Affari di gola dicembre 2013

Page 1

9 771826 772006

30010

Supplemento al n. 45 de “La Rassegna” del 12 dicembre 2013 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60

dicembre 2013

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Ristorazione, dieci visioni per l’anno nuovo

Il bilancio, le prospettive e gli auguri degli chef stellati bergamaschi



DICEMBRE 2013 / GENNAIO 2014

SOMMARIO www.affaridigola.it

5

PENNA ALL’ARRABBIATA Tra ristoranti e vini, torna il nostro quaderno dei sogni

6

LA COPERTINA Gli chef stellati e l'anno che verrà

15 LA PROVOCAZIONE “Gli spumanti italiani? Sarebbero migliori col metodo Charmat”

18 L'INTERVISTA Marchesi: “Io, innamorato del taleggio”

20 IL RISTORANTE "Antica Osteria il Forno", la garanzia della tradizione

24 LA POLEMICA «Vino naturale? Un grande inganno per i consumatori»

28 FACECOOK “Casa Italia” parla bergamasco a Puerto Rico

32 LA NOVITÀ Palazzago, nella dimora storica si cena “in famiglia”

AI LETTORI: Affari di Gola ha cambiato sede. Il nuovo indirizzo è: via Giuseppe Mazzini, 24 - 24128 Bergamo

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini, 24 - 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 dicembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

3


docksnews dedicato a ristoranti, bar, Pizzerie e commercianti alimentari

tutto Quello che serve Per il tuo lavoro... É Qui!

Da 50 anni siamo al servizio dei professionisti

commerciali con impegno, attenzione, qualità, vasta scelta, grande convenienza e offerte tutto l’anno!

tutto Per la soddisfazione dei nostri clienti.

se ti Piacciono affari e vantaggi... fai subito la tua nuova tessera di ingresso! richiedila al box informazioni del nostro Punto vendita.

Per ottenere la tessera d’ingresso occorre: 4 L’iscrizione alla C.C.I.A.A. 4 Certificato attribuzione Partita IVA 4 Documento identità titolare

tel. 035.372702 dal lunedì al venerdì 7.00/19.30


Tra ristoranti e vini, torna il nostro quaderno dei sogni di Pier Carlo Capozzi

C

i siamo un’altra volta, amiche e amici golosi. Sta arrivando di nuovo Natale e me ne accorgo dai vostri profili che vanno pronunciandosi giorno dopo giorno, sotto i colpi devastanti di cene aziendali, di coscritti, revival a vario titolo, familiari, clandestine, opportunistiche. Siete sotto scacco del “Risotto con salsa di taleggio e tartufo nero”, della “Lombatina lardellata al forno con le sue patate arrosto al profumo di rosmarino”, del “Trancio reale di tonno con capperi e olive”, siete schiavi del terribile “Sorbetto al limone” che solitamente v’infliggono tra una portata e l’altra, non potete dire di no allo “Sformatino di mandorle con gelato al torrone” e, soprattutto, al tragico “Panettone alle due salse”, ultimo colpo proibito della serata al vostro già traballante metabolismo. E, nonostante le promesse di metà ottobre, puntualmente, tutti gli anni, ci ricaschiamo dentro. Inutilmente cerchiamo di porvi un freno non rispondendo più al telefono. Anzi, augurandoci che, dall’altro capo del filo, ci sia un rivenditore del Folletto o una simpatica signorina che ci propone nuovi piani tariffari di telefonia. Ma mai, dico mai, col pericolo d’imbattersi nell’amministratore che ha organizzato, per metà dicembre, una fantastica cena condominiale. Tranquilli, arriverà presto la Befana e, con lei, come tutti gli inizi di anno nuovo, anche il terrificante responso della bilancia. Nell’attesa, proviamo a buttar giù qualche richiesta. Sono passati tre anni (un lampo, un’eternità?) dal dicembre in cui proposi, in questa pagina, una specie di letterina a Babbo Natale con una sfilza di desideri annessi. È un’idea che ripropongo alla vostra attenzione, aggiornando naturalmente l’elenco, anche se è davvero sorprendente scoprire che alcune richieste sono sempre di grandissima attualità. Ecco il nostro quaderno dei sogni. Ci piacerebbe tanto vedere la luce in fondo al tunnel, con un po’ più di speranza per i giovani e per le famiglie. Ci piacerebbe che tornasse il sorriso più spesso, sulle bocche di chi accoglie e su quelle di chi è accolto. Ci piacerebbe che venisse dedicata, finalmente, una via o una piazza a Gino Veronelli, considerando che ha promosso Bergamo più lui di tanti enti preposti.

Ci piacerebbe che si smettesse di giudicare un ristorante sulla scorta di una sola visita, compromettendo a volte il lavoro di anni interi per il capriccio di un censore frettoloso quanto superbo. Ci piacerebbe che si trovasse una soluzione equa sul bisticcio tra ristoratori e sagre. Ci piacerebbe che i ristoratori la finissero di pugnalarsi alle spalle l’un l’altro. Ci piacerebbe che la prenotazione, in ogni giorno della settimana, diventasse una regola e non l’eccezione. Ci piacerebbe che sparissero, dai conti, finalmente, le voci coperto e servizio. Ci piacerebbe che nessuno considerasse un pericoloso ubriaco, dopo due bicchieri di vino, il mio amico che pesa un quintale. Ci piacerebbe tornare su a Pradovera, in ValNure, per uno strepitoso piatto di Tortelli con il sugo di funghi. Ci piacerebbe che venisse eliminata da qualsiasi testa l’equazione: pago, quindi pretendo. Ci piacerebbe, una volta seduti al tavolo, poter sempre consultare una lista, per pietanze e per vini. Ci piacerebbe non dover registrare un ricarico esagerato sulle bottiglie. Ci piacerebbe che la smettessero di inviarci in redazione comunicati stampa con la pretesa di vedersi pubblicata ogni tipo di notizia, non si capisce in base a quale criterio. Ci piacerebbe che il Valcalepio, nel giro di qualche anno, diventasse famoso, per merito, come il Franciacorta. Ci piacerebbe che il servizio al bicchiere non fosse una preziosa rarità. Ci piacerebbe che il profilo di “Affari di Gola” su Facebook toccasse quota 5.000. Ci piacerebbe riavere per un giorno zio Carlo e fare ancora il presepio insieme a lui. Ci sarebbe piaciuto essere su al Brennero a difendere i valori dei prodotti enogastronomici made in Italy. È Natale, nelle case e nelle strade, negli occhi e nel cuore di ognuno di noi. Non facciamo, anche stavolta, che duri solo un giorno. piercapozzi@libero.it

PENNA ALL’ARRABBIATA

dicembre 2013

5


LA COPERTINA di Laura Bernardi Locatelli

Ai dieci ristoratori bergamaschi "premiati" dalla guida Michelin abbiamo chiesto un bilancio dell'annata che si sta per concludere e di gettare un occhio al 2014. Ecco cosa ci hanno risposto

S

Gli chef stellati e l'anno che verrà arà un ritorno al passato in cucina. La navicella degli chef stellari vira verso semplicità e tradizione, terra e territorio, non senza la sperimentazione di nuove tecniche, tra avanguardia e scienza. Ognuno dà il suo personale contributo e mette la sua firma alla cucina del futuro, che va scritta, pagina dopo pagina, ora. Si cercano nuove formule per riportare ai tavoli dei ristoranti turisti e bergamaschi ed ottimizzare i costi di gestione sempre più elevati

senza intaccare la qualità. L’abbinata Bistrot- Alta ristorazione si rivela sempre più affiatata e vincente e non manca chi lima i prezzi per stimolare i consumi. È questo in estrema sintesi il bilancio tratto dai dieci chef stellati bergamaschi chiamati a tirare le somme di un anno difficile - ma migliore del 2012 - e a guardare all’anno che verrà e che prelude a Expo, con un occhio a sostenibilità, cultura e amore per il cibo.

Frosio (Almé)

PAOLO FROSIO: «LA PARTITA PIÙ DURA SI GIOCA SULLA GESTIONE DEI COSTI»

P

aolo Frosio, chef dell’omonimo ristorante alle porte di Bergamo, affiancato dal fratello Camillo in sala, vede nei prossimi anni un ritorno al passato: “Il futuro sarà sempre più all’insegna della tradizione e nella valorizzazione dei prodotti del territorio. La gente ha voglia di “tornare indietro” di riscoprire gusto e sapori per troppo tempo dimenticati. Non serve far arrivare prodotti dall’altra parte del mondo, bisogna valorizzare ciò che abbiamo”. Terra e tradizione battono sempre e comunque la globalizzazione: “Bisogna valorizzare e rivalutare la semplicità e il gusto di materie prime eccellenti anche se meno costose, come i tagli di carne meno pregiati che sanno dare vita a piatti eccezionali”. La partita più dura si gioca sulla gestione dei costi: “La

6

crisi ci deve portare a continuare a fare al meglio ciò che abbiamo sempre fatto fin qui, ma prestando un’attenzione particolare ai prezzi. Non è facile perché le spese di gestione crescono di continuo e non possiamo permetterci di abbassare nemmeno di un nonnulla la qualità. La strategia vincente è quella di cercare di limare i costi di gestione e i prezzi, con una scelta ancora più oculata di prodotti”. Se il 2013 ha retto comunque bene nonostante la crisi, l’augurio per il 2014 non può non essere all’insegna dell’ottimismo: “Speriamo che torni la voglia di uscire e di ritrovarsi e che l’anno prossimo porti una ventata di fiducia e positività. È importante come non mai pensare che tutto potrebbe migliorare e fare di tutto perché ciò accada”.

Paolo Frosio


dicembre 2013

Da Vittorio (Brusaporto)

CEREA: «ORA COME NON MAI RIEMERGE LA VOGLIA DI TRADIZIONE»

I

Chicco Cerea

l re degli chef Chicco Cerea, che ha fatto brillare con i fratelli Bobo, Francesco e Rossella e la mamma Bruna la terza stella Michelin nel Relais Da Vittorio alla Cantalupa, invita a gettare il cuore oltre l’ostacolo: “Quest’anno la ristorazione

bergamasca ha cercato di reagire alla crisi generalizzata, facendo sistema e lanciando iniziative promozionali di successo. I costi di gestione dei nostri locali sono sempre più elevati, ma noi dobbiamo correre più dell’aumento del 300% della Tares. Il futuro è senza dubbio quello di mostrare un’attenzione ai prezzi, mantenendo intatta la qualità”. Quanto alle tendenze, le certezze arrivano dalle origini: “La gente ha voglia di casa e tradizione. La crisi ci sta riavvicinando. Stare a tavola è l’unica cosa che ci fa ancora sentire una “famiglia” e riscoprire il piacere della convivialità. Ora come non mai dalla cucina sperimentale si vira alla semplicità, anche se ciò non significa non fare ricerca, anzi. Vuol dire, ad esempio, riscoprire e reinterpretare il polsetto di vitello, uno dei piatti più tipici ma anche dimenticati”. La passione non costa nulla ma regge tutto: “Per uscire dalla

crisi dobbiamo cercare di dedicarci ancora di più al nostro lavoro. Prima volavamo tutti troppo in alto, ora ogni giorno è una conquista. Bisogna studiare di nuovo e sudare, fare ricerca e fare del nostro meglio per accrescere la cultura, l’amore e il rispetto per il cibo. Non si possono forzare le coltivazioni e gli allevamenti e non possiamo avere sempre tutto e subito. Dobbiamo valorizzare la stagionalità e far riscoprire il gusto di certi tagli di carne e altri ingredienti”. La cucina è sotto i riflettori, ma ciò non vuol dire che si stia valorizzando nel migliore dei modi: “La cucina non è uno spettacolo, è amore per questo lavoro e sacrificio. Si sta perdendo il significato della nostra professione: l’80% dei ragazzi si iscrive alla scuola alberghiera per inseguire esempi falsati, da Masterchef a Hell’s Kitchen, ma senza una passione autentica non si va da nessuna parte”.

Osteria di Via Solata (Città Alta)

GRITTI: «LA QUALITÀ PAGHERÀ SEMPRE E L'EXPO SARÀ UNA GHIOTTA OPPORTUNITÀ»

I

l 2013 è l’anno che l’ha portato in capo al mondo sull’isola di Bali, a Seminyak, dove sta lanciando, in omaggio al locale con cui ha conquistato la stella Michelin, il “Solata Restaurant”. Ezio Gritti continua a gestire menù, forniture e quant’altro anche in Via Solata, in Città Alta, dove può contare su uno staff affiatatissimo da Nadia Capoferri, insostituibile supporto, agli chef Michele Sana e Alessandro Carestia. “L’anno è stato difficile, ma fortunatamente i gourmet ci sono ancora e, oltre a quelli di casa nostra, sono sempre più stranieri, specialmente dal Nord Europa - commenta dall’altra parte del globo -. La qualità paga, ha sempre pagato e pagherà in futuro, bisogna solo tenere duro. L’Expo è alle porte e le aspettative per questo grande evento sono altissime: con Orio che ha ormai sorpassato Linate, i confini con Milano si abbattono”. Nel frattempo Ezio Gritti promuove Bergamo e i nostri piatti nel paradiso indonesiano: “Bergamo è la mia patria e a Bali non rinuncio a preparare i casoncelli, la polenta - tempo per-

mettendo -, il foiolo e la testina. Promuovo la cucina che ho sempre fatto e che conosco, magari con qualche piccola variante. Invece dei fegatini di piccione impiego quelli di pollo, sostituisco il latte con quello di cocco e le castagne con il tamarindo”. Per scrivere il futuro della nostra cucina bisogna tornare alle origini: “Torneremo a mangiare cose sane e giuste. Il nuovo sarà riportare all’antico, tornare ai piatti veri, riprovare le sensazioni perse. La cucina continuerà ad evolversi e a migliorare ma in futuro ci sarà sempre meno spazio per la “falsa cucina” degli ultimi anni, con un’attenzione alla sostenibilità e alla tipicità. Dobbiamo smettere di non dare il giusto valore al cibo e riportarlo ad essere al centro della nostra cura e attenzione. Non sopporto, ad esempio, il gesto dell’avanzo: sono figlio di un fornaio e il pane per me è una cosa sacra che non va gettata”. Per il 2014 non mancano gli auguri estesi a tutti i colleghi: “Mi auguro che tutti i ragazzi che lavorano in cucina facciano questo lavoro divertendosi e riescano Ezio Gritti a trasmettere la loro passione con i loro piatti”.

