Affari di gola dicembre 2014

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Supplemento al n. 46 de “La Rassegna” del 18 dicembre 2014 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. - via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60

dicembre 2014

La “guerra” del Salame Bergamasco

Tensioni sull’Igp tra aziende produttrici e agricoltori


ALIMENTARI MORETTI Qualità e convenienza per mense e ristoranti Consegne rapide e personalizzate. Prodotti freschi, surgelati e biologici, dall’antipasto al dessert SEDE DI CURNO (BERGAMO) Via Bergamo 46 - 24035 Curno (BG) Tel. 035/462861 Fax 035/461151 - 035/618627 infobergamo@alimentarimoretti.it FILIALE DI CILIVERGHE DI MAZZANO (BRESCIA) Via Padana Superiore 86-88 25080 Ciliverghe di Mazzano (BS) Tel. 030/2620217 - 030/2620820 Fax 030/2120215 infobrescia@alimentarimoretti.it

Buon Natale www.alimentarimoretti.it


DICEMBRE 2014 / GENNAIO 2015

SOMMARIO www.affaridigola.it

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PENNA NATALIZIA L'incredibile Vigilia di Giuseppe

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LA POLEMICA Salame Bergamasco, l'Igp della discordia

10 IL PRODOTTO Olio extravergine d'oliva, produzione a picco

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13 TRADIZIONI Quando Bergamo era terra di ulivi Anche Petrarca se ne fece inviare uno

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Raspelli:"Un vino da scoprire? Il Valcalepio"

16 TENDENZE Attrezzature, le scelte dei ristoratori ai tempi della crisi

24 IL PREZZO FISSO La Faraona, dopo tre generazioni il timone passa al giovane chef

30 MESTIERI La pizza d'asporto vuole fare il salto di qualità Casillo: «Ma ai pizzaioli manca l'umiltà»

32 FACECOOK

«Alle Cayman? Ho portato la mia cucina»

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg



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L’incredibile Vigilia di Giuseppe

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eniva giù a larghe falde, la neve, e ormai tutto Colle Aperto era perfettamente imbiancato. Il filobus lasciava, al passaggio, due solchi come due rotaie, mentre affrontava la salita, e i piccoli cumuli bianchi sopra i fili, al suo passaggio, cadevano inevitabilmente come tante stelle filanti. Giuseppe, avvolto nel suo montgomery, tirava giù la serranda su un’altra giornata infruttuosa. Non è che i clienti mancassero, nel suo locale, ma nonostante tutti gli sforzi, suoi e della moglie, che lui chiamava con affetto Topolino, il cassetto sembrava piangere in continuazione. Forse s’erano imbarcati in un’impresa più impegnativa del previsto, ma il loro gelato non aveva nulla da invidiare a quello del più famoso dirimpettaio, lo stesso ristorante sfornava piatti discreti e, talvolta, si riusciva ad affittare anche qualche camera al piano di sopra. E poi c’era la compagnia dei vitelloni, quelli che tiravano notte con poche consumazioni, ma facevano tanta compagnia. L’unica, imprescindibile condizione era che non alzassero troppo la voce nella foga della scala a quaranta: Topolino doveva mettere a nanna il piccolo, nato da poco, e Giuseppe non tollerava disturbi alla quiete familiare. A cena si allungava solitamente il brodo, si mangiava tanta insalata e si apriva spesso la carne in scatola. Nel vano sopra il ristorante, una warm-morning scaldava l’appartamento di famiglia: una stanza matrimoniale, una stanzetta singola e un bagno piccolissimo. Nel letto grande dormivano la mamma e i due ragazzi, nel singolo Giuseppe, anche perché aveva orari diversi dal resto della banda. Una volta, giusto per movimentare un po’ gli affari, nella sala ristorante si organizzò un incontro di boxe, con le corde tenute franche dai tavolini e un mestolo con coperchio a fare da gong. Ma era davvero dura, tanto che, per ridurre i costi al minimo, spesso si faceva un salto dall’Enea, il salumiere, anche per un paio di etti di prosciutto crudo. All’ultimo momento. Giuseppe le aveva tentate tutte, anche di chiedere lo spostamento del capolinea del filobus davanti al suo locale, nella speranza di toglierne qualcuno alla gelateria dall’altra parte della porta, regina incontrastata di tutto lo slargo panoramico. Ma, ovviamente, la richiesta non ebbe parere positivo. Così si chiudeva baracca anche quella sera, che non era sta-

ta allietata da “Lascia o raddoppia”, quando il bar si affollava perché in quegli anni, di televisori nelle case, non ce n’erano granché. Niente Mike Bongiorno e niente, di conseguenza, incremento dell’incasso a botte di caffè, amari e grappini. La neve sembrava scendere con rinnovata allegria, incurante dei guai economici di chi la stava prendendo tutta, bagnandosi anche il montgomery. Per rifornire la warm-morning senza eccessivi esborsi, Giuseppe aveva escogitato un personalissimo combustibile, formato da palle di carta di giornale bagnate e pressate nell’attesa di asciugarsi. Funzionavano alla grande. O meglio, sembrava che facessero caldo come quintali di carbone. Domani sarebbe stata la vigilia di Natale e Giuseppe non aveva granché da regalare ai suoi due ragazzi. Che, comunque, avevano avuto una discreta Santa Lucia che, proprio per essere stata discreta, aveva prosciugato il portafoglio del babbo. Gli sarebbe piaciuto affiancare ai pochi giocattoli del 13 dicembre un po’ di buone cose dolci, di quelle che si vedevano al di là delle vetrine appannate, ma che restavano sempre a debita distanza. “Capiranno” - bisbigliò tra sé e salì in casa dove Topolino l’aspettava e dove l’aiutò a scrollarsi la neve di dosso. Nonostante tutto, la notte di Giuseppe trascorse serena, tanto che gli apparvero in sogno il papà camionista e il nonno bottaio, gente tosta e generosa, che gli raccomandarono di tener duro perché il brutto, prima o poi, è destinato a finire. Ritirando su la serranda, la mattina dopo, quella della Vigilia, Giuseppe restò senza parole. Davanti all’ingresso, appoggiato per terra, c’era un sacco di juta rossa chiuso da un fiocco dorato. Si guardò in giro, ma non c’era anima viva. Quindi il destinatario non poteva che essere lui. Anzi, tutta la sua famiglia, come scritto sul cartellino che fungeva da chiudipacco. Portò il sacco all’interno e lo aprì, vinto dalla curiosità. C’era un panettone enorme in una specie di cappelliera. E poi torroni al cioccolato, all’arancio, al pistacchio e alla vaniglia. Una quantità imbarazzante di cioccolatini e buonissime caramelle. Due bottiglie di Moscato di marca. Giuseppe ebbe un lampo e si precipitò di nuovo fuori. Fece appena in tempo a vedere il padrone della gelateria, il suo acerrimo concorrente, che rientrava trafelato nel suo locale. Non prima di avergli mandato un saluto veloce con la mano. piercapozzi@libero.it

PENNA NATALIZIA

di Pier Carlo Capozzi

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LA POLEMICA di Anna Facci

Salame Bergamasco, l’Igp della discordia Il marchio di tutela europeo chiesto da nove salumifici orobici non piace alla Coldiretti. Al centro del contendere l’origine delle carni, che possono anche non essere locali

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l salame della tradizione che tanto piace ai bergamaschi sta preparando le credenziali per incontrare la platea internazionale dei visitatori di Expo, trampolino di lancio per ritagliarsi uno spazio sui mercati esteri. È con questo obiettivo che nove salumifici orobici, riuniti dal 2006 nell’Associazione per la valorizzazione del Salame Bergamasco, si sono messi in moto per ottenere dall’Europa il marchio di tutela Igp – Indicazione geografica protetta, percorso che, dopo i passaggi burocratici e gli aggiustamenti richiesti, potrebbe presto raggiungere il suo primo traguardo. Scadono infatti a dicembre i 90 giorni entro i quali il ministero delle Politiche agricole deve far pervenire le proprie osservazioni al disciplinare e nel caso non fossero previste ulteriori modifiche scatterebbe la tutela transitoria che permette già di produrre “a marchio” in attesa del via libera de-

I promotori dell’Igp

Chiesa: «Non abbiamo più i suini delle cascine, ma possiamo tutelare la preparazione tradizionale» Sul tema al centro del contendere Luca Chiesa, presidente dell’Associazione per la valorizzazione del Salame Bergamasco nonché amministratore delegato del salumificio Ibs di Azzano San Paolo, è chiaro: «I suini allevati in Bergamasca non hanno caratteristiche specifiche che li distinguano da altri, non possiamo dire all’Europa, ad esempio, che sono alimentati con mangimi particolari o che crescono in montagna – dichiara -. Il principio alla base delle regolamentazioni comunitarie è quello di favorire la libertà di accesso e le limitazioni, se non giustificate, vengono bocciate: il contesto in cui siamo chiamati ad operare è questo, non c’è storia, dovremmo tutti farcene una ragione». Secondo i salumifici, la nostra provincia non può quindi vantare dal punto di vista delle carni suine peculiarità

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tali da rendere ammissibile un restringimento di campo: «Questo è anche il motivo per cui non è stato intrapreso il percorso della Dop (più restrittiva sull’origine delle materie prime ndr.)», risponde Chiesa a precisa domanda. Bergamo può però puntare al riconoscimento della propria tradizione. «Non basta dire che il nostro salame è il migliore – rimarca - , magari piace anche ai buyer, ma senza un marchio che lo certifichi agli occhi del consumatore finale resta invisibile, uno tra i milioni di prodotti che vogliono farsi conoscere sui mercati esteri. Abbiamo intrapreso l’iter per la Denominazione perché, da imprese che guardano con interesse all’internazionalizzazione, abbiamo potuto verificare di persona che per avere delle chance occorre offrire delle garanzie di qualità riconosciute». Un impegno, insomma, per fare un sal-

to di qualità, che ha invece suscitato un giudizio opposto. «La reazione della Coldiretti mi stupisce davvero – commenta Chiesa -. La nostra è un’inizia-

Luca Chiesa


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La Coldiretti

finitivo di Bruxelles. Dopo i formaggi, per i quali la Bergamasca vanta il più alto numero (nove) di Dop in Italia, il territorio potrebbe così annoverare anche un salume tipico a Denominazione, arricchendo il paniere delle specialità riconosciute giusto in tempo per l’esposizione milanese. Un bel colpo per il nostro sistema agroalimentare? Proprio non la pensa così la Coldiretti che contesta ai salumifici di non aver previsto nel disciplinare l’utilizzo esclusivo di suini allevati in Bergamasca, tagliando di fatto fuori gli allevatori dai vantaggi che può portare un marchio comunitario. «Un Salame Bergamasco che non sarebbe fatto con carni bergamasche» è quello che l’associazione degli agricoltori indica come autentico paradosso. È davvero così o il disciplinare è, come sostiene l’altro fronte, quanto al momento la Bergamasca può sperare di ottenere confrontandosi con le regole del mercato europeo? Vi lasciamo al dibattito, che di certo ha aggiunto una buona dose di pepe al goloso impasto del re dei nostri salumi.

tiva che dovrebbe essere applaudita e sostenuta da tutto il territorio e non essere utilizzata per fare polemica, con il solo risultato di confondere le idee a chi già il salame bergamasco lo apprezza e lo acquista. È un fatto positivo (o mi sbaglio?) che nove aziende abbiano deciso di collaborare per valorizzare un prodotto tradizionale al di fuori dei confini di Bergamo. E lo fanno assumendosi i costi che l’Igp, con le procedure e i controlli relativi, comporta, convinti dell’importanza di offrire ai consumatori la garanzia che si produce come si dichiara». Il progetto dei salumifici è, si può dire, l’evoluzione del disciplinare del salame della Bergamasca del marchio “Bergamo Città dei Mille... sapori”, promosso dalla Camera di Commercio già dal 1997. «È stato un importante passo di avvicinamento – rileva Chiesa -, perché ha riunito i produttori di salumi nella definizione di standard univoci e li visti accettare volontariamente i controlli di un organismo indipendente di certificazione. In pratica, il salame per il quale chiediamo l’Igp è quello della tradizione bergamasca che già facciamo e siamo pronti per un aumento della produzione, parliamo di almeno 300 quintali, capace di proporsi in maniera significativa sui nuovi mercati». Però potrebbe essere fatto con carni provenienti dall’estero. «È vero, il disciplinare non lo esclude – ammette Chiesa -, ma per rispettarne i criteri un allevatore straniero dovrebbe acquistare un maiale italiano e allevarlo fino al peso di 160 chili, eventualità piuttosto difficile perché fuori dal nostro Paese è consuetudine macellare attorno ai 120-130 chili. Il dato di fatto è che non abbiamo più i suini delle cascine

«Così non c’è nessun vantaggio per il territorio» «Nel disciplinare del salame bergamasco Igp non c’è il legame tra le carni trasformate e l’allevamento sul territorio», evidenzia il presidente della Coldiretti provinciale Alberto Brivio, che ha anche scritto all’assessore regionale all’Agricoltura Gianni Fava per segnalare la questione e chiedere un intervento. «L’ho fatto – spiega – perché, così come è formulato, il marchio di tutela non avrà alcuna ricaduta sul sistema agricolo bergamasco, ma porterà vantaggi ad un solo anello della filiera, quello dei salumifici». Secondo il presidente, l’allevamento suinicolo in Bergamasca ha invece tutte le carte in regola per fornire la materia prima ai trasformatori e giustificare

di una volta, ma possiamo tutelare la preparazione tradizionale – ribadisce -. Nel Salame Bergamasco Igp si usano tutte le parti pregiate del maiale, compreso il prosciutto, sono previsti l’impiego del vino Valcalepio, capace di caratterizzare il prodotto con una nota aromatica e una fermentazione molto particolari, e poi l’utilizzo del budello naturale, la legatura a mano e la lunga maturazione. Non sono presenti agenti particolari né derivati del latte». I produttori sono convinti che sia un salume in grado di conquistare i palati internazionali. «Al gusto è vincente – afferma il presidente dell’Associazione – per il profumo di vino, l’aromatizzazione dolce, la macina grossa. È inoltre altamente digeribile, non contiene allergeni, è stabile e sicuro. Il nostro target è l’estero, in particolare la fascia premium, quei consumatori cioè che, in controtendenza rispetto alla standardizzazione del gusto, apprezzano le differenze e comprendono il valore della tradizione». L’Igp apre le porte a progetti di promozione più ampi, attingendo ai programmi per il rafforzamento delle Denominazioni, ma il primo treno da prendere è quello dell’Expo in vista del quale l’Associazione per la valorizzazione del Salame Bergamasco ha già pronte due manifestazioni, una su Bergamo, l’altra itinerante in Europa, da sfoderare non appena arrivi l’approvazione del disciplinare. E gli allevatori di suini bergamaschi resteranno a bocca asciutta? «Alla Coldiretti abbiamo proposto un accordo a lato del disciplinare per valorizzare la produzione locale ma al momento non abbiamo ancora sentito nessuno», dice Chiesa.

