aprile 2010
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
Supplemento al n. 15 de “La Rassegna” del 22 aprile 2010 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile - Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
“DAL PESCATORE”
Santini: «Perché i ristoratori dovranno cambiar passo» MESTIERI
Un’associazione per rilanciare la fi gura del Norcino IL PRODOTTO
Boltiere ha il suo formaggio. E va a ruba
L’ORTAGGIO
Asparagi, a Bergamo piccole perle crescono
Vino, la doppia faccia di una crisi Calano i consumi al ristorante, salgono gli acquisti nelle enoteche e al supermercato. Il punto degli operatori bergamaschi
APRILE 2010
SOMMARIO 5
PENNA ALL’ARRABBIATA L’estate si avvicina, felici di sognare le maxi colazioni in vacanza
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L’APPROFONDIMENTO Tra crisi ed etilometro, il vino ripara in casa
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L’INTERVENTO Santini:“Il nostro è un lavoro straordinario, ma oggi servono nuovi approcci”
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IL MESTIERE Norcini a rischio estinzione. E a Bergamo nasce l’“Associazione”
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IL RISTORANTE “Settecento”, il bello e il buono L’INSERTO Bocuse d’Or, le immagini di una “Selezione”
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LA NOVITÀ “Ol formai de Bolter”, appena nato e già vincente
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L’ORTAGGIO A caccia di asparagi
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 - 24125 Bergamo Presidente: Ivan Rodeschini Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. - via Giorgio Paglia, 26 24121 Bergamo - tel. 035 213030 fax 035 224572 affaridigola@larassegna.it Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri In redazione: Anna Facci Opinionisti: Pier Carlo Capozzi, Enrico Rota Pubblicità: S.P.M. srl - viale Papa Giovanni XXIII, 120/122 24121 Bergamo - tel. 035 358 888 fax 035 358 753 Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 185 del 20 Febbraio 1950 Collaboratori: Michele Andreucci, Leo Bartoli, Laura Bernardi Locatelli, Pino Capozzi, Ettore Coffetti, Fulvio Facci, Roberta Martinelli, Roberto Morandi, Lelia Parisi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Donatella Tiraboschi, Sara Vavassori Impaginazione: Videocomp, Bg Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
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Affari di Gola dicembre 2009 - gennaio 2010
aprile 2010
febbraio 2010
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
“DAL PESCATORE”
Parte da Bergamo la scalata italiana al Bocuse d’Or IL PRODOTTO
IL PERSONAGGIO
L’INTERVISTA
IL RICONOSCIMENTO
Un formaggio al mese, ecco la mini guida
Il farmacista birraio di San Pellegrino
L’esperto svela i segreti del locale di successo
L’omaggio dell’Ascom ai nuovi locali stellati
Affari di Gola
Perbellini: genio e “regolatezza”, ecco cosa serve per vincere PENNA ALL’ARRABBIATA
I “piatti della nonna” stanno sparendo, salviamoli! FOCUS
La macchina del pane ha fatto boom INGREDIENTI
Sale e pepe, i consigli dell’esperto VINO
L’enologo: “Sempre più decisiva la rete commerciale”
ABBONAMENTI
Boltiere ha il suo formaggio. E va a ruba
L’ORTAGGIO
Asparagi, a Bergamo piccole perle crescono
Vino, la doppia faccia di una crisi
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IL PRODOTTO
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MESTIERI
Un’associazione per rilanciare la fi gura del Norcino
Calano i consumi al ristorante, salgono gli acquisti nelle enoteche e al supermercato. Il punto degli operatori bergamaschi
Compilare e inviare il tagliando alla redazione, allegando l’assegno o copia del bonifico:
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Santini: «Perché i ristoratori dovranno cambiar passo»
Supplemento al n. 15 de “La Rassegna” del 22 aprile 2010 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile - Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
LA COPERTINA
Supplemento al n. 6 de “La Rassegna” del 18 febbraio 2010 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile - Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
Supplemento al n. 44 de “La Rassegna” del 17 dicembre 2009 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile - Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
La grande sfida tra sedici chef
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PENNA ALL’ARRABBIATA di Pier Carlo Capozzi
L’estate s’avvicina, felici di sognare le maxi colazioni in vacanza
C
redo che sia il cambio dell’ora, il magico segnale che ci ricorda che Natale è ormai passato e che Ferragosto è dietro l’angolo. E, con lui, la possibilità di andare presto in vacanza e di lasciarci un po’ andare, a partire dalla gioia della tavola. Dicevo che deve essere proprio colpa dell’ora legale se sto pensando sempre più spesso alle prime colazioni che si fanno nei periodi di ferie. Fateci caso: molti di noi, nel resto dell’anno, quando la sveglia suona presto e ci obbliga alle corse per andare al lavoro, s’accontentano di un caffè, i più golosi di un cappuccino con la brioche. Solitamente a casa. Oppure, i più attenti al rito mattutino e tutte le signore dopo aver accompagnato i bimbi belli a scuola, al banco del barista preferito. La varietà di cosa inzuppare è davvero vasta: cornetto vuoto, con la crema, con la marmellata, al cioccolato, la veneziana, la pasta frolla, alla mela… Ma, solitamente, non si va oltre. E non ci si pensa nemmeno. Come tanti dottor Jekyll e mister Hyde, una volta però arrivati al mare o in montagna, la prima mattina dopo il sonno ristoratore del viaggio, ci incantiamo di fronte al buffet dell’albergo o girovaghiamo per quarti d’ora tra le incredibili proposte del villaggio, riempiendo il nostro piatto con roba che, a casa, non avremmo preso in considerazione nemmeno sotto tortura. Personalmente non potrò mai dimenticare i risvegli gastronomici di Cancun, base messicana per il tour attraverso le meraviglie dei Maya. Si facevano tre giri di buffet: il primo per il salato, il secondo per il dolce e il terzo per la frutta. Tradotto vuol dire: un affettato, un formaggio e le uova strapazzate; il tè al limone con fetta di torta o croissant; un piatto con ananas, papaia, mango, melone bianco e anguria. Raramente ho incontrato frutta più dolce e saporita di quella messicana, a parte i ricordi di gioventù dell’uva, delle percoche e del melone rosso pugliesi. E, per tornare a Cancun, avete la mia parola che non ho mai approfittato del salmone o del filetto, in
bella vista dalle parti dello chef, pronto a metterli sulla griglia se solo facevate un cenno al riguardo. A pranzo ci si accontentava di un panino veloce (mica sempre, però…), ma non godere appieno di quelle opportunità mattutine ci sarebbe sembrato davvero un reato da scontare con doverosa aggravante penale. È bello ed istruttivo, inoltre, rimodulare le proprie esperienze seguendo le tradizioni del paradiso che vi sta ospitando: a Creta, per esempio, il formaggio non era uno qualsiasi, ma un pezzetto di Feta, rigorosamente condito con origano e una goccia di olio. Le colazioni al Cairo non prevedevano brioches, ma un paio dei loro dolcetti al miele. Indimenticabile il breakfast in un B&B di Natchez, nel Mississippi, dove ci prepararono uova strapazzate, bacon fritto, spremuta pa d’arancia, salsicce e fagioli, acd’a compagnando il tutto con mezzo co pompelmo guarnito da una ciliepo gina. gi Intendo dire: a voi non capita lo In stesso fenomeno, cioè di sentirsi, st una volta in vacanza, liberi di u fare fa qualche piccola follia a tavola cominciando già dal mattino? E pensare che ci siamo trattenuti, chi c più chi meno, fino alla vigilia della partenza, cercando di perd dere in anticipo un po’ di quel d peso che avremmo accumulato p nei giorni gioiosi a venire. Ecco, probabilmente voglio arrivare proprio qui: alla felicità che adesso inizierà a farci vacillare con i soliti, terribili avvisi di pericolo. Con i soliti, tristissimi appelli a non approfittarne. Sgobbiamo tutto l’anno e poi, al momento di godercela un po’, ci riempiono di sensi di colpa. Ricordo una dietista carinissima che, molto tempo addietro, mi propose una tabella per tornare un briciolo più magro. Lessi solo le righe che riguardavano la prima colazione: caffè con dolcificante, due fette biscottate, mezza spremuta di pompelmo. Lei vide la mia faccia e chiarì subito: “Guardi che, se deve intristirsi, preferisco che non segua la dieta”. L’abbracciai con trasporto. E prenotai per tornare a Cancun.
Affari di Gola aprile 2010
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L’APPROFONDIMENTO di Laura Bernardi Locatelli
Tra crisi ed etilometro, il vino ripara in casa Al ristorante il consumo è in sensibile calo, ma non si rinuncia al piacere di una buona bottiglia. Ora si preferisce stapparla tra le mura domestiche, magari per una bella cena con gli amici. Con gli addetti ai lavori il quadro delle tendenze e i gusti dei Bergamaschi
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l bicchiere è mezzo vuoto al ristorante, mezzo pieno in enoteca e la bottiglia - a prezzi scontati - finisce nel carrello del supermercato. Si conferma un calo sensibile dei consumi di vino ai tavoli dei ristoranti, tra lo spauracchio patente a punti e l’ombra della crisi. Di contro cresce l’interesse per il mondo del vino, si rafforza il legame con il territorio e non si rinuncia alla convivialità, riscoprendo l’ospitalità e la cucina casalinga accompagnata da vini ad hoc, suggeriti dai consigli esperti dell’enoteca di fiducia..
Se il calo registrato ai tavoli è stimato tra il 15 e il 40 per cento dagli addetti ai lavori, la crescita della vendita di bottiglie d’asporto in enoteca è compresa tra il 15 e il 30 per cento, sintomo di una rinnovata voglia di trovarsi a cena con amici e parenti in casa, concedendosi un buon bicchiere di vino o più calici abbinati ad arte ai piatti proposti. Crescono le vendite anche al supermercato: tra la comodità di una spesa unica, i prezzi stracciati ed un ampliamento della gamma in offerta, assieme a tutto niscono tutt tu tto o il resto res resto to degli deg degli li acquisti acq acqui uist stii alimentari alim al imen enta tari ri fi fin nis isco cono no anc aanche nche he
LE ENOTE E ENOTECHE NOTE NO TECH CHE E
«Crescono le vendite e Enoteca al Ponte Luca Castelletti
All’Enoteca al Ponte, autentico scrigno con selezioni di “vini divini” a Ponte San Pietro, gli acquisti da parte di privati sono cresciuti anche del 30 per cento negli ultimi mesi. «L’impressione è che sia aumentata la voglia di ritrovarsi a casa, ma l’invito a cena è curato in ogni dettaglio, dalla cucina ai vini - spiega Luca Castelletti -.Vengono organizzate vere e proprie cene degustazione, con la proposta di più vini in abbinamento ai piatti, e la scelta delle bottiglie da servire ai propri ospiti è di maggiore qualità d’un tempo: si spendono 120-130 euro per i vini per una cena di 68 persone. Alla qualità non si rinuncia insomma, nemmeno tutti i giorni. I vini di fascia alta, bottiglie da 50-60 euro, vengono riservati per le festività, per le bottiglie da stappare tutti i giorni, la fascia di prezzo è compresa
bottiglie super scontate di rosso e bianco, ma anche Doc, Docg, Igt a prezzi interessanti. Un acquisto votato al risparmio per il brindisi di tutti i giorni, ma per le occasioni più importanti, o più semplicemente, per una cena gourmand dopo una giornata di lavoro interrotta da un pranzo mordi e fuggi, si continua ad andare a scegliere l’etichetta dei desideri in enoteca. Quanto alle tendenze di mercato, le vendite risentono del cosiddetto effetto-clessidra: dieta forzata per la fascia media dei prezzi, exploit della fascia a basso costo e sostanziale mantenimento della fascia alta, anche se le difficoltà dell’alta gamma non mancano a detta di molti distributori di vino e di qualche enoteca. L’annus horribilis dell’economia è stato infatti anche quello della caduta libera dello Champagne, con tanto di revenche delle italiche bollicine che invece brindano alla loro annata d’oro. La legge delle tre “T” – Terra, Territorio, Tradizione - dopo anni di ritornelli senza eco, sembra essere ormai stata interiorizzata anche a questa latitudine: Valcalepio e Moscato di Scanzo, dopo anni magri, stanno registrando un buon successo. Quanto alle altre regioni d’Italia, continua il momento magico del Prosecco - con tanto di nuova Docg cara al neo governatore del Veneto e ministro uscente dell’agricoltura - mentre la Toscana e l’Alto Adige perdono qualche quota e la Sicilia si trova in affanno, impegnata a riparare i cocci del terremoto Nero d’Avola, una azionatissima. Docc ormai Do orma or maii in infl flaz azio iona nati tiss ssim imaa.
la competenza. Positivo l’interesse dei giovani» tra i 12-13 e i 40 euro». Quanto alle tendenze dei consumi, calano le vendite dei vini siciliani, mentre è in ripresa la Puglia e Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia esplodono. «Sono penalizzati in questo momento i vini piemontesi, meno facili da bere, mentre vanno alla grande i tagli bordolesi, dai vini del territorio ai toscani. Sono di nuovo in auge i bianchi, dal Pinot al Silvaner al Riesling renano.Vanno forte anche il Sauvignon friulano e della zona del Collio».A crescere sono anche le competenze della clientela: «La gente ha finalmente smesso di commettere infanticidi: i vini bianchi vengono finalmente consumati a un anno e mezzo dalla vendemmia». La ristorazione tiene in un certo senso in mano le sorti del vino: «Ha un ruolo fondamentale nella promozione dei vini. I ristoratori dovrebbero credere nei prodotti di nicchia e puntare sulle eccellenze, perché è inutile continuare a vendere i soliti blasoni». Scovare nuovi talenti non è cosa semplice, ma all’Enoteca al Ponte scommettono su alcune chicche: «Penso a un super tuscan come il Pervale, a una Falanghina, passata in legno, al Moscato Giallo, agli spumanti italiani, bandiera del Made in Italy. Ma non bisogna trascurare i vini d’Israele con Syrah fantascientifici, perché la vite che soffre dà il meglio di sé, e la Bourgogne».
La Lunetta Giuseppe Agazzi A La Lunetta, enoteca di riferimento nel cuore della città, specializzata da sempre nella vendita al dettaglio, la tendenza degli acquisti è improntata su una maggiore qualità: «Si compra meno, ma si scelgono vini ricercati – rileva Giuseppe Agazzi -. Fa piacere vedere entrare in enoteca sempre più giovani, che selezionano con passione etichette, chiedendo consigli, ma muovendosi con maggior sicurezza. In generale, tra trasmissioni tv, guide e riviste specializzate, le competenze sono molto cresciute». Quanto alle tendenze dei consumi, vanno forte i bianchi fermi, i vini nuovi, ma anche quelli del nuovo mondo. Non mancano importanti conferme, ma anche disaffezioni: rizioni: «Non si ri nuncia ai rossi importanti, con il Piemonte nte in testa e la Valpolicella in vero e proprio exploit. Laa Toscana invece sembra segnare il passo, così come i vini del Collio. Cresce invece il sud: nel vino di medio prezzo Sicilia e Campania la fanno da padrone. Sta riscuotendo sempre maggior successo anche nche l’Umbria e sta crescendo la curiosità per er la scoperta di vitigni autoctoni».
