Affari di Gola - dicembre 2015

Page 1

Anno XV n.10 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60

dicembre 2015

Villa Domizia, .UNO cresce e va alla conquista dell’Est L’Incrocio Manzoni si sta affermando tra i consumatori e piace anche in Asia


LE NOSTRE SEDI UFFICIO OPERATIVO

BERGAMO

INDIRIZZO

TEL. e FAX

Sede Provinciale

Via Mangili, 21

035-4524011 – 035/4524126

Bergamo

Via Borgo Palazzo, 169

035/4524170 – 035/4524171

Clusone

Via S. Vincenzo de Paoli, 10

035/4524800 – 035/4524801

Ponte San Pietro

Via Vittorio Emanuele II, 60

035/4524190 – 035/4524191

Romano di Lombardia

Via del Commercio, 30

035/4524840 – 035/4524841

Sarnico

Via Suardo, 6

035/4524820 – 035/4524821

Treviglio

Via XXIV Maggio, 30/a

035/4524860 – 035/4524861

Zogno

Via Pietro Ruggeri, 12

035/4524880 – 035/4524881


dicem

1, comma 46) art. 004 n. in L. 27/02/2 03 (conv. 353/20 - D.L. - Poste

Italiane

S.p.A.

Spediz

ione in

Abbona

mento

Postale

L’Incro afferm cio Manzoni si sta e piaceando tra i co anche ns in Asia umatori

XV n.10

www.affaridigola.it

4

1, DCB

SOMMARIO

Villa .UNO Domizia, e va a cresce dell’Eslla conquis t ta

Anno

DICEMBRE 2015 - GENNAIO 2016

Bergam o - € 2,60

bre 201 5

4 BILANCI

8

Ristoranti, Bergamo ha vinto la sfida del fare rete

IL TESTIMONE

Sommelier Ais, quante ne ha viste la tessera numero uno!

10 Punti di vista

12

Veronelli sapeva esser di parte, ma in modo trasparente

12 IN TAVOLA

Quei ripieni che fanno Natale

16 IL PERSONAGGIO

Claudia, la regina delle formaggelle col computer in stalla

21 La copertina

24

“.UNO”, la produzione cresce e arriva anche in Asia

23 L’allevamento

L’ex bancario con la passione delle lumache

24 tendenze

Il mondo del food cede al richiamo dell’innovazione

30 tradizioni

Il signor Carrara e il supplizio del polpettino

32 Facecook

Negli Usa Michele brucia le tappe. A 29 anni apre un locale tutto suo

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini,24 - 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - N° ROC 5847 - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg


BILANCI di Anna Facci

C

4

Ristoranti, Bergamo ha vinto la sfida del fare rete he nella crisi si possano trovare stimoli e opportunità di rinnovamento è il refrain di questi tempi di economia in difficoltà e prospettive incerte. Trasformare però un incoraggiamento in realtà è un’altra cosa e la ristorazione bergamasca ce l’ha fatta, ha risposto al calo dei consumi, alle cene super scontate dei voucher, a clienti fattisi più guardinghi con due iniziative che hanno aperto gli “orticelli” e messo in campo proposte più schiette ed accessibili. Ognuna con un proprio carattere e livello, sono nate prima InGruppo, nel 2013, da 15 locali tra stellati e di alta fascia che hanno scelto di offrire menù promozionali al costo di 55 euro, e l’anno successivo Trentacinqueuro.it che nel nome indica già con chiarezza il budget richiesto e oggi raggruppa 37 insegne e si è esteso ai bed and breakfast. Entrambe le iniziative si sono consolidate e proseguono nello sviluppo, che guarda ormai anche fuori dai confini provinciali. Dopo l’ingresso del Devero di Cavenago dello chef Enrico Bartolini, due stelle Michelin, InGruppo assocerà anche la stella della Nuova Trattoria Dac a Trà, di cui sono proprietari gli ex calciatori Roberto Donadoni e Mauro Tassotti. Contatti con Milano e con le città che con Bergamo saranno Regione europea della Gastronomia nel 2017, ossia Brescia, Mantova e Cremona, li sta avendo invece Trentacinqueuro.it. Quella collaborazione tra gli operatori della ristorazione così spesse volte invocata sembra finalmente essersi messa in moto, complice anche una crescita sul territorio del turismo, delle politiche di promozione e dei servizi di accoglienza. Che si tratti di un successo lo dice convinta anche Petronilla Frosio, presidente dei ristoratori dell’Ascom, che, chiamata a fare un bilancio dell’annata trascorsa e delle sfide vecchie e nuove del settore, non esita a definire le aggregazioni «due delle più belle cose nate in questi anni tra i ristoratori bergamaschi».

Trentacinqueuro.it

«Ora l’obiettivo è co città». A maggio la f D

a iniziativa promozionale a rete dell’ospitalità. È l’evoluzione, e la nuova ambizione, di Trentacinqueuro.it, il progetto che giusto due anni fa cominciava ad aggregare ristoranti bergamaschi di qualità in una proposta speciale: un menù al costo di 35 euro tutto compreso, per favorire un approccio più semplice e diretto da parte del consumatore. Basta infatti consultare il sito per lasciarsi stuzzicare da ciò che ogni insegna offre, in una mappa tra le cucine, gli ambienti e le atmosfere che si possono trovare in città e provincia, dai locali storici a quelli più recenti, dai sapori della tradizione alle note più creative. I menù sono aggiornati periodicamente, sono disponibili per un numero determinato di coperti ed è necessaria la prenotazione. Da quest’anno il network si è ampliato e comprende bed and breakfast che allo stesso prezzo di 35 euro offrono pernottamento e prima colazione e c’è perfino un servizio di noleggio moto, naturalmente a 35 euro al giorno, cifra che è anche richiamo territoriale perché 035 è il prefisso telefonico di Bergamo. «Quella che è nata come proposta commerciale a tempo oggi è un progetto stabile, un punto di riferimento sul versante dell’accoglienza», racconta Beppe Acquaroli, patron del Baretto di San Vigilio, uno dei promotori e motori dell’iniziativa, co-


dicembre 2015

Prima InGruppo, poi Trentacinqueuro.it. Sono le aggregazioni nate per rispondere alla crisi e recuperare la fiducia dei consumatori offrendo menù a prezzi fissi e accessibili. Oggi sono realtà consolidate che guardano anche fuori provincia

involgere altre esta del casoncello ordinatore del gruppo insieme con Nicola Zanini, dell’Enoteca Zanini, e Rossana Biasion del Gourmet. «Credo che abbiamo dato vita a qualcosa di unico in Lombardia e in Italia – evidenzia -, per numeri e impostazione. Non ci siamo dati un’organizzazione formale, siamo un gruppo di lavoro impegnato su obiettivi comuni, la base è il più schietto volontariato eppure, o forse proprio grazie a questa impostazione fortemente operativa, siamo riusciti a ritagliarci spazio nelle iniziative legate alla gastronomia, ma anche al turismo e alla cultura. Ad esempio, abbiamo curato il buffet per l’inaugurazione della mostra su Palma il Vecchio, siamo coinvolti nel progetto di Regione europea della Gastronomia che vedrà Bergamo e la Lombardia orientale protagonisti nel 2017 e ancora il sito Visit Bergamo pubblica video in lingua registrati in alcuni dei nostri locali per raccontare cucina e prodotti tipici ai turisti, siamo stati coinvolti anche nella promozione della doggy bag, sostenuta dal Comune di Bergamo per favorire la riduzione degli sprechi alimentari. Insomma, siamo andati oltre l’aspetto strettamente commerciale e l’ingresso dei bed and breakfast e del noleggio moto vuole proprio creare un

sistema di professionisti dell’ospitalità, una trasformazione necessaria visto la direzione in cui si sta muovendo Bergamo, sempre più aperta al turismo». Alla base di questa rete c’è però una formula ben precisa, quella del prezzo fisso e contenuto. «È un’idea

nata per rispondere alla crisi, dentro alla difficoltà siamo riusciti a trovare un’opportunità per crescere ed è qualcosa di bellissimo – dice convinto -. Non abbiamo inventato noi la possibilità di offrire condizioni speciali, accade con le promozioni degli alberghi per non lasciarli mezzi vuoti,

5


BILANCI ora succede anche al ristorante. Non sempre il cliente è disposto a spendere 50 o 60 euro per una cena. Lo può fare in certe occasioni, ma magari per una serata tra amici cerca qualcosa di meno impegnativo, era un’esigenza che molti di noi avvertivano e vi abbiamo dato una risposta. Ora basta telefonare e sapere se c’è o meno la possibilità di prenotare il menù a 35 euro». A fare da apripista a Bergamo, in effetti, sono stati i ristoranti stellati e di fascia alta che con InGruppo si sono proposti con menù a prezzi prestabiliti e più accessibili. «Abbiamo proposto di unificare le due iniziative – svela Acquaroli -, avevo anche una mezza idea di come integrare la comunicazione giocando ancora con il tema del numero di telefono, dove ogni cifra poteva rappresentare uno dei prezzi offerti, 035 – 55 70 etc, ma non se ne è fatto nulla. Probabilmente dall’altra parte c’è una visione più “integralista”, va bene anche così, il nostro resta un gruppo dinamico, appassionato e creativo ed è ciò che serve oggi, perché il singolo non conta, conta il fare rete». Attualmente Trentacinqueuro.it associa 37 ristoranti, «qualcuno ha la-

sciato, come logico accada – rileva -, ma ci sono stati nuovi ingressi, anche di recente, e siamo in crescita. Il network è aperto a tutti, basta condividere il funzionamento e partecipare al fondo cassa, poi ce la si gioca a viso aperto, ognuno offre ciò che ritiene il meglio per ampliare il più possibile la clientela. È un’operazione che dà vantaggi ai ristoratori, ai consumatori e al sistema dell’accoglienza». I risultati ci sono stati e la clientela si è fatta davvero più variegata. «C’è di tutto – nota Acquaroli -, dalle aziende ai gruppi di giovani, dai pensionati ai fidanzati. In città non mancano nemmeno gli stranieri e ci piacerebbe con questa rete stimolarli a raggiungere anche gli indirizzi in provincia». Per il nuovo anno vengono perciò confermati la formula e il prezzo. Si sta anche lavorando ad una festa del casoncello verso maggio e si guarda pure fuori provincia. «A questo punto, uno sviluppo interessante può essere il coinvolgimento di altre città – dice il vulcanico promotore -. Siamo stati chiamati a fare da “modello” per Brescia, Mantova e Cremona, che fanno parte con Bergamo della Regione europea della Gastronomia, e da Milano mi hanno chiesto i diritti del format. Ho risposto che erano a disposizione gratuitamente, bastava entrare a far parte del gruppo. La chiave è l’apertura, non la chiusura. Sono certo che inserendo una sezione “Milano” si amplierebbero le opportunità anche per i locali bergamaschi. A decidere è infatti la gente e noi siamo “più bravi e più belli”, per questo non abbiamo nulla da temere ma solo da guadagnare», conclude con una battuta che dà la misura dell’entusiasmo che sorregge il progetto e, spesso e volentieri, è ciò che fa la differenza in associazioni e gruppi di lavoro.

