Affari di Gola - dicembre 2010 gennaio 2011

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dicembre 2010

Supplemento al n. 44 de “La Rassegna” del 16 dicembre 2010 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Mangiare italiano. Perché è sempre più difficile

Aumentano i prodotti agroalimentari preparati con materie prime provenienti dall’estero. Tutto legale, ma spesso chi acquista non ne è a conoscenza. Una mini guida per orientarsi tra etichette e marchi

L’ENOLOGO

L’EVENTO

IL BILANCIO

TENDENZE

«Doc e Docg insufficienti per garantire i consumatori»

I ristoratori Ascom in festa per Natale

I sette migliori piatti degustati da Affari di Gola

A Bergamo crescono le vendite di cibi bio


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PENNA ALL’ARRABBIATA Ci piacerebbe... (Letterina di Natale a ristoratori e clienti)

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FOCUS Il fascino "sostenibile" della tavola

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L'EVENTO Ristoratori, auguri con gusto

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NEWS Due stelle Michelin allo chef bergamasco "re" di Hong Kong

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L'APPROFONDIMENTO Com'è difficile mangiare italiano!

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IL BILANCIO Un anno di emozioni nel piatto

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QUELLI DEL FORMAGGIO Il Formai de Mut punta anche all'alta ristorazione

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L'INTERVISTA "Doc e Docg non bastano più per dare garanzie ai consumatori"

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 - 24125 Bergamo Presidente: Ivan Rodeschini Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. - via Giorgio Paglia, 26 24121 Bergamo - tel. 035 213030 fax 035 224572 affaridigola@larassegna.it Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri In redazione: Anna Facci Opinionisti: Pier Carlo Capozzi, Enrico Rota Pubblicità: S.P.M. srl - viale Papa Giovanni XXIII, 120/122 24121 Bergamo - tel. 035 358 888 fax 035 358 753 Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 185 del 20 Febbraio 1950 Collaboratori: Michele Andreucci, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Pino Capozzi, Ettore Coffetti, Fulvio Facci, Roberta Martinelli, Roberto Morandi, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi, Sara Vavassori Impaginazione: Videocomp, Bg Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

I NOSTRI INSERZIONISTI Azienda Agricola Scotti, Bere Betti, Brevi due, Cartolombarda, La Cascina S. Alessandro, Il Cipresso, Delizie di Mare, Orobica Pesca, Ortofrutta Ravellini, Pastificio Benedetti, Salumificio Bonalumi, Solo Delivery.



PENNA ALL’ARRABBIATA di Pier Carlo Capozzi

CI PIACEREBBE… (Letterina di Natale a ristoratori e clienti di buona volontà)

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embra che declamare un elenco sia diventata un’operazione di successo. Dopo averlo sperimentato sul grande schermo (ricordate Nanni Moretti?), adesso è giunta la conferma in televisione. Quindi, amiche ed amici golosi, elencheremo anche noi, sul finire di un anno che, per disastroso che possa sembrarci, è sempre stato uno spazio di tempo positivo, considerando che io sono qui a scrivere e voi, bontà vostra, lì a leggermi. E considerando anche, particolare tutt’altro che trascurabile, che nessuno di noi (credo) lavori in miniera con i rischi e le conseguenze del caso. Argomentazioni scontate e demagogiche, dirà qualcuno. Ribattiamo che non se ne può più di sentire che il Natale e le Festività annesse sono diventate un peso così gravoso che sarebbe preferibile saltarle tutte a piè pari e ritrovarsi (oh magia!) subito dopo la Befana… E alziamo, noi per primi, la mano in segno di colpevolezza per aver pensato, qualche volta, la medesima cosa. Resettiamo tutto e affrontiamo il nostro domani con coraggio e consapevolezza. Elenco, dicevamo. Ecco il nostro: Ci piacerebbe che tornasse il sorriso più spesso, sulle bocche di chi accoglie e su quelle di chi è accolto. Ci piacerebbe una ristorazione che, al primo posto, mettesse quindi l’ospitalità. Ci piacerebbe che si smettesse di giudicare un ristorante sulla scorta di una sola visita, compromettendo a volte il lavoro di anni interi per il capriccio di un censore frettoloso quanto superbo. Ci piacerebbe che i ristoratori la finissero di spettegolarsi alle spalle l’un l’altro. Ci piacerebbe che lo stesso avvenisse anche nella stampa enogastronomica. Ci piacerebbe che nessuno ci chiamasse razzisti, considerando che siamo una delle province italiane più accoglienti e tolleranti. Ci piacerebbe poter scrivere in maniera equilibrata di un nuovo locale senza che nessuno dei vecchi patron sulla piazza si sentisse accoltellato alla schiena. Ci piacerebbe che la prenotazione, specie nei giorni

di punta, diventasse una regola e non l’eccezione di pochi. Ci piacerebbe che sparissero, dai conti, le voci coperto e servizio. Ci piacerebbe che nessuno considerasse un pericoloso ubriaco, dopo due bicchieri di vino, il mio amico che pesa un quintale. Ci piacerebbe che venisse eliminata da qualsiasi testa pensante (!) l’equazione: pago, quindi pretendo. Ci piacerebbe, una volta seduti al tavolo, poter sempre consultare una lista, per pietanze e per vini. Ci piacerebbe non dover registrare un ricarico esagerato sulle bottiglie. Ci C piacerebbe che la smettessero r di inviarci in redazione comunicati stampa con la pretem sa s di vedersi pubblicata ogni tipo di notizia, non si capisce t in i base a quale normativa. Ci piacerebbe che l’Atalanta tornasse al volo in serie A. Ci piacerebbe che venisse dedicata una via o una piazza a Gino Veronelli, considerando che ha promosso Bergamo più lui l i di tanti t ti enti preposti. Ci piacerebbe un agriturismo nell’Isola bergamasca che non proponesse i “Tagliolini al nero di seppia”. Ci piacerebbe che venisse aperto un ristorante tipico bergamasco a Reykjavík. Ci piacerebbe che il Valcalepio, nel giro di qualche anno, diventasse famoso, per merito, come il Franciacorta. Ci piacerebbe non leggere più notizie compromettenti per la genuinità dei nostri prodotti di bandiera. Ci piacerebbe che uno, dopo aver maneggiato con l’inchiostro, se proprio vuole aprire una confezione di mozzarella di bufala, si lavasse almeno le mani. Ci piacerebbe leggere una proposta per il Cenone di San Silvestro che non prevedesse il “Risotto all’Oschiampagn”. Ci piacerebbe che il servizio al bicchiere non fosse una preziosa rarità. Ci piacerebbe che il gruppo di “Affari di Gola” su Facebook toccasse quota 5.000. Ci piacerebbe riavere per un giorno zio Carlo e fare il presepio insieme a lui. Con quello che si sente in giro, non crediamo davvero di essere troppo pretenziosi.

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FOCUS di Laura Bernardi Locatelli

Il fascino “sostenibile” della tavola L’attenz L’attenzione all’ambiente e alla salute e il desiderio di cibi ggenuini stanno spingendo sempre più i consumi di prodo prodotti biologici. Come confermano l’Osservatorio Sana-Gp Sana-Gpf e i punti vendita bergamaschi, che fanno registra registrare un crescente numero di clienti

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prodotti biologici non risentono della crisi e la società del benessere degli anni Ottanta sta traghettando velocemente in una prospettiva di sostenibilità anche nei consumi. Secondo i risultati del 2010 dell’Osservatorio Sana-Gpf, fondato nel 2007 dal professore Giampaolo Fabris, l’emergere di un nuovo sistema di valori ha determinato, negli ultimi anni, cambiamenti rilevanti nei comportamenti e negli atteggiamenti di consumo: maggiore attenzione per la natura, la responsabilità sociale delle imprese, per i diritti dei lavoratori, per la provenienza e l’uso delle risorse impiegate. Il 50,6% della popolazione dichiara che l’attenzione all’impatto ambientale dei consumi ed abitudini

di vita quotidiana è aumentata rispetto a un anno fa (+6,4% rispetto al 2009) e circa un italiano su quattro ha acquistato costantemente o spesso prodotti all’insegna della compatibilità ambientale. Il trend è in forte aumento: 54% nel 2007, 61% nel 2008, 71% nel 2009: queste scelte stanno dunque progressivamente passando da posizione di nicchia a posizione di maggioranza. Per un italiano su due - con un incremento quasi del 7% rispetto alla rilevazione 2009 - un’alimentazione fortemente biologica porterebbe ad un miglioramento della salute. Dall’indagine emerge, quindi, l’identikit di un nuovo consumatore sensibile alla compatibilità ambientale e sociale dei prodotti, ai benefici per la

L’Italia non arresta la sua crescita escita port ed è leader mondiale nell’export L’Italia riveste un ruolo di primaria importanza nel settore della produzione biologica: grazie ad oltre un milione di ettari di terreno coltivati da circa 50.000 aziende agricole, il nostro Paese continua ad avere una posizione di rilievo anche in Europa. È il primo produttore al mondo per cereali, ortaggi, agrumi, uva ed olive; il secondo al mondo per il riso. Il giro d’affari del settore viene stimato in oltre 3 miliardi di euro (inclusi 900 milioni di export). È il primo Paese al mondo per le esportazioni di prodotti bio e il primo a livello europeo per numero di produttori biologici con 44.371 operatori del settore. Dal 1993 al 2001 si è registrato un incremento progressivo, in termini di aziende operanti nel settore e in termini di superficie destinata alla coltivazione di prodotti biologici. Nei tre anni successivi, si è invece registrata una diminuzione,

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sia del numero di aziende sia della superficie utilizzata, seguita però da un boom nel 2005, anno in cui si è registrata un’inversione di tendenza, con una nuova crescita delle aziende biologiche, che hanno raggiunto circa le 50.000 unità (+20,7% sul 2004), e delle superfici, che hanno oltrepassato l’importante soglia del milione di ettari (+11,8%). A contribuire a questo exploit la riapertura dei bandi dei Piani di sviluppo rurale che molte Regioni hanno indirizzato quasi esclusivamente al biologico. Nel 2006 si è registrato un


propria salute e per l’ambiente, per la realizzazione di più cultura, felicità e benessere. Il 23,4% del campione interpellato in una ricerca presentata dal Consumers’ Forum 2009 si è dichiarato disposto a pagare di più i prodotti la cui produzione ed uso rispettino l’ambiente, il 16,5% se vengono rispettati i diritti dei lavoratori che li producono, il 59,2% se la qualità è superiore alla media. Il 73% degli intervistati chiede prodotti meno inquinanti, il 70,4% vuole etichette più utili e ben il 92,4% dice sì ai prodotti che non implichino un rapporto “predatorio” con la Terra Continua nel 2010 l’ottimo andamento dei consumi di alimenti biologici in Italia. In base alle rilevazioni Ismea, gli acquisti domestici di prodotti biologici confezionati registrano nel primo semestre del 2010 un incremento in valore del 9%, superiore a quello già segnato nel 2009 (+6,9%). In Italia gli acquisti di prodotti biologici certificati nel canale della Grande Distribuzione Organizzata, che copre meno del 50% dei consumi, hanno subìto nel 2010 un incremento rilevante. In particolare, negli ipermercati si è registrato un aumento del 19,6% e i negozi tradizionali, dopo aver ceduto il 30% nel 2009, guadagnano il 48,6% nel 2010 (dati Ismea, I semestre 2010). 2010) crisi economica incide dunque sul comportamenLa cr to generale dei consumatori, determinando una proge pensione al risparmio che si traduce in una riduzione pensi di beni ritenuti non indispensabili, ma alla di acquisti acq sicurezza alimentare e al benessere non si rinuncia nesicure anche in tempi di crisi. Report 2010 dell’Osservatorio Sana-Gpf, conferma Il Rep che gli g italiani sempre più considerano il buon cibo e

nuov aumento delle aziende biologiche, che hanno nuovo superato le 51.000 unità (+2,4% sul 2005) e delle susuper perfici, che hanno sfiorato quota 1,15 milioni di ettari perfic (+7,6%). Questo ha consentito al nostro Paese di con(+7,6 solidare la leadership in Europa per numero di aziensolida de ed estensioni bio. Nel 2007 nonostante un leggero calo del d numero degli operatori pari a 50.276 unità (1,55%), si è registrato un aumento dello 0,18% della 1,55% superficie (1.150.253 ettari). Nel 2008 gli operatori super risultano 49.654 (-1,2%) con un calo consistente delrisult pari al 12,8% (1.002.414 ettari), dovuto la superficie, sup negativa creata dai nuovi Piani di Svialla situazione s luppo Rurale. 2009 si rileva una riduzione complessiva del nuNel 2 mero degli operatori (48.509 unità) del 2,31%. La superficie in conversione o interamente convertisuper ta ad agricoltura biologica risulta attualmente pari a 1.106.684 ettari, con un aumento rispetto all’anno 1.106 precedente circa del 10,4%. Gli operatori biologici prece 2009 risultano 48.509 (contro i 49.654 del 2008), nel 2 40.462 dei quali produttori agricoli puri, a cui si ag40.46

un rapporto sano, equilibrato e socializzante con l’alimentazione elementi essenziali per una vita sana e piacevole. Il 90,3% del campione ritiene infatti che lo star bene sia strettamente legato a ciò che si mangia e allo stile di vita. L’89,8% che il piacere della buona tavola, in moderata quantità, giova indubbiamente alla salute. Il biologico, sinonimo di cibo naturale, sano, sicuro, buono, eco-compatibile, assume in tale contesto sempre più autorevolezza e carisma. Il rapporto si rafforza sia con prodotti biologici di provenienza locale e nazionale che da altri paesi, tra cui i prodotti etnici e in particolare di provenienza Mediterranea.

giungono 2.564 aziende che effettuano anche qualche attività di trasformazione. 5.223 sono le imprese non agricole coinvolte in condizionamento, trasformazione e distribuzione; 56 gli importatori esclusivi, 204 quelli per i quali l’importazione è parallela ad attività di produzione, trasformazione e distribuzione. In termini numerici, è diminuito di 1.575 unità il numero delle aziende agricole (ma è aumentato di 240 quello delle imprese agricole con attività di trasformazione), con un saldo negativo ridotto a 1.335 unità. Continua l’aumento delle imprese di trasformazione e distribuzione (240 new entries, +10.3% per un totale di 5.223), come pure quello le imprese importatrici (14 unità in più, tra quelle che svolgono esclusivamente d’importazione e quelle per cui rappresenta solo una delle attività aziendali). Complessivamente, la riduzione del numero di operatori è del 2.31%, con il picco inferiore del –3.75% delle aziende di produzione primaria e quello superiore del +10.33% di trasformatori e distributori. (Dati FederBio)

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I punti vendita bergamaschi

La produzione e il nuovo logo per il biologico I principali orientamenti produttivi interessano cereali, foraggi, prati e pascoli, che, nel loro insieme, rappresentano più del 50% della superficie ad agricoltura biologica. Seguono, in ordine di importanza, le superfici investite ad olivicoltura e viticoltura, la cui consistenza è la maggiore al mondo; aumentano di circa 4.400 ettari la superficie orticola, di oltre 9.000 quella a frutta secca, di oltre 7.500 quella di agrumi e di oltre 3.000 quella a vite. Per le produzioni animali, distinte sulla base delle principali specie allevate, i dati evidenziano un decremento del numero di capi, in par ticolare per quanto riguarda il pollame, le pecore ed i maiali, ossia gli allevamenti che avevano registrato una forte crescita lo scorso anno. Dal primo luglio 2010 è intanto entrato in vigore il nuovo logo per tutti i prodotti biologici europei, ma le aziende potranno utilizzare fino a luglio 2012 le etichette già stampate. Il nuovo logo, rappresentato da una foglia stilizzata composta da 12 stelle bianche su fondo verde, è stato scelto dalla Commissione Europea attraverso un concorso che ha coinvolto 3.500 studenti d’arte degli stati membri. Oltre al nuovo logo, i prodotti dovranno indicare l’origine della materia prima con la dicitura appropriata. Così, quelli Bio rappresentano gli unici prodotti nel settore agroalimentare in cui è obbligatorio indicare la provenienza delle materie prime.