Vini e Spiriti Fabio Moretti Le vendite d’as d’asporto incrementano senanche da sibilmente anc Vini e Spiriti, enocucina in teca con cuci via Paglia. «Le venaumentate dite sono aume del 15-20 per
cento - sottolinea Fabio Moretti -. Si conferma invece un calo netto di consumi al tavolo dell’ordine del 40 per cento, con un azzeramento della richiesta di distillati a fine pasto». Quanto alle tendenze, si conferma il cosiddetto effetto a clessidra: «Si è aperta molto la forbice dei prezzi: è ferma la fascia di etichette proposte tra i 18 e i 40 euro, ma non manca chi può permettersi bottiglie d’eccellenza dai 50 euro in su. Per i vini da consumo quotidiano, non si rinuncia comunque a bottiglie tra i 10 e 15 euro». Il terri-
torio è in grande spolvero: «Il Valcalepio sta vivendo una stagione particolarmente favorevole anche sul fronte qualità». Questa la fotografia delle preferenze regione per regione: «Si confermano tra i bianchi Le Marche, oltre ai classici di Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, mentre Toscana e Piemonte sono un po’ in stallo. Le bollicine sono in costante aumento, tanto che vengono abbinate a tutto pasto a svariate portate. Continua a vivere una stagione d’oro il Prosecco».
Enoteca Leone Simone Cornacchia Anche all’enoteca Leone, storico indirizzo con cucina di Gazzaniga, sono in aumento le vendite d’asporto. A trionfare sono le bollicine, con la Franciacorta che continua ad andare forte.A crescere è anche qui il territorio, con una richiesta maggiore di Valcalepio e Moscato di Scanzo. «Nei bianchi continuano ad essere importanti Trentino e Friuli: vini come il Gewurtztraminer continuano a colpire anche i non intenditori, vanno bene anche Sauvignon e Silvaner. Tra i rossi il Piemonte regna sovrano con Nebbiolo, Dolcetto e Barbera - sottolinea Simone Cornacchia -. La Toscana tiene ma non cresce perché ha troppi vitigni internazionali abbinati al Sangiovese. La Si-
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Affari di Gola aprile 2010
cilia ha fatto bene tante operazioni di marketing, ma altrettante cattive: le aziende crescono come funghi e i vini spesso risultano difficili da abbinare alla nostra cucina, così come i vini del nuovo mondo». I vitigni au-
toctoni risvegliano la curiosità ma restano difficili da capire: «Sono in crescita gli estimatori di Pelaverga, Roero e Ruchè piemontesi, Malvasia pugliese, Mayolet e Fumin della Val d’Aosta, Malvasia istriana, Barbarossa della Romagna, ma alla fine resta un mercato di nicchia». Si beve meno ma anche meglio: «Prima la coppia ordinava una bottiglia, ora due calici, ma di maggior qualità». A dimostrare la crescita dell’appeal del mondo enoico il boom delle degustazioni: «Rappresentano un modo per avvicinare le persone al vino e continuano a riscuotere un grande successo: i prezzi sono interessanti e sono frequentate sempre più dai giovani».
DISTRIBUTORI E RAPPRESENTANTI
«Chi ordina al ristorante oggi fa molta più attenzione al prezzo»
Alessandro Capurro «I consumi sono cambiati, oltre che per effetto della crisi economica, per l’inasprimento delle sanzioni e la patente a punti - ribadisce Alessandro Capurro, agente di commercio specializzato nel canale Horeca, con piccola commercializzazione nella gdo -. Il primo effetto della crisi si ha nella spesa per bottiglia, che vede in picchiata la fascia alta: in questi mesi, ad esempio, abbiamo assistito alla grande crisi dello Champagne». Il canale Horeca registra un calo dei consumi di vino, non proporzionato a quello dei coperti e, quanto alla grande distribuzione, non mancano crescite dei volumi di vendita del vino, «ma il dato è falsato dall’apertura di nuovi punti vendita» precisa Capurro.
Quanto ai consumi, oltre al boom di spumante e Prosecco, queste le tendenze: «Si scende di un gradino di qualità nella scelta di bottiglie cult: gli estimatori del Brunello passano al Rosso di Montalcino e via dicendo. Tiene il Veneto, mentre l’Alto Adige è in lieve flessione per i classici bianchi aromatici. La Toscana invece è complessivamente in stallo, anche per operazioni commerciali non fortunate: il vero traino è il Morellino di Scansano, su cui si è investito bene. Il sud è in caduta libera a partire dalla Sicilia che ha perso il 70 per cento dei volumi globali per il caso Nero d’Avola». Cresce l’interesse per i vini autoctoni: «L’Abruzzo, con Pecorino e Passerina, è una regione di riferimento».
Valentino Rossi Valentino Rossi, agente di commercio, rileva oltre all’aumento delle mezze bottiglie un incremento dei consumi domestici e della grande distribuzione. Questo il quadro in tempi di magra: «Se l’anno scorso le vendite di champagne e rossi importanti avevano tenuto – dice - , quest’anno per i grandi vini italiani e le bol-
licine francesi si è registrato un crollo dell’ordine del 15 per cento. Sono in ripresa i vini del Friuli a scapito forse del vicino Alto Adige e dei suoi bianchi. Vanno bene il Piemonte, con Dolcetto e Nebbiolo, mentre sono in leggera ripresa alcuni vini del sud, a partire dall’Aglianico». «Cresce - evidenzia - la curiosità
per prodotti di nicchia e autoctoni, mentre i blasonati Brunello e Sassicaia sono in calo. Se la Sicilia è in caduta libera per il Nero d’Avola, la zona dell’Etna va benissimo: il Nerello Mascalese è in grande crescita. In generale, a non risentire della crisi sono aziende importanti di fama consolidata, emblema di tradizione ed affidabilità».
Quattoerre Enrico Rota «I cali dei consumi sono sensibili, eccezion fatta per il Prosecco che continua a vivere un momento felice nella ristorazione, forse anche perché più che come vino viene percepito come bevanda e viene proposto a prezzi tutto sommato contenuti - evidenzia Enrico Rota della Quattroerre di Torre de’ Roveri -. Oggi
continua, nonostante la crescita delle competenze e dell’interesse per il mondo del vino, a vendersi bene il “vino facile”». La politica di rilancio del territorio sta invece incominciando a dare i suoi frutti: «Negli ultimi mesi i vini locali sono più che raddoppiati e mantengono prezzi competitivi. La loro crescita nell’im-
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mediato futuro rappresenterà una conferma importante». Quanto al resto dello stivale questo il quadro: «La Sicilia è stata demolita dal Nero d’Avola, il Piemonte soffre, la Toscana e il Veneto tengono, l’Alto Adige e il Trentino registrano una leggera flessione, così come la Campania e il Friuli. La schiera degli estimatori di vini di nicchia va infoltendosi: l’impressione è che sia vivo l’interesse per tutti i vini diversi dai soliti blasoni». La taglia ridotta è in aumento al ristorante: «Le mezze bottiglie vanno bene, anche per arginare i costi quando si esce a cena. I ricarichi al ristorante, spesso eccessivi, non fanno che frenare i consumi. Anche se – sottolinea Rota - vanno fatte debite distinzioni, non mancano infatti ristoranti con ricarichi assolutamente onesti». Il problema di fondo è che si pretende che il ristoratore sappia fare tutto, quando non è così: «Talvolta capita addirittura di trovare errori ortografici in carta, ma soprattutto manca spesso e volentieri la passione. Bisogna vendere al meglio le emozioni, incontrare i gusti di chi siede al tavolo, capire cosa proporre. Non basta fare un ordine e mettere in carta quell’etichetta piuttosto che un’altra se non si fa nulla per invogliare a stappare quella bottiglia, accompagnando il cliente nella degustazione».
Betti Stefano Betti Il calo dei consumi nella ristorazione è a macchia di leopardo, rileva Stefano Betti dell’omonima azienda di distribuzione di Cividate al Piano: «Non tutti registrano cali allo stesso modo, alcuni tengono altri perdono quote importanti tra il 10 e il 15 per cento. In generale a crescere è l’attenzione al prezzo: locali e ristoranti acquistano il minimo indispensabile. Non manca chi sceglie di abbassare la qualità dei prodotti, oltre che dei vini soprattutto della birra, per incrementare i margini. Una politica assurda che porta a compiere un grosso errore e pregiudica per sempre il futuro del locale». Quanto alle tendenze: «Il Piemonte è in fase calante – osserva -, nonostante i grandi riconoscimenti delle guide. Si privilegiano Toscana, Friuli, Marche ed Abruzzo. Se il Prosecco è in exploit a perdere qualcosa è la Franciacorta, anche per i costi che restano elevati». L’annata è eccezionale per il territorio: «Il dato del Valcalepio è in crescita, così come la qualità del vino che sembra essere stato riscoperto dai ristoratori. Anche se non è facile vendere Valcalepio, dal momento che i ristoranti si affidano all’acquisto diretto in azienda». Stefano Betti indica l’exit strategy dalla crisi: «La nostra ricetta ha come base la formazione dei pubblici esercizi, attraverso anche la creazione di eventi-degustazione su vino e birra, con la promozione di un consumo responsabile. La vera sfida da lanciare a locali e ristoranti per dare nuovo slancio ai consumi è la riduzione dei margini, con ricarichi corretti in carta: sul vino trovo giusto sia pagato al ristoratore il servizio, tra i 3 e 4 euro».
L’ANALISI di Enrico Rota
Il calo dei consumi, due verità in cerca di una soluzione
Enrico Rota
Se è vero che si beve meno vino al ristorante è altrettanto vero che è tempo di cambiare registro. E ognuno deve fare la propria parte
È
risaputo che la crisi economica è una delle cause principale che ha portato molti a ridurre la frequenza di visite ai ristoranti. Scontato quindi pensare che le bottiglie di vino siano oggi un po’ meno protagoniste sulle tavole imbandite. Dobbiamo però anche ammettere che a penalizzare il consumo non è solo la crisi. Abbiamo altre criticità minori che hanno portato il consumatore a preferire altre bevande o, peggio ancora, a non consumare. Dalle varie ricerche effettuate, è possibile tracciare un profilo meno scontato e, auguriamocelo, magari d’aiuto per cercare di uscire da questa impasse. Sostanzialmente sono stati raggruppati in due famiglie i risultati ottenuti dall’analisi delle criticità riscontrate. La prima è legata al problema “alcol e guida”. In nome della patente a punti, o meglio delle norme giustamente restrittive in tema di tasso alcolico, è stato demonizzato il vino portando i consumatori a dividersi in due gruppi: chi beve molto e senza grandi criteri di scelta, e continua a farlo, chi invece è appassionato ma sensibile alle restrizioni legislative. La conseguenza è tragica: le limitazioni spaventano i virtuosi, mentre esaltano i viziosi. Il problema della riduzione dei consumi al ristorante quindi rimane in quanto solitamente, sono proprio i viziosi a non frequentarli.
Sulle possibili soluzioni, molti ristoratori si sono orientati verso la vendita di calici oppure di bottiglie in formato più piccolo. Qualcuno ha messo a disposizione anche degli etilometri (tra l’altro se passasse l’emendamento in commissione Lavori pubblici del Senato al Codice della strada, questi diventerebbero obbligatori). Per la maggioranza però la soluzione rimane quella di non guidare quando si beve. Quindi
consigliere delegato e responsabile vendite Italia della QUATTROERRE di Torre de’ Roveri (Bg) Per ulteriori informazioni scrivere a enrico@quattroerre.com
serve un certo tipo di comunicazione in grado di trasmettere determinati valori, senza la pretesa di nominarsi educatori. Il problema dell’informazione ci collega alla seconda “famiglia”. Qui abbiamo raggruppato le problematiche collegate alla difficoltà di individuare nuovi modi per far amare e quindi desiderare il vino. Questa raggruppa molteplici aspetti, meno evidenti ma ancor più insidiosi di quello precedente. La comunicazione al tavolo è divenuta difficoltosa. Trovare personale di sala preparato e capace di trasmettere emozioni è complicato. Non parliamo poi di come troppe volte i ristoratori siano trascurati dai produttori o distributori che siano, preoccupati solo di posizionare i loro vini o peggio ancora incapaci di trasmettere una certa cultura. Trascurati perché oggi per vendere vino occorre un linguaggio nuovo, semplice ed adeguato per le diverse tipologie di consumatori. Occorre pure che qualcuno abbia la giusta dedizione professionale nel verificare col ristoratore, ad esempio, la carta dei vini e dare suggerimenti per poi emozionare i propri ospiti. Siamo certi che se non riscriviamo le regole del gioco, a parte le solite e belle eccezioni, difficile sarà risollevare questo mercato. Tutti devono essere disposti a fare la propria parte, a giocare con onestà il proprio ruolo.
