Affari di Gola - aprile 2015

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aprile 2015

L’Expo sotto casa

Ricco di eventi e proposte enogastronomiche il fuori salone a Bergamo


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aprile

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Anno

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SOMMARIO

XV n.3

APRILE 2015

L’Expo sotto casa

Ricco di e propo eventi ste

enogas tronomi il fuori che sa di Berga lone mo

in copertina il progetto Forme, tra le iniziative bergamasche per Expo foto: Matteo Zanga

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Come crescere un bongustaio

10 IL PRODUTTORE

Otus, a Seriate è nato un nuovo birrificio

12 TRADIZIONI

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14 TENDENZE

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Quando a Bergamo finiva in tavola anche la carne dell’orso «Sì ai vini naturali, ma che siano di qualità»

17 la guida

L’Expo sotto casa

25 IL LOCALE

Treviglio, al “Caffè degli artisti” la miscela è da urlo

26 PERCORSI

Viaggio alla scoperta del gusto

30 FACECOOK

«I palati inglesi? Li conquisto con due locali»

32 IL PREZZO FISSO

Gina, sessant’anni di ristorazione e nessuna voglia di smettere

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini,24 - 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - N° ROC 5847 - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

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focus di Laura Bernardi Locatelli

Come crescere un buongustaio

Il grande Ducasse ha scritto un libro sulla cucina per bebè. Per dire che il palato va affinato sin dalla culla. Anche gli chef stellati bergamaschi sono impegnati nelle proposte per bambini, ma le resistenze al tavolo non mancano. Ad Affari di Gola hanno intanto raccontato i loro piatti della memoria e dispensato semplici consigli per “allevareâ€? dei buoni gourmet

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più grandi chef pensano anche in piccolo. Alain Ducasse, con la complicità della dietologa Paule Neyrat, si dedica alla cucina per bebè, con tanto di pubblicazione (Ducasse bebè. 100 ricette semplici, sane e buone dai 6 mesi ai 3 anni, edito da “L’Ippocampo”). «La buona cucina comincia dalla culla - sostiene a gran voce il grande chef francese -. L’apprendimento inizia con la diversificazione alimentare fin dai 6 mesi: in quel momento i bambini hanno una capacità insospettabile di padroneggiare il gusto e assimilano così buone abitudini per quando saranno più grandi». Ducasse svela i suoi segreti per sviluppare le papille gustative dei bambini e farli diventare dei veri buongustai. Tre sono gli imperativi: semplice, sano e buono. La semplicità è il primo passo: prodotti facilmente reperibili, ricette di facile e breve esecuzione, adatte ai ritmi di genitori impegnati ma esigenti. La cucina deve essere sana, con prodotti bio, poco sale e poco zucchero per salvaguardare la salute futura dei più piccoli. Tutto deve essere uno stimolo al gusto, per cui le ricette devono essere originali a base di frutta e

verdura mature e di stagione, ma soprattutto buone per sfoderare tutto il loro sapore. Anche gli chef bergamaschi si impegnano per una cucina di livello a misura di bambino, anche se non sempre è facile vincere le resistenze. Il primo sforzo deve partire dai genitori, perché i bimbi gourmet nascono da buone e sane abitudini, da stimoli continui alla curiosità e dal desiderio di imitazione. Eppure non tutti gli chef che portano sempre più in alto la nostra ristorazione sono stati delle buone forchette, nonostante i buoni esempi a casa. Di contro ci sono grandi chef cresciuti con cucine non troppo stimolanti, che hanno sviluppato sin da bimbi un palato eccezionale: «Da piccolo ero curioso, mangiavo tantissimo ed il momento clou era la domenica, con arrosti, pasticci, antipasti toscani, fritti e tanti dolci - racconta lo chef Enrico Bartolini, due stelle Michelin al Devero di Cavenago -. In settimana era un po’ una sofferenza perché mia mamma, che è una grande mamma, cucinava un po’ così e così. La domenica però ci pensava la zia Emilia. E a volte anche il venerdì, quando faceva

Enrico Bartolini la polenta e ogni tanto il baccalà». I suoi figli, ancora piccoli, mangiano già di tutto: «Giovanni, 2 anni, vivrebbe di patanegra e acciughe, senza contare il gelato. Tommaso, 8 anni, mangia di tutto, ma ama soprattutto la pasta ed i risotti». Tre chef stellati - Chicco Cerea, Daniel Facen e Roberto Proto - tornano bambini e raccontano i loro piatti della memoria, i passi più importanti per l’evoluzione del loro gusto e dispensano alcuni semplici consigli per crescere dei bimbi pronti ad inorgoglire le tradizioni della cucina italiana.

“Il Saraceno” di Cavernago

Proto, lo chef che da bambino odiava il pesce oggi vince con i piatti di mare Roberto Proto, chef de Il Saraceno di Cavernago, fresco di stella Michelin, è approdato alla cucina dopo aver fatto per un paio di anni il parrucchiere e aver capito che non era la sua strada. Ha respirato sin da bambino l’atmosfera del ristorante nella Trattoria di famiglia aperta nel 1976 da papà Salvatore e da mamma Trofimena, che da Amalfi avevano inseguito un lavoro e i loro sogni prima in Svizzera, dove erano stati a servizio come governanti presso un’importante famiglia, e poi a Bergamo dove avevano aperto il loro ristorante “Da Salvatore”.

Nonostante i manicaretti di mamma Mena, Roberto Proto non è stato un bimbo gourmet né ha mai avuto una grande predisposizione all’assaggio: «Il mio universo gastronomico è stato per anni quello della pizza margherita, delle bistecchine e delle penne al pomodoro, senza nemmeno l’ombra di un filo di cipolla». Nemmeno un pesce a guizzare in questo menù ristretto e un po’ ottuso, un fatto quanto meno curioso per uno chef destinato in futuro ad esaltare ogni specialità di mare. «Mia mamma non ha mai smesso di propormi piatti di pesce, che ho

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focus “A’ Anteprima” di Chiuduno

Facen: «Meglio stimolarli con un bell’ con tablet o fogli Daniel Facen, nato in Svizzera ma trentino nell’anima e ormai bergamasco d’adozione, è cresciuto in una casa con pentole e padelle sempre sul fuoco: «Mia mamma Roberta lavorava a servizio di un’importante famiglia milanese prima e poi in Svizzera, dove sono nato. È sempre stata, anche per lavoro, una grande cuoca: grandi secondi di carne, piatti tradizionali lombardi come la cassoela, gli ossibuchi con risotto e la cotoletta alla milanese, erano solo alcune delle sue specialità, assieme a piatti svizzeri come la raclette». Cresciuto coi manicaretti di mamma, lo chef dell’A’Anteprima di Chiuduno, una stella Michelin, è sempre stato una buona forchetta: «Un piatto odiato e uno amato? Ho sempre mangiato di tutto, ma ricordo con affetto la semplicità di uova con dente di leone, un piatto che segnava l’arrivo della primavera e della bella stagione. Invece francamente la faraona con polenta è

Daniel Facen un piatto che ho odiato e non amo nemmeno oggi: le carni risultano sempre asciutte. Non sono mai andato al ristorante da bambino e per me l’unica cucina è sempre stata quella di mia madre». Suo figlio non ha mai fatto un capriccio a tavola ed è un grande appassionato di cucina: “Luca, che ora ha 21 anni, cucina davvero bene, tanto

scoperto però solo a dodici anni. Prima non c’è stato verso di farmeli provare». Ma è stata solo una questione di tempo. «Oggi mangio davvero tutto, ma se posso evito i peperoni. Il piatto a cui non potrei rinunciare è invece la pasta e fagioli di mia madre, un piatto storico della mia famiglia, tramandato di generazione in generazione». Ai fornelli Proto si è messo ben presto: «A tredici anni quando tornavo da scuola ho iniziato a preparare da me qualche piatto e mia mamma ricorda ancora la cura nell’impiattamento e l’attenzione ai fornelli». A vent’anni la scelta di abbandonare forbici e rasoio per affiancare la

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che è quasi sempre lui a mettersi ai fornelli a casa. È sempre aggiornato su tendenze e grandi chef, sperimenta nuove ricette. Anche da piccolo ha sempre voluto assaggiare tutto, con grande curiosità». I bimbi gourmet esistono da sempre e ogni anno fortunatamente ne nascono di nuovi: «È bellissimo vedere bimbi al mio ristorante mangiare piccione, foie gras, pollo di Bresse, lumache. Significa che si sta costruendo il futuro della tradizione, che non esiste solo Mac Donald’s… Ogni anno alla fine della scuola un bimbo viene premiato dai genitori con una cena da noi all’Anteprima e non si lascia scappare una sola portata del percorso degustazione. Per me è una festa cucinare per lui». Il cibo è cultura e porta con sé valori che vanno trasmessi da subito, senza scorciatoie: «Le mamme hanno sempre paura che i loro figli muoiano di fame e continuano a pensare che nei ristoranti si impieghino troppi gras-

mamma in cucina: «Ho iniziato a lavorare fianco a fianco con mia madre che mi ha trasmesso con passione la sua cucina tradizionale di pesce. La passione per il mio lavoro mi ha spinto a frequentare grandi ristoranti in tutta Italia, stimolando la mia voglia di migliorare e di creare nuove ricette. Ricordo ancora il raviolo all’olio d’oliva di Valeria Piccini provato in uno dei primi viaggi gastronomici per l’Italia, Da Caino a Montemerano». Le bimbe dello chef devono ancora ampliare il loro menù, ma mamma Maria Morbi, con tanto di laurea di psicologia in tasca, è pronta a dar loro tutto il tempo necessario, anche perché - come sottolinea - forzare i bimbi a mangiare è uno dei più grandi errori da fare, per non parlare di punizioni e ricompense. «Le mie bambine, Martina di 9 anni e Giulia di 6 anni, purtroppo non mangiano proprio tutto, a partire dal pesce - allarga le braccia Roberto Proto -. Nonostante le paste e le torte fatte in casa dalle nonne Mena e Lisetta, la cura che


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’ aperitivo che lasciarli al tavolo da disegno» si, un pregiudizio del tutto infondato. Difficilmente i bimbi gourmet sono in sovrappeso, a differenza dei loro coetanei cresciuti a merendine e fast food. Il punto è che per rendere le cose più semplici e veloci si dà al bimbo la possibilità di scegliere ciò che vuole da mangiare, con ogni probabilità i soliti quattro piatti. Sta ai genitori promuovere una cultura del cibo». Le abitudini contano, eccome: «In Francia, una volta all’anno le famiglie si concedono una cena in un ristorante gourmet dove i bimbi, oltre a provare una cucina diversa dall’ordinario, imparano anche a stare a tavola in un contesto formale. Andare al ristorante è un evento importante ed è l’occasione anche per i bimbi di provare piatti diversi». La varietà dovrebbe ispirare ogni menù dedicato ai più piccoli: «Non abbiamo ovviamente un menù per i bimbi ma siamo pronti a preparare tutto, tranne le patatine fritte per cui mi rifiuto letteralmente.

Al ristorante vinco quasi sempre la scommessa di far provare ai piccoli piatti nuovi. Di fronte ad un bel piatto, non resistono. Ma nei servizi catering non c’è verso di far capire ai genitori che un bel filetto di vitello è più interessante della solita cotoletta, che una pasta con un sugo particolare stimola la fantasia più delle penne al pomodoro». Non esistono giochi a tavola per Daniel Facen: «Non mi piace vedere bimbi giocare a tavola: è meglio stimolarli con un aperitivo che portar loro dei fogli da disegno. È un piacere vederli divertire con la mia cucina, con il fumo di azoto e i giochi di colori e forme. E non ci sono tablet ed altri giochi o distrazioni che tengano». La semplicità educa al gusto i più piccoli: «Le cotture devono essere il più semplici e sane possibili: il bimbo deve imparare a riconoscere ogni ingrediente impiegato. Se si usano cibi pronti, precotti o surgelati si parte però già col piede sbagliato. Sono una vera rovina

mette mia moglie Maria nel proporre loro verdure, riducendole in crema o presentandole al meglio, le nostre bimbe non sono delle grandi forchette. La più piccola oggi, ad esempio, non voleva andare in mensa perché in menù c’era il pesce fritto». La speranza è che prendano da papà e pongano in fretta fine ad ogni resistenza. I buoni esempi non mancano al ristorante: «Mi ha stupito vedere un bimbo di sette anni gustarsi cruditè di mare e spaghetti all’aragosta. Di norma proponiamo con successo ai più piccoli pesce bianco, dal rombo al dentice, alla spigola, accompagnato da verdure. Capita anche di vedere bimbi assaggiare il risotto all’astice della mamma e magari poi scambiarlo con la loro pasta al pomodoro: la curiosità è sempre una buona molla per far scattare nei più piccoli la voglia, anche per imitazione, di provare qualche piatto nuovo. Purtroppo poi ci sono i bimbi sempre davanti a smartphone e tablet o che non riescono proprio a stare a tavola».

per il palato, pieni di sale e glutammato e di zucchero e additivi i dolci. E poi la carne deve essere carne: non esistono ketchup o maionese portati a tavola». Non manca una rasoiata ai media: «I bimbi devono crescere giocando, tutto deve essere uno svago e se possibile un divertimento. Vedere bimbi a Masterchef Junior non mi piace affatto. Anche il seguitissimo talent per adulti dà un’immagine distorta della cucina. Stare in cucina non significa riempire piatti e presentarli al meglio, c’è tutto uno studio, una cultura ed una preparazione dietro. E tanta, ma tanta fatica: dopo dodici ore di lavoro si è davvero cotti».

Roberto Proto e Maria Morbi

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focus

“Da Vittorio” di brusaporto

Cerea: «Il problema spesso sono i genitori. Andrebbero educati prima loro e poi i piccoli» Chicco, primogenito dei cinque fratelli Cerea ed executive chef del locale tristellato di Brusaporto, è cresciuto tra pentole fumanti e i profumi di una cucina eccellente come quella di papà Vittorio. «Da papà ho imparato tante cose. La più importante è senz’altro quella di scegliere i prodotti giusti. Ma poi, in fondo, oltre alla tecnica ciò che conta davvero è il palato: un branzino eccezionale, cotto alla perfezione, può essere troppo salato o insipido. È una questione di sensibilità, ma anche di allenamento. Il palato va istruito, allenato e tenuto sempre aggiornato. È qualcosa che in parte si ha nel Dna, ma poi contano ambiente ed esperienze, curiosità e desiderio di sperimentare nuovi gusti. Non sempre sono amori a prima vista e gusto: a otto anni, ad esempio, ricordo che sputai un’ostrica. Oggi ne vado letteralmente pazzo». È fondamentale far crescere ogni bimbo in un contesto stimolante: «Non si possono proporre sempre gli stessi piatti ai propri bimbi. Ancora più importante è dare loro un’educazione alimentare». “Ricordo ancora sottolinea Cerea - il piacere di servire ad una bimba di cinque anni o poco più piccione e capriolo, due piatti complessi per un adulto, figuriamoci per un bambino. È stato fantastico vedere l’espressione felice, boccone dopo boccone, di quella bimba dalla faccia simpatica e golosa. Magari fossero tutti così! Purtroppo ci sono mamme e papà che piazzano i figli davanti all’iPad pur di farli stare tranquilli e sono troppi i bimbi che mangiano a tutte le ore del giorno per lo più schifezze. Lo sforzo di proporre qualcosa di diverso deve partire dai

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genitori, che spesso però sono i primi a propinare a tutta la famiglia le solite ricette». Chicco e Bobo, che si divertono in cucina con le padelle da quando hanno dieci anni, cercano di trasmettere questo amore per la cucina nelle scuole dove supervisionano e curano la ristorazione: «Abbiamo la fortuna di gestire due mense scolastiche: l’Imiberg e il Circolo dei Bambini. Abbiamo grandi risultati e soddisfazioni con i bimbi, specialmente con i più piccoli. Al Circolo dei Bambini ci sono delle vere e proprie lezioni di cucina: si insegna ad impastare il pane e la pizza e ad apprezzare sapori diversi. I bimbi imparano a mangiare verdure e ad apprezzare una cucina leggera, ma di grande gusto. La verità è che vanno educati prima i genitori e solo poi i più piccoli. Purtroppo, spiace dirlo, ma sono loro il problema». Ma che bimbo è stato Chicco Cerea? «Sono stato goloso sin da piccolo. Ho sempre mangiato di tutto: ricordo ancora quel piacere di affondare il dito in una salsa di pomodoro appena preparata in casa. Ricordo con affetto le merende con mio padre del mercoledì, giorno ancora oggi di chiusura del ristorante. Papà ci veniva a prendere a scuola e andavamo tutti insieme a piedi fino in Città Alta per gustare pane, burro e acciuga o pane, salame e cetriolini alla Trattoria Colombina». Per lo chef cresciuto nel ristorante bergamasco più prestigioso, il piatto più incredibile della memoria è una ricetta casalinga di papà: «Non posso dimenticare un minestrone di verdure cotto non so quante ore, servito tiepido con un po’ di pesto preparato da papà per un ospite di Genova. Ho

Chicco Cerea provato diverse volte a cucinarlo, ma non mi è mai riuscito come il suo. Ricordo ancora il profumo che stuzzicava l’appetito sin dall’androne del palazzo». Anche i piccoli di casa Cerea sono dei gourmet come papà: «I miei tre figli - Beatrice, 20 anni, Maria Vittoria, 17 anni, e Vittorio, 15 anni - hanno sempre assaggiato ogni piatto sin da piccoli. Ad ogni ricorrenza importante abbiamo il nostro rituale: regalarci una cena in un ristorante importante. Ci divertiamo un mondo a scegliere la meta gastronomica, sbirciare i menù, iniziando su internet il nostro viaggio tra i sapori. Devo dire che i miei figli sono stati sempre molto aperti all’assaggio e anche il vino l’ho fatto assaggiare a tutti. Io stesso sono il primo ad accettare ogni loro suggerimento: ad esempio Beatrice che ha vissuto tre mesi ad Hong Kong mi ha consigliato su alcune spezie e mi ha portato nuove ricette dall’Oriente».