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Cooperativa “Il sole e la

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al 1978 rappresenta un punto di riferimento del biologico a Bergamo, prima nel quartiere San Paolo ed oggi in via Gaudenzi, all’angolo con Via Carducci. La cooperativa conta su un numero in continua crescita di soci (per accedere al punto vendita è necessario associarsi: con 25 euro si ha diritto ad una tessera vitalizia, che può essere restituita e rimborsata integralmente in qualsiasi momento) provenienti da città, provincia, ma anche da Brescia e Milano. I prodotti per la spesa di tutti i giorni sono per la maggior parte a chilometro zero:“Frutta e verdura di stagione per la quasi tutti locali (da provare i frutti di bosco), ad eccezione ovviamente di banane ed avocado. Formaggi vaccini e caprini sono prodotti nelle nostre valli e in provincia, mentre

Natura Sì, cresce la risposta a chi ha intoller a

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l primo market in franchising specializzato in biologico che ha aperto in città, che fa capo alla catena nazionale Natura Sì di Verona, registra, a dispetto della crisi, buoni risultati di vendita.“Cresce molto l’interesse verso prodotti per persone con allergie o intolleranze alimentari - spiegano da Natura Sì -. Per questo il prossimo mese uscirà un numero Speciale dell’InformarSì (periodico distribuito presso i punti vendita) sulle intolleranze alimentari, per fornire risposte e proposte ai consumatori”. I prodotti più venduti non mancano nei diversi settori:“Quelli freschi sono molto acquistati: nel reparto ortofrutta si trovano prodotti di stagione, sempre molto richiesti. I principali settori e prodotti più gettonati sono: pane, legumi, riso, cereali, ortofrutta”. Qual è l’identikit del cliente tipico? “Abbiamo tre tipi di consumatori: un cliente storico che consuma biologico per scelta che rappresenta una fetta del 30-40%. Poi c’è il consumatore con cultura e mezzi economici medioalti, attento alla salute e all’ambiente. La terza area è quella di chi soffre di allergie e intolleranze. Sottolineiamo che il 5% dei nostri clienti sono medici e circa il 20% fa spesa da noi su suggerimento del medico. E questo è stato un passaggio culturale importante”. Queste le sensazioni di chi gestisce il punto vendita:“C’è maggior interesse dei clienti verso i prodotti e curiosità; cresce anche la loro fidelizzazione. L’ interesse dei clienti punta alla qualità intesa nei vari aspetti: dai controlli sulla filiera al gusto e alla bontà del prodotto. Le curiosità dei clienti sono delle più svariate, dai prodotti per intolleranti ai metodi di coltivazione, dalle tipologie di prodotti particolari alle differenze tra i vari tipi di cereali”.

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e la terra”, qui vincono i prodotti a km 0 per la carne ci affidiamo ad un allevamento di Piacenza, tra i primi ad intraprendere la scelta del biologico. Abbiamo costruito negli anni un rapporto diretto con produttori ed allevatori per poter garantire la qualità costante - spiegano dalla Cooperativa -. La nostra è una clientela affezionata che ogni giorno o una volta alla settimana sceglie di acquistare da noi prodotti freschi, compreso il pane oltre a cereali, legumi, pasta e riso. Costantemente apprezzati snack e l’intera gamma per la prima colazione”. La Cooperativa si impegna anche per ridurre gli imballaggi:“Abbiamo introdotto con successo la vendita di cereali e legumi sfusi, che garantiscono ai nostri clienti di risparmiare e dare un prezioso contributo all’ambiente. L’idea ora è di introdurre anche un angolo dedicato alla vendita di detersivi bio, senza sbiancanti ottici o chimici sfusi, per ridurre ulteriormente gli imballaggi”. Ad avvi-

r anze alimentari

cinarsi al biologico per la prima volta sono soprattutto neo-mamme ed un numero crescente di donne e uomini con problemi di intolleranze alimentari: “Quando la Cooperativa ha iniziato la sua attività, più di trent’anni fa, contava su una clientela per cui la scelta del biologico rappresentava una filosofia di vita. Non manca chi continua ad abbracciare completamente il bio come stile di vita, ma oggi la maggior parte sceglie prodotti biologici per necessità, per intolleranze alimentari. In continua cresci-

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ta la vendita di prodotti per l’infanzia, dalle pappe a pastine e cereali: sempre più le mamme che scelgono per i bambini prodotti certificati e non solo per la loro alimentazione. I pannolini lavabili di cotone Ciripà, ad esempio, sono sempre più utilizzati”. Meno gettonati i prodotti cosmetici ed erboristici: “È vero che non si rinuncia al biologico nonostante la crisi, ma qualche taglio alla spesa viene fatto comunque ed il budget per tutto ciò che non è strettamente necessario è sempre più risicato”. In caduta libera il macrobiotico:“La nostra sensazione è che sempre meno persone seguano questo regime alimentare rispetto al passato”. La cooperativa promuove i prodotti bergamaschi: “Proponiamo alcuni vini del territorio biologici della Val San Martino, molto apprezzati, oltre a prodotti bergamaschi eccellenti, come la farina per polenta di Fontanella ed alcuni formaggi eccellenti”.

Bio Natura, tra la clientela primeggiano le neo-mamme

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Clusone l’interesse per il biologico cresce soprattutto tra le neo-mamme, che acquistano prodotti certificati per i più piccoli per poi avvicinarsi a prodotti sostenibili. “A dispetto della crisi, le mamme sono disposte a spendere qualcosa in più per garantire a bebè e bambini un’alimentazione più sana - spiega la titolare del punto vendita Bio Natura, Roberta Nava -. La clientela è sempre più preparata e competente e sceglie con maggiore cura ogni singolo prodotto, da frutta e verdura di stagione proveniente da piccoli produttori a pasta, riso e cereali, pane fresco e suoi sostituti, sughi già pronti, condimenti e brodi vegetali senza glutammato”. Non manca chi segue la dieta macrobiotica ed altri programmi:“Vendiamo bene i prodotti macrobiotici - shoyu e tamari (salse di soia), gomasio, alghe marine, seitan e tofu -, soprattutto i tè, dal Bancha al Kukicha al Mu. Molto richiesti i piatti pronti, dai bocconcini di tofu con verdure ai medaglioni di seitan ed altri prodotti vegetali, come cotolette e wurstel per chi non vuole rinunciare al gusto”. Molti si rivolgono al punto vendita per intolleranze alimentari, su consiglio dello specialista: “L’intolleranza ai latticini è in crescita e vendiamo molto bevande sostitute del latte, come prodotti senza uova, senza lievito e senza zucchero per altre problematiche”. In negozio si può trovare di tutto per relax e benessere, dai prodotti per la cura della persona all’aromaterapia, ai fanghi per talassoterapia. Recentemente è stata dedicata una sezione anche ad integratori e Fiori di Bach e tra i nuovi prodotti proposti riscuotono successo i succhi di frutta biologici e la birra artigianale. Periodicamente vengono organizzati incontri con specialisti, covia Marconi 12 me ad esempio la consulenze di iridologia (sistema Clusone diagnostico basato sullo studio dell’iride dell’octel. 0346 1901085 chio) a cura di apprezzati naturopati.

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L’EVENTO

Ristoratori, auguri con gusto Cinque locali al lavoro per la cena di Natale del Gruppo Ascom organizzata al Gourmet di Città alta. Capozzi: «Una serata all’insegna dell’amicizia e della collaborazione»

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uperare orgogliosamente e con alta professionalità il momento difficile che l’economia sta attraversando». Un augurio che contiene anche una promessa quello del presidente dell’Ascom Paolo Malvestiti, quest’anno presente alla cena di Natale dei ristoratori anche con l’autorevole nuova carica di presidente della Camera di Commercio di Bergamo. «Nel prossimo anno l’attenzione dell’intero staff camerale – ha assicurato – sarà rivolta nel ancor più alle imprese, in modo particolare a quelle più piccole che stanno soffrendo più di tutte». «La solidarietà, il supporto delle associazioni di categoria e la preparazione degli operatori – ha aggiunto – sono le basi su cui fondare le speranze di un futuro più vicino alle aspettative del mondo imprenditoriale». Ed un esempio ormai consolidato di collaborazione tra colleghi è la cena stessa, organizzata al ristorante Gourmet di Città alta e realizzata a più mani in cucina. Ognuna delle cinque portate, infatti, è stata preparata da un ristorante diverso a comporre una piccola escursione tra le

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proposte e le diverse interpretazioni degli chef. Promotore dell’evento e di questa formula è Pino Capozzi, oggi presidente onorario del Gruppo ristoratori dell’Ascom, che nel suo intervento ha proprio voluto sottolineare lo spirito di amicizia e condivisione che anima la serata. Ai fornelli si sono succeduti nell’ordine Bruno Federico del ristorante La Caprese di Mozzo che ha presentato “Crudità di pesce e frittura di calamaretti”, Pino Capozzi dell’Agnello d’Oro con “Appetitosi chicchi di grano al profumo di mare con salsa rosa e scampi”, Roberto Gambirasio del ristorante Cadei di Villongo ha curato il secondo di pesce, “Gamberoni al succo d’arancia e Grand Marnier”, mentre il secondo di carne, “Guancialino di maiale con composta di zucca e carciofi”, è stato presentato da Paolo Frosio dello stellato “Frosio” di Almè. A chiudere “Semifreddo al Barolo, spumone di ricotta con pera caramellata e sciroppo di vino” di Stefano Asperti, chef del Gourmet, dei patron Aldo Beretta e Gianni Cornacchia. «Che la famiglia dei ristoratori Ascom possa crescere di numero e professionalmente» è stato l’augurio della presidente del Gruppo, Petronilla Frosio, che ha anche ricordato le opportunità offerte alla categoria da una scuola di cucina d’eccellenza come l’Accademia del Gusto di Osio Sotto. Di una importante sfida ha invece parlato Carlo Spinetti, presidente dell’Associazione Promozione del Territorio, realtà che ha portato in Fiera nel marzo scorso le selezioni italiane del concorso Bocuse d’Or. «Siamo stati invitati con il nostro rappresentante alla finale di Lione – ha ricordato – perché sono state riconosciute le capacità organizzative messe in campo da Bergamo. Per la cucina italiana è un’occasione per confrontarsi nell’agone internazionale e soprattutto con i francesi. Sono loro, e il recente riconoscimento della loro cucina come patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco lo ribadisce, che oggi sfondano nel mondo, ma l’Italia può valorizzare il proprio modo di concepire la cucina con una visione più unitaria». All’incontro hanno partecipato anche il vicesindaco di Bergamo Gianfranco Ceci e l’assessore al Commercio Enrica Foppa Pedretti, il consigliere regionale Carlo Saffioti, il segretario generale della Camera di Commercio Emanuele Prati, il direttore dell’Ascom Luigi Trigona.

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LA PROPOSTA

Con la “Birra di Natale” la festa ha una marcia in più

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a storia della birra è intrigante e ci può forse insegnare ad apprezzarla di più, anche in occasioni come le prossime rossime festività natalizie. Non a caso, da più ù secoli, i mastri birrai del Nord hanno elaborato rato birre in grado di festeggiare degnamente nte questa particolare ricorrenza. Non si vuole ole essere “blasfemi” nei confronti di sua maestà aestà il vino, ma ogni tanto una trasgressionee legata alla cucina può anche esser presa in considerazione. La nostra cultura mediterranea ranea ci relega troppe volte a stereotipi o convenzioni che lasciano ben poco spazio io a nuove esperienze, senza poi considerare are che per natura diffidiamo da ciò che he non conosciamo. Un’emozione diverrsa, originale e, perché no, godereccia,, può esserci fornita da una bevanda-alimento diversa dal vino, con un tenore alcolico contenuto, ma con grande spessore degustativo proprio di questa birra. Immaginiamo ora, solo per un istante, un paesaggio da fiaba, che ci ricorda l’infanzia e ci invita a riscoprire ritmi di vita più tranquilli e naturali, quasi come una regola di vita. A questo ambiente spettacolare, in questa natura incontaminata, inseriamo il candido colore della neve. Aggiungiamoci un caldo camino, una compagnia desiderata e un bicchiere di birra di Natale. Cosa pretendere di più? Le Birre di Natale sono un’antica tradizione, tipica di alcune regioni del Nord Europa. In particolare hanno trovato una larghissima diffusione in Belgio fin dall’800. Da diversi anni, però, si realizzano birre di Natale anche in altri paesi europei come ad esempio la Germania dove la cultura brassicola non è sicuramente da meno di quella belga. Si tratta solitamente di birre dal tenore alcolico più elevato,,

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di Enrico Rota consigliere delegato e responsabile vendite Italia della QUATTROERRE di Torre de’ Roveri (Bg) Per ulteriori informazioni scrivere a enrico@quattroerre.com

adatte al alle rigide temperature invernali e alle tradizionali “abbuffate” cui si è soliti lasciartradizio si andare andar durante le feste. Ogni anno le birre di Natal Natale rinnovano una tradizione secolare che ci pe permette di apprezzare una specialità in origine origi prodotta per il consumo strettamente familiare. Si trattava, infatti, di una f birra da d bere con familiari ed amici durante le feste natalizie. Alcuni birrifici cominciarono poi a produrla, sempre in ocminci casione delle feste, per premiare i clienti casio affezionati. Comunque sia, le Birre di più a Natale rientrano nella vasta categoria Nata delle etichette stagionali e possono condell siderarsi una sorta di birra ad ediziosid ne limitata, dal momento che non si possono ripresentare al consumatore p perfettamente uguali a quelle dell’anp no precedente. La “Weihnachtsbier” n (birra di Natale) è una birra speciale che la rende adatta per stato d’animo contemplativo del momento. Si tratta di un augurio di Natale e un ringraziamento del mastro birraio ed è caratterizzata da una spiccata aromatizzazione ottenuta con l’impiego dei migliori malti e da una maturazione più lunga. Il gusto è leggermente speziato, con note di frutta, secca o candita, ed evidenti sentori dolci. Queste caratteristiche la rendono abbinabile ai più svariati piatti, ma è ottima anche da gustare come birra da meditazione. Ultima considerazione, anzi un vero e proprio invito: bello sarebbe che buona parte dei birrifici italiani pensasse a produrre anche questo prodotto stagionale: sappiamo che nulla abbiamo da invidiare a livello qualitativo, ma troppe volte non osiamo e ci limitiamo a guardare gli altri.