Affari di Gola aprile 2010 11
LA POSTA
“Piatti della nonna”, l’appetito vien mangiando C
aro Capozzi, non ha idea del piacere che ha fatto a me e ad altri miei compagni di cene il servizio sui piatti della nonna su Affari di Gola di febbraio. Da tempo siamo alla ricerca di trattorie, ristoranti e affini che, alla faccia di sifoni, molecole e sottovuoti vari, propongano ancora ricette che sembravano perse nella notte dei tempi. Purtroppo abbiamo spesso preso delle sonore cantonate ed è per questo che ho preso scrupolosamente nota dei nomi che lei ha citato nell’ articolo, ma le sarei immensamente grato se me ne segnalasse altri con le relative specialità. Ringraziandola per il suo interessamento la saluto confidando che continui a divertirci con la sua “prima pagina” su Affari di Gola. Italo Locatelli Brembilla
E
gregio signor Pier Carlo Capozzi, ho letto molto volentieri il suo articolo su Affari di Gola (febbraio 2010) e condivido il suo rammarico! Leggendo anche l’articolo di marzo mi accorgo che la mia precedente e-mail “si è dimenticata di partire”! Mi chiamo Ovidiu, sono un ragazzo rumeno che lavora da qualche anno in una trattoria molto famosa da queste parti, la “Trattoria Taiocchi” aperta all’inizio del secolo, 1928, a Curno, arrivando ora alla quarta generazione Taiocchi. Non posso dire che conosco moltissimo i cosiddetti “piatti della nonna” però mi è capitato di servirli e di vedere moltissima gente sorpresa dal fatto che ci sono ristoranti che fanno ancora queste “specialità”. Questa cosa ha portato me e la mia titolare, Maddalena Fagiani, ad elaborare il servizio e-mail e sms tramite i quali informiamo i nostri clienti delle nostre “Serate Speciali” nelle quali proponiamo questi piatti. Ammiro la sua idea di rilanciare questi piatti in un momento in cui quasi tutti si indirizzano verso la ‘nouvelle cuisine’ e sono molto contento di fare parte di uno
12 Affari di Gola aprile 2010
staff che lotta giorno per giorno contro corrente preparando ancora i piatti della nonna. Le porgo distinti saluti e la ringrazio per la gentile attenzione. Gabriel Ovidiu Trattoria Taiocchi - Curno
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pettabile Redazione, vorrei avere anch’io l’opportunità di ricordare gli esordi del mio ristorante,“Il Frate” di Urgnano, rispondendo al collega che vantava, con legittimo orgoglio, i suoi 40 anni di apertura, in riferimento a “Penna all’arrabbiata” sui piatti della nonna. L’attività, partita nel 1928 con i miei nonni paterni che, nello stesso stabile, avevano aperto un’osteria, passò poi ai miei genitori, Mariuccia ed Elia Sala, che iniziarono l’attività in paese nell’anno 1965. Dapprima era maggiormente in funzione la parte dedicata alla pizzeria, sempre comunque con la presenza di qualche piatto classico in lista. Successivamente, grazie alle origini piacentine di mia mamma, ci siamo specializzati nei primi piatti tipici (“Pisarei e fasò”,“Tortelli di magro”) e nei secondi della tradizione padana come la “Casoeula”, il “Baccalà”, la “Cotoletta alla Milanese” e altro ancora, come voi avete gentilmente evidenziato nel numero di febbraio. Resto dell’idea che non sarà possibile abbandonare le ricette della nostra cucina tipica. Noi, perlomeno, continueremo su questa strada. Grata per la vostra attenzione, vi auguro buon lavoro. Lorenza Sala Ristorante “Il Frate” - Urgnano
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ari amici, è sempre una gioia quando un argomento che proponiamo riscuote così tanto interesse: qualcuno scrive, anche per far conoscere la propria filosofia di lavoro; altri, perlopiù fedeli lettori, ci regalano segnalazioni che, come appare evidente dalla simpatica missiva del signor Locatelli, non cadranno precisamente nel buio. È apprezzabile l’orgoglio da appartenenza che traspare dalla lettera del signor Ovidiu, il quale si sentirà certamente incentivato a studiare meglio qualche ricetta della nostra cucina classica che ovviamente non può ancora conoscere appieno. Lorenza Sala resti fiduciosa: se lei e il suo locale continueranno su questa strada, noi non abbandoneremo lei e tutti i ristoratori di buona volontà in questa battaglia gastronomica tanto antica quanto affascinante. Lasciatemi citare, buon ultimo da parte mia, il menù dell’ “Osteria della Brughiera”, in Villa d’Almè, di martedì 23 febbraio: alla voce “Carni, Pollame e Frattaglie” ho trovato il “Rognone di vitello trifolato con primizie dell’orto in fricassea”, la “Cervella di vitello dorata al burro” e il “Fegato di vitello alla veneta con sottili carciofi e polenta fritta”. Affari di Gola con l’articolo sui piatti della nonna era uscito da pochi giorni: lasciatemi cullare l’idea che Stefano Arrigoni, che comunque propone convinto questo tipo di pietanze, abbia colto al volo la sollecitazione. Mi segnalano inoltre “Ol Giopì e la Margì”, a Bergamo, per il loro “Coniglio di campagna arrosto, bagnato con la grappa”. Poi l’“Osteria Burligo” su a Palazzago, per la “Lingua bollita con verdure in agrodolce” e il ristorante dell’Hotel Costa a Costa Valle Imagna per la “Punta ripiena”.Appena fuori provincia, a Palazzolo sull’Oglio, occhi puntati su l’“Osteria della Villetta” per la Trippa, i Bolliti e le Polpette di carne.Aspettiamo, fiduciosi, altre segnalazioni. Buon appetito a tutti. Pier Carlo Capozzi
Affari di Gola aprile 2010 13
L’INTERVENTO
Guida il tristellato “Dal Pescatore” di Canneto sull’Oglio. E ai ristoratori lancia un messaggio
“Il nostro è un lavoro straordinario, ma oggi servono nuovi approcci” di Antonio Ant A ton onio io San SSantini* a tini ni*
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a situazione economica è certamente difficile, ma tutti i problemi hanno una soluzione, tutto si può risolvere. La mia famiglia gestisce in un piccolo villaggio di 36 abitanti un ristorante dal 1930, un locale che ha subito innumerevoli trasformazioni, adattamenti e stravolgimenti. Certo, all’inizio i clienti per bere un bicchiere di vino e mangiare due pescetti fritti arrivavano in bicicletta o col calesse. Poi via via tutto ha preso uno sviluppo diverso, sono stati fatti dei cambiamenti e la frequentazione si è modificata. Alcuni clienti hanno trovato il cambiamento avventato e sono spariti, altri nuovi però sono arrivati. Nel ‘74 arriviamo io e mia moglie Nadia, ragazzi ventenni, smontiamo tutto e cerchiamo nuovi stimoli girando l’Italia gastronomica e poi la Francia. Erano anni di incertezza economica, ciononostante spendemmo tutti i soldi di papà per acquistare la casa vicina e prendemmo soldi dalla banca (gli interessi erano del 20-25% e la svalutazione molto importante).A mio padre gli amici confidavano che certamente avremmo distrutto il lavoro di due generazioni. Naturalmente Lui, che era un uomo buono, ci appoggiava ma aveva certamente dei dubbi e ne soffriva. Ma aveva fiducia in noi.
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Ci sono o stati stat st a i momenti momentti complicacomplica co ti, ti difficili. difficili Un ricordo: ricevetti ricevet ettti una lettera di un signore di Milano, cliente di papà, che scriveva: “tu riuscirai a distruggere l’opera del nonno e di tuo padre, fermati finché sei in tempo”. Quindici anni dopo mi scrisse una lettera in cui diceva: “Complimenti, siete bravissimi. Io ho sempre pensato che eravate nel giusto”. Questo Signore ora continua a frequentare “il Pescatore” e questo va comunque bene. Poi l’incontro con celebri colleghi italiani (Franco Colombani, Peppino Cantarelli, Gualtiero Marchesi, Gianluigi Morini, Giorgio e Annie Pinchiorri, Dino Boscarato, Gianni Carbone, Ezio Santin, Aldo e Pina Bellini, Aimo e Nadia, Arrigo Cipriani, Angelo Paracucchi, Giancarlo Godio, Andreas Herlig, Sauro Brunicardi) e con tutti gli amici con cui si fondò prima “Linea Italia in cucina” (1980) e poi “Le Soste” (1983). Poi ancora l’incontro, nel 1990, con Relais & Chateaux e poi Les grandes tables du monde. E, grazie a molti colleghi francesi e di altre latitudini, l’apertura sul mondo. Infine, le guide gastronomiche e i giornali che consacrano il Pescatore. Nella vita, perché le cose vadano bene, ci vogliono capacità, fortuna e salute. Basta che una di que-
La famiglia Santini
ste componenti ti abbandoni e sei finito. Quanta acqua è passata sotto i ponti. Ma nulla in pratica è cambiato in questi anni. Per noi come per tutti coloro che svolgono la nostra professione l’entusiasmo è ancora intatto. Basta riuscire a rendere felici degli ospiti e noi siamo felici. Basta un insuccesso e tutto diventa drammaticamente nuvoloso. Per fortuna, nel nostro caso le cose sono andate molto bene ed ora si è già insediata la quarta generazione che contribuisce a portare innovazione con spirito critico per un giusto posizionamento verso i nuovi clienti che sono spesso molto vicini all’età dei nostri figli
Giovanni e Alberto e di Valentina, altra artefice dell’attualità al Pescatore. Il nostro è un lavoro straordinario, affascinante, unico e - lasciatemelo dire - intramontabile. Un ospite soddisfatto, un articolo di un giornale o di un critico gastronomico positivo innesca l’entusiasmo e porta a sognare meraviglie. Certo, spesso l’ultimo degli aspetti che viene considerato è la nostra remunerazione. E da qui partono spesso i problemi più seri. Non possiamo mai dimenticare che la nostra professione si sviluppa in un’azienda, non possiamo prescindere dai numeri, dai bilanci, dai progetti, dai calcoli e dalle previsioni. Può arrivare anche il tempo che bisogna ridimensionare o cambiare impostazione e innovare. Bisogna saperlo fare con lucidità imprenditoriale, essere vigili e concreti nelle valutazioni aziendali. Poi altra questione: i ristoranti cosiddetti gastronomici avranno un futuro? Io penso di si, ma bisogna essere attenti e dinamici, ascolta-
re l’esigenza del consumatore, guidarla un po’ verso le proprie convinzioni. Ognuno di noi, nell’allestimento del ristorante, nella concezione del suo menù, dovrebbe tener conto di ciò che gli piacerebbe trovare quando va a cena con la moglie o con la fidanzata piuttosto che con gli amici. Considerare sempre che la cucina è salute, cultura e piacere. Saper anticipare le esigenze degli ospiti, posizionare l’offerta guardando bene il mercato. Un aspetto che in alcuni casi ha determinato il fallimento di alcuni ristoranti è stato che pur di non perdere clienti si è abbassato il prezzo senza modificare i costi determinando una eccessiva esposizione bancaria e di conseguenza il tracollo economico. Per questo non mi stanco mai di ripetere che per il futuro serviranno sempre più: innovazione e flessibilità, attenzione alle dinamiche aziendali e all’organizzazione, conoscenza dei mercati e della loro evoluzione, dinamicità e relazioni umane. Solo così si diventa vincenti.
*Ristorante “Dal Pescatore” di Canneto sull’Oglio (Mantova)
CORDON BLEU BERGAMO
Quattro incontri per conoscere l’olio di oliva Per una maggiore cultura dell’olio in cucina, l’Associazione Cordon Bleu di Bergamo organizzerà, a partire dal primo lunedì di maggio, un corso interamente dedicato all’olio extravergine d’oliva. Le lezioni, quattro in tutto, si terranno in via dei Cappuccini 13, a Bergamo, nella sede dell’Associazione. Il corso sarà tenuto dall’esperto Marco Antonucci (nella foto), unico iscritto della provincia di Bergamo nell’elenco nazionale dei tecnici ed esperti in oli di oliva. Le lezioni avranno un costo totale di 70 euro e comprendono, oltre alla parte teorica, anche degustazioni, visita a un oliveto e a un frantoio. Nel primo incontro, il 4 maggio, si parlerà dell’origine e della diffusione dell’olio e dei suoi frutti con spazio finale dedicato agli assaggi e prova pratica di degustazione. L’11 maggio l’incontro sarà dedicato ai sistemi e alle fasi critiche della frangitura, al trattamento e conservazione e al confezionamento dell’olio, mentre il 18 l’attenzione sarà spostata sulle etichette e sull’utilizzo dell’olio in cucina. Infine, sabato 22 maggio sarà in programma la visita ad un oliveto e a un frantoio a ciclo continuo. Info: Cordon Bleu Bergamo, tel 035 3591011, www.associazionecordonbleu.it
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Norcini a rischio estinzione. E a Bergamo nasce l’“Associazione” Fondata a Calcinate, ha come obiettivo la valorizzazione e il rilancio dell’antico mestiere
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uella del norcino - l’addetto alla macellazione del maiale e alla trasformazione delle sue carni in gustosi salumi - è una delle figure artigianali che rischiano l’estinzione. Considerato poco redditizio, pesante da affrontare, concentrato in pochi mesi all’anno, il “masadur” ha un appeal tra le nuove generazioni pressoché nullo. Insomma, tanto piace il salame o il prosciutto, quanto è “snobbato” il mestiere di chi li
prepara. Sicché il rischio è quello di ritrovarsi tra pochi anni senza maestri capaci di tramandare questa antichissima tradizione. Uno scenario che preoccupa gli addetti ai lavori, tanto da averli spinti, lo scorso 19 gennaio, a costituire l’Associazione Norcini Bergamaschi, con sede legale in via Dante Alighieri a Calcinate. Le finalità del nuovo sodalizio - che conta già una quarantina di soci - sono poche ma ben definite: valorizzare la figura e il mestiere del nor-
cino, promuovere i prodotti tipici della salumeria bergamasca, tutelare le produzioni suinicole di qualità (dall’allevamento alla fase di trasformazione delle carni) e favorire le conoscenze tecniche e normative per migliorare gli standard igienicosanitari e organolettici dei prodotti. Presidente della neonata associazione è Paolo Luisoni, allevatore di Calcinate. Lo affiancano il vicepresidente Alex Brignoli e i consiglieri Bernardino Mazza, Mattia Galbiati,
LA FIERA
Valcalepio, al Vinitaly si ripete l’emozione in “Piazza” Emozionare in Fiera tramite la sua Piazza Valcalepio. È questo l’obiettivo che il Consorzio di Tutela Valcalepio ha voluto perseguire con la partecipazione all’ultimo Vinitaly (spazio B9-C9 PalaExpo Lombardia). Una piazza perché è per eccellenza il luogo in cui la gente si incontra, parla, socializza, mangia e beve.Tutte esperienze che chi ha visitato la “Piazza” ha avuto la possibilità di vivere grazie alla collaborazione dei soci e di Agripromo, che ha fornito i prodotti gastronomici tipici della Bergamasca. La piazza come centro di socializzazione dunque, ma anche come luogo per apprezzare un nuovo modo di bere grazie alla presenza di un barman acrobatico. Hanno partecipato all’evento 17 aziende:
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Il Calepino di Castelli Calepio, il Cipresso di Scanzorosciate, la Rovere, Magri Eligio, la Tordela di Torre de’ Roveri, Locatelli Caffi di Chiuduno, Medolago Albani di Trescore Balneario, Pecis Angelo, Pedrinis e Castello degli Angeli di Carobbio degli Angeli, l’azienda Sant’ Egidio di Sotto il Monte, Tallarini di Gandosso, Cascina Del Bosco di Petosino di Sorisole, la Collina di Grumello del Monte, la Cantina Sociale Bergamasca di San Paolo d’Argon, La Rocchetta di Villongo e la Quattroerre di Torre de’ Roveri. Immagini pubblicate per gentile concessione del sito: www.vinoflash.it
Paolo Luisoni
Gualtiero Borella, Lorenzo Algeri e Giuseppe Maffeis.“L’idea di costituire un’associazione - spiega Luisoni - è scaturita durante un recente corso di formazione per norcini svoltosi a Calcinate, corso a cui hanno partecipato 64 aspiranti ed esperti del mestiere provenienti da tutta la provincia. In quella occasione è emersa una comune considerazione; ovvero che vi è una continua riduzione dei praticanti esperti del mestiere del norcino. Constatazione che purtroppo, se non si correrà ai ripari, porterà ad una lenta ma inesorabile scomparsa dei prodotti tradizionali bergamaschi”. “Il mestiere, in effetti, è ormai praticato da anziani - aggiunge il presidente - e non c’è ricambio generazionale. Non perché non ci siano giovani che vogliono imparare, ma perché non è sentito come un mestiere, un lavoro in grado di dare sostentamento e l’industria è sempre più automatizzata e
non ha più operai preparati, capaci di eseguire tutto il ciclo di produzione in modo autonomo.Tutto questo, combinato alle difficoltà di allevare i suini ad uso famigliare e sommato alla pubblicità incessante che spinge il consumatore medio a preferire un prodotto industrializzato che trova facilmente in un qualsiasi negozio, porta alla perdita della cultura del prodotto tipico del luogo”. “Ecco perché - incalza il consigliere Gualtiero Borella, del servizio igiene degli alimenti di origine animale dell’Asl di Bergamo - vogliamo essere ambiziosi e puntare su una formazione ben articolata e con molte esercitazioni pratiche per dare all’allievo il tempo per apprendere ed esercitarsi bene. Per le lezioni teoriche abbiamo scelto docenti laureati che esercitano professionalmente nel settore della suinicoltura o delle carni e dell’Asl, mentre per le prove pratiche, in laboratori at-
trezzati, abbiamo selezionato esperti che hanno lavorato per trent’anni in un’industria locale che è leader mondiale per la qualità dei prodotti e per la tecnica di lavorazione”. Allo studio dell’Associazione anche la realizzazione di un Dvd per raggiungere il maggior numero di aspiranti possibile e dare una formazione di base partendo dalle conoscenze più elementari.