7


LA COPERTINA

Ristorante San Martino (Treviglio)

COLLEONI: «È IL MOMENTO DI INVESTIRE RISORSE PER TENERE ALTI GLI STANDARD»

I

fratelli Colleoni, Paolo in sala, Marco affiancato da Vittorio in cucina, continuano a tenere alta la tradizione del San Martino di Treviglio, rinomato ristorante di pesce, e dello Smartino, il nuovo luogo dedicato al Bistrot per pranzi di altissimo livello ad un

Paolo Colleoni

piccolo prezzo per chi va sempre di corsa ma non vuole rinunciare al gusto. Il 2013 non è stato un anno semplice, ma la passione per il buon cibo non conosce crisi: “Si è chiuso un anno difficile, ma positivo. C’è una bella energia ed un rinnovato interesse per la ristorazione di qualità. Nonostante il terrorismo giornalistico, la gente ha voglia di provare nuove esperienze e la nostra ristorazione deve continuare a tenere alti gli standard e lavorare con coerenza e continuità. Il cibo, e tutto ciò che ruota attorno al

“food”, non è mai stato così oggetto di interesse se non quasi di moda. I clienti sono senza dubbio più preparati e ciò rappresenta un vantaggio anche per noi ed uno stimolo per migliorare ulteriormente”. È il momento di investire risorse ed energie: “I ristoranti gourmet devono rilanciare in questo momento e non indietreggiare. Non è il momento di fermarsi, ma semmai quello di cercare nuove strade”. La scelta di diversificare la proposta continua a rivelarsi vincente: “Noi abbiamo diviso la nostra offerta in

due, lo Smartino a mezzogiorno, un nuovo luogo dedicato al Bistrot per il pranzo, contraddistinto da una cucina di alta qualità, ma caratterizzata da tempi rapidi e costi contenuti, e la proposta serale, frutto di costante ricerca. Non mancano mai sperimentazioni di nuove tecniche e suggestioni e influssi da altre tradizioni, dall’Europa alle nuove frontiere della cucina”. Cosa chiedere e augurare al 2014? “La forza di andare avanti e non fermarsi mai e un po’ di sano ottimismo per tutti”.

La Brughiera (Villa d’Almè)

BENIGNI E ARRIGONI: «LA SCOMMESSA È VALORIZZARE LA SALA, VERA NOTA DOLENTE»

I

intravedere un’opportunità: “Ci stimola a fare meglio, a fare un l patron de La Brughiera, Stefano Arrigoni, e lo chef Paolo Beesame di coscienza in più al giorno”. Quanto alle tendenze, tranigni tirano le somme in chiaroscuro del 2013 e tracciano le dizione e leggerezza continueranno a portarci lontano: “Bisogna strategie che adotteranno in futuro: “Il 2013 è stato un anno miprestare attenzione al territorio, ma soprattutto alle nostre ricetgliore del 2012, ed è già un buon risultato. La crisi sta portando te italiane. Non mi schiero tra i sostenitori del chilometro zero e a riconoscere i ristoranti di qualità da quelli che vanno di moda dei paladini del territorio: sono valori importanti ma e basta o sono comunque sopravvalutati. Le difpongono anche dei limiti. Il mio privilegio va a qualità ficoltà non mancano e politici ed economisti non e freschezza e a prodotti italiani, anche se fanno il giaiutano. I nostri sforzi sono tutti dedicati a cercare ro dello stivale”. Per il futuro bisognerà ripartire dalla di limare ed abbassare i costi e a renderci protagosala, prestando maggiore attenzione al servizio e alla nisti di iniziative che possano incrementare le prespiegazione di ogni ricetta: “La sala fa molto: un gransenze e rinnovare la curiosità e l’interesse verso i de piatto che vale cento diminuisce il suo valore se nostri locali. È questo il momento di investire nuonon viene valorizzato da chi lo presenta e lo serve. In ve risorse nel nostro lavoro per cercare di uscire Italia credo sia questa la grande questione: il servizio dall’impasse e affrontare con uno slancio diverso non è sempre dei migliori. Fare crescere un ragazzo il futuro. È facile indietreggiare, ma è proprio quein sala ha costi altissimi e non esistono agevolazioni sto il momento per fare dei passi avanti e prestare StefanoArrigoni Arigoni di alcun tipo”. Stefano maggiore attenzione ai clienti”. Nella crisi bisogna

LoRo (Trescore Balneario)

LONGHI E ROCCHETTI: «AI CLIENTI DOBBIAMO OFFRIRE

P

oco più che trentenni, autentici “selfmade-men” senza santi in Paradiso, sono riusciti a creare a suon di sacrifici e professionalità un locale dalla doppia anima e dalla doppia sigla, LoRo, che in pochissimo tempo ha conquistato i palati più fini e le guide più prestigiose, a partire dalla prima splendente stella Michelin conquistata nel 2011. “LoRo” frutto dell’unione delle inizia-

8

li dei cognomi dei due soci Francesco Longhi e Antonio Rocchetti, continua a portare in alto la cucina a Trescore: “L’anno è stato buono ed ha portato il ristorante a trovare i giusti equilibri e a migliorare”. Tante le novità che bollono in pentola per il 2014: “In cucina stiamo rivisitando consistenze e tecniche, a partire dalla scelta della cottura a bassa temperatura per la preparazione dei

piatti della tradizione. Oggi come non mai i clienti cercano conferme e certezze, una cucina concreta che esalti i sapori e rispecchi le aspettative che ogni menù porta con sé”. La sfida è di rispondere alla richiesta di una cucina più leggera e di promuovere uno stile alimentare più corretto: “Da tempo non impieghiamo zuccheri complessi e abbiamo abbattuto l’impiego di latte in favore di


dicembre 2013

Ristorante A’Anteprima (Chiuduno)

Antica Osteria dei Camelì (Ambivere)

FACEN: «CONTINUO LA RICERCA E SPERO SI TORNI A CONDIVIDERE IL PIACERE PER IL CIBO»

N

on è certo tipo da piagnistei Daniel Facen, chef di A’ Anteprima, che nel suo “laboratorio” sta rivoluzionando tecniche di cottura e impiegando nuovi e sempre più sofisticati marchingegni per piegare le materie prime alla sua volontà, modificandone la struttura per esaltarne il gusto. “L’anno è andato oltre le previsioni che non erano certamente belle. Il periodo economico è difficile: tutti attendiamo il 2015, nella speranza che si muova qualcosa nel 2014 e che si torni ad una vita più normale e a riscoprire la convivialità”. E la crisi Facen la affronta a colpi di scienza e innovazione, facendo anche scuola e avanguardia attraverso l’impiego di sonicatore e bagno ad ultrasuoni, tecniche sperimentate giorno dopo giorno per cui è contattato da ogni dove: “La ricerca per me viene prima di tutto. Non sono gli anni giusti, ma non ci si può fermare. Spero di fare qualcosa di buono per le generazioni future. Ora come non mai sto investendo nel-

la ricerca, portando sempre più scienza in cucina. Tutti i giorni cerco di andare oltre tutto quello che conosco. Con l'aiuto del sonicatore, un marchingegno che ricorda un trapano, sono riuscito a far implodere le molecole. Il risultato è quello di una struttura splendida e stabile, che vista al microscopio sorprende. Il bagno ad ultrasuoni aumenta la qualità e il gusto della materia prima e ci sta dando ottimi riscontri, anche dall’estero”. L’augurio per il 2014 è di una ripresa che si è fatta fin troppo attendere: “Spero che si torni ad uscire e a condividere il piacere per il cibo in un’atmosfera di rinnovata convivialità".

Loredana Vescovi

VESCOVI E ROTA: «NON S' INVENTA NULLA, MA SI PUÒ ANCORA CREARE TANTO»

È

difficile parlare di crisi in un ristorante come l’Antica Osteria dei Camelì di Ambivere, forte di una tradizione che dura dalla metà dell’Ottocento. Gli eredi che hanno fatto grande questa tradizione, entrando nel Gotha dell’alta ristorazione, Camillo Rota in sala e la moglie Loredana Vescovi in cucina, sottolineano l’importanza di guardare oltre le difficoltà: “La nostra storia ci ha portato ad insistere sugli stessi valori e progetti che portiamo avanti da sempre. Il locale esiste dalla metà dell’Ottocento e siamo convinti che quando si fa qualcosa di ben fatto nel tempo non possa che migliorare, difficilmente peggiora. Il nostro è un albero cresciuto e curato e chi sta a fianco a noi lo nota e percepisce che è diverso. Le difficoltà quest’anno non sono mancate ma di questi tempi la cosa più importante è non abbandonare il nostro progetto e fare in modo che il vento della crisi sia un’opportunità per fare attaccare ancora di più il nostro albero. Siamo contenti di poter fare ancora qualità e siamo consapevoli che se avessimo cambiato il passo non ce l’avremmo fatta. Non si inventa niente, ma si può ancora creare tanto”. La crisi non favorisce l’ascesa dell’alta cucina: “La recessione purtroppo non porta a mangiare meglio, ma peggio. Manca ancora una vera e propria svolta culturale, la stessa che porta i francesi a concedersi una grande cena in un grande ristorante almeno una volta l’anno”. Sta anche ai ristoratori la sfida di contribuire ad accrescere la cultura, a comunicare il valore dell’alta cucina: “Senza dubbio la sfida futura per la ristorazione è quella di uscire un po’ più dalle cucine e investire maggiori risorse per comunicare il lavoro che sta dietro ogni singolo piatto e contribuire così a fare cultura. Un’altra tendenza sarà senza dubbio quella di alleggerire la cucina senza rinunciare al gusto. Il tempo fa muovere ed evolvere la nostra cucina, riprovare piatti e aggiustare ricette, nel rispetto della materia prima, che deve essere di qualità e di stagione”.

Daniel Facen

SEMPRE PIÙ CONFERME E CERTEZZE latte di riso e mandorla. Il nostro impegno è quello di mantenere ed esaltare il gusto cercando di aumentare la leggerezza di ogni piatto grazie alle più evolute tecniche di cucina”. La scelta di dividere la proposta tra bistrot e ristorante à la carte continua a rivelarsi vincente e non manca un progetto innovativo e a tutta salute per l’anno prossimo: “Nel nostro bistrot dai primi mesi dell’anno sarà possibile scegliere un percorso del gusto studiato in ogni mi-

nimo dettaglio grazie alla preziosa consulenza di un naturopata. Il progetto è frutto di uno studio portato avanti da mesi e che ora vogliamo proporre ai nostri clienti per offrire loro una nuova opzione ”. Al 2014 Longhi e Rocchetti chiedono solo di “continuare a tenere alta la qualità del loro locale e di coltivare ricerca e passione per il loro lavoro". Non manca un pensiero rivolto a tutta la ristorazione bergamasca: “L’augurio è di ritrovare finalmente la serenità”. Antonio Rocchetti

9


L’EVENTO LA COPERTINA

Roof Garden (Bergamo)

SEMPERBONI: «IL RIAVVICINAMENTO A UNA CUCINA PIÙ POVERA FA TENDENZA»

I

l 2013 ha portato la conferma della stella Michelin al Roof Garden con lo chef Gianpietro Semperboni a dirigere un’affiatata brigata nel ristorante dalla vista mozzafiato su Città Alta: “La riconferma della stella conquistata qui da Fabrizio Ferrari non era un fatto scontato ed è stata senza dubbio una notizia che ci ha riempito di gioia e che ci stimola a continuare a migliorare e tenere in alto la nostra cucina. L’augurio per l’an-

no che verrà è senza dubbio quello di veder confermato il nostro impegno quotidiano nel portare avanti una cucina di qualità”. La sfida sta nella semplicità: “La tradizione fa tendenza e si ricercano prodotti del territorio, dalle nostre farine ai formaggi, agli scarpinocc di Parre che non mancano mai in carta con la ricetta rivisitata di mia nonna - spiega lo chef originario di Valbondione -. Senza dubbio vi è una riscoperta della tradi-

zione e un riavvicinamento ad una cucina più povera, legata al territorio, dalla pianura alle nostre Valli. In questa direzione va la selezione effettuata da me personalmente di prodotti tipici, dal tartufo nero allo strachitunt, ai formaggi di alpeggio, al burro di malga, alla scarola dei nostri colli. A richiedere piatti tipici non sono solo i turisti ma anche i bergamaschi”. Semperboni ha puntato sin dall’inizio all’utilizzo di prodotti bio e a chi-

Gianpietro Semperboni

lometro zero, una scelta che continuerà in futuro. L’augurio per il 2014 abbraccia l’intero comparto: “La speranza è che possiamo lasciarci alle spalle questa crisi e questo momento difficile. Personalmente non posso che augurarmi di continuare ad avere lo stesso clima di collaborazione e confronto con il resto della brigata, che ci ha portato finora a valutare ogni singola idea e a lavorare insieme per realizzarla”.

Al Vigneto (Grumello del Monte)

SIRAGUSA: «CON LA CRISI, IL SERVIZIO HA CONQUISTATO ANCOR PIÙ VALORE»

A

l Vigneto di Grumello del Monte, il 2013 ha portato a scelte difficili che si stanno rivelando vincenti. Il ristorante ha portato tra i filari delle vigne di Cabernet e Merlot una cucina mediterranea e di mare, insignita dal 2010 della Stella Michelin. Lo chef-patron Vito Siragusa ha investito tempo ed energie nella gestione del locale: “La crisi impone delle scelte e il nostro impegno di ribassare i prezzi del 10% ci ha portato a crescere quest’anno di un 20% rispetto al 2012. I nostri sforzi di mantenere un’altissima qualità con un ottimo rapporto qualità/prezzo ci porta a proporre un menù degustazione a 48 euro.

