tecnica, insieme all’uso della tecnologia stessa, rende Turbo un partner qualificato e altamente credibile sul mercato.
Raccontiamo brevemente un’attività che abbiamo svolto per un cliente travel; obiettivo vendita di biglietti. Il primo anno la campagna è stata gestita in continuità da marzo a luglio; il CPA è passato da un valore indice 100 a un valore indice 18,5. Gli interventi continui di ottimizzazione del nostro Team, hanno garantito un risultato quantitativo e qualitativo notevole, tanto che l’anno successivo il cliente ci chiese di gestire l’attività anche per altri 4 Paesi.
C’è una case history che potete raccontarci in grado di illustrare le vostre caratteristiche e il vostro posizionamento? 87
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Unici sul mercato I punti di forza dell’offerta di Xaxis sono dati e tecnologia proprietari: dalla DMP Turbine, alla soluzione di performance adv Light Reaction, dal prodotto specifico per raggiungere i Light Tv Viewers, alla nuova linea di prodotti mobile-oriented Mobix. Un’offerta che rende la programmatic media company un asset unico e imprescindibile per GroupM e i clienti delle sue agenzie
INTERVISTA a Giovanna Loi, Managing Director Xaxis Italy. Quale ruolo stanno giocando Xaxis e la tecnologia programmatica in seno a GroupM? Xaxis, lanciata da WPP nel 2011 e divenuta negli anni la più grande programmatic media company nel mondo, rappresenta un asset imprescindibile per GroupM e per i clienti delle Agenzie media del Gruppo, nell’innovazione e nel digital planning. La tecnologia che la caratterizza permette di targettizzare un preciso messaggio a un preciso cluster di utenti, individuato in base a logiche di audience targeting, grazie a una combinazione di dati e algoritmi. Grazie a Xaxis, GroupM offre ovviamente un’offerta integrata, ma soprattutto in grado di amplificare i risultati di ogni campagna utilizzando Dati e Tecnologia, due asset interconnessi sui quali Xaxis verte. I dati sono le fondamenta di questo ecosistema e permettono di scegliere se includere, o escludere, segmenti di audience specifici per ottimizzare al meglio la targetizzazione delle campagne secondo specifici interessi. Nel 2014 è inoltre nata Turbine, la Data Management Platform proprietaria, che ha il vantaggio competitivo di essere real-time e customizzabile. Turbine dispone di dati proprietari ed è in grado di integrare molteplici 88
Giovanna Loi, Managing Director Xaxis Italy
fonti di dati, tra cui i dati clienti e quelli di terze parti, provenienti da fonti qualificate. Nello specifico, i dati proprietari di Turbine sono ad uso esclusivo dei nostri clienti e rappresentano il vero valore aggiunto dell’offerta: possiamo parlare
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XAXIS Via del Mulino, 4 – 20090 Milanofiori Assago (MI) Tel. 02 3057321 Fax 02 30573257 www.xaxis.com
Managing Director: Giovanna Loi Anno di fondazione: 2011 Servizi offerti: Xaxis, lanciata da WPP nel 2011 e divenuta negli anni la più grande programmatic media company con più di 40 uffici nel mondo, rappresenta un asset imprescindibile per GroupM e per i clienti delle Agenzie media del Gruppo. Xaxis, grazie a Turbine, la sua Data Management Platform proprietaria, ha come sua mission principale quella di raggiungere le audience e interagire con esse attraverso i dati e la tecnologia. Dipendenti: più di 1.000 nel mondo