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IL RISTORANTE di Lelia Parisi
“Settecento”, il bello e il buono Alessandra Gotti e lo chef Antonio Cuomo
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iò che più colpisce di questo albergo-ristorante di Presezzo è che non te lo immagini proprio. Non te lo immagini qui. Non sul tratto che collega Ponte San Pietro alla superstrada, disseminato di capannoni, grigio, anonimo e trafficato. Non te lo immagini così. Non dietro a quella scritta con caratteri a bastone “Hotel Congressi Ristorante” posta all’ingresso con accanto il nome “Settecento” vergato in maiuscolo, dietro la quale pensi in fondo si celi uno dei tanti hotel a quattro stelle con centro congressi e ristorante, eleganti, accoglienti, certo, ma tutti abbastanza omologati. Ma poi varchi l’ingresso ed entri in quelle sale e subito ti assale un senso di straniamento: lo scollamento tra ciò che ti aspetti e ciò che ti trovi davanti. Una specie di galleria d’arte contemporanea che si snoda in ambienti d’epoca imbevuti di storia, ciascuno con un suo linguaggio architettonico, in base al periodo di costruzione (tra Cinque e Settecento) e all’originaria destinazione
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Il locale ricavato all’interno del palazzo d’epoca (ora anche albergo e centro congressi) è una specie di galleria d’arte contemporanea. Qui a vincere è la cucina semplice ma elegante, grazie al sapiente utilizzo di prodotti nazionali e di ingredienti poveri locali
d’uso. Dove ciò che colpisce non è tanto l’ineccepibilità del restauro, ma la capacità di riattualizzazione del passato, di raccordo tra antico e nuovo, affidata a scelte originali, semplici e quindi ad alto voltaggio intellettuale, che non possono certo essere fortuite. E che non ti spieghi finché non scopri che la giovane patronne Alessandra Gotti, che per prima cosa ti confessa, quasi imbarazzata, di non avere molta esperienza in cucina, bensì solo come cameriera in sala, è una provetta restauratrice (lo testimonia la sua opera di recupero) e pure un architetto, come entrambi i genitori, con il papà che per di più è prolifico scultore, collezionista e co-autore delle tante opere disseminate all’interno e all’esterno dell’edificio (la paternità delle tele è di Aldo Mignano). Sculture e pezzi d’arredo ispirati al contemporaneo, dallo spazialismo all’informale fino all’arte povera, con uso innovativo di materiali materi classici come legno e metallo, e poi moduli seriali in legno e acrilico policromo che si susacr seguono ossessivamente con una ripetitività da mantra, quasi una ripetit febbre febbr elettrica che attraversa ogni ogn stanza, facendola pulsare di colore e di vita. Fin qui l’ambiente. Dove F prendi posto in una delle tante salette, tutte diverse, tutte intime, tra pareti in pietra consumate dal tempo o sotto leziosi stucchi avorio
o tra i putti festanti degli affreschi 500eschi della cappelletta, tra mobili antichi che sanno di antico e mobili antichi riattualizzati da coloratissime lacche, per un’esperienza che capisci subito non si limiterà solo al cibo. Ma in cui il cibo è comunque indiscusso protagonista.Affidato alle arti del giovane Antonio Cuomo, chef trentenne di origini partenopee, ma a Bergamo da 10 anni, coadiuvato da Andrea Janku. Che pratica di rigore una cucina semplice ed elegante, all’insegna di un refrain sempre più in voga, l’utilizzo (quasi) esclusivo di prodotti nazionali e di ingredienti poveri locali.“Una filosofia - precisa Cuomo - che perseguo da sempre, senza farmi condizionare dalle mode, perché se corri dietro a tutte le tendenze che vanno e vengono rischi di dimenticare i sapori basilari e di perdere di vista ciò che conta. La concentrazione sul prodotto e sulle sue possibilità espressive”. La sua rilettura dei classici di mare e terra prevede un ampio margine di discrezionalità e largo uso di erbe e aromi. Dagli ottimi gamberoni al sauté con maggiorana e finocchi saltati alla delicata insalatina di astice a vapore con cozze, basilico, rucola e pomodorino, dai tagliolini ai ricci di mare freschi notevoli come i ravioli di verza stufata con uvetta e pinoli, dal maialino con cavolfiori (unico piatto leggermente irrisolto) al convincente arrosto di vitello cotto sottovuoto per 78 ore e ripassato in padella col suo fondo di cottura
IL GIUDIZIO AMBIENTE
e con carote e mele croccanti salate, la cucina del Settecento è una carrellata di sapori nitidi, di equilibri messi a punto col bilancino da farmacista. Perché c’è prodotto e prodotto. Per esempio, la verza che Cuomo usa per i suoi ravioli è quella tipica locale, molto più piccola e scura delle altre, dal retrogusto amarognolo, da bilanciare con uvetta e pinoli. Basterebbe sbagliare il tipo di verza e i delicati equilibri di sapore andrebbero in fumo. Accanto ai classici rivisitati, trovan posto abbinamenti più meditati, come la crema di patate con frittelle di taleggio (ludica concessione al finger food), il risotto con buccia d’arancia e ragù di petto d’anatra (citazione dell’anatra all’arancia), l’ossobuco di vitello arrosto con crema di riso allo zafferano (reminiscenza del risotto con ossobuco alla milanese), il merluzzo fresco con zuppetta di ceci e vongole, omaggio alla zuppa laziale. Il capitolo dei dessert è un altro dei vanti di questa cucina. Creatività no limits, anche perché i dolci si prestano a rimandi all’architettura e qui l’ispirazione certo non manca. Ingredienti classici come pere e cioccolato, estrapolati dal loro contesto abituale, vengono riproposti in forma liquida abbinati a rhum e sottili pastefrolle, sorbetti coloratissimi di frutta si avvitano in forme ellittiche e dinamiche come le architetture di Daniel Bosia, in un ultimo atto di seduzione. Peccato che alla fine arrivi il conto, moderato, circa 45-50 euro a persona vini esclusi, a chiudere quest’oasi d’arte e di quiete e a ripiombarci sulla desolata trafficata statale per Bergamo.
RISTORANTE SETTECENTO via Milano, 3 - Presezzo tel. 035 4517003 chiuso il sabato e la domenica a pranzo
9/10
Il complesso che forma l’albergo-ristorante-centro congressi Settecento è stato oggetto di una recente operazione di recupero che l’ha restituito al suo originario splendore. Dalla cappella di fine ‘500 con affreschi originali, all’austera villa padronale del ‘700 con l’annessa cascina, è tutto un susseguirsi di stanze dai linguaggi più diversi, rustici e aulici, adibite a salette da pranzo, sala da colazione e da buffet. Lo spazio esterno con fontana, disseminato di sculture, in continuità con gli interni, è uno scenario ottimale per pranzi e cene nella stagione estiva. 40 i coperti interni.
CUCINA
22/30
Creato due anni fa, quando la famiglia Gotti decise la nuova destinazione del complesso, il ristorante si avvale in cucina della collaborazione di due giovani cuochi rampanti, Antonio Cuomo, chef, e Andrea Janku, suo secondo. Campano, figlio d’arte, Cuomo si è formato professionalmente a Bergamo, al San Marco, al Santambroeus in Città Alta e dal 2002 al 2007 al Cappello d’Oro.Abile nello svariare su tutta la cucina di terra e di mare, la sua bussola è la semplicità e la valorizzazione del prodotto in tutte le sue sfumature. La sua è una rilettura in chiave personale della cucina classica, in cui privilegia il prodotto italiano e locale (anche se va matto per il “profumo ineguagliabile” della menta del Marocco) che lui stesso va ad acquistare, che sia il pesce da Orobica Pesca o le verdure al mercato di Seriate. Perché tutto parte dal prodotto, ma finisce in niente se questo non è all’altezza.
CANTINA
14/20
140 le etichette nella carta dei vini, di cui 30 lombarde. Vige il diritto di tappo sulla bottiglia non terminata, che il personale vi proporrà di portare a casa, evitandovi l’imbarazzo di doverlo chiedere. Vino anche al calice. Ricarichi nella media.
COMPETENZA
8/10
È una cucina meditata quella di Cuomo, per il quale la creazione di un piatto non è mai casuale, ma sempre frutto di una lunga gestazione.“Ci può essere l’intuizione improvvisa, ma la lascio decantare e poi torno ad affinarla. In genere parto da uno schema di base, per esempio, ossobuco e riso, oppure pere e cioccolato, che sono l’impalcatura di piatti tradizionali come il risotto alla milanese con ossobuco e la torta di pere e cioccolato, e poi lavoro per addizione e sottrazione e sulle consistenze, fino a ottenere un risultato del tutto nuovo”. Che “scardina” la ricetta di riferimento, estrapolando gli ingredienti dallo schema delle loro associazioni consuete e inserendoli in una nuova sintassi. Molto curato anche il design dei piatti.“Ma la preparazione del piatto e l’impiattamento devono essere due operazioni slegate. Una volta elaborato il piatto, e solo allora, ci concentriamo sul suo aspetto estetico”.
SERVIZIO
8/10
Ottimo il servizio ai tavoli, svolto da un impeccabile Roberto Forcella, attento alle esigenze e al benessere dell’ospite. I suoi trascorsi come cuoco (non è un dettaglio da poco) ne fanno una preziosa presenza in sala.
RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO
8,5/10
Buono il rapporto qualità/prezzo che non paga solo materie prime di alta qualità ed esecuzioni impeccabili, ma anche l’ambiente irripetibile in cui si è immersi. Se uno dei rimproveri mossi alla ristorazione italiana è di essere in generale troppo sbilanciata su esecuzioni e cucina a scapito di ambientazione e servizio, qui non c’è nulla da recriminare: il Settecento fa il poker d’assi. Pranzo di lavoro di pari livello a 25 euro, con due portate e calice di vino. p.s.
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LA PROFESSIONE
Così la fotografia può esaltare un piatto Parla Paolo Chiodini, appassionato di fashion, still e food photography. Spiega il difficile lavoro che sta a monte dello scatto perfetto e come si valorizza il cibo.“Photoshop? Incide al 30% sul risultato”
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inquemila scatti a ritmi di marcia forzata per immortalare i piatti presentati al Bocuse d’Or in pochi secondi, lasciando alla giuria l’onore e l’onere della degustazione, stuzzicando l’appetito e stimolando la fantasia di chi si trova ora davanti a foto da incorniciare. Il lavoro di fotoreportage, tutt’altro che semplice, è stato affidato allo studio fotografico Phototecnica, che ha raccontato attraverso le immagini l’arte culinaria dei sedici chef impegnati nella sfida in fiera ed ha ritratto ogni momento della manifestazione: dalle fasi del concorso alla cena di gala, dal lavoro della giuria al backstage dell’evento. Due arti, la fotografia e il cibo, che vanno a nozze, tanto che un ricettario senza foto è come un catalogo di una mostra senza quadri: la mano dello chef e la sua fantasia nel nobilitare le materie prime e la sensibilità di chi sta dietro l’obbiettivo ed interpreta al meglio la filosofia e l’anima della cucina che sta dietro ad un piatto rappresentano un connubio perfetto che vede il cibo unico protagonista, affrontato e visto in modo sempre nuovo e personale. Paolo Chiodini, professionista di fashion, still e food photography, autore delle foto pubblicate nel libro “Pensavo fosse...invece è. Giochi di percezione nel gusto” dello chef Francesco Gotti, racconta la sua passione e ciò che sta dietro ad uno scatto perfetto: “Da sempre sono attratto dal mondo della cucina e da tutto ciò che ruota attorno al pianeta enogastronomia. La mia specializzazione è il coronamento di un sogno: fotografare un piatto significa interpretarlo, esaltandone volumi, proporzioni, freschezza ed appetibilità, facendo emergere l’anima e l’essenza di ogni pietanza”. Lo stile è pulito, composto ed equilibrato: vengono valorizzati al meglio sia il
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cibo sia l’estro dello chef che lo ha realizzato, il tutto interpretato ma non stravolto dalla visione artistica del fotografo. Il lavoro al Bocuse d’Or è stata un’esperienza di reportage, totalmente diversa dal lavoro in studio:”I piatti durante uno shooting fotografico vengono realizzati appositamente per essere fotografati e non mancano piccoli escamotage per rendere il piatto più appetibile per l’obbiettivo: dalle gocce di freschezza realizzate con glicerina ad altri composti chimici per dare l’idea di un piatto fumante - spiega Chiodini -. Al Bocuse il lavoro è stato decisamente più adrenalinico: avendo a disposizione solo pochi istanti per gli scatti, avevamo predisposto un set particolare che riuscisse a coniugare le necessità fotografiche con le esigenze e le tempistiche del concorso. C’è stato un attento studio delle luci, in particolare per ritrarre le composizioni realizzate sui vassoi d’argento, metallo sempre ostico da fotografare per i problemi di rifrazione”. A fianco dell’area del concorso è stato realizzato uno spazio con un fondo d’oro per ritrarre gli chef ed i protagonisti della manifestazione che, seduti su cubi d’oro, d’argento e di bronzo (a rappresentare il podio del concorso) sono stati immortalati tra fumi e bolle di sapone. E poi, come nell’era pre-digitale si andava in camera oscura, ora l’appuntamento è davanti al pc con l’editing per gli ultimi ritocchi: Photoshop conta un buon 30 per cento sul risultato delle foto, anche se ogni fotografo, in base alla sua sensibilità, cerca di trarre il meglio nella fase dello scatto, delegando alla fase del ritocco solo le imperfezioni del soggetto. Per il concorso e per il reportage dell’intera manifestazione Paolo Chiodini ed il suo socio Lorenzo Manzoni si sono avvalsi di uno staff di sette fotografi.
In attesa della tappa a Ginevra Gine
le immagini di una “Selezione” Fra poche settimane, l’8 giugno, lo chef bergamasco Alberto Zanoletti parteciperà a Ginevra in Svizzera, alla selezione europea del Bocuse d’Or, tappa decisiva per poter approdare alla finale mondiale di Lione, nel gennaio 2011. In attesa degli eventi, abbiamo voluto ripercorrere la due giorni della selezione italiana - che si è tenuta alla fiera di Bergamo - attraverso le immagini scattate dal team di Phototecnica. Buon viaggio
Giocando con le immagini, abbiamo già mandato Alberto Zanoletti a Ginevra
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L’inizio
Gli ospiti p
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La g gara ra
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La g giuria
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Il tifo
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Il servizio in sala
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Le p premiazioni
Affari di Gola aprile 2010 VII
VIII Affari di Gola aprile 2010
Che sfida! 800 coperti serviti in due ore Ecco come si realizza una serata di gala di successo, con 120 persone all’opera (tra cucina e sala), 4 camion di materie prime da gestire e una regia sempre impeccabile. Il racconto dello chef Gotti
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n galà da ricordare. Sono da capogiro i numeri della cena che ha chiuso il primo giorno del Bocuse d’Or e di Cooking Expo in Fiera, con un menù di tre portate e dessert studiato per 800 persone (vegani, vegetariani, celiachi e musulmani compresi) e servito in meno di due ore alla bellezza di 757 persone (questo il numero definitivo dei capi lasciati in guardaroba). “Con questo ricevimento - sottolinea Francesco Gotti - abbiamo vinto una piccolo Bocuse d’Or del banqueting”. Difficile dargli torto: nelle 4 cucine create in ogni angolo del padiglione e tenute d’occhio via radio da Gotti, hanno fatto la spola 4 camion frigo, con materie prime per un reggimento. Basti pensare solo ai 2 quintali di pane, preparati da Tiziano Casillo, e tagliati da dieci chef un’ora prima dell’inizio della cena per mantenere intatta la fragranza. O agli 800 asparagi, 800 carciofi, ai 40 chili di spinacini e agli altrettanti di cipollotti, ai 50 chili di coniglio da tagliare a coltello e ai 30 chili di formai de mut. A gestire il tutto una brigata tra cucina e sala di 120 persone: 28 chef coordinati da Francesco Gotti, 65 camerieri, 15 sommelier e tante braccia e mani pronte a caricare e scaricare verdure da mondare, pesce da pulire, casse d’acqua e vino. Questo il menù realizzato dai docenti dell’Accademia del Gusto: “Tiepido di seppia e macco di piselli al profumo di basilico”, l’antipasto realizzato da Fabrizio Ferrari; a seguire la “Millefoglie di mais con ragù di coniglio, formai de mut e tartufo nero orobico”, realizzata da Francesco Gotti; il “Lombo di agnello in crosta di pane aromatizzato su fondo di carciofo in salsa al Valcalepio”, realizzato da Federico Coria; e,
dulcis in fundo,“Ultima tentazione Dolce a sorpresa”, realizzato da Giancarlo Cortinovis e Gianni Pina. “Il conto alla rovescia per l’evento è iniziato settimane prima, ma il week-end a ridosso della serata di gala è stato una full-immersion, anche di 21 ore al giorno, tra preparazioni, allestimenti, organizzazione e trasporto - spiega Gotti -. La cucina è stata espressa a tutti gli effetti: senza difficoltà, con un’organizzazione meticolosa ed un’assegnazione dei compiti rigorosa per evitare sovrapposizioni, in tavola sono arrivati piatti perfetti ai quasi 800 ospiti, dalle 4 linee di cucina con 6 chef in batteria e un responsabile a fare da supervisore”. Per realizzare 800 piatti identici tra loro, le ferree direttive da rispettare nell’esecuzione erano riportate sulle pareti di ogni cucina: gli asparagi dovevano essere lunghi tassativamente 18 centimetri, le seppie sfibrate a mano e cotte sottovuoto al momento a 60 gradi in 6 minuti, le lasagnette di mais lavorate a mano in 5 dischi, coppate e cotte in forno, il lombo d’agnello cotto a 52 gradi al cuore, il carciofo cotto al forno, raffreddato, farcito di cipollotti e spinaci.Tutto calcolato al secondo e al millimetro, dall’ a alla z, mettendo in conto anche ogni imprevisto, dal problema più piccolo a quello più grande, con un’organizzazione perfetta della sala supervisionata da Valter Maffioletti:“Ci siamo organizzati per ogni evenienza: in caso di problemi con forni e piastre a induzione, avevamo all’esterno del padiglione quattro linee di cucina a gas pronte per l’uso”. Incredibile il numero di attrezzature impiegate:“solo” 1.000, tanto per dare una dimensione del banchetto, le teglie gastronomiche impiegate.