6

L’

anno dell’Expo ha portato movimento nei ristoranti bergamaschi, che ora si apprestano a vivere il periodo delle festività confidando nei segnali di fiducia e ripresa dei consumi rilevati a livello nazionale. Ma la sfida resta grande e complessa, perché la concorrenza aumenta, il prezzo continua ad essere il principale fattore che determina la scelta e i canali “alternativi”, ultimo quello dell’home restaurant, sparigliano ulteriormente le carte in tavola. Dicembre è tempo di banchetti e brindisi, ma anche di bilanci e programmi per il nuovo anno e per tracciarli ci siamo rivolti a Petronilla Frosio, presidente dei ristoratori Ascom. «In effetti l’estate è stata buona – afferma -, ci sono stati più turisti, prima di tutto per il clima, ma anche per la crisi di alcune mete, come Tunisia e Marocco, e per l’Expo che di gente ne ha fatta girare, anche nelle Valli, ad esempio gli emigrati che hanno preso l’occasione dell’evento milanese per riaprire le seconde case». E dopo l’Expo? «Novembre è un mese solitamente calmo, dicembre sembra riflettere anche da noi il maggiore ottimismo colto dalle indagini. Un dato interessante mi sembra soprattutto il recupero delle cene aziendali che con la crisi si erano drasticamente ridotte. Oggi c’è un ritorno, non certo nelle stesse dimensioni di prima, con meno persone e magari con un menù più leggero, ma pare che le aziende abbiano riscoperto l’importanza di riunire i collaboratori o i clienti attorno a un tavolo, di continuare a coltivare i rapporti anche in un periodo non brillante per l’economia». Ai bergamaschi è tornata, quindi, la voglia di andare al ristorante? «Credo che non l’abbiano mai persa, solo che è in atto una rivoluzione, l’offerta si è ampliata e diversificata moltissimo. Pensiamo al proliferare di locali giapponesi, chi avrebbe pensato solo cinque o sei anni fa


dicembre 2015

La presidente dei ristoratori Ascom: «Ma c’è ancora tanto da lavorare per una vera cucina del territorio»

Frosio: «InGruppo? Una delle più belle cose della ristorazione bergamasca» che il sushi sarebbe diventato un classico per le uscite dei giovani? Il fatto è che in famiglia non si cucina quasi più e le nuove generazioni non conoscono i sapori della tradizione, non sono legate ai ricordi. In più viaggiano e sono aperte al mondo, sono perciò molto inclini ai gusti nuovi e alle nuove cucine». Cosa possono fare, allora, i locali “classici”? «Specializzarsi, ritagliarsi un proprio spazio, una propria identità, non c’è dubbio. Ristoranti fotocopia che hanno di tutto si fanno concorrenza l’un l’altro, mentre se ci si differenzia si può arrivare a condividere la clientela. Ci può essere il locale dove trovare un buon brasato, del buon pesce e questi diventano motivi di richiamo, invece oggi il cliente finisce per scegliere in base alla vicinanza o al parcheggio...». Quale può essere una specializzazione da coltivare? «Sono sempre più convinta che a Bergamo, mi riferisco alla città, manchi una vera cucina del territorio. Che non significa rifare i piatti del passato, ma interpretarli nuovamente tanto più che oggi l’agricoltura ci sta consegnando una nuova offerta di prodotti locali interessanti, dalla frutta alla verdura, ai formaggi. Gli stranieri che visitano la città chiedono dove poter assaggiare cibi e sapori tipici e oggi, francamente, si fa fatica a dare indicazioni». Cosa intende per reinterpretazione della cucina del territorio? «Non certo attribuirsi una semplice etichetta. Significa conoscere le ricette e alleggerirle per rispondere al gusto e alle esigenze attuali, studiare i prodotti Petronilla Frosio e farli diventare piatti capaci di convincere. In un’occasione è stato chiesto quale fosse la cucina bergamasca estiva. Si potrebbe rispondere che non esiste, dato che i nostri piatti tipici sono più che altro indicati per le stagioni fredde, ma nulla vieta che si possa inventare partendo dai prodotti del territorio. Qualcuno che sta lavorando in questo senso e in modo ammirevole c’è, intendiamoci, ma per un’operazione di un certo peso, per fare in modo che ci si creda in tanti, servirebbe un’autentica “macchina da guerra”, un intervento istituzionale. Così come ci sono iniziative per promuovere l’innovazione e l’internazionalizzazione delle imprese si può lavorare su una rivalutazione della nostra cucina. Per la verità qualcosa si sta muovendo, ma è ancora un po’

presto per parlarne...». Il prezzo influisce sempre sulle scelte dei consumatori? «Ha sempre inciso e con la crisi è diventato un fattore ancora più determinante. I ristoratori lo sanno bene e infatti sono anni che mantengono i prezzi stabili, se li hanno addirittura abbassati. Solo che adesso sarebbe anche ora di potersi rimettere in gioco, non si può andare avanti accontentandosi di stare a galla e pagare le spese. Qui la palla passa alla politica, tutto il Paese si è incartato tra lacci, lacciuoli e incertezze che frenano lo sviluppo. Chi mai può pensare di investire oggi?» Si dice però che la crisi sia servita a trovare nuove opportunità... «È vero, ma la crisi è più pesante di tutte le innovazioni. Diciamo che in questo braccio di ferro ha vinto lei». Con il suo ristorante partecipa a InGruppo, che riunisce i locali top in una proposta più accessibile, nato proprio in risposta alle difficoltà e al mutamento dei consumi... «Credo che questo progetto e quello con proposte a 35 euro siano due delle più belle cose nate in questi anni tra i ristoratori bergamaschi. Fare gruppo è importantissimo, è occasione di incontro, scambio, confronto ed è sedendosi attorno ad un tavolo che le idee possono crescere e farsi concrete. Un conto è portare avanti qualcosa da soli, un conto è farlo in 15 o più». Come vede il 2016 per la ristorazione? «Il vantaggio del nostro settore è che la gente continua a mangiare e questo è un aspetto sempre e comunque positivo. Come detto però l’offerta aumenta e pure la concorrenza, anche quella non proprio ad armi pari come gli agriturismo e, ultimamente, persino gli home restaurant, le cene in casa di privati. Va bene le liberalizzazioni, ma forse si sta esagerando e non sempre la gente si fa delle domande su certi fenomeni. Il fatto è che la novità attira sempre, insieme al prezzo è il motore del mercato». Oltre ai visitatori, il risultato di Expo è stato anche un nuovo modo di vedere il cibo, l’alimentazione e lo stare a tavola? «Non lo si può dire nell’immediato, ma credo che gli effetti si vedranno nel tempo, anche solo considerando i fiumi di scolaresche che hanno invaso i padiglioni. Del resto, su temi come ambiente, cibo, spreco e sostenibilità si sta riflettendo ormai da tempo e una certa consapevolezza si fa avanti. Quanto alla ristorazione, credo che l’aspetto su cui fare sempre più attenzione sia il mangiare sano».

7


IL TESTIMONE di Fulvio Facci

Sommelier Ais, quante ne ha viste la tessera numero uno! Appartiene a Jean Valenti, 93 anni, di stirpe e nascita bergamasca, cresciuto in Francia, cofondatore dell’Associazione nel 1965. Una vita avventurosa, tra la guerra e una professione costruita passando dal lavaggio delle bottiglie ai più grandi alberghi

A

8

Jean Valenti e Luca Castelletti Jean Valenti sono servite 76 pagine di un elegante libretto per scrivere l’autobiografia. Difficile quindi condensare la fitta serie di aneddoti, episodi, avventure persino, oltre che l’intensa storia professionale. Ma ci si può provare, cominciando dalla presentazione, che può sembrare ad effetto e invece altro non è che la semplice realtà: Jean Valenti è il numero uno dei sommelier. Sua infatti è la prima tessera dell’Ais, l’Associazione Italiana Sommelier, di cui è stato cofondatore a Milano insieme a Giancarlo Botti, al commercialista Leonardo Gerra ed al sommelier Ernesto Rossi. «Era il 7 luglio del 1965 – racconta Valenti con estrema lucidità dall’alto dei suoi 93 anni compiuti – ed avevamo lavorato a lungo per dare il nome all’associazione. C’era stato chi aveva suggerito coppieri, chi aveva proposto cantinieri e poi il vocabolo sommelier ha finito per convincere di più, per la sua valenza internazionale. Il primo congresso dell’Ais si svolse nel 1967 e fu l’evento che segnò l’affermazione definitiva dell’associazione». Ma a livello associativo l’attività di Jean Valenti non si è fermata qui. Nel 1969 infatti, raccogliendo l’invito del marchese d’Aulan, rampollo di una nobile famiglia proprietaria

dello Champagne Piper-Heidsieck, è stato tra i cofondatori dell’Association de la Sommellerie International (Asi) nata a Reims il 4 giugno. «In quanto segretario generale dell’Ais ero anche delegato ai rapporti internazionali – ricorda - ed ebbi modo di incontrare sommelier francesi, inglesi, portoghesi e belgi. L’Asi si proponeva di consigliare ed aiutare gli altri Paesi di entrare a far parte della sommellerie internazionale fornendo adeguati supporti, soprattutto ai giovani». La vita e la professione l’hanno portato in giro per il mondo, ma questo pioniere dell’associazionismo enoico, che oggi risiede in Brianza, ha anche un legame speciale con Bergamo. «Sono nato a Casazza per caso, il 25 aprile del 1922, ma la stirpe è bergamasca», precisa. Il papà Francesco, originario di Casazza appunto, era emigrato nell’hinterland parigino e per un lungo periodo aveva avuto un’azienda di coltivazione di funghi champignon che funzionava bene ed aveva una ventina di dipendenti, quasi tutti bergamaschi. La mamma, Josephine Zinetti, anch’ella di origini italofrancesi, quando era in attesa del piccolo Jean era stata consigliata di recarsi a Casazza, dove risiedevano

ancora dei parenti, per riposarsi. Ma Jean aveva fretta e nacque prima del previsto. Un socio acquisito da poco fece poi fallire l’attività paterna e questo cambiò, in senso professionale, il destino di Jean che i genitori vedevano già nelle vesti di avvocato. All’età di 17 anni la necessità di mettersi al lavoro gli offre il primo contatto con il vino. In realtà non si trattava di un lavoro molto qualificato: cavista o cantiniere si potrebbe tradurre. Il ristorante era il Grand Veneur a Barbizon nei pressi della foresta di Fontainebleau, luogo di caccia dei reali francesi. Il compito di Jean era quello di

lavare, etichettare di nuovo e tappare le bottiglie che venivano riempite con vino prelevato dalle barrique che provenivano da quasi tutte le regioni francesi. Solo i grandi Borgogna, Bordeaux e Champagne venivano venduti già imbottigliati. Per quanto umile fosse la professione, Jean impara a


dicembre 2015

I fondatori dell’Ais conservare le bottiglie, a distinguere pregi e difetti del vino e a scegliere i tappi di sughero giusti. Ed è a questo punto che le vicende della seconda guerra mondiale si intersecano con la sua vita, con elementi di grande drammaticità: la campagna di Russia negli Alpini, il ferimento, la prigionia in un campo di concentramento a Tambov, vicino a monti Urali. Alla fine della guerra Jean ritorna in famiglia e riprende da dove aveva lasciato. Al Grand Veneur viene promosso aiuto sommelier in sala. L’avventura nel mondo del vino stavolta comincia davvero, ma per questioni politiche gli italiani non erano molto ben visti in Francia nel ’47 e quindi, di fatto, è costretto ad emigrare. La meta questa volta è l’Inghilterra: un posto al Savoy Hotel di Londra dove Whiston Churchill aveva il suo angolo per fumare il sigaro, seguono poi Baden Baden (la capitale termale europea per eccellenza) e Saint Moritz, nel ’56, con un posto di sommelier al Palace Hotel e poi ancora in un paio di ristoranti in Europa sempre della medesima proprietà. Il Savini, in galleria a Milano, rimane il centro nel quale si concretizzano tutta la sua esperienza e meticolosità nel conoscere i vini e sul modo

«All’inizio il cliente chiedeva bianco o rosso oppure domandava cos’era quel “posacenere” che portavamo al collo. Le richieste prevalenti erano per i vini francesi ma siamo riusciti nel tempo a far apprezzare anche i prodotti italiani» in cui servirli e abbinarli. «Sono arrivato al Savini nel ’56, su richiesta specifica del patron, il commendator Angelo Pozzi, e ci sono rimasto per dodici anni. All’inizio erano i tempi in cui il cliente chiedeva bianco o rosso oppure domandava che cosa era quel posacenere che portavamo appeso al collo (il tastevin, ndr.). Le richieste prevalenti riguardavano vini francesi ma siamo riusciti nel tempo a far apprezzare anche i prodotti italiani. C’era sempre un po’ di magia quando si versava il vino nel decanter e si aspettava riprendesse vita. Clienti famosi? Il Savini aveva una

clientela anche internazionale di alto livello. Ho servito da bere a cinque presidenti della Repubblica: Segni, Leone, Saragat, Pertini e Cossiga, al commendator Bialetti, l’inventore della moka, a Edoardo De Filippo, a John Waine, che però beveva solo whisky, a Jacqueline Kennedy, a Maria Callas e all’armatore Onassis del quale ricordo un curioso aneddoto. Una banconota di 100 dollari fatta scivolare discretamente nelle mie mani in occasione del saluto e la raccomandazione che anche agli uomini della sua scorta non mancasse da bere». E chissà quanto è lungo ancora questo elenco. L’avventura al Savini finisce nel 1972 quando Alberto Alemagna gli propone un’offerta economicamente rilevante per passare al ristorante Gourmet in piazza Duomo. Qui vi rimane fino al ’76 poi il ristorante chiude e si riapre una parentesi internazionale. Quattordici mesi a Tokio e nel Sud Corea per far conoscere e spiegare i vini piemontesi in quella parte di mondo per conto di un consorzio coordinato dalle cantine Bersano e poi, nell’84, tre mesi a Los Angeles in occasione delle Olimpiadi. E proprio in California il figlio Duilio ha aperto un ristorante, vicino a San Francisco, che si chiama Valenti and Co. Fino all’età di 85 anni ha continuato la sua attività di consulenza in Italia e in Francia cercando di trasmettere nel miglior modo possibile la sua grande esperienza. Ora, con il traguardo dei 94 anni poco distante, segue ancora con attenzione i movimenti delle diverse associazioni di sommelier, poi proliferate, con il cuore chiaramente legato alla sua creatura e cioè l’Ais. Accento francese, grande presenza ed eleganza, occhio vigile e massima attenzione, non ha di certo perso la sua professionalità, al punto di esprimere un giudizio tecnico calibrato quando in occasione del nostro incontro avvenuto all’Enoteca al Ponte di Ponte San Pietro il patron Luca Castelletti ha voluto aprire in suo onore una bottiglia di Rioja del 1922, l’anno di nascita, appunto, di Jean Valenti.