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bassa Bergamasca L’obiettivo è scoprire e mappare i produttori, i trasformatori, gli artigiani, gli allevatori, i negozianti, i docenti, gli chef e i ristoratori del territorio e metterli in rete

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Slow Food lancia la “Comunità del cibo buono” ducare le nuove generazioni al concetto di “biodiversità” e salvaguardare i prodotti e le tradizioni locali: è la duplice sfida che Slow Food Bassa bergamasca lancia in vista di Expo 2015 dove l’associazione fondata da Carlin Petrini vuole avere un ruolo centrale in materia di nutrizione. Il programma, che vedrà impegnata la Condotta trevigliese guidata dal Fiduciario Barbara Schiavino, è stato presentato in occasione dell’Assemblea annuale dei soci tenutasi nei giorni scorsi al Podere Montizzolo di Caravaggio. Obiettivo principale dell’attività sul territorio rimane l’educazione, anzitutto nelle scuole: «Per noi l’educazione è al primo posto - ha detto nella sua relazione di bilancio il segretario Chicco Crippa - nelle scuole come tra la gente. Nel 2014, in collaborazione con la Cooperativa sociale Alboran, abbiamo continuato il progetto “La biodiversità nell’agricoltura della Bassa bergamasca” presso la Scuola Agroalimentare di Caravaggio e iniziato il progetto “Un menù biodiverso” all’Istituto Abf di Treviglio nei corsi per cuochi e per pasticceri. Attività educativa che continuerà, ancora più specifica, quest’anno per l’apertura ufficiale dell’Esposizione universale di Milano, anche in altri Istituti scolastici trevigliesi, come per il progetto Happy Hours con l’Istituto Professionale Zenale Buttinone e la partecipazione al Progetto “Culture e colture di cibo nella Bassa pianura”, con Labter e Rete S.O.S. e il Comune di Treviglio, nelle scuole primarie». Educazione in primo piano anche in mezzo alla gente attraverso la partecipazione a fiere, sagre ed eventi: si sono svolte serate con degustazioni di prodotti Presidio Slow Food, un Corso di degustazione del vino, Laboratori del gusto alla Sagra della patata di Martinengo e alla Festa della CFL in settembre al mercato di Treviglio; assieme alle altre Condotte bergamasche sono stati organizzati i “Sabati di…vini” a Leolandia nel mese di luglio, i Laboratori del gusto alla Gamec di Bergamo (cibo e arte) e al Food Film Fest di Bergamo (cibo e cinema). Un ambito particolare è stato riservato a promuovere la conoscenza dell’olio extravergine con l’evento “Dall’oliva all’olio”, una piacevole domenica passata tra uliveto,

frantoio e rinfresco, in un’azienda sui colli bergamaschi, e con la serata de “il Gioco del piacere dell’olio” un vero mini corso di apprendimento e degustazione. A tutto questo si devono aggiungere le iniziative culturali copromosse con la rete associativa di Infinito Benessere; le serate, organizzate con Libera e Legambiente, in difesa della Legalità e contro le mafie che anche nella nostra provincia agiscono nel settore dell’ambiente e dell’agroalimentare. Infine ricordiamo le visite ad aziende agricole e cantine, gli incontri conviviali a tavola nei locali e negli agriturismi che propongono i piatti genuini del territorio e di stagione, per un totale di oltre 30 eventi organizzati nel 2014. «Anche nel programma 2015 l’educazione farà la parte del leone - ha ribadito Barbara Schiavino, presentando il programma del corrente anno - sottolineando che centro dell’attività annuale sarà naturalmente l’Expo e non solo a Milano, dove Slow Food gestirà un grande spazio tutto dedicato alla Biodiversità, “l’unica ricetta in grado di Nutrire il Pianeta”, ma in tutta una serie di eventi sul territorio organizzati con le associazioni locali. Ci sono in cantiere anche progetti a lungo termine come la realizzazione della “Comunità del cibo buono, pulito e giusto”, un obiettivo ambizioso da costruire con la scoperta, la conoscenza e la mappatura di produttori, trasformatori, artigiani, allevatori, negozianti, docenti, chef e ristoratori del nostro territorio, riuscendo a mettere in rete tutte queste realtà». Un primo step di questo percorso sarà l’impegno a progettare e realizzare un “Mercato della Terra” con i prodotti locali, a filiera corta e chilometro zero, per garantire a tutti il diritto al cibo di qualità e rispettoso della salute, dell’ambiente e delle tradizioni della bassa pianura. A tale proposito Slow Food conferma l’impegno a promuovere le iniziative culturali e solidali, come la mensa popolare e l’attività della Quercia di Mamre a Treviglio, contro la lotta agli sprechi alimentari e per il diritto al cibo per tutti. Per seguire l’attività di Slow Food e conoscere i dettagli dei prossimi eventi www.slowfoodbassabg.it

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IL PRODUTTORE

Otus, a Seriate è nato un nuovo birrificio

C’

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è un nuovo birrificio a Bergamo. Si chiama Otus - dal nome latino della famiglia degli Strigidi, gli uccelli rapaci notturni come gufi, allocchi e civette - e ha sede a Seriate. Nasce dalla volontà di un gruppo di amici accomunati dalla passione per la birra e animati dall’idea di creare una nuova esperienza imprenditoriale con valori ben definiti. La società, costituita lo scorso anno, aggrega 25 soci: tre fondatori - la presidente Anna Cremonesi e Raoul Tiraboschi con il 10% delle quote e Ruben Agazzi con il 5%, - e gli altri con quote variabili tra il 2% e il 5%. Pur con una compagine sociale di provenienze territoriali differenti, la scelta è stata quella di costituire un birrificio in grado di sviluppare una produzione di qualità (il birraio è Mauro Bertolini), con ingredienti e procedure naturali che valorizzino l’appartenenza orobica, mantenendo uno sguardo ed un’attenzione aperti anche all’esterno. Di qui la scelta di collocare il Birrificio a Seriate e, tramite alleanze strategiche, di puntare

Venticinque soci, forte attenzione al territorio e al sociale e qualità degli ingredienti. Questa la carta d’identità della nuova birra che sarà distribuita dalla 4R. Dedicata a Palma il Vecchio la prima produzione, già in degustazione alla Domus Bergamo

a una birra artigianale d’eccellenza. La produzione si attesterà per ora sui 100mila litri annui (ma il potenziale può arrivare al milione di litri) mentre la distribuzione è affidata alla 4R di Torre de’ Roveri, socio del birrificio

e azienda storica nella distribuzione di bevande sul territorio di Bergamo, che mette a disposizione le proprie competenze e professionalità. Il presidente della 4R, Giampietro Rota, siede nel Cda di Otus in compagnia


aprile 2015 di Anna Cremonesi, Ruben Agazzi, Micaela Barni ed Ernesto Marchesi. Il prezzo medio al pubblico per la bottiglia da 75 cl è stato fissato a 8 euro, con un ricarico massimo di 4 euro se servita in un locale. «La scelta del nome Otus - sostiene Cremonesi - è stata fatta per esprimere lo spirito notturno, meditativo, lunare che caratterizza il consumo serale di determinate birre. Produrre, mescere e degustare una birra artigianale italiana per noi è un rito che Otus vuole trasformare in un cerimoniale seducente, che necessita di tempo. La sua complessità è infatti da scoprire assaporando ciascun sorso, meditando sulle sensazioni dei sapori e intravedendo tra le sfumature bionde, ambrate e scure la storia di una birra che si racconta. Ci sono libri che si bevono tutti d’un fiato e birre che si leggono come romanzi: le birre Otus saranno per noi una lettura contemplativa». «Otus - annota ancora la presidente del birrificio - vuole promuove una cultura del bere che ritorni al territorio, ma non solo. Una parte di rilievo è rappresentata dalla responsabilità sociale e ambientale. La prima declinata con l’impegno che abbiamo preso di inserire nel nostro ambiente lavorativo persone svantaggiate grazie alla Cooperativa Aeper, socia del birrificio (gestisce anche la Locanda dei Golosi di Villa d’Almé), che ha fatto del volontariato e dell’attenzione agli ultimi i principi guida delle sue attività per il sociale. La seconda con

Il Cda della Otus. Da sinistra Ruben Agazzi, Micaela Barni, il presidente Anna Cremonesi e Giampietro Rota della 4R. Al centro il birraio Mauro Bertolini la scelta di utilizzare materie prime di provenienza biologica, il più possibile di produzione locale». Territorio vuol dire anche arte e cultura. E non a caso, la prima birra in fase di commercializzazione è stata dedicata a Palma al Vecchio. Una produzione che andrà ad inserirsi nella linea denominata ‘Art Collection’, che si affiancherà alle linee Classica e Special. «La mostra dedicata a Palma il Vecchio - continua Cremonesi - si inserisce in un percorso territoriale che ha come ossatura iniziale alcuni grandi restauri - finanziati dalla Fondazione Creberg - in un itinerario di visita che si dipana nel territorio. Proprio come la mostra vuol rappresentare una scintilla attraverso cui innescare processi virtuosi per la valorizzazione di Bergamo e del suo territorio, offrendo al visitatore Birrificio Otus srl via Rumi, 7 - Seriate tel. 035 296473 www.birrificiootus.com commerciale@birrificiootus.com

una nuova modalità di fruizione del patrimonio storico artistico, così il birrificio Otus ha pensato di creare la linea Art Collection per interpretare al meglio questa rivalutazione culturale, affiancando alle bellezze artistiche da visitare le proprie produzioni da degustare». La birra del Palma è birra speciale, ambrata chiara, ottenuta da una ricetta dedicata, aromatizzata al ginepro, che prevede l’utilizzo di miele prodotto dall’agriturismo La Pèta di Costa Serina, proprio per rimarcare non solo la territorialità dell’ingrediente ma anche i natali dell’artista. Nel frattempo hanno già preso vita anche una birra chiara doppio malto e una birra speciale rossa, sempre dedicate al Palma. A seguire verranno commercializzate la bionda B5, la rossa R5.5 e la doppio malto chiara OS7. Ogni birra prodotta da questo nuovo birrificio ha come denominatore comune il fatto di non essere né pastorizzata né filtrata. Grazie poi all’accordo concluso con la Domus Bergamo, in piazza Dante, queste birre possono essere degustate in anteprima anche in fusto nell’esclusivo contenitore PolyKeg che chiaramente, in piena sintonia con gli obbiettivi sociali, è totalmente riciclabile. «La grande attenzione sugli ingredienti, sul sociale e sulla eco sostenibilità - chiude Giampietro Rota - fanno di questo birrificio qualcosa di nuovo, da provare, da sperimentare. Insomma, non solo buona birra».

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Tradizioni di Leonardo Bloch

L’eccentrico bestiario della cucina di cinque secoli fa

Quando a Bergamo finiva in tavola anche la carne dell’orso

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on se ne risentano i propugnatori del vegetarianismo, ma è assodato che le inclinazioni carnivore della specie umana siano di inequivocabile ascendenza divina. Recita infatti il libro della Genesi che, alle prese con le prime manifestazioni di riverenza dei nostri progenitori, l’ombroso Yahweh della Torah non abbia certo fatto mistero dei propri orientamenti gastronomici. I frutti della terra recati in dono da Caino, di professione agricoltore, non furono invero degnati dal Padreterno neppure di uno sguardo. Ben diversa accoglienza venne invece riservata ai pingui agnelli offerti da Abele, dedito viceversa alla pastorizia. È risaputo che lo stizzoso contadino si adombrò non poco per la preferenza accordata al fratello pecoraio, e l’infausto epilogo dei susseguenti attriti familiari è semmai la più antica riprova di come l’aderenza ad un regime alimentare strettamente vegano non assicuri affatto l’immunità dagli accessi incontrollati d’ira. Ma questa è tutt’altra questione.

Già s’è avuta occasione di evidenziare come le pulsioni carnivore dell’umanità abbiano conosciuto uno dei loro picchi storici nel periodo a cavallo tra tardo medioevo ed

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età moderna. Ciò è attestato non solo da consumi pro capite particolarmente elevati, ma anche dallo spettro singolarmente ampio delle specie animali a quell’epoca considerate di rilevanza gastronomica. A tale riguardo si può tranquillamente affermare che, all’alba del XVI secolo, non fossero molte le varietà faunistiche del vecchio mondo del tutto al riparo dal rischio di un’ingrata fine in padella. La lista delle carni di più o meno comune utilizzo nella haute cuisine di cinque secoli fa, e per varie ragioni successivamente scomparse dalle consuetudini alimentari, riserva più di una sorpresa. Se tra i volatili non colpisce oltre un certo segno l’apprezzamento per merli e cornacchie - del resto in avanzata età classica il ricettario di Apicio aveva illustrato varie modalità di accomodare addirittura il pappagallo -, assai più eccentrica suona tra i quadrupedi l’attenzione che nella Singolar Dottrina lo scalco papale Domenico Romoli rivolge al cammello. Eppure a quei tempi l’enigmatico ruminante non poteva certo essere più comune alle nostre latitudini di quanto lo sia oggi. Nel celebre Llibre del Coch il partenopeo Ruperto da Nola, capocuoco del re di Napoli Ferrante I d’Aragona, propone invece una ricetta per arrostire il gatto la cui entusiastica chiusa - “es vianda muy buena” assesta un’inappellabile spallata al pregiudizio secondo cui taluni usi culinari fossero esclusivo appannaggio del circondario di Vicenza. Sempre nel dominio dei grandi trattati rinascimentali, la monumentale Opera di Bartolomeo Scappi non solo fornisce istruzioni per la realizzazione di manicaretti a base di istrice e porcospino ma, a pochi decenni dalle traversate oceaniche di Colombo, prodiga anche consigli per preparare l’appena importato coniglio d’India - ai nostri giorni meglio noto come cavia. Tanta solerzia non passa inosservata dinnanzi alla granitica diffidenza con cui furono accolte le nuove specie vegetali introdotte dalle Americhe: il mais divenne infatti di uso comune solo a metà del XVII secolo, mentre ci vollero ancora altri cent’anni per assistere alla diffusione popolare di patata e pomodoro.


aprile 2015 Ulteriori riscontri di indubbia singolarità sono provvisti dai resoconti dei viaggiatori dell’epoca, assai più prossimi alla cucina del volgo rispetto ai sofisticati ricettari di corte. Spiccano in particolare le annotazioni gastronomiche che nel tardo quattrocento Paolo Santonino, cancelliere del Patriarcato d’Aquileia, appuntò in occasione di alcune visite pastorali nelle più remote vallate dell’arcidiocesi al seguito del vescovo di Caorle. Dalle pagine del funzionario curiale, ambientate in un contesto alpino che, in quanto a costumi alimentari, probabilmente non si discostava di molto dal circondario di Bergamo, apprendiamo ad esempio che in un villaggio della Carinzia al presule fu offerto un lauto pranzo il cui piatto forte era costituito dallo scoiattolo in salsa. In Carniola l’alto prelato si vide invece servire un ghiro allo spiedo, che divorò con gran voracità - forse memore dell’alta considerazione culinaria di cui gli antichi romani beneficiavano il roditore - senza lasciarne agli altri commensali neppure un boccone. Non stupisce dunque che, agli albori dell’età moderna, anche nelle aree montane della nostra provincia la selvaggina nella sua accezione più lata rappresentasse una risorsa nutrizionale di primario rilievo. Stabilivano ad esempio gli statuti cinquecenteschi del borgo seriano di Gromo che i beccai locali avessero titolo a vendere - oltre a quelle del daino, del camoscio e del capriolo persino le carni dell’orso. In realtà sin dall’alto medioevo è documentato un consolidato gradimento gastronomico per il plantigrado che, in forma di arrosto, non mancava mai sulla mensa imperiale di Carlo Magno. Piuttosto che a discutibili virtù di succulenza, i bellicosi aristocratici dell’era di mezzo parevano essere invero interessati all’indole irriducibilmente pugnace della fiera, che contavano di assimilare cibandosi delle sue membra. Nel contiguo dominio della farmacopea, il concittadino Accursio Corsini - estensore all’inizio del seicento di un’erudita apologia della caccia - non esitò invece ad avvalorare la credenza secondo la quale il grasso della bestia fosse un infallibile antidoto contro la calvizie. Certo è che sulle nostre montagne l’imponente animale, oggetto delle brame di chi si trovasse in difetto di capigliatura piuttosto che di temerarietà, non ebbe vita affatto facile. Falcidiata tra medioevo ed età moderna, la popolazione autoctona di orsi ricevette il colpo di grazia nel corso del XIX secolo. Lo storico Gabriele Rosa dà infatti notizia dell’abbattimento nella bergamasca - tra il 1835 ed il 1855 - di ben venti esemplari, mesto preludio al definitivo sradicamento di una specie sulla quale è assai opportunamente calato un ossequioso velo di oblio culinario.

