Affari di Gola ottobre 2017

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ottobre 2017

Anno XVII n.4 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60

la buona tavola raccontata da

Formaggi al ristorante, la riscossa è locale Mentre Forme celebra il primato caseario di Bergamo, le selezioni del territorio vincono nei menù. Il guru Marcomini: «Fondamentale saperli raccontare»


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SOMMARIO

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XVII n.4

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4 l’approfondimento

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Formaggio al ristorante, vince la scelta locale

8 L’intervista

10

Martina: «Bergamo può essere un laboratorio sul futuro del cibo»

10 una giornata con

Il fruttivendolo: «Basta levatacce ma il servizio è sempre più personalizzato»

14 La novità

16

Imperial Coffee Stout, “orgoglio” di casa Otus in edizione limitata

16 IL progetto

Un marchio per la Stracciatella, «da condividere con gelatieri e territorio»

23 la storia

Musica e dolci da sogno, il doppio talento di Marion

26 il prodotto

Tutti pazzi per le spezie

30 l’osservatorio

Locali, l’importanza di essere trendy

34 strumenti

Bar e ristoranti, un software tiene d’occhio gli allergeni

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo, 137- 24125 Bergamo - tel. 035 4120322 - fax 035 231082 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Borgo Palazzo, 137- 24125 Bergamo - tel. 035 4120280 - fax 035 231082 - info@larassegna.it - N° ROC 5847 - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Roberta Martinelli, Fabrizio Pirola, Rosanna Scardi, Gualtiero Spotti - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg


L’APPROFONDIMENTO di Gualtiero Spotti

Mentre Bergamo celebra, con l’evento Forme, il suo primato per numero di Dop e biodiversità casearia, siamo andati a vedere che ruolo hanno il Taleggio e i suoi fratelli in carta. Le selezioni del territorio sono la risposta alla difficoltà di gestire assortimenti ampi, mancanza di personale preparato in sala e, non ultime, le nuove scelte alimentari

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Formaggio al ristorante, vince la scelta locale l mondo caseario e dei latticini è cambiato radicalmente negli ultimi anni. Tra i tanti aspetti da considerare, ci sono senza ombra di dubbio le moderne tecnologie di produzione, una diversa richiesta del mercato e una serie di regolamentazioni più rigide, che mettono in primo piano la sicurezza e la qualità del prodotto. Se è vero che in pochi decenni si è passati dal bergamino che produceva poche forme in alta montagna a realtà di ben altre dimensioni e portata, bisogna però prendere in esame anche le modifiche avvenute nei rapporti con i ristoratori e con il cliente che arriva nel ristorante. Con scelte e soluzioni diametralmente opposte alla produzione che mira a “colpire” il mercato alla grande distribuzione. «È vero - dice Francesco Maroni, responsabile della Latteria di Branzi, in Alta Valle Brembana e promotore di una serie di iniziative volte a stimolare il mondo dei latticini della provincia orobica (non ultima l’apertura del Bù Cheese Bar in centro a Bergamo e per non dire del progetto Forme) - ma è proprio per questo motivo che bisogna impegnarsi nel lanciare messaggi positivi e innalzare sempre più la cultura e l’attenzione del consumatore finale nei confronti del

prodotto di qualità. Se è vero che negli ultimi tempi è andata diminuendo la presenza del classico carrello dei formaggi nei ristoranti, poco importa che siano stellati o meno, è altresì vero che mi viene da consigliare a tutti i ristoranti che vogliono continuare mantenere uno stretto legame con il territorio bergamasco o con il mondo del formaggio, di presentare le grandi eccellenze locali, come il Taleggio, il Branzi, il Formai de Mut o lo Strachitunt, in una versione nuova. Basta con i mastodontici carrelli di una volta, con venti referenze, e che ormai sono difficili da gestire in sala per tante ragioni, a partire dalla temperatura di servizio. È molto meglio concentrarsi su pochi nomi, di qualità,


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ma renderli più accessibili alla clientela che esce di casa per consumare un pasto. E poi raccontarli, in modo che il cliente percepisca bene il valore della degustazione cui va incontro, con la fatica e l’impegno di chi sta dietro a un lavoro ancora oggi molto faticoso». Una scelta di buon senso, verrebbe da dire, che, ad esempio, è stata fatta dal ristorante Hostaria del Relais San Lorenzo di Città Alta, dove Antonio Cuomo, il cuoco di casa, propone una piccola selezione presentata su un vassoio e portato direttamente in tavola. Oppure Al GiGianca, osteria vicina al mondo Slow Food, che da anni opera una rigorosa selezione delle materie prime. Come racconta Alessia Mazzola, la giovane cuoca, «noi ci teniamo a presentare i Principi delle Orobie e i prodotti più significativi di Bergamo e provincia, dall’Agrì di Valtorta allo Stracchino all’antica, però abbiamo pensato di cambiare la loro classica presentazione. Non più prelevati da una vetrina lasciata in sala o in bella vista su di un carrello, con il rischio di deterioramento e sbalzi di temperatura, ma semplicemente proposti al tavolo nella veste di un tagliere orologio, che preparo io in cucina. Anche perché c’è un altro grosso problema da affrontare di questi tempi. È sempre più difficile trovare il personale giusto in sala che sappia raccontare i formaggi e le loro caratteristiche in maniera adeguata, così preferisco uscire io e parlarne al tavolo». Un problema che invece viene aggirato al

Nelle foto, in senso orario: Francesco Maroni, Antonio Cuomo, Darwin Foglieni e Alessia Mazzola. In apertura, una delle proposte di Bù Cheese Bar

L’esperto

Marcomini: «Troppi errori nel servirli. Ed è fondamentale saperli raccontare»

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lberto Marcomini, padovano di nascita, giornalista e scrittore, è uno dei massimi esperti in Italia di formaggi ed è l’ideatore dell’Italian Cheese Award che andrà in scena nel corso della tre giorni bergamasca di Forme, l’evento organizzato tra il 20 e il 22 ottobre in città e dedicato all’arte casearia, di cui è ambasciatore e coordinatore scientifico. È naturale, quindi, interpellarlo e chiedergli qualche delucidazione su come si può organizzare un carrello dei formaggi e su quali sono i più comuni errori che i ristoratori devono evitare quando decidono di servire in tavola qualche forma. «È un argomento complesso da affrontare - dice subito Marcomini - e si parte sicuramente da un fatto: in Italia il carrello dei formaggi non ha mai funzionato per la generale mancanza di passione di chi lo organizzava. Poi si è continuato a sbagliare nel taglio delle forme, una operazione tutt’altro che trascurabile, e con l’errore della temperatura di conservazione e di presentazione al tavolo. O i formaggi sono troppo freddi e sanno di frigorifero, oppure sono conservati insieme ad altri prodotti, ad una temperatura sbagliata. È chiaro che non si possono mettere insieme alle verdure o ad altra merce, per esempio, a 5 gradi. La temperaAlberto Marcomini è uno tura giusta per i formaggi è queldei più grandi esperti italiani la dei 12 gradi». «E poi in Italia – di formaggi ed è ambasciatore puntualizza - non siamo mai stati e coordinatore scientifico di Forme aiutati, a differenza della Francia, dalla produzione, che su quasi tutto il territorio vede formaggi perlopiù di grande pezzatura. Questi, una volta tagliati, e facciamo anche il caso di una forma di Taleggio visto che siamo a Bergamo, devono essere sempre mantenuti riponendoli all’interno di un panno umido che non lascia seccare la crosta». Quindi che consiglio dare ai ristoratori che hanno voglia di proporre qualche formaggio ai loro clienti? «Semplice – incalza l’esperto -, per me l’idea giusta è quella di puntare su 4 o 5 prodotti del territorio, senza esagerare, ma cambiandoli regolarmente, anche ogni giorno. Poi l’altra regola imprescindibile da seguire è quella di puntare sulla competenza di chi li serve perché i formaggi vanno sempre raccontati. Bisogna conoscerne vita, morte e miracoli, sapere chi è il produttore e informarsi su come sono stati fatti, partendo ovviamente dal latte. Infine c’è l’arte di riassumere al tavolo in qualche battuta i dati essenziali, non per stancare il cliente, chiaro, ma per rendere evidente quello che va a degustare e la qualità del formaggio».

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L’APPROFONDIMENTO

I giovani cuochi del Nasturzio di Albino: Jonathan Signorelli, William Bertocchi e Cinzia Mismetti (ph. Stefano Borghesi) Dominique Verdier e la moglie Ornella

Giopì e la Margì, storico indirizzo di cucina bergamasca in città. Darwin Foglieni, il cuoco, rivela che per loro presentarlo in sala sul carrello è invece un valore. «Sì, perché il cliente se vede il carrello si incuriosisce e magari decide di scambiare un secondo piatto con i formaggi. Che da noi sono esclusivamente locali, anche con le bufale dei Quattro Portoni. Poi un aspetto che funge da stimolo per gli appassionati è la continua nascita di formaggi di diverse tipologie, come nel caso degli aromatizzati, che aprono la porta a nuove sensazioni e incroci di sapori tutti da scoprire. Questo ci viene incontro e permette di variare di volta in volta la scelta per il cliente». In fin dei conti è proprio quest’ultimo ad avere l’ultima parola e non è un caso che i giovani e intraprendenti cuochi del ristorante Nasturzio, a Desenzano di Albino, per il momento non si siano ancora mossi per offrire delizie casearie. «Semplice - dice Jonathan Signorelli, uno dei tre executive chef - perché abbiamo aperto da poco tempo e prima vogliamo testare i nostri ospiti e capire come si comportano. Ma l’idea è quella di arrivare presto a una selezione su un carrello artigianale, in linea con la filosofia del locale e della cucina. In ogni caso

L’EVENTO

«Verso un’alleanza più stretta tra

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ergamo celebra il suo primato in fatto di formaggi - è la provincia con il maggior numero di Dop, nove, e con i Principi delle Orobie è anche paladina delle produzioni montane con un grande evento diffuso, la seconda edizione di “Forme, Bergamo capitale europea dei formaggi”, che dal 20 al 22 ottobre prende vita nelle piazze e nei palazzi della città. È il bis dell’omonimo progetto sviluppato in occasione di Expo Milano 2015 e ha l’obiettivo di affermare la centralità del territorio bergamasco nel mondo caseario. La manifestazione, organizzata dall’associazione Promozione del Territorio, PG&W e Guru del Gusto, porta in città le finali di “Italian Cheese Award” e la prima edizione di “Luxury Cheese”, esposizione e degustazione dei più rari e preziosi formaggi internazionali. E poi due spazi invasi da prodotti e produttori: i portici del palazzo della Ragione che diventano “Piazza mer-

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cato del formaggio” e il centro piacentiniano, in Città bassa, che ospita “Forme al centro”, senza dimenticare l’approfondimento convegnistico, i laboratori e il coinvolgimento dei ristoranti e degli esercizi commerciali. Sotto i riflettori ci sono ovviamente i tesori locali: le nove Dop (Taleggio, Salva Cremasco, Quartirolo Lombardo, Grana Padano, Gorgonzola, Bitto, Provolone Valpadana, Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana e Strachitunt) e i Formaggi Principi delle Orobie, progetto di valorizzazione di produzioni storiche, dell’ambiente e della cultura che rappresentano (ne fanno parte, oltre ai già citati Formai de Mut e Strachitunt, i formaggi di capra orobica, lo Stracchino all’antica delle Valli Orobiche, il Branzi Ftb, lo Storico Ribelle e l’Agrì di Valtorta, alcuni dei quali sono anche Presìdi Slow Food). «Promozione del Territorio - dichiara il presidente Ivan Rodeschini - con-

tinua il suo compito di valorizzazione delle eccellenze in una logica di filiera che va dalla produzione alla commercializzazione. Con Forme si esalta uno dei prodotti più caratterizzanti e legati al territorio, risultato di tradizioni secolari e filiere di produzione uniche. Bergamo è infatti la provincia con il maggior numero di formaggi Dop e la più vasta biodiversità in ambito caseario». «Forme - spiega - è la prima manifestazione di tal genere che si organizza nella nostra provincia e promuove insieme ad un prodotto l’intero territorio, in quando coinvolge non solo il mondo agricolo ma anche quello della ristorazione e dell’ospitalità. Ai ristoranti e agli alberghi di tutta la provincia abbiamo chiesto di rafforzare, nel periodo della manifestazione, la loro proposta di formaggi attingendo alle 9 Dop e ai 7 Principi delle Orobie e di proporre un piatto a base di formaggio all’interno del loro menù. La risposta da parte


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non esclusivamente orobico, ma con, magari, qualche inserimento francese. Visto anche che alcuni di noi sono passati da cucine d’Oltrtalpe». Certo, non è cosa facile di questi tempi pensare di convincere un mondo che a tavola sta cambiando velocemente e dove si passa dagli intolleranti al lattosio ai vegani, fino ai salutisti che vedono il formaggio come fonte primaria dell’aumento del colesterolo. Senza tralasciare la ormai cronica difficoltà di reperire in sala personale qualificato e quindi in grado di raccontare adeguatamente le caratteristiche del formaggio, ma non solo quelle. Infine c’è, come ricordato, il problema legato al mantenimento della temperatura ideale e alla movimentazione delle forme, ancor più complicata visto il calo dei consumi. In leggera controtendenza si può dire che sono le gastronomie specializzate o i locali multifunzione che hanno caratteristiche tali da raccogliere una clientela multigenerazionale. A Bergamo ci sono due esempi diametralmente opposti, ma illuminanti. Il primo è l’indirizzo storico della Gastronomia Verdier in via Palazzolo, dove il cuoco francese Dominique con la moglie Ornella ormai da 26 anni presenta una bella

selezione di formaggi (sempre francesi, con qualche svizzero per preparare nella piccola saletta ristorante vicina alla gastronomia una succulenta fondue di raclette), che attirano l’attenzione di una clientela di appassionati. È ovviamente una scelta di campo ben precisa, che però paga e che funziona ancor meglio in prossimità delle Feste, quando tutti cercano di arricchire la tavola con qualche curiosità che arriva da altre culture gastronomiche o parte la regalistica su misura, per aziende o privati. L’altro esempio è quello del Bù Cheese Bar, recente apertura in centro a Bergamo a due passi del Quadriportico, dove si fa cultura di prodotti caseari. Con la vendita e la consumazione in un locale moderno, dove il servizio è giovane e spigliato e dove si passa agilmente dal caffè al banco all’aperitivo o ai cocktail. Proprio alcuni di questi ultimi sono spesso innovativi ed estremamente interessanti, con la presenza del siero del latte a ricordare dove ci si trova. E il nome del locale? Semplice, “Bu” è la parola dialettale orobica per dire “buono” ed è anche quella che sintetizza magnificamente, davanti a un tagliere che mette in fila i nomi più classici di formaggi locali, la loro bontà.

produttori, ristoranti e negozi» dei nostri operatori è stata buona e, come sempre, contraddistinta da una grande creatività». Nell’operazione è stata coinvolta l’Ascom. «C’è un risveglio dell’attenzione sui formaggi, dalla città alle Valli - evidenzia la presidente dei Ristoratori, Petronilla Frosio -. Se i grandi assortimenti sono difficili e costosi da gestire, la tendenza è quella di selezionare piccoli produttori locali con il vantaggio di semplificare l’approvvigionamento ma, soprattutto, di caratterizzare la propria offerta legandola al territorio. È con un rapporto sempre più stretto con le produzioni vicine, nella collaborazione reciproca che si dà identità e riconoscibilità alla cucina». Quanto all’uso, sì a taglieri e degustazioni in purezza, ma sempre più spesso i formaggi finiscono nei piatti, protagonisti di golose ricette.