Due stelle Michelin allo chef bergamasco “re” di Hong Kong Originario di Castione della Presolana, na, Umberto Bombana ha ottenuto il nuovo riconoscimento a pochi mesi dall’apertura del ristorante “8 ½”

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opo aver raccolto ampi consensi con il “Toscana” (ristorante del Ritz Carlton di Hong Kong) e aver successivamente guadagnato la prima stella Michelin al “The Drawing Room”, aperto nel 2009 insieme all’amico e collega Roland Schuller, sempre nell’ex colonia britannica, lo chef bergamasco Umberto Bombana sale un altro gradino nel firmamento dei grandi chef mondiali. Neanche il tempo di aprire un nuovo locale, a febbraio di quest’anno, l’8 ½, ed ecco arrivare la seconda stella Michelin. Una scalata che non sorprende più di tanto chi conosce le qualità dello chef originario di Castione della Presolana. Formatosi al Centro di formazione alberghiera di Clusone e apprendista con Ezio Santin all’Antica Osteria del Ponte, Bombana ha sin da subito messo a frutto il suo talento in giro per il mondo, frequentando le cucine dei migliori locali a Lione, Parigi, New York e Los Angeles. A Hong Kong arriva nel 1993 e diventa popolare in pochi anni grazie alla cucina italiana rielaborata al “Toscana”. È così stimato da esser considerato, nel 2002, Best Italian Chef in Asia dall’Icif (Italian Culinary Institute for Foreigners) e, nel 2006, eletto Ambasciatore nel Mondo del tartufo bianco dall’Enoteca Regionale Piemontese (non a caso Bom-

bana è oggi definito The King of White Truffles). Il bistellato 8 ½ è sicuramente il suo progetto più personale e distintivo. A partire dal nome, da lui scelto come tributo all’amato regista Fellini, capace di evocare lo stile italiano, nonché invitare a gustare e scoprire i piaceri della vita. “Otto e mezzo - ha spiegato Bombana in un’intervista - l’ho scelto perché s’ispira ad una pellicola che oltre a piacermi ben rappresenta la nostra Italia”. Al di là del nome e della filosofia culinaria, il genio e la creatività devono tuttavia trovare terreno fertile per germogliare. “E a Hong Kong le condizioni per lavorare al meglio ci sono tutte - ammette Bombana -. Qui si possono trovare gli ingredienti migliori provenienti

da tutto il Mondo, come i tartufi invernali australiani che abbiamo adesso in carta. E poi, non esistono imposte sui vini e sui prodotti alimentari, il che non guasta”. All’8 ½ Bombana continua a proporre la cucina italiana contemporanea, con un menù che cambia a seconda dei prodotti disponibili sul mercato. In cantina invecchiano più di 2.000 bottiglie provenienti da tutto il mondo. Il nuovo ristorante - situato in una posizione centrale all’interno dell’elegante Alexandra House e oggi considerato uno dei locali più in voga di Hong Kong - dispone di un’ampia sala e di una zona bar con decorazioni in legno e luci soft. L’ambiente è caldo e accogliente ed è un luogo ideale per godersi anche un sontuoso “Milano Style Aperitivo” ammirando opere d’arte di autori come Andy Warhol o Pablo Picasso. Il cliente tipo del locale? A pranzo soprattutto uomini d’affari, mentre la sera la clientela è varia.“In particolare - ci aveva detto in un’intervista Bombana - è alta la percentuale di cinesi: adorano la cucina italiana. Si tratta di persone che girano il mondo e sono abituate alla ristorazione di un certo livello”.

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ACCADEMIA DEL GUSTO di Roberta Martinelli

Perbellini, l’interprete moderno che ama la sperimentazione La scuola dell’Ascom incontra la filosofia dello “stellato” veronese. «Cosa rende un cuoco un grande cuoco? Prima la sensibilità, poi un mix di passione, di sensazioni, di tatto, di gusto»

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rosegue il tour gastronomico dell’Accademia del Gusto. Mercoledì 9 febbraio la scuola di cucina dell’Ascom si trasferirà al Ristorante Perbellini di Isola Rizza, in provincia di Verona, per un pranzodegustazione “stellato”. Protagonista della giornata sarà la cucina dello chef Giancarlo Perbellini, uno dei grandi della ristorazione italiana che dall’89, anno in cui ha aperto il suo regno in terra veneta, ha accumulato stelle, forchette e notorietà (dal premio come migliore cuoco europeo di pesce nel ’92 sino alle due stelle Michelin e le presenze in tv). Classe ’64, cresciuto fra pandori e

panettoni (è il pronipote del fondatore della leggendaria offelleria, tempio della pasticceria italiana) fa il cuoco da quando aveva quattordici anni. La sua è una cucina moderna ed elegante che dà spazio ad abbinamenti creativi ma sempre con riferimenti alla cucina del territorio e alle tradizioni regionali, come i “Wafer al sesamo con tartare di branzino, caprino all’erba cipollina e sensazione di liquirizia” e gli “Scampi e le cappesante su gelatina di brodo di pomodoro, emulsione d’uovo, sesamo e mele verdi”, tra le ricette che più lo rappresentano. La sua cucina è riconoscibile sempre: per il gusto,

I CORSI DI G GENNAIO E FEBBRAIO • GLI GNO GNOCCHI Laborator pratico di tre ore che insegna Laboratorio a scegliere le patate più giuste e ad absceg binarle binar con altri ingredienti, in particolare colar le verdure e le erbe, in ricette nuove nuov e golose. Ciascun partecipante realizza realiz direttamente le ricette in aula. Martedì Marte 18 gennaio – dalle 20 alle 23 a cura di Francesco Gotti c

• L’ARTE L’AR DEL BANQUETING Corso in quattr quattro incontri rivolto agli chef che fornisce le conoscenze utili alla preparazione di un banchetto di successo: dall’organizzazione della cella frigorifera alle tecniche di lavorazione, dai metodi di cottura anticipata alle norme di conservazione dei prodotti, dalla preparazione del buffet all’erogazione del servizio. Con preziose indicazioni per fare acquisti corretti e velocizzare il lavoro e nuove ricette e consigli per contenere il food cost mantenendo la qualità. Al termine del corso è prevista una prova pratica di banqueting che coinvolgerà ogni corsista.

Il martedì, dal 25 gennaio al 15 febbraio dalle ore 15 alle 18 – a cura di Francesco Gotti

• CORSO BASE DI GASTRONOMIA Giochi di sapori, profumi e aromi. Il corso dura 18 ore e permette di apprendere le tecniche base dell’arte gastronomica e di creare specialità da offrire ai clienti. È rivolto a chi desidera avviare un’attività nel settore e agli operatori che vogliono migliorare la propria preparazione ed il servizio. Il martedì, dal 25 gennaio al primo marzo dalle 20 alle 23 – a cura di J. Dominique Verdier

• LA MISCELAZIONE: CORSO BARMAN BASE In 50 ore si acquisiscono le tecniche base di miscelazione. Il corso si svolge attraverso un costante dialogo tra teoria e pratica per “apprendere facendo” e permette di realizzare direttamente i cocktail in aula. Dal 31 gennaio all’11 febbraio dalle 14 alle 19 - a cura di Pierluigi Cucchi

• SVILUPPARE UN MENÙ DI PESCE Dall’antipasto al secondo, viene spiegato come realizzare un menù a base di pesce attraverso ricette nuove

Per informazioni e iscrizioni: Ascom Formazione - tel. 035 4120180/183 o 035 4185706/707 info@ascomformazione.it w

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l’eleganza, l’equilibrio e lo stile. Mai eccessivo. La definizione più giusta la dà lui quando parla di «un’interpretazione dei prodotti del momento. In chiave moderna ma con rispetto della tradizione» e del piacere di sperimentare piatti nuovi, «il momento più bello del mio lavoro». «L’errore più grave in cucina – afferma - è rovinare il prodotto, se c’è un grande prodotto», mentre a suo avviso, che fa di un cuoco un grande cuoco, è «prima di tutto la sensibilità, poi un mix di passione, di sensazioni, di tatto, di gusto». Alla ristorazione italiana rimprovera un solo difetto, di non credere alle sue possibilità: «Abbiamo troppe influenze e poca fiducia nella nostra tradizione e nelle nostre capacità». Se gli chiediamo quale mestiere avrebbe voluto fare se non avesse scelto la ristorazione, a sorpresa, risponde: «Non ho mai voluto fare il pasticcere. Da giovane almeno. Negli anni la pasticceria mi è diventata simpatica. Sognavo di diventare un pilota, di andare all’Accademia aeronautica. Poi ho virato in un’altra direzione».

Un doppio appuntamento Il pranzo degustazione è in programma mercoledì 9 febbraio. La partenza è fissata alle ore 10.30 dall’Accademia del Gusto a Osio Sotto. La giornata è aperta a ristoratori e operatori, chef e collaboratori. Nel contesto elegante del ristorante si potranno assaggiare alcuni dei piatti più rappresentativi e conoscerne i “segreti” direttamente dalle parole dello chef. «Torniamo da Giancarlo Perbellini e dalla moglie Paola Secchi - dice Daniela Nezosi, direttrice dell’Accademia del Gusto - perché hanno pienamente centrato lo spirito con il quale la nostra Accademia propone i Convivium. Gestiscono con particolare cura il menù, gli abbinamenti e l’accoglienza, riservando ai nostri corsisti le loro migliori attenzioni». L’iniziativa è promossa nell’ambito della rassegna “Convivium di Stelle”, il ciclo di visite gastronomiche ai ristoranti stellati promosso dalla scuola di cucina dell’Ascom in collaborazione con l’Ente Bilaterale alberghiero e pubblici esercizi. Ma l’Accademia offre ai professionisti anche un’altra possibilità per incontrare lo chef e le sue creazioni. Lunedì 24 gennaio sarà infatti in cattedra nell’aula dimostrativa della struttura di Osio Sotto per un’intera giornata, dalle 10 alle 17, dedicata alla presentazione dei suoi piatti, all’elaborazione delle ricette e alla degustazione. Per informazioni e prenotazioni: Ascom Formazione tel. 035 4120180/183 o 035 4185706/707 - info@ascomformazione.it – www.ascomformazione.it.

e creative, con un approfondimento sui metodi di lavorazione e di cottura e consigli per la presentazione. Ciascun partecipante realizza direttamente le ricette in aula, sotto l’attenta guida di due chef esperti. Martedì 1 e 8 febbraio - dalle 20 alle 23 a cura di Emanuele Poli e Roberto Proto

sapori e la storia della caffetteria. Si apprendono le tecniche di preparazione di espresso, cappuccino e bevande ad essi correlate. Da lunedì 14 a giovedì 17 - dalle 14 alle 19 a cura di Boris Andreoletti

• MARINATE E SALAMOIE

Seminario dedicato ai professionisti per imparare le realizzazioni e interpretazioni dei piatti di pesce dei fratelli Cerea. Lunedì 7 febbraio - dalle 15 alle 18 a cura di Enrico Cerea

Le marinate e le salamoie sono un metodo di conservazione del prodotto o raffinate tecniche di aromatizzazione che esaltano le caratteristiche di carni e pesci? Questo seminario è rivolto ai professionisti del settore ristorazione che intendono aggiornarsi moderni utilizzi delle tecniche tradisui mod zionali. zion Mercoledì 2 e 9 febbraio M dalle 15 alle 18 d a cura di Fabrizio Ferrari

• LA CAFFETTERIA AL BAR: DALLA PREPARAZIONE DEL CAFFÈ ALLE DECORAZIONI LLaboratorio teorico-pratico di 20 ore che insegna l’arte, i segreti, i profumi, i

• IL PESCE “DA VITTORIO”

• IMPARARE A CUCINARE Corso di 27 ore ideale per chi desidera apprendere le basi della cucina professionale. La teoria è affiancata da esperienze pratiche di cucina. Ciascun partecipante ha a disposizione una postazione attrezzata per realizzare direttamente le ricette in aula. Al termine di ogni lezione è prevista la degustazione critica dei piatti realizzati. Al termine del corso si sarà in grado di gestire perfettamente un menù dall’antipasto al dolce, arricchiti da un ricettario di alto livello. Il lunedì, dal 14 febbraio all’11 aprile dalle 20 alle 23 - a cura di Emanuele Poli

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L’APPROFONDIMENTO di Giordana Talamona

Com’è difficile mangiare italiano! Il 33% dei prodotti agroalimentari nel nostro Paese ma per alcune tipologie si arriva anche alla quasi totalità - è fatto con materie prime provenienti dall’estero. Non stiamo parlano di truffe, ma di passaggi perfettamente legali di cui però non sempre i consumatori sono a conoscenza. In vista degli acquisti per le feste, ecco come orientarsi tra etichette e marchi

N

on stupiscano le cifre, tutto è perfettamente legale. Questa la dovuta premessa di fronte alla ricerca di Coldiretti-Eurispes che ha messo in luce come il 33% della produzione agroalimentare complessiva del nostro Paese derivi, in realtà, da materie prime provenienti dall’estero. «Alla faccia del made in Italy!» verrebbe da dire. Le cifre fatturate sono di tutto rispetto, 51 miliardi di euro per i prodotti venduti sul territorio o esportati come italiani, il tut-

to secondo le norme di legge. Nel 2009 sono arrivate nel nostro Paese 30 milioni di tonnellate di prodotti agroalimentari, con un aumento del 50% negli ultimi 15 anni. Siamo poco competitivi, non riusciamo a soddisfare il fabbisogno interno o l’esportazione? Sia come sia, le feste natalizie sono alle porte e nessuno potrà essere certo che ciò che troverà sulla tavola, dalla pasta al panettone, dallo zampone alle lenticchie, sia al 100% italiano.