Montisola

La sfida del salame, ecco i vincitori

Un fine settimana all’insegna del salame quello di scena a Montisola sabato 28 marzo. Il Comune, nell’ambito della prima edizione della manifestazione “Le Giornate del Gusto - Sua Maestà il Salame di Monte Isola”, ha pensato di promuovere le eccellenze e le tradizioni del territorio ed in particolare quelle gastronomiche, come il salame montisolano. E pertanto ha promosso un concorso per votare il miglior insaccato. La “Sfida del salame”, come è stata denominata, ha portato alla vittoria Veledo Turla che ha ottenuto il punteggio più alto (1.205). A seguire si sono classificati, nell’ordine, i salami prodotti da Sergio Turla, Luigi Rosa, Giulio Mazzucchelli, Venanzio Turla e Angelo Novali. La gara per designare il miglior salame è iniziata nel pomeriggio col taglio degli insaccati e l’esame da parte dei giurati. In serata la premiazione. Il concorso era aperto a tutti i produttori di salame suino residenti a Montisola i cui prodotti sono lavorati sull’isola e di produzione familiare. Per produzione familiare si intendono i salumi “fatti in casa, secondo tecniche, usi e consuetudini tradizionali della propria zona di appartenenza culturale”. Domenica, tra le varie iniziative, s’è tenuta anche la dimostrazione di come viene prodotto il “Salame di Montisola” con la tipica lavorazione a mano.

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tendenze di Lara Abrati

Un enologo, Paolo Zadra, e un agronomo, Beppe Zatti, fanno il punto sul fenomeno sempre più all’attenzione del grande pubblico. «Oggi il rischio è che si giustifichi il prodotto scadente e di difficile beva con la scelta biologica»

L

«Sì ai vini naturali, ma che siano di qualità» a famiglia dei vini naturali è molto vasta e variegata e, in realtà, non è nemmeno ben definita. Per come la si intende nel mondo enoico, comprende tutta una serie di categorie e non in cui il vino, in relazione a come si coltiva l’uva e la si trasforma, può essere classificato: come il vino biologico oppure quello biodinamico. Come dice Paolo Zadra, enotecnico bergamasco, nonché produttore (suo lo spumante Carlo Zadra prodotto a Grumello del Monte) «tutto il vino è naturale, in quanto deriva da alcune trasformazioni biochimiche a carico degli zuccheri e di molti altri componenti delle uve. La nostra azione consiste nel bloccare ad un certo punto il normale ciclo di reazioni a catena che dovrebbero terminare nella trasformazione del vino in aceto». Si può affermare quindi che la dicitura vino naturale sia un con-

Almenno San Salvatore / CA’ VERDE

Nessuna sostanza chimica, nonostante il terreno

N

ella provincia di Bergamo sono ormai diverse le aziende che hanno deciso di puntare sul vino naturale. In generale, la direzione presa è quella della coltivazione e produzione con metodo biologico certificato Codex, come il caso dell’azienda Ca’ Verde, dal ’91 guidata da Mauro Villa, figlio del fondatore Eugenio, che si estende su 4 ettari di superficie. «L’azienda - dice Mauro - è nata grazie ad un progetto legato al sociale, che avrebbe poi permesso di ospitare in famiglia ragazzi disagiati o provenienti dal mondo della droga, cosa che poi è stata realizzata. Mio padre, dalla provincia di Milano, ha lasciato il proprio lavoro, venduto la nostra casa, per trasferirsi qui, in località Ca’ Verde, ad Almenno San Salvatore». Quello era il periodo in cui si verificava la fuga dalla terra e questa cascina era stata abbandonata. Ora, nel corso dei decenni, è stata sistemata. «Mio padre ci coltivava in particolare piccoli frutti, ma questo terreno non è adatto e l’indisponibilità di acqua rendeva le cose ancora più difficili. Grazie a degli studi geologici realizzati dalla Provincia di Bergamo, ho scoperto che

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Mauro Villa


aprile 2015

Paolo Zadra cetto relativo, che lascia spazio ancora a molta confusione e interpretazione. Non mancano anche casi in cui potrebbe essere sfruttato per fini commerciali e di marketing. Beppe Zatti - agronomo di Pavia, da oltre 25 anni specializzato in viticoltura ed enologia - sostiene che «quando si parla di vini naturali si fa in genere riferimento ad una viticoltura a basso impatto ambientale, che mira ad attuare tutta una serie di attenzioni al fine di ripristinare e conservare l’equilibrio del sistema ambiente, in grado di limitare da sé la propria vulnerabilità». «In questi ultimi dieci anni - sostiene ancora Zadra - ho notato un incremento dell’attenzione e della comunicazione su questi vini. Tanto di cappello

a chi si applica per fare vini naturali, ancestrali, biologici, biodinamici! È un mondo sicuramente interessante. L’unica cosa che mi preme affermare però è che non dobbiamo perdere di vista il fatto che il vino è fatto per essere bevuto. Chi sperimenta e trasforma l’uva con la minore invasività possibile non deve utilizzare la stessa “naturalità” per giustificare grossi difetti oppure eventuali difficoltà di beva dei vini prodotti». Per ricapitolare, dice ancora Zadra «ritengo giustissimo scegliere vini manipolati il meno possibile, ma che ci sia una qualità, riconoscibile e dimostrabile, pari o, ancora meglio, superiore». Un parere simile è stato espresso anche da Beppe Zatti, che aggiunge: «Io sono sicuramente sostenitore della coltivazione sostenibile della vite, senza però che l’attenzione all’ambiente e alla minore invasività possibile nella produzione di vino si trasformi in uno strumento di marketing, basato più sulle emozioni che non sulle applicazioni concrete e misurabili in cantina. I vini naturali stanno dando dei buoni risultati a livello commerciale ma questa tendenza continuerà se chi lavora in questo modo lo farà seriamente. Professionalità e conoscenza scien-

poverissimo

tifica avranno sempre un’importanza fondamentale». La direzione suggerita dall’agronomo nella coltivazione della vite è quella di considerare tutti quei comportamenti che mirano all’equilibrio del sistema vite, intervenendo con sempre più precisione e con una valutazione complessiva: «Gli interventi spot spesso rendono ancora più vulnerabile il sistema, creando quindi la necessità di ulteriori interventi». Una invito alla viticoltura bergamasca arriva dall’enotecnico Paolo Zadra: «Nel nostro territorio ci sono molte aziende che hanno deciso di produrre con metodo biologico, anche se ormai è già una scelta che potrebbe essere considerata poco innovativa; esistono invece incroci (la cui coltivazione per ora non è ancora autorizzata in Lombardia) resistenti alle patologie che stanno creando problemi alle varietà attualmente coltivate in provincia di Bergamo. L’utilizzo di queste varietà resistenti permetterebbe di limitare molto i trattamenti (anche quelli a base di rame e zolfo, ammessi in viticoltura biologica) o addirittura di eliminarli. Perché non sfruttare l’occasione di cambiare direzione e dare nuove prospettive alla Valcalepio e al suo vino?».

Ca’ Verde via Ca’ Verde, 1 Almenno San Salvatore tel. 035 641999 347 1282362 info@caverde.eu

la mia è l’unica azienda che coltiva la vite su un particolare terreno chiamato selcifero lombardo; un terreno molto povero. Bassa produzione, quindi, ma ottima qualità». La filosofia attraverso cui Villa gestisce la sua azienda è quella di coltivare il terreno e lavorare il vigneto senza utilizzare sostanze chimiche, nella convinzione che rispettare i ritmi della natura e alimentarsi con cibi sani sia fondamentale per una buona qualità della vita. «Ho scelto di certificare la mia produzione perché già coltivavo così, limitando gli interventi in vigna e cantina, ma in questi ultimi anni si è creato un mercato specifico, formato dalle persone sensibili al tema che stanno diventando sempre più». Ca’ Verde produce tre tipi di vini: il Valcalepio rosso Doc (oltre 2mila bottiglie); il Rosa del Colle, vino rosato della Bergamasca (circa 1.700 bottiglie) e Le Ginestre, vino rosso della Bergamasca Igt 3.300 bottiglie).

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tendenze Cenate Sotto / PIETRAMATTA

«Bisogna accettare il rischio che ogni annata sia diversa dall’altra»

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Cenate Sotto c’è “Pietramatta”, che da oltre 20 anni vede in campo, con varie sperimentazioni, Pietramatta il suo ideatore Andrea Sala, laureato alla Bocconi e Cenate Sotto produttore per passione (per ora). Il vigneto è coltel. 335 6504096 info@pietramatta.com tivato sui famosi sassi della luna, chiamata anche pietramatta, da cui prende il nome. «Il vino naturale? si chiede Andrea. È quello che accetta le diversità della natura. Il rischio è che ogni bottiglia sia diversa dalle altre, ma bisogna accettare il “come viene” e non per mancanza di cura. Ogni annata può essere differente dalle altre, può dare uve diverse che daranno un vino diverso». «In vigna - aggiunge - facciamo solo ciò che fa bene alle piante e le fa lavorare al meglio. Erba tra i filari, niente trattamenti con prodotti chimici di sintesi, niente fertilizzanti, niente diserbanti. Non vogliamo forzare le viti. In cantina, invece, cerchiamo di far “parlare” l’uva, non usiamo nessun additivo chiarificante o stabilizzante e non filtriamo. Accettiamo un leggero deposito in bottiglia, che è sintomo di genuinità e non influisce minimamente sugli aspetti organolettici del vino, anzi». Sala si è dedicato per molto tempo allo studio del terreno, della coltivazione della vite e dell’enologia. Nel suo vigneto sta sperimentando anche il sistema di allevamento a ventaglio, che a differenza dei sistemi normalmente utilizzati, come il cordone speronato o il guyot, non prevede la presenza di tralci piegati, ma una crescita ramificata in verticale. Questo permetterebbe alla pianta di fruttificare e accreAndrea Sala scere in maniera equilibrata. L’impianto è stato fatto in maniera tale da garantire alle piante un buon arieggiamento. «Il mio vigneto - spiega - conta circa 3.500 piante, tra queste anche varietà autoctone come la Merera». Tra le uve coltivate figurano anche Sauvignon Blanc, Semillon, Merlot, Syrah, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e il Moscato di Scanzo. Tre i vini prodotti: i Pietramatta rosso (Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot) e bianco (Sauvignon e Semillon) e lo Scanzonato (vino rosato prodotto da uve Moscato di Scanzo, Cabernet e Merlot).

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L’Expo sotto casa Le proposte fuori salone di Bergamo, tra eventi, prodotti e opportunità per l’accoglienza e l’enogastronomia 17


Valcalepio, a tu per tu con i produttori nella Domus di piazza Dante

Matteo Zanga

EXPO SOTTO CASA

di Enrico Rota*

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d eccoci arrivati ad aprile, Expo ormai è alle porte e Bergamo è pronta. Bergamo Wine 2015 Domus Bergamo è stata inaugurata lo scorso 26 marzo, alla conclusione di Vinitaly, e il Valcalepio promette di essere uno dei protagonisti di questo momento culturale ed enogastronomico orobico. Fino a tutto ottobre, infatti, la struttura allestita in piazza Dante ospiterà una serie di presentazioni, inaugurazioni e incontri legati a quanto il nostro territorio offrirà nel 2015, oltre ad un info point stabile della mostra dedicata a Palma il Vecchio, fulcro dell’offerta artistica di quest’anno.

“Incontro con il Valcalepio, la parola al produttore”. Ecco il calendario 4R – Villa Domizia Bertoli Angelo Bonaldi – Cascina del Bosco Cavalli Faletti Celinate Cantina Sociale Bergamasca Il Calepino Il Cipresso La Brugherata La Collina La Rovere La Tordela Locatelli Caffi Lurani Cernuschi Medolago Albani Oikos Tallarini Tenuta Castello Tenuta Castello degli Angeli Tosca

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9 aprile - 1 ottobre - 15 ottobre 27 agosto 26 marzo - 9 luglio 10 settembre 11 giugno - 13 agosto 16 aprile - 21 maggio - 16 luglio 8 ottobre 4 giugno - 30 luglio 23 luglio 23 aprile - 18 giugno 6 agosto 2 aprile - 1 luglio 7 maggio - 22 ottobre 17 settembre 14 maggio - 24 settembre 30 aprile 28 maggio 20 agosto 3 settembre 25 giugno

Ma non solo cultura, anche, e soprattutto, enogastronomia. Uno degli spazi principali della Domus è dedicato all’Osteria– Enoteca ed è proprio lì che il Valcalepio farà da padrone di casa per i visitatori e gli ospiti. Oltre ad una selezione di etichette prodotte sul territorio nazionale, l’enoteca metterà infatti in degustazione una rappresentativa schiera dei vini del territorio, la cui scelta sarà gestita e curata dal Consorzio Tutela Valcalepio. In questo modo il visitatore potrà assaggiare a rotazione la Bergamo enologica ed entrare in contatto con le realtà produttive del territorio. Per agevolare ulteriormente il contatto con i produttori, ogni giovedì alle ore 19 sarà organizzato uno speciale appuntamento, “Incontro con il Valcalepio, la parola al produttore”, nel corso del quale il produttore in persona presenterà al pubblico i propri prodotti, la propria filosofia aziendale e la propria storia di viticoltore. Personale del Consorzio, inoltre, sarà a disposizione dei turisti e dei curiosi per fornire informazioni e per supportare lo staff della Domus nel corso delle degustazioni. Grazie alla collaborazione con Vignaioli Bergamaschi, si è pensato anche di coinvolgere in questo importante momento di cultura enologica il concorso enologico “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet insieme”. Oltre ad ospitare in enoteca i vini che si sono aggiudicati una medaglia nel corso dell’edizione 2014, si è organizzato “Aspettando Emozioni dal Mondo”: una serie di incontri con rappresentanti dei Paesi che prenderanno parte all’undicesima edizione del concorso, in programma la terza settimana di ottobre. Per essere sempre aggiornati sugli eventi del Consorzio Tutela Valcalepio nella Domus, è sufficiente consultare il calendario sul sito www. alta-qualita.it/events/categoria/eventi/ eventi-bergamo. * delegato Expo per il Consorzio Tutela Valcalepio

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ormai de Mut, Taleggio, Strachitunt Val Taleggio, Bitto, Grana Padano, Gorgonzola, Provolone Val Padana, Quartirolo Lombardo e Salva Cremasco. Sono le nove Dop casearie prodotte in provincia di Bergamo. Nessun altro territorio in Europa può vantare un simile patrimonio di specialità protette. Se poi si aggiungono le eccellenze riunite sotto il marchio “Formaggi principi delle Orobie” (ovvero i tre presìdi Slow Food Bitto storico, Stracchino all’antica delle Valli orobiche e Agrì di Valtorta, il Branzi Ftb e i già citati

il dibattito

di Leo Bartoli

Con nove Dop, Bergamo è regina nelle specialità casearie e l’esposizione internazionale potrebbe rilanciare le potenzialità del settore. Sui vantaggi dell’Expo, però, gli addetti ai lavori si dividono. Per le piccole aziende ed i prodotti locali resta difficile farsi notare


aprile 2015

Il progetto “Forme” lancia Bergamo come capitale europea dei formaggi

Strachitunt Val Taleggio e Formai de Mut) il gioco è fatto e Bergamo può legittimamente aspirare a presentarsi al grande pubblico dell’Expo con il titolo di capitale europea dei formaggi. È ciò che si propone di fare il progetto Forme, che da maggio a ottobre realizzerà eventi internazionali, mostre culturali-gastronomiche, degustazioni e visite guidate che celebrano i nostri formaggi. L’iniziativa è dell’Associazione San Matteo-Orobie, impegnata nella promozione e divulgazione culturale e commerciale della millenaria tradizione legata all’indu-

stria casearia montana delle Orobie. L’obiettivo è aumentare non solo la conoscenza ma anche la percezione di valore del prodotto, sull’esempio di quanto attuato in altri settori, per esempio il vino. Perché i formaggi non sono tutti uguali: per produzione, storia, origine e, in ultima analisi, per le qualità organolettiche ma anche nutrizionali. Perché un formaggio stagionato dieci anni ha un valore aggiunto che va fatto percepire al consumatore. Nato in occasione di Expo e di “Bergamo Experience” (che raccoglie tutte le iniziative di marketing territoriale bergamasche collegate all’Esposizione universale di Milano), il progetto Forme (nome che richiama il prodotto e la sua struttura) vuole essere un’occasione per fare sistema con tutta la filiera casearia bergamasca e avvicinare il pubblico internazionale. I formaggi bergamaschi saranno innanzitutto tra i protagonisti di Domus, la casa bergamasca di Expo, in

città, con incontri a tema e degustazioni. E poi con la mostra al monastero di Astino, dove i formaggi saranno esposti come veri e propri “beni culturali”, affiancati da degustazioni e laboratori. Una rassegna che culminerà a ottobre con una grande asta internazionale dei formaggi. Gli eventi e le occasioni per conoscere i formaggi bergamaschi saranno comunque distribuiti su tutto il periodo dell’Esposizione universale, a iniziare dalla presenza dei “Formaggi principi delle Orobie” proprio a Expo, nel padiglione delle eccellenze italiane gestito da Slow Food. Quindi, sul territorio bergamasco, le visite guidate alle casere aperte e ancora la partecipazione a Italian Makers Village (location principale del fuori Expo a Milano) e poi i grandi appuntamenti di ottobre: il Festival del pastoralismo, le mostre-convegno sulle razze orobiche (Bruna alpina originale e Capra orobica) e la seconda edizione del Campionato del mondo di mungitura a mano.