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LA POLEMICA

una scelta più restrittiva sull’origine delle carni nel disciplinare. «Abbiamo la qualità e la sicurezza certificate dai controlli e apprezzate dai circuito del Parma e San Daniele e pure le quantità – rileva -. Gli oltre 200mila posti, che significano 300mila capi allevati all’anno, danno la possibilità di produrre circa 30 milioni di salami, che non mi sembra davvero poco. Non può essere nemmeno una questione di prezzi, dato che sono quelli che si definiscono sul mercato nazionale. Senza contare che l’utilizzo di suini allevati sul territorio non porterebbe benefici solo al sistema allevatoriale bergamasco ma anche all’indotto che si svilupperebbe in conseguenza». Secondo Brivio, «un maggiore legame con il territorio sarebbe stato possibile anche all’interno di una Denominazione a maglie più larghe come l’Igp». «Non mi risulta affatto – afferma - che sia vietato di indicare nel disciplinare Igp la zona di origine dei suini, ci sono infatti disciplinari di produzione di altri salumi Igp che riportano chiaramente questa indicazione. Diversamente, il marchio di tutela diventa quasi una beffa per il consumatore che immagina di comprare il prodotto di una precisa zona e poi scopre che la materia prima è di tutt’altra provenienza». «A portare chiarezza servirebbe l’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle carni – riflette -, ma non è previsto, non è un valore che l’Europa riconosce e

Il presidente provinciale della Coldiretti, Alberto Brivio

Brivio: «Qualità, sicurezza e quantità: la Bergamasca ha tutte le carte in regola per fornire la materia prima ai trasformatori»

I norcini: «Si poteva puntare più in alto» La polemica sul Salame Bergamasco ha alimentato anche il dibattito all’interno dell’Associazione Norcini, realtà che ha rilanciato l’arte della salumeria con grande successo, realizzando dal 2010 sette corsi di formazione base che hanno diplomato 380 persone, soprattutto giovani appassionati, col desiderio di tenere viva la tradizione. «Chi segue i nostri corsi – dice il presidente Paolo Luisoni – alleva e lavora qualche maiale per sé o cerca una qualificazione per trovare un’occupazione in un salumificio, non siamo perciò direttamente coinvolti dalla querelle sull’Igp, ma l’abbiamo seguita con interesse. Cosa ne pensiamo? Il salame bergamasco è fatto con tutte le parti nobili del maiale, pancetta, spalla, coppa, coscia e lonza e se il disciplinare prevede questo si può dire che sia rispettata la caratteristica principale del prodotto. È logico poi che l’industria ha esigenze diverse dal produttore artigianale o amatoriale. I salumifici hanno indicato l’im-

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piego di maiali di almeno nove mesi e un peso vivo di 160 chili, mentre noi utilizziamo capi più pesanti, di 180-190 chili di peso morto e almeno tre mesi in più, per l’industria non è conveniente perché aumenta lo scarto, ma la carne è più asciutta, più matura, più ricca di zuccheri e proteine e cala meno di peso. Anche i tempi e i metodi di stagionatu-

Paolo Luisoni è il presidente dell’Associazione Norcini Bergamaschi

ra sono diversi, ma tutte le differenze dipendono, in fondo, dalle scelte commerciali». I norcini pensano però che si poteva puntare più in alto. «Ormai si sa che l’Igp garantisce solo alcune fasi del processo – rileva Gualtiero Borella, referente della formazione dell’Associazione Norcini – e non è sufficiente per rappresentare un’eccellenza, la Dop avrebbe dato al prodotto un’immagine ben più forte e c’erano anche i presupposti per intraprendere questo tipo di percorso perché si è realizzata sul territorio anche la condizione mancante, ossia la presenza di un macello industriale indipendente, e anche sull’origine delle carni si poteva pensare a qualche soluzione che salvaguardasse maggiormente il legame con il territorio e la qualità. Si può scegliere di fare prodotti di massa o di nicchia, noi sposiamo la strada dell’eccellenza, che se si vuole si può realizzare ed è il miglior richiamo, ma deve avere la garanzia di qualità altissima».


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questo ci ricorda ancora una volta la nostra fatica ad accettare certe visioni». Brivio tiene anche a precisare che di contatti tra Coldiretti e salumifici ce ne sono stati: «Ai tempi non ero presidente, ma ci sono i documenti che testimoniano un incontro già nel 2005», ricorda, sottolineando poi come la mancata costruzione di un percorso condiviso non solo abbia privato gli allevatori bergamaschi di un’opportunità («e i tempi non sono certo felici perché i prezzi di mercato non permettono quasi di coprire le spese di produzione»), ma rappresenti anche un ostacolo per chi produce il salame bergamasco con le carni nostrane: «Sono soprattutto piccole realtà – chiarisce il presidente -, che da sole dovranno fare uno sforzo supplementare per comunicare la differenza dei propri salami rispetto ai prodotti Igp. Dispiace che nel disciplinare – segnala come triste contraddizione - si richiami la tradizione citando addirittura la sequenza della macellazione dell’Albero degli zoccoli, dimenticando però che quel maiale era stato allevato in una cascina bergamasca!». La porta del dialogo resta aperta: «Siamo sempre disponibili al confronto, la nostra sede è la stessa da trent’anni, se lo si vuole, si sa dove trovarci», butta lì il presidente.

Le aziende del progetto Igp Sono nove i salumifici che, riuniti nell’Associazione per la valorizzazione del Salame Bergamasco, hanno intrapreso l’iter per l’Igp: Salumificio Alborghetti (Ambivere), Salumificio Azzola (Torre de’ Roveri), Salumificio Bonalumi (Mozzo), Salumi Bortolotti (Cene), Effesalumi (Nibionno – Lecco, con unità produttiva a Cividino di Castelli Calepio), Ditta Gamba (Villa d’Almè), Ibs (Azzano San Paolo), Salumificio Pizzetti (Covo), Fratelli Rizzi (Ghisalba).

Il disciplinare in sintesi Forma cilindrica, ricoperto da muffe uniformi di colore bianco, bianco/grigio fino al verde più o meno intenso, sviluppatesi in modo naturale durante la stagionatura. Peso compreso tra 900 e 1.600 grammi, diametro tra 60 e 90 millimetri, lunghezza tra 25 e 45 centimetri. Sono le caratteristiche morfologiche del Salame Bergamasco secondo il disciplinare Igp. La zona di produzione si identifica con il territorio amministrativo della Provincia di Bergamo. Le razze di suini ammessi si rifanno al Libro Genalogico Italiano, l’età minima di macellazione è di nove mesi, il peso medio per partita (peso vivo) è fissato in 160 chilogrammi (più o meno 10%). I tagli che finiscono nell’insaccato sono coscia e/o trito di coscia, spalla, sottogola e/o pancettone senza grasso molle ed, eventualmente, coppa. L’impasto è costituito in percentuale tra il 72 e l’82% da parte magra, ovvero spalla e coscia (che deve rappresentare minimo il 20% della proporzione originale) ed eventualmente coppa e da materia grassa (esclusivamente sottogola e/o pancettone) tra il 18 e il 28%. Il vino rosso prescritto è il Valcalepio Doc, gli altri ingredienti d’obbligo sono sale marino, aglio e pepe nero macinato a mezza grana. Possono essere utilizzati altre spezie e zuccheri, secondo percentuali indicate, colture di avviamento alla fermentazione e nitrato di potassio e/o nitrito di sodio, ascorbato di sodio e/o acido ascorbico nei limiti di legge. L’insacco è in budelli naturali di suino, la legatura viene fatta a mano con spago di lino o canapa. La stagionatura non può essere inferiore ai 40 giorni. Se la stagionatura minima si protrae oltre i 60 giorni, il Salame Bergamasco Igp può essere accompagnato dalla qualificazione accessoria “Riserva”. Il disciplinare definisce anche il logo dell’Igp, quello riportato qui sopra.

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IL PRODOTTO di Giordana Talamona

Olio extravergine d'oliva, produzione a picco Tra clima e parassiti, quest'anno in Lombardia il calo ha toccato il 50%. Per la prima volta è apparsa anche la lebbra delle olive. Zanelli (Aipol): "È dalla gelata dell'85 che non si registravano dati tanto bassi”

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l 2014 verrà ricordato come l'annus horribilis dell'olio extravergine d'oliva italiano. Coldiretti ha stimato che a causa dell’andamento climatico il raccolto di quest'anno subirà una contrazione tra il 35 e il 50 per cento al centro nord, con picchi in Toscana e Umbria, con qualche calo sensibile anche nel sud, come in alcune zone della Puglia e della Calabria. Il rischio è che in una situazione del genere, dove il consumo di olio nell'Ue si attesta mediamente attorno a 1,85 milioni di tonnellate, ci possa essere l'invasione di produzioni provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente che non sempre hanno gli stessi requisiti qualitativi e di sicurezza di quelli nostrani. Un rischio che riguarda soprattutto l’Italia che è il principale importatore mondiale

di olio per un quantitativo pari a 460mila tonnellate. Per tutelare i consumatori italiani dall'utilizzo fraudolento del marchio made in Italy, occorrebbe applicare in fretta le modifiche restrittive alla disciplina introdotta dalla legge salva olio del febbraio 2013, che contiene misure di contrasto frodi e di valorizzazione della produzione italiana, e che - tanto per cambiare - è bloccata dall'elefantiasi burocratica e da alcune lobby nazionali ed europee. Leggere attentamente l'etichetta sarà un buon modo, quindi, per verificare la provenienza delle olive, anche se fin troppo spesso la scritta “100% olio italiano” o “ottenuto da miscela di olio comunitari od extracomunitari” sono riportate con caratteri troppo minuscoli per balzare subito

Le testimonianze

"Le malattie hanno inciso sulla qualità". Ma c'è chi è

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Nadia e Elisa Turelli

Annata difficile anche per Nadia Turelli dell'azienda agricola Leonardo di Sale Marasino, che dal 2004 produce olio extravergine d'oliva della Dop Laghi Lombardi Sebino. “Quest'anno abbiamo prodotto meno della metà, appena 6 quintali spiega Turelli -. Mai vista un'annata tanto difficile da quando abbiamo l'azienda, tanto più che essendo certificati come biologici abbiamo dovuto fare delle scelte ragionate. Viste le condizioni climatiche avverse abbiamo trattato pochissimo, perché ci siamo resi conto che non avremmo comunque salvato l'intero raccolto e l'idea di usare dei prodotti di sintesi è fuori dalla nostra filosofia”. Un bel danno per un'azienda agricola interamente ecosostenibile, con 1.200 olivi delle cultivar Frantoio, Leccino e Pendolino. “L'inverno è stato troppo


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agli occhi. Senza contare che secondo quanto riportato al Post da Luigi Caricato, giornalista e oleologo, “nel sud dell’Italia è presente un mercato nero delle olive: le olive vengono vendute nelle regioni con una forte carenza produttiva, per poi diventare olio di cui non sarà evidenziata l’origine pugliese, per esempio. È un fenomeno che ha creato sbilanciamenti. Ci sono stati frantoi che non hanno nemmeno aperto, subendo pesanti perdite, proprio per via di questa tratta non sempre legale delle olive. Il problema è che l’origine del prodotto diventa in tal caso incerta e i prezzi delle olive vengono gonfiati oltre misura, fino a volte a superare i 100 euro al quintale, quando il commercio ordinario si attestava negli anni passati fra i 35 e 45 euro, con punte di 50 euro per qualità eccelse e alte rese estrattive”. La Lombardia. È sui laghi lombardi che si trovano le zone maggiormente vocate per la produzione dell'olio extravergine d'oliva della regione. Il lago di Garda fa la parte del leone con il 77% della produzione complessiva regionale, a cui fa seguito l'Iseo col 19% e il Lario col 4%. La media totale annua prodotta è di 7.112 quintali di olio extravergine, dati giudicati irripetibili per l'annata 2014. “Siamo su un 50% in meno di produzione media annua per l'extravergine spiega Silvano Zanelli, presidente di Aipol, l'Associazione Interprovinciale Produttori Olivoli Lombardi - per l'andamento climatico di quest'anno che ha porta-

to parassiti e malattie molto gravi per le olive. È dalla gelata dell'85 che non si registravano dati tanto bassi”. Tra i parassiti che ha fatto più danni in questa annata da dimenticare c'è la mosca olearia. “A causa dell'inverno particolarmente caldo la mosca olearia, che vive a 2 o 3 centimetri sottoterra durante l'inverno, non solo non è morta, ma è riuscita a moltiplicarsi molto più rapidamente rispetto agli anni passati”. L'insetto depone le uova a partire dal mese di luglio sulle olive in fase di maturazione. Dopo la schiusa la larva si sviluppa all’interno del frutto, nutrendosi della polpa fino a provocare il deterioramento e la caduta delle olive. C'è chi è riuscito a combatterla attraverso la lotta biologica, mettendo delle trappole con un ferormone specifico che ha catturato le mosche su dischi adesivi posizionati sugli olivi. “Ma non tutti sono stati così fortunati. Purtroppo c'è chi non ha potuto raccogliere e produrre olio quest'anno, anche a causa di una malattia che a

memoria d'uomo non si era mai manifestata in Lombardia”. Si tratta della lebbra delle olive, un fungo che prolifera in Umbria, Puglia, Calabria e Sicilia e che è comparso per la prima volta in Lombardia nella seconda metà di ottobre. Insomma, mai nome fu più azzeccato, perché la lebbra che attacca le olive fino a farle raggrinzire e mummificare direttamente in pianta, ha finito per dare il colpo di grazia a molte produzioni già provate da un'annata difficile. “Il rischio è che questa malattia possa ripresentarsi anche l'anno prossimo - conclude Zanelli -, quindi abbiamo già allertato tutti i produttori chiedendo loro di trattare immediatamente le piante col rame. È fondamentale che tutti lo facciano, per evitare che la lebbra possa proliferare in zone d'ombra non trattate, ripresentandosi la prossima stagione. Anche per questo abbiamo inviato dei campioni all'Università di Bari per individuare il ceppo della malattia e prevedere dei trattamenti risolutivi”.

stato premiato dalla lotta biologica caldo e i parassiti come la mosca olearia non sono morti, proliferando a dismisura, mentre l'estate umida e un paio di grandinate hanno compromesso parte del raccolto”. Malattie che hanno inciso sulla produzione qualitativa dell'olio di molti produttori del territorio. “A noi è andata tutto sommato abbastanza bene rispetto ad altre aziende agricole che non hanno prodotto olio o che, se l'hanno fatto, rischiano di non rientrare nei parametri per l'extravergine. Chi ha franto le olive entro le 48 ore, come prevede il disciplinare, e non entro la giornata come siamo soliti fare noi, ha avuto la brutta sorpresa di vedere le proprie olive marcire sotto i propri occhi, producendo oli spesso di bassa qualità che tendono ad ossidarsi molto rapidamente”.