LA NOVITÀ di Leo Bartoli
“Ol formai de Bolter”, appena nato e già vincente Si chiama Aurelia Rossi, ha 27 anni, e da due nella sua azienda agricola produce un nuovo vaccino che va letteralmente a ruba. Tanto da non riuscire a sperimentare lunghe stagionature.“Il mio sogno? Arrivare a un anno di invecchiamento”
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ella provincia italiana a più alta vocazione casearia (Bergamo è capitale delle Dop) l’arrivo di un nuovo formaggio è sempre un’emozione: in passato Affari di Gola ha già tenuto a battesimo intuizioni felici come il capra lavorato a grana, lo zola al peperoncino o il blu di bufala, che al di là della tradizione fanno della Bergamasca un laboratorio caseario continuo. Quando però un cacio nasce puntando su una forte identificazione con il suo territorio, allora si può dire che siamo di fronte alla quadratura del cerchio, o in questo caso della forma. Così, già da due anni esatti, in un’azienda agricola ai margini del paese, è nato Ol Formai de Bolter, già diventato un vero vanto di Boltiere, nonostante le ancora poche centinaia di forme che vanno letteralmente a ruba appena prodotte. La nascita di questo vaccino di 6-7 chili (forma cilindrica, diametro di 25-30 cm) si deve all’ostinazione di una ragazza diplomata all’Agraria,Aurelia Rossi, 27 anni, titolare con i genitori e la sorella dell’omonima azienda agricola, che da conferitrice di latte si è riconvertita in piccolo caseificio, diventando anche fattoria didattica di riferimento nella zona. “Dal 2006 ho comin-
ciato questa attività che mi sta dando grande soddisfazione - spiega Aurelia - aiutata in tutte le fasi della caseificazione da mia mamma Lidia, mentre mia sorella Elena accoglie i bambini per le attività della fattoria didattica. Ho subito puntato su una serie di formaggi freschi, dal primo sale, che ha subito riscosso successo soprattutto d’inverno, mentre d’estate vanno molto forte le mozzarelle fior di latte, il mascarpone e gli yogurt. Col tempo ho allargato la gamma ai tomini aromatizzati, alla ricotta, lo stracchino, le caciotte, lanciandomi anche sul fronte degli erborinati, con un blu molto simile al gorgonzola, stagionati 5 mesi. Però, nonostante il buon successo riscosso tra i miei compaesani, molti dei quali ormai sono miei clienti fedelissimi, sentivo che il mio lavoro era incompiuto.Volevo infatti creare un formaggio tutto mio, dalle caratteristiche particolari, che diventasse anche un simbolo per il mio paese, Boltiere”. Così Aurelia cominciò a sperimentare con l’aiuto di un casaro esperto, Fausto Crippa, e a forza di tentativi, due anni fa è nato Ol Formai de Bolter, sorta di toma dolce, forma compatta dal peso che varia dai 6 ai 7 chili, color paglierino, con un paio di mesi di stagionatura (il prezzo è di 12 euro al chilo), che si avvicina alla gradevolezza del Branzi, seppur con tonalità di sapore differenti “sia per il tipo diverso di latte che di alimentazione delle mie frisone”, spiega Aurelia. Come un battesimo che si rispetti, la nuova “creatura” presentata sia in caseificio che in altri punti strategici del paese in occasione della Pasqua 2008, ha subito destato curiosità sia a Boltiere che nei paesi vicini, tanto che la 30-40 forme iniziali sono state “bruciate” nel giro di pochi giorni. Il fatto poi che questo formaggio rafforzasse il senso di appartenenza portando il nome del paese, puntando a diventarne col tempo uno degli emblemi sul fronte gastronomico, ha fatto il resto. Ora Aurelia, che vorrebbe tanto proseguire a fare esperimenti col suo formaggio, spingendosi con la stagiona-
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tura oltre i 3-4 mesi (“anche se il mio sogno è provare ad arrivare a un anno, magari creando un’alternativa da grattugia”), non può farlo, perché la richiesta è talmente alta che in alcuni momenti dell’anno (soprattutto a Natale, Pasqua e in estate) non gli resta in casa neppure una forma.Anche il sindaco di Boltiere Osvaldo Palazzini è tra gli ammiratori del prodotto:“L’ho assaggiato ed effettivamente lo trovo squisito. Ma credo sia soprattutto un ottimo biglietto da visita enogastronomico per il nostro territorio e per chi arriva da fuori e vuole conoscere Boltiere”. “La soddisfazione è grande - conclude Aurelia - perché non ci aspettavamo in poco tempo un risultato del genere. Adesso tante massaie mi chiedono con che piatti va accompagnato il mio formaggio: io rispondo che nella polenta taragna e con i pizzoccheri troveranno una grande resa, ma la soddisfazione più grande sarebbe vederlo gustare a fine pasto da solo, in purezza, o accompagnato da qualche miele particolare”. Anche tra i piccoli visitatori delle fattorie didattiche Ol Formai è diventato popolarissimo, al punto che la sorella di Aurelia, Elena, che insegna ai bambini le tecniche di caseificazione, spiega:“Alla fine ogni studente si porta a casa il piccolo formaggino realizzato con le proprie mani. E i loro volti quando gli incartiamo la “creatura,” tradiscono davvero una soddisfazione enorme”.
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L’ORTAGGIO di Anna Facci
A caccia di asparagi In Bergamasca non sono mai stati una produzione diffusa. Scomparse anche le piccole colture presenti fino ad una decina di anni fa, oggi hanno trovato spazio in aziende bio con vendita diretta. E così si scova il gusto inimitabile del germoglio colto sul posto
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ire che è di nicchia sembra già troppo. In effetti, tra le produzioni orticole della Bergamasca, quella degli asparagi non è proprio una delle prime che balza in mente. Le piccole colture locali di cui si ha qualche testimonianza (ad esempio sui Colli di Bergamo fino ad una decina d’anni fa), rivelatesi meno redditizie di altre scelte, hanno ceduto completamente il passo alle più strutturate coltivazioni dei territori maggiormente vocati (dal Veneto all’Emilia, dalla Campania alla Puglia alla Sardegna, tanto per rimanere in Italia) così che nei canali tradizionali dell’ortofrutta non è rimasta traccia di asparagi made in Bg. La stagione però è quella giusta, l’aria frizzante e il sole tiepido della primavera invitano alla ricerca, a scovare il gusto inimitabile del prodotto colto sul posto. Già, perché, senza nulla togliere agli efficientissimi sistemi di trasporto e conservazione, è proprio la freschezza ad esaltare le caratteristiche dell’asparago. Con il piacere della scoperta golosa a fare da guida, ecco allora che anche in Bergamasca si incontrano alcune realtà agricole in cui il fragrante turione trova un suo perché. Si tratta di piccole produzioni biologiche di aziende che puntano sulla rotazione, sulla diversificazio-
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ne e sulla vendita diretta o l’utilizzo nell’ambito agrituristico. All’azienda agricola biologica La Mariposa di Arcene, che da tre anni è anche agriturismo Cascina San Marco, la produzione di asparagi è stata avviata da cinque anni e sta guadagnando spazio. «Mio zio li aveva sempre avuti nell’orto – racconta Marco Scotti, socio dell’attività insieme con Elia Iseni – è così abbiamo cominciato anche noi». Il metodo di coltura è stato calibrato in base ai dettami dell’agricoltura biologica e alle esigenze della piccola azienda. «È vero – prosegue Scotti – in Bergamasca non c’è grande tradizione, probabilmente anche perché manca il terreno adatto, che deve essere molto soffice, sabbioso. Noi abbiamo ovviato coprendo la terra con la paglia, in questo modo si
tengono alla larga le infestanti e il germoglio riesce a spuntare. Il raccolto è effettuato a mano e, a differenza delle colture tradizionali dove la lama scende anche in profondità, il nostro taglio è un po’ più alto». Dopo un primo “esperimento”, all’asparago è dedicata ora una superficie di circa 200 metri quadrati. «Alcune file vengono coperte – spiega Scotti – così gli asparagi possono essere raccolti già dall’inizio di marzo e sono bianchi perché cresciuti al buio. Quelli all’aperto sono pronti un mese dopo e, avendo ricevuto la luce, sono verdi e la loro raccolta continua fino a giugno. I primi hanno un sapore più delicato, non direi però che sono più pregiati dato che, come per tutti gli ortaggi, è il sole a dare il gusto pieno». Gli asparagi si sono perciò conquistati un posto tra le produzioni della Mariposa, anche se si tratta sempre di piccole quantità: circa 20 chili ogni due giorni, destinati in prevalenza alla cucina dell’agriturismo (la specialità è il risotto), il resto venduto nello spaccio. A mazzetti vengono proposti, insieme ad altri prodotti dell’azienda, anche agli ospiti che, dopo il pranzo o la cena, possono portarsi a casa un verde souvenir. «Il prodotto ha registrato un buon interesse – conclude Scotti – e così abbiamo incrementato la produzio-
ne. Per quanto riguarda la coltivazione, possiamo dire che è una pianta che si difende da sola e questo ben si coniuga con il metodo biologico». Nell’impostazione aziendale l’asparago resta comunque una chicca in più tra tante piccole produzioni, quasi tutte esclusivamente rivolte all’autoconsumo in agriturismo o alla vendita diretta. Scotti e Iseni, un passato sulle macchine a controllo numerico per il primo, da tipografo per il secondo, dal 2001 si sono pienamente calati nei panni degli agricoltori (ma anche di muratori, falegnami e poi ancora cuochi, visto che la casa in legno dell’agriturismo l’hanno tirata su loro e la gestiscono in prima persona) e si dedicano all’allevamento di maiali, conigli, galline, faraone e quaglie, coltivano il grano con cui fanno il pane nel forno a legna e i cerali per gli animali, producono frutta, piccoli frutti, verdure e miele in una logica bio e di filiera cortissima. Esperien-
za simile è quella di Erminio Parigi a Credaro. Anche la sua è un’azienda agricola biologica con vendita diretta. È nata dieci anni fa e il titolare ama sperimentare e variare le colture proprio per offrire sempre qualcosa di diverso ai clienti in accordo col mutare delle stagioni. Coltiva, ad esempio, diverse varietà di pomodori e di zucchine, da quelle tonde a quelle lunghe di Albenga, peperoni, compresi quelli lombardi, zucche, meloni, angurie ed ha anche lanciato il topinambur. «Gli asparagi sono un’opportunità di integrazione del reddito – chiarisce -. C’era un pezzo di terreno piuttosto scomodo per la lavorazione con i mezzi meccanici ed ho optato per gli asparagi, della varietà d’Argenteuil». Anziché la paglia, Parigi ha scelto il telo plastico per tenere lontane le erbe infestati. «Così non c’è bisogno di lavorare la terra – dice –. La pianta non ha bisogno di molta cura, una volta l’anno si taglia tutta la parte aerea che si è
sviluppata e poi si aspettano i nuovi germogli». Se si parte dalla piantina, gli asparagi cominciano a spuntare l’anno successivo, la produzione raggiunge il livello ottimale dopo qualche anno e può durare fino a 10-15 anni. «Un altro vantaggio – dice Parigi – è che gli asparagi si raccolgono in un periodo precedente rispetto ad altri ortaggi, il che permette di organizzare meglio il lavoro e l’offerta». In una logica che punta ai numeri la coltura dell’asparago, che fornisce un solo raccolto ed occupa il terreno per tutto il resto dell’anno, parte svantaggiata rispetto a quella di altri ortaggi, si pensi alle insalate, dove è possibile effettuare più tagli. In una piccola realtà come quella di Erminio Parigi ha invece un suo spazio. Oggi il raccolto è di 4 o 5 chili ogni due giorni, sono venduti a 9 euro al chilo e vanno letteralmente a ruba: «C’è gente che viene a comprarli anche due volte a settimana», rileva.
Marco Scotti ed Elia Iseni
Erminio Parigi
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AZIENDA AGRICOLA PARIGI ERMINIO Via Maglio dell’Oglio – Credaro tel. 338 1865633
L’Italia ne produce 43mila tonnellate L’Italia è il terzo paese in Europa per la produzione di asparagi. Con 43mila tonnellate prodotte nel 2009 segue la Germania (prima con 98mila tonnellate) e la Spagna (48mila tonnellate). Nel vecchio continente si concentra il 25% della produzione mondiale (240mila tonnellate su una superficie di circa 60mila ettari).