10

Il ristorante è in continua evoluzione, dalle tecniche alle ricette, ma i punti fermi sono sempre gli stessi, dalla scelta di materie prime eccellenti e di stagione e di prodotti di nicchia dal buon rapporto qualità/prezzo. Abbiamo la fortuna di poter contare su arrivi continui dei migliori prodotti del mare dalla Sicilia, da Mazara del Vallo, che ci consentono di dedicare grande attenzione al pesce crudo e alle ricette della tradizione, opportunamente rivisitate". L’attenzione al cliente è ancora più alta: “Il servizio è fondamentale, ma con la crisi conta ancora di più - ribadisce Siragusa -. Il cliente va coccolato ed ha piacere di ve-

Vito Siragusa

dersi servire qualche assaggio in più e consegnare dei piccoli omaggi. Tra i cadeau più graditi le bottiglie di Valcalepio Colle dell’Aia di nostra produzione”. Al 2014 Vito Siragusa chiede di continuare sulla strada tracciata e far diventare ancora più grande il suo locale: “Vogliamo continuare a fare crescere il nostro ristorante. La speranza e l’augurio che condivido ed estendo a tutti i colleghi è che si torni a riscoprire il piacere per la cucina di qualità”.


dicembre 2013

LAITINERARI LETTERA

Enrico Rota

E

gregio direttore, per il Consorzio Tutela Valcalepio è stato un anno di nuovo molto intenso, ricco di eventi e di attività che hanno sostenuto la promozione e la tutela del vino bergamasco e delle sue aziende. Sono sempre più convinto che un Consorzio ha senso solo quando riesce ad offrire determinati servizi alla sua comunità; servizi che molti possono immaginare di offrire, ma che in breve tempo deludono in quanto progettati senza cognizione di causa. Mi avvalgo della sua ospitalità per evidenziare due di queste particolari attività che abbiamo promosso durante il 2013: l’internalizzazione delle aziende riunite sotto l’effige del Colleoni e la valorizzazione della viticoltura bergamasca non solo a livello provinciale. Quest’anno siamo riusciti a trasmettere ai produttori bergamaschi il concetto che per vendere all’estero serve una squadra, una forte squadra. Questa deve essere condotta da gente di mestiere, che ha la giusta esperienza per affrontare il mercato mondiale e ricerca e promuove alleanze. Alleanze istituzionali e operative come quelle con la Camera di Commercio, la Regione, la Provincia, Turismo Bergamo o gli altri consorzi. A fianco della Vignaioli Bergamaschi, abbiamo iniziato un percorso lungimirante: abbiamo pensato, voluto ed organizzato degli incontri che hanno portato sul nostro territorio diversi buyer provenienti da 6 nazioni europee: Polonia, Danimarca, Repubblica Ceca, Lituania, Belgio e Germania. A cavallo di questo, abbiamo attivato in modo collegiale la nostra presenza a fiere internazionali come quella di Interwine a Canton (Cina) o partecipato ad attività come quella appena conclusa a New York, organizzate in modo efficiente da Turismo Bergamo, sempre e solo per promuovere Bergamo e i suoi vini. Sul fronte della valorizzazione, abbiamo per l’ennesima volta sostenuto la costituzione della Igp Lombardia, che sicuramente eleverà l’immagine dei vini bergamaschi e lombardi, favorendo le esporta-

Valcalepio, ecco perché il Consorzio è sempre in prima fila

zioni e permettendoci di approdare a Expo 2015 con un’unica denominazione regionale. Tra gli obiettivi, anche quello di portare il concorso enologico Emozioni dal Mondo, uno dei cinque concorsi internazionali che l’Italia ospita e da noi organizzato, a Milano nel 2015 utilizzando il palco internazionale dell’Esposizione universale. Un anno fa avevo definito come una rivoluzione silenziosa quanto stavamo facendo. Oggi questa rivoluzione tutto è meno che silenziosa. Sempre un anno fa mi chiedevo il motivo per cui alcuni giornalisti volessero arrogarsi il diritto di valutare il lavoro altrui sempre in modo sterile e fazioso. La risposta, in parte, è arrivata dai diretti interessati che, per timore di essere ignorati (ne hanno ben ragione visto il seguito davvero esiguo), hanno pensato di metterci a conoscenza del loro pensiero tramite un’e-mail. Questi presunti guru dell’informazione soffrono di un’ignoranza che non vogliono colmare. Non parliamo poi di alcuni “profeti” enogastronomici locali che, mettendo in evidenza solo alcune aziende, cercano di soddisfare solo i loro personali interessi economici. Come se non bastasse, hanno poi la presunzione e l’arroganza di voler generare la linea guida di tutto un comparto economico come il nostro, decretando, per esempio, l’inopportunità di essere presenti a una delle più importanti rassegne enologiche mondiali come il Vinitaly. Non so quando questi signori riusciranno a capire che fama e denaro non sono gli unici obbiettivi da rincorrere; quello che so è che non prendiamo lezioni di vita da nessuno, men che meno da chi non vuole il bene della comunità in cui anche loro vivono e lavorano. Non mi rimane che ringraziarla per l’ospitalità e per quanto lei continua a fare nell’informare il pubblico sulle nostre molteplici attività. Grazie. Enrico Rota presidente del Consorzio Tutela Valcalepio

11


LA RICERCA di Leonardo Bloch

Una monografia del 1878 di Antonio Tiraboschi ci ragguaglia sugli usi dei bergamaschi. L’eccezionalità della ricorrenza era sottolineata nelle famiglie più agiate da ricercate preparazioni ispirate alla cucina borghese d’Oltralpe: galantine ed aspic, pasticci in crosta e paté. Posto d’onore per gli arrosti di tacchino e di cappone, anguilla regina del cenone

Natale, quante leccornie sulle tavole dei nostri antenati!

S

eppur detentrice di un incontrastato primato di popolarità, la festività del santo Natale non è certo provvista di un’inappuntabile patente di ortodossia. Tra le numerose ricorrenze di cui difatti il giorno del 25 dicembre è crocevia – per lo più legate alle celebrazioni politeistiche del solstizio d’inverno – assai curiosamente

stiana. Il filologo ottocentesco Gabriele Rosa, nel suo Dialetti, costumi e tradizioni nelle province di Bergamo e di Brescia, riporta la vigenza dell’ancestrale uso celtico di ardere nel camino un imponente ceppo augurale, la cui dizione dialettale di soch è di diretta derivazione dalla radice sassone stock (tronco).

a riguardosa distanza dalle stalle - e che prima dell’alba tornassero a rendere visita alla casa anche i familiari trapassati, a beneficio dei quali la tavola del cenone della vigilia veniva lasciata imbandita di tutto punto. In conformità a questa impostazione in qualche modo eterodossa, la tradizione

A Natale arrivavano in tavola anche aspic e mostarde, mentre tra i primi potevano comparire minestre di verdure o agnoli in brodo. Il posto d’onore tra le portate spettava agli arrosti di tacchino e di cappone, senza dimenticare la ripoposizione dell’anguilla, piatto forte del cenone

non ricade proprio quella evangelica del genetliaco di Gesù, la cui data è storicamente da collocarsi tra le calende di gennaio e le none di aprile. Non deve dunque stupire che, ancora poco più di un secolo fa, alcuni strappi di ispirazione quasi sciamanica ed animista occhieggiassero tra i rituali popolari natalizi di più stretta osservanza cri-

12

Gelosamente custoditi, i carboni della combustione venivano successivamente utilizzati in Val San Martino come talismano contro la grandine, e con essi nella piana si tracciavano segni cabalistici sui palchi delle bigattiere per proteggerne i bachi. Era inoltre credenza che nella notte della Natività gli animali si mettessero a parlare - ragion per cui ci si teneva

gastronomica del Natale non si è profondamente intrisa del simbolismo biblico che pervade invece il cibo ritualmente servito in altre importanti ricorrenze religiose – valga su tutti il caso dell’agnello pasquale. Pare anzi essersi tramandato lo spirito pagano delle celebrazioni per la nascita del sole, la cui fecondità anticamente era celebrata con luculliane


dicembre 2013

abbuffate, tant’è vero che - come riferisce la contessa Giuseppina Perusini in Mangiare e bere friulano - a Gemona l’ecclesiale precetto della veglia in magro era disatteso addirittura con delle irriverenti scorpacciate di trippa. A tali estremi di eccentricità non si spingevano i nostri antenati bergamaschi, i cui più misurati usi natalizi – inclusi quelli culinari – sono censiti in una monografia del 1878 del cronista Antonio Tiraboschi. Questi ci rassicura circa la tassatività dell’astensione dalle carni della vigilia, dal cui convivio notturno non poteva comunque mancare, almeno presso i focolari più abbienti, l’opulenza dell’anguilla. Silvia Tropea Montagnosi, curatrice del prezioso Dizionario Enciclopedico della Cucina Bergamasca, completa l’elenco delle vivande che allietavano il senù dei nostri progenitori con la citazione di sottoli e sottaceti, pesce in salagione e qualche raviolo di magro – il pensiero corre dritto agli scarpinòcc. Di assai più elaborato impianto era il pranzo del giorno della Natività: il Tiraboschi rievoca un florilegio di leccornie – zampetti e prosciutti, salsicciotti e cotechini, mostarde e torroni – la cui provenienza dagli scaffali delle botteghe, infrangendo i rigidi ricircoli familiari dell’economia dell’autoconsumo, aveva il significato di sottolineare l’eccezionalità della ricorrenza. Se alle mense dei meno facoltosi gli antipasti si contenevano a qualche rustica fetta di salame con il frugale contorno di una giardiniera di verdure, sulle tavole più agiate era un rincorrersi di assai più ricercate preparazioni ispirate alla cucina borghese d’Oltralpe: galantine ed aspic, pasticci in crosta e paté. Singolarmente scarne le indicazioni circa i primi piatti, in apparente ossequio alle convenzioni francesi che, nelle occasioni più formali, affidano ad un essenziale potage il compito di interporsi tra hors d’oeuvre ed entrée: la Tropea Montagnosi annota minestra di verdure e, per chi se li poteva permettere, agnoli in brodo. Altri memoriali annoverano anche quel risotto allo zafferano che, accomodato nel piatto, provvede una subliminale raffigurazione del disco solare la quale ben si intona alla celebrazione del solstizio d’inverno. Il posto d’onore tra le portate del banchetto spettava di diritto agli arrosti di tacchino e di cappone, il cui servizio era nondimeno preambolo alla riproposizione dell’anguilla – veridica quanto ormai negletta icona della tradizione gastronomica natalizia delle nostre terre. Di secolare rinomanza è in particolare quella del lago di Iseo, nelle cui acque al largo di Sarnico albergano le vestigia di una pescaia di origini addirittura proto-medievali. È ancora il Tiraboschi a ragguagliarci sulle antiche modalità di preparazione del succulento teleosteo: rapidamente scottate, le bissète venivano affogate in una marinata a base di aceto di vino e sale. A ben vedere, codesto intruglio non è affatto dissimile dallo scapece in cui, una volta fritto, sarebbe dovuto macerare il partenopeo capitone di casa Cupiello - non fosse questi improvvidamente sgusciato sotto il focolare. Autentico portento gastronomico della Natività, v’è stato dunque un tempo in cui, per qualche istante l’anno, il Sentierone faceva chimerico angolo con il Rione Sanità.

tra Storia e Tradizione Aperta da luglio la “Locanda dei Nobili Viaggiatori” a Malpaga è meta di turisti e visitatori anche stranieri. Il locale, raffinato ed accogliente, è gestito con cura da Alice Ferrari e propone una cucina tradizionale rivisitata in chiave moderna. Dispone inoltre di 5 camere accoglienti. Si possono gustare ottimi casunsei, ravioli ripieni di quaglia, foiade al cinghiale, zuppe, trippa, polpo croccante con guanciale di sauris su crema di patate, coniglio ripieno ai mirtilli, foie gras con pan brioche e le confetture fatte in casa, gelato di nostra produzione ed il caffè della torrefazione giamaica. Vengono selezionati salumi e formaggi come il blu di bufala, lo yogurt di bufala per le colazioni e i biscotti vengono cotti direttamente caldi al mattino dagli chef. Il progetto prevede anche la coltivazione diretta nel borgo dei prodotti ortofrutticoli stagionali dalla prossima stagione. Il tutto in un ambiente accogliente, giovane, originale con vista sulla corte rurale e sul castello medievale di Malpaga.

13


ALIMENTARI MORETTI Qualità e convenienza per mense e ristoranti Consegne rapide e personalizzate. Prodotti freschi, surgelati e biologici, dall’antipasto al dessert SEDE DI CURNO (BERGAMO) Via Bergamo 46 - 24035 Curno (BG) Tel. 035/462861 Fax 035/461151 - 035/618627 infobergamo@alimentarimoretti.it FILIALE DI CILIVERGHE DI MAZZANO (BRESCIA) Via Padana Superiore 86-88 25080 Ciliverghe di Mazzano (BS) Tel. 030/2620217 - 030/2620820 Fax 030/2120215 infobrescia@alimentarimoretti.it

Buon Natale www.alimentarimoretti.it


dicembre 2013

LA PROVOCAZIONE di Giordana Talamona

Attilio Scienza, professore di viticoltura dell’Università di Milano è categorico: “Così possiamo valorizzare e preservare gli elementi fruttati e aromatici dei nostri vitigni autoctoni e uscire dallo stereotipo dello Champagne” Attilio Scienza

“Gli spumanti italiani? Sarebbero migliori col metodo Charmat”

N

on hanno lasciato certo indifferenti le sue parole, almeno a sentire il brusio che si è levato dalla platea. Attilio Scienza, noto professore di Viticoltura dell’Università di Milano, si è espresso in termini perentori sul futuro della spumantistica del Bel Paese. “Per valorizzare le caratteristiche dei vitigni italiani bisogna puntare sul metodo Charmat, abbandonando quello da rifermentazione in bottiglia”. La bomba mediatica è stata lanciata durante il Durello&Friends, la tre giorni che si è tenuta a Soave tra il 22 e 24 novembre. “Non solo il metodo Charmat è più indicato per valorizzare e preservare gli elementi fruttati e aromatici di nostri vitigni autoctoni, ma ci permette di uscire dallo stereotipo dello Champagne. È venuto il momento di finirla coi paragoni per trovare la nostra vera identità, perché il continuo richiamo allo Champagne rappresenta un errore mediatico che sminuisce gli spumanti

italiani. La grande ricchezza dei vitigni italici adatti per la spumantizzazione con metodo Charmat, al contrario, rappresenta una potenzialità preziosa sulla quale puntare”. Un’Italia delle piccole patrie, nella visione futuribile di Scienza, dove ogni zona produca spumanti metodo Charmat capaci di rappresentare l’identità del proprio territorio. Asprinio, Arneis, Bombino, Cortese, Erbaluce, Nerello, Nuragus, Ortrugo, Passerina, Coccocciola, Durello, Priè Blanc, Ribolla, Lambruschi, Verdicchio, Pecorino, Vermentino e Glera, questi sono solo alcuni dei vitigni vocati per la spumantizzazione. Ma per operare questo radicale cambio di tendenza, bisogna necessariamente passare attraverso la comunicazione. “Per convincere il consumatore occorre fare leva sui suoi riflessi condizionati, richiamando alla mente parole, simboli e azioni chiave. Tra le numerose sinestesie su cui puntare c’è la grande ricchezza dei vitigni ita-

lici legata al cambio climatico che ne sta valorizzando le potenzialità”. I vitigni autoctoni italiani hanno buona acidità anche nelle regioni del sud, Ph basso e un buon contenuto di antiossidanti naturali che consentono di ridurre le dosi di solforosa, oltre a un ricco patrimonio aromatico ben accetto dal consumatore moderno. Inoltre la grande varietà pedoclimatica dei territori consente di adattare le caratteristiche della materia prima alle esigenze tecnologiche della spumantizzazione, senza correzioni o additivi. “Il consumatore moderno non vuole bere sempre gli stessi spumanti. Al contrario vuole scoprire, imparare, ed essere protagonista nella scelta. Per questo se vogliamo che l’Italia trovi la propria identità, occorre pensare a un progetto di valorizzazione del patrimonio ampelografico che possa puntare ai successi dei Lambruschi e del Prosecco”. Il dibattito rimane aperto.