Anche Luca Bonicelli, presidente dei Gastronomi e salumieri Ascom, crede in un rapporto virtuoso con i formaggi del territorio. «A fine settembre abbiamo tenuto una degustazione di salumi e formaggi tipici in Accademia Carrara - ricorda - proprio per far conoscere i nostri prodotti, che sono buonissimi e di grande qualità ma, occorre dirlo, non così conosciuti in tutto il loro valore. Ritengo che oggi il compito del salumiere sia proprio quello di raccon-

tare cosa sta dietro ad ogni forma. Siamo stati noi i primi a dedicarci alla selezione dei prodotti tipici, seguiti dalla grande distribuzione. Ora le chicche non bastano più, è la conoscenza il valore aggiunto che possiamo dare alla nostra proposta: saper illustrare le caratteristiche, i luoghi e i modi di produzione è ciò che può permettere alle nostre piccole attività di non essere cancellate dal panorama distributivo».

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L’INTERVISTA di Giorgio Lazzari

Il ministro dell’Agricoltura: «La nostra terra può aiutare a sviluppare il concetto cardine del G7, ossia produrre meglio sprecando meno. Ci sono tante esperienze positive dalle quali possono partire idee nuove per un rapporto tra agricoltura e città»

Maurizio Martina

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Martina: «Bergamo può essere un laboratorio sul futuro del cibo» ergamo sede del G7 dell’agricoltura, gli scorsi 14 e 15 ottobre, ha acceso i riflettori sui temi più urgenti della produzione e distribuzione del cibo. Il summit dei sette Paesi più industrializzati al mondo insieme all’Unione europea e alle maggiori organizzazioni internazionali è stato accompagnato da un vasto programma di incontri con personaggi ed esperti, dibattiti formativi, laboratori rivolti ai cittadini di tutte le età e con il coinvolgimento delle associazioni per portare gli scenari globali nella vita e nella consapevolezza di tutti. Noi abbiamo scelto di rivolgere al ministro dell’Agricoltura, il bergamasco Maurizio Martina, alcune domande sulle nostre tipicità e la loro valoriz-

«Nei distretti del cibo la chiave per superare la contrapposizione tra negozi e ristorazione da una parte, mercati agricoli e agriturismi dall’altra» zazione, cercando anche di scoprire i suoi gusti a tavola. Con il G7, Bergamo è diventata “capitale mondiale” dell’agricoltura. Un bel riconoscimento per un territorio tradizionalmente industriale, ma anche una grande

responsabilità. Quali sono le esperienze che qualificano la nostra provincia agli occhi del mondo? «Al G7 dell’agricoltura si è parlato di come produrre meglio, sprecando meno. La nostra terra per vocazione può aiutare a sviluppare questo concetto. Ci sono esperienze importanti: dall’impegno delle associazioni di volontariato al biodistretto, alla realtà di Astino fino ai nostri valori enogastronomici. Nella nostra provincia ci sono oltre 350 aziende agricole, più di 130 orti urbani, 27 mercati a filiera corta. Bergamo negli ultimi anni si è trasformata in un laboratorio di nuova cittadinanza anche attorno al tema del cibo. Da qui possono partire idee nuove per un rapporto


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tra agricoltura e città, come ha dimostrato la settimana del G7. Abbiamo un’occasione unica per proseguire il grande lavoro di educazione alimentare avviato con Expo due anni fa». Il settore è vivace. Giovani - e non scelgono la terra e crescono le iniziative che fanno incontrare il mondo agricolo ai consumatori eppure al supermercato oggi è quasi più facile trovare pomodori olandesi che italiani. Come si possono effettivamente valorizzare le nostre produzioni? «Le risposte non sono semplici e chi propone di alzare muri e barriere prospetta una strada che ucciderebbe le nostre piccole e medie imprese agroalimentari. In questi anni abbiamo lavorato il più possibile per tutelare il reddito degli agricoltori e rendere così più competitivi i nostri prodotti. C’è molto ancora da fare, ma credo si debba proseguire con i sostegni al reddito degli agricoltori e la valorizzazione dell’origine della materia prima verso i consumatori». Lei lo sa quanto costa un litro di latte? Merito delle battaglie per l’etichettatura? «Al consumatore costa circa un euro e mezzo, ma alla stalla siamo sotto i 40 centesimi. Lo scorso anno eravamo

«A tavola sono per la semplicità e la tradizione: lasagna e pizza. E su chi invitare a cena non ho dubbi, Papu Gomez e tutta la squadra» scesi addirittura a 32, un prezzo inaccettabile. Abbiamo lavorato per aiutare concretamente gli allevatori a superare una crisi che ha riguardato tutta l’Europa. L’origine in etichetta ha dato una mano, consentendo ai cittadini di conoscere la provenienza di un milione di tonnellate di latte uht, formaggi, yogurt. Ora andiamo avanti con lo stesso modello per pasta, riso e derivati del pomodoro, anche anticipando le scelte che l’Europa ancora non ha fatto». Come fa la spesa il ministro dell’Agricoltura, se la fa? «Come tutti, credo. Cerco di guardare alla provenienza dei prodotti e alla loro stagionalità. E scelgo il Made in Italy ovviamente». Il piatto del cuore? «Lasagna e pizza. Sono per la semplicità e la tradizione». Festa dell’Unità o ristorante stellato? «Senza nulla togliere ai tanti chef di talento che abbiamo, scelgo col cuore le

Feste dell’Unità, dove sono cresciuto». Chi inviterebbe a cena? «Papu Gomez e tutti i compagni di squadra dell’Atalanta. Non credo di dover spiegare il motivo, no?» Si è mai imbattuto in un assaggio di “Parmesan” o in un bicchiere di “Prisecco”? «Succede nelle trasferte internazionali, l’ultima volta mi è capitato di trovare il Parmesan a Washington poco prima di incontrare il mio collega americano. L’Italian sounding è una piaga che stiamo combattendo, ma per vincere abbiamo bisogno di accordi giusti in mercati aperti. Sul web siamo ad oggi l’unico Stato al mondo che ha chiuso accordi con le grandi piattaforme e-commerce come Alibaba, eBay e Google per rimuovere i falsi. In una sola operazione su Alibaba abbiamo bloccato la vendita potenziale di 30 milioni di lattine di falso prosecco. Non dobbiamo abbassare la guardia». Con quali prodotti la Bergamasca può prendere per la gola il mercato internazionale? E cosa le serve per farsi conoscere? «Abbiamo alpeggi straordinari che danno vita a nove formaggi a denominazione protetta. Nessuna provincia in Italia ne ha tanti. Abbiamo gli ottimi vini della Valcalepio e il Moscato di Scanzo. Ora dobbiamo fare ancora più sistema e proporre il territorio in tutta la sua forza». Piccoli commercianti e ristoratori lamentano rispettivamente la concorrenza di mercatini agricoli e agriturismi. Ci può essere una convivenza più pacifica? «Assolutamente sì. Vanno rafforzate le interazioni, costruendo dei veri e propri distretti del cibo. È la strada su cui punteremo con la prossima legge di bilancio e sono certo che Bergamo farà da apripista».

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Una giornata con di Anna Facci

Cosa vuol dire oggi avere una piccola bottega? Abbiamo seguito per un giorno Michele Fusini, del negozio di via Fantoni. «La spesa si può fare anche al telefono e consegno in tutta la città». Accordi con le aziende per la fornitura di frutta in ufficio

La squadra al completo dell’ortofrutta Fusini: Michele, la moglie Lolita e la mamma Dolores

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Il fruttivendolo: «Basta levatacce ma il servizio è sempre più personalizzato» i è andata bene. L’appuntamento con Michele Fusini, fruttivendolo di via Fantoni a Bergamo, non è ad un orario impossibile. Ore 7, ingresso dell’ortomercato alla Celadina. Ha già fatto il suo giro quotidiano tra grossisti e ortolani e gli resta da perfezionare solo qualche acquisto. Abbiamo scelto di seguirlo in una giornata tipo per raccontare cosa significa “avere bottega”. Quei negozi ai quali tutti riconoscono tradizione, servizio, qualità e competenza, ma di cui spesso ci si dimentica. Michele ha 36 anni e nell’aprile scorso ha ufficialmente rilevato il negozio dal papà Agostino, che già affiancava da più di dieci anni. L’attività è stata avviata dal nonno Alessandro nel 1960 e fino al 1983 contava un altro punto vendita, alla rotonda dal Galgario. La “dinastia” è perciò alla terza generazione. «Oggi non è più necessario svegliarsi prestissimo per essere sicuri di trovare tutto – svela -, se serve qualcosa basta mandare un messaggio la sera al fornitore e comunque di merce ce n’è sempre. Un giro lo si fa in ogni caso tutti i giorni, per vedere se c’è qualche bel prodotto o buon prezzo e se sono arrivate le primizie che i clienti aspettano. Ad esempio adesso tengo d’occhio mandaranci, funghi, cachi e melograni. Se c’è ancora qualche pesca la prendo perché i clienti sanno che sono le ultime

e poi dovranno aspettare fino all’anno prossimo. Assaggio sempre, se un frutto non mi convince non lo prendo». Di regola al mercato ci sta un’oretta, delle 6.30 alle 7.30. Si muove rapido da una postazione all’altra, basta un’occhiata per capire che quelle pere vanno bene e poche parole per intendersi con i venditori o per salutare i colleghi. Caffè e uno sguardo alla Gazzetta mentre attende che i suoi acquisti vengano pesati e preparata la fattura, dopodiché carica il furgone e arriva in negozio, che apre alle 8. In attesa che entrino i primi clienti si occupa dell’esposizione. È bello vedere come, nei pochi metri quadri della bottega, l’atmosfera si trasforma man mano ogni cassetta finisce sui ripiani. Non servono architetti e designer, ci pensano il verde brillante delle insalate freschissime, i cestini dei frutti di bosco, le castagne lucide, i pomodori brillanti, il sedano ben ordinato ad abbellire l’ambiente. «Un’esposizione accurata è importante – evidenzia -, io cerco di accostare bene i colori». Alle 9 arrivano la mamma Dolores, da sempre in negozio, e la moglie Lolita, dopo aver accompagnato all’asilo la piccola Alice. Seguono l’attività al mattino, quando c’è maggior via vai. Michele si può così dedicare alle consegne a domicilio. Il rapporto è così stretto che basta una telefonata per fare la spesa o un salto in negozio prima dell’ufficio. «I manda-


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ranci? Sono i primi, quindi un po’ aspri, li vuole? Dieci patate di media grandezza vanno bene?». Il servizio è gratuito e con scooter o furgone il fruttivendolo copre tutta la città. «Ovviamente sono tutti prodotti di qualità – rimarca – non avrebbe senso mettere a rischio la fiducia che ci riconoscono». A volte è addirittura lui a chiamare i clienti: «Se una signora mi ha chiesto l’uva americana o le uova nostrane la avviso quando le trovo». Per la serie: “ma chi teme la spesa on line?” Anche i bar della zona fanno rifornimento qui. Consegnano la lista al mattino e ricevono tutti i giorni i prodotti freschi di cui hanno bisogno: insalate e verdure per la pausa pranzo, arance e frutta per spremute, frullati e macedonie. Da qualche tempo è nata anche un’interessante collaborazione con la Sab. Nell’ambito dei programmi di promozione dei corretti stili di vita e alimentari, la vicina azienda di autotrasporti offre ogni giorno la frutta al personale degli uffici e invia ogni settimana l’ordine. Anche in Confindustria c’è un’esperienza simile, il venerdì. Il negozio è aperto fino alle 13 e nel pomeriggio dalle 16

alle 19.30. «Quando non c’è gente si dà una sistemata – dice -, da fare ce n’è sempre». L’offerta punta sui prodotti di stagione («che sono anche i più buoni»), italiani e di qualità, con proposte anche per chi vuole risparmiare. La frutta esotica o fuori stagione è riservata al periodo natalizio e ai bei cesti con tanto di stella di natale o alberello. Tra le “specialità” alcuni ortaggi dal Veneto acquistati direttamente dai produttori, come le patate di Chioggia, città di origine della moglie, che crescono in terreno sabbioso, e poi radicchi, fagioli e cipolle. Sugli scaffali anche legumi e frutta secca, sottoli e sottaceto, scatolame, passate di pomodoro. Poche le divagazioni dal tema ortofrutta, soprattutto vini e acqua, dei quali si apprezza la consegna a domicilio.

«Ho fatto altri lavori prima di decidere di fermarmi qui – dice Michele -. Mi piace il contatto con le persone e ci tenevo a dare continuità al lavoro dei miei. Certo, i tempi d’oro sono finiti, la gente preferisce la comodità dei supermercati e ogni volta che apre una nuova insegna temiamo che possa avere qualche ripercussione. Però andiamo avanti con fiducia. Con me ora c’è anche mia moglie: se prima avevamo due stipendi ora ne abbiamo uno solo, in compenso possiamo gestirci meglio con gli orari e far crescere qualcosa di nostro. L’obiettivo è riuscire ad attrezzarci per offrire verdure già pulite e tagliate e verdure cotte, darebbe un bello slancio all’attività».