9


Punti di vista di Enrico Rota

Veronelli sapeva esser di parte, ma in modo trasparente Oggi solo tre guide hanno accettato la collaborazione del Consorzio Valcalepio a garanzia del consumatore: Gambero Rosso, Vini Autoctoni Touring Club e SloWine

C

10

hiedete ad ogni appassionato di vino e saprà elencarvi almeno 5 guide enologiche pubblicate ogni anno in Italia. Quello delle guide è un fenomeno affascinante, che spinge a delle doverose riflessioni. Etimologicamente, una guida dovrebbe indicare una strada, descrivere un percorso o raccontare un’esperienza attraverso il filtro del curatore. Quando si tratta di vino, la guida ideale dovrebbe indicare i vini assolutamente da provare, quelli che potrebbero arricchire l’esperienza di degustazione dell’appassionato. Una guida risulta però attendibile, quindi in grado di rispondere alle necessità di differenti lettori/appassionati, quando rispetta alcuni requisiti fondamentali: - prima di tutto è necessario sapere chi ci racconta la sua esperienza, ovvero chi è il degustatore o i degustatori. Così potremo apprendendere dalle sue impressioni, che andremo a leggere pagina dopo pagina, la sua formazione, la sua esperienza nel campo e le sue inevitabili preferenze; - importante poi conoscere il contesto nel quale la degustazione avviene; inutile sottolineare quanto una degustazione possa essere influenzata dall’ambiente in cui essa si svolge; - infine, è basilare comprendere i criteri utilizzati dal nostro degustatore nell’esprimere il suo giudizio, aspetto questo importantissimo. Riassumendo, la “Guida Ideale” dovrebbe essere il risultato di degustazioni anonime, condotte in ambiente neutro (quindi no alle degustazioni presso le aziende e tantomeno effettuate durante incontri “goliardici”), da giudici preparati e, soprattutto, non condizionati da situazioni d’affetto o peggio ancora da vincoli economici. Un esempio da mutuare è l’attività svolta, da ormai 15 anni, dal Consorzio Tutela Valcalepio che ha assunto una linea di condotta precisa nei confronti delle Guide enologiche, volta soprattutto a garantire ai produttori una degustazione il più professionale possibile e al consumatore la più ampia rappresentatività per le denominazioni di origine.

Luigi Veronelli Il Consorzio mette a disposizione dei curatori la sua sala degustazione (ambiente neutro) e organizza la raccolta dei campioni a prescindere dalla mera appartenenza al Consorzio stesso (rappresentatività). L’esperienza, tuttavia, ci racconta una storia ben diversa: sono solo 3, infatti, le guide che negli ultimi anni hanno accettato questo tipo di collazione: Gambero Rosso, Vini Autoctoni Touring Club e SloWine. Posto, quindi, che la guida perfetta non esiste, mi piace ricordare che un degustatore intelligente e assai preparato quale era Luigi Veronelli, quando non voleva essere oggettivo, apponeva accanto ai vini per i quali sentiva una particolare predilezione un cuore (come a dire, sia come sia a me questo vino piace a prescindere). Meditate, cari lettori!


I pascoli della Val Brembana augurano Buone Feste.

Latteria Sociale di Branzi Casearia Via San Rocco, 41/B - 24010 BRANZI (Bergamo) Telefono 0345.71074 - Fax 0345.70039 www.formaggiobranzi.com info@formaggiobranzi.com

Latteria di Branzi Baita dei saperi e sapori Brembani Via Grotte delle Meraviglie, 14 a - 24019 ZOGNO (Bergamo) Tel. e Fax 0345.92061 - info@latteriadibranzi.com www.latteriadibranzi.com


a tavola di Laura Ceresoli

Quei ripieni che fanno Natale Non hanno il tempo e magari nemmeno le abilità delle loro nonne, ma per le Feste i bergamaschi non rinunciano a capponi, faraone, tacchine farcite. In loro aiuto vanno macellai e gastronomi con le loro selezioni e ricette e persino il servizio di chef a domicilio. Coffetti: «Almeno in questo periodo, dimentichiamo le diete!»

A 12

Natale, le tavolate scarlatte imbandite a festa e le risa dei bambini che scartano gioiosi i loro regali sotto le luci scintillanti dell’albero sono accompagnate da un goloso profumino che proviene dalla cucina. È un aroma confortante che fa riaffiorare i ricordi d’infanzia. Ai fornelli c’è quasi sempre la nonna che, tra uno scambio di auguri e lo sguardo impaziente dei nipotini affamati, prepara con passione il suo immancabile cappone ripieno, un classico del periodo natalizio. Carne trita, marroni, formaggio, con aglio oppure senza, ogni famiglia bergamasca custodisce da generazioni la sua personale ricetta per preparare una farcitura sostanziosa per un secondo saporito.

Una gioia per gli occhi e per il palato, che fa sentire nostalgia dei tempi passati. Oggi però le donne che il 25 dicembre amano spadellare sono in costante diminuzione. Se è vero che con la crisi sempre più famiglie preferiscono il focolare domestico ai menù più costosi dei ristoranti, è altrettanto vero che molte delle massaie che optano per i pranzi casalinghi acquistano capponi, polli, faraone, oche o galline già pronti da mettere in tavola. La saggezza culinaria delle nostre nonne, insomma, ha ceduto il passo all’esperienza di gastronomi, macellai o ristoratori che vendono prodotti di qualità disossati, farciti o addirittura già cotti, evitando brutte figure a chi proprio in cucina non ci sa fare.


dicembre 2015 Ecco quindi che le frattaglie e le interiora «Le abitudini alimentari dei bergamaschi hanno preso il posto di carne trita di bosono cambiate – spiega Ettore Coffetti, vino certificata, salumi e formaggi a km presidente dei macellai Ascom –. Una zero, uova biologiche, pinoli e uvetta. «Alvolta le famiglie erano più numerose e la meno a Natale niente dieta e soprattutto mamma stava sempre a casa a cucinare non facciamoci influenzare da chi dice che per tutti. Adesso, invece, durante la setla carne fa male – ribadisce Coffetti che in timana sono quasi tutti fuori per lavoro. A Borgo Santa Caterina gestisce l’omonima Natale, però, si riscopre il piacere di pranmacelleria, aperta 47 anni fa da suo pazare insieme. Il problema è che le nuove dre –, un conto è mangiarne 178 chili pro generazioni non hanno tempo di applicarsi capite come avviene in America un conto ai fornelli, non sanno neppure da dove si sono i 70 chili pro capite che consumiamo comincia a preparare stufati, brasati o arin Italia. E poi la nostra è carne di ottima rosti ripieni. Così, durante le feste, vanno Il presidente dei Macellai qualità, nulla a che vedere con i prodota mangiare dalla nonna o prendono piatti Ascom, Ettore Coffetti ti trasformati, lavorati e carbonizzati che pronti in gastronomia. Le mamme future si trovano all’estero». Tornando ai ripieni, «io preferisco non saranno più capaci di cucinare pietanze importanti non mettere troppa verdura perché i bambini sono un po’ come avveniva una volta». schizzinosi e la scartano – evidenzia -. Quindi via libera a Anche i gusti alimentari sono mutati. Un tempo il ripieno carni, salumi e formaggio. Solo su richiesta, si possono era fatto con interiora, frutta (castagne, prugne o noci), aggiungere anche marroni, noci, carciofi, carote tritate. In qualche pezzetto di salsiccia e pane raffermo. Le famigenerale a Natale, capponi, faraone, tacchine disossate glie lombarde più benestanti allevavano almeno quattro e ripiene vanno per la maggiore. Poi capita anche di incapponi, che poi consumavano, stipati di ogni leccornia, contrare giovani che non apprezzano il cappone perché a Sant’Ambrogio, Natale, Capodanno ed Epifania. Tuttaha un gusto troppo selvatico. Le ordinazioni si raccolgono via, nemmeno i più umili si facevano mancate il cappone una ventina di giorni prima di Natale. Il riscontro è buono: durante le feste, a costo di procurarselo con forti sacrifici nonostante la crisi, la domanda negli ultimi anni è stata economici. Oggi i bergamaschi prestano ancora più attencostante». zione alla qualità dei prodotti che si mettono nel ripieno.

Macelleria Magri/Chiuduno

Prodotti biologici e a km zero, «perché si cercano i sapori del mondo contadino»

«L

e casalinghe, quelle che ogni giorno seguono i programmi di cucina in tv, non possono presentarsi sfatte il giorno di Natale. Quindi va sempre più di moda l’idea di farsi aiutare da professionisti del settore che cucinano per loro». A svelare i retroscena delle massaie moderne è Fabio Magri, titolare della macelleria Magri di Chiuduno, che in fatto di pranzi natalizi la sa lunga. Aperta dal nonno nel 1926, la sua bottega è gettonatissima da tutte le donne che a tavola desiderano fare un figurone con il minimo sforzo. E così con l’avvicinarsi delle festività si prefigura un vero e proprio tour de force per gastronomi, salumieri e ristoratori orobici. Il menù classico prevede primi ripieni come i cappelletti in brodo, scar-

Fabio Magri, al centro, con la moglie Annamaria e Roberto Gritti pinocc, casoncelli e lasagne, mentre tra i secondi spiccano cappone, anatra, faraona, oca, spadaccino ripieno, preferibilmente a km zero. «Natale è

un momento di gioia che ci invoglia a vivere questa giornata in modo speciale e buono – dice Magri con il suo consueto volto sorridente e l’im-

13


a tavola

mancabile divisa rosso fiammante –. E cosa c’è di meglio che sedersi insieme a tutte le perone che amiamo attorno a una tavola addobbata a festa con tutti i cibi che ci ricordano la nostra infanzia? Noi bergamaschi non rinunciamo alla straordinarietà dei pranzi delle feste. È in queste occasioni conviviali, infatti, che andiamo alla ricerca di prodotti naturali e biologici del mondo contadino che, purtroppo, durante l’anno non possiamo permetterci». Macinare gli ingredienti, infatti, non significa soltanto fare un intruglio di carne e salumi. Servono prodotti di qualità: «Prima di fare un ripieno – consiglia il macellaio – dobbiamo sempre guardare dentro il nostro cuore. Ognuno di noi ha dentro di sé il ricordo del ripieno che ci facevano le nostre nonne. Il nostro impasto base prevede carni del nostro territorio, prosciutto cotto naturale, mortadella biologica, pane grattugiato, formaggio parmigiano reggiano, uova biologiche, brodo di carne, scorza di limone e burro. Poi esistono diverse varianti a seconda del tipo di carne che si intende farcire. Nel ricordo della vecchia tradizione lombardo-veneta e piemontese, si aggiungono anche i marroni schiacciati oppure si sostituiscono i salumi con un mix macinato di carne fresca e capocollo di maiale. Nelle anatre si possono mettere funghi, ma anche melograno, per le oche di Treviglio usiamo le castagne».