«Una svolta per i formaggi». «Anzi no» O

rmai ci siamo. Anche il mondo dei formaggi è in fermento e segue il countdown dell’apertura di Expo con un mix di speranze ed entusiasmo verso un evento che potrebbe rappresentare per l’intero comparto una cesura con il passato e un punto di ripartenza verso nuovi mercati. Proprio in questi giorni, il convegno organizzato all’ex Borsa Merci da Alti Formaggi su “Expo e Dop casearie”, che vede Bergamo indiscussa regina d’Italia, ha messo in luce, attraverso l’intervento di molti suoi protagonisti, le potenzialità di un settore che per il territorio rappresenta il vero fiore all’occhiello dell’offerta complessiva legata all’Esposizione Universale.

Da qui in avanti il testimone passerà all’Expo e ancor di più al Fuori Expo in salsa orobica, che valorizzerà i formaggi attraverso soprattutto “Forme” kermesse ideata da Francesco Maroni, leader del Branzi Ftb, ma anche portacolori dei formaggi Principi delle Orobie, che lancia la nostra provincia come capitale casearia delle Dop in Europa e per ottobre prepara una no-stop di eventi ad Astino: «L’Expo e il Fuori Expo diventano per tutto il mondo dei produttori caseari bergamaschi un’occasione irri-

petibile che va colta assolutamente – afferma -. Vogliamo far crescere questa mentalità nella nostra terra attraverso tanti momenti dedicati al formaggio: ci sarà da divertirsi…». E in effetti, nonostante l’indiscusso primato delle Dop casearie, ben nove, Bergamo non era mai riuscita a far nascere un evento che ne diventasse l’emblema, un po’ come fece la provincia di Cuneo, quando grazie a Slow Food fece nascere “Cheese”, appuntamento ormai imperdibile per il settore a livello europeo. Vedremo

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EXPO SOTTO CASA DAL 15 MAGGIO AL 30 GIUGNO

Siamo maestri anche nel gelato Tutta la filiera protagonista in centro

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n campione del made in Italy come il gelato artigianale ha un cuore bergamasco. Il territorio provinciale vede infatti la presenza di numerose aziende leader del settore nonché di tutti gli attori della filiera produttiva: macchine e impianti, materie prime, arredi, fino ai contenitori, ai coni, alle cialde e, naturalmente, ai gelatieri. Per la prima volta questo comparto si presenta alla città nella sua interezza, in un evento che per Expo farà di Bergamo la capitale italiana del gelato. Expo Gelato 2015 è il nome della manifestazione, promossa e sostenuta dalla Camera di Commercio di Bergamo e in programma in centro dal

15 maggio al 30 giugno. L’iniziativa, rivolta sia ai consumatori sia agli operatori professionali, si snoda lungo tre aree tematiche - conoscere, fare e mangiare – negli spazi messi a disposizione dalla Banca Popolare di Bergamo. Alla conoscenza è deputata la “Gallery”, nel Chiostro di Santa Marta, con la presentazione della storia del gelato Le aziende presenti Astori Group, Fabbri, Ferrero, Granulati Italia, Ostificio Prealpino, Puntogel, Unigel, Centrogel, Cereda Anito, Frigogelo, Gel Matic, Ice-Berg, Innova Italia, Pavoni Italia, Technogel, Bergamo Espansi, Domogel, Editrade, Sigep

e delle imprese protagoniste. Il fare sarà nel “Lab”, che vedrà allestito nei locali ex Sacerdote Uomo un vero laboratorio a vista nel quale il pubblico potrà assistere da vicino alla produzione del gelato, che sarà fresco tutti i giorni, e partecipare a workshop, incontri, esibizioni di esperti provenienti dalla Coppa del Mondo della Gelateria e dalla Scuola Italiana di Gelateria. Il laboratorio sarà gestito dal Comitato Gelatieri Bergamaschi dell’Ascom e prevede l’alternarsi dei gelatieri che aderiranno proponendo, tra gli altri, il proprio gusto del giorno. Il mangiare, invece, avverrà nella zona living, all’angolo tra via Crispi

il dibattito

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per il suo Blu di bufala conosciuto ormai in mezzo mondo: «Anche secondo me si tratta di un’enorme opportunità, ricordiamoci che un flusso di visitatori così non lo riavremo più per anni. Cogliere l’occasione e agganciare questi flussi per le piccole aziende è però difficile. Si fa fatica a trovare strade dirette per accedervi: non vorrei che solo l’aggancio politico, inteso come enti, regioni e consorzi, permettesse di ottenere visibilità. Il Fuori Expo? Fa fatica a decollare l’offerta, speriamo che qualcuno si faccia vivo». Sulla stessa lunghezza d’onda Valentina Canò, la signora dei caprini della Via Lattea di Brignano, che va in controtendenza: «Noi non saremo all’Expo, probabilmente è una grande chance, ma per i piccoli finora è stata un’occasione persa. Al di là dei costi assurdi, l’impostazione multimediale non fa

Matteo Zanga

se “Forme” saprà soprattutto darsi una continuità nel tempo. Prudente su Expo è Marco Arrigoni, presidente dell’azienda omonima di Pagazzano, il re del gorgonzola, pluripremiato nei concorsi internazionali con il suo “dolce”. «Per me l’esposizione è una grande incognita. Di sicuro porterà tanta gente, tanto turismo dal mondo, ma non so se gli operatori saranno poi così tanti: soprattutto non so se porterà risultati in prospettiva, perché in fondo l’Expo dovrebbe diventare, per settori come il nostro, un punto di partenza e non di arrivo. Me lo auguro, ma i dubbi restano. Almeno mi auguro serva a far conoscere meglio agli stranieri il cibo artigianale italiano qualità». Propositivo è invece Massimo Taddei, il signore del Taleggio: «Per noi l’Expo resta una grande opportunità, per il mondo caseario in particolare che ha bisogno di essere conosciuto di più, magari rispetto ad altri settori come quello vinicolo. Come Consorzio Taleggio in questi anni siamo molto cresciuti a livello d’immagine e l’opportunità di avere sul nostro territorio visitatori da tutto il mondo deve spronarci a mettere in campo iniziative originali, capaci di spiccare di fronte a un’offerta che si annuncia oceanica – rileva -. Ma anche come piccoli e medi produttori dico che il fuori Expo va sfruttato, per far conoscere le nostre realtà e indirettamente quindi il territorio su cui operiamo». Più scettico Bruno Gritti, titolare con il fratello Alfio dei Quattro Portoni di Cologno al Serio, l’azienda famosa


aprile 2015 e la Galleria di Santa Marta, dove su una superficie di 300 mq troverà spazio un allestimento destinato alla degustazione del gelato e favorirà l’incontro, il relax e lo svago dei visitatori. Coinvolti sono anche i giovani. I laureati dall’Università di Bergamo, in veste di ciceroni, racconteranno le tecniche e le qualità che stanno dietro ad ogni azienda e ad ogni processo, mentre gli allievi delle scuole alberghiere di San Pellegrino e Sarnico saranno impegnati nella preparazione del gelato accanto ai gelatieri. «È un evento di grande spessore – rimarca Massimo Bosio, presidente del Comitato Gelatieri Bergamaschi -, in pratica è l’unica manifestazione a livello nazionale in chiave Expo dedicata al gelato, che consacra perciò Bergamo come punto di riferimento per una delle specialità italiane più amate nel mondo». Al lavoro ci saranno le insegne aderenti al Comitato «per le quali si apre una vetrina

nel centro città, mentre cittadini e turisti avranno l’opportunità di assaggiare giorno dopo giorno lo stile ed i sapori diversi che compongono l’offerta bergamasca». Oltre ad alcuni gusti legati alle aziende presenti nell’esposizione e a quelli proposti da ogni gelatiere, sarà sempre presente il “Mielgot”, gelato a base di latte, miele e biscotto di mais Spinato di Gandino scelto come simbolo del territorio e della campagna Gelateria di Fiducia nell’anno dell’Expo. Expo Gelato 2015 è il primo passo di percorso di rete che vuole valorizzare e sviluppare un comparto che vale complessivamente 3,2 miliardi a livello nazionale con 2 miliardi di consumo e con la presenza di 39mila punti/gelaterie sul territorio nazionale. Il valore delle aziende bergamasche presenti alla manifestazione è di 55 milioni per macchine e arredi e 70 milioni per produzione e commercio di semilavorati e accessori.

parte della nostra filosofia: noi vogliamo spiegare al consumatore dal vivo i nostri prodotti, invece quella visiva mi sembra una comunicazione un po’ fredda. Il Fuori Expo? Nonostante ormai siamo al dunque, c’è ancora poco di definito. Ci saranno manifestazioni, è vero, ma mi sembrano un po’ a spot e sempre a costi poco sostenibili per i piccoli». Luci e ombre anche per Francesca Monaci, già casara enfant prodige e oggi presidente del Consorzio di tutela del Formai de Mut Dop. «Per noi l’Expo è quasi un miraggio – rileva -. Siamo stati coinvolti da Slow Food e Coldiretti, ma andare da soli con costi così alti sarebbe impensabile. Siamo però, con i Principi delle Orobie, al centro di alcune occasioni carine di visibilità. Expo è senza dubbio un’opportunità mondiale, manca forse un po’ di concretezza: non c’è stato un coinvolgimento diretto dei territori, comunque il Formai de Mut ci sarà». Ottimista è Alvaro Ravasio, artefice dell’approdo alla Dop per lo Strachitunt: «Bisogna distinguere tra Expo e Fuori Expo: a Milano i nostri formaggi saranno protagonisti a Slow Food, una vetrina di grande suggestione. Ma ancora più importante sarà quello che succederà a Bergamo, dove finalmente assurgeremo al ruolo di capitale europea delle Dop casearie con tante iniziative. Se saremo capaci di sfruttare queste occasioni, avremo la possibilità di promuovere il territorio, facendo conoscere le nostre realtà sia in montagna che in pianura. Sei mesi sono tanti, dobbiamo farci trovare pronti, ma senza farci prendere dall’ansia».

Gli appuntamenti Dopo la giornata inaugurale del 15 maggio, a Expo Gelato lunedì 18 ci si occupa di “Torte e bouquet di fiori in gelato”, giovedì 21 tocca a “Gelato ad occhi chiusi”, lunedì 25 a “I gelati, le spezie e…”, mentre venerdì 29 c’è ancora un appuntamento sensoriale, “Quando la musica si fa gelato”. A seguire “Gelato artigianale fusion: sushi e sashimi (4 giugno), “Torte gelato e decorazioni in zucchero” (8 giugno), “Gelato o animaletti?” (incontro per i più piccoli in programma l’11 giugno), “La salute viene mangiando… gelati” (con la Fondazione Veronesi il 15 giugno), “Le forme del ghiaccio” (19 giugno), “Il gelato gastronomico” (22 giugno), “Gelato per ogni stagione: erbe, radici e fiori” (26 giugno). Martedì 30 giugno l’evento di chiusura.

Frena invece Giulio Signorelli, Ol Formager, il massimo ambasciatore del formaggio bergamasco, creatore di laboratori sui Cru orobici in Italia e all’estero: «Arriverà gente, immagino tanti curiosi, ma non penso che cambierà il nostro destino. Spero di sbagliarmi, ma non credo che per le produzioni locali, come i nostri formaggi bergamaschi, ci sarà tutta questa visibilità. La concorrenza è fortissima, vedremo se almeno ci sarà unità d’intenti, la nostra filiera ha bisogno di compattezza». A questi giudizi si aggiunge l’auspicio di Grazia Mercalli, delegato provinciale Onaf (Organizzazione nazionale assaggiatori formaggi): «Spero che l’Expo rispolveri il manifesto per la qualità organolettica promosso da noi dell’Onaf – dichiara -. La qualità dei prodotti va infatti al di là delle analisi dei laboratori, ma va considerata anche dal punto di vista sensoriale, per quello che ci arriva sul piatto. Per il formaggio di Bergamo, Expo sarà una grande occasione, sarebbe delittuoso sprecarla!». Il finale è riservato a Vittorio Emanuele Pisani, direttore, oltre che del Consorzio del Taleggio Dop, anche di Alti Formaggi, l’associazione che ha promosso il convegno di Bergamo, che trova una chiave di lettura casearia legata all’Expo: «Sarebbe importante che, rispetto al passato, formaggi di pianura e di montagna trovassero la maniera di lavorare insieme davvero per il bene del settore: al visitatore dell’Esposizione, magari cinese o russo, importa poco della collocazione geografica, ma esige qualità e capacità di capire una tradizione, una storia, un modo di essere che quel formaggio sa esprimere».

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EXPO SOTTO CASA Nel monastero sarà allestita la mostra dedicata a Luigi Veronelli, mentre nei terreni circostanti è nato un parco agricolo

Astino, ad accogliere i visitatori anche enoteca e ristorante

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un progetto che traduce nel concreto i temi dell’Expo, rilanciando l’agricoltura e restituendo alla città quel patrimonio di storia e natura che è la Valle di Astino. Al recupero del monastero di origine vallombrosana si è infatti affiancato quello dei terreni circostanti, che hanno ripreso vita con colture di ogni genere - biologiche e con possibilità di vendita diretta e raccolta sul campo – curate da aziende bergamasche. Ci sono vigna, oliveto, frutteti, piccoli frutti, orticoltura, ma anche piante aromatiche e officinali, luppolo (del birrificio Elav) e ancora un’area dell’Orto botanico Lorenzo Rota di 9mila metri quadrati e una per il progetto Meb 2015 – Mais per Expo per Bergamo, per una superficie complessiva di circa 300mila metri quadrati.