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L’APERTURA di Rosanna Scardi

Treviglio, la gastronomia sfoggia piatti da chef Eccellenze selezionate e la cucina di Fabio Borgonovo (ex Villa Giavazzi) gli ingredienti di Bottega concept store di Daniel Farina, novità in via Roma. Le ricette sono studiate per essere rigenerate a casa, buone come appena fatte. Oppure ci si può fermare nel locale

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Da sinistra: Fabio Borgonovo, Daniel Farina e Laura Casari

na gastronomia come ne esistevano cinquant’anni fa con prodotti di eccellenza introvabili. A Treviglio la novità si chiama Bottega concept store ed è aperta da luglio in via Roma, tutti i giorni dalle 9 alle 21. La curiosità, dopo aver sbirciato dalla vetrina il banco con formaggi, salumi e portate di alta cucina, spinge a varcare la soglia. I piatti si possono acquistare e portare a casa, anche su

Bottega. Concept Store via Roma, 3 Treviglio tel. 0363 301078 www.bottegaconceptstore.it

ordinazione: ogni ricetta è preparata dallo chef Fabio Borgonovo in modo che possa essere rigenerata dal cliente. Ma ci si può anche fermare nel locale scegliendo dal banco oppure il piatto forte del giorno (tre a pranzo, uno la sera), i taglieri di formaggi e di salumi Made in Sud, Viaggio in Emilia Romagna, affettati di maiale, asino e cavallo, i mix culatello di Zibello e burrata d’Andria, Delux o l’espe-

il distillato

Marelet, un gin esclusivo aiuta l’elefante Edo Elephant Gin ha dedicato un’edizione speciale, in 648 bottiglie, al locale della famiglia Colleoni, Miglior Bar d’Italia 2017

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utto è iniziato con un incontro quasi casuale con Katerina-Kate Logvinova, brand ambassador della distilleria artigianale di Amburgo che produce Elephant Gin, pluripremiato distillato che prevede l’utilizzo di ben 14 rare specie botaniche africane. Un prodotto realizzato seguendo con cura ogni passaggio, per eliminare immediatamente eventuali impurità, e davvero esclusivo, le bottiglie sono infatti numerate in base ai piccoli lotti di appartenenza. Dalla prima bottiglia venduta, nel settembre 2013, l’azienda ha sempre devoluto il 15% dei

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Robin Gerlach, titolare di Elephant Gin, Katerina-Kate Logvinova, brand ambassador, e i fratelli Vittorio, Paolo Colleoni e Cristina Colleoni


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rienza gourmet, una carta con otto tapas creative. Qualche esempio: le alici con ricotta e limone fritte e accompagnate da insalata di finocchi e arance, l’hamburger di angus irlandese con bacon, pomodoro e salsa tartara, il salmone marinato con burrata, melanzana e pomodori canditi, tartare di manzo alla senape e miele con giardinetto di pesche e cipollotto in carpione, arancini Sicilia style su fonduta di scamorza leggermente affumicata. Per i vegani c’è il millefoglie di tofu con pomodoro e tartare di olive e capperi con bouquet di germogli. Dietro al progetto, ci sono la passione e il sacrificio di Daniel Farina, 33 anni, di Verdello, ambulante di formaggi a Milano, la moglie

Laura Casari titolare di Villa Giavazzi a Verdello. «Voglio portare in tavola il buon cibo, insegnando ad apprezzarlo e il piacere di cucinare, creare una cultura gastronomica - sono le sue intenzioni -. Alla base c’è il formaggio, italiano e di qualità, che vendo nei mercati milanesi, Bettelmatt, Bagòss, Formai de mut, Zola al cucchiaio, Erborinato di capra, Parmigiano reggiano stagionato 36 mesi, poi ho ricercato tutto ciò che gli si abbina, andando di regione in regione, nelle cantine, dagli agricoltori, nei salumifici». Nel suo locale, non si trovano le classiche penne al pomodoro o il pesce surgelato, ma prodotti freschi e senza conservanti. «Non voglio sembrare spavaldo, ma Bottega non ha competitor», sorride. Da provare il piatto forte dello chef: musetto di maiale fondente cotto a bassa temperatura con verza stracotta e scampi crudi. Da un quarto di secolo ai fornelli, Borgonovo ha partecipato ai più importanti concorsi internazionali, incluso il Bocuse d’Or. «Porto nel

ricavi a due fondazioni africane per la salvaguardia degli elefanti: Big Life Foundation e Space for Elephants. Il nome dell’elefante aiutato o della famiglia sono scritti a mano su ogni etichetta. A Edo, rimasto orfano in tenera età e cresciuto al David Sheldrick Widlife, è dedicato il Marelet Special Batch, edizione limitata che celebra il titolo di Miglior bar d’Italia 2017 assegnato dal Gambero Rosso al Marelet di Treviglio, bistrot contemporaneo della stellata famiglia Colleoni del San Martino. Questo distillato si pone essenzialmente come la rivisitazione di un grande classico: 648 bottiglie che presentano le caratteristiche dell’Elephant London Dry Gin con l’aggiunta di note agrumate che conferiscono un tocco unico, in linea con le peculiarità del Marelet. Gli ingredienti utilizzati sono i medesimi, ma con concentrazioni e quantità diversi dal prodotto base. Il Marelet Special Batch ha una piacevole morbidezza e un grande

locale una cucina da ristorante con delle accortezze, anche lasagne, foiolo e insalate di mare hanno uno stile moderno e sono alleggerite», dice il cuoco brianzolo, 38 anni (ha cominciato giovanissimo!), che oggi vive a Chignolo d’Isola ed ha avuto una lunga esperienza a Villa Giavazzi. Bottega è anche vineria e offre l’aperitivo il mercoledì sera, mentre i concerti di musica classica dal vivo con artisti del conservatorio fanno da sottofondo per il brunch della domenica.

equilibrio. Il palato è subito avvolto dall’aroma fresco, dallo spiccato agrumato, in seconda battuta arriva la nota più complessa, quasi speziata. Questo speciale flavour deriva dal sapiente uso delle specie botaniche: un mix unico in cui è stata modificata la quantità di baobab, buchu, scorza di arancia e zenzero. Non solo numerate e con scritte a mano, le bottiglie di Elephant Gin sono caratterizzate anche da etichette evocative del territorio da cui provengono le specie botaniche. Le bottiglie sono chiuse da un tappo di sughero naturale e abbellite con dello spago, a garanzia di artigianalità. La selezione speciale dedicata al Marelet si caratterizza per la presenza dell’etichetta specifica e il colore verde, dal logo del locale. Due i cocktail realizzati dai bartender di casa: il Gentle Giant, preparato da Aleks Cavagnoli, e il Lucky Story, realizzato da Fabio Perego. Lara Abrati

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la novità

Imperial Coffee Stout, “orgoglio” di casa Otus in edizione limitata

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mperial Coffee Stout 2017 è una single batch, una birra scura e forte distribuita in un numero particolarmente limitato di bottiglie, pensata per scaldare i ritrovi conviviali dell’inverno che si avvicina o per accompagnare le proprie meditazioni intime, cullati dal suo gusto armonioso. Questa Stout è l’ultima tappa del viaggio del birrificio artigianale Otus di Seriate negli stili della birra e basta versarla per capire che si tratta di un traguardo memorabile: il bicchiere si riempie di un promettente nero opaco e viene coronato da un’invitante schiuma color nocciola, densa e compatta, che accarezza le labbra. Il profumo intenso e avvolgente non lascia dubbi: siamo di fronte a una birra dal carattere deciso, che interpreta lo spirito più profondo delle sue antenate. L’elevato grado alcolico, i sentori di caffè e cioccolato amaro, uniti all’accentuata cremosità, fanno di questa Imperial Coffee Stout una birra perfetta per chi ama una struttura organolettica potente quanto morbida e delicata al palato. «La birra artigianale fa vivere esperienze sensoriali straordinarie, genera nuove passioni e coinvolge in degustazioni sensuali, animando le conversazioni e la convivialità, prorompendo nella sfera del piacere». Così, Anna Cremonesi, vicepresidente del Cda Otus, vede il mondo delle brasserie artigianali, ossia quel fenomeno economico e culturale che negli ultimi anni ha fatto progredire il mercato della birra modificando radicalmente il rapporto fra produttore e consumatore. Anna guarda al futuro con fiducia: «Negli ultimi decenni l’industria ha progressivamente uniformato il gusto della birra cercando lo standard minimo di soddisfazione della massa dei consumatori per comprimere i costi. Il birrificio artigianale, al contrario, tende all’unicità dei propri prodotti e restituisce alla birra la sua originale potenza organolettica, esplorando le infinite varianti del gusto che derivano dal-


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L’ultima creazione del birrificio di Seriate è una scura forte e avvolgente come le antenate inglesi, da degustare davanti al camino. Sarà distribuita da metà novembre in un numero ridotto di bottiglie. Cremonesi: «Il senso dell’artigianalità è offrire prodotti unici»

la qualità degli ingredienti e dalla loro combinazione nelle tecniche di produzione». Imperial Coffe Stout 2017 è il frutto di questo modo di intendere il mestiere, perché di mestiere si tratta, non di professione, giacché la birra artigianale, come ricorda lo slogan di Otus, è fatta con le mani. In lingua inglese il termine stout indicava in origine l’aggettivo “orgoglioso” o “impavido”, poi, dopo il XIV secolo, prese a significare qualcosa di simile a “forte-robusto”. La birra Stout nasce nel XVIII secolo in Inghilterra, nel Birrificio Thrale, per essere inviata alla corte dell’Imperatrice Caterina II di Russia (da qui deriva il termine Imperial); l’elevato volume alcolico le consentiva di superare indenne il lungo viaggio attraverso il freddo del Baltico e di giungere a destinazione con

Birrificio Otus srl via Fonderia Rumi, 7 24068 Seriate (Bg) tel. +39 035 296473 info@birrificiootus.com www.birrificiootus.com

aroma e sapore inalterati. Completamente diverso da quelli già conosciuti, il nuovo modo di fare birra si diffuse presto in altri paesi europei e oltreoceano. Oggi la Stout è consumata soprattutto negli Stati Uniti dove è molto apprezzata per il suo gusto ricco e profondo che soddisfa la predilezione degli americani per le birre corpose, infatti i birrai degli States ne hanno sviluppato diverse varianti. Sull’origine dell’Imperial Stout circolano tuttavia racconti differenti: alcuni affermano che il vero inventore di questo stile sia la brasseria londinese di Barclay Perkins che intorno al 1781 iniziò a esportare la sua maestosa birra forte e scura, consegnandola in vari porti nella regione baltica, dove la sua elevata gradazione alcolica costituiva una valida alternativa ai liquori. La produzione di Otus, pur tesa alla sperimentazione e all’innovazione, si innesta sulla sapienza degli antichi birrai. Alessandro Reali, il mastro birraio lo conferma con parole chiare: «Le grandi birre, anche quelle più innovative, si fondano sulla conoscenza profonda delle tecniche affinate nei secoli, sono figlie della vocazione al metodo, della capacità di progredire, giorno dopo giorno, migliorando ogni dettaglio. È necessario tradurre le esperienze in rigorosi protocolli operativi, trasformarle in etica professionale». La capacità di coniugare un indomito spirito creativo a una rigorosa formula produttiva e distributiva caratterizza questa giovane e dinamica azienda bergamasca e chi acquista i suoi prodotti può contare su alcune fondamentali regole professionali: la certezza che la birra desiderata abbia sempre la giusta maturazione e le stesse caratteristiche organolettiche e la certezza delle consegne. L’estro artigianale non compromette la serietà commerciale. L’Imperial Coffee Stout 2017 di Otus sarà disponibile a partire dalla metà di novembre, in edizione limitata.

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IL PROGETTO

Ascom e Gelatieri Bergamaschi hanno avviato la registrazione del brand collettivo e del disciplinare per produrre il gusto originale, nato alla Marianna nel 1961. La famiglia Panattoni ha messo a disposizione la ricetta

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Un marchio per la Stracciatella, «da condividere con i gelatieri e il territorio» ra è scritto nero su bianco: la Stracciatella è nata a Bergamo. L’Ascom e i suoi Gelatieri hanno voluto codificare le origini nostrane, già comunque generalmente riconosciute, di uno dei gusti di punta della gelateria italiana, presente pressoché in ogni vetrina o pozzetto refrigerato del mondo. Lo hanno fatto registrando alla Camera di Commercio il marchio collettivo “La Stracciatella il gelato di Bergamo” corredato da un disciplinare che individua i natali del celebre mix tra fiordilatte e scaglie croccanti di cioccolato fondente nel 1961, alla Marianna di Colle Aperto ad opera del patron Enrico Panattoni, e da qui gli ingredienti e il metodo di produzione, a disposizione di tutti i gelatieri che vorranno sfoggiare nei propri punti vendita la vera ricetta. L’operazione è stata possibile grazie a quella che - durante la presentazione del progetto lo scorso 25 settembre nella sala di Porta Sant’Agostino - è stata definita “generosità di sistema”, ossia la scelta

L’ORIGINE

Così una minestra è finita sul cono

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a lavorato mesi tra migliaia di ricette, Luciana Polliotti, giornalista e studiosa del gelato, senza trovare traccia di una preparazione anche solo simile alla stracciatella, che ora è diventata patrimonio di Bergamo. È così che ha scelto validare l’attribuzione a Enrico Panattoni della Marianna del gusto che avrebbe portato il suo locale sulla bocca di tutti e l’abbinamento fiordilatte-cioccolato sui coni e nelle vaschette di tutto il mondo. «Ho consultato testi di gelateria pura e i ricettari dei grandi cuochi dal 1600 senza trovare testimonianze della stracciatella prima del 1961, data alla quale risale l’invenzione di Panattoni – afferma -. L’intuizione viene dalla minestra di origine romana chiamata stracciatella per l’aspetto stracciato che, per il repentino cambio di temperatura, assume l’uovo sbattuto unito al brodo caldo. Il gelato alla stracciatella è preparato con lo stesso principio, unendo cioccolato fondente fuso al gelato già freddo nella fase di mantecazione». «Il cioccolato, fuso a 40 gradi – aggiunge Niccolò Panattoni, nipote di Enrico -, si solidifica a contatto con la


ottobre 2017

della famiglia Panattoni di condividere con i colleghi la propria specialità, nella convinzione che si tratti di un’opportunità per sviluppare l’appeal commerciale e turistico di Bergamo e provincia. «Il nostro obiettivo – spiega il presidente dei Gelatieri Bergamaschi, aderenti all’Ascom, Massimo Bosio –