Macelleria Santini/Bergamo

«Il segreto del ripieno è la carne di qualità»

«I

l segreto per un buon ripieno? Usate carne di buona qualità». Il consiglio giunge da Marco Santini, titolare dell’omonima macelleria di via Crescenzi a Bergamo. Da anni il suo negozio, fornitore privilegiato di ristoranti blasonati come Lio Pellegrini, è un tripudio di carni certificate piemontesi, salumi di ogni sorta e una vasta gamma di stuzzicanti creazioni gastronomiche già pronte da portare in tavola. Una manna, insomma, per chi a Natale non se la sente di spadellare. «Il cappone ripieno necessita di 9 mesi di allevamento e viene macellato proprio in dicembre, ecco perché è annoverato tra i piatti tipici natalizi – spiega Santini –. In generale, con la crisi, i consumi di carne bovina sono un po’ calati. Ma durante le feste, quando ci si side attorno a una tavola imbandita, non si bada a spese, né alla dieta. C’è chi sceglie di prenotare il pranzo da noi e lo ritira già cotto, pronto da scaldare e servire in tavola il giorno di Natale. In questo caso noi abbiamo una ricetta base per il ripieno che può essere modificata a seconda dei gusti del clienti. Chi invece porta dentro di sé il ricordo del ripieno della nonna, preferisce acquistare da noi solo il cappone crudo per poi farcirlo a

Marco Santini casa». Complice il recente allarme lanciato sulle carni rosse e il costo più contenuto, molti bergamaschi hanno dirottato le loro preferenze su pollo e tacchino. E non solo durante le feste. Ma non mancano le eccezioni: «La richiesta di pollame sta aumentando in questi mesi – conclude Santini –. Resta comunque uno zoccolo duro di buongustai che, in barba alle diete ai continui allarmismi alimentari, non si fa influenzare e continua a sfiziarsi con roastbeef e fiorentine al sangue».

Addio a taccuini

U

n tempo le ricette si tramandavano oralmente di madre in figlia, oppure si trascrivevano meticolosamente su quadernetti che le nonne custodivano in cassetti pieni di utensili o in qualche scaffale impolverato. Nell’era digitale l’approccio è un po’ cambiato. Ne sa qualcosa Luciano Pandolfi che ha scelto il canale Youtube per


dicembre 2015

La Bottega del buongustaio/Bergamo

A Natale è l’indirizzo di fiducia anche per la mamma del sindaco Valerio Mologni (secondo da destra) e il suo staff

C

oncorda il menù con il cliente, fa la spesa, cucina e, all’evenienza, prepara la tavola e sparecchia. È lo chef a domicilio, una figura professionale gettonatissima in Inghilterra che sta prendendo sempre più piede anche in Bergamasca. L’idea di arruolare tra le mura domestiche un cuoco per preparare una cena fra amici o un sontuoso banchetto natalizio piace al punto che molti gastronomi orobici hanno il loro chef di fiducia che, su richiesta, inviano a casa dei clienti per dar vita a una cena coi fiocchi. È il caso di Valerio Mologni, titolare dal 1970 della “Bottega del buongustaio” di via Borfuro a Bergamo. Oltre al quotidiano servizio al banco nella sua macelleria, salumeria e gastronomia, allestisce catering natalizi e cene a domicilio in collaborazione con moglie e figlio: «Abbiamo organizzato vari buffet in occasione dei saluti di Natale aziendali, istituzionali o anche tra amici – spiega Mologni –. Poi ci è venuta l’idea di allargare ulteriormente il servizio inserendo lo chef a domicilio. Mio figlio Vittorio, cuoco diplomato con esperienza sia in Italia che all’estero, si reca a casa del cliente insieme a un suo collaboratore e prepara cene con menù su misura i cui prezzi variano in base ai piatti scelti e al numero di invitati. Abbiamo varie specialità, sia di carne (come spadaccino ripieno o cappone con farcitura natalizia) che vegetariane (pasta fresca o torte salate con ricotta e spinaci). Si fa un sopralluogo nell’appartamento dell’interessato per osservare gli utensili a disposizione nella sua cucina, si decidono gli ingredienti e poi il giorno prestabilito il cuoco va a cucinare a domicilio. Al momento resta una tendenza di nicchia che però sta

prendendo piede tra le famiglie più abbienti». Chi da anni non può fare a meno della Bottega del buongustaio è la famiglia Gori. I genitori del sindaco di Bergamo, infatti, abitano a pochi passi dalla storica gastronomia di via Borfuro e sono soliti ordinare da Mologni il pranzo di Natale. «Alle 12.30 in punto del 25 dicembre suonerò il campanello di Alberto Gori e della moglie Maria (detta Mimma) per consegnare le mie specialità – conferma –. In questo caso non cuciniamo direttamente a casa loro, prepariamo tutto nella nostra gastronomia e poi effettuiamo servizio a domicilio pochi minuti prima che si siedano a tavola. Il menù per il momento è ancora top secret e non è facile prevedere come sarà perché amano cambiare. Quello che è certo è che anche quest’anno avremo il privilegio di cucinare per la famiglia Gori e per una trentina di invitati. Ho già incrociato la signora Mimma qualche settimana fa e mi ha detto di tenermi pronto per l’evento».

Luciano Pandolfi/Cologno al Serio

e ricettari, «ora i consigli li do su Youtube»

Luciano Pandolfi

insegnare ai clienti della sua macelleria di Cologno al Serio tutti i segreti per preparare una coscia ripiena. «È stata l’associazione commercianti del paese a spronarmi a comparire in video – racconta -, attraverso un’iniziativa che ha coinvolto tutti i negozianti di Cologno. E immediatamente

ho pensato di condividere una delle ricette più apprezzate, soprattutto nel periodo natalizio, ovvero la coscia ripiena». La parola d’ordine è semplicità. Aromi naturali, formaggio, prezzemolo e un mix di carni di pollo, vitello e salumi caratterizzano questo impasto che Pandolfi utilizza per farcire la

coscia disossata avvolta con pancetta e rosmarino. Il segreto per ottenere una carne tenera è la cottura: la coscia va tenuta in forno a 180 gradi per 45 minuti. E se volete far contenti i vostri bambini, il macellaio consiglia di servirla con delle croccanti patatine fritte.

15


IL PERSONAGGIO di Leo Bartoli

Claudia, la regina delle formaggelle col computer in stalla La casara di Gromo, vincitrice di molti premi, ha saputo integrare tradizione e innovazione in agricoltura. «Esser bravi è importante, ma lo è anche saper utilizzare gli strumenti tecnologici, indispensabili per gestire un’azienda con criteri moderni ed efficienti»

C’

16

è la tradizione e c’è l’innovazione: non sempre queste due componenti fondamentali riescono ad andare d’accordo, specie in agricoltura. Claudia Riccardi di Gromo non solo è riuscita in questa quadratura del cerchio, ma l’aiuto della tecnologia ha contribuito ad elevare la qualità dei suoi formaggi. Ormai nel paese seriano dove è nata e dove ha sede l’azienda agricola che porta avanti con i fratelli Angelo e Giovanni, Claudia tutti la riconoscono come colei che «ha portato il computer in stalla». In effetti, pur non amando questa etichetta-tecno, Claudia mostra di saper stare al passo con i tempi e non si sposta mai senza il suo pc, anche quando produce le sue quattro tipologie di formaggio molto richieste «Meglio farne poche, ma bene, mi ha insegnato un vecchio casaro»: la formaggella che l’ha resa famosa per i premi vinti (con pasta semicotta da latte crudo di due mungiture); lo stracchino a pasta cruda d’alpeggio tipico della Bergamasca; il formaggio di monte

a pasta semicotta e il primosale, fresco, leggerissimo, all’occorrenza anche erborinato. Claudia, quando è nata la sua passione per il formaggio? «Essendo nata in una famiglia di agricoltori di montagna, dove l’amore, la dedizione e lo spirito di sacrificio per il proprio lavoro sono i valori fondamentali, fare il formaggio è stato uno sbocco naturale. Produrlo in montagna e venderlo direttamente al consumatore è l’unico modo per mantenere in vita micro-imprese come la mia in un contesto avverso, sia per la globalizzazione dei mercati, sia per le condizioni di lavoro molto svantaggiate rispetto a chi lavora in pianura». La vita di una casara è diversa da quella dei suoi coetanei? Trova il tempo per divertirsi, andare in giro con amici, in vacanza? «Prima di essere casara sono un’imprenditrice agricola: essere titolare di una piccola impresa comporta tanti impegni e responsabilità; essere bravi casari non

Claudia Riccardi basta in una azienda come la mia: bisogna saper far quadrare i conti, essere dei buoni venditori del proprio prodotto e avere competenze su materie burocratiche e fiscali. Ciò non toglie che si possa avere una vita sociale simile a quella dei propri coetanei». La definiscono un po’ casara hitech, perché si fa aiutare dalla tecnologia. Come questa può incidere nel suo lavoro? «Essere definita così è un po’ strano, perché il mio lavoro richiede soprattutto manualità ed esperienza: è un’arte antica e cerco di farlo rispettandone le tradizioni. Certo, poi c’è la tecnologia moderna e io utilizzo sempre il Pc, per la gestione economica ed amministrativa della mia azienda. La rete offre opportunità di conoscenze ed informazioni indispensabili per qual-


dicembre 2015 siasi realtà; inoltre consente di aprire nuovi orizzonti, conoscere realtà diverse e potersi confrontare». Ci racconta la sua giornata tipo? «Sveglia alle 6,30: alle 7 sono in caseificio dove arriva il latte appena munto direttamente dalla stalla (gli animali sono seguiti da due miei fratelli, contitolari dell’azienda). Il latte viene messo nella caldaia e incomincia la caseificazione. Finita la lavorazione del latte, pulizia delle attrezzature e dei locali; prosegue poi con il locale di stagionatura, salatura, con rivoltamento delle forme. Cambio i teli di asciugatura, spazzolatura dei formaggi già stagionati, pulizia locale e bucato. Alle 8 apro lo spaccio attiguo al caseificio per la vendita diretta al consumatore dei miei prodotti. Settimanalmente trascorro una buona parte del mio tempo negli uffici Coldiretti, Asl, posta, banca, per pratiche burocratiche. Quando produco lo stracchino, la caseificazione avviene anche la sera, perché è un formaggio fatto con il latte appena munto. Questo impiega almeno due ore, dalle 18 alle 20. Poi finalmente posso rilassarmi». Lei è ritenuta soprattutto la “regina delle formaggelle”, peraltro un prodotto molto inflazionato, presente quasi in ogni valle: cos’è che può distinguerla e farle veramente fare il salto di qualità? «La differenza la fanno la ca-

pacità del produttore e la volontà del consumatore di non fermarsi al primo prodotto che trova. Se quest’ultimo non si accontenta e vuole conoscere la provenienza del prodotto, chi lo produce, come lo produce, come vengono nutriti e trattati gli animali, avrà tutti gli elementi necessari a valutarne le qualità. Il produttore, da parte sua, deve garantire la salubrità e la genuinità del prodotto venduto». Di quali premi vinti lei va più orgogliosa? «Un po’ tutti. Nel paese in cui vivo, a inizio estate viene organizzata la sagra “Gromo sempre in forma” con il concorso per la miglior formaggella. Diciamo che una grande emozione l’ho provata nella prima edizione del 2011 quando ho vinto il secondo e terzo premio con due formaggelle di diversa stagionatura. Nel 2012 ho migliorato ancora, vincendo il primo e il secondo premio sempre con due formaggelle, una di 30 giorni e una di 90. Nel 2014 ho vinto il primo premio con una formaggella di 30 giorni. Nel 2015 ho vinto il secondo premio per la formaggella e il secondo per lo stracchino». Quando i produttori uomini si vedono superare nei concorsi da una giovane casara donna, cosa nutrono: invidia o ammirazione? «Spero ammirazione. Personalmente non ho mai nutrito invidia verso bravi casari: anzi, ho sempre cercato di imparare soprattutto dagli anziani con tanta esperienza e tradizione. Peraltro, quando frequentavo il corso di casaro, il mio insegnante mi consigliò di imparare a fare pochi prodotti, ma di farli bene, soprattutto prodotti locali. Ho sempre seguito questo consiglio e mi sono resa conto che aveva perfettamente ragione: oggi in tanti richiedono i miei prodotto e questo mi riempie di soddisfazione».

Formaggi bergamaschi, quattro medaglie ai World Cheese Awards Due argenti al caseificio Arrigoni di Pagazzano e un bronzo ciascuno per Sergio Arrigoni e Quattro Portoni

D

ue argenti e due bronzi è il bottino conquistato dai formaggi bergamaschi ai World Cheese Awards 2015, competizione casearia tra le più importanti al mondo, che ha visto in lizza – dal 26 al 29 novembre scorsi a Birmingham – 2.727 formaggi provenienti da 26 paesi, degustati e valutati da una commissione di 250 esperti da 22 nazioni. Gli argenti sono andati entrambi al caseificio Arrigoni Battista di Pagazzano, premiato per il Gorgonzola Dolce Dop e il Taleggio Dop. La medaglia di bronzo se la sono aggiudicata invece il Taleggio Dop “Vero Arrigoni Sergio” dell’azienda di Olda di Taleggio e il Quadrello di bufala, formaggio morbido a crosta lavata del caseificio Quattro Portoni di Cologno al Serio. Nella kermesse l’Italia ha ottenuto complessivamente 9 medaglie d’oro, 29 argenti e 27 bronzi, ma non è riuscita a piazzare nessun esemplare nei top 16, tra i quali è stato eletto il campione mondiale, Le Gruyère AOP Premier Cru, Cremo SA, brand della svizzera von Muhlenen, che ha ottenuto 69 degli 80 punti massimi, uno in più dei due formaggi arrivati secondi, Tomme Brebis-Chèvre, della francese Onetik e la Burrata di La Credenza, importatore di formaggi italiani con sede a Londra. L’Italia ha però ottenuto quattro posti tra i primi 62 formaggi, i cosiddetti Super Gold, con due Parmigiani del reggiano Consorzio Conva, il pecorino stagionato Moliternum Giganteum della sarda Central e il San Pietro in Cera d’Api della Latteria Perenzin, nel trevigiano. L’anno prossimo il campionato si svolgerà a San Sebastian, in Spagna.