di dati derivanti da più di 40 milioni di cookie giornalieri raggruppati in una ricca classificazione per categorie di interesse o di intento. Non solo campagne di audience targeting, ma anche performance adv! Alla luce degli avanzamenti del programmatic buying e delle sue ulteriori potenzialità, quali passi avanti sono stati fatti in concreto nell’ultimo anno? Nel Giugno 2015 Xaxis presenta Light Reaction, la soluzione di performance advertising basata sul raggiungimento di obiettivi direct delle campagne e su un portfolio di prodotti, in ottica cross-device, che spazia dalla display all’email marketing, dal social al native a soluzioni drive to store. Grazie a questo nuovo prodotto Xaxis amplia l’offerta e mette a disposizione la propria consolidata expertise sull’audience targeting anche in ottica direct response. Xaxis così genera awareness ed engagement con soluzioni di
upper funnel innovative e integrate, e di lower funnel per acquisire e fidelizzare i clienti. Oltre a sfruttare dati di audience consolidati, accordi preferenziali di inventory media e le più innovative tecnologie programmatic, Light Reaction sta sviluppando avanzati strumenti che consentiranno agli inserzionisti di orientarsi sempre meglio nel complesso panorama dei device mobili e del modello di attribuzione delle conversioni. Il mobile è il device della quotidianità e rappresenta ormai la nuova frontiera della comunicazione, basti pensare che la navigazione in mobilità ha superato il desktop con oltre 18 milioni di utenti unici connessi per quasi due ore nel giorno medio. A quasi un anno dal lancio, Light Reaction è già partner consolidato dei top player appartenenti alle principali industries: automotive, banking, food, pharma, retail, telco e travel. Sempre parlando di nuove soluzioni e di ulteriori potenzialità, non si può non
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Grazie a Turbine, la sua Data Management Platform proprietaria, Xaxis è in grado di capire in real time gli interessi degli utenti online, analizzandone i dati derivanti dal comportamento di navigazione, anche in modalità predittiva
Mobix sfrutta le potenzialità del mobile associate ai diversi passaggi di quello che viene definito Consumer funnel. Nella parte più alta del funnel si trova il prodotto Mobix Reach&Frequency, utile per incrementare le coperture aggiuntive recuperando contatti grazie a una pianificazione mobile che ribilancia il profilo delle campagne, per esempio sui segmenti giovani, più difficilmente raggiungibili con altri mezzi. Parte dell’offerta è anche Mobix Places, strumento di location targeting pensato per raggiungere il proprio consumatore in azione nei diversi momenti della giornata o in contesti di luogo specifico. Ad esempio veicolando messaggi pubblicitari in tempo reale solo quando l’utente si trova vicino a punti di suo interesse come stazioni, concessionarie di auto, aeroporti etc. Un’offerta completa e a 360 gradi, che ‘scarica’ anche sulla parte più bassa del funnel grazie ai prodotti a pura performance del già citato Light Reaction. Un esempio è il prodotto Add to Calendar pensato per i clienti che vogliono promuovere un determinato evento o l’Add to Wallet, un’applicazione nativa per iPhone e iPad attraverso la quale è possibile scaricare coupon e boarding pass e ricordare all’utente di utilizzare il coupon mediante push notification geolocalizzate.
soffermarsi meglio sul mobile. Di quali nuove soluzioni dispone il vostro gruppo su questo fronte? Proprio quest’anno abbiamo sviluppato una linea di prodotti mobile-oriented denominata Mobix, che valorizzando la logica del mobile-first, punta a garantire risposte efficienti e soluzioni brillanti in tutti i passaggi di un percorso di comunicazione ideale.