15


LA PROMOZIONE Formula immutata con menù completi, comprensivi di bevande, al prezzo di 99 euro per due persone

foto Ciak Sposi, Almè I 15 ristoratori di InGruppo

I

16

Dal 15 gennaio torna la promozione di InGruppo nGruppo fa il bis. Dal prossimo 15 gennaio, il sodalizio costituto da quindici prime firme della ristorazione locale ritorna con la promozione che tanto successo ha riscosso tra i buongustai. La formula, ormai rodata, resta la medesima e prevede la possibilità di consumare menù completi (antipasto, primo, secondo, dolce) comprensivi di vino, bevande e caffè, al prezzo prestabilito di 99 euro per due persone. Unica eccezione, il ristorante Da Vittorio, dove il costo di 99 euro è a persona. La promozione è valida a pranzo o cena nei giorni di apertura del locale - esclusi San Valentino, Pasqua e il lunedì Dell’Angelo - e la prenotazione deve essere effettuata specificando espressamente che si intende prenotare il menù “InGruppo”. Le proposte verranno aggiornate periodicamente sul sito www.ingruppo.bg.it. L'alleanza tra i 15 ristoratori ha mosso i primi passi in risposta al fenomeno delle promozioni a base di coupon, che ormai affollano il web, ma anche per andare incontro a una larga fascia di clientela alle prese con la progressiva riduzio-

ne del potere d'acquisto. Non solo: grazie alla convenienza economica, l'obiettivo è anche quello di attrarre nuovi clienti, pronti a cogliere l'opportunità di provare una tavola di alto livello a un prezzo abbordabile. C'è poi spazio anche per la solidarietà. Prova ne è stata la riuscita festa di beneficenza organizzata lo scorso 2 dicembre in favore dell' associazione “Un Porto per Noi”, onlus che si prodiga nella prevenzione e nella cura dei disturbi d’ansia e depressione. Oltre 500 le persone che hanno affollato il grande corridoio centrale della Fiera di Bergamo, dove gli chef hanno dato vita ad un suggestivo show-cooking. I ristoranti di “InGruppo” sono: Frosio (Almè); Collina (Almenno San Bartolomeo); Camelì (Ambivere); Colleoni dell’Angelo (Città Alta); Lio Pellegrini (Bergamo); Roof Garden (Bergamo); Da Vittorio (Brusaporto); Saraceno (Cavernago); Anteprima (Chiuduno); Al Vigneto (Grumello del Monte); La Caprese (Mozzo); Posta (Sant’Omobono); Rustico Villa Patrizia (Sorisole); LoRo (Trescore Balneario); Brughiera (Villa d’Almè).


dicembre 2013

Corsi

SAN VALENTINO, ROMANTICHE PRALINE FAI DA TE L’Accademia del Gusto di Osio Sotto va in soccorso degli innamorati alla ricerca di un pensiero speciale per la festa di San Valentino con un corso che insegna come realizzare da sé romantiche praline di cioccolato. Basta una serata (lunedì 20 gennaio, dalle 20 alle 23) per apprendere le basi della lavorazione in casa e portare a termine un progetto bello da vedere e buono da mangiare. In pratica è un doppio regalo, a se stessi, visto che si impara qualcosa di nuovo, e alla “dolce” metà! Docente è Luca Musitelli. Per i professionisti, la scuola di cucina dell’Ascom propone invece due incontri (lunedì 20 e 27 gennaio dalle 15 alle 18) per approfondire il punto di vista dell’alta ristorazione sulla gestione del catering: dalla costruzione del preventivo all’erogazione del servizio, passando attraverso le tecniche di gestione e condivisione con il cliente, senza dimenticare il gusto e il senso estetico che valorizzano la proposta. In cattedra c’è Laura Casa, per il ristorante Da Vittorio. L’Accademia del Gusto è a Osio Sotto in piazzetta Don Gandossi 1. Info: www.ascomformazione.it

Eventi IDENTITÀ MILANO, CHEF A CONFRONTO SULLA “NUOVA INTELLIGENZA IN CUCINA” Identità Milano, il congresso internazionale di gastronomia ideato e curato da Paolo Marchi, torna dal 9 all’11 febbraio al MiCo–Milano Congressi di via Gattamelata per la sua decima edizione. La tre giorni metterà a confronto grandi nomi della cucina italiana e internazionale attorno al tema “Una golosa intelligenza”, ovvero lo stimolo a coniugare piacere, salute e costi. «In cucina serve una nuova intelligenza – spiega Marchi -, serve la capacità di salvaguardare memorie e sapori, la capacità di innovare intuendo nuove combinazioni, la capacità di alleggerire grassi e presenze inutili per esaltare sempre di più materie prime, profumi, forme, genio costruttivo, sicurezza nelle proprie azioni. L’ospite deve ricordarsi un pasto per le sue qualità, non perché impiegherà ore a digerirlo». Accanto al dibattito nella sala principale sono in programma altre sessioni tematiche: Identità Naturali, Identità di Sala, di Pane, di Pizza, di Birra, d’Acqua, di Pasta, di Libri e Dossier Dessert. La nazione ospite è la Thailandia. Info: www.identitagolose.it

pizzeria capri trattoria

B

da Nasti

envenuti alla pizzeria Da Nasti. Un locale accogliente e informale a conduzione familiare con esperienza 40ennale.

Attenti sempre alla qualità dei prodotti e al servizio al cliente, offriamo un menù di pizze da Guinness dei primati. Se ne contano almeno 250, divise per ingredienti. Dalle pizze classiche a quelle con formaggi tipici bergamaschi, fino alle pizze dessert tutte a lievitazione naturale a lievito “madre” con la possibilità di gustarle anche con farina integrale ai 5 cereali. Offriamo inoltre, una ricca scelta di birre alla spina e una carta dei vini contenente circa quaranta etichette. Il locale, al piano superiore, offre ambienti accoglienti e riservati, ma dispone anche di spazi più capienti adatti a compagnie numerose.

i r u g u

A

17


L'INTERVISTA Dopo vent'anni, il grande chef lascia la Franciacorta e si trasferisce nel Novarese per una nuova avventura. Ed Erbusco si appresta a dargli la cittadinanza onoraria. "È stata un'esperienza importante, che mi rimarrà nel cuore". "Il nome Bergamo mi richiama figure come Veronelli e Olmi e un formaggio che adoro. Ho ricordi commoventi di forme molli, stagionate superbamente" Gualtiero Marchesi

Marchesi: “Io, innamorato del taleggio”

di Leo Bartoli

“S

18

ono stati vent’anni importanti: lascio una Franciacorta cresciuta come territorio e come cultura dell’accoglienza, ma sono già proiettato avanti, con la mia nuova avventura in Piemonte: ci sarà da divertirsi”. Il maestro è in grande forma: a 83 anni Gualtiero Marchesi non vuol sentire parlare di bilanci, ma è pronto a cimentarsi in un’altra grande impresa: trasformare un antico maniero dell'XI secolo nel Novarese, ad Agrate Conturbia, in una nuova mecca della ristorazione e dell’ospitalità made in Italy: “Sarà una bella sfida, dove tornerò alle origini, quando con mia madre e mio padre a Milano ero albergatore, prima ancora che ristoratore. Voglio offrire al turista la mia idea di ospitalità a 360 gradi, vediamo che succede”. Padre nobile della cucina italiana, primo cuoco a ricevere nel Bel Paese le tre stelle Michelin, innovatore assoluto fin dagli anni Ottanta, fece conoscere

in Italia la nouvelle cuisine (ma lui preferisce chiamarla “cucina totale”) in cui, all’inarrivabile bravura nelle ricette (abbiamo gustato due suoi grandi classici: risotto oro e zafferano e filetto di

In Italia si cuoce troppo, qualsiasi cosa. Così si snaturano i sapori e si mortificano le materie prime. Ci vuole più armonia

vitello alla Rossini con scaloppa di foie gras) unisce il recupero della gestualità in sala e un effetto estetico appagante. Marchesi tra pochi giorni chiude la sua lunghissima parentesi all’Albereta

in Franciacorta (quattro lustri), ma non pensa affatto alla pensione. Maestro, quanto conta ancora nel mondo la cucina italiana, dopo il boom delle nuove tendenze, dalla fusion alla molecolare? “Sarà sempre protagonista nonostante… gli italiani. Nel senso che bisognerebbe tornare a una semplicità nel proporre i piatti, senza l’obbligo di dover sempre stupire. Mica siamo dei maghi. E poi la tecnica: in Italia si cuoce troppo, qualsiasi cosa. Così si snaturano i sapori, si mortificano le materie prime. Ci vuole più armonia, ma il prestigio della nostra cucina nel mondo resta, nonostante tutto, alto”. L’addio dopo 20 anni a L’Albereta… “Mi convinse a venirci l’amico fraterno Gianni Brera: mio padre era come lui di San Zenone Po. È stata sun’esperienza importante, credo effettivamente di aver contribuito a rendere attrattivo


dicembre 2013 anche tanto di suo. Sono anche molto diversi tra loro, Cracco, Oldani, Berton e Leeman, tanto per citarne alcuni che sono passati da me: ognuno ha le sue caratteristiche, le sue qualità. In verità c’è qualcuno che mi assomiglia più di altri, con cui lavorare diventava una continua ricerca, un modo di sperimentare entusiasmante. Ma il nome me lo tengo per me”. Se le dico Bergamo qual è la prima cosa che le viene in mente? “Tante, mica una sola. Veronelli per cominciare. Grande persona, ha aiutato il mondo del vino a crescere, a prendere consapevolezza delle sue potenzialità. Poi Ermanno Olmi. Una volta mi disse: la cucina è la più grande delle arti, è scienza, perché il cuoco combina chimica, fisica, biologia. Ma poi ci vuole l’estro dell’artista: appunto, grazie

La qualità che preferisco in un cuoco? Quella di saper far squadra con la propria brigata, di saper legare le varie professionalità valorizzando tutti

questo territorio: quando arrivai qui il turismo non esisteva, adesso tutti parlano della Franciacorta. Mi rimarrà nel cuore: ora il sindaco di Erbusco vuole anche darmi la cittadinanza onoraria, è bello che la gente conservi un buon ricordo”. Lei ha avuto tanti allievi, ma di nessuno ha mai detto: questo è il mio erede… “E non lo dirò mai: ognuno ha preso qualcosa dal sottoscritto, ma poi ci ha messo

Raviolo Aperto

Ermanno. E i Cerea? Adesso fanno tante cose, bravi anche sul fronte catering, un bel clan. E poi c’è la chicca finale”. Vale a dire? “Il mio formaggio preferito: il taleggio. Ho ricordi commoventi di forme molli, stagionate superbamente. Una volta presi la macchina fotografica e immortalai per una rivista quelle mattonelle colanti, mettendole in parallelo con gli orologi molli creati da

Riso, oro e zafferano

Salvator Dalì. Capolavori entrambi”. La moda degli chef in tv, quasi una deriva: che ne pensa? “Che la televisione amplifica gli effetti spettacolari, esalta i personaggi, fa sembrare tutto facile. In realtà è meglio sapere in tempo che si tratta di un lavoro pesante, che non conosce sabati, domeniche, né ferie, fatto di grandi sacrifici”. Il “velinismo” in cucina non porta lontano”. Anche perché poi il rischio è di creare false illusioni nei giovani: negli ultimi anni si è assistito a un vero boom di aspiranti chef… “Sì, questo è un rischio, ma chi ha una vera passione, è giusto che ci provi: piuttosto spero che gli insegnanti siano all’altezza. Io in prima battuta consiglio sempre i ragazzi di iniziare dalla pasticceria: è lì che si impara a dosare tutto, a provare a creare pesando bene gli ingredienti”. E, bravura a parte, la qualità che preferisce in un cuoco qual è? “La stupirò, ma per me una grande qualità è quella di saper far squadra con la propria brigata. Un ristorante è composto da tante professionalità: la bravura di uno chef è di legare le varie componenti, valorizzando tutti, stando sempre in sintonia, come in un’orchestra”. A proposito di orchestra: è vero che i suoi nipoti non la seguono in cucina e preferiscono la musica? “Confermo: la nostra è una famiglia soprattutto di musicisti, dai figli ai nipoti, seguendo le orme del ramo materno. Abbiamo due pianisti (per la verità anch’io una volta me la cavavo al piano), un flautista, un violoncellista e un violinista. In fondo l’eccezione sono io, ma va bene così: la musica è armonia, anch’io, quando creo i miei piatti, sento di essere sotto l’influenza di Bach”. A proposito di musica, lei tempo fa ha applicato alla cucina una massima di uno dei compositori più geniali… "Esatto: diceva infatti Gustav Mahler che “l’improvvisazione presuppone la conoscenza della materia”. Anche in cucina, se non si conoscono a fondo le materie prime, le forme e le tecniche di cottura, non si va da nessuna parte”. Tra cent’anni, per cosa vorrebbe essere ricordato Gualtiero Marchesi? “Del sottoscritto come innovatore hanno già detto e scritto in molti, ma la creatività credo debba abbinarsi a un certo stile che rivendico, un’eleganza che ho ereditato sicuramente da mia madre: sapeva comandare con dolce fermezza”.

19


IL RISTORANTE

I fratelli Marco e Andrea Cornoldi insieme alla mamma Vincenza Offredi

di Lelia Parisi

S

"Antica Osteria il Forno", la garanzia della tradizione

arà pure, nonostante la crisi, il maggior distretto industriale della Valle Brembana, ma qui a Brembilla l’industria ha sempre dato l’idea di qualcosa di posticcio, incapace di scalfire sul serio la vocazione valligiana del luogo. Basta vedere come le piccole produzioni locali si stanno riconquistando palmo a palmo il territorio: le attività casearie innanzitutto, ma anche la cerealicoltura e la frutticoltura. Oppure basta dare una sbirciata ai piccoli borghi (Cavaglia in primis) caparbiamente refrattari a qualunque addomesticamento dell’antico, ciascuno una foto ricordo vivente dei secoli che furono. Ed è proprio a Brembilla, racchiuso tra le mura cinque-seicente-

AMBIENTE

IL GIUDIZIO

Una storia lunga quattro secoli (testimoniata dall’affresco di un’Annunciazione databile tra fine ‘500 e inizio ‘600) è quella che ci narrano i locali dell’Antica Osteria. Le cinque sale (per un totale di 200 coperti), oggi tutte adibite alla ristorazione, svolgevano un tempo funzioni che l’attenta osservazione della loro architettura ci rivela. C’era l’osteria, la stalla per il ricovero dei cavalli con i suoi alti soffitti; la macelleria con le nicchie per appendere i capi macellati; una ghiacciaia e un forno con soffitto a botte in tufo (perfettamente conservato) per mantenere costante la temperatura per la lievitazione del pane. Nel 1811, quando un Offredi rilevò il complesso, gli fu rilasciata la licenza come oste e prestinaio a testimonianza del

20

sche dell’Antica Osteria il Forno (nei secoli passati sede anche di un forno per il pane, da cui il nome), che troviamo un riassunto di questo mondo valligiano in fermento. Un solo consiglio. Prima di sedervi a tavola mettete da parte le raccomandazioni del vostro dietologo di fiducia (se ne avete uno) ma, soprattutto, quelle del vostro inflessibile super-ego rinviando al mittente la lista dei “vietati e ammessi con riserva”. Insomma, dimenticatevi i diktat ipolipidici e la tirannia salutista imposti da linee guida, a quanto pare, ormai superate. Lascerete il locale senza sensi di colpa e ci guadagnerete in umore e sapore.

fatto che già da tempo qui si faceva il pane. In virtù di questa licenza, l’Osteria è iscritta nel Registro delle imprese storiche italiane, premiata anche dalla Camera di Commercio di Bergamo. La recente ristrutturazione ha mantenuto inalterati la struttura con i soffitti a volta, la pietra grigia a vista e, nella sala principale, il bel pavimento ottocentesco a motivi geometrici e colori vivaci.