17


appuntamenti PIANI DELL’AVARO

DAL 23 AL 27 GENNAIO

Tour gastronomico con le ciaspole ai piedi

Gelateria e pasticceria, al Sigep si eleggono i campioni

P

S

ono ormai un classico per una domenica che unisce alla sana sgambata in montagna e a splendidi panorami la scoperta dei prodotti tipici. Anche quest’anno i giovani di Kairos Brembo Emotion propongono ai Piani dell’Avaro, nel comune di Cusio, Alta Val Brembana, “Ciaspolando con gusto”, tour a tappe alla scoperta delle baite che durante la stagione estiva sono dedicate all’alpeggio e che per l’occasione, invece, accolgono alcuni produttori con le loro specialità. Durante l’escursione con le ciaspole ai piedi, le speciali racchette per camminare nella neve facili da indossare e utilizzare da chiunque, si possono quindi conoscere le aziende, gustare i prodotti e acquistarli. Gli appuntamenti sono il 24 gennaio, il 21 febbraio e il 13 marzo, con partenza libera tra le 10 e le 13. La prenotazione è obbligatoria. www.kairosemotion.it

er iniziare l’anno con tante nuove idee sul mondo della gelateria, della pasticceria, ma anche del caffè, del cioccolato e della panificazione, l’appuntamento è a Rimini Fiera dove dal 23 al 27 gennaio è in programma la 37esima edizione del Sigep, il salone internazionale del dolciario artigianale, che nella scorsa edizione ha ospitato 187mila visitatori in 16 padiglioni. Tra gli eventi internazionali di punta, questo è l’anno della Coppa del Mondo della Gelateria, salita a 14 squadre partecipanti. Per la pasticceria i riflettori sono su The Pastry Queen, la competizione dedicata alle donne più talentuose

dai cinque continenti, sulla sfida mondiale della Star of Chocolate, nella quale maestri cioccolatieri sono chiamati a creare specialità sul tema “La musica Jazz” e sul campionato italiano seniores. E mentre Bread in the City catalizzerà l’attenzione sulle scuole artigianali di panificazione, i baristi si cimenteranno in campionati di ogni sorta. Il panorama si completa con i convegni, i laboratori e le decine di altri eventi organizzati dagli espositori. La fiera è affiancata da Rhex, Rimini Horeca Expo, che ospita prodotti e tecnologie per la ristorazione extradomestica. www.sigep.it

Epicurea

I grandi chef del mondo di scena a Milano

P

er catapultarsi nei sapori e nelle atmosfere dell’alta cucina internazionale può bastare una trasferta a Milano. Da gennaio torna infatti al Bulgari Hotel, in zona Montanapoleone, Epicurea, esclusivo festival culinario giunto alla terza edizione, organizzato dall’hotel e dal suo executive Roberto Di Pinto e ormai diventato un appuntamento fisso della scena gastronomica. Sette famosi chef, selezionati dal food curator Andrea Petrini, si succederanno

18

ai fornelli per un viaggio tra i sapori e le fragranze delle migliori cucine del mondo. Si comincia il 12 e 13 gennaio con David Thompson del Nahm di Bangkok, chef australiano maestro della cucina Thai che ha portato il ristorante al settimo posto della classifica dei Asia’s top 50. Il 16 e 17 febbraio arriva il giovane portoghese Leonardo Pereira, dall’Arejas do Seixto vicino a Lisbona, cresciuto alla scuola di Redzepi e in

procinto di aprire un proprio locale a Oporto. A marzo (15 e 16) è la volta di Dominique Crenn (Atelier Crenn, San Francisco) la prima chef donna ad aver ottenuto due stelle Michelin negli Stati Uniti, capace di combinare i sapori intensi della cucina francese con le suggestioni della West Coast. Si sale ancor di più in graduatoria con le tre stelle di Yannick Alleno dal Pavillon Ledoyen di Parigi (il 26 e 27 aprile), mentre il 17 e 18 maggio tocca ad un altro


dicembre 2015 27 DICEMBRE

Schilpario si tuffa nel passato e imbandisce cene tipiche

P

er una serata in montagna con tocco di magia in più ci si può segnare la data del 27 dicembre, quando a Schilpario andrà in scena, a partire dalle 20, la 16esima edizione di “Antichi mestieri”, manifestazione durante la quale tutto il paese torna indietro di cent’anni. Lungo la via principale ed all’interno delle abitazioni tradizionali vengono infatti ricostruiti ed allestiti luoghi e situazioni del passato portando alla luce i lavori e le usanze della popolazione scalvina. Dagli spaccalegna alle materassaie, dal fabbro agli spazzacamino, fino agli interni del barbiere, la scuola, il lavoro dei norcini e del casaro. Per assaporare ancora meglio il territorio e le sue specialità i ristoranti convenzionati propongono menù messi a punto per l’occasione al prezzo di 18 euro, bevande escluse. I prodotti tipici del resto non mancano, come la spalla cotta e le patate di Pradella, i formaggi e le erbe, senza dimenticare altri classici della cucina di montagna come polenta e selvaggina. Si può anche decidere di pernottare nelle strutture del paese per vivere appieno l’atmosfera invernale. www.schilpario.info

discepolo di Redzepi, Matt Orlando che da New York si è trasferito a Copenhagen e al ristorante Amass si è guadagnato una stella. Ci sarà spazio anche per chi in Australia ha tratto ispirazione dalla cucina aborigena per dare vita ad una filosofia e ad uno stile unici, lo scozze-

se Jock Zonfrillo dell’Orana di Adelaide, in programma il 14 e 15 giugno. La chiusura, ad ottobre, sarà affidata a Luca Fantin del Bulgari Restaurant di Tokio, una stella Michelin e miglior che italiano nel mondo per il 2015 secondo Identità Golose. www.bulgarihotels.com

19


Valcalepio g i a r d i n o d i B e rg a m o

s p o s a l a n at u ra e d i s u o i c o lo r i

CONSORZIO TUTELA VALCALEPIO Via Bergamo, 10 - 24060 San Paolo d’Argon (BG) Tel. +39 035 953957 - Fax +39 035 951592 ctv@valcalepio.org - www.valcalepio.org www.emozionidalmondo.it


dicembre 2015

LA COPERTINA QUATTROERRE via Marconi, 1 Torre de’ Roveri tel. 035 580701 fax 035 580782 info@quattroerre.com www.quattroerre.com

“.UNO”, la produzione cresce e arriva anche in Asia

Imbottigliato nella cantina di San Paolo d’Argon - Italia da 4R srl - Torre de’ Roveri (Bg) - Italia

Contiene solfiti.

di adattamento a climi e terreni anche molto diversi tra ra il 1924 quando il professor Luigi Manzoni diede il via, per la loro, preferendo comunque quelli collinari, non compatprima volta in Italia, a una lunga serie di sperimentazioni sulla ti, profondi, freschi e fertili, ma genera una produzione vite, tramite incroci, con l’intento di individuare nuove varietà. contenuta. In sinergia con il professor Giovanni Dalmasso, Manzoni impo«Nel perfetto ed armonico rispetto del disciplinare di stò una serie di combinazioni utilizzando come parentali una produzione Terre del Colleoni - prosegue Rota - abbiamo varietà internazionale ed una autoctona. Gli incroci vennero puntato a un vino con delicati sentori di frutta tropicale contraddistinti con due numeri: il primo indicante il filare ed il e albicocca, lungo e persistente al gusto. Il riscontro, secondo il numero del ceppo sul filare. Successivamente, tra più che positivo, che il mercato ha riservato a questo il 1930 ed il 1935, gli incroci, per distinguerli da quelli della vino ha poi determinato in parte l’accordo che ci vede prima serie, furono identificati da Manzoni con tre cifre di cui protagonisti nel vigneto a Rosciate». «Nel 2014 - punla seconda è sempre lo 0. La miglior combinazione di questa tualizza Rota - sono state prodotte 6.300 bottiglie, serie risultò essere il “Riesling Renano x Pinot Bianco”, cononel 2015 abbiamo superato le 13mila, ora puntiasciuto oggi come Manzoni Bianco 6.0.13 o, più semplicemenmo alle 20mila del prossimo anno. Numeri che te, Incrocio Manzoni. da soli esprimono il forte gradimento dei consu«Quando, all’inizio dello scorso anno, abbiamo pensato come matori. Con la giusta dose di presunzione, però, sviluppare la gamma del nostro marchio ammiraglio Villa Dovolgiamo lo sguardo oltre i nostri mizia - afferma Enrico Rota, responsabile comconfini. Importatori di un certo merciale della Quattroerre di Torre de’ Roveri Terre del Colleoni spessore sono già stati attivati – l’idea che ha preso forma è stata quella di prodenominazione di origine controllata Incrocio Manzoni 6.0.13 sia nel Nord Europa (Germania, durre un bianco semiaromatico che non avesse Belgio, Lussemburgo e Inghilnulla da invidiare ai bianchi blasonati oggi più in terra) sia Oltreoceano, mentre voga: è nato così un inedito Incrocio Manzoni, uno speciale occhio di riguardo che abbiamo chiamato .UNO». Questo particolare incrocio tra Pinot Bianco e Riesling Renano è frutto dei lunghi studi del professor Luigi Manzoni, eseguiti presso è riservato alla Corea del Sud, Questa particolare varietà - nata non per innela scuola di Conegliano Veneto all’inizio del ‘900. L’Incrocio Manzoni 6.0.13 (i numeri ANZONI BIANCO al Giappone e a Singapore. Sisto, bensìM tramite impollinazione tra le due speindicano la posizione delle piante incrociate dal professore) ha un buon corpo e delicati sentori di frutta tropicale; la sua peculiarità è curamente quando il vigneto di cie - arriva a Bergamo intorno alla metà degli la lunghezza, la persistenza del gusto. Rosciate sarà a pieno regime, Anni 60 e trova nel terreno orobico un habitat Prodotto in Italia potremo immaginare di poter suin cui poter sviluppare appieno le proprie poten75 cl 13 % vol perare le 50mila bottiglie». zialità. Il Manzoni Bianco ha notevoli capacità Non disperdere il vetro nell’ambiente.