L’asparago viene coltivato anche in America, soprattutto in Perù (284mila tonnellate) e Messico (60mila tonnellate), che sono i principali esportatori al mondo, e negli Stati Uniti (50mila tonnellate). La coltura è sviluppata anche in Asia, in particolare in Cina, primo paese produttore al mondo. La produzione europea
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CONOSCIAMOLI MEGLIO
Il sapore della primavera Non si sono scervellati molto gli antichi quando hanno dovuto dare un nome a quei “pungiglioni” che spuntavano dal terreno. I persiani li hanno chiamati asparag, i greci aspharagos, che altro non significa se non germogli. Gli asparagi sono infatti i germogli primaverili, che crescono alla base di rizomi legnosi, denominati zampe, di una pianta erbacea perenne, originaria della Mesopotamia. Le cime sono dette turioni. Diversamente da molte altre verdure, dove i germogli più piccoli e fini sono anche i più teneri, sono gli steli più grossi degli asparagi, che hanno una maggiore polpa rispetto allo spessore della pelle, ad essere più morbidi e piacevoli al palato. DI TUTTI I COLORI Siamo abituati a vederli verdi e probabilmente pensiamo che siano un po’ tutti uguali. Le varietà di asparagi, invece, sono numerose e si distinguono per aspetto, sapore e tipologia di coltivazione. Gli asparagi bianchi vengono coltivati in assenza di luce durante la crescita. In questa categoria rientra l’Asparago Bianco di Bassano, che nel 2007 ha ottenuto la Dop. I turioni si sviluppano sotto terra in terreni appositamente preparati in modo da restare al riparo dalla luce del sole. Delicati e fragranti, basta pelarli e possono essere gustati in tutta la loro lunghezza e sono caratterizzati da un particolare equilibrio dolceamaro dato dalla particolare composizione dei terreni. Sono commercializzati in mazzi legati manualmente con una stroppa di salice. Bianchi sono anche l’asparago di Cesena, il Nobile Asparago Bianco di Verona e l’Asparago Bianco di Cimadolmo Igp, coltivato in alcuni comuni del Trevigiano sulla riva sinistra del Piave, trovando fertile accoglienza nel limo lasciato dalle diversioni del corso del fiume in seguito alle frequenti alluvioni. Il Veneto, con il 29% della superficie nazionale dedicata agli asparagi è la regione leader in Italia ed è
soffre soprattutto in esordio di campagna della pressione di Perù e Messico, ma può competere per la qualità e soprattutto per la velocità di commercializzazione che permette ai consumatori di acquistare asparagi freschi e gustosi.A livello italiano la superficie coltivata nel 2009, oltre 6.500 ettari, fa registrare un aumento
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anche quella con il maggior numero di riconoscimenti per la tipicità. Si fregia del marchio Igp anche l’Asparago di Badoere prodotto e confezionato in 16 comuni tra le province di Padova, Treviso e Venezia. I turioni possono essere di colore bianco-rosato o verde intenso, con sapore dolce e aromatico. Altra “famiglia” è quella degli asparagi violetti, dal gusto più rustico, non sono altro che asparagi bianchi le cui punte riescono a fuoriuscire dal terreno e a “vedere” la luce. Tra questi il Napoletano, il precoce e il tardivo d’Argenteuil e l’Asparago Violetto d’Albenga, morbido e dal sapore più delicato. Rosa è invece l’asparago di Mezzago, comune brianzolo che dal 2000 ha avviato un programma di reintroduzione della coltura, tipica del territorio nei primi decenni del ‘900, tutelandola e valorizzandola con la De.Co. Gli asparagi verdi sono più comuni ed economici rispetto alle precedenti tipologie. Crescono all’aria aperta, il turione ha un gusto dolce e sono i soli asparagi che non devono essere pelati.Tra le varietà il Mary Washington, tra le tipicità l’Asparago Verde di Altedo Igp, coltivato in 30 comuni della provincia di Bologna e in 26 di quella di Ferrara. POCHE CALORIE, MOLTI MINERALI Saporiti e freschi, gli asparagi sono un piacere anche per la linea con solo 25 calorie ogni 100 grammi. Contengono più fibra rispetto ad altri ortaggi ed apportano limitate quantità di grassi, proteine e zuccheri, mentre sono ricchi di minerali importanti come calcio, fosforo, magnesio e potassio. Hanno un buon contenuto di antiossidanti, vitamina A, B6 e C e sono un’eccellente fonte di acido folico. Grazie alle sostanze contenute l’asparago aumenta la fluidità del sangue, ha un effetto rimineralizzante e può stimolare l’intestino pigro. Le sue proprietà più significative sono però quelle diuretiche e depurative.
rispetto ai primi anni duemila, con una produzione media per ettaro vicina alla 7 tonnellate e un livello produttivo in grado di garantire un discreto reddito al produttore, anche se i costi di raccolta e di confezionamento incidono per oltre il 50% sul costo totale di produzione. Il Veneto, che produce sia asparagi bianchi sia verdi, è
in testa alla classifica per regioni con il 29% della superficie (1.690 ettari), per la sola produzione di asparago verde la Puglia è al primo posto. Sul fronte dei consumi, gli operatori evidenziano un’evoluzione positiva che può essere rafforzata migliorando la conoscenza dei consumatori rispetto al prodotto.
IMPERA IMPERATIVO IMPE RATI TIVO VO FRESCHEZZA FRE F RESC SCHE HEZZ ZZA A La sta sstagione tagi gion onee degli degl de glii asparagi aspa as para ragi gi va va da marzo mar ma zo a giugno. La prima caratteristica da ricercare ricerccaree è la freschezza. Secondo un proverbio, proverb bio, glii hanno asparagi sono come il pesce azzurro: h an nno o quaranta qualità ma ne perdono una all’ora. all’o oraa. All momento dell’acquisto si può accertare il livello liveello o di freschezza dei turioni osservandone il colore, colo oree, che deve essere brillante, la turgidità elevata elevvataa (torcendoli si dovrebbero rompere facilm facilmente mentee con un piccolo schiocco), le punte ben chiuse, chiu usee, la base non lignificata e con taglio fresco. fresco o. AssoAsssodato che vanno consumati nel più breve ttempo em mpo o possibile, per favorire il mantenimento si si può può ò rallentare il metabolismo immergendoli in acqua acq quaa fredda per due ore. Dopo averli accuratam accuratamente mentee asciugati (specialmente le punte), vanno conserconsserrvati in frigorifero. IL GUSTO DELLA SEMPLICITÀ volentieri In cucina gli asparagi finiscono vole entiierii nei nei risotti, nelle frittate, nei tortini, n ei ssufuffcontorno flè, nelle zuppe e vellutate, sono con ntorrno o equilibrato sia di carni sia del pesce.. Laa migliore semplicità è probabilmente la maniera mi iglioree per valorizzarli. Possono diventare protagonisti protag gon nistii in tavola irrorati di burro fuso con una spolverata spollverrataa di parmigiano, accompagnati da uova all tegateegaadato mino, sode o alla coque. Per cuocerli, dat to che chee risultati il germoglio è più delicato della base, i ri isulltatii forte migliori si ottengono legando non troppo o fo ortee possa gli steli insieme, in modo che il mazzetto po ossaa inferiore rimanere “in piedi” e solo la parte inferio ore siaa cotta in acqua bollente, mentre le cime, tenute ten nutee L’asparagera fuori dall’acqua, cuociano a vapore. L’aspa arag geraa cestello è una pentola speciale, alta e stretta, con ce esteello o verticale. e maniglie, per cuocere gli asparagi in vert ticalle.
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“Il Cipresso” fa ancora incetta di premi Il Cipresso, l’azienda vitivinicola di Scanzorosciate, si conferma una delle realtà più dinamiche e di qualità della Valcalepio. Pur essendo una realtà relativamente giovane, con una produzione media di 14/16mila bottiglie annue, la guida sicura di Angelica Cuni ha garantito all’azienda crescenti risultati, sia in termini di mercato che di riconoscimenti. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono legati a due recenti eventi di notevole richiamo: il Concorso Enologico Nazionale di Pramaggiore (Venezia) e il Vinitaly. Nella prima manifestazione giunta alla 49esima edizione e tenutasi al Palazzo Mostra nazionale vini - il Valcalepio rosso Doc Riserva “Bartolomeo” 2006 e il Valcalepio bianco Doc “Melardo” 2009 hanno ottenuto il diploma medaglia d’oro 2010. Al Vinitaly, invece, al 18° Concorso Enologico Internazionale, il Cipresso ha ricevuto una Gran menzione tra i “Vini rossi dai cinque ai sei anni dalla vendemmia” grazie al Valcalepio Doc rosso Riserva “Bartolomeo” del 2005.“Sono premi che indubbiamente ci riempiono di piacere - afferma Angelica Cuni -, ma per noi non sono un punto di arrivo bensì un ulteriore stimolo a migliorarci”.
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Villa, due nuove etichette per celebrare il Cinquantesimo Villa Franciacorta festeggia quest’anno i 50 anni di vita. E ha deciso di celebrare questo importante traguardo con la nascita di due nuovi prodotti e nuove annate. Il primo è la Selezione Brut millesimato 2004, Franciacorta che viene prodotto solo nelle annate migliori. Massima espressione della cantina, questa nobile bollicina Docg viene prodotta da uve Chardonnay e Pinot Nero provenienti esclusivamente dai migliori cru di proprietà. Quattromila le bottiglie prodot-te, destinate soprattutto a ristoranti ed enoteeche, dopo aver riposato sui lieviti nelle cantine ine sotterranee dell’azienda per 5 anni. La commerciaercializzazione partirà dal prossimo autunno. Al Vinitaly è stato invece presentato il primo bianco Sebino Igt dell’azienda. Si tratta di uno Chardonnay in purezza che intende rappresentare appieno il carattere di questo vitigno. Profumi di frutta esotica e fiori bianchi si sprigionano al naso, sapido e fresco al palato, persistente e piacevolmente armonico Campei 2009 regala sensazioni eleganti e allo stesso tempo intense. Il prodotto è in commercio da questo mese. Per Alessandro Bianchi, fondatore e patron dell’azienda di Monticelli Brusati,“la scelta di vendemmiare solo uve di proprietà, di utilizzare sostanze biologiche e naturali per la gestione del vigneto, di praticare severe potature e di ricercare basse rese per ceppo sono solo alcune delle costanti aziendali a che in questi anni hanno rafforzato l’immagine e il prodotto”. “Oggi, come cinquant’anni fa - aggiunge Bianchi - l’azienda si pone come obiettivo il miglioramento continuo in ogni fase della filiera produttiva. È un impegno che assorbe molte energie, ma non c’è emozione più grande del dar vita ogni anno alla passione che da sempre mi lega alla Terra”.
A Porta Osio serata con i vini alsaziani Continua la rassegna “del gusto” a Porta Osio, il ristorante-enoteca di via Moroni, a Bergamo. Oggi, 22 aprile, si terrà una degustazione di vini alsaziani provenienti dalle cantine di Domaine Bott-Geyl abbinati a pregiati piatti a base di oca. Il menù prevede questi abbinamenti: “Stuzzichini dello chef” con Cremant d’Alsace Paul- Edouard; “Torchon de Foie Gras con pan brioche e composta di cipolle, speck affumicato d’oca con julienne di finocchio e Collo d’oca farcito” con Riesling Lieu dit Burgreben de Zellemberg ’07;“Risotto Carnaroli selezione “Salera” con ragù d’oca e Tartufo nero” abbinato a Pinot Gris Sonnenglanz Gran Crù ’04; ”Petto d’oca rosato con demi-glace, crema di Topinambur” annaffiato da Gewurztraminer Sonnenglanz Grand Crù ’05 e, infine, “Tarte Tatin con Gelato allo Zabaione” con Pinot Gris Sonnenglanz Vendanges Tardives ’00. L’inizio è previsto alle 20,30 e il costo a persona è di 70 euro. Info: 035-219297
“La Montina” festeggia il Ventennale rinnovando immagine e bottiglie Il 2010 è per le Tenute La Montina, di Monticelli Brusati (Franciacorta) un anno importante. Che segna una svolta, una nuova fase della storia iniziata nel 1987 con la prima vendemmia commercializzata nel 1990, per arrivare a quella del Ventennale 2007, in degustazione da quest’anno. Per celebrare le prime 20 vendemmie, i fratelli Vittorio, Gian Carlo e Alberto Bozza hanno rinnovato non solo l’immagine grafica aziendale, ma anche il design delle bottiglie nei formati Classico, Magnum e Jeroboam. La nuova immagine è stata creata dall’artista Paolo Menon, membro del Museo della Permanente di Milano. Elegante e austera, la nuova bottiglia ha fuso nel vetro un cammeo raffigurante due leoni che reggono una tiara, per legare la cultura bresciana del territorio rappresentato dal leone dell’antica Brixia fidelis (motto della città di Brescia), all’orgoglio leonino de La Montina radicata nella settecentesca tenuta di campagna bresciana, che appartenne a Benedetto Montini - avo di Papa Paolo VI - da cui prese il nome anche la collina retrostante.A caratterizzarla il collarino, che ricorda il papillon dello smoking. Nuova anche l’etichetta a punta, che s’incastona in una nicchia nella parte bassa della bottiglia e, con la retro etichetta, la cinge a mo’ di corona. Ogni etichetta è stata declinata nei sei colori che contraddistinguono i Franciacorta delle Tenute La Montina, che per quanto riguarda le tipologie più complesse, saranno definiti anche da un nuovo nome: il color avorio per i Brut, l’oro per i Brut Millesimato Aurum, l’argento per i Brut Satèn Argens, il verde per gli Extra Brut, il rosa melograno nelle versioni Rosé Demi Sec (bottiglia nera) e Rosé Extra Brut Rosatum (bottiglia trasparente), per concludere con l’etichetta di colore nero e logo in oro per denominare le Vintage, le grandi Pas Dosé Riserva, orgoglio di famiglia. E proprio in occasione del Ventennale La Montina ha presentato la sua prima Riserva, il Vintage 2004, un Extra Brut affinato sui lieviti in bottiglia per almeno di 60 mesi, elegante e avvolgente al naso, complesso al palato, ampio e di grande personalità. L’azienda, che si sviluppa su di una superficie vitata di circa 72 ettari, vanta una produzione media di 450.000 bottiglie annue.
IL VINO
Cap de Barbaria, Formentera stupisce anche in bottiglia Cap de Barbaria è un vino prodotto dall’assemblaggio di due vitigni autoctoni di Formentera (Spagna), Monastrell e Fogoneu, con Cabernet Sauvignon e Merlot. Solo 8mila le bottiglie prodotte ogni anno dall’omonima azienda, che prima di essere immesse sul mercato invecchiano per circa un anno con modalità differenti: Cabernet e Merlot in barrique arrique di rovere francese, ese, Monastrell e Fogeneu neu in rovere americano. no. Il vino è di colore granato e vanta una buona uona consistenza. Al naso aso ha intensità e persistenza sistenza con molti riconoconoscimenti variearietali. È un vino o di corpo - ha giusta usta tannicità e un’aci’acidità che prometmettono una buona evoluzione e in bottiglia -, morbiorbido ed equilibrato, rato, pronto e gradeadevole. Il passaggio ggio in legno non n ha creato forzature ure e lascia al vino una sua spiccata identità datagli dai ai vitigni autoctoni. toni. L’esclusiva per l’Italia è dell’EnoEnoteca al Ponte e di Ponte San Pietro ietro (tel. 035 611428). 428).
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IL PREZZO FISSO di Fulvio Facci
Palamonti, quando il cibo non va alla montagna Da febbraio il Cai ha aperto “Un rifugio in città”, uno spazio ristorazione che porta a valle i sapori e lo spirito conviviale delle tavole d’alta quota.Valoti: «Iniziativa di socializzazione ta e divulgazione». E per l’estate tornano le rassegne gastronomiche in vetta
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i certo la nostra iniziativa non vuole fare concorrenza ai ristoranti, ma è prevalentemente un momento di socializzazione e divulgazione». Così il presidente della sezione di Bergamo del Cai (il Club Alpino Italiano) Paolo Valoti, in carica dal 2001, sintetizza gli obiettivi di “Un rifugio in città”: l’apertura di uno spazio di ristorazione - a pranzo e a cena da lunedì a venerdì - presso il Palamonti, sede cittadina del Club. «Sono stati due – prosegue Valoti – i fattori prevalenti che ci hanno indotto a questa scelta. Innanzitutto la disponibilità della struttura polivalente, che già di per sé, ovviamente con la nostra presenza, è un’occasione di incontri, di scambi di esperienze, di condivisione. In secondo luogo la consapevolezza che, se è vero che la convivialità fiorisce un po’ su tutte le tavole, nei rifugi il piacere di stare assieme attorno ad un piatto trova condizioni particolarmente favorevoli. Ci si arriva magari dopo un po’ di fatica ed è inevitabile raccontarsi, c’è lo spirito giusto, non si fanno cerimonie. Ecco, questo è l’ambiente che abbiamo voluto ricostruire in città, creando un’occasione per i nostri associati (quando partecipano alle iniziative che si svolgono al Palamonti, penso ad esempio alle riunioni dei nostri organismi), ma allargando la proposta anche al resto della popolazione. Siamo aperti a tutti, lo ribadisco, anche se è pressoché
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inevitabile che l’argomento di riferimento alla fine risulti essere la montagna».