CUCINA

È una cucina semplice e concreta quella dell’Antica Osteria, per sua intima costituzione esente da eccessi ma anche da particolari voli pindarici, genuinamente radicata nella valle e in una tradizione culinaria lunga tre generazioni (quelle che hanno potuto passarsi il testimone), con piatti inossidabili ben equilibrati nei sapori.

CANTINA

I nosecc

Sono circa 70 le etichette in carta, con buona copertura di tutte le regioni vitivinicole italiane e qualche proposta d’oltreoceano. Ben rappresentate, con produttori di qualità, anche le mezze bottiglie. Buoni i ricarichi. Forse anche per compiacere i clienti desiderosi di quel bicchiere in più che però


dicembre 2013 affidata allo chef Roberto Bettinelli, il tutto per la gioia degli ospiti. Anche perché qui, volenti o nolenti, è tutto un imperativo categorico. Dagli antipasti al tris di primi, dagli arrosti ai contorni, fino ai dolci. Non potreEcco allora che si parte con l’antipasto della casa, pancetta e salame, taleggio stagionato in grotta e caprino, con contorno grasso-dolce di inte esimervi dal provare tutto - è la formula del locale che lo impone - ma neppure lo vorrete. Più o meno cinque generazioni (a partire dal 1811) si salata russa e magro-acido di giardiniera dell’orto, entrambi fatti in cason succedute per gettare le basi del menù che apprezzerete nella sua sa. Quindi porcini trifolati con taragna e salsiccia. Seguono primi genegenuina semplicità. Sì, perché quella dell’Antica Osteria è una cucina che rosi, tra cui un delizioso risotto con fonduta di Branzi e tartufo di Bracca, naviga nelle acque sicure della tradii ravioli della casa simili a casonsèi (dalla ricetta segreta della bisnonzione senza (quasi) mai indulgere a Il locale di Brembilla, due secoli di vita na), con ripieno di manzo, parmiderive “esotizzanti” (unica concessione, qualche piatto di pesce free cinque generazioni ai fornelli, punta giano, pangrattatto e amaretto, e gli gnocchi di polenta (impasto sco di mare e crostacei, giusto per su una cucina solida, legata ai prodotti di farina bianca e di mais e uova), dovere di ospitalità, funzionando travolti da una voluttuosa colata di l’Antica Osteria anche da albergo). del territorio, che si fa apprezzare strachitunt e panna che non riesce «Le nostre ricette, ereditate da nonnella sua genuina semplicità comunque ad appesantirli. na e bisnonna e ben collaudate, soDa provare i “nusecc”, versione no custodite da zia Sandra, supervibrembillese dei “capù”, un involucro di verze miste a coste che avvolge sor della cucina», spiega Andrea Cornoldi, patron e gestore del ristorante un sapido ripieno, usato anche per farcire gli arrosti, condito con pomoinsieme al fratello Marco e alla mamma Vincenza Offredi, erede diretta della dinastia che due secoli fa fondò il ristorante. doro e pancetta. Per Andrea le piccole produzioni della valle sono come i ninnoli di famiglia Nei secondi, ci si sbizzarrisce con le varie proposte di carne, tutte di buon da lucidare e mettere in mostra per far bella figura all’arrivo del “forestielivello: dalla morbidissima noce di vitello (uno dei piatti storici dell’Ostero”. «Tutto quello che la nostra valle offre e proria) affettata su polenta taragna con porcini, alduce ci sembra doveroso sfruttarlo». la selvaggina, dalle costate al galletto nostrano. E quindi ecco lo zio, norcino da generazioLa palma va sicuramente allo stinco di maiale al vino rosso con polenta e ratatouille di verdurine. ni, che confeziona il maiale in prelibati salaSuperlativo, si sfilaccia sotto la forchetta nelle mi e pancette, l’ex-fattore in pensione che, sue fibre succose regalando vere emozioni gucon l’intercessione di papà, rimette in moto il mulino a pietra per sfarinare il mais grezstative. Impossibile poi resistere alle croccanti patate arrosto della Valle Brembana cotte con zo brembano nella giusta consistenza per la loro buccia. polente, gnocchi e taragne, il giovane alSi chiude in gloria (per chi ce la fa) con i dolci, tutlevatore di capre di Camorone (Brembilla) ANTICA OSTERIA IL FORNO che sperimenta ottimi caprini freschi; e, anvia Roma, 32 ti caserecci, che tengono il passo con il resto del Brembilla menù, in particolare la torta di mele della Valle cora, i nostranissimi taleggi, gli strachitunt tel. 0345 98010 Brembilla e la torta di cioccolato, amaretto e noe i branzi, i porcini di Valtorta, il nerissimo Chiuso il lunedì sera e il martedì sera tartufo di Bracca, le mele della Valle Bremci. Anche il conto non fa una grinza. Da 30 a 35 www.ristorantefornoanticaosteria.com euro, tutto compreso, dall’antipasto al dolce, vibilla, le ricette storiche dei primi ingentilite da zia Sandra, nume tutelare della cucina no della casa incluso.

può fare la differenza all’etilometro, il ristorante si è dotato dei calici Safecup con le costolature interne che - così almeno assicurano gli inventori, confortati dal giudizio della Sitac, la Società italiana per il trattamento dell’alcolismo, che ha testato i bicchieri – dovrebbero abbassare il tasso di assorbimento dell’alcol nel corpo umano del 30%, di recente adottati anche dal Consorzio di Tutela del Valcalepio.

ESPERIENZA

Se la regia è affidata a zia Sandra, 40 anni ai fornelli con la mamma che le ha trasmesso a sua volta, affinandolo, il sapere della nonna (la bisnonna di Andrea e Marco), sicuramente anche la mano esperta dello chef Roberto Bettinelli e dei suoi aiu-

ti, Marco Ruggeri e Nicola Filippi, contribuisce a declinare secondo un gusto moderno le ricette storiche di cui zia Sandra è custode. Una virtù di questa cucina è la capacità di rendere leggeri e digeribili piatti per definizione non proprio leggerissimi, calibrando gli ingredienti. Impeccabili anche le cotture delle carni, retaggio di una lezione ben appresa in famiglia. «Già nostra nonna – racconta Andrea – aveva l’abitudine di dilatare i tempi di cottura a fuoco lento per ottenere arrosti morbidissimi».

SERVIZIO

Non c’è che dire. Cortese (fin troppo) e puntuale il servizio svolto da Marco con la mamma Vincenza, sotto la supervisione dell’onnipresente Andrea, impegnato

in sala ad accudire i clienti, per assicurarsi di persona che ogni ospite sia destinatario delle dovute attenzioni.

RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO

Non spaventatevi (come è lecito che succeda di questi tempi) se vi ritroverete per le mani un menù senza prezzi. La proposta dell’Antica Osteria prevede un menù completo a un prezzo di 30 o 35 euro (secondo il menù) a persona, tutto compreso (anche il vino della casa). Una formula vincente (il locale conta molti aficionados) e pure innovativa per un menù con ampia possibilità di scelta tra antipasti, primi e secondi di carne, e un rapporto qualità-prezzo decisamente valido. p.s.

21


...da sempre Buon Formaggio

“La CASERA”

di Martinelli è un’azienda produtttrice di formaggi di qualità. La famiglia Martinelli gestisce l’azienda con mentalità imprenditoriale nella tradizione artigianale casearia. L’azienda si estende su una superficie di 3.000 mq che ospita i locali adibiti alla stagionatura e al confezionamento dei formaggi, mentre la loro accurata preparazione avviene in appositi ambienti. Forte di una lavorazione artigianale che assomma e garantisce tradizione, qualità e convenienza, “La CASERA“ di Martinelli propone oltre 60 tipi di formaggi nazionali ed esteri, tutti realizzati nel rispetto delle più rigorose norme di genuinità, di accuratezza nella lavorazione e nella stagionatura.

LA CASERA DI MARTINELLI Piazzale Don Seghezzi, 4 - 24011 Almè (BG) tel. 035.541144 - fax 035.639238 www.lacaseradimartinelli.it - info@lacaseradimartinelli.it


LA TESTIMONIANZA

dicembre 2013

L'esperienza di due studenti dell'Alberghiero di Nembro nel tristellato "Da Vittorio" Bobo e Chicco Cerea con gli stagisti Francesco e Stefano Rampolla

"Noi, stagisti, a tu per tu coi grandi chef " E

gregio direttore, al termine del percorso scolastico quinquennale all’istituto alberghiero “Sonzogni” di Nembro, abbiamo avuto l'impagabile occasione di fare uno stage al ristorante "Da Vittorio", locale tristellato che non ha certo bisogno di presentazioni e che ci ha profondamente colpiti per la qualità, le attrezzature e l'organizzazione del personale impegnato in molteplici ruoli (chef, sous chef, demi chef, patisseur e via a seguire). Il tutto sino ad oggi visto solo sui testi scolastici e con una remota speranza di poter conoscere direttamente. Grazie alla fiducia accordataci dai fratelli Cerea, siamo riusciti a coronare un sogno, quello di poter far parte di una brigata in un ristorante stellato. Ci è piaciuta subito la cucina open space, che - grazie a una stupenda vetrata - permette la visione ai clienti in sala di quanto avviene tra i fornelli. In spazi meticolosamente organizzati, tutti sanno cosa fare ed il lavoro di squadra si articola su precisione e tempistiche quasi maniacali. Oltre alla perfetta organizzazione della “linea”, le materie prime, sia di pesce che di carne, sono di primissima qualità con arrivi giornalieri che garantiscono il massimo della freschezza. I prodotti vengono trasformati dalle mani di grandi chef che ne esaltano i vari sapori e impiattano artisticamente “le proprie creature” poiché ogni piatto che esce dalla cucina non è solo gustoso ma anche visivamente accattivante. Un lavoro supportato da attrezzature di ultima generazione e di primissima qualità. Da questa esperienza abbiamo cercato di cogliere quei piccoli se-

greti che fanno la differenza tra un ristorante classico e un ristorante stellato. Abbiamo appreso quanto è incommensurabilmente importante il fatto di lavorare con prodotti freschissimi e solo di prima scelta, in modo da esaltare al 100 % il sapore del prodotto nel piatto e poterlo abbinare nel modo più compatibile possibile a diverse salse e aromi. Abbiamo toccato con mano tutte le diverse partite della cucina, iniziando dalla pescheria e dagli antipasti sino ad arrivare alla piccola pasticceria in modo tale da avere una visione più completa dell’operato di una prestigiosa cucina d’eccellenza. Abbiamo percepito anche l'importante e necessario feeling che deve esserci tra lo staff di cucina e quello di sala. E che emozione quando abbiamo assaggiato il primo piatto di una cucina stellata! A contatto con i Cerea, abbiamo colto i metodi di lavorazione e cottura dei prodotti che stanno dietro al successo dei loro piatti; si parte sempre da un’idea e poi essa viene trasformata abbinando più metodi e puntando su sapori leggeri, conferendo a ogni pietanza la firma dello chef, perché non si tratta solo di mangiar bene, ma soprattutto di entusiasmare, far vivere un’esperienza indimenticabile al cliente. In conclusione, abbiamo avuto l'opportunità di toccare con mano un mondo affascinante, di scoprire il dietro le quinte di un ristornate blasonato. Ci sentiamo fortunati e per questo ringraziamo i fratelli Cerea per averci dato questa possibilità. Francesco e Stefano Rampolla

23


LA POLEMICA di Giordana Talamona

L'enologo Luca D’Attoma: "Troppe aziende si proclamano bio in maniera strumentale e sfornano prodotti imbevibili. Dire che un vino non contiene solfiti è, per esempio, pura falsità". "È tempo di controlli più mirati" Luca D’Attoma, enologo e fondatore della "Wine Evolution Consulting"

La deriva è imputabile a certi movimenti culturali, o presunti tali, che hanno spinto la commercializzazione di pessimi produttori. Ci si può difendere solo attraverso la cultura e l’informazione

L,

24

abbiamo incontrato al recente Merano Wine Festival, durante la giornata dedicata ai vini biologici e biodinamici. Luca D’Attoma - appassionato enologo toscano, fondatore della "Wine Evolution Consulting", società di consulenza viticola ed enologica attiva anche all'estero - non ci sta proprio a sentire certe polemiche sui vini naturali, spesso sollevate a sproposito. In un dibattito del tutto aperto, tra questioni terminologiche, scienza e strumentalizzazioni commerciali, vediamo di fare un po’ di chiarezza. In vino veritas? Sarebbe ora. Le piace la definizione di “vino naturale”? “Assolutamente no, è una definizione che detesto. Non significa niente dal punto di vista tecnico ed è fuorviante per il consumatore, perché di contro sottintende che gli altri vini siano “artefatti”. Semmai sarebbe meglio parlare di vino proveniente da filiera convenzionale e da filiera biologica o biodinamica”.