In che modo Xaxis si relaziona ad un mezzo predominante nella realtà italiana come è la Tv? Ci potete illustrare attraverso una case history i plus e i risultati che il vostro gruppo ha raggiunto in quest’area? Sebbene la Tv resti un mezzo predominante, quello che via via stiamo notando è quanto i contenuti video vivano sempre più su altre piattaforme e altri device. È bene infatti ricordare che i Light Tv Viewers (ovvero chi vede meno di 3 ore di Tv lineare al giorno) rappresentano ormai un’importante fetta della popolazione italiana. Tale segmento, cresciuto ancora tra il
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2015 e i primi mesi del 2016, è oggi pari al 45% degli over 15 anni, ma sviluppa soltanto il 21% dell’ascolto televisivo. Il prodotto Xaxis Light Tv Viewers – con oltre 50 clienti attivi, quasi 100 campagne gestite in un solo anno, un premio vinto come miglior prodotto dell’anno del network Xaxis, e ora best practice internazionale - consente di pianificare campagne digitali mirate proprio a questa tipologia di utenti, che rappresentano un target attivo e di grande appeal per chi investe in pubblicità oggi. Attraverso una ricerca recentemente fatta ad hoc con Toluna, al suo secondo rilascio, ed applicando un algoritmo di modellazione avanzato del campione intervistato, è stata creata all’interno di Turbine la custom audience dei Light Tv Viewers, ossia un segmento di pianificazione utilizzabile dai clienti GroupM per le proprie campagne video e display. L’utilizzo sinergico del prodotto Xaxis con il planning Tv, all’interno del tool di pianificazione Kubik, determina un complessivo miglioramento delle performance media (sia in termini di copertura, che di frequenza) ma anche di uplift di indicatori di brand effectiveness come l’adv recall o l’intention to buy. Risultati dimostrati da molte campagne, tra cui quella di un brand del Largo Consumo il cui obiettivo era particolarmente sfidante, ovvero comunicare a un target complesso come le donne 25-54 anni. Il prodotto Light Tv Viewers ha permesso di recuperare i diversi momenti di visione anche su web e mobile e ri-bilanciare il planning Tv che era naturalmente concentrato sugli alto consumanti del mezzo. Il contributo del prodotto Xaxis è stato di oltre 2 punti sull’intera campagna Tv (che partiva già da una copertura alta attorno al 75%) e di ben 5 punti sul segmento Light Tv Viewers. Un risultato decisamente positivo che è stato coronato anche da un significativo saving di costo sul segmento, pari al -7%.
Quali sono le caratteristiche fondamentali e i punti di forza che vi differenziano dai competitor del vostro settore? Xaxis associa i vantaggi dell’acquisto in modalità programmatica con la possibilità di fare leva sulle principali caratteristiche di Turbine, che si fa forte della posizione leader di GroupM e delle sue Agenzie. Infatti, grazie alla Data Management Platform proprietaria, Xaxis è in grado di capire in real time gli interessi degli utenti online, analizzarne i dati derivanti dal comportamento di navigazione, anche in modalità predittiva. Inoltre si avvarrà dell’arricchimento dei dati derivanti da Live Panel, ricerca proprietaria GroupM disponibile su 30 paesi. Questo ci consente di andare incontro alla sfida della Comunicazione di oggi, ovvero l’essere sempre più mirati ottimizzando l’esperienza pubblicitaria con messaggi creativi dinamici e non invasivi per l’utente. Un network internazionale, un team di esperti, Dati e Tecnologia proprietari, ci differenziano dai nostri competitor e ci consentono di essere sempre più innovativi con prodotti e soluzioni unici sul mercato.
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Data is king Se per i mezzi classici il processo è appena agli inizi, nel digital marketing l’approccio programmatico è ormai una realtà ampiamente diffusa che sta guidando le agenzie media verso un nuovo ruolo e nuovi modelli di business: non più un acquirente e pianificatore di grandi volumi, ma grazie a big data e smart data un vero e proprio ‘qualificatore’ di audience