In controtendenza l'azienda Scraleca di Angolo Terme, che quest'anno ha prodotto di più rispetto all'anno passato. Le 800 piante sui 3,5 ettari di proprietà hanno prodotto quest'anno 5 quintali di olio extravergine di oliva, contro i 3 quintali e mezzo del 2013. “L'annata è stata molto difficile anche per noi, sia per la presenza della mosca olearia che per l'estate piovosa - spiega Valentina Tedeschi -, ma grazie alla lotta biologica su alcuni oliveti siamo riusciti ad avere un buon raccolto di olive”. L'azienda, nata nel 2002, produce tre tipologie di olio extravergine d'oliva proveniente da differenti cultivar tra cui il Leccino, il Casaliva e il Grignano da monocultivar estremo, coltivato ai piedi di una rupe su terreni di altitudine superiore agli altri. “Se abbiamo salvato la qualità del nostro

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Le testimonianze

Tradizioni

Quando Bergamo era terra di Leonardo Bloch

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extravergine è stato anche grazie alla spremitura delle olive fatta in poche ore dalla raccolta, talvolta dalla mattina al pomeriggio”. Un prodotto di alto livello che un piccolo produttore non può certo vendere a prezzi da discount tenuto conto

le varie voci di spesa tra cui raccolta, lavorazione, imbottigliamento e distribuzione. “Sotto certi prezzi non è possibile andare. Solo la raccolta fatta tutta a mano sui nostri terreni terrazzati incide sul prezzo finale per 8 euro al litro, mentre la molitura dell'olio per altri 2 euro al litro, senza contare le altre voci di spesa che fanno il prezzo finale. Va da sé che quando vedo certi prezzi in giro, mi chiedo se quello venduto sia davvero olio extravergine d'oliva o qualcos'altro”.

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iferiscono i biografi di Francesco Petrarca che nell’aprile del 1357 il poeta, indossate le inusuali vesti del giardiniere, trapiantò nel verziere della Basilica di Sant’Ambrogio un ulivo che si era fatto inviare dalla finitima Bergamo. Poco sorprende che l’audace tentativo di acclimatazione dell’arboscello alle brume milanesi non fosse coronato da fausto esito. L’umanista ritentò l’esperimento un paio d’anni più tardi, nel glaciale marzo del ’59, ma anche stavolta la pianticella rinsecchì nel volgere di qualche settimana. “Sono fermamente convinto che codesta terra sia ostile a quest’albero” - concluse scorato il dafneo cantore, irriso dal rigoglioso verdeggiare dell’oleacea sui colli appena al di là dell’Adda. La Milano dei cimenti botanici petrarcheschi non doveva differire molto da quella magnificata una dozzina di lustri prima nel De magnalibus Mediolani di Bonvesin de la Riva. Ad onor del vero il panegirico del Magister di Porta Ticinese andrebbe sfrondato da qualche iperbole di troppo, frutto della già all’epoca proverbiale inclinazione meneghina alla spacconeria. La megalopoli da duecentomila abitanti di cui scrive Bonvesin in realtà albergava, a prestar fede all’autorevole storico Jacques Le Goff, non più di ottantamila anime. Ed il cronista medievale l’aveva probabilmente sparata grossa anche nel computo di macellerie e forni del pane - enumerati in oltre quattro-


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di ulivi. Anche Petrarca se ne fece inviare uno

cento per ambo le categorie - se è vero che oggi ne bastano meno di un terzo per sfamare più di milione e trecentomila bocche. È comunque indiscutibile che proprio in quei decenni la roccaforte dei Visconti avesse imboccato una spedita ascesa verso la supremazia sul quadrante nord-occidentale della Penisola. “Terrestrium decus urbium” - l’aveva incoronata non senza calcolo politico il Petrarca, parafrasando fedelmente l’epifrasi bonvesiniana di “più splendida tra tutte le città del mondo”. Nel corso della quasi decennale permanenza a Milano il poeta ebbe ricorrenti contatti con Bergamo ed il suo contado, freschi di assoggettamento alla serpe del blasone visconteo. Tra il 1357 ed il 1359 sono documentati almeno tre suoi soggiorni presso la rocca di Pagazzano, all’epoca circondata da secolari foreste che gli dovevano ricordare la silva ingens dell’Appennino parmense nei dintorni dell’amata Selvapiana. Durante l’ultima di queste villeggiature il cantore rese visita anche al capoluogo, su invito di un fervente ammiratore che vi risedeva. Le cronache narrano che al suo arrivo alle porte del centro abitato il Petrarca fosse accolto da una grande folla, tra cui spiccavano il governatore della provincia ed i podestà del comune. Per l’occasione fu anche imbandita una tavola degna di un re, ignorando forse che il frugalissimo ospite aborrisse i convivi troppo fastosi e le vivande elaborate. Nonostante la benevola gaffe del nostri antenati, è comunque assai verosimile che la Bergamo di quei giorni non fosse affatto dispiaciuta al padre dell’umanesimo,

antesignano tra gli estimatori del decoro urbano. Da ormai più di vent’anni le autorità municipali avevano infatti bandito dalla cerchia delle mura le torme di porci - al tempo abituali ospiti di ogni agglomerato - di cui il vate mal sopportava “la turpe vista e l’ingrato suono” (l’avanguardista Milano avrebbe adottato un analogo provvedimento solo due secoli più tardi). Con ampio anticipo su ogni altro comune Italiano di pari rango, nella nostra città era altresì elevato divieto di gettare lordure in strada dalle case e dalle logge, tutte le vie erano lastricate e le cloache fluivano ordinatamente nel sottosuolo. Gli ulivi di cui il poeta aveva trapiantato i virgulti costituivano una nota tutt’altro che occasionale del paesaggio bergamasco dell’epoca. In particolare le alture tra Ponte San Pietro ed il capoluogo, secondo la descrizione che nel XII secolo ne forniva Mosé del Brolo, ne erano coperte per estesi tratti, assai fitti tra Mozzo e Longuelo. Anche l’antica toponomastica di Città Alta comprendeva almeno un paio di riferimenti a poggi minori indicati come uliveto, segnatamente in Borgo Canale e nei pressi di Rosate. Per quanto a quei tempi tra i grassi alimentari primeggiasse incontrastato il lardo, l’imposizione ecclesiastica di un draconiano regime di magro per circa un terzo dell’anno assegnava un ruolo di rilievo anche agli oli vegetali. Tra questi quello di oliva si distingueva quale articolo di gran lusso, negoziato ad esorbitanti multipli di prezzo (sei volte tanto, secondo quanto rilevava qualche secolo più tardi Donato Calvi nell’Effemeride) dei più diffusi succedanei - l’olio di noci e quello di lino. La diffusione della nobile pianta nel nostro circondario, consolidatasi nell’alto medioevo, si dimostrò ben altro che effimera. Ancora un secolo e mezzo fa il botanico Lorenzo Rota, nel suo Prospetto della flora della provincia di Bergamo, annotava che l’ulivo“percorre vigorosissimo la sponda bergamasca del Sebino, e s’avanza per ben quindici miglia verso Bergamo sulle colline di Gorlago e di Scanzo abbellendo di sua mansueta verdura la Valle Caleppio, e ricompare sull’amena costiera che sovrasta all’Adda tra Foppenico e Vercurago”. Ma proprio in quei decenni il diplomatico britannico John Bowring riferiva in una relazione sull’economia lombardo-veneta che sui nostri colli gli uliveti erano in via di espianto per essere rimpiazzati da più remunerative piantagioni di gelso, su impulso delle spietate leggi di mercato dettate dall’incipiente rivoluzione industriale. E rimorde davvero che ai nostri giorni solo pochi ettari di terreno restino ormai appannaggio della progenie dell’arboscello che, strappato ai feraci poggi di Bergamo, in spregio alle premure petrarchesche si lasciò morire di struggimento tra le fredde caligini dell’altera Milano.

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L'INTERVISTA

di Leo Bartoli

Raspelli: "Un vino da scoprire? Il Valcalepio" In vista dell'Expo e delle prossime feste, il celebre giornalista enogastronomico parla del suo rapporto col cibo e con Veronelli e attacca Tripadvisor: "Inutili certi giudizi". E sui formaggi invita a guardare alla Bassa bergamasca dove "ci sono caprini e mozzarelle di bufala degni di nota"

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doardo Raspelli Bergamo, la conosce bene. Sa quali sono i suoi punti di forza e di debolezza sul fronte alimentare, immagina che l’Expo possa cambiare qualcosa ma senza farsi troppe illusioni. Il celebre giornalista enogastronomico parla in questa chiacchierata a cuore aperto, a tratti persino cruda e disillusa ma sincera, di cibo, del suo rapporto complicato con il maestro Veronelli, del Valcalepio troppo sottovalutato, di certi giudizi fai-da-te su cucine e ristoranti a suo parere inutili, di un Natale in cui non ha l’abitudine (sorpresa!) di regalare leccornie. Raspelli, il food italiano è a una svolta: quali vantaggi e quali rischi vede nell’operazione Expo? “Gli scandali che si sono susseguiti negli ultimi mesi non mi fanno sperare molto: non vorrei che i 25 milioni di visitatori (ma oggi si è scesi già a 20!) fossero solo un’ipotesi. Nel 2013 in Francia sono andati 45 milioni di turisti, da noi 23. Siamo sicuri di non aver sperato troppo (e faccio corna e bicorna)? Sarei felice poi se le attrezzature e i padiglioni continuassero a vivere ben oltre la fine di ottobre 2015”. C’è qualche prodotto italiano, sottovalutato, che potrebbe invece essere rilanciato proprio grazie a questo grande evento? “Forse l’ortofrutta, che è misconosciuta anche in casa nostra: vini, oli e formaggi, invece, sono da sempre sugli scudi”. A Natale il food è sempre di moda: cosa regala di solito Raspelli ai veri amici? “Potrà sembrare strano, ma non faccio regali, se non qualche cosa in famiglia: detesto gli obblighi, soprattutto a Natale che, come tutte le feste religiose, non sento più da anni”. Una bottiglia di vino: ci aiuti a scoprire qualche chicca meno conosciuta? “Il Valcalepio, la Valcamonica: non hanno certo la fama e la grandezza (e nemmeno la qualità) di Langhe o Toscana, ma danno l’occasione di bere e di scoprire le buone curiose bottiglie della propria terra, del proprio territorio, delle proprie tradizioni”. Bergamo è la capitale dei formaggi Dop: quale produzione ama di più? “Mi piacciono le produzioni meno note, a parte naturalmente

il Taleggio e tutti i piccoli grandi prodotti delle montagne: ma nella Bassa, inaspettati, ci sono la mozzarella di latte di bufala e caprini assolutamente straordinari”. Proprio Bergamo, in occasione di Expo, varerà un Fuori Expo riproponendo la grande figura di Veronelli, i suoi vini da collezione e le sue battaglie. I vostri rapporti non sono stati sempre idilliaci: che tipo era il Gino visto da un competitor, ma anche da un uomo che gli è stato vicino come Raspelli? “Con Veronelli mi legava un rapporto di odio-amore come tra padre e figlio: mi ha insegnato tante cose ma gli sono anche stato utile. Mi fece anche una querela dopo una critica garbata (querela che Gino perse: era a proposito dell’olio denocciolato). E pensare che oggi il giornalismo è morto e quasi tutti quelli che scrivono sono diventati organizzatori di eventi con cuochi, ristoratori e produttori (su cui, ovviamente, guadagnano). Lui era, comunque, un grande: chi, dopo di lui, ha la voglia ed il coraggio di scrivere che quel dato vino non gli piace?!”.


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Il Gorgonzola Dolce di Arrigoni si aggiudica il Super Gold al WCA

C’è un prodotto, un piatto della memoria, di cui Raspelli non potrebbe fare a meno? “Bendaggio gastrico a parte, il mio poker ideale va dai gamberi crudi, al bollito misto (con la lingua), fino a trippa e cassoeula… Peraltro da qualche tempo ho un incubo ricorrente: mi ritrovo ad assaporare carne di un essere vivente ucciso...”. Ai tempi di Tripadvisor, pensa che certe guide ne escano ridimensionate? Non crede che il pubblico della rete sottovaluti certe “deviazioni” di una valutazione fai-da-te? "Tripadvisor serve solo come una guida del telefono: per me è totalmente inutile. La critica è critica: nel giudicare una partita di calcio, il canto di un tenore, un balletto, un libro, bisogna essere esperti e disinteressati. La stessa cosa per cibi, ristoranti ed alberghi…”. Cosa, durante un pranzo o cenone di Natale, non deve mai mancare a tavola? “Agrumi, frutta secca e panettone: anche se non ci credo più, per il giorno di San Biagio, il 3 febbraio, tengo sempre una fettina di panettone aperto a Natale, da assaggiare”. Infine, c’è un prodotto o un vino della nostra enogastronomia che è diventato un “cult” e che proprio non sopporta? “Panna, rucola e aceto balsamico, quest’ultimo, badate bene, non tradizionale: li trovi ormai ovunque”.

I l Wo r l d C h e e s e Awards è il più grande e importante concorso caseario del mondo che si tiene al BBC Good Food Show di Londra. All'edizione 2014, in cui sono stati degustati oltre 3mila formaggi provenienti da 33 paesi, giudicati da oltre 250 giurati provenienti da 26 nazioni, le aziende italiane si sono fatte come sempre valere. Tra queste, tuttavia, solo tre sono state premiate con il Super Gold, uno dei premi più rari e ambiti. Una di questie è Arrigoni Battista, che si è aggiudicata il Super Gold con il suo Gorgonzola Dop Dolce (anche il Gorgonzola Dop Piccante è tornato a casa laureato, essendosi aggiudicato il bronzo della sua categoria). Marco Arrigoni, presidente dell'azienda di Pagazzano, ha commentato così la buona notizia: “Questo premio, insieme alla medaglia di bronzo vinta con il Gorgonzola Piccante, è merito di tutti coloro che giornalmente si dedicano con passione, impegno e professionalità a svolgere al meglio il proprio lavoro. Faremo tutto quanto necessario per far sì che questo riconoscimento non si limiti ad essere solo una bella soddisfazione per il lavoro finora fatto ma diventi un veicolo che ci aiuti a centrare gli ambiziosi progetti che l’azienda intende raggiungere nel futuro.” Il Gorgonzola dolce è un formaggio blu che riesce a rimanere dolce e gentile. A lavorarlo e produrlo è una realtà che ha fatto del Gorgonzola e del Taleggio i propri capisaldi, una struttura familiare creata da maestri casari attivi, per tradizione, fin dai primi anni del secolo scorso. Partecipando alla competizione londinese con un classico della tradizione casearia italiana, Arrigoni ha voluto portare avanti orgogliosamente la bandiera del know-how italiano. E in una gara che normalmente premia l'insolito e la produzione di nicchia, ha trionfato con un prodotto storico. L'esperienza internazionale ormai centenaria di Arrigoni Battista è stata riconosciuta negli anni con altri premi di grande rilevanza. Lo stesso Gorgonzola Dolce era già stato premiato al Concours International des fromages et produits laitiers de Tours 2013 e alla fiera di Nantwich 2013, ed era stato segnalato fra i 101 Best Cheeses of the Year 2013/2014 dal Culture magazine, il più importante magazine caseario d'America. Vari premi sono stati attributi anche nelle edizioni 2011, 2012 e 2013 del World Cheese Awards. E se il Gorgonzola dolce rimane il più amato dei giurati, anche altri prodotti Arrigoni sono stati premiati negli anni, come per esempio il Rossini, un raffinato erborinato impreziosito da uva di Pantelleria passita.