Per i sei mesi dell’Esposizione universale, il complesso – che fa capo alla Fondazione Mia ed è stato riconosciuto dalla Regione tra i luoghi Expo “ufficiali” - si animerà di ulteriori iniziative ed offrirà accoglienza e ristoro ai visitatori. Dopo il debutto alla Triennale di Milano, che l’ha prodotta insieme al Comitato per il Decennale di Veronelli, sarà allestita qui da maggio a ottobre la mostra “Luigi Veronelli - camminare la terra”. I servizi di accoglienza del sito sono stati affidati, invece, alla società S-link, di cui è project manager Patrizio Locatelli, titolare dell’enoteca Fontana di Sant’Agata in Città alta e in aeroporto, nonché presidente dell’associazione Bergamo Tua, che nell’estate scorsa ha gestito gli eventi e l’offerta sugli spalti di Sant’Agostino, in un

progetto che ha coinvolto proprio i locali di Città alta. «Per i visitatori della mostra e del complesso museale – spiega Locatelli - sarà attiva la caffetteria al piano, affiancata da un bookshop e dalla vendita di articoli legati al mondo del vino. Nelle cantine sarà invece possibile fermarsi per mangiare qualcosa. Sarà sempre possibile trovare proposte per una pausa veloce, come taglieri, ma c’è anche una vera cucina che attiveremo in base agli afflussi e agli eventi. La proposta punterà sui prodotti più rappresentativi del territorio, primi fra tutti i formaggi e la norcineria, e non mancheranno ospiti da fuori». Una parte importante hanno le degustazioni di vino legate alle mostra, in programma tutte le settimane, mentre una volta al mese si potranno

Il mais Spinato è sempre più internazionale. E finisce in una birra insieme al baobab La visita nello Zimbabwe della delegazione gandinese. A destra Antonio Rottigni. Foto Marco Presti Images 2014

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xpo ha aperto nuovi orizzonti al mais Spinato di Gandino, dal 2008 al centro di un’azione che ha consentito di recuperare il seme originale, far ripartire la coltivazione e realizzare tanti nuovi prodotti, come l’ormai mitica Spinata capace di rubare il palcoscenico alla pizza, le birre, i biscotti, i ravioli, il gelato. Un ritorno alla terra e ai suoi valori che ha dato impulso all’intera comunità e

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non è un caso che questa esperienza si sia guadagnata un posto “fisso” all’esposizione mondiale. Nel cluster dei cereali o in quello della biodiversità (in questo caso nell’ambito del progetto Meb - Mais Expo Bergamo al quale partecipano anche Provincia, Cra-Mac, Orto Botanico, Mia, Università e Diocesi) i testimonial del progetto gandinese saranno presenti per circa tre volte al mese


aprile 2015 assaggiare le bottiglie della cantina di Veronelli. E poi incontri, appuntamenti, sino al finale, ad ottobre, rappresentato dal clou della manifestazione sui formaggi “Forme”. Insomma, la Valle di Astino come luogo da visitare, ma anche come nuovo e decisamente suggestivo indirizzo per trascorrere una serata diversa in città. «Qui l’Expo trova un palcoscenico ideale – evidenzia Locatelli -. Si può mangiare e partecipare alle degustazioni affacciati sulle coltivazioni e sui boschi, avendo perciò sotto gli occhi quella terra e quegli esempi di agricoltura sostenibile e di qualità che sono al centro della kermesse milanese». L’aspetto più delicato riguarda l’accessibilità e la gestione della presenze. «Più che su grandi eventi puntiamo ad avere flussi costanti – rimarca -. Il luogo è un ecomuseo e non può essere stravolto. Quanto all’accesso, è in via di realizzazione un parcheggio e Comune di Bergamo e Atb organizzeranno un servizio di navetta, con ogni probabilità dal parcheggio della Croce Rossa a Loreto, dal quale si raggiunge Astino in pochi minuti».

Capace di sollecitare sui temi dell’Expo sarà anche la mostra dedicata al grande giornalista enogastronomico Luigi Veronelli, tra i primi a portare avanti battaglie per la qualità e la trasparenza del cibo e per la buona agricoltura. «Camminare la terra – spiega Gian Arturo Rota, presidente del Comitato per il Decennale e tra i curatori della mostra – è pensata per essere fruibile da un pubblico eterogeneo, non necessariamente di appassionati ed esperti, ad esempio ragazzi e scolaresche. Presenta un Veronelli inedito, non solo esperto di cibi e vini, ma un intellettuale a tutto tondo, editore, filosofo, scrittore, che si è occupato anche di forme nel campo del vino, di società e di sport. Proprio questa varietà di interessi è ciò che ha colpito maggiormente i visitatori della tappa milanese della mostra». Veronelli viene raccontato da libri, articoli, documenti, dai video con estratti delle sue trasmissioni tv, “A tavola alle 7” e “Viaggio sentimentale nell’Italia dei vini”, e dall’esatta riproduzione della sua cantina di via Sudorno, organizzata con moduli cu-

portando sapori, anche con showcooking di chef e locali bergamaschi, e testimonianze. Autentico simbolo di questa prospettiva internazionale è una birra che sta nascendo in questi giorni in collaborazione con il birrificio Via Priula di San Pellegrino, i cui ingredienti caratterizzanti sono il mais Spinato e niente meno che la polvere di semi di baobab, apprezzata anche per la ricchezza di principi nutritivi, dello Zimbabwe. «L’incontro è avvenuto nel corso del meeting a Bergamo dei Paesi partecipanti a cluster di Expo del febbraio 2014 – ricorda Antonio Rottigni presidente della Commissione De. Co. -. Partendo dal Mais è nata una collaborazione, tramite il console Georges El Badoui, e nell’ottobre dello scorso anno una delegazione gandinese ha visitato lo Zimbabwe e siglato un patto di amicizia con la città universitaria di Chinhoy». La birra rappresenta questo legame, con l’immediatezza propria dei prodotti alimentari. L’idea è di renderla disponibile ad Expo nei sei mesi di svolgimento o poi di continuare a produrla. Pare probabile che all’esposizione sarà proposta in un abbinamento decisamente insolito con l’hamburger di coccodrillo così come il fatto che il mais Spinato sarà protagonista della cena del 31 agosto che vedrà ospite il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe.

bici di cemento grezzo. Cantina che potrebbe essere collocata definitivamente ad Astino.

Tra gli eventi già confermati per Expo c’è anche lo spettacolo teatrale con Lella Costa ispirato a “Il pranzo di Babette” in programma ad ottobre per i 750 anni della Fondazione Mia in collaborazione con l’iniziativa Molte fedi sotto lo stesso cielo. Info: www.astinoexpo2015.it

Non è comunque il primo esempio di contaminazione. La prima birra di Spinato è stata la Scarlatta, birra rossa dei due mondi ispirata a Garibaldi (che aveva scelto il famoso rosso delle tintorie gandinesi per divise dei suoi), che prevede l’impiego di erba mate e racconta delle collaborazioni avviate con Messico e Bolivia, dove è stata individuata l’origine del mais Spinato. In questo caso la birra è prodotta da Roberto Caleca del ristorante Centrale di Gandino, che ha anche realizzato una Scarlatta Blonde e la birra Antica Weiss, che unisce allo Spinato altri due mais bergamaschi, il Rostrato di Rovetta e il Nostrano dell’Isola. «Gli incontri internazionali – evidenzia Rottigni – ci hanno offerto una visione più ampia e permesso di affrontare nuove tematiche. Ad esempio abbiamo scoperto che con il mais si possono preparare tanti altri piatti e prodotti e ci siamo confrontati con tecniche di coltivazione differenti. Una sfida importante per noi ora è quella dell’agricoltura bio intensiva che vuole coniugare sovranità alimentare e sostenibilità ambientale con la necessità di aumentare le rese, visto che il suolo disponibile sarà sempre meno e la richiesta di cibo crescerà. Su questa tecnica d’avanguardia abbiamo portato un corso a Gandino i prossimi 18 e 19 aprile».

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EXPO SOTTO CASA DAL 29 MAGGIO AL 7 GIUGNO

A Sotto il Monte, visite nelle cascine e degustazioni con la Coldiretti Sarà Sotto il Monte, terra natale di San Giovanni XXIII, dove l’amministrazione comunale ha dimostrato attenzione al mondo agricolo e c’è un gruppo di dinamiche aziende associate, il palcoscenico delle iniziative promosse dalla Coldiretti in chiave Expo. L’idea è di dare la possibilità di entrare in contatto diretto con chi il cibo lo produce, andando alla fonte del tema dell’esposizione milanese. Il programma va da venerdì 29 maggio a domenica 7 giugno. La prima giornata sarà dedicata alle visite didattiche

guidate delle scuole all’Azienda Agricola “La Colombera” (latte e formaggi) e a l’Alveare di Roberto Bonacina (miele e vino bio). Sabato 30 maggio sarà inaugurata la mostra di pittura dell’associazione culturale Bottega dell’Arte di Missaglia nella Sala Civica Consiliare accompagnata da un rinfresco con prodotti tipici a km zero. Domenica 31 a partire dalle 9 sarà allestito il mercatino “Campagna Amica”, con prodotti tipici e florovivaistici. Venerdì 5 giugno, alle 20 all’agriturismo Casa Clelia si terrà il convegno vitivinicolo dal titolo

DAL 6 GIUGNO

La Valle Imagna mette in mostra i suoi “tesori” Anche la Valle Imagna si è mossa per Expo ed ha dato vita a “Valle Imagna in Gusto”, che vuole promuovere il territorio e il fare rete con un programma di eventi che valorizzano la cultura, l’ambiente e la tradizione di montagna, ma anche la capacità degli imprenditori agricoli di costruire un modello di agricoltura multifunzionale, attento alle esigenze dei consumatori più evoluti. Si comincia il 6 e 7 giugno con “Il tesoro della Bruna”, ossia con i latticini prodotti nell’ambiente naturale e in piccoli allevamenti della Valle Imagna nel rispetto delle tradizioni. L’11 e 12 luglio, in occasione del Campionato italiano di pesca in Valle Imagna, ristoranti e attività commerciali saranno invece chiamati valorizzare il pesce e la pesca attraverso menù, forme artistiche e showcooking. Il 21 e 22 agosto toccherà al “Percorso del Gusto”, kermesse dei prodotti locali, che saranno esposti in strada a cura di ristoratori e punti vendita. Formaggi, salumi, dolci, grappe e distillati sfileranno insieme alle specialità più tipiche della Valle e, all’insegna dell’integrazione e dello scambio culturale proprio dell’Expo, di prodotti provenienti da tutto il mondo. A chiudere il percorso sarà la Festa della Madonna della Cornabusa, il 13 settembre, che celebra il santuario più caratteristico della Valle Imagna, luogo in cui la forte spiritualità e devozione si uniscono al fascino architettonico di una chiesa interamente ricavata nella roccia. Capofila del progetto è l’Isot, la rete di imprenditori di Sant’Omobono Terme, partner è Agrimagna, che riunisce i piccoli agricoltori e allevatori della Valle.

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“Le emozioni del territorio in una vigna” con degustazione finale, mentre il sabato si animerà nel tardo pomeriggio e nella serata con suoni ed esperienze artistiche nelle vie storiche dell’abitato. Ci saranno un’esposizione di dipinti e sculture, degustazioni di prodotti tipici, il percorso “Follie d’Epoca” e artisti con dipinti estemporanei. Domenica 7 giugno il programma si concluderà con le visite guidate su prenotazione “Andar per cascine...”. Ogni evento sarà accompagnato dalla presenza degli artisti della “Bottega dell’arte”.

C’è anche chi ha giocato d’anticipo. A Malpaga successo per “Expo... anch’io” C’è anche chi ha giocato d’anticipo e invece di un “fuori” ha organizzato un “pre” Expo. È successo al Castello di Malpaga dove Confagricoltura ha promosso il lunedì di Pasquetta la manifestazione “Enogastronomia, storia e tradizione”, nell’ambito del progetto “Expo… anch’io”. Per la più classica delle scampagnate, i visitatori hanno potuto lasciare a casa il cestino ed affidarsi ai piatti e ai prodotti delle 30 aziende agricole presenti, con una scelta davvero ampia tra proposte di cucina, come risotti o persino le lumache, formaggi vaccini e caprini, salumi, birra agricola artigianale, vino, e ancora miele, confetture, olio per riempire la dispensa di casa di tipicità. La bella giornata, lo scenario storico e le iniziative di intrattenimento organizzare a corollario hanno fatto il resto, regalando all’iniziativa quasi 8mila presenze e un bilancio sopra ogni aspettativa. Se l’Expo fa questo effetto, c’è di che sperare... Lo stesso Castello di Malpaga è uno dei percorsi ufficiali del Fuori Expo e il progetto di rinascita basato sull’agricoltura innovativa, le energie rinnovabili, il recupero storico e lo sviluppo turistico-ricettivo sono in sintonia con il tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Proprio in occasione dell’Expo la dimora colleonesca ha ampliato il programma delle aperture, che correderà con ulteriori iniziative.


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IL LOCALE

di Rosanna Scardi

Treviglio, al “Caffè degli artisti” la miscela è da urlo

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Treviglio si può gustare il caffè più buono del mondo. Parola di Sergio Gennari, che ha avviato “Il Caffé degli artisti” in via Sangalli. All’entrata la riproduzione di un affresco di Battista Mombrini che ritrae il campanile con tanti abatini acrobati e le surreali sculture di Gigi Castelli richiamano allo spirito della via, soprannominata la piccola Bagutta. Originario di Fara Gera d’Adda, l’imprenditore, 50 anni, prima si occupava di tutt’altro. «Vendevo camion, ma la crisi mi ha spinto a rimboccarmi le maniche, a mettermi in proprio spiega la scelta coraggiosa in questi tempi -. E ora, quando un cliente mi dice che un caffè così buono non l’ha mai bevuto, mi sento felice e appagato».

In questo locale si servono i Caffè prodotti dal Laboratorio di torrefazione Giamaica Caffè di Verona dove la famiglia Frasi seleziona e prepara con metodi artigianali i migliori Caffe del mondo

A fare la differenza è la materia prima. Gennari propone due varietà. C’è il Chickmagalùr Karnataka, coltivato nell’unica piantagione di Magalùr, villaggio indiano a 1.100 metri di altitudine, raccolto a mano e lavato due volte. Il sapore persistente sa di cacao, la struttura è densa e corposa. L’altra varietà è l’indonesiano “Timor arabica first quality”, leggermente acido, dal gusto di liquerizia e con il più basso tenore di caffeina, solo l’1,26%. I chicchi sono lavorati da “Giamaica”, il laboratorio di torrefazione guidato da Gianni Frasi, veronese, guru del caffè in Italia. Frasi non ha un sito internet, né cerca clienti. Ama in modo maniacale la bevanda scura e si accerta che chi prepara la sua lo faccia nel miglio-

Caffè Degli Artisti

Sergio Gennari re dei modi possibili. «Mi è capitato che arrivassero le sue “spie” in incognito nel locale - racconta Gennari -. Se il lavoro non viene fatto a regola d’arte, lui non ti spedisce più il prodotto». Tanti gli accorgimenti usati dal commerciante bergamasco. L’acqua è filtrata ogni 24 ore da un depuratore elettronico. La temperatura, mai troppo elevata, consente di realizzare una buona crema. Per sopperire al minore calore, le tazzine sono mantenute al caldo coperte da un canovaccio. Il caffè viene macinato al momento. «Mantiene l’aroma per mezzora, per questo cerco di non riempire mai il recipiente», spiega. Ogni tazzina contiene 9,5 milligrammi di caffè, a differenza dei 7 consumati nei comuni bar. Con un chilo di caffè Gennari riesce a fare un centinaio di tazzine, i suoi colleghi arrivano a 150. La ricercatezza è anche nelle altre degustazioni, come l’orzo tostato e macinato, dell’azienda agricola Giacomo Santoleri a Guardiagrele, in provincia di Chieti. Da provare l’orzo profumatissimo all’anice stellato. La stessa azienda lo rifornisce di pasta, orzo e farro. Cinque i tipi di tè. Tisane e tè caldi sono racchiusi in garze di mussola e provengono dalla Compagnie du Samovar con sede a Carpi. I biscotti sono della pasticceria Morlacchi di Zanica. Cura massima anche nel servizio di D’Ancap. Per ogni preparazione c’è una tazza differente. Per non lasciare nulla al caso.