è sempre stato quello di parlare di gelato artigianale e la stracciatella è il testimonial ideale per raccontare la bontà di ciò che facciamo ogni giorno. La nostra aspirazione si è unita all’interesse delle aziende bergamasche della filiera del gelato artigianale di essere identificate con un territorio». Bergamo può vantare infatti un vero e proprio distretto del gelato che va da macchinari e attrezzature a coni, cialde e confezioni, dalle materie prime agli arredi, con imprese presenti nei mercati internazionali, che hanno, tra l’altro, già dato vita ad una bella esperienza di collaborazione con i gelatieri due anni fa in ExpoGelato, organizzata in centro nel periodo dell’esposizione milanese. «Come esistono il distretto della ceramica e della sedia, potrebbe nascere il distretto della Stracciatella – auspica Bosio –, capace di dare un’immagine più forte e definita dell’intero made in Bergamo del gelato». «Con questa iniziativa poniamo le basi per un sogno – prosegue –, quello che in un futuro non troppo lontano chi pensa alla Stracciatella l’associ a Bergamo come succede per la torta Sacher e Vienna, la piadina e la Romagna, il Chianti con la Toscana». Ad essere registrato – occorre pre-

Niccolò Panattoni e Luciana Polliotti miscela gelata e viene stracciato in pezzi dalle pale del mantecatore. Ancora oggi lo facciamo così, nelle stesse macchine che utilizzava il nonno». Nato ad Altopascio in provincia di Lucca nel 1927, Enrico Panattoni è arrivato a Bergamo negli anni Quaranta

Massimo Bosio cisarlo - è il nome Stracciatella per il gusto preparato con gli ingredienti e le modalità definiti dal disciplinare. «Può anche darsi che qualche altro gelatiere, in passato, abbia unito pezzi di cioccolato al gelato alla panna – ammette il presidente -, anche se la nostra ricerca storica non ne ha trovato traccia. Ciò che tuteliamo con il marchio, in ogni caso, è il nome Stracciatella e l’idea che ha portato alla sua creazione, quella di realizzare una versione dolce e fredda della minestra calda con brodo e uova “stracciate” in voga ai tempi».

insieme alla moglie Oriana «con la voglia di spaccare il mondo», l’efficace immagine che ne dà il nipote. «Hanno cominciato con una bottega in via Colleoni vendendo castagnaccio – racconta -. Grazie all’incontro con Franco Minetti il nonno si è appassionato di gelato e specializzato a Firenze. Nel ‘53 hanno rilevato La Marianna, in Colle Aperto, era caffetteria e ristorante e uno dei piatti che servivano era la stracciatella alla romana, da lì il chiodo fisso di far diventare freddo quel piatto caldo. Alla fine ce l’ha fatta. È stato subito un successo e tutt’oggi è uno dei gusti più venduti». Anziché tenere la specialità, oggi internazionale, tutta per sé, la famiglia Panattoni ha voluto spartirla con i colleghi e il territorio. «Abbiamo abbracciato subito questo progetto – ricorda Niccolò – perché crediamo che sia un buonissimo traino per il turismo di Bergamo e per la crescita del commercio e siamo felici di condividere le nostre conoscenze su questo prodotto con le altre gelaterie. Nonno Enrico sarebbe orgoglioso di sapere che la sua stracciatella è diventata il gelato di Bergamo».

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IL PROGETTO Il progetto è supportato dalla Camera di Commercio, ha come main sponsor Lactis e, per il cioccolato, la belga Callebaut e come partner le aziende bergamasche di filiera Astori Group di Gorle, Ostificio Prealpino e Puntogel di Bergamo e Gelmatic Italia di Grassobbio. Vede inoltre la collaborazione di East Lombardy. Il comitato scientifico che ha curato il dossier e il piano di marketing è composto, oltre che da Bosio, da Pietro Bresciani (Ascom), Niccolò Panattoni (La Marianna), Giovanna Ricuperati (Multi - marketing consulting), Aurora Minetti (aziende della filiera del gelato) e Raffaella Castagnini (Camera di Commercio). Ora la palla passa ai gelatieri artigianali, un mondo che in Bergamasca conta 280 attività, 1.100 dipendenti e

Due momenti della presentazione del marchio nella sala di Porta Sant’Agostino in Città alta che produce 5.200 tonnellate di gelato all’anno, per un fatturato di circa 70 milioni di euro. Chi intende avvalersi del marchio – di proprietà dell’Ascom e in fase di registrazione – rispetterà il disciplinare di produzione della stracciatella e riceverà il kit promozionale con logo, adesivi, locandine, cartoline e totem che permetteranno di raccon-

IL DISCIPLINARE Non ha maglie strettissime il disciplinare di La Stracciatella il gelato di Bergamo, ma i paletti sono significativi, capaci di dare i tratti tipici della ricetta tradizionale. Ingredienti • miscela di latte e panna freschi per la produzione del gelato • cioccolato fondente con minimo 58% di cacao Metodo di produzione • metodo discontinuo di produzione, che prevede quindi l’esclusione dell’utilizzo di freezer continuo • pastorizzazione e mantecazione in loco • stracciatura meccanica o manuale del cioccolato fuso La miscela composta da latte e panna fresca va pastorizzata e mantecata. Al termine della fase di mantecazione, si cola il cioccolato caldo fondente nella mantecata e manualmente o meccanicamente si “straccia” il cioccolato. Caratteristiche del prodotto • colore: la miscela deve essere bianca • sapore: fiordilatte o panna Esposizione La data di scadenza del gelato esposto nella vetrina è di 5 giorni. Controlli Il controllo sulla conformità al disciplinare di produzione è svolto da Ascom Bergamo.

Per informazioni e adesioni al marchio, le gelaterie possono contattare la segreteria dei Gelatieri Bergamaschi (Pietro Bresciani - tel. 035 4120135)

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tare la storia di questo gusto ai clienti e le identificherà come luoghi in cui si può gustare la ricetta autentica. Il gelato di Bergamo avrà spazio anche sui social media e vivrà, dopo il debutto al G7 dell’Agricoltura, il suo momento clou in una festa di primavera che debutterà l’anno prossimo, ma potrà anche ispirare – è stato anticipato - collaborazioni con aziende della moda, dell’arredo, del design. Il marchio Stracciatella, dunque, come elemento qualificante dell’offerta delle gelaterie artigianali e leva di marketing territoriale, con un valore in più dato dalla capacità di collaborazione. «La Stracciatella il gelato di Bergamo è un progetto 4.0 – è la definizione coniata dal direttore dell’Ascom Oscar Fusini - perché spinge nella logica di rete e di integrazione della filiera. Le nostre esperienze associative hanno sempre cercato aggregazioni di tipo orizzontale: commercianti che collaborano con altri commercianti. Già questo era faticoso, in un mondo che tradizionalmente creava divisioni e contrapposizioni. Ora il “progetto stracciatella” vede collaborare un grande nome, quello della Marianna, con gli altri gelatieri, ma cerca anche un’aggregazione verticale con le imprese della filiera del gelato. Imprese che valorizzando sé stesse possono dare una grande mano nel promuovere il brand Bergamo». Il cibo, del resto, è sempre più spesso ambasciatore di territori e fattore di attrazione turistica e il gelato, uno dei tre prodotti che insieme a pasta e pizza identificano l’Italia nel mondo, conquista facilmente grandi e piccoli, italiani e stranieri, con la sua semplice bontà.


CONVIVIUM: TRASFERTE GUSTOSE

23/10

CORSI DI FORMAZIONE ENOGASTRONOMICA

RISTORANTE CONTRASTE CHEF MATIAS PERDOMO E CHEF SIMON PRESS

29/11 RISTORANTE IL LUOGO DI AIMO E NADIA: TRA PRESENTE E PASSATO

CORSI DI EVOLUZIONE AZIENDALE E PERSONALE 15/3 RISTORANTE PICCOLO LAGO CHEF MARCO SACCO

18/4 Piazzetta Don Gandossi 1 Osio Sotto (Bg) - tel. 035.4185.706/707/715 fax 035.4185.712 - mail info@ascomformazione.it - web ascomformazione.it

RISTORANTE LIDO 84 CHEF RICCARDO CAMANINI


LIEVITATI 6/11 PIZZA E FOCACCIA PERFETTE

CUCINA PER PROFESSIONE

2/12 LA SCROCCHIARELLA A CURA DI TIZIANO CASILLO 15/1 IL PROFUMO DEL PANE FATTO IN CASA

23/10 LA CUCINA VEG+ 8/11

19/3 GLI IMPASTI GLUTEN FREE

LA CARNE SECONDO I FRATELLI DAMINI

SALA, BAR & WINE 25/10 LA GESTIONE ECONOMICA DI UN BAR 26/10 USI E CONSUMI DEI CLIENTI STRANIERI AL RISTORANTE

28/11 I CONTRASTI IN CUCINA

PASTICCERIA

11/12 AGGIORNAMENTO VEG+

28/11 REALIZZA UNA TORTA DA MAESTRO:

27/11 LA CAFFETTERIA: DALLA PREPARAZIONE DEL CAFFÈ ALLE DECORAZIONI 6/12

A CURA DI EUGENIO BOERI

9/1

LA MICROPASTICCERIA SALATA DI LUCA MONTERSINO

LABORATORIO PRATICO

10/1

IL TARTUFO IN CUCINA

17/1

3/12 A NATALE REGALA I TUOI BISCOTTI A CURA DI DIEGO MEI

LA SELVAGGINA

5/12 I DOLCI VEG

23/1

28/2

corso per persona formata

RESTAURANT START UP: GLI STEP PER APRIRE UN LOCALE E CREARE UN FORMAT LE VERDURE FERMENTATE: TECNICHE DI PREPARAZIONE E CONSERVAZIONE

11/12 LATTE ART ADVANCED: LE DECORAZIONI DEL CAPPUCCINO VORREI FARE L'ADDETTO SALA

29/1

I 10 TOP DRINK: LE RICETTE E IL LORO DRINK COST

20/2

LA GESTIONE ECONOMICA DI UN BAR

21/2

IL VINO TRA PRESENTE E PASSATO

5/3

LA MISCELAZIONE: DRINK E COCKTAIL AL BAR

19/3

16/4 DESSERT SFIZIOSI A KM 0

LA CAFFETTERIA: DALLA PREPARAZIONE DEL CAFFÈ ALLE DECORAZIONI

26/3

18/4 PREPARA LES ÉCLAIRS:

LATTE ART ADVANCED: LE DECORAZIONI DEL CAPPUCCINO

4/4

ACCOGLIENZA DI SALA

18/4

APE TIME: DRINK E FOOD GOURMET

21/5

NON IL SOLITO ANALCOLICO: LE NUOVE TENDENZE

LA MICROPASTICCERIA SALATA DI LUCA MONTERSINO

22/1 LE TORTE DA CREDENZA 6/2

IL BUFFET DEI DOLCI PER LE OCCASIONI SPECIALI CORSO BASE DI PASTICCERIA

LA CUCINA MEDITERRANEA MODERNA DI FABIO ABBATTISTA

6/3

2/5

BANQUETING E CATERING MANAGEMENT

26/3 UOVA DI CIOCCOLATO, CHE PASSIONE

7/5

LA CUCINA DELL’ALTOPIANO DI ALESSANDRO DAL DEGAN

22/5

IL SOTTOVUOTO COME TECNICA DI COTTURA A CURA DI FABRIZIO FERRARI IL DESSERT PER LA RISTORAZIONE DI EMANUELE SARACINO

STUZZICHINI AL BAR

24/1

9/1

11/4

23/5

13/11 LA MISCELAZIONE: DRINK E COCKTAIL AL BAR

LABORATORIO PRATICO

23/5 IL DESSERT PER LA RISTORAZIONE DI EMANUELE SARACINO

LE PROFESSIONI I VORREI FARE: il BARMAN

il PIZZAIOLO

il PASTICCIERE

il BARMAN

il GASTRONOMO

l’ADDETTO SALA

1° 25/10

1° 15/11

15/1

27/2

7/3

24/1

2° 20/2

2° 12/2 3° 21/5


SERATE WOW

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7/12

10/1

15/2

21/5

4/6

SFIDA IN CUCINA: LA MISTERY BOX

OSTRICHE E BOLLICINE: UNA SERATA FRIZZANTE

BIRRA, FISH AND CHIPS

SINGLE: INCONTRIAMOCI IN CUCINA

GIOCHIAMO A HELL’S KITCHEN

GIN E SUSHI

CUCINA PER PASSIONE

LABORATORI DEL SAPERE

24/10 MESSICO E NUVOLE 26/10 IMPARARE A CUCINARE 8/11

SPERIMENTARE IN CUCINA: LA VASO COTTURA

20/11 PASTA FRESCA RIPIENA 27/11 BACCALÀ… I LOVE YOU! 29/11 PANINI GOURMET

20/10 E-COMMERCE: ANALISI E SVILUPPO DEI CANALI DI VENDITA 23/10 L'INNOVAZIONE DEL COMMERCIO DAL CAROSELLO AL MARKETING EMOZIONALE

1/12

LE RICETTE DI CUCINA E DI VITA DI LUIGI POMATA E PAOLO PALUMBO

23/10 I SEGRETI PER VENDERE: LA VENDITA SUGGERITA

1/12

FINGER FOOD CREATIVI DI FRANCESCA MARSETTI

3/11

PUBLIC SPEAKING

6/11

VISUAL MERCHANDISING: CATTURA IL CLIENTE CON LA VETRINA

2/12

LA CUCINA SANA DI MARCO BIANCHI

2/12

"SOUL GREEN", L'ANIMA VERDE CHE CI PIACE DI MIRKO RONZONI

3/12

LE RICETTE DELLA PROVA DEL CUOCO DI FRANCESCA MARSETTI

3/12

PIATTI DA CHEF PER STUPIRE CON MANUEL POLI

17/1

LE CARNI CLASSICHE: LE COTTURE DELLA TRADIZIONE

29/01 IL PIATTO UNICO: UNA SOLUZIONE VELOCE ED EQUILIBRATA

17/11 TEAM MANAGEMENT: GESTISCI IL TUO TEMPO 29/11 UNDER PRESSURE: COME GESTIRE LO STRESS 10/1

TECNICHE DI MEMORIA VELOCE E LETTURA RAPIDA

15/1

SCOMMETTI CHE NON TI TRADIRÀ MAI PIÙ?