Bazzana (Coldiretti): «Pane, pasta e olio, almeno la metà è fatta con prodotti importati»

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l made in Italy è, secondo la legge, tutto ciò che viene prodotto sul nostro territorio, non ciò che necessariamente vi è stato coltivato o allevato. Il decreto legge comunitario n. 135, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nel settembre 2009, ha inteso con questo provvedimento tutelare il nostro Paese da tutta una serie di frodi che vedevano l’utilizzo illegale dei marchi “100% made in Italy”,“tutto italiano” e “100% Italia”. Tra le pieghe della legge, però, all’art. 16 si legge «si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce classificabile come “made in Italy” ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento siano com-

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piuti esclusivamente sul territorio italiano». E le materie prime? Da qui spiegato come mai, non essendoci l’obbligo del Paese d’origine su tutti gli alimenti, la maggior parte dei consumatori non possa minimamente sospettare che alcuni prodotti tipicamente italiani, come la pasta o la conserva di pomodoro, possano arrivare dall’estero. «In base all’andamento dei raccolti – spiega Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Codiretti – importiamo il 60-65% di grano tenero da Francia, Germania, Usa e Canada. In genere viene utilizzato per i prodotti da forno come pane, grissini, biscotti, pandoro e panettone». Chi si è stupito di fronte a questi dati, osservi i prossimi. «Arri-

Lorenzo Bazzana

viamo ad importare fino al 50% di grano duro con cui produciamo la pasta - prosegue –. Di norma la metà rimane sul territorio, per soddisfare il fabbisogno interno, mentre l’altra metà viene esportata come pasta italiana». Sapere se quella che mangiamo sia prodotta con grano italiano, estero o miscelato è praticamente impossibile. Se qualche


azienda lo dichiara in etichetta lo fa perché è certa della tracciabilità del prodotto ed, evidentemente, perché ha fatto la scelta integralista del made in Italy al 100%. Per gli altri non è dato sapere e la legge, al momento, non li obbliga. Per i prodotti ittici, Coldiretti Pesca fa sapere che tre piatti di pesce su quattro, serviti al ristorante, sono di importazione. La questione, in questo caso, è quanto mai delicata perché, se è vero che per il pesce fresco acquistato in negozio c’è l’obbligo del Paese d’origine, lo

stesso non può dirsi per quello che troviamo al ristorante, già pronto e servito nel piatto. Da qui la proposta di Coldiretti Pesca di introdurre, a breve nei ristoranti, una “carta del pesce” che informi il consumatore e che tuteli i pescatori e gli acquacoltori nostrali. E i salumi? Secondo i dati forniti da Bazzana produciamo circa 12 milioni di cosce di maiale, ma ne importiamo 19 milioni. Anche in questo caso, a parte le Dop, è difficile capire se i prosciutti e i salumi che compriamo derivino da animali nati e cresciu-

ti sul nostro territorio o all’estero. Statisticamente parlando è quasi una certezza che più di un salume su due sia straniero, pur se lavorato nel nostro Paese. E l’olio? Ne importiamo il 50% dai Paesi del Mediterraneo, Spagna, Turchia e Grecia. Ma la cosa che fa strabuzzare gli occhi è che «il 20% delle conserve di pomodoro – conclude Bazzana – viene dalla Cina». E si sta parlando di importazione legale, perché se dovessimo aprire il capitolo contraffazioni fraudolente, se ne sentirebbero delle belle.

ORIGINE

COSA SI FA

Latte Uht

3 confezioni su 4 sono straniere (Francia e Germania)

Latte a lunga conservazione

Grano tenero

Importiamo il 60-65% da Francia, Germania, Usa, Canada

Tutti i prodotti da forno: pane, biscotti, grissini, fette biscottate, panettone, pandoro

Grano duro

1 pacco di pasta su 3 proviene da grano straniero. Ne importiamo dal 35% al 50% all’anno. Nel 2009 sono stati importati 6,5 milioni di chili di grano duro da Russia, Kazakistan, Ucraina, Canada, Messico

Pasta

Concentrato di pomodoro

Il 15-20% viene dalla Cina

Concentrato e prodotti trasformati

Ceci in scatola

Il 90% viene dal Canada

Prodotti trasformati

Ceci secchi

Importiamo la quasi totalità da Tunisia, Marocco

Zuppe, prodotti trasformati

Olio

Importiamo il 50% dai Paesi mediterranei: Spagna, Tunisia, Grecia

Olio e derivati

Carne di manzo Importiamo la quasi totalità della carne dall’Arper bresaola gentina e dal Brasile

Bresaola della Valtellina Igp

Cosce di maiale

Ne importiamo 19 milioni da Spagna, Olanda, Danimarca. La produzione nazionale si attesta sui 12 milioni

Salumi

Gamberetti

Ne importiamo il 44% da Cina, Argentina, Vietnam

Gamberetti e derivati

Pesce servito al ristorante

3 su 4 sono pesci di importazione

Piatti di pesce e crostacei

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Braga (Altroconsumo): «L’importante è la trasparenza, così chi acquista può fare la propria scelta»

È

al vaglio un nuovo quadro giuridico che, se approvato dal Parlamento europeo, renderà più trasparenti le etichettature alimentari specificando la provenienza di tutti quei prodotti che, sempre più spesso, finiscono sulle nostre tavole e di cui non immaginiamo l’origine estera. Ne parliamo con Franca Braga, responsabile delle ricerche alimentali dell’associazione Altroconsumo, da anni in prima linea per la tutela del consumatore. Fino a che punto, oggi, possiamo conoscere la provenienza di un alimento? «La legge prevede l’indicazione di provenienza solo per alcuni prodotti. Per miele, uova, frutta e verdura è obbligatorio, così come per

L’ETICHETTA I cibi con l’indicazione di provenienza: Carne di pollo e derivati, carne bovina, frutta e verdura fresche, uova, miele, passata di pomodoro, latte fresco, pesce, olio extravergine di oliva.

E quelli senza: Pasta, carne di maiale e salumi, carne di coniglio, carne di pecora e agnello, frutta e verdura trasformate, derivati del pomodoro diversi da passata, formaggi, derivati dei cereali (pane, pasta).

il pesce fresco che deve riportare anche la dicitura “allevato” o “pescato”». Per la carne? «Dopo l’emergenza “mucca pazza” l’Ue ha posto l’obbligo d’origine solo per la carne bovina, lasciando fuori quella di maiale, agnello e coniglio. La nuova normativa, se approvata, ne estenderà la tracciabilità». E per i trasformati? «Per quelli attualmente non c’è obbligo, ma la richiesta è al vaglio dell’Ue. Naturalmente non si domanda l’origine di tutti i prodotti, l’etichetta diventerebbe illeggibile, ma solo di quelli altamente caratterizzanti». E il latte? «L’obbligo d’origine è previsto solo per quello fresco, mentre per l’Uht sappiamo che tre confezioni su quattro arrivano da Paesi comunitari, di norma dalla Germania e dalla Francia, per semplici questioni di costi». Qualche esempio di “insospettabili” prodotti importati? «C’è il caso della Bresaola della Valtellina la cui carne, trattandosi di un Igp, può essere importata da Argentina e Brasile. In questo caso si tratta sia di una questione quantitativa, perché non siamo in grado

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di coprire tutto il nostro fabbisogno, che qualitativa perché le cosce prodotte in sud America sono più indicate per quel tipo di salume». Qual è la vostra posizione a riguardo? «Non c’è una pregiudiziale, ossia non è detto che un prodotto che viene dall’estero sia meno buono o sicuro di uno italiano. Quello per cui ci battiamo è rendere il consumatore informato e consapevole. Molte persone sceglierebbero il made in Italy per svariati motivi, per la tradizione, per la filosofia del Km zero, per dare valore alle nostra cultura alimentare. L’importante è la trasparenza, poi spetterà al consumatore fare la scelta che riterrà più opportuna».

Franca Braga


Sardo (Slow Food): «Nei Paesi industrializzati i sapori si stanno appiattendo»

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a filosofia di Slow Food è chiara a tutti: il piacere alimentare va salvaguardato, educando il gusto e ricercando le produzioni lente, ricche di tradizioni e sostenibili. Da quando è partita, sul finire degli anni Ottanta, l’associazione è cresciuta in tutto il mondo e ha creato una serie di attività e presidi che hanno scongiurato la scomparsa di molte razze animali, produzioni agricole e tradizioni alimentari. In Italia sono 193 i Presidi Slow Food che tutelano, ad esempio in Lombardia, produzioni come il Violino di capra della Valchiavenna, lo Stracchino all’antica delle valli Orobiche o il Grano saraceno della Valtellina. In un mondo dove la globalizzazione appiattisce i sapori e standardizza il palato, cerchiamo di capire con Piero Sardo, presidente della Fondazione per la biodiversità di Slow Food, quanto la nostra tradizione alimentare rischi di andare alle ortiche. Il made in Italy agroalimentare esiste ancora? «Sì, ma è sempre più a rischio. Pensi che su 4mila, un migliaio di Pat, Prodotti Agroalimentari Tradizionali, rischiano di scomparire. Fuori dai marchi di qualità, per esempio, è ormai pressoché impossibile definire con certezza se un prodotto sia, o no, italiano». Ma anche sui marchi di qualità esiste qualche scappatoia. Cosa pensa dell’Igp, Indicazione geografica protetta? «Più volte l’ho definito un marchio truffa perché per ottenerlo basta semplicemente che “almeno una fase del processo produttivo” sia effettuata in una particolare area. Questo consente, ad esempio, di importare pomodori dall’estero, di inscatolarli e lavorarli in un’area specifica, e di venderli come Pomodori Pachino Igp. Che poi i produttori lo facciano o no è altra storia, vero è che la legge glielo consente. La stessa cosa vale per i Salumi Brianza Igp, la cui carne viene dall’estero, o per la Bresaola della Valtellina Igp dove la materia prima arriva dal sud America». Mentre sulle Dop possiamo stare tranquilli? «La Denominazione d’origine protetta dà una garanzia su tutta la filiera produttiva quindi, per esempio nel caso del San Daniele, i capi devono venire da un’area delimitata, dove devono essere effettuate tutte le fasi di trasformazione ed elaborazione». E per quei prodotti non garantiti da un marchio di qualità? «Le carni vengono importate dall’estero e, spesso, mischiate con quelle italiane. Tutto legale, sia ben chiaro. Come lo è, per esempio, l’importazione di latte di pe-

cora dalla Romania che, ultimamente, sta mettendo in crisi molti produttori di pecorino sardo e romano». Sull’utilizzo del latte in polvere cosa ci dice? «Un anno fa l’Ue ha legittimato l’aggiunta massima del 5% nella produzione di formaggi. Pensi che costa un quarto rispetto al latte fresco. La realtà è che, semPiero Sardo pre di più, ci ritroviamo a mangiare prodotti che sanno di “pappe alimentari”». Intende dire prodotti che non hanno più il sapore di una volta? «Esattamente. Uno storico della cucina sostiene che i Paesi industrializzati stiano andando verso sapori che ricordano quelli della “pappa infantile”, tutti simili, con un gusto dolciastro, non aggressivo e poco piccante». Esiste un prodotto, su tutti, che ci può dare la portata di quanto sia cambiata la nostra tradizione? «I ceci, per esempio. Ne eravamo i primi produttori al mondo, poi abbiamo iniziato ad importarli perché non eravamo competitivi. Oggi il 90% di quelli in scatola viene dal Canada, mentre quelli secchi dal sud del Mediterraneo,Tunisia e Marocco. I prezzi la dicono lunga. I nostri costano 4,50 euro al chilo, quelli stranieri 1 euro. Durante la strada si sono perse aziende, mugnai, tradizioni e sono scomparsi i mulini da macina». Ci si accorge della differenza? «Mah, chi può dirlo. Credo che solo un gastronomo raffinato possa rendersene conto». E sui tartufi? «Qui la legge, al contrario, vieta l’importazione dall’estero, ma è evidente che non si riesce ad impedire le frodi commerciali. Per fare un controllo, per scoprire se un tartufo è italiano o straniero, si dovrebbe procedere con un prelievo del Dna, ma il gioco non vale la candela e gli Istituti di vigilanza hanno ben altro da fare». I prossimi obiettivi di Slow Food? «Raddoppiare i Presidi in Italia nell’arco di qualche anno. Sarebbe ancora poco, perché arriveremmo a tutelare appena il 10% delle produzioni a rischio, ma occorre tentare di salvaguardare il nostro patrimonio alimentare. La partita per il futuro si gioca oggi».