Il presidente della sezione di Bergamo del Cai, Paolo Valoti
Un’idea cullata per un buon periodo (il Palamonti è aperto da quattro anni) e poi la decisione di attuare un investimento di rilievo con una cucina molto dotata e funzionale e uno chef professionista a tempo pieno. I risultati iniziali sono estremamente incoraggianti. «Dopo aver ricostruito in città lo spirito del rifugio era quasi inevitabile riprenderne anche i sapori – spiega il presidente -. La cucina è quella che si può trovare in montagna, dove non ci sono grandi scelte e, del resto, non servono nemmeno molto quando l’appetito si fa sentire dopo un’escursione. Abbiamo un cuoco che proviene da questa esperienza ed in particolare puntiamo sui prodotti tipici bergamaschi. La formula funziona». “Un rifugio in città” è una delle tante iniziative del Cai, il cui spirito è quello di sottolineare co-
LA PROVA
Fortunatamente, almeno secondo la nostra opinione, per “Un rifugio in città” si sono voluti ricostruire i sapori, verosimilmente anche lo spirito, dei rifugi di montagna ma non si è incappati nel kitsch di riprodurne gli arredamenti: sarebbe stata una forzatura. Locale quindi piccolo, ordinato e funzionale. Dieci euro per il menù a prezzo fisso del mezzogiorno: primo, secondo, contorno, acqua, vino e caffè. Penne al ragù d’asino e far-
falle alla vellutata di noci i primi, arrosto di vitello, cervo in salmì e roast beef all’inglese i secondi. I contorni sono a buffet. Farfalle alle vellutata di noci il primo che abbiamo scelto, mentre per il secondo ci siamo lasciati guidare dall’occhio indiscreto che ha intravisto sul piatto di un altro ospite dei formaggi. Salumi misti e formaggi integrano infatti sempre la lista del giorno. Formai de mut e un’ottima formaggella hanno costituito la nostra portata. Ben fat-
me la montagna sia adatta a tutti: bambini, giovani e meno giovani, sportivi, famiglie. Il calendario della stagione estiva propone alcuni appuntamenti di sicuro interesse. Si incomincia il 16 maggio con la seconda edizione della giornata delle famiglie in montagna, che si svolgerà in Valle Imagna. Musica invece l’11 ed il 12 luglio. Al rifugio Tagliaferri in Val di Scalve, Gianluigi Trovesi, Gianni Bergamelli e Stefano Montanari daranno vita a “Bellezze e armonie a fil di cielo”, due giorni con grandi interpreti musicali ma anche con altri momenti culturali. L’8 di agosto si svolgerà invece la quarta edizione dell’Orobie Skyraid, una manifestazione di tipo sportivo che si svilupperà sul sentiero delle Orobie da Valcanale al Passo della Presolana toccando sette rifugi. Ottantaquattro chilometri per gli atleti, ma lungo il percorso ci saranno anche supporter e aggregati. L’intera stagione estiva rimane poi legata da un fil rouge che riconduce ai rifugi, quindi anche al rifugio in città. Si ripeterà infatti l’iniziativa “I rifugi dei sapori orobici” in collaborazione con Agripromo. Nei 24 rifugi della nostra provincia saranno proposti i prodotti della Bergamasca.“Tra monti e sapori” e “In montagna altri sapori” alcuni dei temi conduttori, sempre con l’obiettivo di mantenere i rifugi come vivaci sedi di appuntamenti culturali... non solo gastronomici. to, buon rapporto qualità prezzo con una nota particolare per il vino, servito sì sfuso come da menù ma proveniente direttamente da una bottiglia della Cantina sociale bergamasca.
PALAMONTI UN RIFUGIO IN CITTÀ via Pizzo della Presolana 15 Bergamo tel. 035 4175475 aperto mezzogiorno e sera da lunedì a venerdì
In cucina
In primo piano i prodotti bergamaschi Dall’idea all’azione, dalla teoria alla pratica.“Un rifugio in città” è operativo dal primo di novembre dello scorso anno e aperto al pubblico dal primo febbraio 2010. L’intuizione del presidente Paolo Valoti, seguita poi sul campo per la realizzazione e il funzionamento in modo particolare dal vicepresidente Andrea Sartori, vive ogni giorno grazie ad Angeloantonio D’Oro, che è lo chef e si occupa delle provviste, mentre in sala ci sono delle volontarie del Cai che se la cavano benissimo. Scelta non casuale quella di D’Oro, cuoco del rifugio Alpe Corte, l’unico in provincia gestito direttamente dal Cai. Dalla quota al piano, qualche differenza ci sarà? «Diciamo che i problemi logistici in termini di approvvigionamenti – spiega D’Oro – sono diversi rispetto a quelli che possiamo avere al Palamonti. Ma si tratta solo di organizzazione. In cucina non abbiamo avuto difficoltà a trasferire le esperienze dei rifugi autentici. Si tratta di scegliere delle linee dei prodotti». Certo lo chef se ne intende di organizzazione, visto che è stato per molti anni capocampo (responsabile della logistica) in cantieri sparsi per il mondo e capo cambusa sulle navi da crociera nei Caraibi. «L’esperienza in cucina l’ho acquisita nella gestione di un agriturismo in provincia di Piacenza ed in una rosticceria-gastronomia d’asporto – ricorda -. Se poi devo essere sincero, so anche cucinare il pesce, ma per la linea che abbiamo scelto non serve sbizzarrirsi. La cucina dei rifugi è eccellente, secondo la mia esperienza, ma non si avventura in ricerche fantasiose. La stessa cucina bergamasca, in generale, ruota attorno ad una serie piuttosto ristretta di proposte». La carta è perciò presto fatta. Salumi tipici della Bergamasca, formaggi locali, casoncelli, scarpinòcc al venerdì che sono di magro, arrosti vari, brasato, selvaggina, polenta, coniglio, pollo, tacchino e fuori dalla tradizione bergamasca il goulash. I dolci sono fatti in casa. Il vino è quello della Cantina sociale bergamasca di San Paolo d’Argon. Alla sera, scegliendo due portate, si spendono 1516 euro, vino compreso. A mezzogiorno c’è il prezzo fisso: 10 euro. «Siamo soddisfatti per come stanno andando le cose – ha concluso D’Oro –.Abbiamo una saletta di 54 posti e alla sera è già meglio prenotare per non trovare il tutto esaurito. Nei prossimi mesi abbiamo delle prenotazioni per banchetti ed utilizzeremo anche la sala del bar che è ampia. Molti dei nostri frequentatori vengono per il Cai, ma la voce di quello che facciamo sta correndo in Lo chef Angeloantonio D’Oro fretta».
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di Sara Vavassori
La famiglia Nasti fa il tris Dopo la pizzeria e il pub Velvet, da pochi mesi inaugurato il bar Trussardi, in via Autostrada. Un locale moderno con edicola e tabaccheria
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iù di un semplice bar, il Trussardi in via Autostrada a Bergamo offre anche servizio di edicola e tabaccheria: questo il vero punto forte che fa del locale un riferimento quasi obbligato sia per chi è di passaggio che per gli abitanti del quartiere. Il bar, aperto da qualche mese, è gestito dalla storica famiglia Nasti, già no-
ta a Bergamo per altre due attività nel settore: la pizzeria Da Nasti e il pub Velvet, entrambe sempre a Bergamo, locali apprezzati e molto frequentati. Con il bar Trussardi l’offerta della famiglia Nasti viene così completata. Lo stile del locale è moderno, gioca con i colori panna e wengè e con le forme quadrate e rettango-
lari degli arredamenti. Di grande impatto il lungo e funzionale bancone, ideale per gli aperitivi ma anche per chi preferisce prendersi un caffè veloce. Fondamentale nell’architettura del locale l’elemento dello spazio, dal momento che il luogo si presta al passaggio di molte persone. Il momento di maggior movimen-
AL VIA IL CORSO DI FORMAZIONE REGIONALE ORGANIZZATO DALL’ERSAF
Casaro in cento ore La necessità di qualificazione degli operatori e la richiesta di formazione adeguata sono sempre più importanti in un settore delicato come l’agroalimentare ed in particolare nella produzione di formaggio di qualità. Per questo Ersaf l’Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste, continua anno dopo anno la sua azione sul fronte della formazione: sono infatti aperte le iscrizioni alla 66° edizione del corso formativo per operatori di caseificio che trasformano il latte in formaggi tipici quali il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano. Il corso - che si può definire storico (la prima edizione è del 1935!) - si rivolge a chi già opera nel settore o a chi vuole entrarvi con una solida base teorico-pratica e mira a formare esperti casari e qualificare gli addetti alla trasformazione del latte in formaggi Dop. Con una durata complessiva di 110 ore, il corso avrà luogo dal 3 maggio all’11 giugno pres-
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to è la mattina, considerando anche che il locale si trova sulla strada che porta all’ingresso dell’A4, e poi c’è la pausa pranzo. Il bar Trussardi offre servizio di tavola calda e fredda: pizza, panini, ma anche primi piatti ed insalate, con un’offerta speciale, bibita compresa, a 6 euro. Per i numerosi uffici nelle vicinanze sicuramente un’opportunità. Sia nella pausa pranzo che nel tardo pomeriggio, libero spazio agli apertivi: il bancone si presta perfettamente ad ospitare stuzzichini di vario tipo. L’offerta è dunque varia nei diversi momenti della giornata. A fare del Trussardi un punto di riferimento molto funzionale e di attrazione ci sono anche l’adiacente pompa di benzina, e la possibilità di avere un buon parcheggio con circa 20 posti auto. Per la stagione estiva è previsto anche l’allestimento di una piccola area esterna dove posizionare tavolini con ombrelloni.
L’offerta del bar si completa poi con la vendita di giornali (per ora si trovano solo i quotidiani), tabacchi e di alcuni articoli regalo e giochi per bambini. Ma l’intenzione è quella di integrare e completare l’offerta con servizi a 360° attivando il gioco del lotto e la possibilità di effettuare ricariche telematiche. In un unico luogo si possono avere tante possibilità, e di questi tempi dove si va sempre di corsa può essere un aiuto che fa risparmiare tempo. A fare la differenza poi non solo soltanto la vasta gamma di prodotti a disposizione ma anche l’accoglienza: soprattutto la mattina, quando il bar è il primo contatto fuori casa, il sorriso è importante, ed unito alla gentilezza lo è anche in tutti gli altri momenti della giornata. Gli orari di apertura del locale sono: da lunedì a venerdì dalle 6,30 alle 19,00; sabato dalle 6,30 alle 12,30; domenica chiuso.
so la sede ERSAF di Mantova, dal lunedì al venerdì: al mattino sono previste le attività di caseificio e al pomeriggio le attività didattiche e le esercitazioni presso i laboratori Ersaf Il programma prevede approfondimenti teorici con docenti specialisti su temi di zootecnia, chimica e microbiologia del latte, tecnologia casearia, prelevamento dei campioni, analisi dei punti critici di controllo (Haccp), igiene e sicurezza in caseificio. Inoltre, il corso attraverso esercitazioni pratiche consentirà esperienze in caseificio con la trasformazione in formaggio grana e in laboratorio, con l’esecuzione di alcune analisi di base. Sono previste anche esperienze di analisi sensoriale. Al termine del percorso, per coloro che avranno frequentato almeno l’80% del monte ore, è previsto un esame per il conseguimento dell’attestato. I requisiti per partecipare sono la licenza di scuola media, la conoscenza della lingua italiana e il possesso di un documento di idoneità sanitaria per chi non lavora nel settore. Le iscrizioni si effettuano in orario d’ufficio presso la sede Ersaf, via Pilla 25b, Mantova: per informazioni tel. 0376.285553 (dott. Gianantonio Zapparoli).
All’Hotel S. Rocco cinque serate per conoscere il vino Dopo il corso base, ideato per fornire le conoscenze essenziali di degustazione, viticoltura ed enologia, Hotel San Rocco e il sommelier Andrea Alpi propongono un percorso di approfondimento tra vitigni, vini e territori italiani di qualità. Un primo ciclo per conoscere da vicino vigne e vini del nord Italia. Il corso è costituito da cinque serate con l’assaggio guidato, ad ogni incontro, di quattro vini di pregio. L’obiettivo è guardare con attenzione nello specifico dei vitigni, delle tecniche e dei terroirs delle produzioni di pregio, per saperne di più. Ogni sera si andrà alla scoperta degli aspetti che determinano la qualità del vino: la terra, il vitigno e il lavoro dell’uomo. Ogni incontro, che comprende l’assaggio di quattro vini italiani di qualità, vedrà il coinvolgimento attivo dei partecipanti in un gioco sensoriale di valutazione, in un clima sereno e piacevole. Gli incontri si terranno il 3, 10, 17, 24 e 31 maggio, a partire dalle 21.Al termine del corso verrà rilasciato un attestato di partecipazione. Il costo per le 5 serate è di euro 175. Info: tel. 035 657085
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MARKETING E DINTORNI di Massimo Angelini*
Kamut, quando un mito va sfatato È famoso in tutto il mondo, grazie ad una magistrale campagna promozionale, ma pochi sanno che Kamut non è il nome del frumento (il khorasan) ma il nome della società che lo produce in regime di monopolio. Smentita l’antica origine egiziana, ecco luci e ombre sulla varietà che ha conquistato anche gli italiani
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amoso in tutto il mondo grazie a una operazione di marketing senza precedenti, Kamut® non è il nome di un grano, ma è il marchio commerciale (come Mulino Bianco o McDonald’s) che la società Kamut International ltd [K.Int.] ha posto su una varietà di frumento registrata negli Stati Uniti con la sigla QK-77, coltivata e venduta in regime di monopolio. C’è chi chiama questa varietà anche “grano del faraone”, perché si racconta che i suoi semi sono stati ritrovati intorno alla metà dello scorso secolo in una tomba egizia e inviati nel Montana, dove, dopo migliaia di anni, sono stati “risvegliati” e moltiplicati. Il frumento prodotto e venduto con il marchio Kamut® è coltivato negli Stati Uniti (Montana) e nel Canada (Alberta e Saskatchewan), sotto lo stretto controllo della famiglia Quinn, proprietaria della società K.Int.; in Italia è importato solo da aziende autorizzate e può essere macinato solo da mulini autorizzati. Tutti i prodotti che portano il marchio sono preparati e venduti sotto licenza della K.Int. e sotto il controllo della Kamut Enterprises of Europe. Il marketing decisamente efficace che è alla base del successo del Kamut® ha fatto leva su tre aspetti: la suggestiva leggenda del suo ritrovamento, l’attribuzione di eccezionali qualità nutrizionali e una presunta compatibilità per gli intolleranti al glutine. Parliamo-
ne. Il Frumento orientale o grano grosso o Khorasan lo chiamiamo con il suo nome tramandato, comune e pubblico, mentre Kamut® è un nome di fantasia registrato - è una specie (Triticum turgidum subsp. turanicum) appartenente allo stesso gruppo genetico del frumento duro: presenta un culmo (fusto) alto anche 180 cm; ha la cariosside (chicco) nuda e molto lunga, più di quella di qualunque altro frumento; è originario della fascia compresa tra l’Anatolia e l’Altopiano iranico (Khorasan è il nome di una regione dell’Iran); nel corso dei secoli si è diffuso sulle sponde del Mediterraneo orientale, dove, in aziende di piccola scala, è sopravvissuto all’espansione del frumento duro e tenero. Dunque, per trovare il Khorasan in Egitto non era (e non è) davvero necessario scomodare le tombe dei faraoni; senza contare che un tipo di Khorasan era (e, marginalmente ancora è) coltivato anche tra Lucania, Sannio e Abruzzo: è la Saragolla, da non confondere con una omonima varietà migliorata di frumento duro ottenuta da incrocio e registrata nel 2004 dalla Società Produttori Sementi di Bologna. Inoltre non bisogna dimenticare che la germinabilità del frumento decade dopo pochi decenni, per quanto ideali siano le condizioni di conservazione. Tutto questo porta a riconoscere nella storia del presunto ritrovamento del Khorasan/
Composizione media espressa in mg per 100 g di cereale integrale. La media è data dal confronto tra i valori forniti dall’INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli alimenti e la Nutrizione), quelli forniti dall’USDA (United States Department of Agricolture) e quelli tratti da PIERGIOVANNI e al. 2009. Questi valori medi hanno un significato solo indicativo perché per differenti varietà e differenti condizioni colturali i valori possono variare anche notevolmente.