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percorsi

Viaggio alla Dove e come nasce il gusto? Come si sviluppa ed evolve? Per cercare queste risposte e sfatare alcuni luoghi comuni ci siamo affidati agli ultimi sviluppi della scienza in questo campo, illustrati da alcuni tra i più autorevoli esponenti in materia. Non solo il gusto non nasce in bocca, ma nella “testa”, come mostrato dalla neurogastronomia, che regola e domina le nostre percezioni in cucina. Il gusto ha anche una matrice viscerale: esiste infatti, come mostrato dalla gustoendocrinologia, un cervello dell’intestino che legge i sapori. Ecco il parere di due esperti

«A tavola è meglio dare Per l’endocrinologo Defendente Febbrari, la predisposizione al gusto va coltivata. «Dobbiamo imparare a sviluppare la sensorialità e interiorizzare pochi ma saldi principi: il cibo è salute, piacere ed eleganza». «Da evitare le rinunce e la demonizzazioni del cibo» di Laura Bernardi Locatelli

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l gusto ha radici lontane e ancora poco esplorate, un corredo genetico, una componente inconsapevole, un grande spirito di adattamento e una grande volontà e capacità di apprendimento, tutte da educare. Ne è convinto Mauro Defendente Febbrari, endocrinologo e diabetologo “gaudente”, famoso per le sue battaglie a difesa della salute racchiusa nel vino, nell’olio extravergine e nella pasta, oltre che per il suo approccio edonistico e non repressivo al cibo, che ha conquistato Gino Veronelli - di cui è stato medico personale per oltre vent’anni - e che continua a vederlo lavorare a fianco dei più grandi chef. Il medico - di origini bresciane ma che ormai da anni ha eletto Bergamo sua patria - ha esplorato in lungo e in

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largo il gusto, spingendosi con la scienza oltre le frontiere della sensorialità, abbracciando la gusto-endocrinologia, una nuova disciplina che mostra come la sfaccettatura della percezione sia profonda e viscerale. Esiste infatti un vero e proprio cervello dell’intestino: «Non è costituito da neuroni, ma da cellule gustative, dotate di compiti completamente diversi rispetto a quelli delle fauci ma identiche a quelle della lingua - spiega Mauro Defendente Febbrari -. Le cellule del sistema gastrointestinale, che si chiamano cellule chemio-sensoriali solitarie, leggono i sapori per inviare segnali ai sistemi preposti all’assorbimento dei nutrienti e a quelli del controllo del metabolismo. Il gusto è avvertito in modo autonomo e


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scoperta del gusto «Memoria ed emozioni cambiano l’esperienza gustativa» Secondo la Neurogastronomia è il cervello il principale responsabile della percezione dei sapori e dell’apprezzamento dei cibi. Menini (Sissa): «L’80 per cento del gusto si forma nel naso» di Roberta Martinelli

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i siete mai chiesti perché le lasagne della mamma sono le più buone, perché il cibo spazzatura piace a tutti, perché quando siamo al ristorante e aspettiamo il nostro piatto la scelta del nostro vicino di tavola ci sembra migliore della nostra? E ancora, lo sapevate che gli astronauti quando sono in missione amano i cibi piccanti? Secondo la Neurogastronomia, una nuova scienza che studia il legame tra cervello e gusto, il nostro gradimento

del cibo non è influenzato dalla bocca ma dalla “mente”, più precisamente da un mix di esperienza, memoria, emozioni e percezioni odorose, visive e uditive. Se pensiamo che mangiare una buona pietanza o bere un buon caffè dipenda dalla qualità degli ingredienti, dalla tecnica di cottura-tostatura e dalla mano di chi li prepara siamo quindi lontani dal capire cosa influisce realmente sul sapore. È nella nostra testa che nasce il senso del gusto e quel piacere sensoriale che caratterizza una buona cena.

spazio alla gastrosofia» silente nell’intestino rispetto alla coscienza psichica. Non si può quindi parlare di gusto, anche in modo puramente edonistico, senza tener conto del Sistema Chemio Sensoriale Distribuito». La natura rivendica il suo primato in fatto di gusto: «I gusti non possono essere interpretati secondo determinati stili da insegnare agli altri ma sono indotti da fattori naturali» ribadisce il medico, mettendo in crisi i critici gastronomici, di cui egli stesso fa parte, dato che collabora come ispettore per le guide più prestigiose del mondo. Ciò che mangiamo influenza i geni: «I cibi inducono modificazioni nella struttura del Dna, riuscendo anche a favorire lo sviluppo di alcuni tumori. I cibi influenzano l’attività dei geni, accendendoli e modificando, di conseguenza, l’attività delle cellule. Lo stabilisce una ricerca condotta dall’Università di Newcastle: ciò che mangiamo incide sulla probabilità, per effetto di modifiche epigenetiche, di sviluppare un cancro». La componente genetica del gusto è innegabile: «I risultati di diversi studi sulla genetica del gusto evidenziano che ogni individuo ha una propria, personale percezione dei sapori, tanto che qualcuno azzarda che non esistono due persone che elaborano un piatto nello stesso modo». Per andare alle

Anna Menini

Il fondatore di questa disciplina è l’ottantenne Gordon Shepherd, insegnante di neurobiologia alla Yale School of Medicine Oxford University: i suoi seminari richiamano le folle e riempiono le sale di scienziati da tutto il mondo. Il suo libro “Neurogastronomy - How the brain creates flavor and why it matters”, che ha portato alla ribalta il tema, è stato da poco tradotto in italiano con il contributo della dottoressa Anna Menini, docente di fisiologia alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste e

radici del gusto e studiarne le fondamenta genetiche alcuni ricercatori dell’Università di Trieste hanno avviato il progetto Marco Polo 2010: «Un gruppo di studiosi ha percorso nell’arco di due mesi 14mila chilometri lungo la Via della Seta per prelevare campioni di Dna e per studiare le fondamenta genetiche del gusto, delle preferenze alimentari, dell’olfatto e dell’udito, intrecciando queste informazioni con quelle relative al contesto geografico e culturale. Questo enorme lavoro ha analizzato la relazione tra preferenze e abitudini familiari di remote popolazioni e 26 geni candidati per il gusto. 22 comunità analizzate, 700 campionamenti e migliaia di test hanno mostrato come la percezione del gusto cambi a seconda della latitudine. Ad esempio, nel Pamir, il 37% delle persone non tollera il sapore amaro, contro il 7-15% della popolazione europea». Il gusto si forma ed educa sin dalle primissime fasi della gestazione ed è senza dubbio influenzato dall’ambiente: «È un percorso che inizia nella vita embrionale, una risposta al setting percettivo. La dieta della futura madre influenza il gusto del bambino e contribuisce a determinare la predisposizione ad accettare o rifiutare alcuni cibi. Allo stesso modo è provato come ascoltare musica durante la gestazione aumenti le probabilità di avere figli intonati, come nuotare in gravidanza contribuisca a ridurre la paura dell’acqua nel neonato e come un buon eloquio materno influenzi la capacità lessicale futura del bambino».

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percorsi presidente dell’European Chemoreception Research Organization, Ecro. Professoressa Menini, cos’è la Neurogastronomia? «Lo studio di come tutto il cervello fa sì che riusciamo a sentire i sapori. Questa scienza analizza il modo in cui il cervello concettualizza gli odori dando vita, con il contributo degli altri sensi, alla percezione del gusto. Il punto fondamentale è distinguere fra sapori e gusto. Spesso nel linguaggio quotidiano tendiamo a usarli come sinonimi. Si parla di gusto di fragola ma il gusto di fragola non esiste, esiste il sapore di fragola». Cosa è allora il gusto? E come si crea? «Quello che noi comunemente chia-

miamo gusto in realtà non è il gusto ma quello che in inglese tipicamente viene chiamato flavour, corrispondente all’italiano sapore, metro di paragone per determinare quanto un piatto sia buono o cattivo. Si pensa che il sapore nasca dal palato, dalle papille gustative, in realtà è influenzato da tutti i sensi, la vista, l’udito, il tatto e principalmente l’olfatto, che gioca un ruolo fondamentale. Basta fare questo semplice esperimento: se si mette in bocca una caramella alla frutta, tappandosi il naso non si sentirà il sapore della caramella ma si sentirà solamente il dolce. Un altro esempio è il raffreddore: quando uno è raffreddato non sente i sapori perché le molecole non possono raggiungere l’epitelio olfattivo. La bocca crea delle illusioni. Noi crediamo che avvenga tutto lì. In realtà la bocca riconosce solo i cinque gusti fondamentali: dolce, salato, amaro, aspro e umami (ndr. saporito, il glutammato di sodio)». Quindi il gusto si forma nel naso? «Sembra strano, ma è proprio così.

Tutto funziona alla perfezione durante i nove mesi di gestazione, i problemi nascono dopo: «Nel grembo materno il bebè è un “anoressico” che si rivolge solo all’occorrenza al “ristorante-placenta”, mentre quando nasce diventa in fretta “bulimico”. Basta un pianto perché la maggior parte delle madri porga il seno. L’allattamento “on demand” è sbagliato ed esagerato. Non allattare lo è altrettanto, anche se fortunatamente i latti artificiali odierni sono ormai perfetti da un punto di vista nutrizionale. Siamo però arrivati ormai al fanatismo nell’allattamento al seno, tanto da indurre alcune madri a nutrire al seno ai loro figli fino ai 3 anni di età». Il setting percettivo è fondamentale, ma questo imprinting viene poi modificato e costruito dall’ambiente. «Il gusto si forma quindi anche dalla fortuna o dalla sfortuna di trovarsi a vivere in un contesto più o meno stimolante. Si nasce con una certa predisposizione che però, come ogni dote, va coltivata ed arricchita costantemente. Se mangiamo di pancia e di alibi non potremo certo crescere nel gusto». Ai genitori prima e a ciascuno di noi poi sta il compito di affinare e arricchire quanto ricevuto in dote: «Una delle prossime discipline olimpioniche vorrei che fosse il lancio della merendina. Si sente un disperato bisogno di pane, burro e marmellata, dell’uovo sbattuto la mattina… Ricordo ancora quel sapore di pane, fontina e mocetta, che era la ricompensa di mio pa-

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Nella parte retronasale si forma l’8090% del sapore. Le molecole volatili del cibo e delle bevande che abitualmente ingeriamo inviano segnali nervosi verso il cervello grazie alla via retronasale, un condotto che dal retro della bocca giunge all’epitelio olfattivo, nella parte alta della cavità nasale, in questo modo vengono attivati determinati recettori responsabili della percezione dei sapori. È un processo del tutto inconscio ma è proprio l’olfatto che sta alla base del gusto e del sapore». Cosa accade di preciso quando mangiamo una pietanza? «Ogni volta che gustiamo un cibo o un vino entrano in gioco tutti gli organi sensoriali, ma anche la memoria, le emozioni, la motivazione e l’aspettativa ci dicono che sapore ha quello che stiamo mangiando. Il cervello si trova a gestire tutta questa serie di sensazioni e ci restituisce la percezione del gusto che, in realtà, è appunto una vera e propria creazione del nostro cervello. Ciascuno di noi ha una pro-

dre Domenico al mio coraggio di ragazzino di nemmeno dieci anni per averlo raggiunto a 4.000 metri in parete. E poi un altro insegnamento di papà, di un uomo che lavorava tutta settimana ma che il sabato era pronto a partire in Topolino da Como per andare ad Asiago a mangiare un risotto. E che, anni prima dello scandalo del metanolo, andava per cantine a degustare Gattinara e grandi Barolo». Stare a tavola è un rituale che ha i suoi tempi: «Oggi si mangia in modo frettoloso, non si mangia di testa. La nostra società va sempre di corsa e le trasmissioni in tv che parlano di cucina creano miti sbagliati. Oggi tutti vogliono fare lo chef, le iscrizioni al Master di cucina italiana dove io insegno Nutrizione ed Igiene si chiudono sempre più in fretta. I veri ingredienti per fare lo chef sono all’interno di ogni aspirante cuoco, se non ci sono non si possono comprare al mercato». Educare e sviluppare la sensorialità può dare risultati sorprendenti: «Ogni anno al Master mi diletto in un test per mostrare ai miei allievi quanto la conoscenza della persona e la sensorialità contino e rispecchino la cucina di ognuno. Chiedo loro di preparare un piatto e riesco ad indovinare in quasi tutti i casi chi l’ha cucinato». Bisogna coinvolgere tutti i sensi senza lasciarsi ingannare dalla vista, un tranello in cui nella società dell’immagine è sempre più facile incappare: «La sensorialità non è fatta solo di gusto, ma anche di


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pria personale percezione del gusto». È vero che anche l’udito influenza la nostra percezione del gusto. In che modo? «A Trieste qualche settimana fa, nell’ambito della Settimana del Cervello, dei professori inglesi hanno fatto questo semplice esperimento: ci hanno dato delle patatine da assaggiare e hanno agitato prima una boccetta con all’interno dei sassolini e poi una con dei morbidi marshmallow. Ebbene, quando mangiavamo le patatine con il rumore in sottofondo dei sassolini le sentivamo più croccanti». Anche la scelta e nel consumo dei cibi e delle bevande dipende da un processo mentale? «È proprio così. Ad esempio ricorriamo alla memoria, che ci fa ricordare l’alimento che stiamo mangiando e ci guida nella scelta, siamo spinti dalla motivazione verso un alimento che ci piace moltissimo o che ci dà piacere e emozione. Tutti questi messaggi arrivano al cervello che decide quando iniziare a mangiare e quando smet-

tere, e soprattutto, quanto dobbiamo mangiare». Una delle scoperte più interessanti di questa scienza riguarda gli aspetti psicologici del gusto. Cosa intende quando dice che le aspettative incidono sul gusto? «L’aspettativa cambia il modo in cui il cervello percepisce il gusto. Anticipare il gusto di ciò che stiamo per mangiare - attraverso odori, descrizioni, ma anche la presentazione e la confezione - condiziona il modo in cui lo percepiamo. A questo proposito è stato interessante un altro esperimento proposto dai professori inglesi: sono state date da mangiare delle caramelle rosse al sapore di mela e delle caramelle verdi al sapore di fragola, ebbene all’assaggio tutti hanno affermato che le caramelle rosse sapevano di fragola e quelle verdi di mela». La memoria e le emozioni invece che influenza hanno? «Quando stiamo mangiando qualcosa, si attiva l’area del cervello che

olfatto e di udito. Non si parla mai di emozioni uditive, eppure l’acqua che bolle, l’olio che sfrigola e il rumore di un carapace che si schiude sono un preludio al piacere che si avrà con l’assaggio. Anche la cucina ha la sua musica, come da sempre sostiene Gualtiero Marchesi. La vista è fondamentale: colori, contrasti e cromatismi conquistano i sensi. Ma purtroppo in un mondo di furbi la vista, il senso più ingannevole di tutti, domina incontrastata. Così assistiamo ad impiattamenti e mise en place d’applauso, ma senza sostanza. Oggi tutti, in cucina come nella vita di tutti i giorni, puntano in alto, alle stelle, mentendo a se stessi e agli altri: si vuol passare dal monolocale alla villa, dalla trattoria al ristorante stellato. Si cercano emozioni nel lusso, quando il gusto è un percorso di crescita, un fattore di sensibilità e cultura». Una lezione che Defendente Febbrari ha imparato fin troppo bene da Gualtiero Marchesi: «Nel 1977 avevo investito metà del mio stipendio da assistente ospedaliero per cenare da lui, in Bonvesin de la Riva. Di fronte ai suoi spaghetti freddi con erba cipollina e caviale ebbi un attimo di titubanza. Marchesi mi chiese come io potessi ignorare la possibilità di gustare uno spaghetto ghiacciato e mi domandò cosa ci facessi nel suo ristorante. Fu una bella sberla per il mio orgoglio, ma fu anche la spinta per sviluppare il mio gusto e la mia sensorialità, oltre

presiede alle emozioni e ci dice se un cibo ci piace o no e quanto piacere ci procura persino il pregustarlo. Tutti abbiamo dei sapori che ci ricordano l’infanzia, cibi o bevande che fanno scattare qualcosa nel cervello e richiamano alla memoria ricordi sepolti. L’area cerebrale dedicata al ricordo è strettamente connessa con quelle relative ai sensi, creando così un insieme di percezioni di cui è ancora difficile capire il funzionamento, ma che sicuramente rappresenta uno dei temi più interessanti per la Neurogastronomia». Quali potrebbero essere le implicazioni di queste scoperte? «L’obiettivo principale è cercare di capire meglio come il nostro cervello riconosce i sapori per poter indirizzare le nostre scelte alimentari verso cibi che hanno sapori che ci piacciono e che non ci fanno male. Inoltre vogliamo comprendere i problemi delle persone legati al cibo, come l’anoressia e la bulimia che provengono dal cervello».

ad indagare il rapporto tra nutrizione e piacere. E credo di essermi meritato la fiducia di Marchesi se oggi sono il suo medico». La ricetta che il dottore regala a tutti è semplice, ma difficile da mantenere e custodire come tutte le cose semplici: «La risposta sta nella gastrosofia, un insieme di atteggiamenti che conseguono all’interiorizzazione di pochi ma saldi principi: il cibo è salute, piacere ed eleganza. Dimmi come e cosa mangi e ti dirò chi sei. Non servono orpelli inutili e la prima regola di ogni mia consulenza o dieta è questa, che ripeto come un mantra: è vietato vietare. Tutti i nostri atteggiamenti dovrebbero rispettare la regola delle tre “C”- Conoscenza, Coerenza e Continuità - evitando rinunce e demonizzazioni del cibo. Perché rinunciare non fa meno male che concedersi un determinato cibo, tanto desiderato».