IL BILANCIO di Lelia Parisi

Un anno di emozioni nel piatto Con l’ultimo numero del 2010, in evidenza i sette piatti che più ci hanno colpito nelle nostre degustazioni

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nche quest’anno siamo giunti alla fine del nostro viaggio tra i sapori e gli umori della ristorazione di Bergamo e dintorni. Certo, la crisi ha sortito il suo effetto anche tra gli operatori del settore, pochi coloro che non hanno accusato qualche flessione. Ma chi ha visto la crisi come opportunità per ripensare criticamente la propria offerta è anche colui che è riuscito a passare più o meno indenne sotto le forche caudine della recessione. La crisi impone uno sforzo di fantasia e creatività, una riformulazione dei propri modelli, e alla lunga è perfino benefica. Aiuta a sfrondare gli eccessi e a mettere a fuoco l’essenziale. Rigore dunque anche in cucina, così come si invoca un po’ ovunque? Perché no. In fondo, diceva Paul Valery, è dal più grande rigore che nasce la più grande libertà (e dunque creatività). È stata la penuria dei mezzi a disposizione ad aizzare la fantasia delle classi povere e a dar vita ai migliori piatti della nostra tradizione. (Con tanti ingredienti e budget illimitato non c’è poi così bisogno di spremersi le meningi). Insomma, mai come ora è diventato calzante il detto “far di necessità virtù”. Smussati i manierismi, pure l’alta cucina, con la cosiddetta bistronomia (alta cucina a basso costo, neologismo coniato dallo chef basco Inaki Aizpitarte), si è convertita, almeno in parte, a regole più stringenti. E fare alta cucina a costi contenuti è diventato il più lungimirante degli obiettivi. Così il

rasoio di Occam si abbatte a falcidiare eccessi, fronzoli, ridondanze. La sfida è riuscire a ottenere il massimo con il minor dispendio di mezzi: di ingredienti e di lavorazioni. Facendo piatti a bassa entropia. Un po’ come accade nel mondo della fisica, dove il modo più semplice e più diretto per arrivare a un risultato è anche il migliore. Semplificazione, eleganza, leggibilità, capacità di assemblare prodotti pregiati e prodotti “poveri”, ma anche di indurre una nuova “postura” del gusto, di stimolare le papille a “sentire” i cibi in modo nuovo. Sono queste le parole d’ordine per quasi tutti gli chef che abbiamo incontrato nel nostro pellegrinaggio gastronomico. Altro ingrediente immancabile, quello che Massimo Montanari chiama il “retrogusto della storia”, il radicamento nel territorio. Territorio inteso non tanto come un recupero pedissequo di tradizioni, il più delle volte non recuperabili nella loro integrità originaria, ma come limite, come capacità di ancorare il piatto a un’idea, a un’identità, a una forma forte espressa da un territorio e dalla sua storia. Limite che è anche il segno stesso della libertà in un mondo che ha decretato, come direbbe Marc Augé, il collasso dello spazio (e quindi della geografia) e del tempo (e perciò della storia). Abbiamo individuato alcuni piatti, tra i tanti che abbiamo provato, che esemplificano questa capacità di innovare e di stupire, di parlare al cuore e alla testa, ancor prima che al palato dell’interlocutore.

Due Colombe C (Borgonovo di Cortefranca - Bs) Patate viola, gambero rosso e Franciacorta Pat Ha la forma stilizzata di un pesce galleggiante in uno specchio dorato questo piatto sublime nell’aspetto e nel gusto. Una striscia calda di purè di patate violette, gambero rosso blim crudo cru tagliato e ricomposto con la sua coda, sul dorso un’armatura di chips mignon viola intenso, il ristretto di Franciacorta. C’è davvero tutto in questi ingredienti minimi: il dolce, inte l’acido l’acid e il sapido, il secco e l’umido (giusto per citare le categorie della cucina medievale), il passato, il presente e anche il futuro. Un inno alla Franciacorta Felix. pas

Al T Tram ((Sarnico) i ) Polenta con guazzetto di gamberi rossi Piatto impeccabile per equilibrio di sapori e qualità di materie prime. Gamberi rossi appena sgusciati e scottati, pomodoro fresco rinvigorito da aromi vari, una polenta morbida e calda, fecondata da un filo d’olio extravergine, pronta ad accoglierli nel suo lascivo abbraccio. Un piatto che risveglia papille inerti dalla nascita.

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San Gerolamo (Vercurago - Lc) Anguilla affumicata, foie gras e vin brulé Variazione sul tema dell’anguilla di questa cucina elegante e di ricerca, la cui bussola ola e sestante puntano a Nord più che al Mediterraneo. Addomesticato ed esorcizzato zato dalla leggera affumicatura, un trancio del serpentello acquatico, il cui consumo o già nell’antichità pare avesse una funzione apotropaica, riposa nel vin brulé, protetto o da un cono sottile di foie gras. Brumose mitologie celtiche filtrano da questo bellissimo piatto dove la sapidità leggermente affumicata di carni macerate nella speziatura umbratile e dolciastra del vino si stempera nel dolce-amaro del foie gras.

Ristofante (Alzano Lombardo) Sfoglia croccante con crema all’anice e fichi Un concentrato di tentazioni “pericolose” questo intrigantissimo dessert. La piacevolezza di una coltre di sfoglie croccanti, la voluttà di una salsa fresca di panna e uova appena montate che traspira lontani, ottundenti sentori d’anice, e dove affondano impudicamente fichi maturi appena intiepiditi. Seduzione, semplicità e leggerezza, la perfezione di un mondo intero in un piccolo frammento, quasi un frattale.

Settecento (Presezzo) Se Ravioli di verza stufata con uvetta e pinoli R M Miracolo di equilibrio e contrasti di sapori a somma zero in questo piatto che unisce il selvatico e l’amarognolo della piccola verza scura dei nostri colli, cibo povero ma di antico se lignaggio, al gusto più addomesticato di pasta sfoglia, pinoli e uva passa. Un piatto che ha il lign pregio preg di riuscire a far parlare la creatività naturale del prodotto, accostandolo a comprimari non inva invadenti che lo elevano all’ennesima potenza. Un incontro perfetto tra natura e cultura.

Porta Osio (Bergamo) Gnocchi con scampi e bisque di crostacei Morbidi e suadenti, gli gnocchi di patate sono la materia porosa e docile in cui scampi e crostacei potenziati da aromi freschissimi si impigliano come in una rete rilasciando a più riprese i loro succosi umori. Piatto semplice, e al tempo stesso straripante di emozioni gustative, una danza di aromi mediterranei filtrati dal rigore di una sensibilità tutta lombarda.

Devero Ristorante (Cavenago - MB) De Anatra in tre format e zucchine A A Abilità tecnica senza sbavature in questa fantasia d’anatra, petto arrosto, coscia croccante, scaloppa di fegato con zucchine.Tutti superbi. Da uno chef capace di tirar fuori l’anima del prodotto, di ritrovare il principio naturale delle cose, di interrogarne il mistero usando il proprio istinto come una sonda e il palato come strumento privilegiato di conoscenza.Trovare la verità dei cibi è andare dritti alla loro essenza.

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LA NOVITÀ di Fabrizio Pirola

Ci vogliono delle “CrapeMatte” per fare un buon vino Alessandro Vago (seduto) con Dario Mascher (in piedi a sinistra) e Natale Simonetta

C

Tre amici, tra questi il titolare del “Bacco Matto” di Bergamo, hanno dato vita ad un merlot in purezza. Prima annata il 2006. “È il prodotto che ci rappresenta”

i sono indubbiamente tanti metodi per consacrare un’amicizia, ma quello scelto da tre amici è quantomeno singolare.Ad unirli un interesse, una passione, un amore comune: il vino. Trovato il punto d’incontro, i tre baldi giovani, due sommelier - Dario Mascher, titolare del ristorante Bacco Matto in città, e Alessandro Vago - insieme a Natale Simonetta, produttore della Cascina Baricchi di Neviglie, in provincia di Cuneo nelle Langhe, non lontano da Barbaresco, sulle colline che si affacciano alla Val Tinella, si sono messi al lavoro per realizzare il loro progetto. E da poche settimane questo “sogno” si è tradotto in realtà con la presentazione delle prime bottiglie di “CrapeMatte”. Mai scelta del nome è stata così azzeccata. Il merlot in purezza, 13,5 gradi - anche se poi degustandolo la gradazione appare superiore - è prodotto in quantità molto limitata, poco meno di 2.000 bottiglie, precisamente 1.790, metà delle quali già assegnata in prenotazione. “Il CrapeMatte nasce dal piacere di consacrare la nostra forte amicizia e la nostra passione verso il vino - confessa Dario Mascher -. Passione che si è consolidata negli anni attraverso tante serate trascorse insieme in allegria, ovviamente sorseggiando del buon vino. Siamo partiti quasi per gioco, senza un vero fine commerciale, ma non per questo non abbiamo pensato alla qualità. I sentori del CrapeMatte esprimono quello che noi siamo nella realtà, nel rapporto con tutti gli amici e che vogliamo trasmettere come valori positivi quando ci si siede intorno ad un tavolo”. Dopo tante bottiglie assaggiate, il percorso seguito è stato quello di scegliere la tipologia di vino da produrre. “Infatti abbiamo cercato di creare un vino che rispecchiasse appieno la nostra filosofia di vita e di amicizia,

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qualcosa di schietto, sincero e senza troppe sofisticazioni - prosegue Mascher - e per questo ci siamo indirizzati verso un merlot, che pure in un territorio storicamente terra di nebbiolo, barbaresco, barbera e dolcetto poteva anche apparire come una scelta controcorrente. Ma in questo merlot noi abbiamo riscontrato quella facilità, eleganza, pulizia e, diciamolo pure, sincerità che pienamente ci rappresentano”. Ma le tre “CrapeMatte”, che goliardicamente hanno pure realizzato delle simpatiche t-shirt nere con i loro nomi d’arte,“il brigante”,“il capitano” e “il cassa”, hanno creduto nel vitigno merlot, che del resto rappresenta da anni il Cru dell’Azienda “Bricco dei Bugiardi”, e così da una produzione molto limitata, solo 45 quintali circa (meno della metà di quanto concesso dal disciplinare Doc Langhe), è uscito questo prodotto di qualità. “L’annata che abbiamo messo in bottiglia è quella del 2006 ma pensiamo iamo di proseguire anche con gli anni successivi vi visto che le vigne dei cru hanno sempre prodotto odotto ottimamente - conclude il brigante - e poi questa impresa deve proseguire finchéé l’amicizia non finisce”. Una storia di amicizia micizia e passione la definiscono, e visto sto i protagonisti non dubitiamo. La bottiglia è venduta a 65 euro, ro, al Ristorante Bacco Matto to di via San Giovanni Bosco co 40/b, a Bergamo.


Il Moscato di Scanzo diventa un cioccolatino È stato creato al Cfp di via Gleno in collaborazione con l’azienda De Toma

A

l Centro di Formazione Professionale di Bergamo, in via Monte Gleno, nei giorni scorsi è stato presentato il Cioccolatino al Moscato di Scanzo realizzato dagli allievi della classe terza “Arte Bianca” guidati dal docente Claudio Bonezzi in collaborazione con l’azienda vitivinicola “De Toma” (che fa capo al presidente del Consozio di Tutela) con il Maestro Cristian Beduschi, campione del mondo pasticceri nel ‘97. L’iniziativa ha avuto origine da un progetto sviluppato lo scorso anno formativo in occasione della partecipazione dell’Azienda Bergamasca Formazione al concorso “Eccellenze per competere - Formare professionisti per Expo 2015” organizzato da Artifil (Agenzia Regionale per l’istruzione Formazione e Lavoro) nei mesi di aprile e maggio scorsi. In questa occasione, Il presidente del Consorzio di Tutela Abf si è spesa per dare del Moscato di Scanzo, Giacomo De Toma lustro a un prodotto di fine pasticceria nato dal connubio tra due elementi che difficilmente nella norma si sposano bene, il vino e il cioccolato. In questo caso, grazie alle caratteristiche organolettiche conferite dalla miscela di alcuni cacao “Gran Cru” sudamericani e alle particolari note aromatiche di un vino passito quale il Moscato di Scanzo prodotto dalla famiglia “De Toma”, l’abbinamento ha reso unico il Cioccolatino al Moscato di Scanzo. Con l’intenzione di diffondere sul territorio questo prodotto che esprime, tra l’altro, un forte radicamento nelle tradizioni enogastronomiche della Bergamasca, Abf ha patrocinato e ospitato la presentazione del Cioccolatino. Presentazione che si è svolta sotto forma di pranzo, cucinato e servito dagli allievi delle terze classi dei corsi alimentari (Arte Bianca,Aiuto cuoco, Operatore della sala bar) del Cfp di Bergamo con degustazione finale del nuovo dolce. I giovani aspiranti professionisti del settore alimentare hanno avuto modo di valorizzare la presentazione attraverso una loro breve ma esaustiva descrizione delle portate, dei vini e delle tipologie di servizio adottato. È stato quindi un momento didattico rilevante, durante il quale gli allievi hanno vissuto l’esperienza come “Unità di apprendimento”.

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QUELLI DEL FORMAGGIO di Leo Bartoli

Il Formai de Mut punta anche all’alta ristorazione

L’

avevamo lasciata cinque anni fa, come una delle promettenti giovani casare della Provincia, già in grado di fare incetta di premi ai concorsi caseari: la ritroviamo al timone di uno dei consorzi di tutela più importanti dell’agroalimentare orobico. La sfida che attende Francesca Monaci, da tempo ormai ai vertici, nonostante abbia solo 26 anni, del Consorzio del Formai de Mut (e premiata come giovane allevatrice dalla Regione Lombardia) è al tempo stesso stimolante e molto difficile: rilanciare il fiore all’occhiello della tradizione casearia brembana che ha ottenuto la Dop (Denominazione di Origine Protetta) nel 1996, ma che oggi, davanti a una concorrenza sempre più agguerrita, ha bisogno di modernizzarsi e di tornare a dialogare in modo stretto con i consumatori. Francesca, avere un posto di responsabilità alla guida di un Consorzio così importante, a soli 26 anni, è un onere ma anche una soddisfazione. Come affronta questo impegno? “È una grande soddisfazione, anche se ci sono difficoltà da affrontare. Sono consapevole della fiducia che mi è stata accordata e cerco di fare del mio meglio per costruire qualcosa di buono per i produttori e l’agricoltura della valle. I tempi sono cambiati e i coltivatori devono capire che non basta più lavorare solo nella propria azienda, ma è necessario anche mettersi in gioco nelle strutture economiche e di promozione perché il confronto con il mercato è sempre più serrato e difficile. Fondamentale per me è stata l’esperienza nelle file di Giovani Impresa Coldiretti, perché mi ha dato la possibilità di formarmi e di capire il valore della partecipazione”. Che momento sta attraversando il Formai de Mut? “Il Formai de Mut resta una produzione di nicchia, limitata. Infatti si marchiano all’incirca 7.000 forme all’anno. Il Consorzio è costituito da 14 produttori certificati, tutte aziende agricole ad eccezione di due cooperative. Rispetto al 1997, anno di costituzione del Consorzio, il numero dei consorziati è andato inizialmente crescendo per poi stabilizzarsi negli ultimi anni, ma le previsioni sono buone e si prospettano ulteriori incrementi, anche di aziende agricole condotte da giovani”. A proposito di giovani: lei ai vertici del Consorzio è un segnale importante. Vede riavvicinarsi dei ragazzi al mondo caseario dopo la fuga verso le fabbriche degli anni scorsi? “Ancor oggi, nonostante il momento difficile, l’agricoltura rappresenta un’opportunità che i giovani possono cogliere. Qualcosa sta cambiando. Certo, servono misure adeguate per sostenere chi decide di fare questa scelta,