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Kamut® solo una fantasiosa invenzione commerciale, elaborata per stimolare il desiderio di qualcosa di puro, antico ed esotico. E, a onore del vero, anche la stessa K.Int. ha preso le distanze dalla leggenda che, peraltro, ormai non ha più bisogno di essere incoraggiata. Dai dati oggi disponibili, di fonte pubblica e privata, tra gli elementi di maggiore caratterizzazione del Khorasan ci sono un elevato contenuto proteico, in generale superiore alla media dei frumenti duri e teneri, e buoni valori di beta-carotene e selenio; per le altre componenti qualitative e nutrizionali non ci sono differenze sostanziali rispetto agli altri frumenti. Bisogna, infine, chiarire che, come ogni frumento, il Khorasan è inadatto per l’alimentazione dei celiaci, perché contiene glutine (e non ne è né privo, né povero, come, poco responsabilmente, una certa comunicazione pubblicitaria afferma o lascia intendere) e ne contiene in misura superiore a quella dei frumenti teneri e a numerose varietà di frumento duro. Detto ciò, il Khorasan è certamente un frumento rustico, con ampia adattabilità ambientale, eccellente per la pastificazione. Come ogni frumento che non è stato sottoposto a processi di miglioramento genetico o a una pressione selettiva troppo spinta, non ha un glutine tenace e di tenore elevato, e proprio per questo motivo pare che sia più facilmente digeribile dalle persone che soffrono di lievi allergie e intolleranze, comunque non riconducibili alla celìachia: ma questo è proprio ciò che si può dire anche dei farri e delle “antiche” varietà locali di frumento duro e tenero. Se la sua coltivazione è biologica (come permette la sua rusticità e come, per i propri prodotti, assicura il disciplinare del marchio Kamut®), si può dire che senz’altro è un prodotto salutare, senza però scadere in esagerazioni né in forzature incoraggiate dalla moda e dal marketing del salutismo. Restano ancora tre aspetti che gettano un’ombra sul prodotto a marchio Kamut® (ma non sul Khorasan!): - il monopolio commerciale imposto dalla K.Int. su un frumento tradizionale che, come tale, dovrebbe invece essere patrimonio di tutti, e più di chiunque altro delle comunità che nel tempo lo hanno conservato e tramandato; - il costo eccessivo del prodotto finito (dall’80 al 200% in più di una pasta di comune grano duro biologico), poco giustificabile a sostanziale parità di valori qualitativi e nutrizionali, dovuto al regime di monopolio, ai costi di trasporto, ai diritti di uso e ai costi di propaganda, ma dovuto anche agli effetti di un mercato dell’eccellenza che trasforma il cibo in oggetto di lusso, di gratificazione e di distinzione, e che specula sul desiderio di rassicurazione e sul bisogno di salute; - la pesante impronta ecologica legata allo spostamento di un prodotto per lo più coltivato dall’altra parte del Mondo che arriva sulle nostre tavole attraverso una filiera molto lunga (migliaia di chilometri!), e che, solo per questo fatto, non è compatibile con la filosofia della decrescita e con l’attenzione al consumo locale, fatto se possibile a, chilometri zero. * Aam Terra Nuova
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L’ANGOLO
DEL SINGLE di Marco Bergamaschi
Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina
Capita a tutti nella vita di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo mo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.
Insalata di gamberetti Ingredienti per 1 persona 100 g di fagioli cannellini lessati 100 g di gamberetti cotti e sgusciati Bottarga di muggine grattugiata o a pezzetti a piacere Mezza cipolla di Tropea 1 ciuffo di prezzemolo Aceto bianco quanto basta Olio extravergine d’oliva e sale a piacere
Preparazione Scolate i fagioli dal liquido di conserva, passateli sotto l’acqua corrente e fateli sgocciolare dentro uno scolino. n una ciotola di Pulite la cipolla e tagliatela a rotelle. Lavate il prezzemolo e tritatelo. In vetro unite i fagioli, la cipolla, i gamberetti e il prezzemolo. Condite con un po’ d’olio, una spruzzata di aceto bianco e un pizzico di sale. Aggiungete la bottarga grattugiata o a tocchetti e mescolate il tutto.Accompagnate con crostini di pane integrale.
LA CURIOSITÀ I gamberetti sono crostacei appetitosi, che si prestano molto bene per preparare velocemente antipasti, primi e secondi piatti leggeri e gustosi, ma anche per essere serviti freddi; si trovano con facilità in tutti i maggiori supermercati, che li propongono freschi nel reparto del pesce (ma sono da pulire), oppure già sgusciati, cotti e pronti per essere consumati. In alternativa si possono acquistare anche i gamberetti surgelati, sono già sgusciati e necessitano solo di essere bolliti o fritti, a seconda dei gusti. Formati prevalentemente da acqua, poveri di grassi, ma ricchi di sodio e proteine, rappresentano un’alternativa gustosa e leggera anche per chi deve stare attento alla linea. Essendo molto delicati, vanno consumati il prima possibile; li si può conservare in frigorifero in sacchetti alimentari o pellicola trasparente, ma per non più di un giorno. In alternativa, se freschi, è consigliabile surgelarli ad una temperatura intorno ai -18°C: e nel compiere quest’operazione, accertatevi di aver rimosso più aria possibile, prima di chiude-
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re il sacchetto che li contiene. La bottarga, chiamata anche “caviale del Mediterraneo”, è un alimento costituito da uova di pesce salate, compresse ed essiccate e viene ricavata dalle uova di muggine (cefalo) o di tonno; quella di tonno ha un colore che varia dal rosa chiaro a quello scuro, mentre quella di muggine ha un colore ambrato. Ma a discapito della varietà e del colore differenti, sono gustose entrambe. Presente nelle maggiori gastronomie, la bottarga è venduta a fette o grattugiata; può essere messa sugli spaghetti come si fa con il parmigiano o anche consumata a fettine, con un filo di olio extravergine d’oliva, magari come antipasto. L’unico neo è il prezzo: non è un prodotto economico, ma è così saporita che ne vale la pena. Per questa rubrica comunque il problema non si pone: uno dei vantaggi di essere single è quello di non spendere mai troppo per la spesa, quindi conviene approfittarne e concedersi dei piccoli piaceri, che aiutano a stare meglio dopo una lunga giornata di lavoro. Buon appetito.
APPUNTAMENTI FINO AL 27 MAGGIO
Dalmine serve il “Piatto Forte” A Dalmine i locali diventano palcoscenico di eventi con la quinta edizione di “Piatto Forte”, la manifestazione promossa dagli assessorati alla Cultura e al Commercio che ogni giovedì fino al 27 maggio porta la musica e lo spettacolo fuori dagli spazi più consueti. Dopo i primi appuntamenti al ristorante Al Faro e al Cliché Sound Cafè, il 29 aprile la rassegna tocca il ristorante Orchidea (che ospiterà il Trio Belcanto con un repertorio di brani d’opera, arie d’operetta e canzoni napoletane), il 6 maggio fa tappa al Pepe Verde (con lo spettacolo di cabaret e trasformismo “Body girl show”), il 13 sarà la volta de Il Carroccio (con la musica jazz di Alessandro Fabiani al pianoforte) e il 20 della Trattoria Sole (con la musica popolare del gruppo corale Dalmine Folk). Tutti i locali hanno realizzato un apposito menù per la serata, proposto all’interessante prezzo di 22 euro. L’ultima tappa, giovedì 27 maggio al Bar Centrale, è invece una degustazione di gelato artigianale e frutta fresca (al costo di 7 euro) pensata per le famiglie visto che ad animare l’appuntamento sarà “Chiarly David, il mago del sorriso”. Il pieghevole con i dettaglio dei menù si può trovare sul sito del Comune: www.comune.dalmine.bg.it
DAL 10 AL 13 MAGGIO
Cibus, il pianeta alimentazione si incontra a Parma Le principali aziende agroalimentari italiane, delegazioni commerciali da oltre cento Paesi, i buyer della grande distribuzione, il mondo del “fuori casa”, rappresentanti, importatori, ma anche Università e Centri Studi si incontrano a Parma dal 10 al 13 maggio per la 15esima edizione di Cibus, il Salone internazionale dell’alimentazione, proposto con cadenza biennale. Sono attesi 2.500 espositori, 50.000 visitatori professionali, di cui 7mila operatori esteri provenienti da 110 Paesi.Tra le novità la “Piazza dei prodotti Dop e Igp”, un evento che vedrà per la prima volta esposti i principali prodotti alimentari Dop e Igp italiani insieme ai Dop europei, e “Pianeta Nutrizione - Forum multidisciplinare sulla Sana Nutrizione e la Sana Integrazione” con quattro giornate di convegni medico-scientifici. Nella grande piazza dedicata al “fuori casa” saranno invece allestite dalla Fipe/Confcommercio l’area bar e l’area ristorante e i bar “storici” d’Italia dedicheranno dimostrazioni e degustazioni in vari momenti della fiera alla colazione dolce, alla colazione salata, al light lunch da bar ed all’happy hour serale.Tradizionale manifestazione complementare di Cibus è poi Dolce Italia, il Salone organizzato per diffondere la conoscenza dei prodotti dolciari italiani, senza dimenticare i numerosi convegni e seminari che offriranno agli operatori del settore occasioni di confronto e riflessione. La manifestazione da sabato 8 a giovedì 13 “invaderà” anche il centro di Parma con la presenza nelle vie e nelle piazze di stand di aziende alimentari leader, sei maxi eventi e decine di micro-eventi in tutta la città. Info: www.cibus.it
1 E 2 MAGGIO
Si mangia e si cammina in Val Camonica Niente ponte del primo maggio quest’anno. Senza andare troppo lontano ecco allora due occasioni per scoprire il territorio, stare a contatto con la natura e soddisfare il palato con le camminate gastronomiche. Sabato primo maggio l’appuntamento è a Ossimo in Val Camonica per la “Nostràmagnalonga”, pranzo completo in dieci tappe lungo dieci chilometri sui sentieri dell’Altopiano del Sole, accompagnato da intrattenimento, laboratori naturalistici, iniziative culturali, esposizioni e giochi per bambini. Per chi ha meno gambe, o meno fame, c’è anche la versione breve, ossia la “Nostràmagnacurta” di sei chilometri con merenda e frutta (info: Pro loco Per Osèm, tel. 334 1982454).
... e nell’Alto Sebino Domenica 2 maggio è la volta di “Profumi di Collina” camminata nella collina dell’Alto Sebino in cinque tappe. Tra le proposte, tisane con le erbe locali, salumi nostrani, strozzapreti al ragù di pesce del Sebino, polenta con cinghiale di Fonteno e formaggella Val di Scalve, per dolce la tipica Sfongada e sfogliatine del lago. Tra le attività di contorno la cavalcata dei pony e degli asini per i bambini e la possibilità di effettuare un tour gratuito in motonave (info: Pro loco La Collina, tel. 348 0811402).
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ASSOCIAZIONI GOLOSE
I Gourmets Degustateurs accolgono cinque nuovi soci Il nome è francese ma i piedi sono ben piantati nel territorio. È l’Accademia dei Gourmets Degustateurs, nata come sezione locale del sodalizio parigino poi diventata autonoma associazione di cultori del gusto riunendo addetti ai lavori e appassionati. Fondatore e presidente è Pino Capozzi, presidente onorario del gruppo ristoratori dell’Ascom, che ha presieduto la cerimonia di “intronizzazione” di cinque nuovi soci.Al ristorante Cadei di Villongo hanno ricevuto il collare verdegiallo e l’investitura, con tanto di spada tra l’ufficiale e il goliardico, Pierino Foresti, Mauro Costa, Silvano Calissi, la giornalista Elena Miano ed Alessandra Gotti, patronne dell’Hotel Settecento di Presezzo. «Attraverso cene, serate e incontri – ha spiegato Capozzi – l’Accademia va alla scoperta della buona cucina, in particolare di piatti della tradizione e dei prodotti tipici che racchiudono la storia e il gusto del territorio. I nuovi soci hanno dimostrato di saper apprezzare questa visione e lo spirito del gruppo, con il loro ingresso diamo nuova linfa all’attività». La cena proposta dallo chef Roberto Gambirasio, coadiuvato in cucina dalla moglie Tarcisia e orchestrata in sala dalle figlie Cristina e Claudia, ha offerto una variazione sugli gnocchi dall’aperitivo al dolce, ispirata al film “La voce della luna” di Federico Fellini.
La serata è stata organizzata infatti nel corso della rassegna “Fuori Menù”, che in quaranta locali bergamaschi ha abbinato piatti e suggestioni cinematografiche. Gnocco fritto con formaggio per l’appetizer, gnocco alla romana e salame al vino barricato come antipasto, gnocchi di zucca al pomodoro e basilico il primo, gnocchi di patate con filetto allo zola il secondo e gnocchi alla parigina con crema vanillina e zafferano in chiusura.
Da sinistra Silvano Calissi, Pierino Foresti, Mauro Costa, Elena Miano, il presidente Pino Capozzi ed Alessandra Gotti
Alla tavola dei Cavalieri la polenta è sempre regina L’ordine dei Cavalieri della Polenta dopo una trentina d’anni dalla sua costituzione, anno dopo anno, continua ad organizzare riunioni a tavola dove la dorata polenta diventa ogni volta la regina del convivio, “sposandosi” con gli indimenticabili sapori che madre natura fornisce, in particolare dal variegato territorio della Bergamasca. L’ordine della Polenta nacque nel 1976 al ristorante “Le Noci” di Spirano, con il primo Gran Maestro, Pietro Recanati. L’idea dei “Cavalieri” sbocciò durante un’appetitosa riunione a casa di un altro “Piero” con il cognome di Ricci, il quale, nello sfogliare un volume titolato “I Cavalieri del Buon Gusto” scritto dalla giornalista Margherita Volpi in cui si descrivono storia e cronache delle confraternite bacchiche e dei sodalizi gastronomici,
38 Affari di Gola aprile 2010
si è reso conto che tra le oltre 300 confraternite, sodalizi, club, associazioni, ordini, accademie e segnalazioni varie quali i Cavalieri dello Zampone, dei Ravioli, della Trippa, della Bagna Cauda ecc… mancava un sodalizio della polenta, pur essendo sorti secoli prima “l’Accademia dei Polentofagi”, nata a Pisa alla fine del 1700, ed il “Circolo della Polenta” fondato a Parigi nel tardo 1800, che si avvaleva del motto “P.P.P.P.P.P” che significava “per Patria prima per Polenta poi”. Ad una settimana dalla Pasqua, l’Ordi-
ne dei Cavalieri della Polenta ha organizzato un pranzo al Ristorante “Gourmet” all’insegna della polenta, che la poetessa Anna Rudelli ha saputo abbinare ad una sua poesia titolata “Pasqua: Saur de Primaera”. Il convivio è stato particolarmente saporito e, tra storia e aneddoti golosi, si è arrivati alla tappa del 1992, anno che ha inaugurato l’avvento di Piero Ricci come “Gran Maestro”, Massimo Veneziani “Cancelliere”, Mario Lameri “Cerimoniere”, Gianfranco Lameri “Elemosiniere” e dei “Consiglieri” Piero Recanati, Lucilla Cardano e Claudio Quattri, i quali, insieme a tutti i Cavalieri hanno saputo evidenziare i valori dell’amicizia, della cortese ospitalità con il forte impegno di tenere alto il nome di Bergamo e del suo piatto tradizionale: la polenta. (Pino Capozzi)
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