E

L’Incrocio Manzoni di “Villa Domizia” si sta affermando tra i consumatori di Corea, Giappone e Singapore. Enrico Rota (4R): «È un vino dedicato a coloro che amano la nostra terra e che non temono i confronti leali»

21


Le aziende informano

Orobica Pesca, quando l’ostrica esalta l’aperitivo

A

22

chilometri di distanza dal mare, il mare è a portata dei bergamaschi, grazie a Orobica Pesca. L’azienda è presente da 50 anni sul territorio bergamasco con un ingrosso dedicato agli operatori del settore ho.re.ca e cinque negozi al dettaglio. Di questi cinque, quello di via Bianzana, a Bergamo, in contiguità con l’ingrosso, rappresenta la sede storica, in quanto primo negozio aperto. In occasione dei 50 anni di attività, il negozio ha subito in agosto una radicale ristrutturazione, la superficie è stata ampliata per poter dare più spazio e visibilità al banco del pesce fresco e della gastronomia. «Abbiamo voluto rinnovarci per accogliere meglio la nostra clientela - afferma Gabriella Grismondi, titolare e responsabile dei negozi al dettaglio -. Gestire una pescheria di queste dimensioni non è facile, capita spesso di sentire i complimenti di clienti, questo fa molto piacere, ma quello che vorrei percepisse la gente è la complessa struttura che esiste alle spalle, senza la quale un negozio di tale portata non potrebbe esserci». Infatti, a monte dell’apertura del negozio, già durante la notte, l’attività all’ingrosso è in pieno svolgimento, con l’arrivo di merce freschissima, si procede allo scarico, al controllo, alla selezione del prodotto, alla preparazione per la spedizione ai clienti dell’ingrosso, parti di questi situati anche in Paesi esteri, e a tutti i negozi al dettaglio, compresi i cinque di proprietà. A riprova dell’eccellenza ittica dell’impresa bergamasca, anche quest’anno Orobica Pesca ha partecipato a Gourmarte, con una novità: oltre al classico stand presso il padiglione B - dove l’azienda ha proposto in degustazione ai clienti in

fiera il salmone affumicato scozzese selezionato - è stato predisposto uno stand nella sala ristorante, dove è stato servito un aperitivo a base di ostriche di quattro tipologie diverse, Kys, Special de Claire, Tsarskaya, Gillardeau. Delle tante ostriche esistenti, non a caso sono state proposte queste tipologie, servite anche con una spiegazione, in modo che il cliente potesse abbinare il gusto alla provenienza. Le Kys sono ostriche concave di provenienza francese, dalla costa bretone, e sono insignite della medaglia d’oro Parigi; sono tipicamente di forma arrotondata, con polpa chiara e croccante, dal gusto nocciolato e dall’inconfondibile madreperla bianca. Le Special de Claire provengono dal sito francese de La Marenne Oleron. Si tratta di ostriche carnose dal sapore pieno ed equilibrato, questo gusto equilibrato viene ottenuto dall’affinaggio nei “clares”, che sono bacini argillosi bagnati dalle maree atlantiche. Le ostriche dopo la crescita in mare aperto vengono deposte in questi clares per un periodo di circa un mese, per cui il gusto salato del mare viene mitigato dalla dolcezza del terreno. Le Tsarskaya sono ostriche concave, provenienti dalla bassa Normandia, da Cancale. Sono definite Perle degli Zar, infatti già più di un secolo fa queste ostriche partivano per San Pietroburgo per arrivare sulle tavole degli zar accanto al caviale. Hanno forma classica allungata, la loro polpa è carnosa e il gusto iodato e persistente. Infine le famose Gillardeau, note ostriche provenienti dal sito de La Rochelle, sull’Ile de Oleron. Il loro gusto combina il dolce con il salato, la carnosità con la tenerezza; è un’ostrica delicata, ma dal sapore pieno e molto persistente.


dicembre 2015

L’allevamento di Rosanna Scardi

L’ ex bancario con la passione per le lumache A Treviglio, GianPrimo Riva ha avviato “La Lumacheria del Cerreto”. Dai 15mila esemplari iniziali, si è arrivati a punte di 300mila Helix Aspersa. «Il mio obiettivo? Portare nel piatto un prodotto controllato e non importato dall’Est Europa o dal Maghreb»

P

er i francesi, le escargot sono un vanto della loro raffinata cucina. Noi italiani le abbiamo considerate per anni una leccornia, mentre oggi le lumache sembrano essere un cibo meno gradito. Ciononostante, nella Bergamasca c’è chi ha puntato sull’elicicoltura, o allevamento a ciclo biologico completo dei molluschi da terra. A Treviglio, infatti, a febbraio dello scorso anno è nata la Lumacheria del Cerreto, ideata dallo spirito imprenditoriale di GianPrimo Riva, bancario in pensione e buongustaio doc. «La mia intenzione è portare nel piatto un’eccellenza, un prodotto controllato e non importato dall’Est Europa e dal Maghreb, come spesso accade nei mercati», racconta il neo agricoltore che offre un prodotto selezionato per la gastronomia e completo di etichettatura. Riva possiede un ettaro di terreno in via Canonica, accanto alla Cascina Pelesa. Di questi, tremila metri sono stati destinati alla sua nuova attività e suddivisi in sette recinti: cinque per la riproduzione e due per l’ingrasso delle chioc-

GianPrimo Riva

ciole. La varietà è la Helix Aspersa, detta Vignaiola, dal guscio solido e screziato. Dai 15mila esemplari iniziali si è arrivati ad allevarne 300mila nella covata. Da adulte, le lumache arrivano a pesare dai 12 ai 14 grammi ciascuna, 9 asciugati. Ora hanno trovato riparo sotto la terra per il letargo e la raccolta, stagionale da maggio a settembre, si attesta sui 20 quintali. La differenza con le sorelle selvatiche, la cui caccia è vietata in Lombardia dal primo marzo al 30 settembre, sta nella qualità dell’alimentazione. «Una lumaca in libertà può mangiare di tutto, dalle erbe amare che si riflettono nel suo sapore ad altre per noi velenose», spiega Riva. I suoi molluschi si nutrono di insalata, cavolo cavaliere, bietola da taglio, girasole. Ma sono anche ghiotti di verdure e frutta zuccherine come carote e mele e, d’estate, anguria e melone. L’agricoltore deve fare i conti con la moria della specie, pari al 20% del totale. I nemici principali, in inverno, sono i topolini che faticano a trovare cibo e lo stafilino, un insetto che entra nel guscio e le consuma. Prima di essere vendute, le lumache vengono riposte nelle cassette dove sono fatte spurgare e asciugare per quindici giorni. A richiederle sono privati, ristoranti e organizzatori di feste patronali. Le ricette sono moltissime: ci sono gli spiedini di lumache lessate alternate a scalogno e salvia, possono prestarsi come ingrediente principale per fondute, frittate, primi come spaghetti o risotti. C’è chi le gusta fritte, trifolate, in salsa verde, in zimino o in gelatina, meglio se accompagnate da vino bianco secco o rosato, come per il pesce. La Lumacheria del Cerreto conferisce parte del suo prodotto all’industria di lavorazione di Cherasco nel Cuneense per ottenere vasetti al pomodoro, al naturale o con spinaci e speck.

23


Tendenze di Roberta Martinelli

Anche a Bergamo si stanno affermando locali che hanno puntato su nuove formule. Perché immaginare un’alternativa è sempre una grande risorsa

D

Il mondo del food cede al richiamo dell’innovazione iverso è meglio. Lo hanno detto e scritto in tutti i modi: oggi l’imperativo è innovare, trasformarsi, trovare formule nuove. In una parola, distinguersi dagli altri. Ma cosa significa diversificare nella ristorazione e nei pubblici esercizi? Abbiamo raccolto

alcune storie che testimoniano come si può fare la stessa cosa in modo diverso o reinventarsi e creare una sfida nuova, perché, come ha scritto lo storico e saggista Daniel J. Boorstin, «il coraggio di immaginare un’alternativa è la nostra più grande risorsa».

Bergamo

“In dispArte”, il ristorante culturale che fa spazio a musica, pittura e arte

N

In alto Natale Malena, sotto Cristian Sonzogni

24

on è un ristorante, non è un bar e neppure un circolo. Non è una bottega, né un teatro e neppure una biblioteca. In un certo senso è un po’ tutte queste cose insieme. In dispAarte, il locale inaugurato nei giorni scorsi in via Madonna della Neve a Bergamo, è un luogo dove si può fare colazione, bere un buon vino, mangiare piatti di qualità, acquistare prodotti selezionati tra le eccellenze gastronomiche della nostra provincia, della Penisola e oltre confine, ma anche leggere un buon libro, incontrarsi, ascoltare un concerto, assistere a una performance teatrale, frequentare corsi, tenere conferenze e riunioni di lavoro. I titolari, Natale Malena, architetto di origini calabresi, e Cristian Sonzogni, giornalista bergamasco, un anno e mezzo fa hanno unito le proprie professionalità e la comune passione per l’arte e hanno deciso di creare un ristorante culturale. «Ho vissuto in Olanda – racconta Cristian - lì c’è meno attenzione al cibo e più a quello che si può condividere in un locale. Qui invece ci sono tanti luoghi diversi, ognuno con la sua specificità. L’idea era di riunire tutte le attività, mettendo del

buon vino e del buon cibo in un contenuto multidisciplinare». L’idea è nata 4-5 anni fa ma si è concretizzata solo quando Cristian e Natale hanno trovato questo ampio spazio, a pochi passi dal centro città, «l’ideale – dicono – anche se il progetto è andato più in là di quello che pensavamo all’inizio». In dispArte si propone come uno spazio accessibile a persone di tutte le età, dove non servono tessere e non c’è nessuna selezione. Che non è un locale come gli altri lo si capisce già all’ingresso. Non appena varchi la soglia ti accoglie uno spazio moderno con un’ampia scrivania, quadri alle pareti, scaffali. Il bar è una presenza discreta, come a dire “ci sono, se vuoi”. Più avanti si apre un ambiente a sé, con una consolle, un palco e una arena con cento posti a sedere che diventa una platea o una sala corsi-conferenze, a seconda dell’occasione. Seicento metri quadrati in tutto, divisi su due piani, con due proposte: da una parte, un ristorante che punta sulla semplicità e su prodotti di alta qualità, provenienti da tutta Italia e da altri Paesi, spiegati e


dicembre 2015

raccontati ai clienti nei dettagli; dall’altra, un’area espositiva per mostre d’arte e un’area eventi per musica, teatro, interviste e convegni. Il ristorante aprirà entro dicembre. Ci saranno tre proposte diverse: per chi ha tempo il ristorante vero e proprio con una sua carta, e per chi ha poco tempo, o non ne ha proprio, il self service e il take away con proposte di torte salate e piatti veloci. I posti saranno solo 36 anche se lo spazio permetterebbe di ospitare molti più commensali, così che si possa pranzare e cenare in tranquillità senza essere disturbati dalle conversazioni dei vicini. E quest’estate aprirà anche la piazzetta esterna con altri 30 posti. «La cucina – spiegano Cristian e Natale - sarà semplice e curata, attenta alle esigenze di tutti, celiaci, intolleranti, vegeteriani e vegani. Al centro ci saranno prodotti di alta qualità, poche cose, semplici ma gustose. Stiamo selezionando dei produttori del territorio ma anche dalle altre regioni, per far conoscere ai clienti specialità meno note». Gli arredi, puliti, moderni e ricercati in ogni dettaglio, portano la firma di Natale e presentano il locale per quello che è: una proposta culturale oltre che gastronomica: «I clienti la prima volta sono un po’ spiazzati, non capiscono se sono in un negozio di arredi o in una biblioteca – confida Natale -. Abbiamo già clienti affezionati. La più assidua è una signora molto anziana. Viene, chiede un tè e si legge un libro portato da casa. Ha capito subito e perfettamente il nostro progetto». In effetti la lettura in questo locale ha un ruolo importan-

te. Sui due piani è prevista una biblioteca che avrà 2.000 libri a disposizione per la consultazione e presto anche per il prestito, con possibilità di scambio libri. «Lo scopo del locale – sottolineano Natale e Cristian - è divulgare la cultura, in tutte le sue forme, rendendola mai banale, mai noiosa, sempre vivace, offrire una piazza al coperto dove le persone possono incontrarsi e fare esperienze». Il locale ha un ricco calendario di iniziative, collaborazioni avviate con l’Accademia Carrara, il Cinema di Torino e la compagnia teatrale Erbamil, e una rivista culturale che viene distribuita in tutte le biblioteche provinciali con gli appuntamenti più importanti del locale e della città, ma non solo.

25


Tendenze Bergamo

“Art Caffè”, il locale etico dove l’eccellenza è di casa

E

rminia Nodari e Tullio Plebani con il loro Art Caffè, in piazza Pontida, a Bergamo, dieci anni fa sono stati degli innovatori, non solo nella nostra provincia, ma in Italia. Hanno dimostrato che si possono fare locali

Tullio Plebani ed Erminia Nodari belli senza investire grandi capitali e hanno puntato tutto sul caffè di qua-

lità creando un bar etico, che negli anni è diventato un luogo culto per gli intenditori di caffè. «Abbiamo scelto un layout di impatto ed essenziale che privilegiava il riutilizzo dei materiali - dice Erminia - l’arredo era in ferro, legno e plexiglass. Era ed è rimasto un layout altamente innovativo: divertenti tavolini appoggiati su ruote di biciclette, vecchie lavagne alle pareti e un bancone dinamico che cambia a seconda delle necessità e che permette ai clienti di vedere sempre chi vi lavora dietro. Lo scorso maggio il bar si è trasferito di pochi metri in un locale più spazioso, con annesso un cortile che nella bella stagione viene allestito con tavolini di legno e piantine. La qualità è rimasta la stessa,

altissima, la preparazione del caffè qui è un’arte. «Siamo artigiani del caffè - spiega Erminia - compriamo i caffè migliori, da piccoli coltivatori, li tostiamo nella nostra torrefazione a Fornovo e li prepariamo nel modo migliore, secondo una filosofia che lega agricoltura sostenibile e artigianalità nella trasformazione». All’Art Caffè si possono assaggiare e comprare diverse miscele, selezionatissime e tra le più pregiate al mondo, fino ai cup of excellence, le eccellenze del caffè. Tutte sono spiegate in dettaglio nella carta. Difficile scegliere. «Il caffè è un mondo della diversità più del vino. Così come nessuno più chiede quando va in un ristorante un vino rosso senza specificare di quale cantina, da noi non ha senso chiedere semplicemente un

Stezzano

“Fiori a merenda”, la spa delle coccole gastron

I

coniugi Fiammetta Dose e Roberto Carissoni non volevano aprire un bar tradizionale e amavano le sfide. Così sei anni fa hanno dato vita, a Stezzano, a “Fiori a merenda”, un laboratorio-bottega floreale (fiori, al piano di sotto) e un raffinato salotto caffè/merenda (al piano superiore). Il locale è una piccola chicca nel mondo dei pubblici esercizi della provincia di Bergamo e una sorpresa inaspettata per chi ci capita. «Abbiamo aperto nel periodo peggiore degli ultimi vent’anni anni - dice Fiammetta -. Io vengo dalla capitale e ho viaggiato molto, ho capito che la specializzazione è fondamentale. Aprire la stessa cosa che è presente nelle vicinanze non ha nessun senso».