5/2

GESTIRE TRATTATIVE COMMERCIALI ALL’ESTERO: USI E COSTUMI DEI CLIENTI STRANIERI

11/4

DI FRONTE A TE! COMUNICAZIONE INTERPERSONALE E FRONT - OFFICE

5/2

EMULSIONI E SALSE IN CUCINA

12/2

LA CUCINA DI COPPIA: ASPETTANDO SAN VALENTINO

19/2

IMPARARE A CUCINARE

20/2

NUOVE IDEE PER I RISOTTI

22/2

IMPARARE A CUCINARE

21/3

IL MENÙ DI PASQUA

10/4

LA CUCINA FUSION: ABBINAMENTI SORPRENDENTI

20/4

IL CONSUMATORE E LE DECISIONI

7/5

IL MARE IN TAVOLA: LABORATORIO PRATICO CREATIVO

8/5

8/6

LA CUCINA PER ESPERTI GOURMET

L'ORGANIZZAZIONE DELLA FORZA VENDITE: IL PLANNING VISITE

14/5

I MUST DELLA CUCINA REGIONALE

12/6

16/5

QUANDO IL BBQ SI FA CHIC!

ORGANIZZARE EVENTI PER ATTRARRE CLIENTI E VENDERE DI PIÙ

11/6

GOURMET EVOLUTION: CUCINA CON LE STELLE

13/6

NON TI SOPPORTO PIÙ: LA GESTIONE DEI CONFLITTI


informatica & web marketing

9/11

30/11 STRATEGIE DIGITALI PER LE ATTIVITÀ COMMERCIALI

ENGLISH CONVERSATION PRATICA IL TUO INGLESE

8/1

IL GIAPPONESE: CORSO BASE

6/2

LE BASI DEL PACCHETTO OFFICE

6/2

5/3

AUMENTA LA VISIBILITÀ DEL TUO SITO CON SEO

L'E-COMMERCE IN INGLESE: TRATTATIVE COMMERCIALI TRAMITE PORTALI

24/4

REALIZZARE CLIP VIDEO

9/4

8/5

ESPERTO PACCHETTO OFFICE

IL VOCABOLARIO MINIMO PER ACCOGLIERE IL CLIENTE IN INGLESE

16/5

SOCIAL MEDIA STRATEGY: CONOSCERE E UTILIZZARE I SOCIAL PER UN BUSINESS DI SUCCESSO

3/5

IL RUSSO CORSO BASE

CORSO INFORMATICA DI BASE

28/02

7/05

27/10 L’ARTE DELLE PERSUASIONE: STRATEGIE DI VENDITA 19/01 ANTIRICICLAGGIO: SICURI DI SAPERE TUTTO?

CORSO DI IMPROVVISAZIONE TEATRALE PER VINCERE LA TIMIDEZZA 17/10

pubblici esercizi 29/1

TROVA IL TUO STILE PERSONALE CON CARLA GOZZI: CONSULENZA PERSONALIZZATA 20/11

WELCOME STYLE DI PAOLA MARELLA 3/2

LA CREATIVITÀ È SEMPRE VERDE CON SIMONETTA CHIARUGI 10/3

COMPLIMENTI PER LA DIZIONE 8/5

22/05 29/05

COOKING CHEF COMPETITION

TEAM SPIRIT DI NATALE

RESTAURANT STARTUP: GLI STEP PER APRIRE UN LOCALE

20/2

LA GESTIONE ECONOMICA DI UN BAR

2/5

BANQUETING E CATERING MANAGEMENT

asili nidi

21/10 LA PEDAGOGIA DEL FUORI

COSTRUIAMO LA NOSTRA VISIONE - LEGO® “SERIOUS PLAY”® WINE TEAM BUILDING

agenti immobiliari

VINCI LE TUE PAURE CON IL TEATRO:

11/04 2/05

FORMAZIONE MANAGERIALE PER

LABORATORI DEL SAPERE

GLI IMPERDIBILI PER IL TEMPO LIBERO

7/11

lingue straniere

MISTERY SHOPPING

7/11

GESTIRE L'AGGRESSIVITÀ E I CONFLITTI DEI BAMBINI AL NIDO

22/3

GIOCO E ASCOLTO: PROPOSTE DI GIOCO PSICOMOTORIO

5/6

LEGGERE LE FATICHE DEI BAMBINI

auto salonisti 30/10 VENDITA CONVINCENTE E INTELLIGENZA EMOTIVA


LA STORIA

ottobre 2017

di Rosanna Scardi

Originaria di Sarnico, Marion Pessina cura l’ufficio stampa di Gabbani, Tiromancino, Fergie dei Black Eyed Peas e tanti altri. È anche un’esperta cake designer e talvolta le due passioni si incrociano, come nei biscotti Occidentali’s Karma

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Musica e dolci da sogno, il doppio talento di Marion orte e biscotti scolpiti come opere d’arte modellate con la glassa, perfette per celebrare ogni ricorrenza o festa e rendere magici i momenti speciali della vita. L’esperta del cake design è Marion Pessina, 42 anni, originaria di Sarnico, un nome noto nella discografia nazionale e non solo, dal momento che gestisce insieme al socio e marito Andrea Vittori la Ma9 promotion, ufficio stampa per Francesco Gabbani, Tiromancino, Giorgio Conte, Chris Rea, Morrissey, Fergie dei Black Eyed Peas e Sananda Maitreya, conosciuto in passato come Terence Trent d’Arby. Ma la lista è lunga, proprio come quella delle sue dolcissime creazioni in vetrina sul suo blog “Le torte di Marion”: per Halloween le si possono commissionare camposanti, mani mozzate, teschi, scheletri, fantasmini e bulbi oculari, a Natale panettoni a forma di igloo con tanto di pinguini, paesaggi polari e pupazzi di neve, per San Valentino romantici biscottini a forma di bocca e cuoricini. Il suo estro non ha, però, limiti quando si tratta di mettere in forno i cookies: teiere, culle e biberon, nuvolette e perfino spicchi di pizza in formato mignon. «Fin da piccola avevo due passioni, stare in cucina e la musica - conferma Marion -. Non mi piaceva tanto la pasticceria classica francese e italiana, preferivo quella anglosassone, dove puoi inventare, realizzare desideri, forgiare qualcosa di unico con le decorazioni, divertendoti». Il primo dei due sogni l’ha realizzato nel 2004 fondando il suo ufficio stampa, dopo essersi laureata in Scienze della comunicazione, aver seguito un master in discografia e l’esperienza di uno stage in un’etichetta. «Siamo partiti dal nulla, seguendo i gruppi indipendenti come i Baustelle e poi gli

Marion Pessina, festeggiando il disco d’oro con Francesco Gabbani e Andrea Vittori Afterhours, io mi occupo della promozione attraverso stampa, web e tv, mentre Andrea delle radio, il passaparola ci ha premiati», racconta. Tre anni dopo è partita alla volta dell’Inghilterra per seguire un corso dedicato allo zucchero nel Surrey, a 50 chilometri da Londra. «Compravo tutto ciò che mi serviva e da noi non esisteva, ancora quando non c’era il boom del cake design mi informavo sui siti anglosassoni e, se non trovavo, creavo io con le mani, senza aiutanti, né aver mai frequentato una scuola d’arte - precisa -. Ho scoperto che lavorare tortine e fiori di zucchero mi rilassava». Succede, a volte, che le due passioni si intreccino, come quando Marion ha realizzato la torta di compleanno per Gabbani e i biscottini con le lettere componendo la scritta “Occidentali’s Karma” per celebrarne la vittoria a Sanremo o ha realizzato una torta per Jacob Whitesides, l’idolo delle teeenager riproposto in pasta di zucchero per la gioia delle fan urlanti che l’hanno poi gustata con lui. «Ci vuole solo tempo e pazienza, è come modellare il pongo, niente è impossibile», è l’opinione dell’esperta dalle mani d’oro, che spesso tiene dimostrazioni nelle pasticcerie. Ma qual è la prossima idea? «Preparo degli irresistibili biscottini vegani, vorrei deliziare Morrissey». Il cantante degli Smiths, autore dell’album e della canzone-inno “Meat is murder”, non potrà che apprezzare.

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Selvaggina verso una filiera tracciata. Il progetto parte da Bergamo e arriva anche in tavola

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l territorio bergamasco fa da apripista a livello nazionale per la creazione di una filiera tracciata della carne di selvaggina. Il progetto si chiama Selvatici e Buoni, è curato dall’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e raccoglie l’adesione di numerose realtà del territorio. «Nasce dall’esigenza di trasformare un problema in una risorsa – ha spiegato Silvio Barbero, vicepresidente dell’Università di Pollenzo –. Il percorso di valorizzazione della filiera parte dai cacciatori e dalla loro formazione, mirata a trasformarli in produttori di cibo con tutte le conoscenze necessarie e relative responsabilità, prosegue con i ma-

cellai e infine con i ristoratori. Mettendo insieme questi saperi diversi si potrà creare un modello in grado di certificare provenienza e qualità delle carni». La “bontà” dell’iniziativa potrà essere testata nel mese di novembre con “Selvatici e buoni a tavola...”, quattro cene in altrettanti ristoranti, ugnuna con un menù dedicato ad una carne diversa accompagnato dai vini del Consorzio Valcalepio. Si comincia mercoledì 8 all’Osteria Al Gigianca di Bergamo con il cervo, per proseguire il 15 alla Trattoria gastronomica Selva di Gelso di Clusone con il daino, il 22 al ristorante Bellavista di Riva di Solto con protagonista il cinghiale

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l melone retato di Calvenzano è diventato il 283esimo Presidio Slow Food. L’ufficializzazione è avvenuta a fine settembre al termine di un percorso di otto anni che ha portato alla stesura del disciplinare di produzione. Prende perciò nuovamente slancio la varietà locale - studiata e censita nella banca del germoplasma per la tutela della biodiversità dell’Università di Valencia - che la storica Cooperativa agricola di Calvenzano ha salvato dall’oblio reintroducendo la coltivazione nei primi anni Duemila.

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solo su prEno e chiudere il 30 novembre al ristorante Peccati di Gola di Vilminore di Scalve con il camoscio. Il costo è www.selvaticiebuoni.org - info@se di 35 euro per persona (solo su prenotazione, contattando i ristoranti). Oltre a promuovere il coinvolgimento dei ristoratori, l’Ascom di Bergamo partecipa al progetto di filiera con un corso per “persona formata” sugli aspetti normativi, sanitari e di promozione delle carni di selvaggina. Della durata di 16 ore, è in programma il 17, 24 e 31 gennaio e il 5 febbraio all’Accademia del Gusto di Osio Sotto.

Melone di Calvenzano, il Presidio Slow Food ne rilancia le ambizioni

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Buccia retata, omogenea e molto fitta, forma ovoidale, ha un peso che va da 2 a 6 chili, una polpa consistente e molto profumata. La stazza imponente e la minore dolcezza rispetto agli ibridi di nuova generazione lo rendono ideale per la trasformazione e la ristorazione piuttosto che per il consumo fresco e la produzione di liquori, confetture e senapate è già stata realizzata con successo. Il Presidio è sostenuto dalla Condotta Slow Food Bassa Bergamasca e vuole essere un nuovo stimolo per la produzione, scesa ai minimi negli ultimi anni, offrendo maggiori possibilità di promozione e distribuzione (c’è già l’interesse di Eataly). Intanto sono tre le aziende che hanno scelto di coltivarlo, la Cooperativa agricola Castel Cerreto e Il Platano di Treviglio e Ridibio di Calvenzano. La Cooperativa agricola di Calvenzano si occupa della riproduzione della semente e coordina le attività di trasformazione. Chissà se potrà tornare ai fasti internazionali di un tempo? Nella Belle Epoque, dicono i registri della Cooperativa, i meloni, infatti, partivano da Calvenzano per i migliori ristoranti di Parigi e negli anni Trenta ne sono stati consegnati anche alla residenza estiva dei reali d’Inghilterra.

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IL PRODOTTO di Laura Bernardi Locatelli

Mentre Bergamo celebra, con l’evento Forme, il suo primato per numero di Dop e biodiversità casearia, siamo andati a vedere che ruolo hanno il Taleggio e i suoi fratelli in carta. Le selezioni del territorio sono la risposta alla difficoltà di gestire assortimenti ampi, mancanza di personale preparato in sala e, non ultime, le nuove scelte alimentari

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Curcuma e zenzero hanno avuto un’esplosione negli ultimi anni ma sono cresciute anche le richieste di curry e cardamomo, dicono le aziende bergamasche che vendono all’ingrosso e al dettaglio. Così si amplia la gamma dei sapori in tavola

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on possono mancare in cucina per insaporire ricette, dare un tocco di colore ai piatti e amplificarne il gusto. Le spezie riscaldano l’autunno, dall’anice delle fave dei morti allo zafferano che si coglie fino a novembre, e preparano all’inverno del vin brulé e dei brasati. Il consumo e l’interesse per il loro uso è in crescita nella nostra provincia come nel resto d’Italia, dalla ristorazione alla cucina casalinga, complici la maggiore apertura verso i sapori di altri Paesi e, in alcuni casi come per il boom di zenzero e curcuma, l’attenzione alle loro proprietà benefiche. «Le vendite sono in leggero aumento - commenta Enrico Tadolti, direttore commerciale dell’azienda Shapur, terza realtà italiana del comparto con quartiere generale a Treviglio -. Curcuma e zenzero hanno avuto un’esplosione negli ultimi anni, mentre le classiche spezie, dal peperoncino al pepe, si sono mantenute costanti». La Shapur - ditta che porta il nome del re sasanide di Persia “Sapore” e della città iraniana da lui fondata - importa direttamente, soprattutto da Africa e Asia, spezie e aromi che lavora e confeziona per la grande distribuzione organizzata (dai discount ai supermercati) e per le aziende di catering. Negli ultimi anni il mercato della storica

Lo chef

Ezio Gritti: «Cardamomo nel r per dare un gusto in più alla

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e spezie non hanno segreti per Ezio Gritti, che porta con sé sempre il ricordo dei profumi, sapori e colori dei mercati di Hong Kong, Singapore, Mauritius e che ha vissuto e lavorato per anni a Bali, in Indonesia, dove oltre che in cucina i preziosi ingredienti fanno parte da secoli della medicina popolare. «Nel mio “Solata Restaurant” a Seminyak stecche giganti di cannella arredavano la sala, sprigionando l’inconfondibile, naturale aroma», ricorda Gritti. Nel ristorante che porta il suo nome e che dà nuovo slancio da un anno a questa parte al Sentierone, lo chef bergamasco impiega ogni giorno in cucina spezie provenienti da ogni angolo del mondo, che aromatizzano con leggerezza piatti della tradizione o ricette innovative. Nella terrazza che domina la città e accarezza Città Alta, non manca un bel cespu-