«Vino naturale? Un grande inganno per i consumatori»

Nel mare magnum di vini bio, diventati di tendenza in pochi anni, qual è la “bufala” più ricorrente? “Quella sui solfiti. È bene dirlo chiaramente: i vini senza solfiti non esistono, tanto per cominciare perché si tratta di sostanze prodotte naturalmente in fase di fermentazione. È possibile fare vini bio aggiungendo solfiti, purché si rispettino i limiti previsti dai disciplinari, che nel caso dei vini biodinamici sono decisamente più bassi rispetto a quelli dei vini biologici e convenzionali. I solfiti sono degli antisettici e degli stabilizzatori, quindi è bene aggiungerli perché i vini si conservano e sono migliori”. A proposito della serbevolezza dei vini bio, ci sono differenze con quelli provenienti da filiera convenzionale? “Non direi. Poi, va da sé, ogni vino invecchia, ma questo vale sia per i bio che per gli altri. Chi ha dubbi sulla potenziale longevità dei vini bio non è informato abbastan-

za o, peggio per lui, non ha mai bevuto i vini di Leroy, Leflaive, Zind Umbrecht, Nikolaihof o Romanée Conti, tutte aziende bio”. Eppure ci sono vini biologici o biodinamici imbevibili. “È verissimo, l’equivoco nasce perché si è permesso a certi “talebani bio” di rovinare l’immagine del vino. Si tratta di produttori che, nella maggior parte dei casi, sanno coltivare buone uve, ma che poi si dimostrano totalmente incapaci nella vinificazione, commettendo tanti e tali errori nelle tecniche di cantina da produrre vinacci imbevibili”. Per esempio? “Non hanno pulizia in cantina o non provvedono alla decantazione dei mosti per i bianchi, ed ancora, effettuano delle macerazioni eccessivamente lunghe, tali da annullare quelli che sono i caratteri varietali delle uve: in questo modo si creano delle vere e proprie "centrali atomiche" che producono colonie di batteri acetici e brettanomyces. La loro igno-

ranza, mascherata da filosofia naturale, genera inevitabilmente un equivoco grosso come una casa”. Quale equivoco ? “Di spacciare vini pessimi, che sanno di aceto o peggio, per grandi vini biologici o biodinamici. Non si tratta neanche di rispettare una filosofia o dei codici etici, quello che manca è l'osservanza di semplici norme igieniche e di standard corretti di vinificazione. Se un vino sa di aceto, non è più bio di altri, semmai è una schifezza”. Come siamo potuti arrivare a questo? “Credo che la responsabilità sia imputabile a certi movimenti culturali, o presunti tali, che hanno spinto la commercializzazione di pessimi produttori. Hanno giocato sull’ignoranza delle persone, facendo passare dei vini con difetti per grandi vini figli della terra. La buona notizia è che, come tutte le mode, anche questa sta passando. Ci sono ancora dei fanatici del vino torbido


dicembre 2013

che puzza di aceto, ma la maggior parte sta tornando sui propri passi”. Il consumatore attento come fa a non cadere in questa trappola mediatica? “Attraverso la cultura e l’informazione. Certo anche in questo caso i media, le Istituzioni e le Associazioni dovrebbero fare la loro parte. Certi vini, per esempio, dovrebbero essere stroncati dalla stampa di settore, o non ammessi alle manifestazioni. Insomma sarebbe bene gettare le basi per una nuova comunicazione, affinché il consumatore sia più informato e i vini bio non siano più un mero strumento di marketing”. Ci conferma, dunque, che molte aziende si proclamino bio in maniera strumentale?

“Direi che è una certezza. Alcune delle aziende con cui collaboro sono certificate biologiche, altre lavorano di fatto con questo metodo da anni, e tutte sono estremamente sensibili al rispetto dell'ambiente: nessuna di esse ha però mai utilizzato l'essere biologico come un vessillo di natura commerciale. E questo ovviamente vale anche per Duemani, cantina di cui sono proprietario insieme ad Elena Celli, e nella quale fin dall'inizio abbiamo scelto di lavorare con metodo biodinamico, procedendo con la certificazione Demeter, senza mai farne una leva del marketing. Quella biodinamica è una scelta, non deve diventare uno strumento speculativo".

Venendo all’agricoltura, come fanno ad essere certificate come bio certe aziende i cui terreni sono prospicenti le grandi arterie autostradali? “Ah, questo non l’ho ancora capito. Vien proprio da ridere, perché sembra una chiara presa in giro. Forse potranno certificare che l’uva rientra nei parametri “x” degli antiparassitari, ma con tutto il piombo presente nell’atmosfera ci vuole un bel coraggio a farsi chiamare azienda biologica o ecosostenibile”. Occorrerebbero maggiori controlli? “Già ci sono, ma dovrebbero essere più mirati. Quando fanno un controllo sul suolo verificano se c’è rame o meno, senza controllare in maniera approfondita se altri elementi inquinanti hanno contaminato il terreno”. In conclusione cosa significa essere oggi una seria azienda ecosostenibile? “Vuol dire verificare tutto il ciclo produttivo, dalla vigna sino alla spedizione e quindi agli imballaggi del vino. C’è chi si proclama ecosostenibile perché ha messo quattro pannelli fotovoltaici sul tetto o le pale eoliche davanti alla cantina, ma continua a produrre consumando e, spesso, sprecando troppa energia. Noi abbiamo posto attenzione su ogni singola fase della filiera, limitando al massimo i consumi ed attuando il calcolo della "Carbon Footprint", fondamentale punto di partenza anche ai fini di decisioni importanti come, ad esempio, la riduzione del peso delle bottiglie, che va a diminuire le emissioni di carbonio senza nessuna controindicazione".

25


T

VAL

AVERNA ELLINESE

La ristorazione tra tradizione ed innovazione

Una baita nel centro di Bergamo

Q

ui “alla Valte”, come la chiamano i clienti più giovani ed affezzionati, è un po' come raggiungere alte vette in pieno centro Bergamo. Questo Ristorante ha una storia importante alle spalle - fondato più di 40 anni fa tutt'oggi si mantiene in “piena forma”. Un giovane ed appassionato Chef, Fabio Bonfanti, 31 anni, nativo di questa città, è alla gestione di questa grande “Baita”. Definita tale in quanto l'arredamento, i complementi e lo stile di questo locale richiamano fedelmente i rifugi di alta montagna. Ciò che garantisce la Taverna Valtellinese è un servizio di sala

professionale ed un servizio culinario rispettoso della qualità dei prodotti e dei cibi utilizzati. Questo Chef ritiene che ciò che mangiamo sia la prima “ medicina” che ci garantisce salute e benessere, ed è questa la filosofia con cui seleziona le materie prime e prepara i suoi piatti. La cucina mantiene salde le sue origini ma con questo staff giovanile ha acquisito una nota positiva in più di Innovazione inserendo, oltre ai piatti classici quali, la Bresaola, i Pizzoccheri fatti in casa e la Carne al Bastone, piatti esclusivi come la Tagliata di Bisonte, Tartufo Bianco e Pesce Fresco. La “Cantina” dispone di un’ampia scelta di Vini ed oltre ai classici Vini Valtellinesi, offre circa 120 etichette tra Champagne, Bollicine, Vini Bianchi, Rossi e Meditazione. In conclusione riteniamo che il Rapporto Qualità\Prezzo sia rispettato. Dopo averVi anticipato in breve, quello che per noi rappresenta questo Ristorante, desidereremmo averVi nostri ospiti per assicurarVi il nostro impegno per regalarVi momenti da assaporare e lasciarVi la Gioia...

quella di ritornare!

TAVERNA VALTELLINESE - via g. Tiraboschi, 57 - Tel. 035 243331 www.TavernavalTellinese.iT - chiuso il lunedì

bergamo

anche su


L’AZIENDA

dicembre 2013

L’ingrosso, specializzato nella lavorazione delle carni, progetta l’ampliamento della sede di Curno. L’attività si è infatti sviluppata fino ad abbracciare, nel surgelato, l’intera gamma dei prodotti alimentari. E a Bergamo la tradizione di famiglia prosegue nella storica polleria-macelleria di via San Bernardino

D

Alimentari Moretti, un 2014 di crescita a un lato la costante evoluzione per rispondere alle esigenze della ristorazione, dall’altro la continuità della tradizione. Sono due aspetti che convivono nell’Alimentari Moretti, ingrosso di carni, prodotti ittici e alimentari che non ha dimenticato la propria origine e prosegue anche oggi l’attività nella storica polleria-macelleria nel centro di Bergamo - in via San Bernardino 4, nei pressi di piazza Pontida -, aperta nel 1946 ed erede di un’esperienza familiare nel commercio alimentare ancor più antica. Sono stati Vittorio Moretti e la moglie Maria Bambina Gandioli, negli Anni 60, ad aprirsi alle forniture. Dal 1979 la sede è a Curno, cui si è aggiunta nel 1990 la filiale (abbinata ad un punto vendita al dettaglio di surgelati) di Ciliverghe di Mazzano, in provincia di Brescia, per seguire l’area del lago di Garda con la stessa efficienza garantita nei territori di Bergamo e Milano, principale bacino di riferimento. La clientela è rappresentata da ristoranti, mense, comunità, centri scolastici. La specializzazione è nella carne. L’azienda, che conta 30 dipendenti, effettua il sezionamento e il confezionamento di carni bovine fresche e commercializza carni bovine, avicole e suine, fresche e congelate. Ha man mano ampliato la gamma per offrire un servizio completo, il cosiddetto “catering servito”, con il confezionamento di prodotti ittici congelati e un listino con 1.300 referenze, dall’antipasto al dolce, nel surgelato. «Puntiamo prevalentemente sulla carne irlandese, perché i metodi di allevamento assicurano un’alta qualità e possiamo contare su fornitori selezionati – racconta Sandra Tirloni, che porta avanti l’attività dei suoceri e del marito Giorgio Moretti, scomparso tre anni fa, affiancata anche dalla figlia Michela -. In linea con le nuove tendenze a tavola, abbiamo recentemente inserito il black angus americano,

la carne argentina e quella australiana. La carne avicola invece è esclusivamente italiana e, sia nel bovino sia nell’avicolo, abbiamo a disposizione anche produzioni biologiche». La cura del servizio è l’altro punto di forza, «l’ordine viene evaso in un giorno ed effettuiamo consegne personalizzate – sottolinea Sandra Tirloni –, un valore aggiunto che ci viene riconosciuto e sul quale ci impegniamo a garantire alti standard». È proprio la formula qualità-servizio, all’apparenza semplicissima, ad offrire ulteriori prospettive di sviluppo all’azienda, anche in tempi non certo facili come questi. «Abbiamo in progetto l’ampliamento della struttura – anticipa la titolare – con la realizzazione, probabilmente entro la fine del 2014, di nuove celle frigorifere che ci permetteranno di acquistare e conservare in quantità maggiori e quindi di migliorare la competitività anche a livello di prezzi». Se è vero, infatti, che qualche mensa aziendale ha chiuso, la carne continua ad essere “regina” al ristorante. «Quando si vuole una bella fiorentina – fa notare – si va a mangiarla fuori». E pure la macelleria tradizionale, nonostante le spinte vegetariane, continua ad essere apprezzata dai consumatori finali. «In negozio si possono trovare lavorazioni particolari e piatti freschi pronti a cuocere che al supermercato non ci sono – prosegue -, ideali anche per chi non ha molto tempo da dedicare alla cucina ma vuole portare in tavola qualcosa di gustoso». Le festività natalizie sono il tripudio di capponi, tacchine e faraone ripiene, di cui la signora Sandra è “maestra”. Prima di prendere in mano le redini dell’intera azienda, è stata infatti per 32 anni in bottega e sono sue le ricette (segrete) delle farciture. www.alimentarimoretti.it

Alimentari Moretti

27


FACECOOK Alla scoperta dei social-chef

Chi è Gianati

Alberto Gianati

Lo chef e patron Alberto Gianati, originario di Olmo al Brembo, propone in carta anche la polenta taragna. Su Tripadvisor ha raccolto 38 recensioni, 139 i “mi piace” su Facebook

Nato a Olmo al Brembo, nel cuore delle Prealpi bergamasche, Alberto Gianati è cresciuto circondato dal profumo dei funghi, dai noti formaggi della zona e dalla onnipresente polenta. Dopo essersi diplomato all’Istituto alberghiero di San Pellegrino, ha iniziato a lavorare in hotel e ristoranti pluristellati dalla Sardegna a Cortina, dall’Isola d’Elba a Milano, passando attraverso Siena e Perugia. Poi sbarcato all’estero dove ha ricoperto incarichi manageriali, in qualità di Sous Chef e Chef, prima a Tokyo, poi Los Angeles, São Paulo do Brasil, New York, Bangkok e San Josè in Costa Rica. Ora è proprietario del ristorante ”Casa Italia” a San Juan in Puerto Rico. Gianati ha ricevuto vari riconoscimenti personali, nella sua precoce carriera. Nel 1997 è stato scelto come chef per preparare a Hollywood la cena degli Oscar per la Compagnia Miramax, vincitrice quella sera del migliore film dell’anno. Nel 1999 ha aperto “Biscotti” a Bangkok, che in poco più di due anni è stato riconosciuto da Conde Nest Traveler fra i 60 migliori ristoranti al mondo. Nel 2004 ha ricevuto il premio Amato presieduto da Gualtiero Marchesi. Il riconoscimento, destinato ai cuochi italiani all'estero, è stato dedicato allo chef Antonio Amato, ucciso dai terroristi di Al Quaeda mentre lavorava in un noto albergo ad Al Khobar, in Arabia Saudita.

“Casa Italia” parla bergamasco a Puerto Rico di Laura Ceresoli

P 28

olentina taragna con intingolo de porcini y sofrito de salvia. No, non ci sono errori di battitura. C’è scritto proprio così sul menù di Casa Italia. Già perché il ristorante in questione non è una trattoria situata alle pendici delle Orobie ma uno dei più noti locali italiani presenti a Puerto Rico. Lo chef, neanche a dirlo, è di Olmo al Brembo ma le sue passioni culinarie lo hanno portato in giro per il mondo. Alberto Gianati ha iniziato la sua carriera, come tanti gio-

vani, sui banchi dell’Istituto alberghiero San Pellegrino. Ma fin da subito ha sentito la voglia di spingersi oltre i confini lombardi. Ha cominciato timidamente i suoi primi servizi a Riccione, all’Isola d'Elba, per poi approdare con successo in Costa Smeralda dove ha lavorato all’hotel Cala di Volpe. Ha anche fatto parte di una brigata di cuochi al Royal Courmayeur, a Sanremo e a Cortina d'Ampezzo nel lussuoso Principe di Savoia. Ora Gianati è executive chef e patron del

ristorante Casa Italia a Puerto Rico, dove offre una vasta selezione di piatti classici italiani che ben si alternano ai suoi esperimenti di cucina creativa. Ma le sue origini bergamasche le tiene ben salde. Gianati ha capito come viziare i palati caraibici con gusti decisi e inconsueti per quelle zone, inserendo qualche spiccato richiamo culinario alle sue radici, a partire dalla polenta taragna. Sfogliando il menu pubblicato sul sito ufficiale del suo ristorante, www.

ristorantecasaitalia.com, viene già voglia di assaggiare alcune delle sue delizie: dalle crespelle mari e monti al carpaccio con Parmigiano e funghi; dalla caprese di bufala allo speck tirolese con asparagi e caprino gratinato; dalle pappardelle con salsiccia e funghi al risotto con gorgonzola, spinaci e pere. Proposte che spesso vengono lanciate anche attraverso Facebook (Casa Italia conta su 139 “mi piace”), canale che viene utilizzato per lanciare piatti


ottobre 2013 "SONO UN GIRAMONDO, MA LA NOSTRA CUCINA È SEMPRE NEI MIEI MENÙ"