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TENDENZE di Laura Bernardi Locatelli

C'è che ricerca l'eccellenza e chi è costretto a limare sui costi: la difficile congiuntura orienta sempre più le preferenze degli operatori e fa primeggiare il minimalismo. "Ros" e "Tre P" fanno il punto sul comparto e sulle ultime preferenze in cucina, negli alberghi e nei bar

Attrezzature, le scelte dei ristoratori ai tempi della crisi

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a mise en place oscilla tra eccellenza e ricerca dei materiali da un lato e contenimento dei costi dall'altro. Così la crisi apparecchia la tavola: la ristorazione si divide ormai tra chi insegue la qualità assoluta e chi è costretto a limare tutte le spese non strettamente necessarie.

più estetici e qualitativi, ora invece l’attenzione è tutta al prezzo”. L’alta ristorazione punta invece sempre più in alto per conquistare nuove stelle nel firmamento degli chef: “La scelta di servizio e complementi interpreta ogni singola ricetta per presentarla al meglio a tavola - con-

irregolare”. Il finger food è sempre più in fermento: “Alle porcellane e al vetro si affiancano la plastica, sempre più impiegata nel catering, e il bambù, dai mini coni monouso alle barchette. Ciotole e vassoi in melammina, materiale elegante e indistruttibile, stanno quasi sop-

Regna il minimalismo: “I complementi di servizio soffrono e gli acquisti sono sempre più oculati - spiega Sergio Pezzotta della Ros Forniture Alberghiere di Zanica -. La media ristorazione un tempo arricchiva negli anni il servizio con prodotti

tinua Pezzotta -. La bone china continua ad essere la scelta d’elezione per l’alta ristorazione, che è comunque sensibile anche a nuove linee come la Stonecast di Churchill, porcellana inglese arricchita con alumina supervetrificata dal design

piantando vetro e porcellana. Sempre più in voga anche i vassoi in ardesia e la porcellana dalla lavorazione particolare che ricrea l’effetto pietra, anche bianca, per servire pietanze particolari”. Quanto agli strumenti di cottura, si affer-


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mano alluminio e rame anche nell’induzione e le pentole arrivano in tavola, in formato mignon: “Pentolini, casseruole e padelle, come quelli che ripropongono in versione mini e in chiave moderna la storica collezione Agnelli 1932, piacciono per servire in modo originale e divertente risotti, ciareghì al tartufo ed ogni altra ricetta”, spiegano alla Ros. Anche gli chef più meticolosi non rinunciano ad un aiuto meccanico in cucina: “Sta impazzando l’Hotmix, complice anche un testimonial del calibro dello chef pluristellato Massimo Bottura - rileva Sergio Pezzotta -. È una sorta di “Bimby” dalle prestazioni professionali. Raggiunge

dietro ai bar - afferma Sergio Pezzotta -. Molti non acquistano più tazze e tazzine, accontentandosi di quelle ricevute in omaggio dalla torrefazione. Quanto alle attrezzature, la centrifuga è imprescindibile per i bar più attenti come per una prima colazione di qualità negli alberghi”. Cresce l’attenzione anche per la divisa, in sala e in cucina: “C’è una maggiore cura nella scelta della giacca da chef, in cotone traspirante, come nella divisa in sala. Davantini in misto lino grezzo, dai colori naturali, o piccoli gessati in cotone danno personalità, con un minimo investimento, al locale e a chi li indossa”. Non tramonta la voglia di stupire: “Non

sempre più utilizzate anche le piastre di sale dell’Himalaya, che oltre a garantire una cottura senza grassi e un arricchimento per osmosi delle pietanze di tutti i minerali e gli oligoelementi del sale rosa, spezzano la routine del servizio portando insoliti vassoi a tavola. Anche centrifughe e salse d’accompagnamento destano curiosità e divertono sempre il commensale se vengono proposte in provette da laboratorio o tubetti”. La scelta della mise en place si fa invece più classica: “Se fino a qualche tempo fa la ricerca del piatto dalle geometrie più ardite era un must, ora stanno tornando i servizi più classici in porcella-

una temperatura di 190 gradi per la pastorizzazione ed ha oltre duecento ricette memorizzate. Ogni chef può inserire con una chiavetta il suo ricettario e contare su un aiuto fondamentale, in particolare per le salse e tutte le basi”. A tavola c’è un gran ritorno di bottiglie e caraffe di vetro, tra ecosostenibilità e riduzione dei costi: “Sono sempre più i locali che propongono acqua depurata - continua il titolare e fondatore della Ros -. La scelta spazia dalle caraffe da personalizzare alle bottiglie di design”. Il successo delle birre artigianali porta ad una ricerca attenta del giusto calice, quasi come accade per il vino: “Cresce l’attenzione per il servizio della birra, con la ricerca di calici per la degustazione ottimale e boccali in stile nordeuropeo”, continuano dalla Ros. Quanto a bar e caffetterie, trionfano i drink del benessere, ma si taglia la spesa per tazze e bicchieri: “La crisi fa fare un passo in-

mancano interpretazioni e rivisitazioni creative della tavola, più divertente e informale: la teiera serve fumetti di pesce, il vasetto Quattro Stagioni diventa piatto da portata, i taglieri richiamano i grandi pallet di industria e logistica e il fritto si serve in cestini di acciaio inox monoporzione” spiega Luca Pezzotta di Tre P, azienda di forniture alberghiere con sede ad Osio Sotto e temporary store in via Sabotino. Per dare una marcia in più alle fritture, Tre P importa direttamente dagli Stati Uniti una carta politenata stampata come la classica pagina di un quotidiano, nella più autentica dimensione dello street food d’altri tempi: “Cresce l’attenzione ai dettagli: basta anche un semplice foglio di carta per portare allegria a tavola o avvolgere di simpatia un sandwich d’asporto - continua Luca Pezzotta -. Non perde appeal il finger food e tutto ciò che vi ruota attorno. Sono

na bianca o in bone china per chi sceglie di investire più nel servizio”, rileva Luca Pezzotta. Ci sono invece all’orizzonte vere e proprie rivoluzioni in cucina: “La novità attesa da chef e società di catering, di cui deteniamo l’esclusiva per la zona, è una cucina mobile ad induzione che per la prima volta consente di brasare e friggere, garantendo il controllo della temperatura. L’innovativo sistema di cottura si chiama “Marcellino”e alle ridotte dimensioni, alla velocità ed economicità, affianca la possibilità di cucinare fino a 24 litri di prodotto nel capiente contenitore. Il brevetto è internazionale, ma la produzione è completamente italiana, una garanzia in più per un prodotto che ha superato, grazie alla versatilità in cucina anche per lunghe cotture e alla facilità di trasporto, scetticismi e pregiudizi degli chef che lo hanno testato”.

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Le novità Tre P 1 - Marcellino, la cucina mobile ad induzione che consente di friggere e brasare con un occhio ai consumi 2 - La carta politenata per i fritti che omaggia la vecchia carta di giornale degli ambulanti e dello street food 3 - BambÚ e materiali naturali conquistano un posto a tavola 4 - La piastra di sale rosa dell’Himalaya per una cucina senza grassi e un servizio originale 5 - Il classico vaso da conserva diventa un piatto da portata, il tagliere di bambÚ fa da sottopiatto 1

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1 - Il grande ritorno delle caraffe dell’acqua nei locali per effetto del boom dei sistemi di depurazione 2 - La mise en place torna ad un design più classico, ma il genio degli chef in cucina sposa forme irregolari

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3 - Hotmix, un robot in soccorso degli chef, anche dei più famosi e meticolosi come Massimo Bottura 4 - La soddisfazione di mangiare direttamente dalla padella anche nel ristorante più "in" 5 - Investimento minimo e massima resa anche nell’abbigliamento con i davantini in misto lino e gessati

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6 - Le piastre di ardesia e porcellana effetto pietra per una portata particolare o un banchetto insolito

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LE AZIENDE INFORMANO

“Vini Normanni”, il forte legame col territorio Avviata da Giuseppe, agli inizi del ‘900, l’azienda di distribuzione, oggi nelle mani di Vittorio, resta radicata a San Pellegrino. È stata la prima a distribuire il Valcalepio e vanta una lunga collaborazione anche con la Cantina Sociale Bergamasca

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ono gli inizi del ‘900 quando nonno Giuseppe Normanni apre una trattoria in una frazione di San Giovanni Bianco, con rivendita di vini. Il figlio Antonio, rilevando l’attività e trasferendola a San Pellegrino Terme, compie un passo fondamentale, una svolta nella storia della ditta di famiglia. Il legame con San Pellegrino, infatti, è rimasto saldo e intatto nel tempo e ancora oggi è realtà. È nel 1924 che Antonio decide di avviare l’attività di salumeria all’interno della quale offrire ai propri clienti anche una selezione di vini prodotti in varie regioni italiane. Sede della società diventa, nel 1932, l’hotel Cavour, una collocazione storica, rimasta invariata nel tempo. Affiancare il vino ai prodotti alimentari di alta qualità - ormai tratto distintivo dell’azienda - diventa successivamente compito di Vittorio, che prende in mano le redini della società nel 1962. Vittorio sceglie di fare del vino il fulcro del progetto della ditta Vini Normanni. Ha particolarmente a cuore il legame con il territorio e questo inevitabilmente si rispecchia anche nell’accurata e attenta selezione dei vini inseriti nel progetto. Sin dalla nascita del Consorzio Tutela Valcalepio, la Vini Normanni si fa “portavoce” del prodotto, rappresentando una delle prime realtà distributive ad inserire gli allora poco conosciuti vini ber-

gamaschi nei più rinomati locali di Bergamo e provincia. Non solo. Vini Normanni è stata anche una delle prime aziende a portare il vino bergamasco fuori dai confini regionali, approfittando della sua intensa attività sulla Riviera romagnola, nelle cui località balneari i Valcalepio Doc sono presenti oramai da decenni, sulle tavole di prestigiosi ristoranti e storici alberghi. La famiglia Normanni ha sempre posto grande attenzione nella cura e nella selezione dei propri partner, collaborando in maniera attiva con essi alla creazione di prodotti sempre più al passo con i tempi e rispondenti alle necessità del mercato della ristorazione. Un esempio di collaborazione storica e vincente è quello con la Cantina Sociale Bergamasca per la distribuzione dei prodotti nel canale Ho.Re.Ca di cui la Vini Normanni ha l’esclusiva per le valli bergamasche. Da questa collaborazione è nata anche una linea personalizzata di vini del territorio che nell’etichetta, studiata ad hoc, riporta una delle vetrate liberty del celeberrimo Casinò, simbolo di San Pellegrino. Partita da un’attività di distribuzione concentrata, come molte, sull’acquisto di prodotti da rivendere con il pro-


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Vittorio Normanni con il figlio Gianantonio

La storia del vino a Bergamo. cantinabergamasca.it

prio marchio, la famiglia Normanni ha poi scelto, con il passare del tempo, di dedicarsi ad una ricerca di vini di qualità delle più rinomate zone vitivinicole italiane e di espandere questa ricerca anche a vini francesi e Champagne, pur mantenendo centrale l’interesse per l’Italia e il territorio. C’è stato anche un periodo di sperimentazione verso i liquori, con la creazione di un liquorificio di cui oggi si possono ammirare prestigiose e rare bottiglie. Oggi, mentre la storia imprenditoriale e familiare va verso la quarta generazione, Vittorio è affiancato nell’attività di distribuzione dall’inseparabile Mariuccia e dai figli Gianantonio, Eddy e Maura. La Vini Normanni rimane un’azienda sempre al passo con i tempi che non ha paura di guardare lontano e di ampliare le proprie zone di riferimento pur rimanendo saldamente legata al territorio e a San Pellegrino Terme.

Vini Normanni via S. Carlo, 11 San Pellegrino Terme tel. 0345 21137

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EVENTI

Valcalepio, il Consorzio di Tutela lancia i progetti in vista dell'Expo Dal concorso "Emozioni dal Mondo" in trasferta a Milano al Wine Tour, dai progetti "Ospitalità" e "Ristorazione" alla Domus Bergamo, sono diverse le azioni messe in campo

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l Consorzio Tutela Valcalepio e l’Associazione Strada del Vino e dei Sapori della Valcalepio hanno presentato nei giorni scorsi i progetti che vedranno il vino bergamasco protagonista nel corso del 2015 tanto sul territorio bergamasco quanto "oltreconfine". I riflettori, in particolare, sono puntati sull'Expo, che rappresenta un’importantissima occasione per l’enologia bergamasca e "va sfruttata al meglio in termini di visibilità e promozione” ha specificato il presidente del Consorzio Tutela Valcalepio, Emanuele Medolago Albani. “Il 2015 è dietro l’angolo” ha proseguito Sergio Cantoni, direttore del Consorzio, “non è più tempo di aspettare, bisogna agire e bisogna farlo bene, queste sono occasioni che non capitano spesso”. “Per il vino bergamasco abbiamo in pro-

gramma una bella serie di eventi che coinvolgeranno il territorio provinciale ma che porteranno anche il nome di Bergamo a Milano, cuore della manifestazione - ha aggiunto Enrico Rota, delegato Expo 2015 del Consorzio -. Per realizzare questi progetti abbiamo scelto di collaborare con altre realtà territoriali, come il Consorzio è abituato a fare da molti anni. La chiave per la buona riuscita di questi progetti e di questa Expo è sicuramente la collaborazione e noi siamo pronti a fare rete per il vino di Bergamo”. Per quanto riguarda i progetti extra-Bergamo il più importante è sicuramente l’11° Concorso Enologico Internazionale “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet Insieme” 2015 in programma dal 15 al 17 ottobre e che è già stato inserito nel Master

Il presidente del Consorzio di Tutela, Emanuele Medolago Albani (a destra) e il delegato Expo, Enrico Rota

Val Brembana, menù e iniziative celebrano la castagna Fino al 31 gennaio in 14 ristoranti nei comuni di Zogno, Val Brembilla e Sedrina la rassegna “Sapori & Cultura” con proposte a tema al costo di 25 euro e proposte per riscoprire il territorio e le tradizioni “Sapori & Cultura” è l’iniziativa che invita a scoprire il paesaggio, la storia e le tradizioni del territorio all’imbocco della Valle Brembana accompagnati dal goloso richiamo della buona tavola. La rassegna, giunta alla sesta edizione, ha preso il via a novembre e prosegue sino alla fine di gennaio. Si sviluppa nell’ambito del Distretto del Commercio “La porta della Valle Brembana” (che coinvolge i comuni di Zogno, Val Brembilla e Sedrina), con la collaborazione dell’associazione esercenti di Zogno Punto Amico e di tre musei, della Valle, di San Lorenzo e del Soldato, tutti con sede a Zogno. Protagonista della parte gastronomica è la castagna, al centro dei menù proposti dai 14 ristoranti aderenti al circuito al prezzo fisso di 25 euro, inclusi coperto e bevande. Dieci sono a Zogno (Breve Respiro, Casa Baggins, Da Gianni, Da Tranquillo, Del Maglio, La Staletta, Tavernetta, La Torre, What’s Up, Casa Martina), tre a Val Brembilla (La Costa, La Rua e Forno) e uno a Sedrina (La Lanterna). La scelta è di valorizzare un