26

Fiammetta amava i fiori e aveva fatto dei corsi per conoscerli, suo marito Roberto aveva lavorato nella ristorazione e gestito con altri soci un bar, così pensarono di unire queste due passioni. «I clienti da noi trovano le stesse cose che trovano negli altri bar ma ricevono qualcosa in più, una coccola. Siamo una sorta di spa del buonumore – spiega Fiammetta -. All’inizio i clienti rimangono spiazzati, ma poi capiscono che queste attenzioni hanno un senso e ritornano. Non è più il momento di prendere in giro le persone, soprattutto se c’è da spendere qualche euro in più». La cura per i dettagli e la ricerca della qualità si colgono


dicembre 2015 Selvino caffe» - dice Erminia -. Le nostre proposte cambiano di continuo come cambiano i raccolti. A breve, ad esempio, andrò in Honduras per selezionare i caffè per il 2017 e presto dovremmo avere la certificazione Bio». «Siamo soddisfatti, avevamo una buona clientela prima e non l’abbiamo persa, anche se il nuovo locale non ha ancora l’insegna, è in una posizione meno privilegiata ed è tra altri bar. Gli spazi sono più grandi, abbiamo una cucina e una buona selezione di dolci e gelati. Inoltre ora c’è una cosa molto bella: una tostatrice da cinque chilogrammi, la migliore sul mercato per i micro lotti di caffè, che si aggiunge a quella da sessanta chili che abbiamo a Fornovo. Grazie a un software possiamo mostrare ai clienti come avviene la tostatura».

“Sorriso”, dalla pizzeria di montagna al menù gourmet

Q

uando tanti suoi colleghi hanno aggiunto la pizza nel loro menù, Paolo Cortinovis, 39 anni in questi giorni, a Selvino ha compiuto un gesto controtendenza e coraggioso: si è sbarazzato del forno e ha votato il suo ristorante alla cucina gourmet. Dal ‘69 il Sorriso era un ristorante-pizzeria. Lo gestiva il papà Emilio, lì conosciuto come Nani. Nel 2004 Paolo e la moglie Michela sono subentrati nella conduzione del locale. «Abbiamo cercato da subito di portare sempre più avanti il ristorante, poi l’hanno scorso abbiamo deciso di fare una scelta radicale e abbiamo deciso di fare solo ristorante». «I clienti sono rimasti spiazzati. Da un giorno all’altro si sono trovati senza pizza racconta Paolo -. Per me non è stata una scelta difficile. La mia cucina era già ricercata, ho solo seguito la mia

linea». «All’inizio mi dicevano “tu sei pazzo” ma la pizzeria portava avanti solo i numeri, con la qualità che avevo in mente io non c’entrava niente. Mio papà, che era il pizzaiolo, è stato d’accordo, era stanco di lavorare al forno». A cambiare del tutto il locale Paolo ci pensava già dal 2009, poi si è deciso: gli affari andavano bene, i piatti piacevano così a gennaio lui e Michela hanno chiuso per due mesi il locale e

omiche nel modo in cui Fiammetta e Roberto scelgono e presentano le loro piante, nell’arredo retrò della sala da tè e nella raffinatissima proposta al bar. Oltre alla caffetteria più classica, si trova un’ampia scelta di tè e tisane, da quelle più classiche e immancabili, ai tè aromatizzati: il tè verde al cocco, all’ananas, allo zenzero, e il tè alle violette, un cult per i frequentatori del locale. Tutti sono serviti in tazze floreali, una diversa dall’altra, e con una camera di vetro dove il liquido rimane sospeso. Da provare anche il cappuccio al tè verde matcha giapponese. Fiammetta prepara i croissant e le torte nel laboratorio durante la pausa pranzo (dalle 12.30 alle 15.30 il bar è chiuso), con gli ingredienti di stagione: da non perdere, la caprese al cioccolato con fave di mandorle, la c h e e s e c a ke , la torta con i semi di papavero e variegaFiammetta Dose e Roberto Carissoni

to al ribes rosso e i biscotti (anche Bio e senza glutine). Non manca una proposta di vini e cocktail per la pausa aperitivo. «Prima di proporre nuovi prodotti ai clienti assaggiamo sempre noi - dice -. Non darei mai qualcosa che non mi piace o di scarsa qualità. Quando porto al tavolino il tè spiego sempre da dove viene, come è fatto e lo stesso faccio con le torte». Il bar è lontanissimo dal sembrarlo: appare più come l’elegante salotto di una nonna nobile. «Desideriamo che i nostri clienti si sentano accolti come se fossero a casa e che trascorrano un momento di tranquillità circondati da cose belle e attenzioni. Anche solo per un caffè, si possono spendere cinque minuti e sedersi al tavolo. La fretta è una nemica». Il locale è frequentato prevalentemente da una clientela femminile ma non mancano le famiglie con i bambini e i “forestieri” di soggiorno a Bergamo per lavoro. «Lavoriamo per lo più con clienti che vengono dalla città e dai paesi vicini, qui rimaniamo un po’ delle mosche bianche – confida Fiammetta -. Tanti ci chiedono perché abbiamo deciso di aprire questa attività in un paese e non in una città. Abbiamo due bambini piccoli, la famiglia di mio marito abita qui e andiamo al lavoro a piedi o in bicicletta. Avere una vita tranquilla non ha prezzo».

27


Tendenze Bergamo

Artisan, un locale fatto in casa che punta su tapas e drink

C

Paolo Cortinovis e la moglie Michela hanno ribaltato tutto, dalla cucina alla sala. Ora il locale non ha più niente dello stile di montagna che aveva prima. Gli ambienti sono raffinatissimi, in linea con la proposta in carta. In menù si possono trovare piatti di pesce, paste fresche fatte in casa, carni e dolci al piatto, che cambiano secondo la stagionalità e sono frutto di una ricerca attenta degli ingredienti e di una cura precisa nella presentazione. I piatti della tradizione sono proposti in chiave moderna e con abbinamenti particolari. In questo periodo si possono trovare i casoncelli di Paolo, piatto irrinunciabile per i clienti, il piccione in doppia cottura servito con patate affumicate e la trilogia di castagne: castagnaccio, marron glacè e castagne al vapore e rum con panna montata. La cantina ha più di 100 etichette con una buona rappresentanza di vini del territorio ed è in crescita. In sala i posti, che prima erano 60, sono scesi a 35, sempre per una logica di qualità e c’è un grazioso giardino. «Tanti clienti mi hanno detto che finalmente il ristorante rispecchia la mia cucina, era quello che desideravo. Ora le tavolate non le faccio più, ma sono soddisfatto della mia scelta».

28

oncept moderno, mobili d’artigianato, drink originali preparati con mestiere, tapas, bevande e piatti vegani e uno spazio per eventi, riunioni, meeting, cene aziendali, corsi, ma soprattutto per laboratori destinati ai bambini. Stefano De Gaspari e la moglie Martina Mafezzoni, in via San Bernardino 53, a Bergamo hanno creato un locale all’avanguardia in tutti i sensi, che punta a tutto tondo sul “fatto in casa”. Non a caso l’hanno chiamato Artisan Cafè, dove artisan sta per artigiano. Insieme hanno studiato e realizzato gli arredi, impiegando legni riciclati, bancali, ferro e cemento, recuperando divani e poltrone vintage in sala e stoviglie e bicchieri nei mercatini d’antiquariato. Stefano ha portato nel nuovo locale la sua passione per i mobili di design (particolarissime le sedie anni Settanta rivestite con manicotti antincendio o cinture di sicurezza e le lampade lavorate con tubi idraulici zincati a forma di omini e dinosauri) e il risultato è un bar bello, intimo e accogliente, un po’ nordico. «Volevamo creare un nuovo concetto di locale - dice Stefano - un bar diurno dove gustare la colazione o il pranzo in compagnia in un ambiente caldo, ma anche uno spazio polifunzionale per ospitare feste e attività, e la sera un luogo per degustare cocktail particolari e di tendenza accompagnati da tapas». A poche settimane dall’apertura, il locale, che ha

preso il posto del Caffè Letterario, è già conosciuto e apprezzato da una clientela composta per lo più da professionisti e persone di passaggio in cerca di una pausa diversa e di qualità. Malgrado la giovane età, 39 anni lui, 36 lei, Stefano e Martina sono veterani del settore: nel 2004 hanno aperto lo Tsunami, primo sushi-bar della città, e nel 2008 la Cafeteria di Treviolo, ristorante e lounge bar molto frequentato dagli studenti. Il loro nuovo locale è articolato in 97 metri quadrati di bar e 200 metri quadrati polivalenti. L’offerta food&beverage copre tutto il giorno ma si caratterizza soprattutto per la pausa aperitivo: cocktail anni Trenta rivisitati, infusi alcolici di gin, bitter e sciroppi aromatizzati preparati da loro. «I più richiesti - dice Martina sono il Montegani a base di gin, bitter al cardamomo, sciroppo allo zenzero e spremuta di pompelmo; l’Honeyescape, brandy, sciroppo al miele, spremuta di arancia e bitter alla cannella; e il White Spritz rivisitazione personale dello Spritz, preparato con Biancosarti, Saint Germain, sciroppo al rosmarino e vino bianco. In accompagnamento, le tapas che spaziano dai sapori italiani alle novità dello street food e sono tutte preparate al momento. «Non ci piace il concetto dell’apericena - spiega Martina - l’aperitivo deve essere un aperitivo, inoltre odiamo gli sprechi. Abbiamo applicato il concetto di eticità al nostro cibo e proponiamo piattini diversi così le persone possono scegliere cosa e quanto mangiare e come e quanto spendere. Perché le tapas? Secondo noi, sono il giusto mezzo dell’aperitivo». Il progetto Artisan non si ferma qui. Nel 2016 verranno inaugurati uno shop d’artigianato e un pagina di shopping online.


dicembre 2015

CONTAMINAZIONI di Giovanni Ponzoni

L’Hostaria apre le “frontiere” e la città riassapora la cucina stellata Al ristorante del Relais San Lorenzo successo per le due serate con ai fornelli uno chef tedesco/spagnolo e uno portoghese

D

opo la scomparsa delle stelle Michelin negli unici due ristoranti di Bergamo che le detenevano (Osteria di Via Solata e Roof Garden), sembra quasi che in città non ci sia più spazio per il fine dining e la ristorazione d’eccellenza. Pur in una provincia che vanta ormai da diversi decenni un nome altisonante come quello dei Cerea, e una serie di altri ristoranti di tradizione e stile ben distribuiti sul territorio, il capoluogo ora segna un po’ il passo e gli indirizzi cui far riferimento per chi vuole togliersi qualche soddisfazione culinaria sono davvero pochi. A movimentare la scena, negli ultimi tempi, ci ha pensato, in Città Alta, il ristorante Hostaria del Relais San Lorenzo, l’hotel cinque stelle dove il cuoco di casa, Antonio Cuomo (forse uno dei pochi di questi tempi ad aver dato se-

Antonio Cuomo con il portoghese Joao Rodrigues

gni di un certo dinamismo ai fornelli), ha iniziato nelle settimane scorse a invitare alcuni cuochi stellati internazionali. Un’operazione per certi versi nuova a Bergamo e a dir poco appetibile, che ha consentito sin dai suoi primi due appuntamenti di incrociare la cucina di qualità proveniente da diversi paesi europei. Si è iniziato a fine ottobre con la cena di Bernd Knoller, cuoco di origini teutoniche ma ormai da diversi lustri stabilitosi in quel di Valencia, in Spagna, al ristorante Riff, dove detiene una stella Michelin. E si è proseguiti, il primo dicembre, con la cena di Joao Rodrigues, talentuoso cuoco del ristorante Feitoria di Lisbona, in Portogallo, anch’esso stellato. In entrambi i casi è stata l’occasione di un confronto e scambio con i prodotti e la cultura gastronomica di due Paesi (nel caso del cuoco portoghese, ad esempio, si è assaggiata la carne Maronesa, di una razza di bovino autoctono lusitano, e la lingua di baccalà oltre a un Carabineiro, ovvero il gambero rosso dell’Atlantico arrivato direttamente dal Portogallo), che hanno saputo incuriosire i presenti. I due cuochi invece hanno avuto modo di visitare la città, di conoscere i prodotti orobici più rinomati apprezzandone le qualità (come nel caso dei formaggi delle valli) e hanno scambiato impressioni con alcuni dei cuochi orobici più titolati. Un momento di apertura, confronto e discussione vivace, quindi, che è andato oltre alla semplice cena prevista all’Hostaria, nella speranza che questi eventi

Bernd Knoller del Riff di Valencia possano fungere da punto di partenza per una maggiore apertura mentale e capacità di coinvolgimento da parte di ristoratori illuminati e istituzioni locali. Senza dimenticare che, oltretutto, questo consentirebbe ai prodotti e alle eccellenze orobiche di uscire dal ristretto ambito provinciale per farsi conoscere presso la ristorazione che conta, anche all’estero. Nel frattempo il Relais San Lorenzo sta pensando di organizzare altri nuovi appuntamenti a tavola già nei primi mesi del prossimo anno e dare così seguito alle prime due cene stellate che hanno riscosso consensi e un buon successo di pubblico.