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Parla Francesca Monaci, ai vertici del Consorzio: “Con 14 produttori e 7mila forme all’anno restiamo un prodotto di nicchia, ma vogliamo espanderci”. Promozione sui mercati esteri, dalla Baviera alla Bulgaria, dagli Usa all’Australia, e iniziative anche a Brescia e Milano per coinvolgere i big della cucina ma ci sono ancora giovani imprenditori che hanno il coraggio di rischiare e dare vita a imprese capaci di svolgere un ruolo importante dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Quello che serve è un sostegno diverso da parte delle istituzioni e del mondo del credito”. Qualche ragazzo ha paura, scegliendo di fare l’allevatore, di essere tagliato fuori dal mondo… “Fare l’agricoltore in montagna non vuol dire essere fuori dal mondo: tutt’altro. Spesso questa mia scelta, che poi è anche la scelta di altri giovani, solleva curiosità perché sembra fuori dagli schemi, in realtà decidere di fare l’allevatrice e produrre formaggi è stato per me naturale. Qualcuno si ostina a voler vedere solo l’aspetto “bucolico” del mio lavoro, ma per me essere allevatrice vuol dire svolgere una professione fatta di impegno, sacrifici


e scelte imprenditoriali che mi fanno sentire realizzata”. Spesso l’immagine del Formai de Mut è un po’ sottovalutata rispetto ad altre Dop orobiche: come intende risalire la china? Pensa a una maggiore promozione? “La promozione è senza dubbio importante per valorizzare un prodotto di nicchia come il Formai de Mut. Quest’anno abbiamo partecipato con grande soddisfazione alla festa internazionale dei formaggi che si è svolta a fine agosto a Lindenberg, in Baviera, e abbiamo iniziato ad esplorare il mercato americano e quello australiano dove sembra ci siano interessanti opportunità. Abbiamo inoltre mandato alcune forme a Sofia, in Bulgaria, con altri prodotti dell’agricoltura lombarda. Il nostro primo mercato di riferimento continua però ad essere quello di casa nostra; per questo stiamo lavorando a una serie di iniziative che hanno proprio lo scopo di far conoscere il prodotto a un numero sempre più ampio di consumatori.Abbiamo in programma un progetto di promozione che prevede la realizzazione di degustazioni e la diffusione di materiale informativo, con il coinvolgimento dell’alta ristorazione non solo della provincia di Bergamo, ma anche di Milano e Brescia”. Non crede che l’eccessiva pubblicità a un prodotto come il Bitto Storico rischi di oscurare invece il vero prodotto bergamasco, che è il Formai de mut? “Consideriamo ciò che fanno i produttori di altri formaggi uno stimolo a migliorare sempre più la nostra azione. Un po’ di sana competizione non guasta, ma dev’essere chiaro che il formaggio bergamasco Dop per eccellenza è e rimane il Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana. Su questo non ci sono dubbi”. Se dovesse descrivere le qualità, anche a livello di emozioni, del Formai de Mut, a un consumatore che non lo ha mai assaggiato, che parole userebbe? “Come donna utilizzerei sicuramente parole che richiamano i pascoli, le erbe e i fiori che con i loro profumi inconfondibili conferiscono al Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana un gusto unico e inimitabile. Come produttore invece parlerei di qualità, tradizione, passione e professionalità. Ma penso che nessuna parola possa riuscire a descrivere fedelmente le emozioni suscitate da un prodotto che rispecchia anni di storia della nostra gente e del nostro territorio. L’unico modo per apprezzarlo davvero è assaggiarlo: lo dico a tutti, provatelo, poi ne riparliamo”.

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AGENDA

DAL 30 GENNAIO AL PRIMO FEBBRAIO

Identità Golose, a confronto “I segni e i gesti” dei grandi chef È dedicata a “I segni e i gesti” la settima edizione di Identità Golose, il congresso italiano di cucina d’autore ideato dal giornalista Paolo Marchi, in programma da domenica 30 gennaio a martedì primo febbraio nel Milano Convention Centre di via Gattamelata. Il nuovo appuntamento si muove nel solco tracciato lo scorso anno con il “Lusso della semplicità”, ossia la ricerca di una essenzialità in ristorazione e pasticceria in accordo con una visione etica e sostenibile del consumo.“I segni e i gesti” è volere capire cosa rimane di immutato, di chiaro e di preciso nel tempo in una ricetta, quei segni e quei gesti che caratterizzano anche il più creativo dei cuochi. Il tema sarà affrontato nelle giornate di domenica e lunedì, mentre martedì si farà spazio alla Regione Ospite e a Dossier Dessert. La seconda sala del congresso, la sala Bianca, domenica 30 sarà nel segno della Nuova Pasticceria Italiana da ristorazione, lunedì di Identità di Birra e di Identità di Miele e, infine, martedì di Identità di Riso e Risotti. Lungo e ancora in progress l’elenco dei relatori. Dalla Francia Emmanuel Renaut, Inaki Aizpitarte e Mauro Colagreco, tre conferme dalla scorsa edizione. Novità sono la stella Yoshihiro Narisawa, lo svedese Magnus Nilsson, Nuno Mendes, un viajante portoghese approdato a Londra, la Turchia moderna di Mehmet Gurs e l’America di Paul Liebrandt che si specchieranno negli italiani Alajmo, Bottura e Lopriore, Scabin e Sultano, Esposito e Romito e in tanti altri, compreso il tristellato chef bergamasco Chicco Cerea. Info: www.identitadolose.it

IL 16 GENNAIO

Torcolato di Breganze, in piazza la prima spremitura

A

Breganze, nel vicentino, domenica 16 gennaio c’è la possibilità di assistere alla nascita di un prodotto unico. In piazza Mazzini su iniziativa della Strada del Torcolato e dei vini di Breganze si tiene la 16esima edizione della “Prima” del Torcolato, ossia la prima spremitura della vendemmia 2010 dell’antico e prezioso passito accompagnata da festeggiamenti e altre iniziative. Il vino della “Prima” è ottenuto dall’unione dei grappoli di tutti i produttori di Torcolato della piccola Doc di Breganze, che si estende per 15 chilometri a nord di Vicenza, ai piedi delle Alpi. Il Torcolato di “Prima” è quindi un vino dolce assolutamente originale, fuori commercio. Dopo due anni le bottiglie di “Prima” vengono donate ai partecipanti alla festa in suo onore. Il Torcolato Breganze, ricordato sin dal ‘600 e considerato un autentico capolavoro enologico, è ricavato dalla spremitura di una selezione di grappoli di Vespaiola, varietà presente solo in questa zona d’Italia. Info: www.stradadeltorcolato.it

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IL 6 FEBBRAIO

A Casale di Albino la “Sagra dei biligòcc”

L

a prima domenica di febbraio a Casale di Albino scocca l’appuntamento con la “Sagra dei biligòcc”, la festa delle castagne affumicate e bollite che nella Valle del Lujo hanno trovato la loro patria di elezione grazie al Gruppo Culturale “Amici di Casale”. L’associazione, da una ventina d’anni custode della lavorazione tradizionale, nel 2007 ha anche depositato il marchio di tutela “Biligòcc della Valle del Lujo” presente sui sacchetti in cui vengono vendute le ghiotte specialità. I biligòcc nascono da castagne selezionate - “ostane” e “nicoline”, dolci e di buona pezzatura - affumicate su un graticcio in un’apposita “stanza del fumo”, rimestate due volte al giorno con i rastrelli perché non brucino, per circa 40 giorni. Dopo l’affumicatura, siamo ormai a dicembre, le castagne hanno la scorza raggrinzita e vengono riposte in sacchi di juta, in attesa della bollitura che si effettua soltanto qualche giorno prima della sagra su una “foghèra”, ossia un fuoco all’aperto. Alla fine di ogni cottura si gettano nella caldaia alcuni secchi di acqua fredda, che danno alle castagne la caratteristica grinzosità. Tolti dall’acqua, i biligòcc, morbidi, farinosi, dal gradevole sapore di affumicato, sono pronti. Info: www.valledelujo.it


DAL 21 FEBBRAIO

Nei ristoranti è di scena la cacciagione

È

in programma dal 21 febbraio la nona edizione di “Caccia in cucina”, la rassegna dedicata alla valorizzazione della tradizione culinaria a base di selvaggina organizzata in Bergamasca e in altre otto province lombarde (Brescia, Como, Cremona, Lodi, Milano, Monza e Brianza, Pavia e Varese) da Anuu Migratoristi con la collaborazione delle associazioni provinciali dei ristoratori (per Bergamo il coordinamento è dell’Ascom). Nel corso della manifestazione sarà possibile trovare nelle carte dei ristoranti piatti o interi menù a base di cacciagione abbinati ai vini più adatti. L’anno scorso la nostra provincia raggiunto quota 70 locali, che hanno offerto ai clienti la possibilità di scoprire, o riscoprire, ricette “classiche” o nuove interpretazioni insieme con altre tipicità in un interessante itinerario tematico che ha toccato le valli, i laghi, la città e la Bassa. La partecipazione degli esercizi è gratuita. L’Ascom ha già inviato agli interessati il modulo di adesione che dovrà essere compilato e restituito entro il 20 dicembre. L’elenco dei ristoranti aderenti sarà pubblicato sul sito dell’Ascom: www.ascombg.it

BGREEN EVENT

Economia verde e sostenibilità all’ora dell’aperitivo

P

arlare di energia verde, sviluppo e stili di vita e d’impresa sostenibili all’ora dell’aperitivo. Si chiama “BGreen Event” l’iniziativa che abbina informazione culturale e incontro organizzata da Studio Green Solution, editore anche del giornale Bergamo SOStenibile. L’appuntamento ha una cadenza mensile ed è itinerante in diverse location enogastronomiche (ristoranti, aziende agricole, agriturismi, cantine ecc.) coerenti con i temi e le finalità del progetto. Il format è informale e poco impegnativo, aperto a tutti previa registrazione sul sito www.bergamosostenibile.com. Dalle 18.30 alle 19, in un giorno infrasettimanale, si ricevono gli iscritti nel luogo prestabilito, dove viene offerto dall’organizzazione un aperitivo e si ha la possibilità di scambiare due parole e conoscere gente nuova. Alle 19 il relatore dell’evento, in un tempo massimo di mezz’ora, parla e illustra l’argomento della serata.

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L’INTERVISTA di Giordana Talamona

“Doc e Docg non bastano più per dare garanzie ai consumatori” Parla l’enologo-scienziato Donato Lanati: “Meglio puntare sull’impronta digitale del terreno per assicurare la trasparenza e la sicurezza alimentare del vino”.“Per l’Italia, che ha tanti vitigni autoctoni, garantire l’origine con la tracciabilità scientifica vuol dire essere più competitivi sul mercato globale”

“I

l consumatore ha bisogno di certezze, vuole più trasparenza. Cosa cerca in un vino? Che sia autentico e riconoscibile, ma chi risponde a queste esigenze? Le Denominazioni d’Origine sono vecchie, superate e non danno le dovute garanzie”. A parlare è Donato Lanati, l’enologoscienziato, uno dei massimi esperti mondiali di tracciabilità del vino. Lui, che ha fondato il centro di ricerca Enosis Meraviglia nel Monferrato, sostiene da anni la necessità che la scienza venga messa al servizio dell’enologia per verificare la trasparenza e la sicurezza alimentare. In altre parole, prevenire ed evitare

le frodi è possibile, eccome. Nei laboratori di Enosis Meraviglia, infatti, si fanno controlli, per privati ed Enti, che stabiliscono se le Docg sono autentiche, se le varietà utilizzate sono quelle previste dal disciplinare di produzione, o se, per esempio, sono stati aggiunti dei vitigni diversi per aumentare gli ettolitri di vino immessi sul mercato. I controlli che oggi certificano le Doc e le Docg sono per Lanati troppo carenti, legati ancora a documenti cartacei, commissioni di degustazioni ed analisi sulle caratteristiche fisico-chimiche del vino, che non danno certezza sull’origine del prodotto. Gli strumenti scientifici non mancherebbe-

ro, tutt’altro, quel che manca probabilmente per qualcuno, è la volontà di impiegarli. “Prima utilizzavamo la risonanza magnetica nucleare - spiega Lanati - che ci diceva se un vino veniva, o no, da quel territorio determinato. Questo metodo creava una serie di problemi perché ogni anno dovevamo realizzare una banca dati e i risultati ottenuti erano estremamente probabilistici. Oggi, per fortuna, è nato un settore di ricerca avveniristico che fa perno sull’impronta digitale del terreno”. Il principio si basa sul fatto che la vite, come qualunque altra pianta, per metabolizzare e produrre, deve assorbire

Stile unico e irripetibile, la sfida di “Ampeleia” Am Ampelos è parola greca che ch indica la pianta della vite. Kepos, sempre dal greco, significa “giardino”. gr Sono i nomi dei due vini S prodotti da Ampeleia, azienda nata nel 2002 nella terra della Maremma to-