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azienda bergamasca - nata nel 1967 dalla passione per aromi e spezie di Gianfranco Fiorentini, ex rappresentante dell’industria di dadi - è trainato anche dal boom di aperture di negozi etnici: «Registriamo un incremento della fornitura di cardamomo, coriandolo, cumino e di mix di spezie come il Garam Masala, da sempre parte della tradizione indiana e pakistana - continua Tadolti -. È l’effetto della continua espansione dei market stranieri, in particolare al nord». Anche le aziende del catering sono sempre più attente all’uso delle spezie, impiegate maggiormente nella ristorazione collettiva: «Crescono le richieste di zafferano in pistilli e ricette della tradizione vengono reinterpretate con spezie come la curcuma spiegano dalla Shapur -. Aumenta costantemente la richiesta di curry». Il trend positivo è confermato nella vendita al dettaglio, dalla storica insegna Mologni, dal 1921 punto di riferimento cittadino, affacciato su piazza Sant’Anna, per acquistare spezie sfuse provenienti da tutto il mondo. «La vendita di curcuma è cresciuta in modo esponenziale, fino a 15 volte gli anni passati - commenta Norberto Mologni, confrontandosi con Carlo Pizzaballa, addetto alle vendite da oltre trent’anni -. Sono in aumento anche le richieste di cardamomo, zenzero, curry e cumino. Si riscopre l’anice, impiegato come essenza per preparare le classiche fave dei morti». Si mantengono costanti i consumi di altre spezie: «Il coriandolo è sempre usato per insaporire i salumi, come il pepe franto e il pepe garofanato. Macis (la parte esterna della noce moscata), ginepro, senape e il pepe in tutte le varianti, da quello lungo indiano a quello verde in salamoia, completano l’assorti-

mento». Oltre alle spezie, fino agli anni Settanta importate e lavorate direttamente dal fondatore Calisto Mologni, qui si trovano ancora oli ed essenze ricavate dalle droghe stesse, impiegate dalle aziende alimentari, come l’olio di senape e quello di vaniglia, e l’olio di chiodi di garofano, utilizzato per preparazioni farmaceutiche. La “spezia Mologni”, ricetta segreta del fondatore, ha contribuito alla fortuna e alla fama del negozio: «Ho affidato anni fa a Trieste Carlo Pizzaballa e Norberto Mologni la ricetta di mio padre al dottor Bauer dell’omonima ditta friulana che da quarant’anni ci fornisce le spezie - continua Mologni -. Il nostro blend si è sempre venduto moltissimo ai norcini e alle aziende specializzate nella lavorazione di salumi. Negli ultimi anni però si è persa la tradizione di preparare salumi in casa (anche per le restrittive norme sanitarie) e le vendite sono calate. Ma c’è sempre chi non rinuncia al tocco di sapore che la nostra miscela regala, in particolare alle carni».

ragù e liquirizia coi legumi, tradizione»

glio di liquirizia, riserva personale dello chef. Lo studio e le sperimentazioni in cucina di Gritti portate avanti da anni hanno anticipato quella che oggi è

una tendenza, con un’apertura sempre più diffusa a sapori dell’altro mondo: «La tradizione italiana è stata circoscritta ad un numero limitato di spezie: pepe, chiodi di garofano, cannella, noce moscata e peperoncino - spiega -. Oggi difficilmente in cucina si utilizza un solo tipo di pepe e la dispensa si arricchisce di nuovi sapori, dalla curcuma allo zenzero, dal cardamomo al cumino». Sono ingredienti che possono però rivelarsi prevaricatori e dittatori in cucina, fino a compromettere irrimediabilmente l’equilibrio – non solo

di sapore ma anche cromatico - di ogni piatto: «Non esiste il famoso “qb- quanto basta” nelle spezie sottolinea -. Il rischio è di rovinare la ricetta, oltre che di sprecare ingredienti preziosi. Vanno ben calibrate e dosate anche a livello cromatico. E soprattutto vanno utilizzate in modo corretto: anice stellato e fava di tonka vanno impiegate solo in cottura. Altre spezie sprigionano invece il meglio di sé in infusione e per arricchire marinate, dalle più nostrane come ginepro e chiodi di garofano, al cardamomo».

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IL PRODOTTO

Ezio Gritti

Il consiglio è quello di non utilizzare mai spezie macinate e diffidare dai mix già pronti: «Ognuno di noi può creare, a seconda di ogni preparazione, una miscela unica, ma il vero osta-

colo è riuscire a rendere distinguibili in ogni blend le singole spezie». Un buon punto di partenza – raccomanda - è quello di usare pistilli di zafferano e vaniglia in stecche «che nulla ha a che fare con un’essenza artificiale come la vanillina». Le spezie, purché opportunamente dosate, danno sempre una marcia in più ad ogni ricetta, non solo amplificando il gusto ma anche garantendo una maggiore digeribilità delle pietanze. «L’impiego più interessante delle spezie per me è oggi rappresentato da infusioni e abbinamenti ricercati - svela -. Mi piace aromatizzare succhi gourmet bio Kohl ed affiancarli a piatti di portata. Così la scaloppa di foie-gras viene servita da mele flambate al Calvados e accompagnata da un infuso di mela e cardamomo». I piatti della tradizione acquisiscono un gusto particolare con l’impiego di spezie e rizomi. «Il ragù guadagna in gusto e digeribilità con l’aggiunta di cardamomo. Prodotti della terra come i legumi si sposano alla perfezione con la liquirizia nella pasta e fagioli, così il foiolo». Allenando il gusto e

sperimentando in cucina, la stessa spezia può dare risultati differenti, a seconda della zona di origine: «Uso vaniglia in stecche dalla Papuasia per la creme brulèe, da Panama e Colombia per infusioni e sorbetti e da Mauritius, Guatemala e Sri Lanka per altre ricette. Ho diverse varietà di pepe in cucina e amo particolarmente quello lungo indonesiano». Ma quando può lo chef sposa il territorio: «Più che il km zero sposo la filosofia del “km buono” e il nostro zafferano della Val Brembana è davvero ottimo».

i produttori

Lo zafferano nostrano guadagna terreno

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o zafferano, originario dell’Asia Minore e introdotto in Italia, in Abruzzo, nel XIV secolo da un monaco del Tribunale dell’Inquisizione, è da anni diventato familiare anche per il nostro territorio, dove in questi giorni si colgono nei campi punteggiati di viola i preziosi stimmi dei crocus. In provincia di Bergamo (dato Coldiretti) la superficie coltivata a zafferano è di circa 21mila metri quadri. In Val Brembana con il progetto dalla dicitura toponomastica “Oltre la Goggia”- Olg, che identifica la roccia tra Camerata Cornello e Lenna, sono stati recuperati terreni abbandonati da anni. «Grazie all’impegno di venti soci quest’anno contiamo di avere una produzione di 300 grammi di zafferano - spiega il presidente Danilo Salvini -. Il prodotto è un’eccellenza che sta ormai caratterizzando la valle e che recupera anche la nostra storia, visto che l’uso della spezia per insaporire forme di Branzi e Bitto è attestata dal 1700». La coltivazione di zafferano tenta anche la Bassa, dove è avviata la coltura sperimentale. «Ho optato per la coltivazione in serra chiusa, destinando 500 metri quadri ai crocus, che stanno dando un ottimo prodotto - spiega Sandro Maffi, agricoltore di Barbata -. L’obiettivo è di piantare 30mila bulbi per diversificare l’attività agricola, specializzata nella coltivazione di mais e erba medica». Oltre allo zafferano in pistilli, l’azienda agricola Villa Serica di Caprino Bergamasco commercializza anche i fiori edibili del crocus, che hanno conquistato a tal punto lo chef Carlo Cracco da farglieli acquistare in blocco.

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TRADIZIONI di Leonardo Bloch

Quando la pasta si condiva con la cannella Solo nel XVI secolo compaiono i primi sughi senza, per altro, grande successo. Per insaporire le minestre asciutte si preferivano formaggio, zucchero e spezie “dolci”. Nei casoncelli serviti a Ghisalba la memoria di quest’uso

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più eruditi cultori del casoncello hanno forse contezza della prassi, invalsa nel borgo colleonesco di Ghisalba, di cospargere la leggendaria vivanda, prima che venga recata in tavola, con una generosa spolverata di cannella. Quella che parrebbe una singolare eccentricità - oggi la spezia trova infatti quasi esclusivo utilizzo in pasticceria - è in realtà retaggio di usi risalenti a parecchi secoli fa. Per seguirne le tracce è d’uopo ripercorrere per sommi capi la storia dei condimenti che, a partire dal cuore del basso medioevo, si sono succeduti a complemento delle paste fresche, secche e ripiene. È assodato che per oltre mezzo millennio - dall’inizio del XIV secolo alla fine del XVIII - il più diffuso modo di accomodare le minestre asciutte corrispondesse a quella che oggi sarebbe bollata quale una poco invitante presentazione “in bianco”. Almeno sino al tardo cinquecento, le varianti alla proverbiale grattata di cacio sui maccheroni censite in letteratura gastronomica si contano invero sulle dita di una mano. I testi trecenteschi si limitavano a prevedere, per le elaborazioni più opulente, l’aggiunta al formaggio di zucchero, “spezie dolci” (cannella, zenzero e chiodi di garofano) o noci in granella. L’utilizzo del burro quale base grassa per l’intingolo iniziò a prendere piede solo nel rinascimento, su impulso di Martino da Como. E fu l’immortale Bartolomeo Scappi, verso la fine del XVI secolo, a codificare i primi sughi d’accompagnamento meritevoli di tale qualifica. Per condire i suoi maccaroni per il giorno quadragesimale, il cuoco secreto del pontefice Pio V proponeva difatti un’agliata “fatta di noci peste, spigoli d’aglio, pepe & polpa di pane ammogliato

nell’acqua calda”, o ancora una salza verde preparata con un battuto di erbe aromatiche, mollica di pane e mandorle ravvivata da una punta d’aceto. La haute cuisine dell’epoca parve nondimeno accogliere con generale freddezza l’innovazione introdotta da Scappi. L’utilizzo di ingredienti alternativi al cacio, alle spezie ed all’onnipresente zucchero rimase per lungo tempo confinato all’aromatizzazione del solo liquido di cottura. Piuttosto che dedicarsi all’ideazione di nuove modalità di elaborazione che conferissero autonoma dignità alla vivanda, i cucinieri dell’era moderna si intestardirono a considerare la pasta alla stregua di un semplice contorno. Dall’inizio del cinquecento sino alla fine del seicento imperò infatti la moda, di chiara cifra ispanica, di servire tagliatelle, pappardelle ed addirittura ravioli in abbinamento ancillare ad arrosti e bolliti di volatili e selvaggina. Persino la cucina del volgo per lungo tempo mostrò riluttanza a discostarsi dall’archetipo dei maccheroni con il cacio. Ancora alla fine del settecento Wolfgang Goethe, nei diari del suo celebre viaggio in Italia, riferiva che a Napoli - già al tempo indiscussa capitale della cultura pastaria Italiana - il popolino usasse condire le minestre asciutte con soli caciocavallo grattugiato e grasso fuso di maiale. I tempi della pummarola erano ancora di là da venire. E la cannella con cui si cospargono i casoncelli di Ghisalba? Nel cinquecento v’è evidenza che venisse utilizzata a piene mani proprio per spolverizzare i ravioli. Lo scalco estense Cristoforo Messisbugo, nella ricetta dei suoi tortelletti grassi, prescrive ad esempio che se ne utilizzi addirittura una libbra dell’epoca (più o meno 340 grammi) per velare circa tre chilogrammi di pasta ripiena. Parimenti l’Opera del solito Bartolomeo Scappi pullula di rauioli accomodati con larghe dosi di zucchero e cannella. La prassi consolidata a Ghisalba affonda dunque le proprie radici nell’era in cui il borgo apparteneva al feudo di Bartolomeo Colleoni. A riprova - se mai ve ne fosse ulteriore necessità - che la tradizione gastronomica bergamasca riesce a serbare quanto poche altre puntuale memoria del passato remoto.

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L’osservatorio

Servizio a cura dell’Accademia del Gusto e di gp.studios

Locali, l’importanza di essere trendy Seguire le mode fa bene o no agli affari? Scopritelo con noi

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estate è appena finita e già si inizia a parlare delle tendenze della ristorazione nel 2018. Ma vale veramente la pena investire nel monitoraggio dei trend del momento? Non c’è dubbio, sì. Perché nulla è per sempre, specialmente il vostro ristorante se non guarda cosa succede fuori dalla porta. Le mode, in quanto tali, sono passeggere e possono dare una grossa mano ad aumentare l’appeal del locale. Inglobare un trend nella propria offerta significa dare costantemente al cliente fidelizzato un buon motivo per tornare ma anche attirare nuovi consumatori desiderosi di sperimentare qualcosa di cui si parla tanto. Dunque, seguire un trend è conveniente sia dal punto di vista del marketing sia dal punto di vista economico. Cavalcare l’onda richiede uno sforzo piuttosto contenuto a fronte di un notevole aumento, seppur momentaneo, del fatturato. Facciamo un esempio: ora va di moda utilizzare la ciotola per servire le pietanze. Se piace questo trend, saranno sufficienti due mosse: comprare

l’attrezzatura (per un ristorante di dimensione media sono sufficienti 20-30 ciotole) e rivedere l’impiattamento in virtù dell’utilizzo del nuovo contenitore. E si può stare tranquilli, una volta esaurita la novità, il trend non avrà pesanti ripercussioni sul locale. L’impronta è davvero minima: nell’esempio di prima, ci si ritroverà con qualche ciotola in più. E che sarà mai? Potrà sempre essere utilizzata per servire le insalate, ad esempio. Quali sono dunque i trend che stanno spopolando nel mercato ristorativo e che caratterizzeranno il 2018?

Format ibridi Il settore sta evolvendo a grande velocità, sul mercato c’è ampio spazio, anche grazie alla crescente importanza del food come elemento conviviale. E se ogni momento è buono per fare ristorazione, gli imprenditori ci si buttano a capofitto. Le macellerie di sera si trasformano in bracerie e davanti alle pescherie spuntano tavolini in cui gustare un prodotto freschissimo.