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FACECOOK

alla scoperta del social chef

di Laura Ceresoli

«I palati inglesi? Li conquisto con due locali» A Chester la cucina italiana, con accenti orobici, di Michele Venezia in versione trattoria e ristorante con le insegne Sergio e Bollicini

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a storia di Michele Venezia comincia ai piedi della Valle Seriana. Nato 35 anni fa ad Alzano Lombardo, ha vissuto fino all’età di 16 anni a Nembro dove ha frequentato l’Istituto alberghiero. È in quella scuola che Michele, giovane dallo spirito attivo e volenteroso, ha maturato la sua passione per le arti culinarie. Terminati gli studi, ha iniziato a lavorare a fianco di chef oggi riconosciuti, come Francesco Gotti, Daniel Facen, Sergio Mei e altri maestri della cucina italiana. Eppure il suo sogno è sempre stato quello di varcare i confini orobici per sperimentare nuove frontiere. Così ha lasciato Albano Sant’Alessandro, dove nel frattempo aveva

trovato casa, e si è lanciato verso una promettente carriera all’estero, cucinando dietro i fornelli di rinomati locali a New York, Los Angeles e Londra. Poi, la scorsa estate, il colpo di fulmine: Chester. Michele ha intuito che quella cittadina turistica situata tra Liverpool e Manchester, tanto

apprezzata dagli inglesi, nascondeva grandi potenzialità. Senza troppi indugi, si è trasferito lì, con la famiglia al seguito, sfruttando una grande opportunità lavorativa. Attualmente si occupa, infatti, della gestione della cucina di due ristoranti italiani: “Bollicini” e “Ristorante Sergio”, sotto la

L’INTERVISTA

«Molti si illudono che all’estero sia facile far fortuna. Invece sono opportunità da coltivare con impegno e costanza»

Riesce a far apprezzare la cucina bergamasca agli stranieri? «Sì, certamente. La cucina italiana, come quella bergamasca, è sempre molto apprezzata all’estero. Bisogna comunque essere in grado di accompagnare le ricette tradizionali agli ingredienti di abitudine locale. Nella maggior parte dei piatti da me proposti compare sempre un tocco orobico. La polenta, i casoncelli, il coniglio, adattati in diverse versioni, sono molto apprezzati, seppur poco conosciuti». Gli stranieri hanno una visione stereotipata della cucina italiana? «Gli spaghetti e la pasta in generale, i risotti, le lasagne, la pizza e il tiramisù sono i veri stereotipi della cucina italiana. Sono conosciuti in tutto il mondo e lo stile di uno chef italiano rimane radicato in essi. In ogni parte del mondo si possono trovare ristoranti italiani che magari hanno chef di altre nazionalità. Ma per un italiano che va all’estero il gusto non sarà mai lo stesso della trattoria sotto casa».

Michele Venezia

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aprile 2015 supervisione di Francesco Gotti, che ha fatto parte della nazionale italiana cuochi ed è executive chef del Bobadilla di Dalmine. Il proprietario è invece Gianni Poletti che in Michele Venezia ha subito notato un spiccata abilità nel presentare piatti autentici della tradizione con classe e gusto. Da poco, inoltre, Venezia e il sono staff sono entrati nella ristorazione ubicata all’interno della cattedrale di Chester, il sito turistico di maggiore interesse della città. Il Bollicini è ben recensito sia su Facebook che su Tripadvisor dove si piazza al 76esimo posto su 441 ristoranti: 180 internauti lo giudicano “eccellente”, 77 “molto buono”, 34 “nella media”, 21 “scarso” e 23 “pessimo”. «Il cibo è fantastico, il personale è cordiale e molto simpatico. Io lo consiglio a tutte le persone che andranno a Chester perché è un posto romantico. Quindi se volete bervi una bottiglia a testa solo per 15 pound questo è il posto adatto», scrive Capitano­­_92. «Staff cordiale e con quel tipico fascino italiano che non guasta», è invece il commento di Alex di Trapani. Il ricco menù di questo locale (consultabile su www.bollicini.co.uk) va

dal “filetto al dolce latte” al “pollo infuocato”, dalle “stelle al salmone” agli “gnocchi alla montanara”, dai taglieri di salumi e formaggi alle pizze. Ottimi riscontri anche per “Sergio” (www.ristorantesergio.co.uk), sia sulla pagina Facebook che su Tripadvisor dove 399 visitatori lo valutano “eccellente”, 167 “molto buono”, 54 “nella media”, 27 “scarso” e 31 “pessimo”. Qui l’ambiente si fa un po’ più rustico, con archi, mattoni a vista e il tipico stile ruspante di una trattoria made in Italy. Il menù conta una vasta gamma di anti-

Cosa ne pensa dell’uso dei social network per promuovere la propria attività? «In passato più volte ho utilizzato un profilo Facebook per promuovere serate o eventi particolari. Qui a Chester per il momento non ho ancora creato nulla di questo genere anche se credo che al giorno d’oggi sia importante sfruttare la tecnologia. Comunque, penso che, per avere riscontri positivi, la migliore pubblicità la faccia il cliente che esce dal ristorante soddisfatto». Cosa ne pensa delle recensioni dei clienti su Tripadvisor? «Se sono in viaggio, consulto sempre Tripadvisor per capire se il posto in cui mi sto recando è appetibile o meno. Leggendo le recensioni ho notato che raramente i commenti non rispecchiano la realtà. Mi capita sporadicamente di controllare le recensioni negative a mio riguardo per cercare di correggere gli errori fatti in cucina. Non mi faccio prendere troppo da questi giudizi anche perché a volte si ha a che fare con clienti troppo esigenti o, in alcuni casi, anche ignoranti in materia. Ma cerco comunque di tenerli in considerazione». Quindi i nuovi media oggi influenzano il modo di far ristorazione? «La ristorazione cambia in continuazione, adattandosi ai tempi. Credo che i media abbiano sconvolto tutto il mondo, condizionando le vecchie linee di pensiero. Di conseguenza, la ristorazione si è dovuta adattare». Tornerebbe a Bergamo per aprire un ristorante tutto suo? «Amo la mia città e sicuramente ritornerò ma, con i tempi

pasti, pizze e bruschette. Per non parlare dei primi piatti, che vanno da ricette più classiche come lasagne, cannelloni e carbonara a gusti più strutturati come farfalle con salmone e uova di lompo, fettuccine con ragù, prosciutto e funghi o penne con spinaci e ricotta. Tra i secondi, la carta annovera una vastissima scelta di carne e pesce e per concludere in bellezza c’è una lista infinita di dolci. Da provare il Blackout cake, composto da sei tipi diversi di cioccolato che, di certo, non deluderà i più golosi.

che corrono, lo farò solo per ritrovare familiari e amici. Aprire un ristorante e mantenerlo nel tempo non è cosa semplice neanche per i migliori ristoratori bergamaschi. La maggior parte della gente non ha idea dei sacrifici che ruotano intorno a questa attività, figuriamoci nel periodo di crisi che si sta vivendo oggi in Italia». Che cosa ama del suo lavoro? «Negli anni ho cercato di sfruttare al meglio gli insegnamenti ricevuti e le esperienze vissute. Ora, con umiltà e dedizione costante, applico la mia fantasia alla mia conoscenza, consapevole del fatto che ho ancora molto da imparare. È la cosa bella di questo lavoro». Ha avuto l’opportunità di conoscere altri chef bergamaschi che, come lei, hanno cercato fortuna all’estero? «A Londra nel 2004 ho avuto il piacere di lavorare con Graziano Bonacina, a quei tempi executive chef del George club, coadiuvato da Alberico Penati che gestiva tra i più importanti club ristoranti privati di Londra, tra i quali anche il famoso Harry’s Bar. A New York ho conosciuto diversi cuochi bergamaschi che hanno aperto ristoranti o lavoravano per grosse catene o alberghi importanti. In generale sono tanti i giovani orobici che si spingono all’estero in cerca di fortuna. Molti si illudono che sia tutto più semplice e immediato, ma non lo è. Io stesso non credo di aver fatto fortuna, credo piuttosto di aver avuto una buona opportunità da coltivare con impegno e costanza, giorno dopo giorno».

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il prezzo fisso di Fulvio Facci

Ristorante pizzeria Da Gina via Marconi, 95 Seriate tel. 035 295038 chiuso il martedì www.ristorantedagina.it

A ottant’anni la fondatrice del locale di Seriate è ancora la prima a mettersi al lavoro: «È la mia vita, alle vacanze ci penserò». Ha servito più generazioni seguendo l’evoluzione dei gusti. «Oggi è il pesce che va di più»

Gina, sessant’anni di ristorazione e nessuna voglia di smettere

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ntri nel locale e te la trovi subito davanti. Il simbolo dell’attività è lei: la Gina, all’anagrafe Gina Pierina Invernizzi di anni 80. Da dietro la cassa sorveglia tutto l’andamento del ristorante pizzeria che porta il suo nome. Siamo Da Gina, appunto, in via Marconi 95 a Seriate. «Amo il mio lavoro, la mia vita è qui – racconta la signora – ormai da 60 anni, anche se abbiamo cambiato un po’ di posti. Chiudo alla mezzanotte e sono la prima ad aprire alle 7,30. Spero di continuare così ancora per qualche anno». «In verità non riusciamo a schiodarla dal suo posto né a farle fare qualche giorno di vacanza – precisa la figlia Antonella che con la madre conduce il locale –. La sua presenza è preziosa per la grande esperienza e per come sa trattare con i clienti che ormai, possiamo dire, conosce da generazioni». L’avventura inizia in Svizzera, nel 1952, quando la signora Gina incontra Emilio Federici (purtroppo scomparso nel 1990). Entrambi sono lì per lavoro, poco dopo si sposano e rientrano in Italia aprendo una trattoria, sempre a Seriate, a circa un chilometro di distanza dalla collocazione attuale. È il 1955 ed è, ovviamente, una trattoria vecchio stile, un Circolo Combattenti e Reduci per la precisione, dove ogni tanto si cucina anche. La trasformazione nel 1976 con la costruzione e il trasferimento nell’attuale edificio, ampliato e ristruttura-

Gina Invernizzi con la figlia Antonella e la nipote Valentina to nel 1997 sino a raggiungere le dimensioni odierne e le linee di arredamento che ancora stanno ben al passo con i tempi. Si tratta di un locale molto ampio, che raggiunge i 250 coperti distribuiti su tre sale, una delle quali si trasforma in dehors nella bella stagione. «Abbiamo la possibilità di accontentare un po’ tutti – racconta Antonella Federici – visto che possiamo fare ricevimenti ma anche feste più piccole riservando delle sale. Per ogni occasione o ricorrenza prepariamo dei menù particolarmente ricchi e siamo ben attrezzati per ogni esigenza, del resto non è certo l’esperienza che ci manca». Come naturale, in sessant’anni di attività l’offerta ha seguito l’evoluzione dei tempi e c’è sempre molta attenzione alle variazioni nei gusti della clientela. «Abbiamo tre cuochi ben preparati e attual-


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LA PROVA

mente la tendenza ci porta a privilegiare i piatti di pesce, ma non per questo trascuriamo la cucina tipica, con salumi misti, formaggi e confetture, foiade e casoncelli, e poi tagliate e grigliate miste. Le paste fresche, compresi i casoncelli, le facciamo in casa come tutti i dolci. Proponiamo due menù degustazione, uno di carne e l’altro di pesce rispettivamente a 33 e 35 euro. Il pesce comunque sembra incontrare da noi grandi favori». Un menù tipo di pesce che va per la maggiore? «La scelta è abbastanza ampia – dice Antonella - ma si potrebbe partire con un antipasto cotto e crudo per passare a delle linguine all’astice e proseguire con un fritto misto, un branzino o un’orata oppure con l’astice alla Catalana che sta andando molto di moda. La spesa? Attorno ai 40 euro, vini esclusi. Puntiamo naturalmente molto sulla qualità delle materie prime senza trascurare anche l’aspetto estetico dei piatti. Abbiamo clienti veramente da generazioni e non possiamo deluderli». Nel frattempo nonna Gina (visto che c’è anche la nipote Valentina che nel frattempo ha preso un indirizzo scolastico diverso rispetto alla ristorazione) sta imperterrita e attenta alla cassa ed ogni tanto interviene con qualche battuta frutto della sua lunga esperienza: «È un lavoro che amo, è la mia vita, alle vacanze ci penseremo...».

Ampia scelta, anche di prezzi, per il menù fisso a mezzogiorno. Si parte dai dieci euro per i casoncelli alla bergamasca e per l’insalata Nizzarda, si prosegue con i 16 euro per la tagliata di manzo piemontese con rucola per passare ai 20 del filetto di manzo con verdure alla brace. Questi sono piatti particolari che vengono accompagnati con un bicchiere di vino doc, acqua e caffè. Il menu fisso “classico” invece costa 13 euro e nell’occasione della nostra visita proponeva la scelta fra: crespelle ai funghi porcini, risottino ai gamberi e bucatini all’amatriciana tra i primi mentre la lista dei secondi piatti era costituita da arrostino di vitello ai carciofi, tagliata di manzo con rucola e fritto misto. La polenta e un ricco buffet di contorni sono compresi nel prezzo così come l’acqua, il vino ed il caffè. Con 11 euro invece si può scegliere il piatto unico, nella circostanza composto da pennette al pesto con porchetta alla griglia, oppure la pizza bussines con lo stesso prezzo. Anche queste due ultime combinazioni sono comprensive di vino, acqua e caffè. Un ventaglio di proposte che possono, quindi, soddisfare diverse esigenze e in più la lista ruota con frequenza. Teniamo fede al nostro ruolo e puntiamo sul classico menù fisso da 13 euro scegliendo dei bucatini all’amatriciana e il fritto misto di gamberi, calamari e “pescetti”. Qualche verdura fresca e cotta dal buffet ed il pranzo è servito per un rapporto prezzo-qualità eccellente.

Prodotto in Val di Scalve

Nero e coperto di spezie, alla ribalta il formaggio “ritrovato” Che la Bergamasca sia terra di formaggi lo si sa. Non sono però solo i prodotti più blasonati e conosciuti a conquistare i palati dei golosi. Anche piccole produzioni e ricette originali sono capaci di destare curiosità e ammirazione. È quanto accaduto al recente Vintaly, dove, in piazza Valcalepio, il Consorzio di Tutela aveva organizzato anche una rassegna dei sapori bergamaschi in collaborazione con produttori e ristoratori. In questo ambito si è tenuta #ValcalepioBloggerTasting, iniziativa che ha fatto assaggiare piatti e specialità tipiche ad alcune wine e food blogger A conquistare la curiosità delle invitate è stato il Formaggio Nero della Nona, prodotto da Attilio Perego, milanese trasferito per amore in Val di Scalve, che ha deciso di riportare in vita una ricetta trovata durante i lavori di ristrutturazione della baita di famiglia su un taccuino conservato in una scatola metallica sotto pietre con incisa la data 1753. «Crosta nera ricoperta di spezie che con la stagionatura penetrano nella pasta e la rendono aromatica e particolarmente saporita», scrive Isabella Radaelli su The Lovely Girl, mentre di «formaggio dal sapore deciso e dall’aroma d’incenso» parla Maria Grazia Maineri su “Gli esperimenti di Mary Grace”. Le appassionate gourmet hanno anche assaggiato Formaggio Branzi accompagnato dal pane Garibalda dell’Aspan, casoncelli alle pere piröle, pancetta croccante, Formai de Mut 2012 e coniglio di cascina, in un boccone senz’osso, stufato nel Valcalepio rosso Doc di Diego Pavesi del ristorante Della Torre di Trescore Balneario, per dolce polenta è osèi, praline e biscotti, il tutto accompagnato dai vini bergamaschi più adatti ai piatti.

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appuntamenti

IL 2 E 3 MAGGIO

“Un Lago diVino”, a Sarnico, assaggi con 30 cantine Torna a Sarnico “Un lago diVino”, manifestazione dedicata alle produzioni enologiche della Valcalepio e della Franciacorta, organizzata dall’Associazione Commercianti di Sarnico. La kermesse si svolgerà sabato 2 e domenica 3 maggio - sabato dalle ore 15 alle 22 e domenica dalle 10 alle 20 - in piazza Umberto I e piazza Besenzoni. Nel corso delle due giornate sarà possibile visitare la mostra mercato e conoscere da vicino circa 30 cantine della Bergamasca e del Bresciano e qualche “ospite” fuori territorio dall’Oltrepò Pavese, e anche apprezzare alcune produzioni di distillati grazie alla presenza dell’Associazione degustatori di grappa e distillati Adid. In programma ci sono degustazioni guidate e corsi di avvicinamento al vino curati da sommelier, laboratori tenuti dalla Condotta Slow Food Valli Orobiche e, nella serata di sabato e nel pomeriggio di domenica, spettacoli di milonga e di tango. Per tutta la due giorni per le vie del paese risuoneranno anche le note di gruppi musicali itineranti. Le degustazioni potranno essere effettuate acquistando un ticket al costo di 12 euro, che permetterà di fare degustazioni illimitate e darà in omaggio un calice e un sacchetto portabicchiere.