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Il rendering della Domus Bergamo che sorgerà in piazza Dante

Plan degli eventi accreditati all'Esposizione Universale. Numerose anche le iniziative studiate per la città e la provincia, con un’attenzione particolare al turismo e all’ospitalità. Innanzitutto il potenziamento e la continuazione del progetto sperimentale Wine Tour in Valcalepio che dà la possibilità ad appassionati e turisti di visitare le aziende vitivinicole del territorio bergamasco a bordo di un bus, accompagnati dalla presenza di un sommelier Ais. Sono stati inoltre studiati un "Progetto Ospitalità", che coinvolgerà gli hotel e le strutture ricettive, e un "Progetto Ristorazione", perché il vino è territorio e il territorio è anche cibo ed è importante presentare la ricca e variegata realtà enogastronomica bergamasca al mondo. Il Consorzio Tutela Valcalepio è poi partner ufficiale del progetto Domus Bergamo - Bergamo 2015, una struttura permanente che ospiterà eventi e corsi e che sarà il fulcro di Expo 2015 nel cuore della città, in piazza Dante. In collaborazione con Alta Qualità, ideatore del progetto, il Consorzio strutturerà una serie di attività tematiche, dalle degustazioni ai workshop, dalle giornate a tema alle serate e molto altro. L’Associazione Strada e Sapori della Valcalepio - che fa parte del Distretto per l’Attrattività Turistica Gate, progettato dai comuni di Seriate e Scanzorosciate - prevede anche la realizzazione di un ecomuseo sul territorio bergamasco.

frutto di cui è ricco il territorio, abbinato ad altri prodotti tipici della Valle e della Bergamasca. In particolare è Poscante di Zogno, con la sua contrada Castegnone ad essere considerata una patria delle castagne e dei “biligòcc”, la versione affumicata e bollita, oggetto di riscoperta con visite guidate ed eventi. Prerogativa della rassegna è infatti quella di abbinare ai sapori alcuni momenti culturali legati alle tradizioni, in collaborazione con il Museo della Valle di Zogno, ed una serie di appuntamenti promozionali e divulgativi. C’è anche il concorso “Cene da Chef”, che permette di vincere quattro cene per due persone, a chi, dopo aver cenato in uno dei ristoranti della rassegna, invia un selfie con il gestore o il personale e i dati dello scontrino che attestano la consumazione. Nel periodo della manifestazione il Museo della Valle offre inoltre l'ingresso ridotto (euro 1,60) ai chi sceglie i menù tematici (pubblicati insieme a tutte le iniziative sul sito www. saporiecultura.org).

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IL PREZZO FISSO

Il locale, attivo dal 1937, rilevato dal 22enne Alberto Ferrari, già in forza al ristorante. «Con la nuova collocazione all’interno dell’Hotel Executive penso ad una cucina più internazionale»

La Faraona, dopo tre generazioni il timone passa al giovane chef

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di Fulvio Facci imangono il logo, leggermente modernizzato, e la dicitura “Ristorante dal 1937”, cambia invece la gestione della storica insegna La Faraona. Dopo aver funzionato per decenni - dal 1937 appunto nella sua sede originale sulla strada del Tonale a Seriate, il locale si era trasferito a San Paolo d’Argon in via Nazionale, nel complesso dell’Hotel Executive, poco più di due anni or sono, nel settembre 2012. Ora arriva un’ulteriore novità. Dal 28 di novembre, infatti, il timone è passato nelle mani di Alberto Ferrari, giovane cuoco in forza al locale dal momento del trasferimento nella nuova sede. La terza generazione di questa storia di famiglia e ristorazione - iniziata con la coppia Bernardo Savoldi e la “leggendaria” Angela Barcella meglio conosciuta come Lina, proseguita con la figlia Luciana e ora rappresentata dai fratelli Pietro e Angela Fabbris, con i rispettivi coniugi Doris e Ivan, tutti impegnati nell’attività - ha scelto altre strade e passa la mano ad un collaboratore, anche se non farà man-

La rassegna gastronomica al via il 23 febbraio

Ristoratori, aperte le adesioni a Caccia in cucina 24

LA PROVA In termini di spesa la proposta per il pranzo di mezzogiorno è rappresentata dal menù completo a 11 euro, dal piatto unico di carne o pesce a 10 euro o dal menù pizza, sempre a 10 euro. Il menù completo comprende primo, secondo, vino, acqua e caffè oltre al buffet di verdure libero. Il piatto unico, oltre a ridurre le porzioni – non eccessivamente –, semplifica la scelta, nel senso che basta decidere tra carne e pesce, mentre le combinazioni sono fisse, ricavate dalla lista del giorno. In occasione della nostra visita, ad esempio, c’erano pasta alla Norma, pasta gratinata al forno, risotto con dadolata di pesce e crema di cornetti, pasta alla bolognese, tra i primi. I secondi piatti erano invece roast beef all’italiana con zucchine trifolate, morbidelle di tacchino al vino bianco con polenta, trancio di pesce spada alla griglia e taglierino con taleggio e mortadella. Tra i piatti unici, quello di carne comprendeva la pasta alla Norma e le morbidelle di tacchino mentre quello di pesce offriva risotto con dadolata e trancio di pesce spada. Vanno bene per noi, dal menù completo, la pasta gratinata al forno e il roast beef all’italiana con zucchine. Scelte azzeccate, per un buon rapporto prezzo-qualità.

È partita la raccolta delle adesioni dei ristoratori alla 13esima edizione di “Caccia in cucina”, la rassegna dedicata alla valorizzazione della tradizione culinaria a base di selvaggina organizzata in tutta la Lombardia da Anuu Migratoristi con la collaborazione delle associazioni provinciali dei ristoratori e i patrocini delle Province e della Regione. L’appuntamento è in programma da lunedì 23 febbraio a domenica primo marzo 2015 (con la possibilità per gli esercenti di una proroga per un’ulteriore settimana) ed è coordinato, in Bergamasca, dall’Ascom. La manifestazione prevede durante tutto il periodo di svolgimento la presenza in carta di piatti o interi menù a base di cacciagione abbinati ai vini. Per i clienti è l’occasione di gustare ricette “classiche” o nuove interpretazioni di una tradizione ben


dicembre 2014 care il proprio appoggio in questa fase iniziale e di intenso lavoro, visto il periodo. Dalla nonna Lina a nonno Bernardo, che ha portato a Bergamo la birra alla spina, di acqua ne è passata sotto i ponti. Delle lasagne e dal tris di carne costituito da salsiccia, arrosto e faraona che erano la specialità della Lina i piatti sono stati via via aggiornati, mantenendo saldo però il legame con la tradizione. Ora sembra giunto il momento di voltare pagina. Alberto Ferrari, 22 anni, la scuola professionale di cuoco e l’esperienza in diversi locali è pronto a lanciare la sua sfida. «Mi rendo conto che il periodo dal punto di vista dell’economia non è dei migliori ma mi sembra sostanzialmente una buona occasione – afferma -. Quello a cui penso, in particolare, è di riuscire a sfruttare meglio la presenza e la clientela dell’hotel, internazionalizzando almeno in parte la cucina. Questo in vista anche di Expo 2015. Utilizzeremo tutti i nuovi mezzi di comunicazione, i social network e le prenotazioni on line. Siamo comunque intenzionati a non trascurare la clientela locale ed anche in questa direzione vogliamo muoverci con le nostre azioni promozionali». In quasi ottant’anni di storia la cucina della Faraona, come si diceva, ha tenuto fede alla sua impronta: in pratica dalla faraona alla cenere o al forno si è passati alla faraona prugne e castagne, ci raccontava Pietro Fabbris, e il nuovo patron lo sa. «Si tratterà di una scelta equilibrata – riflette Ferrari –, che cercherà di fare incontrare nel modo migliore la richiesta e l’offerta. Anche adesso stiamo proponendo dei menù a prezzo fisso, uno di pesce e uno della tradizione. Per quello della tradizione, a 30 euro tutto compreso, abbiamo il tagliere della Bergamasca, i casoncelli alla moda dello chef, la scaloppa di faraona con prugne e la torta della casa. Per il menù di pesce, al costo di 35 euro, proponiamo invece gamberi lardellati, straccetti di pasta fresca al nero di polpo, filetti di pesce persico e la torta. In entrambi i casi sono compresi acqua, vino e caffè».

Ristorante pizzeria La Faraona via Nazionale, 67 San Paolo d’Argon tel. 035 294162 chiuso il lunedì

presente nella cucina bergamasca, mentre per i locali è un’iniziativa coordinata che permette di far conoscere la propria offerta. I ristoratori potranno approvvigionarsi dei prodotti attraverso i canali abituali e riceveranno locandine, segnaposto ed altro materiale promozionale predisposto dal Comitato organizzatore. Ogni anno la manifestazione raggiunge un significativo numero di adesioni, permettendo di comporre un interessante itinerario tematico tra valli, laghi, città e pianura. La partecipazione degli esercizi è gratuita. Per informazioni è possibile contattare la segreteria del Gruppo Ristoratori Ascom allo 035 213030.

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NEWS

la cucina vegana fa centro con gusto e creatività

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Nel 2015 proseguirà il progetto pilota di Ascom e Lav che ha formato gli chef e portato in 15 ristoranti bergamaschi menù certificati La cucina vegana? Non è solo insalate e verdure grigliate, ma è gustosa accattivante, colorata e salutare». Questo è il messaggio che vuole diffondere il progetto Veg+, l’iniziativa nata dalla collaborazione tra la Lav provinciale (lega antivivisezione) e l’Ascom, che dal giugno di quest’anno ha dato vita ad un circuito di 15 insegne, tra città e provincia, in grado di offrire stabilmente un menù rispettoso dei principi della cucina cruelty free. Si parla quindi di piatti che non solo escludono carne e pesce, ma anche tutti gli altri ingredienti di origine animale,

perciò latte e derivati, uova e miele. «È in primo luogo una scelta etica, il dire no ad ogni pratica e prodotto che comportino sofferenza per gli animali – spiega Simona Semperboni, responsabile del progetto Veg+ per la Lav -, ma investe anche altri aspetti cruciali di questi tempi, come l’attenzione alla salute e alla sostenibilità ambientale e delle risorse. Non a caso è in aumento la percentuale degli italiani che hanno adottato uno stile di vita vegano o vegetariano, attestata al 7,1% dall’ultimo rapporto Eurispes. Con il progetto Veg+ abbiamo voluto of-

Questi i locali Veg+ In città Gennaro e Pia, Roof Garden San Marco, San Lorenzo, Sweet Irene In provincia Trattoria Visconti (Ambivere), Hotel Milano (Castione della Presolana), Trattoria Nano (Foresto Sparso), De Firem Rostec (Misano di Gera d’Adda), La Caprese (Mozzo), Villa Pighet (Ponteranica), Posta (Sant’Omobono Terme), Villa delle Ortensie (Sant’Omobono Terme), Della Torre (Trescore Balneario), La Conca Verde (Trescore Balneario), Cadei (Villongo).

Ancora un anno di successi per i vini della Caminella L’azienda di Cenate Sotto ha ricevuto la Rosa Oro dalla Guida ViniPlus per il passito Goccio di Sole e la medaglia d’argento all’Awc di Vienna per l’Igt Luna Rossa I premi non sono una novità per i vini della Caminella e il 2014 non ha fatto che confermare la capacità della cantina sulle colline di Cenate Sotto di farsi apprezzare dalle giurie nazionali e internazionali. Il più recente alloro è quello ottenuto dal passito Goccio di Sole 2012, che ha ricevuto il massimo punteggio, le Quattro Rose Camune, dalla Guida ViniPlus edita dall’Ais Lombardia e l’ulteriore riconoscimento (in tutto quest’anno sono

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stati 36, tre in Bergamasca) della Rosa Oro, segnalazione di particolare merito del vino ma anche dell’azienda, dal momento che viene attribuita tenendo conto della coerenza produttiva. A fine ottobre era stato invece il rosso Luna Rossa Igt 2011 a conquistare i favori dei degustatori, ottenendo la medaglia d’argento (punteggio tra 87 e 89,9) all’Awc di Vienna, il maggiore concorso mondiale di vini per numero di campioni esamina-


dicembre 2014

I partecipnati al progetto Veg+ al termine del corso dell'Accademia del Gusto

frire a questa platea indirizzi sicuri e di qualità, ma anche proporre un’alternativa interessante agli “onnivori”». I ristoratori hanno seguito un corso di alta formazione all’Accademia del Gusto di Osio Sotto, a cura della scuola di Pietro Leemann, chef stellato di cucina naturale, che ha permesso a ciascuno di creare un proprio menù originale di quattro portate, dall’antipasto al dolce. Le proposte hanno superato il vaglio della Lav e ottenuto il marchio Veg+, che identifica i piatti in carta, oltre che gli esercizi tramite l’apposita vetrofania. «Dalla trattoria al ristorante blasonato, ogni chef ha elaborato con fanta-

sia le proprie ricette realizzando proposte di grande impatto – rileva Semperboni -, capaci di incuriosire e gratificare anche chi non è vegano o vegetariano. Accanto alla bontà, la supervisione della scuola e dei nostri esperti assicura che si tratta di menù equilibrati, capaci di fornire il giusto apporto proteico e di nutrienti. Diciamo che questi piatti sono la dimostrazione che mangiare vegano non è una rinuncia ma, al contrario, un arricchimento, perché offrono gusto, novità e salute». Scorrendo le liste ci si imbatte, ad esempio, in zuppe, sformatini, pizzette di melanzane, gnocchetti di pane, panzanelle, falafel, ravioli di

ti, riconosciuto ufficialmente dall’Unione europea. Mentre in primavera, lo stesso vino, con l’annata 2010, si era già assicurato la medaglia d’oro alla 53esima edizione del concorso enologico nazionale di Pramaggiore. Vino da dessert e da conversazione, Goccio di Sole nasce da uve di Moscato di Scanzo raccolte tardivamente e appassite in fruttaio per circa 40 giorni. L’affinamento avviene in barrique di rovere francese per sei mesi e si completa in bottiglia per altri sei mesi circa. L’Igt Luna Rossa è prodotto invece con uve Merlot, Cabernet Sauvignon e Pinot Nero, vendemmiate esclusivamente a mano, in piccole cassette da tre chili, con una rigorosa selezione dei grappoli da destinare all’appassimento in fruttaio. L’affinamento avviene per 18-24 mesi in barrique e tonneax di rovere francese e per sei mesi in bottiglia. Principali artefici della qualità dei vini sono il terreno e il microclima ottimali. I vigneti infatti

pasta fresca senza uovo, involtini, polpettine, chili, millefoglie e per dessert frutta in tutte le possibili declinazioni golosamente arricchita con creme, cioccolato, mandorle. Il progetto è il primo del genere a livello nazionale ed è considerato un’esperienza pilota. «Il riscontro è positivo – afferma la responsabile -, si è data una risposta ad un’esigenza crescente e si è creato interesse. Nei locali aderenti l’iniziativa proseguirà anche nel 2015, l’obiettivo è comunque di ampliare il circuito mantenendo alta l’attenzione alla qualità delle proposte, anche tramite corsi di aggiornamento».