Quanti Paesi ha visitato grazie al suo lavoro? “Sono ormai 18 anni che sono all’estero tra Giappone, Thailandia, Usa, Porto Rico, Sud America. Mi mancano solo l'Africa e l'Australia”. Utilizza le nuove tecnologie per promuovere il suo ristorante? “Sì, mi piace promuovere su Internet i miei menù studiati per le occasioni speciali tipo San Valentino, Festa della mamma, Natale, Capodanno. Oppure pubblicizzo prodotti particolari: in questo periodo, ad esempio, ho i tartufi. Cerco, però, di bombardare il meno possibile i miei clienti con le email promozionali. Molti mi dicono infatti che, il più delle volte, cancellano senza guardare, in quanto ricevono troppe news e si stancano di vederle”. Com'è cambiata la ristorazione e il rapporto con i clienti grazie ai nuovi network? “Noi abbiamo una clientela benestante, mediamente over 50, poco invasata da Internet. Però le nuove generazioni vivono col web, quindi siamo costretti a comunicare con loro attraverso i nuovi canali”. Qual è il suo rapporto con le recensioni di Tripadvisor? “Noi da Tripadvisor abbiamo appena ricevuto il certificato di eccellenza che fa sempre molto piacere. È uno strumento utile, ma allo stesso tempo pericoloso. Qualsiasi persona può commentare in bene o in male, senza controllo”. Utile anche la pagina Facebook? “Sì, occasionalmente vi pubblichiamo foto o notizie a seconda degli eventi”. Riesce a far apprezzare la cucina bergamasca? “Certo, propongo molti piatti della nostra cucina. Un po’ rivisitati, certo, ma comunque ben accettati dai clienti”.

particolari o iniziative speciali. Il successo di Casa Italia è ben testimoniato anche da Tripadvisor, il sito dedicato alle recensioni dei viaggiatori di tutto il mondo. Quest’anno il locale ha ottenuto il certificato di eccellenza, piazzandosi all’87esimo posto tra le preferenze degli internauti, su un totale di 491 ristoranti segnalati a San Juan. Sono 38 i giudizi presenti su questo locale di cui 33 tra “molto buono” ed “eccellente”. Di Alberto Gianati i viaggiatori scrivono: “Lo Chef mette una grande dedizione in qualcosa di così semplice come i suoi eccellenti gnocchi ai quattro formaggi o nel suo branzino servito con una salsa di vino bianco leggero e verdure al-

la griglia”. Oppure: “Lo chef Alberto è uno dei cuochi più riconosciuti in tutto il mondo. Utilizza solo prodotti freschi e prepara la pasta fatta in casa. Porta la maggior parte dei suoi ingredienti dall'Italia e ha molte specialità del giorno”. E ancora: “Il servizio è incredibile, il posto è meraviglioso e il giorno in cui ho mangiato lì io, lo chef Alberto ha dato a tutti i commensali del ristorante un antipasto di zucchine fritte con prosciutto”. Forse “un poco costoso” scrivono alcuni abitanti di San Juan. Un piccolo dettaglio che, tuttavia, si può anche sorvolare vista “l'atmosfera unica, fine e romantica” che solo in questo piccolo angolo di Italia si può ritrovare.

29


TENDENZE di Lara Abrati

Le nuove frontiere dell'agricoltura: contadino, ma anche fornaio e norcino

U

30

n progetto nella sua fase di nascita, un’idea che si trasforma pian piano in realtà. Carlo Eugenio Fiorani è il motore di tutto e guida una azienda agricola multifunzionale e innovativa che rispecchia in toto la personalità e le esperienze di vita del proprio ideatore. Un sogno che si trasforma in realtà, una teoria che diventa pratica. Quarant’anni e un percorso tutt’altro che ordinario, caratterizzato da una messa in gioco continua, fino all’idea e alla concretizzazione di questa attraverso un percorso che tutt’ora evolve di giorno in giorno. La scelta di abbandonare la coltivazione della terra a monocoltura, di approfondire ciò che ruota attorno al mondo del cibo e di ricominciare a studiare. L’azienda agricola di famiglia e la conversione di quest’attività nella convinzione che per il futuro dell’agricoltura è necessario prestare più attenzione all’economia locale e agricola. Ricomincia così a fare l’orto nella sua azienda a Castelverde, nel Cremonese, trasformando i prodotti attraverso moderne tecnologie, alleva galline ovaiole in libertà e suini allo stato semibrado. Fa stagionare i suoi

Carlo Fiorani

Arriva dal Cremonese l'esempio di come, abbandonando le tradizionali coltivazioni, si possa rivoluzionare la propria azienda per rimanere competitivi. Carlo Fiorani, oltre al pane e al salame, produce e vende anche uova e conserve. Il tutto, con materie prime della casa salami almeno 100 giorni e produce pane a lievitazione naturale, ristabilendo così un rapporto “umano” con il tempo. Quale è stato il percorso che l'ha portata fin qui? “Il mio percorso non è stato convenzionale. Mi sono diplomato come perito agrario e, successivamente, ho iniziato a lavorare nell’azienda agricola di famiglia, di mio padre e mio zio. Come molte altre aziende agricole, si preferivano le monocolture di mais. Nel frattempo ho continuato a coltivare la mia passione per la cucina.

Per una serie di vicissitudini ero “spoetizzato” da quel tipo di agricoltura. Ho quindi deciso di abbandonare l’azienda di famiglia, mettendola poi in affitto, e mi sono dedicato alla cucina. Così nel 2002 ho iniziato a lavorare in alcune piccole attività ristorative di carattere familiare, imparando le basi della cucina professionale che mi hanno portato ad affiancare uno chef in un villaggio turistico in Sardegna". Poi? "Dopo esser tornato, stavo partendo per Londra per un viaggio studio al fine di imparare l’inglese, sono venuto


dicembre 2013

casualmente a conoscenza dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Qui la svolta. Faccio il colloquio e vengo ammesso. Era il primo anno di corso. Durante il percorso universitario ho avuto la possibilità di conoscere molti personaggi interessanti, tra cui Carlo Petrini. Ho interagito con l’associazione Slow Food per circa 5 anni, dal 2007 al 2011. A un certo punto però le esigenze sono cambiate e ho avvertito il bisogno di dare una forma e una definizione a ciò che stavo facendo. Ho maturato nuove esigenze, come quella di fare qualcosa di proprio. Avevo una cascina e quindi nel 2012 sono ritornato a Castelverde e ho cominciato a imbastire questo ambizioso progetto”. Quando si è concretizzata l’idea? “Ero alla manifestazione brassicola “Le birre della merla” a gennaio 2011 quando, durante un informale scambio di battute, un amico americano mi ha suggerito l’idea di fare birra e salame. Il pane l’ho prodotto, perché a mio avviso era una produzione coerente con le materie prime disponibili in zona e per colmare la lacuna

librio tra le attività agricole della cascina. L’interesse è quello di produrre bene, non tanto. Il progetto riguardante la ristrutturazione dei locali è stato affidato all’architetto Antonio Montanari, mentre la consulenza riguardo i laboratori di trasformazione veri e propri, in particolare quello della lavorazione delle carni, della trasformazione delle verdure in conserve e quello adibito alla panificazione, è stata affidata allo studio Giubilesi e associati. Nel 2012 ho iniziato a lavorare sul progetto. In primavera l’impianto delle prime colture orticole, l’arrivo dei primi suini e delle prime galline ovaiole. Per quanto riguarda il piano strutturale, abbiamo iniziato i lavori, predisposto gli ambienti e installato il forno per la cottura del pane. I lavori stanno continuando, infatti gli interventi strutturali progettati e necessari a carico della cascina erano di una certa portata. L’attività, nelle sue diverse declinazioni, sta proseguendo attivamente”. Quali prodotti ha scelto di proporre? “Ho scelto di diversificare la produzione.

digeribilità dei salami. Dopo un periodo di asciugatura vengono messi in cantina, dove permangono almeno 100 giorni in relazione anche alla pezzatura. Il pane viene prodotto con il frumento coltivato in azienda e la pasta madre rinfrescata e rigenerata tutti i giorni. Per le confetture e le conserve ho predisposto un laboratorio con tutti i macchinari necessari, dalla passatrice al cuocitore sotto vuoto”. Perché sotto vuoto? “La cottura sotto vuoto permette di lavorare frutta e verdura a una temperatura notevolmente inferiore a quella a cui si arriva con le lavorazioni normali. Questo permette di mantenere stabili i colori, di alterare il meno possibile le proprietà nutrizionali e di non ottenere il classico “aroma di cotto” a causa delle reazioni di Maillard”. Come commercializza il tutto? “Nonostante l’azienda non sia molto lontano dalla città di Cremona, ho avvertito la necessità di avere un punto vendita nella città stessa. È aperto tutti i giorni tranne la domenica, il lunedì e il venerdì mattina. Inoltre partecipiamo al mercato

rispetto all’assenza di pane “buono” del nord Italia. Quindi prima di intraprendere questa produzione ho frequentato un bravissimo artigiano panificatore, Massimo Grazioli, che mi ha insegnato l’arte della panificazione a lievitazione naturale. La cascina e i terreni li avevo, dovevo concretizzare l’idea, quella di favorire il più possibile la diversificazione delle produzioni aziendali per ricreare e stimolare un’economia agricola, quella che ancora a molti suscita una decisa diffidenza”. Come l’ha messa in pratica? “Il mio scopo era, ed è, quello di produrre alimenti eccellenti ripristinando un equi-

Per questo produco il salame tradizionale cremonese, il pane a lievitazione naturale, le uova da ovaiole libere e le conserve. Per il salame utilizzo esclusivamente suini allevati nella mia azienda allo stato semi-brado. Ciò che fa la differenza nella qualità delle carni non è tanto la razza, quanto la possibilità di questi suini di muoversi liberamente e il fatto che vengono macellati oltre i 12 mesi, ottenendo carne e grasso maturi. Il salame cremonese viene prodotto miscelando alla carne e al grasso sale, pepe e vino rosso in cui è stato in infusione l’aglio. Non lo aggiungo all’impasto per migliorare la

agricolo di Cremona, al Mercato della Terra di Rezzato e Milano.” L’agricoltura così intesa potrebbe quindi avere un futuro? Pare di sì, questo è sottolineato anche dai molti giovani che decidono di intraprendere questa professione, con dedizione, impegno, indebitamento. Una visione lungimirante che, a tempo debito darà i suoi frutti!

Carlo Eugenio Fiorani via Licengo 1 Castelverde (Cr) www.carloeugeniofiorani.it

31


LA NOVITÀ

Gianpiero Terzi (foto Sergio Agazzi)

S

32

Palazzago, nella dimora storica si cena “in famiglia”

e l’atmosfera “di casa” è un carattere evidenziato con orgoglio da tanti locali, alla Locanda dell’Annunciata è un dato di fatto. Già, perché il ristorante inaugurato lo scorso 26 ottobre a Palazzago altro non è che la bella dimora di Gianpiero Terzi, che ha deciso di condividere con un pubblico più ampio la propria passione per la cucina, declinata nel corso della sua vita sia come diletto ai fornelli sia come piacere per la buona tavola. Nella fare questa scelta non ha stravolto gli ambienti per realizzare l’ultima location di tendenza, ma ha puntato su quanto c’era già, trovando una modalità schietta ed efficace per regalare un’esperienza diversa. Le tre sale che ospitano i commensali sono infatti quelle del piano terra dell’abitazione, una villa borghese di campagna che già negli anni Venti era stata un posto di ristoro e ancora prima il convento agostiniano “dell’Annunciata”. Di fronte a spazi divenuti fin troppo grandi, la famiglia, che vi risiede dal 1988, ha preferito “ritirarsi” al piano superiore, lasciando però intatta la propria impronta nell’arredamento, nei quadri, nelle opere d’arte e nei souvenir che ora fanno da scenario al locale. Questo concentrato di personalità e di vissuto si ritrova nella proposta della cucina che, pur essendo studiata e curata, ha un che di sincero e familiare, dato dal mettersi in gioco così apertamente da parte del patron/padrone di casa. Il quale racconta con la stessa franchezza il perché del progetto: «Ho chiuso un anno e mezzo fa la società di segnaletica e comunicazione visiva nella quale sono stato impegnato per 35 anni, ma mi annoiavo a morte – confessa - e così ho rispolverato il vecchio e mai abbandonato pallino della cucina». Nel perseguire questa nuova aspirazione ha trovato una valida alle-

ata nell’amica Silvana Capelli, un antico passato alla “Pergola” e poi una lunga esperienza nel cucinare per gli altri a domicilio. I due si dividono il lavoro ai fornelli e insieme hanno dato vita ad una carta che rispecchia il loro differente retroterra. «Lei è la chef – rimarca Terzi – e si occupa dei piatti più raffinati, anche dal punto di vista estetico, come gli antipasti e soprattutto i dolci, un vero e proprio fiore all’occhiello della proposta, sempre freschi e accompagnati da creme ricercate. I miei piatti sono un po’ più “rozzi”, sono un autodidatta e ho sempre cercato di riprodurre ciò che ricordavo di aver mangiato in casa o nei ristoranti che ho frequentato». «Il risultato finale - spiega - è una proposta che attinge alla tradizione italiana e ai suoi migliori prodotti agroalimentari, spesso scovati personalmente nel corso di viaggi ed escursioni gastronomiche, con un tocco di fantasia messo da noi per continuare a divertirci, per rendere “nostre” le ricette, provando accostamenti e varianti». Nel menù messo a punto per la stagione autunnale ci sono, ad esempio, “Lasagnetta ai carciofi, burrata e pecorino d’Abruzzo” e “Gnocchetti di zucca e ricotta con guanciale e pistacchi” accanto ai più rustici “Minestrone di dieci legumi e cavolo rosso” e “Trippe in brodo”. Tra i secondi, il pesce con i “Turbanti di sogliola con carciofi ed asparagi” e il “Baccalà alla livornese” (il venerdì), e la carne, che spazia dallo stufato di manzo alla provenzale al “Coniglio in concia di senape e birra”, al “Filetto di vitello al prosciutto affumicato e yogurt con porri croccanti”. Tra i secondi c’è sempre anche il piatto del giorno che varia in base all’“ispirazione” dei due cuochi. Il locale è aperto nelle sere di giovedì, venerdì e sabato, mentre riserva le serate del martedì e del mercoledì a gruppi,


dicembre 2013 Gianpiero Terzi, dopo una vita da imprenditore, ha deciso di condividere con un pubblico più ampio la passione per la cucina aprendo nella propria abitazione, una villa di campagna già convento agostiniano, la Locanda dell’Annunciata. La proposta, curata con l’amica-chef Silvana Capelli, esalta la tradizione italiana e “salva” piatti in via di estinzione anche piccoli, che vogliono riunirsi per gustare piatti quasi dimenticati della tradizione italiana. L’elenco è lungo e percorre lo Stivale, dalla cassoeula alla coda alla vaccinara, dal fegato alla veneta al minestrone alla napoletana, e ancora pasta e fagioli, ossobuco, polenta e funghi, polpette al sugo. Il menù si concorda di volta in volta, il prezzo resta fisso: 35 euro per antipasto, primo, secondo e vino. «È una scelta che tiene conto del momento economico – rimarca Terzi – e che a noi consente di ottimizzare l’organizzazione e la gestione. Anche mangiando alla carta, comunque, se non si scelgono vini importanti, non ci si discosta da questa fascia di prezzo, considerando che oggi si ordinano di solito due portate e magari il dolce». Per chi invece vuole qualcosa di più nel bicchiere, la cantina è ben fornita, con la Francia a dividersi lo spazio con le etichette italiane, dominando nelle bollicine e nei vini da meditazione («il cibo francese non mi piace, ma il vino sì!», afferma senza esitazione Terzi). «Il locale può ospitare fino a 40 coperti – prosegue -, ma pensiamo che la nostra dimensione, a regime, sarà al massimo attorno ai 30. Il senso della proposta sta in un’accoglienza diversa dal solito, che comincia dall’ambiente (in questo periodo il calore della casa è enfatizzato dai camini accesi, mentre d’estate si può prendere il fresco in giardino, ndr) e prosegue nella volontà di condividere prima di tutto un modo di intendere la tavola e la convivialità. Un messaggio che mi sembra sia stato già recepito, visto che quasi tutti i clienti si trattengono facilmente fino a mezzanotte». A caratterizzare la Locanda è anche la proposta di mostre ed eventi artistici e culturali, ulteriori occasioni di incontro e di richiamo. Attualmente è ospitata un’esposizione di una quindicina di opere in bronzo di Giancarlo Defendi. Per il resto, Terzi procede con cautela, aspettando di vedere come ingranerà questa sua nuova scommessa su se stesso. Uno sviluppo messo in previsione è quello del bed and breakfast, con una camera già a disposizione e progetti pronti per un eventuale ampliamento. Con tutto il fascino della storica villa di campagna!