INTERVISTA ad Alessio Angiolillo, managing director di Performics. Quale ruolo sta giocando la tecnologia programmatica in seno alla vostra agenzia e a tutte le altre sigle che fanno capo a Publicis Media? Il grande vantaggio del programmatic riguarda il mondo della ‘targetizzazione evoluta’ grazie a big data e smart data, e le principali differenze con il passato sono l’acquisto e l’ottimizzazione di ogni campagna in tempo reale: ciò significa che per noi – e per molti altri player del mercato della comunicazione –, quello del programmatic è un ruolo che non sarebbe corretto definire centrale ma che certamente è importantissimo dal punto di vista dell’organizzazione e dell’evoluzione del modello di business. Un modello che sta cambiando molto velocemente perché la stessa agenzia media cambia ruolo: non più un acquirente e pianificatore di grandi volumi, anche se in parte lo rimarrà, ma un vero e proprio qualificatore di audience. Nel mondo digitale oggi c’è questa tendenza più che palese ad avere un’offerta ipertrofica, cioè un’offerta di spazi pubblicitari e di traffico che supera decisamente la domanda: quindi il compito di un centro media è prima di tutto selezionare questo traffico e qualificarlo attraverso 92
Alessio Angiolillo, managing director di Performics
appunto l’utilizzo di smart data – che possono essere i dati di prima parte del cliente, i dati di seconda parte dell’editore piuttosto che i dati di terza parte di campagna del
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singolo advertiser. È incrociando questi dati che l’agenzia arriva a dare al cliente finale il beneficio di un nuovo modo di fare advertising, molto più targettizzato e preciso. In uno scenario frammentato come quello di oggi, la tecnologia ha aperto il mercato ma lo ha anche reso ‘anarchico’, creando una grande confusione. A un’agenzia media evoluta come la nostra è chiesto il compito non facile di mettere ordine in questo nuovo contesto, scegliendo la tecnologia giusta, l’editore giusto, il produttore di contenuti giusto. Per offrire tutti questi servizi ed essere un unico fornitore per il cliente, Publicis Media si è ristrutturata e si è data una nuova organizzazione ‘brand led’ attraverso le quattro Global Agency Brand del Gruppo (Starcom, Zenith, Mediavest|Spark e Optimedia|Blue 449), e le sette Global Practice con competenze chiave a supporto delle brand (Data, Content, Trading, Performance, Analytics, Business Development e Business Transformation). Fra queste ultime, Performics, la struttura di cui sono alla guida, ha la dignità di un brand perché è una società a sé stante a livello mondiale, con delle operation e un management molto forte, che porta dentro di sé culturalmente tutto ciò di cui abbiamo parlato – il performance marketing. Che non vuol dire acquistare banner, ma gestire ogni attività che ha come obiettivo da un lato ottimizzare e dall’altro generare risultati. Perché ci sono dei clienti che chiedono piani di reach e posizionamento, altri che scelgono attività capaci di produrre risultati oltre la visibilità. Due anni e mezzo fa, quando Vittorio
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Board di direzione: Luca Cavalli, CEO Zenith Italia; Daniela Schnellinger, COO Zenith Italia; Gianluca Dibilio, Finance Director. Anno di fondazione: 1998 Servizi offerti: Comunicazione a 360° per il miglior ritorno sull’investimento possibile, consulenza strategica, media planning & buying e servizi offerti dalle nostre unit specializzate Performics (digital performance marketing), Newcast (branded content solutions) e Ninah (marketing effectiveness) Dipendenti: 220 Clienti (principali): Ferrero, L’Oréal, Mercedes-Benz, poltronesofà, Toyota, eni, Lactalis, Sanofi, Chefaro Pharma, Kering
Bonori mi ha chiamato a guidare Performics, mi ha chiesto anche di coordinare tutto il digitale in ZenithOptimedia: e modestamente credo di aver dato il mio contributo a diffondere questa visione del digitale a tutto tondo, senza più distinzione fra brand e performance. Sotto il profilo organizzativo, inoltre, l’impatto diretto del cambiamento è anche nel recruiting di persone nuove e nell’implementazione di nuovi processi, perché per ottimizzare una campagna servono tool, infrastrutture e specialisti adeguati, che non solo pianifichino e comprino spazi ma che soprattutto analizzino in tempo reale le grandi quantità di dati mosse ogni giorno. In altre parole, non bastano più i classici campaign manager e occorrono nuovi ‘tecnici’, 93
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laureati in matematica, statistica, software engineering: figure professionali che solo fino a due anni fa – senza andare oltre – non erano assolutamente previste all’interno delle agenzie media. In questo processo una parte fondamentale è quella interpretata dai contenuti: come e perché? Nel panorama attuale, caratterizzato da un overload informativo, noi utenti siamo sia ‘bersagli’ che generatori e divulgatori di contenuti, nostri o di terze parti. Google , i motori di ricerca e i grandi social media sono piattaforme tecnologicamente avanzatissime: hanno degli stupendi algoritmi ignoti ai più, ma fondamentalmente sono vuoti di contenuti. E chi fornisce questi contenuti? I brand… Contenuti interessanti, meno interessanti, più