sono adagiati su un fondo di pietra calcareomarmosa, chiamata “Sass de luna”, ideale e caratterizzante per lo sviluppo vegetativo della vite. Una peculiarità che viene ben sottolineata dalle etichette, dove il termine “luna” fa da filo conduttore per le diverse tipologie. Elementi favorevoli sono anche la felice esposizione a sud e il mite vento di Favonio. Al resto ha pensato il lavoro intelligente ed appassionato dell’uomo, declinato secondo i quattro pilastri della filosofia aziendale: passione, intuito, volontà e tecnologia. Un altro “campione” dell’azienda è Ripa di Luna Brut che nella speciale confezione “I Premiati” forma insieme con Luna Rossa una coppia vincente per le prossime festività, da regalare o scegliere per la propria tavola. Anche per le altre bottiglie sono a disposizione confezioni regalo, in una veste classica o in un’originale versione in legno. Info: www.caminella.it

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APPUNTAMENTI DOMENICA PRIMO FEBBRAIO

Biligòcc, a Casale di Albino torna la sagra Domenica primo febbraio va in scena a Casale di Albino la 26esima edizione della “Sagra dei biligòcc”, la festa della castagna affumicata e bollita, che ha trovato nella Valle del Lujo ter-

reno fertile per la valorizzazione, grazie al Gruppo Culturale “Amici di Casale”. I biligòcc nascono dalla selezione dei frutti migliori delle varietà più adatte – “ostane” e “careàne” - preparati in uno spazio e con un sistema tradizionali. L’affumicatoio è un ampio locale dove, all’altezza di tre metri, è collocata una graticola sulla quale vengono distribuite le castagne. Sotto il graticcio si apre la stanza del fumo, un secondo locale dove si espande un fumo denso e profumato, proveniente da un fuoco che brucia nella sottostante “stanza del camino”. Le castagne vengono rimestate due volte al giorno con i rastrelli. Non si devono bruciare, infatti. E così si va avanti per circa 40 giorni. Dopo l’affumicatura, siamo

ormai a dicembre, le castagne vengono riposte in sacchi di juta, in attesa di essere bollite, soltanto qualche giorno prima della sagra. Su un fuoco all’aperto (“foghèra”) viene sistemato un pentolone, dove in 150 litri circa di acqua si fanno bollire dagli 80 ai 100 kg di castagne. Alla fine di ogni cottura, si gettano nella caldaia alcuni secchi di acqua fredda, che danno alle castagne la caratteristica grinzosità. Tolti dall’acqua, ecco pronti i biligòcc (www.valledellujo.it). Anche a Poscante di Zogno si celebra la sagra dei biligòcc, tradizionalmente in concomitanza con la festa di San Mauro (15 gennaio). Punto di riferimento è la contrada Castegnone, dove ancora possibile visitare il “secadùr”.

MILANO E BRESCIA

Il cibo protagonista al museo Cibo in primo piano, non in tavola ma al museo. Con l’avvicinarsi ad Expo arrivano gli eventi che leggono il tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” in chiave culturale. A Milano, al Museo di Storia Naturale, si è aperta il 28 novembre e proseguirà fino al 28 giugno 2015, “FOOD la scienza dai semi al piatto”, mostra che indaga il mondo del cibo scientificamente ma, al tempo stesso, con una forte componente ludico-gastronomica, che la rende adatta ad ogni tipo di pubblico, dai bambini e ragazzi agli studenti, dagli insegnanti agli appassionati di cucina. Il percorso si snoda tra scenografiche immagini al microscopio, video didattici e giochi interattivi, accompagnando il visitatore in un viaggio che, partendo dal seme, dove tutto inizia, arriva fin dentro al piatto finito. Ad esempio, si potrà saperne di più sulla biodiversità oppure capire che il grano che utilizziamo oggi è frutto di un’infinità di modifiche genetiche avvenute nel corso dei secoli o, ancora, che cosa accade chimicamente e fisicamente quando prepariamo un gelato o una maionese, a quale temperatura è meglio cuocere una bistecca o il metodo corretto per fare un buon caffè con la moka, il tutto spiegato scientificamente (www.mostrafood.it).

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A Brescia, invece, Palazzo Martinengo ospita dal 24 gennaio al 15 giugno “Il cibo nell’arte: capolavori dei grandi maestri dal Seicento a Warhol”, un percorso tra oltre cento dipinti alla scoperta della rappresentazione del cibo e degli alimenti nel corso di quattro secoli, sottolineando il forte legame fra il cibo e le arti figurative. In dieci sezioni tematiche, maestri dell’arte antica come Campi, Recco, Baschenis, Brueghel, Guercino, Salini e Todeschini dialogheranno con quelli dell’arte moderna e contemporanea, come Magritte e De Chirico, Manzoni e Fontana, Lichtenstein e LaChapelle fino a Andy Warhol, solo per citare i nomi dei più famosi. (amicimartinengo.it)


dicembre 2014 GENNAIO E FEBBRAIO

Food e ospitalità, per gli operatori è tempo di fiere Per cominciare il nuovo anno alla scoperta delle nuove tendenze e opportunità per il mondo dell’ospitalità, della ristorazione e del food ecco alcuni “classici” delle fiere di settore da appuntare in agenda a gennaio e febbraio. A Rimini Fiera da sabato 17 a mercoledì 21 gennaio taglia il traguardo della 36esima edizione il Sigep, il salone internazionale dedicato a gelateria, pasticceria e panificazione artigianali che attende 175.000 operatori professionali da tutto il mondo e che sfoggia, tra gli eventi, Gelato d’Oro, con le selezioni della squadra italiana per la Coppa del Mondo della Gelateria 2016 e i Pastry Events, Campionato mondiale Juniores e campionati nazionali di pasticceria. La manifestazione dà spazio anche alla filiera del caffè, mentre in contemporanea, sempre negli spazi della Fiera, si svolgono altre due rassegne dell’area food: Rhex Ristorazione (Rimini Horeca Expo), fiera dedicata alle tendenze del fuoricasa, e la biennale A.B.Tech Expo, esposizione che riunisce tutto il settore della panificazione (www. sigep.it). Dal 25 al 28 gennaio nel quartiere fieristico di Riva del Garda (Trento) è in programma invece la 39esima edizione di Expo Riva Hotel, salone dell’ospitalità e della ristorazione professionale suddiviso in quattro grandi aree tematiche: arredo e accessori, coffee & beverage, materie prime e attrezzature ed eco & wellness (www.exporivahotel.it). Dal 15 al 18 febbraio tocca a Ristorexpo, il salone dedicato ai professionisti della ristorazione promosso da Confcommercio Como e Lecco a Lariofiere di Erba (Co), che ha come claim in questa edizione “rallegrare il pianeta”. L’evento propone una parte espositiva, occasioni per incontrare e confrontarsi con i grandi nomi della cucina italiana, opportunità di formazione con stage di cucina, workshop e seminari di approfondimento e concorsi (www.ristorexpo.net).

MILANO

Identità Golose, grandi chef a confronto su gola e benessere Dopo “Una Golosa Intelligenza” dello scorso anno, il tema dell’undicesima edizione di Identità Golose Milano – il primo congresso italiano di cucina d’autore, ideato e curato dal giornalista Paolo Marchi - è “Una Sana Intelligenza” e chiama i grandi chef italiani e stranieri a confrontarsi sul rapporto, sempre più al centro dell’attenzione, tra gola e benessere, nella convinzione che «la salute dei clienti ora è appannaggio anche dei cuochi». La manifestazione è in programma da domenica 8 febbraio a martedì 10 al MiCo di via Gattamelata. Nella sala Auditorium sfileranno relatori del calibro di Alain Ducasse, Massimo Bottura, Carlo Cracco, Heinz Beck, Sean Brock e Virgilio Martinez, mentre negli altri spazi saranno di scena la prima edizione di Identità Montagna, il regno delle verdure di Identità Naturali, l’ulteriore novità di Identità Piccanti con chef in arrivo da tutto il mondo, i focus sui lievitati, la pasticceria, la pasta, le Identità Estreme e la regione ospite, il Veneto. A discorsi e dibattiti l’evento associa una parte decisamente più “pratica”, il Milano Food&Wine Festival che da sabato 7 a lunedì 9 febbraio fa scoprire, a pranzo e a cena, i piatti ispirati al tema “Sapori e colori di Expo” di 19 chef invitati da Marchi e una selezione di 300 vini, oltre a proporre degustazioni e show-cooking. www.identitagolose.it www.foodwinefestival.it

Tra i relatori anche Alain Ducasse (foto Brambilla – Serrani)

DAL 22 AL 24 GENNAIO

Olio Officina Food Festival E l’extravergine non avrà più segreti È rivolto a chef e buyer, ma anche a gourmand e consumatori consapevoli Olio Officina Food Festival, in programma dal 22 al 24 gennaio al Palazzo delle Stelline di Milano nella sua quarta edizione. La tre giorni si promette di «riformulare l’abituale approccio con i grassi», con un ricco menù fatto di tavole rotonde, dialoghi, interviste, scuole di cucina, assaggi guidati di extravergini di diversa provenienza (e un focus sugli oli da seme nobili: zucca, sesamo, avocado, vinacciolo). Gli argomenti in primo piano quest’anno sono l’arte del blending, i frantoi, l’olio e le diete, gli oli aromatizzati, gli aceti balsamici, la frittura. Caratterizzante è l’Oil Bar, in cui si annusano i vari oli e si degustano nel bicchiere, provandoli con calma, mentre per i bambini c’è il “Gioco dell’olio”, rivisitazione del gioco dell’oca che fa sperimentare l’arte dell’assaggio. Il sottotitolo “condimenti per il palato & per la mente” evidenzia la parte artistica e culturale del progetto che prevede, accanto all’officina, spazio per mostre e videoclip d’autore. www.olioofficina.com

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MESTIERI di Lara Abrati

La pizza d’asporto vuole fare il salto di qualità Casillo: «Ma ai pizzaioli manca l’umiltà» La maggiore attenzione dei consumatori al cibo spinge il settore a rinnovarsi, dalla scelta delle materie prime ai metodi di produzione, all’organizzazione. Il pizzaiolo formatore però denuncia: «Difficile abbandonare convinzioni consolidate e rimettersi in gioco»

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una delle preparazioni più conosciute e celebrate e, secondo alcuni dati relativi al 2013 elaborati da Accademia Pizzaioli e Ristorazione Italiana Magazine, coinvolge circa 63.000 esercizi commerciali, di cui circa 42.000 ristoranti-pizzerie e 21.000 pizzerie d’asporto. Per molti questo alimento è diventato semplicemente un ripiego, ma sono in crescita i consumatori che stanno ponendo sempre più attenzione a ciò con cui si nutrono, grazie anche alla maggiore disponibilità di informazioni. Le persone sono quindi più esigenti e più selettive. E non è da sottovalutare nemmeno il fenomeno, sempre più frequente, dell’“home made”, di chi decide cioè di prepararsi la pizza in casa, creando un’occasione divertente e diversa attraverso cui possono toccare con mano ciò che poi andranno a mangiare, ma non solo: sapranno con certezza quali materie prime sono state impiegate per la preparazione. Il consumatore, quindi, si sta trasformando e i pizzaioli? Anche! Soprattutto nel mondo delle pizzerie d’asporto. Ne è un esempio Tiziano Casillo, che ora si trova a girare per il mondo per insegnare l’arte della pizza. «Ho iniziato a fare la pizza all’età di 12 anni a Chiuduno, il mio paese d’origine – racconta –, ho proseguito poi gli studi diplomandomi alla scuola alberghiera di Iseo e sono andato a lavorare come pizzaiolo in un ristorante pizzeria di Seriate. Infine ho aperto la mia pizzeria, ad Albegno di Treviolo». La curiosità, la

Tiziano Casillo

continua formazione e l’interesse a fare sempre meglio hanno portato Casillo a collaborare con una grande azienda, per cui ora lavora come formatore. «Mi occupavo delle dimostrazioni – ricorda –, poi l’azienda ha approfondito la collaborazione e mi ha formato tecnicamente. Attraverso l’attività di questa azienda, circa 10 anni fa, abbiamo iniziato a portare nelle pizzerie il lievito naturale e farine diverse da quelle utilizzate da sempre: stiamo cercando di far lavorare i pizzaioli con farine di qualità, certificate di origine italiana e prodotte all’interno di diversi progetti specifici che coinvolgono anche alcune università. Farine che garantiscono una maggiore qualità nel risultato, a patto che siano lavorate con conoscenza e organizzazione». Quindi la formazione prima di tutto, ma anche una migliore organizzazione delle attività e una maggiore conoscenza e capacità di scelta delle materie prime, anche se «purtroppo c’è ancora troppa poca umiltà - afferma ancora Casillo – da parte dei pizzaioli, che non permette loro di mettersi in gioco e migliorarsi. Investire sulla conoscenza e sull’utilizzo di materie prime migliori porterà migliori risultati, anche in termini economici». Ecco che quindi concetti come scelta delle materie prime, utilizzo di ingredienti freschi e di stagione, diversificazione delle tipologie di


dicembre 2014 pizza, ma anche degli impasti stessi, sono parole d’ordine che stanno arrivando pian piano anche nel mondo della pizza d’asporto, quella che nell’idea comune è consumata velocemente nel cartone, magari davanti alla televisione, senza attenzione alcuna a

cosa si stia ingerendo e al lavoro del pizzaiolo. Quale è il sogno nel cassetto di Tiziano Casillo, pizzaiolo e formatore, riguardo la pizza? «Aprire una pizzeria in cui la pizza sia trattata al pari di un piatto da ristorante gourmet», forse questa preparazione così celebrata se lo merita, no?