Azienda Agricola di Magri Vincenzo Via G.B. Marchesi, 18 24060 Torre De’ Roveri (BG) ITALIA Tel. 035 4528972 - cell. 340 9466001 www.larovere.org - info@larovere.org

PRODUZIONE ETICHETTE DI QUALITà ALLEVAMENTO CINGHIALI

L'

Azienda Agricola "La Rovere" si trova a circa 9 km da Bergamo in una zona collinare immersa nel verde.

è dotata di una cantina costruita nel 2005 attrezzata con sala per l'appassimento di Uva Moscato di Scanzo e di una sala degustazione adibita anche ad attività didattiche; l'azienda rientra infatti nella Rete provinciale e Rete regionale delle Fattorie didattiche. Attualmente l'azienda conduce un vigneto esteso per 7 ettari ed i vitigni sono: Cabernet Sauvignon, Merlot, Moscato di Scanzo, Moscato Giallo, Pinot Grigio e Chardonnay. Le Specialità : - Produzione vino con degustazione gratuita. La nostra produzione è di circa 30.000 bottiglie - Allevamento cinghiali con produzione e vendita di salami di maiale e cinghiale.

Regala il meglio delle feste... Scegli i cesti firmati “La Rovere” Da noi trovi un ricco assortimento di confezioni e cesti natalizi contenenti prodotti tipici gastronomici di sclusiva qualità

Locanda dell’Annunciata via Annunciata, 20 - Palazzago (Bg) tel. 035 551099 - 348 4427426 aperto la sera da martedì a sabato, dalle ore 20 www.locandadellannunciata.it - info@locandadellannunciata.it Locanda dell’Annunciata

33


UN DOLCE PER BERGAMO

UNDICI PASTICCIERI ALLEATI, COSÌ NASCE "M'ORO" L’idea era quella di un nuovo dolce che rappresentasse Bergamo e, per questo, undici amici pasticceri bergamaschi si sono consorziati per dare vita a “M’oro”. La forma, un mattoncino, richiama le Mura di Città Alta, mentre il nome evoca, oltre alla M di mura, l’oro (il dolce ha le sembianze di un lingotto e si presenta avvolto da carta dorata) e il Moro di Venezia, retaggio della dominazione lagunare sulla nostra città. “M’oro” è un dolce composto da farina di nocciole, farina di mais e frumento con l’aggiunta di cioccolato fondente. Al centro presenta un leggero strato di pasta di mandorle unito a pasta morbida gianduia e accompagnato da una leggera nota di rum.

VittOrio All’aeroporto di Bergamo aperto il Vicook Bistrot. La firma? Dei Cerea È attivo da poche settimane e, grazie alla sua presenza, l’aeroporto di Orio può vantare una preziosa attrazione gastronomica. Con l’apertura di Vicook Bistrot, nella zona accessibile a tutti, prima degli imbarchi, è entrato in “pista” nientepopodimeno che il tristellato “Da Vittorio”, con un bistrot gourmet dallo stile metropolitano e raffinato. Chicco Cerea, chef e patron del pluripremiato ristorante di Brusaporto, la definisce «un’osteria di cucina contemporanea al passo coi tempi, dove i piatti dell’eccellenza italiana incontrano gli stimoli più intriganti della cucina internazionale». Il menù è stato organizzato per viaggi gastronomici - tra Gite veloci, Viaggi in Italia e Scappate all’estero - e garantisce la genuina qualità delle materie prime e dei piatti, in linea con la filosofia di Vittorio. Si mangia bene a prezzi modici. Al riguardo, Chicco Cerea precisa: «Sedici euro sono sufficienti per un piatto unico che è già un pasto completo, compresi dolce, acqua e caffè. Scegliendo dalla carta più portate si può arrivare al doppio, non di più». Si aggiungono a tutto questo l’operatività no stop dalle 11 alle 23, sette giorni su sette. A disposizione di chi viaggia per affari, Vicook Bistrot offre anche una private room, mentre per chi transita da Orio in compagnia dei propri bambini può contare su un’area a loro appositamente dedicata. E per chi accede con l’auto all’aeroporto nella zona a sosta temporanea e spende almeno dodici euro al Bistrot, il parcheggio è gratuito, fino a due ore di sosta.

34


dicembre 2013

IL RICORDO di Pier Carlo Capozzi

Ciao Perego, il mondo del vino perde un venditore di razza Marco Perego, scomparso a 59 anni

N

essun necrologio, ma la parrocchia di San Paolo è affollata lo stesso. Marco Perego non c’è più, se l’è portato via il solito male dopo quasi cinque anni di speranze e c’è un sacco di gente venuta a salutarlo. Marco era uno specialissimo rappresentante di vini. Entrava nel tuo locale e, da quel momento, non ne usciva più. Lasciava dietro di sé quel gradevole profumo di persona perbene, appassionato del suo lavoro, competente, preciso, puntualissimo. Non sgarrava un ordine e, che mi risulti, non sbagliava mai un’etichetta. Non aveva precisamente un carattere malleabile, ma per i suoi clienti si sarebbe buttato nel fuoco. Marco è stata una delle persone più generose che abbia mai incontrato. Di quella generosità sottotraccia, da non esibire, concreta, sulla quale contare ad occhi chiusi. La folla di amici e clienti ascolta commossa la splendida omelia di monsignor Alessandro Locatelli, che si conclude col saluto tanto caro a Marco: “Ciao, crapa de amaròt”. C’è uno sventolìo di fazzoletti. L’amaròt è il verdone, un uccellino, e l’espressione fotografa una persona caparbia, dalla testa dura. Ma in bocca a Marco, il più delle volte, era un complimento straordinario.

Suo nonno Alessandro, capostipite dell’azienda, apre nel 1951 un deposito a Ponteranica: si commerciavano i vini pugliesi più decisi, dal Manduria allo Squinzano, e presto diede il suo contributo anche Pasquale, figlio finanziere e padre di Alfredo, Sandro, Marco e Maurizio. Dopo la nascita del secondogenito, a mamma Perego sarebbe piaciuta una femmina: arrivarono due gemelli maschi. Tra tutti è Marco ad appassionarsi nel lavoro di famiglia e, dopo una parentesi a vendere formaggi, lo troviamo nel 1972 come il più giovane rappresentante della Francoli di Ghemme (grappe, distillati e vini di qualità). Vedendo poi che le cose andavano bene, decise di allargare l’orizzonte anche ad altre etichette, portando la Fratelli Perego prima a Mozzo e, negli ultimi anni, ad Almè. Nel frattempo, siamo a settembre del 1976, conosce Danila davanti ad un piatto di gnocchi al gorgonzola. “Mi avevano appena assunta in banca - ricorda lei - e, dopo cena, mi chiese di fare una passeggiata in Piazza Vecchia. Lì mi prese la mano, era un omaccione, ma lo fece con una tenerezza che mi sentii protetta da subito. Ci sposammo nel 1980 e l’anno dopo nacque Isabella.”

Marco ha rappresentato e spesso fatto conoscere, oltre a Francoli, innumerevoli altre case prestigiose: citiamo, nel mucchio, Rocca delle Macìe, Pasini, Bonaldi, Coppo, Prà, Tramin, Monte delle Vigne, Astoria e Barone Ricasoli. Ora il comando dell'azienda è nelle mani della figlia Isabella, tirata su dal Perego con tenerezza travestita da rigore, occhi bellissimi e una volontà di ferro: ha ereditato la passionaccia del padre al quale è riuscita, da poco più di un anno, a fare il regalo più bello: un nipotino col suo stesso nome. Marco, per quattro giorni, non è riuscito a tagliare il traguardo dei 59 anni, lasciando così da solo il gemello Maurizio. E le sue donne coraggiose, Danila e Isabella. Non si faceva fatica a volergli bene, bastava essere sinceri e diretti come lui. Nella chiesa di San Paolo, arrivati a mattina buon’ora, c’erano tre fratelli Francoli ed Enrico, il figlio di Augusto, il quarto fratello che era stato un po’ il padre putativo di Marco, nella vita e sul lavoro, e che a quest’ora avrà già riabbracciato. Tanto per dire i rapporti che questa “crapa” era capace di stringere. Ci restano ricordi bellissimi ed un incontenibile rimpianto. Un peccato davvero che l’amaròt sia volato via così in fretta.

35


QUANDO MANGIARE DIVENTA UN PIACERE Il nostro intento è quello di creare un ristorante fuori dagli schemi tradizionali. Il cliente è al centro delle nostre attenzioni in un ambiente luminoso tranquillo e riservato. Le nostre proposte sono per un pranzo di lavoro a prezzo fisso. La cena si trasforma in un momento intimo, dove gli ospiti godranno di un’atmosfera rilassata. Le proposte della cucina sono rivolte ai piatti della tradizione del territorio, e la rivisitazione di quelli regionali. La cantina offre un vasto assortimento di pregiati vini con proposte di abbinamento per esaltare i cibi. La carta dei dolci prevede una vasta ed esclusiva proposta per coccolare il fine pasto.

Si organizzano accurate cene aziendali, feste private e cerimonie Pranzi di lavoro dal martedì al venerdì - cene dal martedì al sabato chiusura domenica e lunedì

Osteria Dei CuochiDisperati via Giacomo Venezian, 6 - Seriate (Bg) - tel. 035 5290826 www.osteriadeicuochidisperati.it - info@osteriadeicuochidisperati.it


dicembre 2013

L'INDAGINE

Il caffè, questo sconosciuto

M

a è vero o no che quando l’espresso è buono tiene a galla lo zucchero? Pare che la risposta, come per molte altre annose questioni, sia un “sì, ma”: lo zucchero, secondo diversi esperti, deve rimanere un poco sospeso sopra una crema di giusto spessore, elastica quanto basta, e il foro creato dopo l’azione del cucchiaino deve richiudersi velocemente. Così non la pensa, comunque, quasi il 70% di consumatori facenti parte del campione intervistato dalla società "Apertamente" per conto dell’Istituto Internazionale Assaggiatori, in collaborazione con la rivista on-line Coffee Taster. La ricerca, condotta al telefono durante tutto il primo semestre 2013 su un campione di 180 adulti di entrambi i sessi distribuiti sul territorio nazionale, ha raccolto dati sulle abitudini, conoscenze e preferenze rispetto a questa tipica bevanda calda che gli italiani considerano di loro proprietà, con l’intento di verificare se ci sia spazio per un eventuale salto di qualità verso un consumo più consapevole, caratterizzato da un’attenzione maggiore alle caratteristiche del prodotto, anche a costo di pagare un prezzo lievemente maggiorato rispetto allo standard. Ma le indicazioni non vanno in questa direzione. Se è vero, infatti, che emerge una minoranza più evoluta, la quota più consistente delinea un consumo un po’ meccanico, abitudinario, di chi forse non sa riconoscere la qualità e non mostra, in ogni caso, un particolare interesse a gustare prodotti migliori. Il caffè viene consumato dal 78% degli intervistati, mentre il resto opta per altre bevande calde al bar fra caffè d’orzo, ginseng e altro ancora, quota che sale al 91% se vengono considerati solamente i maschi. Si può quindi certamente parlare di un consumo molto ampio e generalizzato. Il 69% del totale non pensa che il caffè sia di migliore qualità se tiene a galla lo zucchero e dimostra, quindi, una scarsa conoscenza dell’abc dell’espresso fatto a regola d’arte. L’86% degli intervistati non consuma a casa cialde e capsule, dato che ha un po’ sorpreso i ricercatori, visto che apparentemente le mac-

Un’indagine ha messo in luce un consumo abitudinario e poco attento alla qualità dell’espresso al bar. Ma c’è chi è disposto a pagare qualcosa in più per un prodotto migliore

chine casalinghe sembrano essere arrivate dappertutto. La stragrande maggioranza del campione (88%) ammette la propria ignoranza sull’esistenza del caffè monorigine, cioè del caffè proveniente da un’unica regione geografica, e fra quel 12% di consumatori più consapevoli spopola la qualità arabica, seguita a una certa distanza dalla robusta, sostanzialmente esaurendo con le due varietà principali le conoscenze sul monorigine. Il 75% degli intervistati non intende pagare di più un caffè migliore, ma secondo i ricercatori il 25% di possibilisti è una quota interessante. Fra questi la stragrande maggioranza sborserebbe qualcosa in più “per un caffè davvero buono al gusto” (64%) e “di alta qualità” (31%), evidenziando, secondo i curatori dell’indagine, motivazioni un po’ generiche che confermerebbero la scarsa conoscenza del mondo del caffè e quindi l’impossibilità di citare altri indicatori di eventuale eccellenza come, per esempio, la consistenza e il colore della crema, la giusta temperatura e il flavour, ossia la ricchezza e la corposità del gusto. Così non sorprende che la scelta del bar avvenga in genere per comodità e abitudine: il 18% beve l’espresso sotto casa, il 12% in un bar lungo il tragitto, il 13% sotto l’ufficio, il 5% dove capita. C’è però anche un 14% che beve il caffè in un bar che lo fa buono e l’11% che va alla scoperta di bar consigliati da amici. Interpellata sull’eventuale miglioramento nel tempo della qualità del caffè del bar, la maggioranza degli intervistati non si mostra in grado di valutare il trend, posizione confermata anche per la successiva domanda focalizzata sull’evoluzione negli ultimi 5 anni. In questo caso la maggioranza (il 74%) ritiene che il caffè non sia né migliorato, né peggiorato e un 15% opta per un generale peggioramento. Idee più chiare sulla qualità del caffè bevuto al ristorante, che il 59% degli intervistati ritiene peggiore rispetto al bar, forse per i ben noti problemi legati al minor utilizzo delle macchine o semplicemente alla minore vocazione del ristoratore.

37





Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.