Jappo C’era una volta chi considerava la cucina etnica una moda di passaggio. Speriamo che si siano ricreduti! Sushi e ramen sono due tra i trend più duraturi di sempre e si prevede che resisteranno ancora. Inutile dire che la capitale italiana della cucina di origine giapponese è (e rimarrà) Milano.

Nuovi cocktail Se il 2017 è stato l’anno dei cocktail, il 2018 sarà l’anno degli Amari. E non solo. Il trend dei cocktail evolverà in due modi: il primo è che nelle nuove ricette verranno appunto utilizzati gli amari. In secondo luogo sarà sempre più frequente la rivisitazione di cocktail in forma analcolica. I mocktail faranno furore soprattutto all’inizio dei pasti o in occasioni specifiche, ad esempio al momento del brunch.

Freak shake Vere e proprie bombe caloriche, contro ogni intento salutista. D’altronde si sa, ogni tanto è meglio


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cedere alle tentazioni. Quando la voglia diventa irresistibile, vengono in aiuto questi frappè particolarmente golosi, arricchiti con Nutella, biscotti, panna, creme o addirittura caramelle gommose.

Bistrot Negli ultimi anni sono stati sempre di più gli chef stellati e famosi che hanno deciso di investire nell’apertura di un bistrot. Lo ha fatto pochi mesi fa anche Antonio Cannavacciuolo a Torino, investendo 100.000 euro solo per l’isolamento acustico delle tre sale del locale…

Spazi in hotel Aumenteranno le aree comuni dell’albergo messe “a frutto”. Bar e ristoranti d’albergo non saranno più percepiti come aree di servizio della struttura ma valorizzati come veri e propri centri di ricavo, in particolare con i rooftop bar, veri e propri eden, spesso esclusivi, con una serie di servizi privati, luci soffuse, vista panoramica sulla città, piatti gourmet, ottimi drink e la migliore musica dei dj set live. Un importante aprifila nazionale del trend è l’Hotel Meliá Milano, la cui terrazza rimane aperta tutto l’anno, grazie a una struttura in vetro che mostra il panorama in tutta la sua bellezza in ogni stagione.

A chi vuole saperne di più sulle tendenze del fuori casa ed è interessato ad aggiornare il proprio locale, l’Accademia del Gusto di Osio Sotto offre un servizio di consulenza personalizzato in collaborazione con Gp.studios. info@ascomformazione.it tel. 035 4185706-707

TOP E FLOP

Trend passati che ancora funzionano e mode bruciate in fretta Carte cocktail - Il bartender (c’è chi addirittura lo chiama “liquid chef”) è il nuovo protagonista assoluto dell’Era Cocktail. Originalità, ricercatezza e stagionalità delle ricette sono le parole d’ordine per il successo della carta dei cocktail. Si tratta di un’esperienza gustativa, la vendita può fare leva sul campo percettivo e godere di più ampi margini rispetto alle semplici consumazioni. Fiori edibili - Li si può mangiare con la bocca ma prima ancora con gli occhi, quindi il loro contributo in cucina vale doppio. L’utilizzo è ormai consolidato e sembra destinato a una crescita sempre maggiore. In Italia i ristoranti, a partire da quelli di lusso, inseriscono il flower tasting nel loro menù e di pari passo aumentano le realtà dedicate alla coltivazione di queste piante commestibili. Fenomeno Gin - L’incredibile fermento attorno a questo prodotto porta ad un’inevitabile domanda: che ne sarà del gin in futuro? Nel 2017 in molti hanno ritenuto si trattasse solo di una moda passeggera, ma gli oltre 6.000 brand di gin sul mercato dicono altro. In Italia siamo passati da una produzione quasi inesistente a diverse decine di distillati: è cambiato proprio il modo di pensare al gin, anche grazie alla sua versatilità che lo rende la base ideale per numerosi cocktail. Carne a lunga frollatura - Novanta giorni, 120 giorni, 5 mesi. La durata del processo cambia a seconda dell’animale, della razza e del taglio. Ma qual è il risultato di questa lunga attesa? La carne dell’animale appena macellato in genere è tenace e poco saporita. In adeguate condizioni di temperatura e umidità, la frollatura permette alla carne di acquisire tenerezza e sapore. Che dire: non è forse vero che l’attesa del piacere è essa stessa il piacere? Gourmet - La pizza è gourmet. L’hamburger è gourmet. Non si parla d’altro in Italia da un po’ di tempo e il termine inizia ad apparire ovunque. Ma siamo sicuri che questa cucina raffinata sia eccellenza vera e solo un’aspirazione? Purtroppo si fa fatica a distinguere oggi chi utilizza il termine gourmet con cognizione di causa e chi lo usa per attirare clienti. Piatti “scomposti” - Il consumatore perennemente di corsa e anche un po’ pigro forse questa cosa del piatto “scomposto” non l’hai mai capita. Vivisezionare una ricetta può essere l’esperienza di una volta sola. Subito dopo ci sorge un dubbio: cosa sta a fare lo chef in cucina se gli ingredienti li devo mettere insieme io? Mah… Ardesia – Se per i minipallet forse ancora chiudiamo un occhio, i vassoi in ardesia non li perdoniamo più. Eleganti sì, ma con il cibo che cade da tutte le parti, per non parlare del fatto che l’ardesia è un materiale estremamente sensibile. Cosa abbiamo fatto di male per meritarci anche un lavaggio a mano? Hamburgerie - In passato in una città come Milano le nuove aperture sono state circa 40 all’anno, ma nel 2017 sono precipitate ad appena 5. Gli hamburger (gourmet, ovviamente) hanno stancato. D’altronde il ciclo crescita-boom-newcomers, seguito dal meccanismo di riequilibrio tra domanda e offerta, non è una novità.

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appuntamenti DAL 20 OTTOBRE AL 26 NOVEMBRE

“Sapori Seriani e Scalvini” da scoprire in dieci ristoranti

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er la promozione del territorio e delle attività economiche, la Valle Seriana punta con decisione sui prodotti tipici. Dal 20 ottobre al 26 novembre lo fa con la rassegna gastronomica “Sapori Seriani e Scalvini” che propone in dieci tra ristoranti, trattorie, osterie, rifugi e agriturismi menù con prodotti locali ispirati alla tradizione e alla stagione autunnale. L’iniziativa vuole sottolineare il titolo di Regione Europea della Gastronomia assegnato alla Lombardia Orientale e fare assaggiare le specialità di questo angolo del territorio e le capacità degli chef. Tutti i menù della rassegna comprendono antipasto, primo, secondo, dolce, acqua, caffè e coperto. Sono esclusi i vini. I prezzi vanno da 25 a 30 euro. Tra le proposte, salumi e formaggi tipici, casoncelli e scarpinòcc, le polente e le ricette con i mais Spinato di Gandino e Rostrato rosso di Rovetta, i funghi, le erbe, le giardiniere, i capù, le castagne e pure nuove creazioni come i camisocc, tra

le paste ripiene, e i moroncelli tra i dolci. È possibile degustare i menù per tutta la durata della rassegna (consigliata la prenotazione). In ogni ristorante, inoltre, si terrà una serata interamente dedicata alla presentazione delle proposte secondo questo calendario: albergo ristorante Morandi – Valbondione (20 ottobre); Moro ristorante pizzeria – Parre (23 ottobre); ristorante Al Portichetto – Gandino (27 ottobre); Della Torre ristorante & enoteca – Clusone (3 novembre); trattoria Moro Da Gigi – Albino (7 novembre); ristorante Il Melograno – Valbondione (11 novembre); ristorante Centrale – Gandino (14 novembre); ristorante pizzeria polenteria Edelweiss – Castione della Presolana (17 novembre); ristorante Vecchio Mulino – Rovetta (23 novembre); ristorante pizzeria Il Giardino – Selvino (25 novembre). Info: tel 035 704063 - sapori@valseriana.eu

ZOGNO

DALL’11 AL 13 NOVEMBRE

A Sapori&Cultura debutta “La Via delle castagne”

Le buone botteghe d’Italia sul podio di Golosaria

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onferme e novità per la nona edizione della rassegna culturale-gastronomica Sapori&Cultura promossa dal comune di Zogno Assessorato al Commercio e al Turismo dal 27 ottobre al 26 novembre. La rassegna prevede un fitto calendario di incontri: appuntamenti culturali, visite guidate, escursioni, pomeriggi per bambini, feste nelle frazioni. Protagonista indiscussa la castagna declinata in mille sfumature, profumi e sapori. Per il 2017 vengono riproposti appuntamenti imperdibili come la Festa dei Biligòcc nella contrada di Castegnone a Poscante e i menù a prezzo fisso per gustare il meglio degli ingredienti della tradizione locale autunnale nei ristoranti aderenti all’iniziativa, oltre all’escursione in una selva di castagni. Non mancano i concorsi legati alla castagna e al territorio, un concorso fotografico e uno di torte. I temi degli incontri del venerdì sera richiameranno l’utilizzo e la conservazione della castagna: si parlerà di farina e di spiriti alle castagne. All’ultimo incontro in collaborazione con East Lombardy, patrocinatore della rassegna, si presenteranno le eccellenze gastronomiche del territorio. Novità di questa edizione l’inaugurazione del sentiero“ La Via delle Castagne”, un percorso turistico finalizzato alla valorizzazione del patrimonio naturalistico e culturale legato al frutto e della castanicoltura. Per chiudere in bellezza domenica 26 novembre in centro a Zogno, dalle 10 alle 18, l’iniziativa intitolata “CastagnAmo” con tante attività sempre legate al tema castagna e al territorio, esposizione di prodotti locali e artigianato di qualità. www.saporiecultura.org

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ltre il Buono” è il tema dell’anno di Golosaria Milano che ritorna negli spazi del Mico Milano Congressi per la dodicesima edizione da sabato 11 a lunedì 13 novembre. La manifestazione ideata dal giornalista Paolo Massobrio permette di incontrare 300 espositori food da tutta Italia e cento cantine. Nelle vie della rassegna si trovano la civiltà del latte e dei formaggi, quella della norcineria, quella dell’acqua, quella dei cereali e dell’arte di conservare i cibi. Il ricco programma di eventi permette di approfondire le tendenze del cibo non senza provocazioni tra talk, laboratori e showcooking. Sempre molto attese le premiazioni, che si terranno la domenica, quella delle migliori botteghe artigianali d’Italia, dei Top Hundred, i cento migliori vini d’Italia, e delle 24 cantine evergreen. Per quando riguarda la proposta gastronomica, se negli ultimi anni a Golosaria sono state protagoniste le cucine di strada oggi la manifestazione vuole andare oltre e arrivare alla cucina dei produttori. www.golosaria.it


ottobre 2017 11 e 12 NOVEMBRE

TRIVENETO

Whisky e cognac, al festival di Milano duemila etichette in degustazione

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e novità della 12esima edizione di Milano Whisky Festival sono uno spazio più grande - sempre al Marriott Hotel ma in un’unica sala di 1.200 mq - e un nuovo nome, Milano Whisky Festival and Fine Spirits, che dice dell’ampliamento del panorama espositivo a Cognac, Brandy e Armagnac. L’appuntamento torna l’11 e il 12 novembre e dà la possibiltà di spaziare tra oltre 2.000 etichette in degustazione. L’ingresso è gratuito, previa registrazione, e dopo essersi dotati di bicchiere e sacca ci si può muovere tra i banchi e assaggiare whisky e cognac differenti, per tutti i gusti e tutte le tasche. Ogni espositore propone in degustazione i propri distillati a partire da 3 euro al bicchiere e la maggior parte non

supera i 5 euro. Non mancano bottiglie molto importanti dal lungo invecchiamento (anche oltre i 40 anni) o whisky molto rari di distillerie non più esistenti. Per non frenare la curiosità ma tenere a bada il tasso alcolico, sono a disposizione bottigliette da 6 cl da riempire con tutti gli whisky e cognac che si desidera e degustare poi a casa con gli amici, con la possibilità di confrontare con calma i vari distillati. È possibile anche acquistare le bottiglie e, per i collezionisti di mignon, trovare il pezzo che si stava cercando o quello sconosciuto. Per saperne di più ci sono le masterclass e le degustazioni guidate e per uno spuntino gli stand con birra, ostriche e salmone. Il Premio Best Whisky, infine, incoronerà i migliori whisky nelle varie categorie e la distilleria dell’anno. www.whiskyfestival.it

DAL 17 AL 19 NOVEMBRE

Gourmet, al Lingotto di Torino debutta l’edizione aperta al pubblico

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opo due edizioni riservate agli operatori, la manifestazione Gourmet Expoforum al Lingotto di Torino inaugura anche una versione aperta al pubblico dei foodies e agli amanti dei prodotti enogastronomici italiani, che nasce ancora dalla collaborazione tra Gambero Rosso e Lingotto Fiere (GL events Italia). L’appuntamento con Gourmet Food Festival è dal 17 al 19 novembre ed è costruito attorno ad una grande piazza dove si ritrovano tutti insieme alcuni dei più grandi artigiani del gusto (cuochi, pasticceri, pizzaioli, cioccolatieri, panettieri, norcini, casari, contadini 2.0...) e dove c’è la possibilità di soddisfare ogni curiosità ed esigenza in tema di cibo: il fare, con corsi pratici di cucina, pasticceria e panificazione in una cucina professionale; l’assaggiare, attraverso degustazioni guidate di prodotti artigianali e piatti degli chef premiati dal Gambero Rosso; l’imparare grazie a esperti che guidano alla spesa intelligente

e l’acquistare scegliendo i prodotti di piccoli e grandi artigiani italiani selezionati dal Gambero Rosso. Le aree tematiche sono prodotti e cucina, dolce, pane e pizza e beverage. Tra gli eventi, la lista della spesa di Carlo Cracco per preparare un risotto perfetto, l’assaggio della torta Caprese di Sal De Riso, la pizza fritta di Gino Sorbillo, i segreti di Iginio Massari e ancora panettoni industriali e artigianali a confronto e i miti da sfatare sulla birra artigianale. Per gli operatori professionali del food & beverage l’ingresso è gratuito, previo accreditamento. www.gourmetfoodfestival.it