I pizzaioli

«Eppure la formazione porta vantaggi» Ogni pizzaiolo che decide di intraprendere un percorso formativo per migliorare la qualità delle pizze proposte ha diverse motivazioni alle spalle, come nel caso di Corrado Signorelli, titolare della pizzeria d’asporto Pizza in Piazza di Gorlago. «La prima volta che il mio fornitore mi ha invitato a un corso, la cosa mi incuriosiva, ma la diffidenza era altissima – ammette -. Per quale motivo qualcuno di estraneo avrebbe dovuto insegnarmi il mestiere che facevo da anni? A quale titolo? Alla fine non ho partecipato, ma per fortuna Rubens, ha insistito e ho seguito il corso successivo».

bene, anche noi ne traiamo beneficio!», commenta. Anche Pietro Tallarini, proprietario di Pizza Evolution di Fiorano al Serio e istruttore all’Accademia Pizzaioli, sottolinea «è fondamentale avere consapevolezza e sapere come utilizzare e lavorare le materie prime. A volte continuiamo a trascinare un bagaglio di convinzioni errate che alla lunga diventano controproducenti; imparare a fare un impasto, farlo maturare e utilizzarlo a maturazione avvenuta, riconoscendola, sarebbe già un grande passo in avanti». Corrado Signorelli spiega anche: «Il mio problema era che non riuscivo sempre a fare un impasto uguale,

è che le spese possono aumentare, in relazione a quanto uno si vuole spingere - spiega Pietro Tallarini –. È ovvio che in fondo alla catena c’è il consumatore ed è importante che lui capisca la differenza. La comunicazione è quindi una parte molto importante, da non sottovalutare». Purtroppo però la logica con cui molte pizzerie, soprattutto d’asporto, vengono gestite, è quella legata al minor prezzo: per le materie prime e per le pizze vendute. Questo non può che favorire un circolo vizioso al ribasso, anche della qualità offerta e percepita. La diffidenza e la rigidità sono ancora presenti in questo settore, infatti «è molto più facile insegnare

Molte volte, le informazioni riguardo le materie prime e la loro lavorazione arrivano dai fornitori stessi, con lo scopo di aiutare il proprio cliente nella scelta; è la strada che ha deciso di intraprendere Rubens Ghilardi, titolare insieme alla madre Laura dell’omonima azienda Laura Catering, distributrice di alimentari: «Come molte altre aziende, ci stiamo impegnando nella formazione dei nostri clienti, in questo caso dei pizzaioli. Alla base di tutto c’è la conoscenza e non basta che i pizzaioli sappiano lavorare bene, anche noi fornitori dobbiamo fare la nostra parte e aiutarli nell’intento. Se loro lavorano

tutti i giorni, a volte non riuscivo a controllare di preciso ciò che facevo, non avevo un metodo». È lo stesso problema che affrontano Luca e Andrea Fratelli, titolari di una catena di pizzerie a Bergamo, quando acquisiscono una nuova pizzeria. «La formazione – dice Luca Fratelli – è la prima cosa che affrontiamo; l’obbiettivo è quello di standardizzare e organizzare la nostra produzione, differenziandola rispetto alle altre pizzerie». Quindi formazione, organizzazione e, non da sottovalutare, comunicazione. «Se una pizzeria inizia ad utilizzare materie prime di qualità, certo

metodo e tecnica a un non-pizzaiolo piuttosto che ad un pizzaiolo», dice ancora Tallarini. Certo è difficile affrontare un corso in cui buona parte del proprio bagaglio di conoscenze viene stravolto, ma un metodo si impara e il mettersi in gioco potrebbe ridare la giusta credibilità a una categoria che, nel corso degli anni, a causa di svariati e diversi fattori, ha in parte perso la voglia non solo di fare bene, ma di provare a fare meglio. Ma qualcosa si sta muovendo. L’auspicio è quello che siano sempre più quelli che decidono di mettersi in gioco, per il loro futuro e per il futuro della pizza artigianale di qualità!

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FACECOOK

alla scoperta dei social chef

di Laura Ceresoli

Originario di Caravaggio, Adriano Usini è il capo chef del ristorante “Ragazzi”, regno della pasta fresca e dei classici del Bel Paese. «Le proposte piacciono, ma ho dovuto rivedere le ricette originali per andare incontro ai gusti dei clienti»

N

«Alle Cayman? Ho portato la mia cucina» ei pressi di George Town, nell’arcipelago delle Grandi Antille, si snoda una distesa di finissima sabbia bianca corallina lunga sette miglia. Questo luogo incontaminato dove vige l’esenzione fiscale fin dai tempi di re Giorgio III d’Inghilterra rappresenta, grazie alla massiccia presenza di alberghi di lusso, un’ambita meta turistica. E di certo Adriano Usini non poteva scegliere di meglio per consolidare la sua esperienza lavorativa all’estero. Originario di Caravaggio, questo cuoco 44enne oggi è il capo chef del ristorante “Ragazzi” di Grand Cayman, la maggiore delle tre isole che compongono il territorio britannico d’oltremare

delle Cayman Islands. Salone arioso dall’aspetto accogliente e pareti di legno chiaro rallegrate da opere d’arte ispirate al mondo marino, questo locale italiano offre una serie di specialità che vanno ben oltre i cliché culinari a cui i turisti sono stati a lungo abituati. Accanto a grandi classici come lasagne alla bolognese, fettuccine al pesto e gnocchi ai quattro formaggi, nel menù si possono trovare gustosi piatti di pasta fresca, dalle orecchiette con broccoli e gamberetti a originali casoncelli in salsa di funghi e olio di tartufo. Tra i secondi spiccano carpaccio, insalata caprese, scaloppine al limone, pollo al Marsala, fritto mi-

sto, il tutto accompagnato da focaccia e grissini fatti in casa. C’è poi una vasta selezione di vini che, oltre alle classiche marche francesi e austriache, propone una vasta gamma di etichette italiane, dal Prosecco al Chianti, al Barolo. Con 755 recensioni e un certificato di eccellenza conquistato nel 2014, Ragazzi si piazza al terzo posto, su 52 ristoranti presenti a Seven Mile Beach, tra le preferenze degli internauti di Tripadvisor. Ben 506 utenti giudicano questo locale “eccellente”, 188 “molto buono”, 38 “nella media”, 12 “scarso” e 11 “pessimo”. Spulciando tra i commenti più recenti, troviamo il giudizio di

L'INTERVISTA

«Un dramma se le recensioni le fa chi ha un’idea

Adriano Usini

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Com’è iniziata la sua passione per la cucina? «Ho frequentato la scuola alberghiera a Clusone. All’età di 17 anni, mi sono imbarcato su una nave della Princess cruise per una esperienza di sei mesi all’estero, tra Stati Uniti, Canada, Alaska e Caraibi. Poi sono tornato in Italia e ho lavorato per sette anni a Milano al ristorante Orti di Leonardo e poi al Salotto in piazza Duomo. Nel gennaio 1997 mi sono definitivamente trasferito alle isole Cayman». È vero che gli stranieri hanno una visione stereotipata della cucina italiana? «I nostri clienti sono in larga parte americani e devo dire che hanno gusti abbastanza particolari. Sono convinti, per esempio, che tra le specialità italiane ci siano spaghetti con le polpette, pollo alla parmigiana e la pasta Alfredo, ovvero un facsimile delle nostra pasta burro e

formaggio con la differenza che loro mettono la panna al posto del burro e ci aggiungono pollo o gamberetti. In effetti sono ricette italiane ma con delle variazioni abbastanza pesanti che, secondo il mio punto di vista, rovinano la classicità della cucina italiana basata su cibi leggeri e molto digeribili». Ci sono dei piatti tipicamente italiani che ancora non è riuscito a far apprezzare agli stranieri? «Non apprezzano la semplicità di una bella aglio, olio e peperoncino». Quali sono i piatti forti del suo ristorante? «Il nostro menù è basato principalmente sulla pasta fresca, in particolare ravioli fatti in casa. Abbiamo qualcosa di simile ai casoncelli ma cucinati con funghi freschi saltati e olio di tartufo. Ci sono poi le orecchiette alla pugliese con broccoli al posto delle cime di rapa, qui impossibili


dicembre 2014 Spud 37 da Durango in Colorado: «Questo è un posto molto interessante con servizio e cibo italiano eccellente. Lo consiglio vivamente. Ottima pizza con crosta sottile, Penne con aragosta in una salsa di crema di aglio e Fettuccine alla bolognese. Ottima la lista di vini». Dice Linda da Chicago: «Il menù è meraviglioso, il cibo eccellente. Anche se alcune delle portate sono po' care, nel complesso ci piace molto». E anche gli italiani danno la loro approvazione: «Ok, conoscevo lo chef – scrive Claudio F. da Rapallo – ma erano anni che non lo vedevo e sinceramente una pizza così (ai frutti di mare con gamberi, aragosta e capesante) neanche in Italia la mangio! Servizio impeccabile, complimenti vivissimi». E ancora Matteo F. da Venezia: «Adriano in cucina non sbaglia un colpo. La pizza cotta in forno a legna segue la ricetta di un pizzaiolo italiano ed è molto buona. Non preoccupatevi per la lingua, personale italiano è sempre a vostra disposizione (soprattutto in cucina)». Soddisfatta anche la modenese Minasmore: «Frequentandolo da anni, si può

apprezzare la meticolosità nel curare i piatti, nella qualità dei prodotti stessi, un’ottima carta di vini. Per essere Grand Cayman, i prezzi non sono contenuti, ma sicuramente li trovo molto competitivi se paragonati ad altri locali dello stesso livello. Anche il personale è da menzionare, sempre attento e cordialissimo. Tappa obbligata». Le informazioni sul locale sono sul sito www.ragazzi.ky, la pagina Facebook “Ragazzi Cayman” pubblica le ultime novità e le foto aggiornate dei piatti mentre sul profilo di Adriano Usini tra le immagini assolate della Seven Mile Beach compare, di tanto in tanto, qualche nostalgico riferimento alla sua amata Bergamo.

I suoi Agnolotti all'anatra

distorta dei piatti italiani» da trovare, e gamberetti. E ancora gnocchi fatti in casa ai quattro formaggi, panna, brandy e pistacchi tostati». Ha mai dovuto piegarsi alle esigenze dei clienti cambiando in corsa qualche sua ricetta? «I piatti sono tutti molto apprezzati ma ho dovuto cambiare tutte le ricette originali per andare incontro ai gusti dei nostri clienti». Cosa ne pensa delle recensioni di Tripadvisor? «A volte sono utili perché ci sono critiche molto costruttive. Il dramma è quando scrivono commenti quei clienti americani che hanno un’idea distorta della cucina italiana. È la tipologia di clientela più pericolosa per la nostra reputazione perché magari va in giro a dire che le nostre non sono ricette italiane originali soltanto perché sono differenti da quelle che trova abitualmente nel fast food vicino casa». Utilizza Internet per promuovere la sua attività? «C’è il sito www.ragazzi.ky, comunque il ristorante è già molto conosciuto nei Caraibi e in tutto il Nord America. Io di solito uso la mia email per mandare ricette ai clienti che me le chiedono. E poi c’è la nostra pagina Facebook “Ragazzi Cayman”». Ha una famiglia che le sta sempre vicino? «Sì, qui a Grand Cayman ci sono mia moglie Katiuscia, anche lei di Caravaggio, e i nostri tre splendidi bambini: Alessandro, 13 anni, Mattia (8) e Leonardo (2). Sono tutti e tre nati a Cayman e parlano perfettamente inglese e italiano, Alessandro anche lo spagnolo. I miei genitori, invece, risiedono tuttora a Caravaggio, vado a trovarli ogni anno tra luglio e agosto quando qui è bassa stagione».

Il concorso

“Bergamo Mille Ricette”, ecco i dieci vincitori “Bergamo Mille Ricette”, il concorso che la Camera di commercio ha lanciato tra gli appassionati di cucina per valorizzare i prodotti tipici, ha emesso i suoi verdetti. Dopo le votazioni on line che hanno decretato le dieci proposte finaliste tra le 18 pervenute, la giuria (composta da Silvia Tropea, Petronilla Frosio, Umberto Dolci e Andrea Locati) ha stilato la propria classifica, assegnando premi consistenti in menù e prodotti bergamaschi. Come richiesto dal regolamento, le ricette si sono rifatte alla tipicità degli ingredienti, ma non sono mancate quelle che hanno interpretato la tradizione con originalità, anche con spunti moderni. Ecco, nell’ordine, i vincitori: Alessia Bertocchi – “Involtini alla bergamasca”; Elia Agliardi – “Faccio fagotto ma resto”; Elisa Molteni – “Minestra di latte e riso con pancetta della Bergamasca croccante”; Francesco Pellegrini – “Galletto ripieno su uva e taccole in agrodolce con creste alla salsa di lamponi e lardo croccante”; Bernardo Savoldelli – “Biscotto spino dorato”; Valeria Vigani – “Polenta bergamasca con farina di granoturco integrale e coniglio”; Rosella Pulcini – “Risotto Rosa”; Mariangela Tomasi – “I ravioli della nonna Nina di Fontanella”; Valeria Zanchi – “Nosecc”; Debora Giorgi – “Scarpinocc de Par, la tradizione senza glutine”.

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SCENARI di Roberta Martinelli

La grande rivoluzione dei bar Uno dei luoghi più apprezzati e frequentati dai consumatori sta cambiando pelle. A incidere sono i consumi che cambiano, le tecnologie e le nuove competenze

I

l baretto abbarbicato nel centro storico del paese che fa cappuccino, caffè e brioche e lavora con una clientela di prossimità non andrà mai in pensione, ma il format del pubblico esercizio nei prossimi anni sarà molto diverso. Lo ha detto Fipe Confcommercio nel corso del convegno dal titolo “Il bar del futuro. Nuovi consumi, nuove tecnologie, nuove competenze” tenutosi recentemente a Roma. Secondo la federazione dei pubblici esercizi, il mondo dei bar è al centro di un grande cambiamento. La parola d’ordine è innovazione, sia per chi

Fuoriporta

un locale già ce l’ha sia per chi desidera aprirlo. Le novità nel settore sono a tutto campo e riguardano l’ubicazione, l’offerta, la comunicazione e non solo. A differenza del passato, quando i bar si concentravano nei centri storici, i pubblici esercizi ora trovano posto in musei, autostrade, librerie. Hanno offerte per il pranzo e per la sera e per la comunicazione e la promozione si affidano ai social network, soprattutto Facebook, Twitter e Instangram. A cambiare volto però è soprattutto

chi sta al bancone: i neo imprenditori nel mondo dei bar sono per lo più giovani e donne e, sempre in più casi, stranieri. Oggi sono 18mila gli esercizi gestiti da immigrati, soprattutto cinesi, con un aumento negli ultimi due anni del 50 per cento. Sarà forse perché aprire o lavorare in un bar non è più un ripiego, ma una scelta di prospettiva per i giovani, grazie anche ai programmi dedicati al mondo del food&beverage. La sfida del mercato si può vincere però solo con la competenza e questo è vero oggi e lo sarà sempre più

di Lelia Parisi

Da Gigi, il regno degli Scapinasc Sono i rustici ravioli dell’alta Valsassina ad attrarre i clienti. Ma non da meno è l'intera proposta, fortemente vincolata al territorio Sicuramente il tempo si è fermato a Crandola, tra vecchie cascine stese al sole, vicoli lastricati che irregimentano le poche case di questo piccolo borgo (250 anime) terminale della Valsassina, una bolla di verde e silenzio sospesa sopra la valle. Così remoto da sembrar uscito da un documentario Anni Sessanta di Rai Storia, eppure non abbastanza da fermare il serpentone di auto che la domenica si stende sino in cima al paese, dove l’unica strada si arrende subito ai boschi e allo sterrato. A calamitare dalla città (soprattutto Milano, Lecco e Como) i pendolari domenicali, oltre al silenzio, gli “scapinasc”, i rustici ravioli dell’alta Valsassina di cui il Ristorante Albergo da Gigi di Crandola intavola una magistrale interpretazione. Ma se gli scapinasc, da Gigi, son da podio, non sono soli e vi stanno in buona compagnia. L’intera cucina è un affresco di sapori costruito con