intelligenti, di advertising, editoriali o qualsiasi altro tipo, di cui noi utenti fruiamo in maniera più o meno cosciente. Ciò che succede è che il contenuto – un text link, un post, un’infografica, un video branded o non branded – è diventato un vero, potentissimo strumento di attivazione, e questa è, di base, la grande promessa del programmatic advertising: erogare il contenuto giusto per l’utente giusto nel momento giusto. Che detto così è il sogno, l’Eden di qualsiasi direttore marketing fin dagli anni ’80! Possiamo aprire infiniti tavoli di discussione se questo sogno si sia realizzato e la promessa sia stata mantenuta, sulla qualità dei contenuti o sulla capacità di erogarli sulla piattaforma giusta e al momento giusto: il dato di fatto è che ci sono delle regole ‘macro’ ma è un continuo learning by doing , perché alla fine ogni campagna vive di propria vita. Le opzioni disponibili sono miliardi e si tratta di clusterizzarle e scegliere le più corrette per quegli obiettivi in quel
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preciso momento, ed è su questo terreno che si gioca la sfida più grande. L’alchimia che permette di fornire un insight nel modo più veloce e preciso al cliente – la cui organizzazione di marketing è oggi spesso qualche passo indietro rispetto all’agenzia –, è ciò che permette a un’agenzia di differenziarsi nel servizio e vincere la partita. La nostra organizzazione è stata ripensata proprio in funzione di questo: ancora tanti passi devono essere fatti, ma è un’evoluzione fisiologica verso l’utilizzo del programmatic advertising e verso questo servizio real time al cliente. A proposito di clienti, quali sono, dal vostro osservatorio, i driver che spingono le aziende a investire in modalità programmatica? Due anni fa la promessa del programmatic era l’ottimizzazione dei costi, cosa secondo me vera, ma solo parziale. L’ottimizzazione si può fare anche in manuale e in fondo le agenzie media lo hanno sempre fatto anche sull’offline. Nel programmatic il concetto diventa relativo ed è in funzione dei risultati: qualsiasi brand investirebbe infatti a un costo contatto moltiplicato per 10 pur di avere risultati 100 volte superiori! La risposta è quindi ancora una volta nei dati: dietro l’esposizione a un messaggio o un contenuto, e anche dietro il click e l’interazione digitale, c’è un filone d’oro da sfruttare che sono i dati. Capire cosa succede dopo il click è né più né meno la logica del performance marketing. I grandi clienti, soprattutto internazionali, sono da sempre attenti al target, al posizionamento, alla pressione pubblicitaria e quant’ altro, ma si stanno rendendo conto che esporre il messaggio giusto all’utente giusto con la logica media tradizionale non basta più. Prendiamo un brand che pianifica
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Il customer experience loop è un nuovo modo di concepire il customer journey, che supera gli schemi lineari, caratterizzati da un’interpretazione monodirezionale della relazione consumatore-marca, abbracciando una prospettiva di lungo periodo
il suo spot su Rete4 per colpire le 25/54 enni responsabili di acquisto, ma che si è anche dotato di una DMP in cui ha integrato il proprio CRM e le attività di advertising: quando un cliente o un prospect arriva sulla sua pagina o sul suo sito e si registra a una newsletter, dopo una ricerca su Google o il click su un masthead di YouTube , di quel cliente o prospect saprà già molte cose. E la prossima volta non avrà bisogno di ri-contattarlo con un messaggio generico su Rete4 . Ecco la promessa del programmatic e, indirettamente, di ottimizzazione: perché se l’azienda ha già raggiunto e tracciato quella persona e ha valutato il suo comportamento ‘qualitativo’, la prossima volta farà una comunicazione ad hoc in base al percorso di navigazione e di attivazione di quella speci-
fica persona, mandandogli un messaggio il più customizzato possibile. Per chi lo ha capito e ha già acquisito questo know-how, il passo successivo sarà portarsi in casa anche la parte di buying e gestione delle campagne digitali: perché non è più un’attività media e non avranno più bisogno di delegarla a un centro media. Per la Tv e gli altri mezzi tradizionali il cambiamento sarà più lento, ma per il digitale non servirà più affidarsi a una terza parte – l’agenzia – per sfruttarne i volumi e il potere di acquisto. Nel programmatic non si tratta di comprare a un costo più alto o più basso rispetto a prima ma, grazie ai dati a disposizione – soprattutto di prima parte – di comprare al meglio per gli obiettivi della campagna e del brand.
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