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scana. Due vini che rappresentano una piacevole novità nel panorama enologico italiano, perché il loro uvaggio è unico per concezione e realizzazione. L’obiettivo finale del progetto Ampeleia, infatti, è raggiungere uno stile unico ed in parte irripetibile: la piacevolezza, l’avvolgenza e la freschezza della seta. Ampeleia non è solo un’azienda o un vino, ma un progetto che ha al centro l’interazione e lo studio della sinergia tra uomo e natura. Suddivisa su tre livelli di altezza - Ampeleia


degli elementi minerali e, tra questi, anche una piccola parte di metalli pesanti, ad esempio piombo e stronzio, che non vanno incontro a frazionamento isotopico. La matrice del terreno passa indelebile nel percorso radice, pianta, uva, per poi arrivare al vino, dove questi metalli sono presenti e rintracciabili in percentuali diverse. Per capire quindi se una bottiglia proviene da una zona determinata, occorre semplicemente analizzare il terreno e verificare se quegli elementi distintivi sono presenti, o no, nel vino.“Lo so di non essere simpatico a qualcuno quando parlo di queste cose - ironizza Lanati - ma se vogliamo essere competitivi, in questo mondo globalizzato, dobbiamo vendere origine. I vini del Nuovo Mondo sono fatti bene, talvolta sono dei grandi vini, ed i costi di produzione sono decisamente inferiori ai nostri. Cinque dollari all’ora in Austrialia, contro i nove euro all’ora dell’Italia. Come facciamo a competere? Per fortuna loro hanno utilizzato la filosofia della varietà internazionale, producono Syrah, Merlot, Cabernet e Sauvignon. Noi vendiamo origine, che non significa soltanto un confine geografico, ma tutto quello che rappresenta il nostro sapere, la nostra storia e le nostre tradizioni. E come garantiamo l’origine al consumatore se non attraverso la tracciabilità scientifica?”. Secondo l’enologo, il nostro Paese dovrebbe puntare su qualità e riconoscibilità, legati

indissolubilmente ad un territorio che sa raccontare quel vino, autentico, identificabile e sicuro. Chi non ricorda lo scandalo del Brunello di Montalcino, pochi anni fa, quando si scoprì che alcuni produttori utilizzavano oltre al Sangiovese, anche una piccola percentuale di altri vitigni? Fu un autogol senza precedenti e, ad onor del vero, una parte della stampa ci mise il carico da novanta parlando di Velenopoli e di vino sofisticato. Chiarendo quando accadde, i Brunello in questione non facevano male alla salute, ma certamente non erano in linea col disciplinare di produzione che prevede, ancora oggi, l’utilizzo del solo Sangiovese in purezza. Le frodi commerciali, ahimè, esistono ma la tracciabilità scientifica potrebbe prevenirle, evi-

di Sopra, Ampeleia di Mezzo ed Ampeleia di Sotto - l’azienda comprende 150 ettari di cui solo 50 vitati, individuati attraverso una ricerca approfondita della diversità morfologica e strutturale dei suoli, i più idonei alla produzione di qualità. I due vini prodotti (Ampeleia e Kepos) nascono dall’unione sinergica di differenti vitigni provenienti da vigneti collocati ad altezze diverse. Il carattere nasce nel vigneto e raggiunge l’espressione finale nella bottiglia attraverso la fusione ideale di ogni variante: livelli di altitudine, diversità di suolo e microclima, vitigni, esposizione dei vigneti. Ampeleia: la base produttiva è formata da Cabernet Franc e Sangiovese, ai quali si uniscono cinque vitigni

tando scandali che, come nel caso del Brunello, hanno portato un grave danno d’immagine al nostro Paese e bloccato l’export per mesi.“Oltre a rispondere a queste richieste del consumatore - continua Lanati - occorre che si introduca anche un aspetto etico nuovo, legato all’ambiente. Oggi è al vaglio dell’Oiv (Organisation International de la Vigne et du Vin - ndr.), un nuovo studio sull’impronta digitale del carbonio, che verificherà quanta Co2 viene immessa nell’ambiente dai produttori di vino.” L’OIV, un’istituzione intergovernativa a carattere scientifico e tecnico, si compone attualmente di 44 stati membri e ha tra i suoi poteri la formulazione di raccomandazioni ai Paesi aderenti in materia di produzioni e pratiche enologiche. Di questo progetto ancora embrionale sulla Co2, sono al vaglio due studi, uno australiano ed un francese, che permetteranno un monitoraggio serio delle immissioni di anidride carbonica. Attraverso un disciplinare volontario, il produttore potrà creare una filiera produttiva virtuosa che verrà resa nota al consumatore, con un “marchio etico di qualità” in bottiglia.“L’obiettivo è che il produttore diventi esso stesso garante e guardiano di un territorio che rispetta - conclude Lanati-. Quali sono i vini che oggi vanno per la maggiore? Sono Gavi, Brunello, Barolo, Casorzo, vini che hanno storia e che sono legati al proprio territorio.”

complementari dell’area mediterranea, le cui uve maturano nelle zone Ampeleia di Sotto ed Ampeleia di Mezzo. Kepos: la base produttiva nasce da un’accurata selezione di determinate parcelle di cinque varietà mediterranee (Grenache, Mourvedre, Marselan, Carignano ed Alicante) situate ad Ampeleia di Sotto ed Ampeleia di Mezzo. All’assaggio,Ampeleia 2007 e Kepos 2008 sono corposi ma setosi al tempo stesso, suadenti sicuramente. Riescono a convincere che la bontà e la perfezione esistono.Tra uno e l’altro la produzione di questi due Super Tuscans supera di poco le 100mila bottiglie.

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L’APERTURA di Roberta Martinelli

Al “Paröl” anche il menù è in dialetto A Lovere ha aperto un nuovo locale ancorato alla tradizione

E

rano due coppie di amici, ora sono i titolari del “Paröl osteria del gusto”, una trattoria nata da due mesi a Lovere che propone i piatti tradizionali del luogo preparati secondo le ricette di un tempo. Michela Albertinelli, Ilenia Mazza, Giampietro Censi e Diego Moioli hanno creato un locale originale con proposte semplici ma gustose. Un luogo autentico che punta sui piatti della tradizione, anche quelli più poveri, come il latte e castagne e la trippa, di norma snobbati dai ristoranti. Tutto in questo locale riporta al passato: dal nome del ristorante (il paröl è il termine con cui in queste zone viene indicato il paiolo dove si cuoce la polenta, un piatto onnipresente in carta) agli arredi in arte povera, alle voci del menù. Le pietanze sono infatti proposte con il loro nome locale, in un dialetto che è a metà tra il bergamasco e il bresciano giacché la zona qui è di frontiera (ma per chi non è del posto o per chi lo è ma non è avvezzo alla parlata, sul retro della carta c’è la traduzione in italiano). «Creare questa trattoria era il sogno di Diego - racconta Giampietro, contitolare con la compagna Ilenia del ristorante-pub Barracuda a Costa Volpino -. Ne abbiamo parlato insieme e il progetto piano piano ha preso forma. Ci piaceva l’idea di recuperare i piatti della tradizione, di valorizzare il pesce del lago e recuperare le ricette di una volta presentandole in una versione nuova e fresca, così è nato il Paröl». Ilenia, Michela, Diego e Giampietro hanno attinto alle

ricette della mamma di Giampietro, Carmen, e le hanno messe in carta. Si comincia dagli antipasti con gli “assaggi di lago” serviti su bocconcini di polenta e i taglieri con formaggi e salumi della zona che vengono preparati davanti ai clienti in un caratteristico banco salumeria. Quindi si prosegue con i casoncelli “loveresi”, i risotti al bagoss, ai funghi porcini, al pesce persico; le tagliatelle fatte in casa ai funghi, al salmì di capriolo, al sapore di lago; la pasta “Il mostro” (che prende il nome dalla società che gestisce il ristorante) a base di tagliatelle e pesce di lago preparata per due persone e servita nel padellone della paella; e ancora la trippa, il minestrone di verdura, la minestra d’orzo. Tra i secondi spiccano il capù, il coniglio con la polenta, il pollo al paröl con i funghi, lo stufato, il brasato, il carrè di costine al forno, le costine con le verza, le oë fritte, il pesce persico, il fritto di lago, le sardine sott’olio, il baccalà, il salmerino. E come dolci il salame al cioccolato, il tiramisù, la crostata di marmellata, le panne cotte preparate con salse diverse e torte di mele e di frutta che variano ogni giorno. Tutti fatti in casa. Buona la lista dei vini, per un totale di circa cento proposte. Il locale, interamente ristrutturato, si trova di fronte a piazza Marconi, quasi sul confine con Costa Volpino. Può ospitare circa 70 coperti ed è formato da due sale comunicanti con il grande e scenografico bancone salumeria con i prosciutti, un vecchissimo paiolo appeso al soffitto in legno e le bottiglie a vista.

PARÖL - OSTERIA DEL GUSTO vicolo Caserma 4 - Lovere - chiuso il lunedì sera e il sabato a pranzo tel. 035 960818 30 Affari di Gola dicembre 2010


Natale del Cuoco con sfida gastronomica I vincitori dei concorsi dedicati alla memoria di Fiorenzo Baroni e Alfredo Sonzogni, per professionisti e scuole alberghiere

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cambio di auguri con gara gastronomica al Natale del Cuoco, organizzato dall’Associazione Cuochi Bergamaschi al Settecento Hotel di Presezzo. Il tradizionale momento conviviale si è infatti arricchito dei concorsi interprovinciali dedicati alla memoria del cavalier Fiorenzo Baroni, per professionisti, e ad Alfredo Sonzogni, rivolto agli allievi delle scuole alberghiere. “Colori e sapori d’autunno” il tema per entrambe le categorie, passate al vaglio della giuria composta da Ezio Gritti, Francesco Gotti, Fabrizio Camer, Daniel Facen e Fernando Bassi.Tra i professionisti il successo è andato a Giorgio Sarinelli, del ristorante “Parco dei Colli” di Ponteranica, che ha presentato “Lombatina di coniglio

con il suo fegato ed i suoi rognoncini nei colori dell’autunno” e si è aggiudicato la partecipazione a due lezioni all’Accademia del Gusto di Osio Sotto dedicate al pesce e alle composizione estive. Negli allievi ha vinto Angelita Bacelca, studentessa di origine ecuadoregna della scuola Abf di Bergamo, con il piatto “Gnocchi di polenta con ripieno profumato al cumino e cannella in fondo di manzo”, connubio tra sapori sudamericani e del territorio. Per lei e la sua classe una lezione sul pesce messa a disposizione da Orobica Pesca. L’incontro, oltre ai vertici della sezione provinciale dell’Associazione Cuochi, guidata da Raffaele Auriemma, ha visto la partecipazione dei rappresentanti nazionali e delle al-

tre province lombarde della Fic. A curare l’accoglienza la patronne del Settecento Alessandra Gotti, in cucina lo chef Antonio Cuomo e la sua brigata.

In alto: la vincitrice della categoria allievi, Angelita Bacelca. Qui sopra a destra Giorgio Sarinelli, primo premio tra i professionisti.

Le eccellenze bergamasche premiate a Golosaria I locali e i prodotti segnalati nella nuova edizione della Guida Critica Golosa alla Lombardia

N

uovi riconoscimenti per la ristorazione e l’agroalimentare orobici. La nona edizione della Guida Critica Golosa alla Lombardia firmata da Paolo Massobrio e Marco Gatti ha attestato come eccellenze sette locali della nostra provincia. Si tratta di “All’Antica Osteria dei Camelì” di Ambivere, “Da Vittorio” di Brusaporto e “Frosio” di Almè a cui è stata assegnata la “corona radiosa”, ovvero l’attestato che indica la perfezione di tutti i piatti del menù provato, e dei ristoranti “L’Osteria di Via Solata” di Bergamo,“La Collina” di Almenno San Bartolomeo,“Al Vigneto” di Grumello del Monte e “Posta” di Sant’Omobono Imagna ai quali è andato il “faccino radioso” che corrisponde al massimo dei voti, ovvero un 10 e lode.Tra i ristoranti segnalati compare come nuova entrata il ristorante “Al Tram” di Sarnico,

Mauro Zucca

Tiziano Casillo

mentre si è aggiudicato il “titolo” di “Artigiano radioso” l’agriturismo “I Videtti” di Villongo. I riconoscimenti sono stati consegnati nell’ambito di Golosaria, la rassegna di cultura e gusto tenutasi lo scorso novembre a Milano. Insieme ai ristoranti, nella categoria “Le Panetterie” è stato premiato il Panificio Zucca di Casnigo, inventore della “Garibalda”, per “Le Pizzerie”, Planet Pizza di Treviolo, e tra i migliori cento del vino la cantina Biava di Scanzorosciate. «Continua l’affermazione della provincia di Bergamo, almeno dall’osservatorio della nostra guida – hanno detto Gatti e Massobrio -, con più di una novità. Una di queste è il pane Garibalda, che ha visto la luce quest’anno ed è stato una concreta risposta al non spreco, tanto dibattuto».

I ristoratori bergamaschi tra Marco Gatti e Paolo Massobrio


IL PREZZO FISSO di Fulvio Facci Riccardo Vicini, la moglie Silvana, la figlia Monica e la nipote Nicole

Videtti, due passioni in tavola Lui si occupa degli animali e della campagna, lei pensa ai fornelli. Quello della famiglia Vicini a Villongo è un agriturismo "storico", che quest’anno ha conquistato il riconoscimento di “Artigiano radioso”

«D

i certo non dobbiamo contare le ore che dedichiamo, io e la mia famiglia, all’attività ma abbiamo anche le nostre soddisfazioni». Così, in modo sintetico ed essenziale, Riccardo Vicini racconta la “filosofia” dell’agriturismo “I Videtti” di Villongo: un locale storico se lo guardiamo dall’angolazione della ristorazione agrituristica visto che l’attività ha avuto inizio nel 1987, in pratica agli albori di questa formula, che nel 1985 ha ricevuto il primo inquadramento normativo di carattere nazionale. «Ci sono gli animali da cortile e da stalla da seguire, la vigna, le verdure, le uova, tutta una serie di prodotti indispensabili che ci consentono di rispettare le regole del settore. E poi c’è la cucina, a quella pensa mia moglie, mentre in sala ci sono i figli». Riccardo Vicini e Silvana Valtulini in realtà sono arrivati all’attività agrituristica per la “via principale” della ristorazione, pur avendo nel Dna la

confidenza con il mondo agricolo, come era in uso nella zona. Una buona esperienza in un ristorantepizzeria a Chiuduno e poi la scelta di ritirarsi, si fa per dire, in campagna. «La vita in cucina in una struttura agrituristica è diversa rispetto a quella di un ristorante pizzeria – rilevano -. Non sono facili entrambe, ma nel ristorante ci si può sbizzarrire un po’ di più, inserire qualche proposta nuova comperando le materie prime. Qui invece ci dobbiamo arrangiare in buona parte con quello che produciamo, i piatti non consentono grandi varianti ma di una cosa siamo certi, che piacciono alla clientela». Nel segno della tradizione e delle regole ecco quindi come può essere composto il menù dei Videtti. Non può mancare il ricco antipasto della casa con salumi, cotechino, polenta, polpette, verdurine varie e spesso qualche fetta di formaggio alla piastra. Le foiade alla boscaiola sono senz’altro il primo piatto più

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LA PROVA Come ogni agriturismo che si rispetti, anche “I Videtti” non può essere in una posizione centrale per ovvie ragioni rappresentate dalla necessaria contiguità con gli aspetti produttivi. In particolare, la struttura è collocata in una strada secondaria rispetto ad un’altra che non può certo essere considerata un’arteria principale, la Villongo-Adrara. Non ci si passa per caso praticamente nemmeno a volerlo: i Videtti bisogna cercarli. Ma non sono la prima realtà della ristorazione che ha successo pur essendo defilata, solo ci vuole molto impegno per trovare e mantenere la clientela. Per quanto riguarda il menù a prezzo fisso di mezzogiorno questo aspetto viene anche amplificato. I clienti affezionati sono molti, ma la loro presenza è legata a cantieri, lavori di giardinaggio, energia elettrica o altro che interessano il territorio. Gli alti e bassi in termini di frequenza sono quindi inevitabili. La proposta, un menù che viene stampato tutti i giorni, è però ottima. Dieci euro per primo, secondo, abbondante e variato contorno a buffet, acqua, vino e caffè come ormai d’abitudine quasi ovunque. Foiade alla boscaiola, tagliatelle al ragù e risotto coi funghi le tre scelte per il primo piatto. Punta ripiena, bistecca di asino, salamelle alla griglia per il secondo, offerta completata sempre e comunque dal piatto di affettati o di formaggi anche alla griglia. Imperdibili le foiade e la punta per un buon rapporto qualità-prezzo.