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sapienza e pazienza intorno a materie prime locali, anzi, prodotte addirittura dalla stessa famiglia Gobbi proprietaria del ristorante fondato 50 anni fa (con il nome Locanda Cimonella) da papà Gigi, prematuramente scomparso. Una cucina quasi autarchica, dunque, con grande uso di prodotti caseari, salumi e carni della valle, paste e pane fatti in casa, ortaggi e frutta di ogni genere coltivati dai Gobbi nei cinque orti di proprietà. Racconta Antonella, una delle tre sorelle che hanno raccolto l’eredità di papà Gigi, alla cui memoria è dedicato il ristorante: «La nostra valle, a esclusione degli scapinasc, non ha una rilevante tradizione gastronomica; in compenso disponiamo di molti prodotti locali e di una radicata tradizione di allevamento ovino e caprino su cui abbiamo modellato la nostra cucina». Ai fornelli sono le doti congiunte di Carlo Maglia (natali in Bellano), della moglie


dicembre 2014

nei prossimi anni. Non basta essere bartender o maestri del cappuccino, agli esercenti sono ormai richieste anche competenze gestionali e fiscali. Per sopravvivere alla crisi e far funzionare un locale più di tutto serve la

capacità e la disponibilità di innovarsi, di proporre cose nuove, di reinventarsi se serve. E questo in considerazione del fatto che il consumatore italiano, a differenza di ciò che avviene negli altri Paesi europei, considera la qualità (e non il prezzo) l'elemento trainante nelle scelte di consumo. Ma veniamo ai numeri. Con 7 miliardi di euro di valore aggiunto, 500 milioni di transazioni, una clientela di 20 milioni di persone tra residenti e turisti che spendono ogni giorno 50 milioni di euro, il bar è uno dei luoghi più apprezzati e frequentati dai consumatori. Il mondo dei pubblici esercizi conta 360mila occupati e 130mila locali, che arrivano a oltre 171mila se si calcolano anche i bar all’interno di alberghi, campeggi, stabilimenti balneari e discoteche, la metà dei quali al Nord. È la Lombardia a guidare la classifica con 21mila bar, ma è forte la diffusione anche in Veneto, Emilia Romagna, Lazio e Campania.

Giusy Gobbi e del cognato Marco Acerboni, marito di Angela, a rielaborare in modo creativo gli ingredienti generosamente dispensati dalla valle, con risultati che ammiccano sia all’occhio sia al palato. Una cucina corale, insomma, che reimpagina il territorio in piatti di notevole equilibrio gustativo, capaci di dar voce alla schiettezza degli ingredienti, valorizzandoli e mai appesantendoli. Smorzando i sapori intensi con note dolci o agrodolci, come nel paté di lepre con mostarda di sottobosco, nel notevole petto d’anatra con salsa alla senape d’arancio, o nella costata di cervo con marmellata di cetrioli, o ancora, nell’ottimo filetto di maialino con salsa al rosmarino e castagne spadellate al bacon. A cui si aggiungono i più classici, ma sempre ben interpretati, tagliatelle al ragù di lepre, risotto con crema di zucca dell’orto, antipasto di salumi nostrani (salame e coppa) con pignatello (specie di bignè) farcito di robiola della valle, costolette di agnello ai carciofi. Quanto agli scapinasc, conditi con burro e salvia, devono il loro nome ai non troppo eleganti calzerotti di lana di una volta fatti ai ferri, con la suola rinforzata per camminare. Insomma, bruttarelli sì, ma decisamente buoni. «La ricetta originale – spiega Antonella – vuole l’amaretto e l’uvetta, noi l’abbiamo rielaborata in versione più classica, con il ripieno di carne, che riscuote il consenso dei nostri clienti». E poiché buon sangue non mente, ecco in chiusura dolci anch’essi tutti caserecci, tra cui crostata con marmellata di fragole e rabarbaro dell’orto, bavarese al torrone, cappucci-

Il settore "pesa" per circa un quarto sul totale dei consumi alimentari fuori casa delle famiglie (18 miliardi su 72). La spesa dei clienti va dai 2,20 euro medi per la colazione ai 6,40 per il pranzo, per una spesa media complessiva di 3,50 euro. Le consumazioni si indirizzano perlopiù sulle bevande calde, che rappresentano il 37% del totale. Quanto alla scelta del bar risulta decisivo il criterio di prossimità: solo il 5,6% degli italiani sceglie infatti sulla base del prezzo. I problemi, tuttavia, non mancano: lo scorso anno i bar che hanno chiuso sono stati 13.025. La crisi c’entra, ma da sola non basta a spiegare le dimensioni di tanti insuccessi. Il turnover è legato alla bassa marginalità d’esercizio, ma anche a molta approssimazione da parte degli operatori. C’entra anche l’emergere di nuovi bisogni dei consumatori che hanno dato vita a nuovi modelli d’offerta mettendo ai margini del mercato molte di quelle imprese che non hanno saputo vedere il cambiamento.

no di mela con cannella e meringa, torta di nocciole e noci. Da non perdere la selezione di caprini della Valsassina: caprino fresco, grana, zola, taleggio e formaggella stagionata, tutto pura capra. Ben assortita la carta dei vini, composta da circa 130 etichette, con prevalenza di vini lombardi (in particolare i rossi della vicina Valtellina che ben si addicono ai piatti proposti), piemontesi e toscani. Conto medio sui 35 euro (esclusi il vino e il coperto, 3 euro a testa). Presente anche un menù degustazione di tre portate più tris di dolci a 39 euro, vini esclusi.

Albergo Ristorante da Gigi piazza IV Novembre Crandola Valsassina (Lc) tel. 0341 840 124 chiuso il mercoledì Gli Scapinasc

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NEWS

"Osteria del futuro", Golosaria premia Al Carroponte

A

soli due mesi dalla sua nascita, l’eno-bistrò “Al Carroponte” di Bergamo ha ricevuto il Premio Golosario 2015 “Osteria del Futuro”. La premiazione si è tenuta durante la manifestazione annuale di Golosaria, la rassegna di cultura e gusto del Club di Papillon di scena a Milano lo scorso novembre. Ma cosa significa ”Osteria del Futuro”? Come da definizione di Golosaria, “l’osteria è un concetto che evoca il passato, perché ancora oggi non esiste un nome per i locali del futuro, che sono invece luoghi dalle molteplici funzionalità, attivi durante tutto l’arco della giornata”, e ancora “questo è un locale divertente e innovativo, grande nel suo porre al centro il gusto e il luogo. Qui sia mangia bene e si sta meglio. Queste sono le osterie del futuro. Questo è Al Carroponte”. Il locale di via de Amicis 4, a Bergamo, ricavato nella vecchia industria Ciceri (il carroponte è ancor ben visibile), è un ristorante, un’enoteca e un bar. Oscar Mazzoleni, il patron e maître sommelier, ha saputo coniugare le tre "anime" in modo sapiente, modulando l'offerta con competenza. Per accompagnare la corposa selezione di vini ha deciso di rivisitare i piatti della cucina locale affidando la proposta culinaria allo

chef Alan Foglieni. Una quarantina di coperti, Al Carroponte vanta una proposta ben equilibrata tra pesce e carne. I menù a disposizione sono quattro: quello dei finger food o piccole proposte, quello dei piatti freddi in enoteca, quello vero e proprio del ristorante, quindi la lista dei dolci. Merita una visita. Al Carroponte via de Amicis, 4 Bergamo tel. 035 2652180

Le Marchesine, la verticale esalta il "Secolo Novo" millesimato Tra cinque annate della Riserva Franciacorta Docg dell'azienda di Passirano svetta il 2005 Con 47 ettari di vigneti e 500mila bottiglie prodotte ogni anno, Le Marchesine è una delle più importanti realtà della Franciacorta, rinomata in particolare per il livello dei suoi millesimati nelle diverse tipologie. Per ribadire queste peculiarità, Loris Biatta, patron dell'azienda agricola di Passirano, ha voluto dedicare al Franciacorta Docg Riserva Secolo Novo Millesimato - un vino longevo e di grande forza - una verticale di cinque annate (2008/2005/2002/2000/1995) coinvolgendo un gruppo di esperti. "Sui millesimati - taglia corto Biatta - la mia sfida è quella di contraddistinguere l’annata e valorizzare il terroir". La Docg che ha conquistato tutti è stata il 2005, annata che ha sfiorato l’eccellenza, seguita nelle preferenze dal

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2008, dal 2002 e dal 2000. Ha sorpreso anche l'annata '95, che ha dimostrato la longevità di questo Chardonnay che nasce sulla collina "La Santissima" di Gussago, un vino ancora fresco, non ossidato e tuttora carico di acidità. Un traguardo notevole, soprattutto se si considera che i vini presentati in degustazione non sono di annate storiche con sboccature recenti, bensì sono i medesimi prodotti commercializzati negli anni passati. "Ecco perché - come annota Biatta - un Franciacorta Docg Secolo Novo Millesimato, con un carattere così ben delineato ed una vitalità ancora ben marcata, riesce a con-

quistare anche i palati più esigenti". Le cinque annate della verticale hanno dimostrato l'evoluzione delle bollicine negli anni. Freschezza, eleganza, perlage finissimo e persistente, grande struttura e morbidezza sono le caratteristiche emerse al primo approccio con questa Riserva che nasce da selezioni clonali di uve Chardonnay vendemmiate a mano. Le bottiglie vengono accatastate in locali di affinamento a temperatura controllata (12° - 14°) per almeno 48 mesi. Azienda Agricola Le Marchesine via Vallosa, 31 Passirano (Bs) www.lemarchesine.com


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Tartufo bianco e Barolo protagonisti a Porta Osio

Pierre Aresi (al centro) e lo chef Michele Sana, a destra, insieme ai collaboratori di sala e cucina

Tartufo bianco e Barolo? Un connubio perfetto. A riproporlo ci ha pensato anche Porta Osio. L'enoteca con cucina di via Moroni, a Bergamo, lo scorso 4 dicembre ha infatti dato vita a una serata dedicata proprio a sua maestà il tartufo, nell'occasione degnamente affiancato dai vini piemontesi di Domenico Clerico. Grazie all'attenta regia di Pierre Aresi in sala e alla mano sicura del giovane chef Michele Sana, l'evento ha mandato a felice nozze le due perle piemontesi. Merito di un menù ben calibrato sulla proposta enoica. A partire dalla Fonduta di fontina d'alpeggio e tuorlo d'uovo con crostini di pane nero al burro tartufato - piatto che ha aperto le danze - e dalla crema di fagioli con tartare di filetto di vitello e tartufo bianco, che hanno trovato nella Barbera d'Alba Trevigne un valido "compagno di viaggio". Stesso registro per l'uovo di cascina cotto a 70 gradi con pan brioche, crema leggera di verza e tartufo bianco abbinato al Langhe Rosso "Arte 2012". Con l'ingresso in campo del Barolo il livello è salito ulteriormente. Sono stati serviti gli strozzapreti trafilati alle erbe aromatiche con crema al Parmigiano Reggiano e tartufo bianco annaffiati dal "Ciabot Mentin" 2009 e, a seguire, il petto di quaglia scottato e la sua coscia in confit con purè di patate mantecato al burro e tartufo bianco abbinato a potente Pajana 2008. Per concludere, una mousse ai due cioccolati bianco e fondente con noci di macadamia sabbiate e biscotto all'olio extravergine. Locale al completo, a conferma che la cucina ben interpretata e il buon vino fanno sempre breccia nell'attenzione del pubblico.

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NEWS

Grumello, "Le Corne" lancia l'idea del Distretto vitivinicolo biologico

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n nuovo distretto biologico vitivinicolo, un concorso per portare l’arte nel vigneto monoblocco più grande della Bergamasca e una mostra assolutamente inedita sulle ultime scoperte in materia di ricerca storica sul vino. Non è mancata la concretezza, oltre agli spunti economici e culturali di discussione, a Paesaggi del Vino, il convegno internazionale tenutosi dal 20 al 23 novembre scorsi nell’azienda vitivinicola Le Corne di Grumello del Monte, organizzato dal Centro Studi Città e Territorio. Proposta dalla proprietà della società agricola Le Corne, impresa in conversione biologica, l’idea di dare vita ad un Distretto bergamasco del biologico è stata rilanciata con entusiasmo da Nicoletta Noris, sindaco di Grumello del Monte: “Il nostro Comune guarda con attenzione ad una possibilità così qualificante per la produzione delle nostre imprese e così caratterizzante la nostra realtà territoriale. Vogliamo essere il motore di questo salto qualitativo e supportarlo con gli strumenti di cui come municipalità possiamo disporre. Abbiamo le caratteristiche per poter ambire a divenire il cuore di un Distretto biologico realmente innovativo”. In evidenza anche il concorso d’idee “Nuove visioni di paesaggi biologici” con l'obiettivo di far entrare l’arte nel vigneto e

LA RICERCA

Il Web non è più un tabù per il mondo del vino

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renderlo più visibile, più godibile, centro di un’esperienza umana intensa anche per il visitatore più distratto. Il concorso è promosso dalle Corne che, sulla scia anche di interessanti esperienze nazionali ed internazionali, sta cercando una sua strada per valorizzare un vigneto unico per dimensioni e microclima. “Abbiamo voluto un concorso aperto ai creativi, siano essi paesaggisti, artisti o semplici studenti. Cerchiamo un’idea realizzabile che ci conquisti, una progettualità da sviluppare anche sul lungo periodo", ha dichiarato Cinzia Cortinovis, amministratore della società vitivinicola.

Sito internet, Facebook, Twitter ma anche Pinterest e Youtube. La rete non è più un tabù per le cantine italiane che si scoprono sempre più 2.0 e connesse con il mondo intero H24. È la sintesi della ricerca “Le imprese vitivinicole italiane e il web”, condotta da BeSharable e presentata nei giorni scorsi a wine2wine, il primo forum di Veronafiere-Vinitaly dedicato al business del settore vitivinicolo. Secondo l’indagine, realizzata su 3.439 imprese del settore, il 94% delle cantine dispone di un sito internet, supportato dalla presenza sui social, in primis Facebook che cattura il 73% dei profili aziendali, confermandosi il canale più utilizzato anche per il marketing. Tra gli altri strumenti utilizzati è Twitter a primeggiare con il 30% delle cantine che ‘cinguettano’, subito seguito da Instagram, l’applicazione di condivisione delle immagini nata nel 2010, che raccoglie il 16% delle imprese italiane del vino. Tra i prodigi della rete anche l’upgrade linguistico del vino italiano che ora comunica anche in inglese per il 96% del panel. E se lingue europee, in rete, vanno per la maggiore (in aggiunta all’italiano e all’inglese), non è così per quelle dei mercati obiettivo del settore. Infatti solo il 6% delle aziende comunica in cinese, mentre il russo si deve accontentare di appena un 3 per cento.


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