Week end a porte aperte nelle industrie del food

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on solo ristoranti, botteghe e piccoli produttori artigianali, anche le industrie del food possono diventare meta degli appassionati di enogastronomia. Succede con la prima edizione di We-Food, un weekend – quello del 28 e 29 ottobre prossimi - alla scoperta delle fabbriche del gusto delle Venezie, che aprono le proprie porte e propongono showcooking con grandi chef, visite guidate, laboratori e presentazioni di libri. Ogni azienda offre un programma di attività diverso così da comporre un vero e proprio racconto della cultura e dell’industria enogastronomica. Una trentina le realtà che sarà possibile visitare, tra case vinicole, birrifici artigianali, produttori di specialità del territorio (salumi e carni, formaggi e prodotti lattierocaseari, pani e dolci, legumi e ortaggi, oli), produttori di cucine ed elementi d’arredo per la cucina, produttori di forni, piani cottura e apparecchiature tecnologiche. La manifestazione sarà inaugurata venerdì 27 ottobre da un evento nella Tenuta Astoria Vini, nel Trevigiano. Tra i marchi che si potranno conoscere da vicino Molino Rachello, Lattebusche, Tecnoeka, Fraccaro Spumadoro, Loison, Fonte Margherita, Birrificio artigianale Lzo. L’iniziativa è promossa dalla guida “Venezie a Tavola 2018”. www.venezieatavola.it

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STRUMENTI

Bar e ristoranti, un software tiene d’occhio gli allergeni Segnalarli è obbligatorio. Ora si stanno anche precisando modalità e sanzioni. L’Ascom è già pronta con un programma che rende tutto più semplice

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informazione sugli allergeni presenti nei piatti e nei prodotti non confezionati serviti al bar e al ristorante va verso una più precisa regolamentazione. L’obbligo di indicare ai consumatori la presenza di uno o più ingredienti responsabili di allergie alimentari - tra i 14 indicati dall’Unione Europea - è già previsto in Italia dal dicembre 2014, con l’entrata in vigore del Regolamento (UE) 1169/2011. Ma ci sono novità. Lo scorso 15 settembre il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di Decreto che definisce le disposizioni applicative e le sanzioni su tutto il tema dell’etichettatura. Al termine dell’iter arriveranno perciò indicazioni più stringenti su come realizzare l’informativa e potranno partire i controlli su come si comunicano gli allergeni nel piatto. Lo schema è all’esame delle Camere e della Conferenza Stato-Regioni perché esprimano il parere previsto. Le disposizioni di maggior interesse per bar e ristoranti riguardano l’obbligo di indicare gli allergeni sul menù, su un apposito registro o con altra modalità, a patto che le informazioni siano sempre supportate da una precisa documentazio-

Le 14 famiglie di ingredienti che vanno indicate In base al Regolamento UE 1169/2011, soltanto 14 sostanze su 120 descritte come responsabili di allergie devono essere obbligatoriamente segnalate come allergeni. Li ricordiamo: cereali contenenti glutine, cioè grano, segale, orzo, avena, farro, kamut o i loro ceppi ibridati e prodotti derivati; crostacei e prodotti a base di crostacei; uova e prodotti a base di uova; pesce e prodotti a base di pesce; arachidi e prodotti a base di arachidi; soia e prodotti a base di soia; latte e prodotti a base di latte; frutta a guscio; sedano e prodotti a base di sedano; senape e prodotti a base di senape; semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo; anidride solforosa e solfiti; lupini e prodotti a base di lupini; molluschi e prodotti a base di molluschi. Per informazioni Ascom Area Gestionale via Borgo Palazzo, 137 | Bergamo tel. 035 4120181-129 | gestionale@ascombg.it


ottobre 2017

ne scritta facilmente reperibile dai consumatori e dalle autorità di controllo. La sanzione prevista per la mancata indicazione degli allergeni nei prodotti somministrati va da 3mila a 24mila euro, con possibilità di importi dimezzati per le microimprese. Per gastronomie, gelaterie, pasticcerie e panetterie, invece, è confermata la disciplina del cartello con l’indicazione di tutti gli ingredienti, ma è previsto l’obbligo di indicare gli allergeni in riferimento al singolo prodotto, di conseguenza sarà impossibile utilizzare il “cartello unico”. La normativa spinge dunque verso un’informazione più puntuale nei confronti dei clienti e su una documentazione scritta. Un appesantimento di carte e burocrazia? Qualcuno sostiene di sì, soprattutto chi cucina seguendo le proposte giornaliere del mercato. Poiché però si sta parlando della salute dei clienti e della loro possibilità di scegliere con tranquillità un piatto o uno snack, il tema non va sottovalutato. Senza contare che la gestione degli allergeni può anche diventare un’occasione per analizzare meglio la propria proposta (e magari basterà variare qualche ricetta perché anche chi è allergico possa trovare maggiore scelta) e rendere più consapevole tutto il personale di ciò che si serve. In questo, gli strumenti informatici danno una mano e non è necessario nemmeno cercare chissà dove. L’Ascom di Bergamo, infatti, mette sin da ora a disposizione degli esercenti un software che permette di tenere sotto controllo la presenza di allergeni. «Nel manuale di autocontrollo Haccp sono già comprese le procedure specifiche per la somministrazione di alimenti e bevande alle persone con allergie e intolleranze – precisa Andrea Comotti, responsabile dell’Area Gestionale dell’Associazione –, insieme al cartello in più lingue che invita i clienti a segnalare le proprie necessità alimentari, da esporre nel locale o inserire nei menù. Questo permette ad oggi di essere in regola, ma si può anche fare un salto di qualità, a maggior ragione considerando che la normativa va verso una formalizzazione e che la platea delle persone intolleranti e allergiche si sta ampliando». L’Ascom propone l’accesso ad un programma per la gestione degli allergeni facile da utilizzare e da aggiornare, in grado di elaborare due tipi di documenti. «Occorre inserire gli ingredienti di ogni piatto – spiega Comotti -, dopodiché si potranno stampare, personalizzati, sia il Libro delle ricette, che evidenzia automaticamente per ogni piatto se e quali allergeni sono presenti e che risponde alla previsione del Decreto di una da una precisa documentazione scritta a disposizione dei consumatori che lo richiedono e delle autorità di controllo, sia una più snella Agenda degli allergeni organizzata secondo le 14 famiglie di prodotti che provocano allergie o intolleranze. Sotto il simbolo dei cereali contenenti glutine saranno riuniti tutti i piatti del locale che li prevedono e così per ogni categoria. In questo modo il cliente riconosce in fretta quali portate può o non può ordinare. Ma anche il ristoratore avrà un rapido colpo d’occhio sulla presenza complessiva di allergeni nel suo menù e fare le debite considerazioni su quanto la sua proposta sia o non sia a prova di intolleranze e allergie».

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L’EVENTO

Accademia del Gusto in trasferta a GourmArte. Ecco chi sale in cattedra L’

Accademia del Gusto di Osio Sotto trasloca a GourmArte. Per l’attesa kermesse gastronomica, la scuola di cucina di Ascom Confcommercio Bergamo propone otto seminari con gli interpreti della grande cucina. Il più insolito è in programma venerdì 1 dicembre dalle ore 17.30 alle 18.30. Luigi Pomata, uno degli chef più rinomati d’Italia, e Paolo Palumbo, giovane malato di Sla, presenteranno “Sapori e colori #iostoconPaolo”, non un classico libro di cucina ma un inno all’amore per la cucina e alla vita, scritto a quattro mani, con il contributo e delle foto-

grafie di Pierluigi Dessì. Sarà un laboratorio per scoprire piatti pensati per tutti coloro che non possono nutrirsi in modo naturale, adatti anche ai bambini che si approcciano per la prima volta alla cucina solida e a chi ama vellutate e creme. Sempre venerdì, dalle 19 alle 20.30, Francesca Marsetti, nota al grande pubblico per la presenza costante nel cast de “La Prova del Cuoco”, proporrà una carrellata di finger food, belli da

vedere e buoni da mangiare, mentre domenica mattina dalle 10.30 alle 12.30 raccontarà le sue ricette del cuore. Sabato 2 dicembre dalle 10.30 alle 12.30 un appuntamento atteso è quello con Marco Bianchi, divulgatore scientifico per Fondazione Umberto Veronesi e in passato Ambassador di Expo Milano 2015, che illustrerà la sua filosofia di cucina, centrata sulla buona alimentazione e la salute, le regole della cucina sana e i consigli gastronomici che aiutano a restare in salute con gusto e a prevenire le patologie più comuni. Completano la giornata di sabato il laboratorio di Tiziano Casillo (ore 14.30 - 16.30) che spiegherà come realizzare la scrocchiarella, una specialità nel mondo dei lievitati che sta spopolando tra gli amanti della pizza; e dalle 17.30 alle 19.30 per chi segue una alimentazione vegana e vuole sperimentare abbinamenti nuovi ed equilibrati, “Soul green, l’anima verde che ci piace” con lo chef Mirko Ronzoni, vincitore di Hell’s Kitchen 2015. La domenica, dopo l’incontro con Francesca Marsetti, si imparerà, dalle 14.30 alle 16.30, a preparare golosi biscotti natalizi con Diego Mei, un’idea per regali personalizzati e low cost, mentre da Manuel Poli, dalle 17.30 alle 19.30 le preziose dritte su come realizzare con semplicità piatti raffinati e creativi, capaci di stupire. La prenotazione ai corsi è obbligatoria: tel. 035 4185706/707/715 info@ascomformazione.it www.ascomformazione.it

dall’1 al 3 dicembre

Quest’anno l’ingresso alla manifestazione è gratuito

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er tre giorni Bergamo tornerà ad essere il ristorante con più stelle d’Italia. Da venerdì 1 a domenica 3 dicembre alla Fiera si terrà la sesta edizione del festival GourmArte, con una bella novità, l’ingresso gratuito (l’anno scorso per partecipare si pagava un biglietto di 15 euro). La kermesse anche quest’anno porterà in città le eccellenze enogastronomiche e i top chef italiani, una formula che negli anni ha conquistato sempre più pubblico e l’ha fatta diventare un appuntamento di richiamo per i professionisti e gli appassionati. Otto cucine ospiteranno ogni giorno altrettanti chef, per un totale di 24 maestri della cucina italiana. Tra gli altri, si potrà assistere alla preparazione e assaggiare i piatti degli stellati di Chicco Cerea (Da Vittorio), Claudio Sadler (Sadler), Philippe Leveillè (Miramonti L’altro) e le dolcezze di alcuni dei più noti maestri pasticceri italiani. Camminando tra gli stand si potranno conoscere e degustare le eccellenze gastronomiche proposte dagli oltre cento espositori: l’aceto balsamico di Modena, il Bitto, il Caviale della pianura Padana, gli insaccati cremonesi e bergamaschi, fino al pregiato Patanegra, lo champagne prodotto dai manipulant recoltant e le Ostriche bretoni e irlandesi, passando per i vini della Franciacorta, del Lugana, della Valtellina e alcune conosciute etichette d’Oltralpe. Il programma offre anche degustazioni guidate e presentazioni di libri. Orari: venerdì dalle 17 alle 22; sabato e domenica dalle 10 alle 22. www.gourmarte.it

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Pagine di

Gola

a cura del Gruppo Librai Ascom

Con l’arrivo dell’autunno, la pausa del tè ritorna ad essere protagonista delle nostre giornate. Per gli estimatori e per chi vuole conoscere meglio l’ambrata bevanda che ha conquistato tutto il pianeta, abbiamo selezionato alcuni tra i libri più interessanti scritti sul tema; c’è un po’ di tutto: dai saggi ai ricettari, alla narrativa. E persino una collana insolita fatta di racconti che durano... un tè. Scoprirete che in origine la pianta era coltivata sull’Himalaya da remote tribù, conoscerete tutte le varietà del mondo e le loro caratteristiche, entrerete nel mondo delle piantagioni e imparerete i segreti per diventare degli esperti sommelier. Buona lettura!

La magia del tè, dalle piantagioni alla tazza C’è tutta la storia del té: dalla sua origine alla diffusione, dai modi di preparazione alla scelta della qualità più adatta per ciascuno. Con tanti aneddoti, informazioni e belle illustrazioni. E alla fine è riportata una guida a tutti i tipi di tè presenti al mondo, suddivisi per tipologia e per aree geografiche; in ogni scheda sono indicate le caratteristiche, la qualità, l’origine, il sapore, la preparazione del tè e la sua degustazione più appropriata. Da leggere per muovere i primi passi nel mondo del tè. Davide Pellegrino

Il piacere del tè Giunti, 2006 Una ragazza madre e un superstite della Shoah danno la caccia a due ex criminali nazisti che si stanno godendo, come innocui turisti, il caldo sole delle spiagge spagnole. Sandra non sa niente sul nazismo, Juliàn ne è stato una vittima, due voci narranti diversissime per età ed esperienza di vita. Il libro ha portato l’autrice alla fama mondiale ed è stato in cima alle classifiche di vendita per oltre due anni. Da leggere, sorseggiando una tazza fumante, per mantenere la memoria. Clara Sánchez

Il profumo delle foglie di limone Garzanti, 2011 L’autrice, nuora di Ernesto Illy (quello del caffè) racconta un viaggio nelle piantagioni e soprattutto delle donne e degli uomini che si occupano delle foglie di tè, dalla raccolta alla distribuzione. Da leggere per scoprire cosa c’è dietro una tazza di tè. Elisabetta Lattanzio Illy

Foglie di tè Gribaudo, 2013 È un grande classico della letteratura dedicata al tè. Alcune delle citazioni più famose sono prese proprio da questo libro. Si parla del rapporto tra Occidente e Oriente, di come è nato il tè, di come si è sviluppata la cerimonia giapponese e la filosofia del tè. Da leggere per capire meglio questo mondo e il suo legame con ogni aspetto della società. Kakuzo Okakura

Lo zen e la cerimonia del tè Feltrinelli, 2014 Non è un libro, o meglio, non solo. È un tè “narrante” che unisce il tè e la lettura. Un libricino legato a una bustina racconta storie la cui lettura dura esattamente il tempo di un’infusione. Ci sono 5 collane: i tè souvenir che raccontano le principali città italiane, i narrapeople che narrano i grandi personaggi del passato, e ancora i tè sui grandi temi (narralife), sui progetti di solidarietà (narragood) e per le aziende (narracorporate). Prodotto dalla startup italiana Narrafood srl, la collana nasce da un’idea di Adriano Giannini. Da leggere per intrattenersi durante i noiosi minuti d’attesa di preparazione dell’infuso. Narratè

La lettura ha scoperto l’acqua calda

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