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Dal 18 al 22 maggio

Gelato omaggio per i bam Il Comitato Gelatieri Bergamaschi dell’Ascom non delude i propri piccoli amici e anche quest’anno torna con “La merenda non si paga”, l’iniziativa che regala ai bambini delle scuole dell’infanzia e delle elementari un bel cono di gelato artigianale. Le gelaterie che partecipano all’operazione - organizzata nell’ambito della campagna di promozione Gelateria di Fiducia alla quale aderiscono 51 punti vendita tra città e provincia -, distribuiranno infatti degli speciali buoni che dal 18 al 22 maggio potranno essere convertiti in un gelato omaggio. La novità di questa edizione è

A Expo c’è anche il temporary restaurant degli “stellati”

Identità Golose si “trasferisce” all’Expo e per tutta la durata dell’evento mondiale allestisce un temporary restaurant dove si mettono al lavoro i cuochi stellati che già rappresentano il fulcro del congresso gastronomico ideato e curaro da Paolo Marchi. L’iniziativa si chiama “Identità Expo”, si sviluppa su due piani che si affacciano sul Decumano tra i padiglioni di Malesia e Thailandia e vedrà alternarsi oltre 200 chef italiani e stranieri non solo per cucinare, ma anche per spiegare il significato del cibo. La somma delle stelle presenti arriva a 28, alle quali si aggiungono gli ospiti internazionali. L’apertura, dal primo al 3 maggio, sarà affidata al tristellato Massimo Bottura, cui seguiranno, solo per citarne alcuni, Alciati, Cedroni, Oldani, Cuttaia, Scabin, Feolde, Christian e Manuel Costardi, Niederkofler, Bowerman. La proposta si articola in due sezioni “Italian & International Best Chefs”, che prevede pranzi e cene da mercoledì a domenica, e “Contemporary Italian Chefs” per il pranzo di lunedì e martedì. In programma inoltre lezioni, appuntamenti, showcooking e conferenze, per un totale di 450 eventi dedicati alla cultura del cibo, articolati in diverse “Identità”: Giovani, Vino, Pane e Pizza, Identità naturali sulla cucina naturale e vegetariana. E ancora “Identità Milano”, “Identità Pasta” e “Identità di Libri”.


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bini con “La merenda non si paga” che il coupon potrà essere speso anche a Expo Gelato, la manifestazione che dal 15 maggio al 30 giugno porta nel centro di Bergamo tutta la filiera del gelato artigianale e che vede i gelatieri del Co. Gel. impegnati a preparare ogni giorno le proprie creazioni nel laboratorio a vista, oltre che in altre iniziative golose. Siccome i gelatieri vogliono che sia festa per tutti, hanno anche pensato ai bambini

ricoverati in ospedale, in particolare quelli dei reparti di Pediatria e Otorinolaringoiatria del Policlinico San Pietro, a Ponte San Pietro, dove all’ora della merenda porteranno gelato da distribuire ai pazienti. Un consiglio sul gusto da scegliere? Quello al “Mielgot” a base di latte, miele e biscotto di mais Spinato di Gandino, specialità nata in onore alle produzioni bergamasche e scelta dal Comitato come simbolo dell’Expo.

DAL 22 AL 29 APRILE

Fish&Chef, sul Garda l’alta cucina incontra il pesce di lago Anche il pesce di lago può contare su un evento enogastronomico di alto livello. È la rassegna Fish&Chef che dal 22 al 29 aprile porta in scena sette chef stellati insieme ad altri 15 top chef del Garda. Quest’anno la kermesse coinvolge tutte e tre le province che si affacciano sul Benaco, facendo tappa a Riva del Garda (Tn) a Gardone Riviera e Manerba sulla sponda bresciana e, nel veronese, a Malcesine, Garda, Bardolino e Costermano. Ogni sera, quindi, una location diversa e una mano diversa in cucina, grazie a cuochi provenienti non solo dall’Italia, ma anche dall’estero, che nei loro menù interpreteranno specialità di lago come la trota e il carpione, ma anche l’Olio Extravergine di Oliva Dop del Garda, la carne Garronese Veneta, i vini del Custoza e i formaggi del Caseificio di San Zeno di Montagna. Ad aprire le danze, il 22 aprile, sarà Moreno Cedroni a Malcesine, seguiranno a Riva del Garda Alessandro Gavagna, a Gardone Riviera Elio Sironi, a Manerba i due fratelli Portinari - Nicola in cucina, Pierluigi sommelier -, a Garda Marco Sacco e a Bardolino l’ospite internazionale Dirk Holberg del Ristorante Ophelia sul Lago di Costanza. Alla Casa degli Spiriti di Costermano, il 29 aprile, andrà in scena il gran finale: la conclusione dell’edizione 2015 è affidata al Dream Team Lake Garda, composto da 15 top chef del Garda, che giocheranno in casa per interpretare i prodotti del loro territorio. Novità di questa edizione è la possibilità di assistere a una settimana di cooking show sulla sponda del lago nella cittadina di Garda. www.fishandchef.it

9 E 10 MAGGIO

Sabbioneta, nel Palazzo Ducale il re è il Lambrusco Per chi vuole unire alla scoperta enologica un tuffo nella storia e nell’arte un’occasione interessante è a Sabbioneta (Mn), terra dei Gonzaga, dove sabato 9 e domenica 10 maggio torna “Lambrusco a Palazzo” organizzato da Onav Lombardia. La piccola Atene del Rinascimento, patrimonio dell’Unesco, ospiterà nelle cantine storiche del Palazzo Ducale una due giorni rappresentativa della migliore espressione del vino rosso frizzante e farà conoscere, anche con degustazioni guidate, le etichette e le attività delle aziende presenti, appartenenti ai consorzi delle province di Mantova, Modena e Reggio-Emilia. L’obiettivo è promuovere il dialogo fra i produttori del Lambrusco e i consumatori e favorire un approccio consapevole e attento al vino. Sarà ospite Attilio Scienza, professore dell’Università Statale di Milano, viticoltore e autore scientifico di fama nazionale. All’apertura, al Teatro all’Antica di Sabbioneta, tratterà i concetti della manipolazione genetica delle piante, dove il «progresso è a volte il tradimento fedele della tradizione».

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l’apertura

Ristorante Giò, via Nazionale, 51 Seriate tel. 035 291247 www.ristorantegio.it

Dopo l’esperienza agli Antichi Sapori di Sorisole, Giovanni D’Auria ha coronato il sogno aprendo un locale per esaltare la sua cucina. Grande spazio anche alle carni alla brace

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«Giò», a Seriate una nuova meta per chi ama il pesce aperto da novembre dello scorso anno. Pochi mesi, ma sufficienti a Giovanni D’Auria per dare al suo locale il giusto indirizzo, ovvero un sapiente mix di creatività, ricette originali e materie prime di qualità. Il tutto abbinato a un servizio senza sbavature. Benvenuti al “Giò”, il ristorante sulla via Nazionale, a Seriate, coronamento di un sogno, quello di uno chef 36enne di Scanzorosciate che nel mezzo del cammin di nostra vita ha deciso di fare il classico salto di qualità dopo una decina d’anni trascorsi alla guida della trattoria Antichi Sapori di Sorisole. “Non è che là le cose andassero male - taglia corto D’Auria -. Tutt’altro. È che volevo dare una svolta alla mia vita professionale, valorizzare le mie capacità e quelle dei miei collaboratori in cui credo molto. Avevo però bisogno di un locale giusto. E questo lo è”. Pensato il progetto, fatta la scelta. Al “Giò”, D’Auria ha potuto dare sfogo alla sua rinnovata idea di cucina, con piatti più studiati e raffinati e nuovi spazi riservati soprattutto al pesce di mare. Interessanti restano comunque le carni - fiorentine e costate cotte a vista nel braciere fatto fare su misura. Un’evoluzione, secondo lo chef, ri-

spetto agli Antichi Sapori dove la cucina era tipicamente locale. “Devo dire che, passati pochi mesi, la risposta della clientela si è rivelata davvero incoraggiante”. In cucina, ad affiancare D’Auria c’è Andrew Regazzoni, 39 anni, originario di San Pellegrino dove ha frequentato la scuola alberghiera. Prima di approdare al “Giò”, Regazzoni ha fatto esperienze in diversi locali. Ha lavorato al “Tirolese”, nella cittadina termale, e in altri ristoranti in Lombardia, in Liguria e in Toscana. A lui è affidata in particolare la cura dei primi e dei dolci. Nel corso della nostra visita abbiamo provato alcuni piatti, come le Chicche di salume con gnocco fritto e verdurine, la Vellutata di patate con piovra saltata e olio al basilico, gli Gnocchi con mascarpone, astice e filangé di zucchine e il Carpaccio di orata con

julienne di verdure. Tutti piatti che ci hanno convinto per esecuzione, equilibrio e impiattamento. D’Auria, da buon chef qual è, dà molta importanza alla sala, tanto da dedicarle buona parte del suo impegno, sia a mezzogiorno che alla sera. “Il rapporto coi clienti resta fondamentale - spiega - e poterli servire nel modo giusto è importante quanto la riuscita del piatto”. Il «Giò» ha un comodo parcheggio privato, tavoli all’aperto nella bella stagione (presto verrà aperta anche la terrazza panoramica sopra il locale), un’elegante sala da 70 posti e una seconda sala per banchetti sino a 110 persone. La cantina fa leva 150 etichette, molte di ottima qualità e ben note al popolo degli intenditori. Il prezzo medio per un menù di carne si aggira sui 35 euro, per quello di pesce si va dai 40 ai 45 euro, vini esclusi.


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Arrivano a Bergamo i mitici coltelli della Sakai Takayuki I

coltelli giapponesi della Sakai Takayuki sono prodotti a Sakai, nella prefettura di Osaka. È una città famosa in Giappone per la sua lunga storia, per i 600 anni di tradizione ed esperienza nella produzione di spade samurai e di coltelli da cucina. Quelli della Sakai Takayuki sono prodotti in una delle migliori fabbriche in Giappone, forgiati a mano secondo la tradizione giapponese con una lama estremamente affilata. I coltelli “Damasco Svedesi”, per esempio, sono prodotti con 45 strati di acciaio martellato e resistente alla corrosione. Questo magnifico acciaio è certificato e riconosciuto in tutto il mondo. I coltelli hanno eleganti impugnature in legno di magnolia con una ghiera in corno di bufalo e sono adatti ad essere utilizzati anche dai mancini. Il Knife, la cui lama misura 210 mm, il Slicer (240 mm) ed il Petty Knife (150 mm), sono i coltelli più utilizzati in cucina. Il Knife, uno

dei coltelli più versatili, è costituito da una lama di medie dimensioni che può tagliare la maggior parte degli alimenti, ad eccezione di alimenti duri come ossa o prodotti surgelati. Lo Slicer è adatto a tagli molto sottili e può essere utilizzato sia per la carne, sia per il pesce, sia per le verdure, mentre il Petty Knife è un coltello di piccole dimensioni, ideale per il taglio di frutta e verdura. L’azienda “Artigianato Giapponese”, importatrice

ufficiale per l’Italia dei coltelli Sakai Takayuki, si avvale della collaborazione di molti chef internazionali, tra questi Mauro Uliassi e Hirohiko Shoda (protagonista di “Ciao, sono Hiro” in onda su Gambero Rosso Channel e di Geo su Rai3). A Bergamo e provincia i coltelli della Sakai Takayuki li trovate presso l’Enoteca Al Ponte di Castelletti, a Ponte San Pietro, via Roma, telefono 035 611428.

Berlucchi nel progetto VIVA del Ministero dell’Ambiente

Sottoscritto al Vinitaly l’accordo volontario tra il Ministero dell’Ambiente e l’azienda franciacortina Guido Berlucchi per la sostenibilità attraverso il protocollo V.I.V.A. che misura l’impatto della produzione vitivinicola, a fini migliorativi, basandosi su quattro parametri fondamentali: aria, acqua, territorio, vigneto. Presenti allo stand Berlucchi per la firma il Sottosegre-

tario al Ministero dell’Ambiente, Barbara Degani, il Dg per lo Sviluppo Sostenibile, Francesco La Camera, l’Ad ed enologo dell’azienda, Arturo Ziliani, e i referenti delle importanti aziende già aderenti al protocollo. “Oggi firmiamo un accordo volontario che rappresenta una vetrina per i nostri vini, soprattutto all’estero. Biodiversità e sostenibilità sono due concetti fondamentali, e come Ministero, li stiamo portando avanti con convinzione”, ha detto il Sottosegretario Degani. “V.I.V.A. rappresenta una nicchia virtuosa di produttori, ma una nicchia in crescita”, ha dichiarato il Dg Francesco La Camera. “Il nostro impegno per la sostenibilità va avanti e si rafforza allargando il progetto a nuove aziende”. La Guido Berlucchi è la prima azienda franciacortina ad aderire al progetto V.I.V.A., e per il suo Ad Ziliani questo “rappresenta un importante passo verso la sostenibilità totale, tema particolarmente sentito in Berlucchi, dove stiamo peraltro completando il triennio di conversione all’agricoltura biologica”.

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Frittata al forno “La Golosa” Ingredienti per 1 persona 2 uova 30 g circa di Gorgonzola un cucchiaio di latte una manciata di noci sale e pepe a piacere

Preparazione Schiacciate il Gorgonzola con una forchetta fino a renderlo una pappetta inconsistente. Sbattete le uova in una terrina, aggiungete il sale, il pepe, il latte e il gorgonzola precedentemente pestato, quindi mescolate molto bene. Una volta che il composto avrà una consistenza cremosa e non presenterà grumi, aggiungete una manciata di noci tritate e amalgamate con un mestolo. Versate il tutto in una teglia piccola precedentemente imburrata e infornate per 20 minuti alla temperatura di 180 gradi. Che la serviate calda, tiepida o fredda, poco importa: sarà sempre buonissima.

CURIOSITà La proposta di questo mese è un piatto saporito, gustoso e molto semplice nella realizzazione, anche per chi ne capisce poco di fornelli o è alla ricerca di idee veloci che non creino troppo lavoro. Di solito lo preparo come piatto unico, ma all’occorrenza può diventare un ottimo antipasto e, tagliato a tocchetti, rappresentare un simpatico spizzico per un aperitivo casalingo con gli amici. Il Gorgonzola è un formaggio a pasta cruda di colore bianco paglierino con striature e chiazze blu-verdi, dovute all’erbonitaura, ovvero una particolare tecnica di lavorazione casearia che consente lo sviluppo di muffe nella sua pasta. È un alimento delizioso che da sempre è sinonimo di cucina “sfiziosa” e che è impiegato per la preparazione di pietanze molto gustose; ma non è solo buono, il gorgonzola apporta proteine di elevata qualità biologica, calcio altamente assimilabile e vitamine B1, B2, oltre a sodio, potassio e fosforo. E, anche se molti credono il contrario, è un prodotto altamente digeribile in quanto i fermenti lattici in esso contenuti hanno un’influenza positiva sulla flora batterica intestinale

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ed esercitano un’attività batteriostatica ed antibiotica. Quando lo utilizziamo in cucina, se non lo si consuma subito, è meglio conservarlo in contenitori chiusi ermeticamente, avvolto nella carta stagnola; in questo modo siamo sicuri che il sapore si manterrà integro. Non dimentichiamo poi che, per esaltarne il gusto e la cremosità, è consigliabile tenerlo a temperatura ambiente almeno mezz’ora prima di consumarlo. Infine una piccola curiosità: spesso la frittata e l’omelette vengono confuse (l’ho fatto anch’io per anni), mentre tra le due pietanze esistono delle sostanziali differenze. L’omelette è composta di sole uova e gli ingredienti del ripieno vengono aggiunti verso la fine della cottura; viene cotta da un solo lato e chiusa su se stessa o sul ripieno. E come dicono i francesi, deve restare un po’ baveuse all’interno, ossia le uova devono risultare rapprese ma non cotte del tutto. Nella frittata invece gli ingredienti vengono mescolati con cura insieme all’uovo e la cottura avviene su entrambi i lati. Per amore di verità, mi sembrava giusto dirlo. Non mi resta che auguravi buon appetito.


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