AGRITURISMO I VIDETTI via Tasso Villongo tel. 035 928056 chiuso lunedì e martedì


gettonato e poi ci sono le crespelle, i casoncelli, il risotto coi funghi. Il pollame, gli arrosti, il coniglio, le grigliate miste e la specialità, lo stracotto d’asino, sono le seconde portate che si possono trovare con maggior frequenza. Il contorno più accattivante e coreografico sono le patatine fritte, che, in perfetto accordo con i canoni dell’agriturismo, non sono i classici bastoncini precotti e surgelati ma sottili rondelle (come quelle che si trovano nei sacchetti per intendersi) preparate al momento, golose già alla vista con il loro volume dorato. I dolci, soprattutto crostate di frutta, sono ovviamente fatti in casa. Il tutto può essere gustato anche nella sala con il camino o all’aperto d’estate. «Alleviamo pollame, equini, bovini e suini e questo è lo sforzo maggiore; produciamo il nostro vino e ce lo facciamo imbottigliare con la nostra etichetta, l’orto è grande – prosegue Riccardo Vicini -. Cerchiamo a modo nostro di dare una risposta più completa possibile alle aspettative dei nostri clienti e non possiamo certo lamentarci di come sono andate le cose in tutti questi anni. Siamo un agriturismo, abbiamo anche delle camere, non un ristorante alla moda, dobbiamo rispettare delle regole e siamo lieti di poterlo fare – conclude – unendo la mia passione per l’agricoltura e quella di mia moglie per la cucina». È vero, I Videtti non sono un ristorante alla moda ma recentemente sono stati accomunati ai ristoranti più blasonati della nostra provincia. La Guida critica golosa – Lombardia 2011 firmata da giornalisti Paolo Massobrio e Marco Gatti ha infatti assegnato all’agriturismo il riconoscimento “Artigiano radioso” nato con l’intento di premiare quagli artigiani alimentari che con la loro attività promuovono e divulgano la cultura di un territorio.

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“TRADIZIONE ANTICA QUALITA’ MODERNA” Si, lo confesso, mi piace mangiar bene! Non arrivo ai paradossi dei moderni “foodis”, per i quali il cibo è passione vera, autentica e per il quale sono disposti a tutto, o quasi. Sarà la moda tanto acclamata del cibo a kilometro zero, ma quanto sono in giro mi incuriosiscono le insegne che si incontrano e che pubblicizzano prodotti alimentari e vini, a maggior ragione se vicini alla nostra casa (se non altro che per comodità!), ma dietro tutto questo c’è anche un’esigenza di autenticità, delle cose buone di una volta e soprattutto di valori veri è per questo che ho conosciuto La Cascina S. Alessandro. E poi quando c’è di mezzo un mito gastronomico come il “salame” un prodotto goloso e godurioso non posso che fermarmi e verificare. Per i più che non hanno la fortuna di fare il salame in casa come una volta, c’è la possibilità di acquistare il salame di qualità, più delicato e digeribile perché con meno additivi e aromi, prodotti con carne italiana e insaccati in budello naturale legato a mano con lo spago, come vuole l’antica tradizione, dal sapore rustico ma delicato. Se avete voglia di territorio, di tradizione, di sapori veri e autentici… ora sapete dove andare. La Cascina S. Alessandro srl • S.S. ogliese Soncinese s.n. CALCINATE -BG Tel. 035.844994 - Fax. 035.4428710


L’Hotel Milano lancia il “Gratta Champagne” All’interno del Lounge Bar dell’Hotel Milano di Bratto della Presolana, lo scorso 4 dicembre è stata inaugurata la Champagnerie “Clos de Goisses”. Il progetto, frutto della collaborazione fra Fabio Iannotta, direttore dell’Hotel Milano, Pepi Mongiardino, proprietario della Moon Import di Genova, e la Maison Philipponnat, ha portato nel cuore delle Alpi orobiche il meglio della terra dello Champagne. La Champagnerie porta il nome del “Clos de Goisses”, fiore all’occhiello degli Champagne prodotti dalla Maison Philipponnat. In effetti, questo champagne è considerato dagli intenditori il numero uno degli Champagne. La Rivista del Vino di Francia in un dossier sui “Clos de Champagnes” l’ha definito “di grande personalità, senza eguali nella Champagne”. Ora per godere di questo nettare basterà salire in Val Seriana, a Bratto, dove la Champagnerie ogni pomeriggio offrirà diverse tipologie di champagne (da 8 euro a 18 euro a flûte), accompagnate da salumi al coltello e dal “Gratta Champagne”, un divertente gioco per vincere premi spumeggianti e non solo.

Al “Vita” c’è nuova vita La gestione rilevata da Paola Rizzati. Nel menù prevalenza al pesce C’è della nuova “vita” al Vita cafè restaurant di via Borgo Palazzo 103/c, a Bergamo. Il locale, inaugurato appena qualche anno fa, abbandona nella denominazione la parola “hosteria” e con la nuova gestione di Paola Rizzati cerca un nuovo rilancio (dopo le varie gestioni che nel breve periodo di vita ha avuto) offrendo una nuova proposta enogastronomica, ma mantenendo sostanzialmente invariata la struttura molto trendy ed elegante che lo caratterizza. “Quando mi hanno proposto di rilevare un ambiente importante e affascinate come questo, ho subito pensato che non mi potevo certo lasciar sfuggire la chance - dichiara entusiasta Paola anche se per me è la prima esperienza in questo settore. Credo che il mio entusiasmo e la mia voglia di trasmettere il piacere della socialità a tavola sarà apprezzato dalla clientela. Oggi non s’inventa più nulla. Ottimi piatti in un contesto gradevole al giusto prezzo, questa è la mia filosofia”. L’idea iniziale di riproporre la magica atmosfera del Delano Hotel di Miami in chiave bergamasca rimane. Infatti, sia la zona lounge che quella ristorante con le comode poltrone non viene modificata. Sarà la cucina a subire le variazioni maggiori con piatti prevalentemente a base di pesce. Il Vita offrirà sempre un servizio bar affidato al barman Stefano Spreafico. f.p.

Ferghettina tiene banco all’Enoteca Zanini Laura Gatti, patronne ed enologa della Ferghettina di Adro - azienda ffranciacortina che festeggerà i vent'anni nel 2011 - ha fatto tappa ven nei giorni scorsi all’Enoteca Zanini d di via Borgo Santa Caterina, a Bergamo, per una serata a base Be di bollicine. Per l’occasione, il locale ca guidato da Daniela e Nicola Zanini ha messo a punto un meZ nù n da abbinare alle varie annate proposte. Così “La nostra pizza p margherita” è stata affianca al m

brut satèn 2001 e 2006, “I 5 cereali al rosmarino” al brut 2006, “Il pollo di Bresse in fricassea” al brut rosè 2006 e “La toma di capra” all’extra brut 1999. Ferghettina gestisce attualmente 100 ettari di vigneto dislocati in 6 comuni della Franciacorta per meglio sfruttare le differenze dei vari terreni e trarne vantaggi in termini di qualità. Di questi, 65 sono impiantati a Chardonnay, 8 a Pinot nero e la restante parte con varietà a bacca

rossa (Cabernet Sauvignon, Merlot e in piccola parte Nebbiolo e Barbera). I vigneti hanno un’età compresa tra 1 e 25 anni (20 ettari, infatti, sono stati impiantati nelle ultime 2 primavere). Contestualmente è aumentata la gamma dei vini fermi e delle bollicine. La produzione annua è di circa 300.000 bottiglie divise tra 4 tipologie di Franciacorta Docg: Brut, Saten, Extra Brut e Rosè e 4 vini fermi, 2 Terre di Franciacorta Bianco, un rosso e un Igt Merlot.

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L’ANGOLO

DEL SINGLE di Marco Bergamaschi

Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina

Capita a tutti nella vita di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo mo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.

Una grattata di zucchina e la sogliola si esalta Ingredienti per 1 persona 2 filetti di sogliola (vanno bene quelli surgelati) 1 bicchiere di vino bianco secco la buccia grattugiata di 1 limone 1 ciuffetto di prezzemolo 2 cucchiai di farina 2 zucchine Olio e sale quanto basta Preparazione Pelate, lavate e grattugiate le zucchine. Passate nella farina le sogliole, infarinando entrambi i lati, mettete un filo d’olio in una padella antiaderente e rosolate leggermente i filetti, a fiamma bassa.Aggiungete il vino bianco e cuocete senza il coperchio. Quando il vino è evaporato quasi del tutto, condite con sale e la buccia del limone. Coprite la padella con un coperchio per circa due minuti, alzando un po’ la fiamma. Spegnete e mettete sul piatto le sogliole, cospargendole con il prezzemolo tritato. Servite il tutto con la grattugiata di zucchine e del pane di sesamo.

LA CURIOSITÀ La sogliola, commercializzata fresca e surgelata, è un pesce dall’alto valore nutrizionale; è ricca di proteine, vitamine A e B, sali minerali quali sodio, potassio, fosforo e selenio e contiene pochissimi grassi. È molto digeribile e la sua carne magra è consigliata in caso di cure dimagranti e come alimento indispensabile nella dieta dei bambini. Se si sceglie di acquistarla fresca, è possibile conservarla in frigorifero, coperta da una pellicola alimentare o chiusa in un sacchetto freezer, per 1 o 2 giorni al massimo.Altrimenti si può optare per la soluzione più comoda: la sogliola surgelata è ormai presente in tutti i supermercati e c’è solo l’imbarazzo della scelta tra marche più o meno conosciute. È quindi un pesce dalla mille risorse, sano, facile da cucinare e non costoso, che può essere preparato in tanti modi diversi anche dagli inesperti ai fornelli. La zucchina, invece, è una verdura che si è abituati a mangiare “cucinata”, ma in realtà è buona e salutare soprattutto da cruda. Ricchissima di acqua (circa 93 grammi su 100 di peso complessivo) e povera di amidi, contiene sodio, potassio, ferro, calcio, fosforo e manganese e preziose vitamine di tipo A, C, di tipo E (che

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aiutano a difenderci dai radicali liberi) e vitamine del gruppo B2, PP, A. È un ortaggio rinfrescante, che può essere consumato tutto l’anno e che ha un’azione altamente lassativa, antinfiammatoria, diuretica e disintossicante.Al momento dell’acquisto scegliete sempre zucchine ben sode, con buccia tesa e lucida e prive di ammaccature; meglio optare per quelle piccole, perché non contengono semi e sono quasi sempre più gustose. Per quanto riguarda la loro conservazione bisogna fare attenzione: sono infatti facilmente deperibili e non resistono per più di 3-4 giorni nel frigorifero (nella vaschetta delle verdure). Meglio quindi comprare la quantità giusta e andare una volta di più a fare la spesa. La zucchina è da sempre un alimento che si sposa con tutte le pietanze e, sebbene non possegga un sapore deciso, rende speciale tutti i piatti, anche quelli più semplici, non perdendo mai la sua gustosità. Non per nulla c’è un noto proverbio siciliano che recita “Sali metticcinni ‘na visazza, consala comu vuoi sempri cucuzza è!“, che pressappoco significa “sale mettine una bisaccia, ma comunque la condisci, è sempre zucchina!”. Buon appetito


A GRUMELLO

Slow Food mette in tavola il maiale

“S

ua maestà il maiale - Dal maiale intero al salame” è il tema della serata che la Condotta Slow Food di Bergamo ha organizzato per martedì 25 gennaio, alle 20, presso “Il Vino Buono” di Grumello del Monte. Saranno presenti il macellaio e il norcino con relativa attrezzatura e il maiale intero già macellato. Nel corso della serata saranno realizzati gli impasti per le salamelle e per i salami e spiegate le fasi di preparazione delle carni e della loro lavorazione. I prodotti saranno poi messi in libera vendita. Tra un passaggio e l'altro, Roberto ed Emanuela de “Il Vino Buono” serviranno il loro menù: come antipasto “Schisol”, salame, pancetta arrotolata, lardo, nervetti e coppa, e poi pasta con l’“impiomb” (impasto fresco del salame), stinco di maiale al forno con castagne e polenta del Garda. Infine strudel di mele renette della Val di Non. In accompagnamento Valcalepio Rosso Doc 2006 della Tenuta del Castello di Grumello. Sono disponibili 50 posti, il costo per Soci e Giovani è di 30 euro, 35 per gli aspiranti soci. Info e prenotazioni c/o il Fiduciario 348 2896002 - 035 257515 (ore serali).

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La lettera

I vini naturali e le fiere in contemporanea Da tempo sono abbonato ad Affari di Gola oltre che appassionato di vini naturali. Qualche riflessione sul trafiletto riguardante la fiera di Lambrate (apparso sul numero di novembre). Innanzitutto il titolo: perché se riguarda solo Lambrate può andar bene, ma se si riferisce a tutto il paese credo proprio che siate fuori strada; mai sentito parlare di “Vinnatur” la più importante manifestazione nazionale di vini naturali in quel di Piacenza? O di “vini di vignaioli” a Fornovo di Taro? oppure “Vinissage” ad Asti? e di tante altre fiere sparse per il paese. Ma la cosa che più irrita è che questa "fiera" si svolge nello stesso periodo e nella stessa città in cui si svolge “La terra trema” al Leoncavallo, manifestazione ormai rodata e apprezzata da anni sui vini naturali. Il movimento dei vini naturali è in continua crescita, ma incontra difficoltà notevoli, anche in mancanza di regolamentazioni legislative a livello nazionale e ancor più comunitario, e che ha bisogno di solidarietà fra produttori e addetti ai lavori e unità di intenti e propositi. La contemporaneità di due eventi trattanti lo stesso argomento non aiuta certo la crescita e la diffusione di una cultura enoica diversa da quella convenzionale praticata. Per non parlare del prezzo: con metà soldi a “Vinnatur” se ne possono fare a centinaia di degustazioni, senza alcun ricarico. Italo Locatelli

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Barman, creativi per professione Servono passione e alta formazione, ma la figura continua ad avere numerosi sbocchi sul mercato. I consigli dei big

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Bonalumi, i “cordiali salumi” GASTRONOMIE

Pasti al bar, scopriamo chi li prepara L’APPROFONDIMENTO

Donne chef, la difficile scalata alle “stelle” IL LOCALE

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