29


Tradizioni di Leonardo Bloch

Il signor Carrara e il supplizio del polpettino

S

30

Il polpettino realizzato secondo la ricetta pubblicata nel “Libro de arte coquinaria” di Martino da Como eppur spogliato della pensione d’anzianità dai giacobini, la cui ferrea propensione ai tagli - al tempo non schiva di quelli di teste - pare essere tornata in auge ai nostri giorni, fa sfoggio di inossidabili estro e sagacia l’ottuagenario Carlo Goldoni che nel 1787 dà alle stampe a Parigi le proprie memorie. Nell’autobiografia l’impareggiabile commediografo fornisce prova di non comune lucidità ripercorrendo nei più minuti dettagli un florilegio di ormai remote rimembranze. Tra queste spicca il resoconto di una scampagnata di oltre cinquant’anni prima nell’agro circostante Milano, effettuata in compagnia di un amico bergamasco dal tutt’altro che imprevedibile cognome di Carrara. È un giorno d’estate del 1733, e la coppia di bighelloni, varcata quella Porta Tosa che oggi si troverebbe all’altezza di Piazza Cinque Giornate, si incammina in aperta campagna alla volta dell’Osteria della Cazzuola per una frugale merenda. Già all’epoca la metropoli - nota il drammaturgo veneziano - ha fama di ville gourmande, tant’è che i suoi abitanti sono soprannominati lupi lombardi dai più sobri fiorentini. «Non si fanno in Milano passeggiate, ne’ si mette insieme divertimento di qualunque sorte sia, in cui non si discorra di mangiare: agli spettacoli, alle conversazioni di giuoco, a quelle di famiglia, siano esse di cerimonia o di complimento, alle corse, alle processioni, alle conferenze spirituali inclusive, sempre si mangia». Giunti a destinazione, i due gitanti comandano uno spuntino a base di gamberi, uccelletti e polpettino. Dalle vivande settecentesche della storica osteria, in

contrapposizione alle più tarde e moderniste lusinghe del risotto allo zafferano e della costoletta impanata, promana un nostrale sentore d’arcaico. I crostacei sono quelli d’acqua dolce dei quali già nel tredicesimo secolo, a dar retta a Bonvesin de la Riva, in riva ai Navigli si divoravano più di sette moggi al giorno. La cacciagione minuta, che in abbinamento alla polenta rappresenta un’irrefutabile icona gastronomica del circondario di Bergamo, tra XVII e XVIII secolo pare altresì una voce regolarmente impressa anche sui menù delle taverne milanesi - quella dei Trì Merla aveva particolare rinomanza per i suoi passaritt. Quanto al polpettino, è del tutto ingannevole lo scontato rimando ad una pallottola di carne trita che la denominazione parrebbe sottendere. Si tratta invece di un involtino la cui ricetta, di sicure origini padane, è riportata per la prima volta nel quattrocentesco Libro de arte coquinaria di Martino da Como: una fettina di vitello, cosparsa di semi di finocchio e velata di un battuto di lardo ed erbe, viene arrotolata su sé stessa e quindi arrostita allo spiedo. Ad una pietanza affine doveva forse alludere un paio di secoli prima lo stesso Bonvesin de la Riva, quando menzionava un ripieno a base di noci, uova, cacio e pepe con cui i suoi concittadini solevano farcire le carni nel periodo invernale. Metropoli delle polpette - definiva Milano il medico-poeta Giovanni Raiberti. Ed all’ombra della Madonnina morfologia e terminologia del morsello di carne hanno inevitabilmente finito per distinguersi da quelle della consuetudine. Se polpettino sta per saltimbocca, è con la voce mondeghili che vengono invece designate quelle che altrove si chiamano polpette. Il dualismo, di marchio squisitamente lombardo, è attestato anche dal ricettario del Cocho Bergamasco, che a fine seicento distingue rispettivamente tra polpette di carne cruda - simili a quelle di


dicembre 2015 Martino da Como - e quelle di carne trita cotta, a propria volta affini ai mondeghili. Questi ultimi, il cui appellativo deriva dalla storpiatura meneghina dell’ispanico albondeguillas, rappresentano in apparenza uno dei plurimi imprestiti iberici alla cucina milanese. In realtà l’apparentamento è d’ordine più lessicale che gastronomico. Non si è certo dovuto attendere l’arrivo in Italia degli aragonesi per apprendere a cucinar polpette: già nel ricettario latino di Apicio fanno infatti comparsa numerose preparazioni (isicia) in guisa di trito appallottolato di carne o di pesce, variamente aromatizzate. Una delle basi predilette dagli antichi romani per la preparazione della pietanza era peraltro rappresentata dal fegato di porco. E non è certo casuale che, tra gli ingredienti dei mondeghili, baleni l’arcaicizzante richiamo della mortadella di fegato. Ma torniamo alla scampagnata di Carlo Goldoni e dell’ineffabile Carrara. Il loro spuntino all’Osteria della Cazzuola viene troncato sul nascere dall’estemporanea apparizione di un’avvenente giovinetta in lacrime. Il veneziano, incorreggibile donnaiolo, appura che la fanciulla - per singolare combinazione sua concittadina - è fresca reduce da una disavventura di seduzione ed abbandono, e si fa in quattro per rincuorarla. Il compare, da buon bergamasco, pare invece persuaso che le lusinghe della galanteria non debbano in alcun modo venir anteposte a quelle della tavola - o che comunque non sia opportuno indulgervi a stomaco vuoto -, e scalpita perché si dia senza indugi inizio alla merenda. Ma Goldoni, del tutto incurante delle rimostranze dell’amico, seguita imperterrito a blandire la giovane. Alla fine si addiviene ad un compromesso, e l’agognato pasto è servito negli alloggi della donna ponendo termine al tantalico supplizio cui è sottoposto il Carlo Goldoni povero Carrara. L’epilogo della vicenda è, assai prevedibilmente, del tutto teatrale. Il commediografo lascia discretamente intendere di essere riuscito ad intessere con l’affascinante concittadina una tenera amicizia, che si protrae per qualche mese. L’idillio è tuttavia falciato dai cannoni dei Savoiardi agli ordini di Carlo Emanuele III, che nel dicembre del 1733 cingono d’assedio il capoluogo lombardo. Goldoni, che in quel mentre svolge le funzioni di attaché del Console della Serenissima presso il Granducato di Milano, è costretto a riparare a Crema al seguito del diplomatico. La giovane amante resta invece in città, ed i due finiscono perdersi di vista - apparentemente senza eccessivi struggimenti. Ed il vorace Carrara? Rimedia un posto da corrispondente della Repubblica di Venezia su raccomandazione dello stesso Goldoni. Anche tra i marosi del burrascoso secolo dei lumi, è dunque e comunque bene tutto quel che finisce bene.

31


FACECOOK

alla scoperta dei social chef

Negli Usa Michele brucia le tappe. A 29 anni apre un locale tutto suo

di Laura Ceresoli

Michele Belotti

Originario di Vall’Alta di Albino, dopo quattro anni a San Francisco come executive e general manager si sposta a Oakland con un ristorante in proprio. Nel frattempo ha preparato 3mila casoncelli a settimana, partecipato al tv show “Brindiamo” e a “Eat and drink SF” insieme ai top chef più celebri della metropoli

D

32

i personaggi importanti, uomini d’affari, politici e attori, ne ha visti passare parecchi da quando lavora a San Francisco. Eppure, quando la famiglia Cerea lo scorso ferragosto ha varcato la soglia del suo locale, per il cuoco orobico Michele Belotti è stata un’emozione senza eguali. «What can you cook for a 3 Michelin star chef from Bergamo? (Che cosa puoi cucinare per un tre stelle Michelin bergamasco?)» si è chiesto immediatamente. Già, perché un conto è insegnare ai bizzarri palati americani l’essenza della vera cucina italiana. Un altro è dimostrare a dei ristoratori che hanno fatto la storia nella sua città natale di essere all’altezza di questo compito. Ma alla fine, a giudicare dai commenti positivi sulla pagina Facebook di Michele, la serata coi Cerea si è rivelata un successo. D’altronde, in questi ultimi quattro anni trascorsi nella baia di San Francisco dietro ai fornelli del Ristobar, lo chef executive e general manager ventinovenne ha fatto il possibile per portare

alto il nome dei bergamaschi nel mondo. Indicato come talento emergente della cucina italiana, è riuscito nella non facile missione di inserire nei suoi menù delle vere chicche per i californiani come lo Stracchino di Vedeseta, il taleggio e il gorgonzola: «Abbiamo sempre importato polenta e taleggio in quantità industriali – racconta Belotti – e in alcuni rari casi siamo riusciti ad avere pure qualche valigia piena di mais Spinato di Gandino. Al Ristobar producevo dai 2.000 ai 3.000 casoncelli a settimana: è la pasta che si vende di più. Saltuariamente ho inserito nel menù pure trepa (trippa), öf e spares (uova e asparagi), polenta e pica so, taragna e strinù». Originario di Vall’Alta, frazione di Albino situata nella Valle del Lujo, Belotti ha iniziato ad appassionarsi di cibo e natura grazie ai suoi genitori: «Mio papà Maurizio era fruttivendolo – ricorda –, da piccolo mi portava spesso con sé per selezionare il meglio della frutta e della verdura sul mercato. Mia mamma Angela, casalinga vecchio

stile, allevava annualmente una grande varietà di animali da cortile e, nonostante suo marito fosse fruttivendolo, si riforniva di frutta e verdura rigorosamente dal suo orto». Da allora sono trascorsi molti anni. In mezzo, gli studi all’Istituto alberghiero e una gavetta in molti locali della zona. Poi la svolta americana. Per quattro anni è stato lo chef di punta del Ristobar di San Francisco. La scorsa estate è volato alle isole Bermuda dove ha partecipato al tv show “Brindiamo”, in onda su NYTV. È stato inoltre uno dei protagonisti della manifestazione “Eat and drink SF” insieme ai top chef più celebri della metropoli. Ma Michele è ancora giovane e non intende fermarsi. È infatti pronto per una nuova esperienza culinaria che prenderà vita tra poco: «Finalmente – rivela – io e mia moglie, dopo tanti sacrifici e avventure, siamo diventati proprietari di un ristorante tutto nostro in Oakland, appena passato il bay bridge di San Francisco. Apriremo probabilmente a metà gennaio 2016».


dicembre 2015 L’INTERVISTA

«Qui la rete è tutto e per conquistare TripAdvisor & co. non ci resta che lavorare sempre meglio» Com’è nata la sua passione per la cucina? «Istituto alberghiero di Nembro, stage ad Alassio ed extra nel fine settimana da Paolo Basletta e Rosi, allora titolari del ristorante Beccofino ad Albino». Quando è arrivata la svolta nella sua carriera? «Al Ristorante Frosio di Almè, una stella Michelin, dove ho fatto tre anni di full immersion alla scoperta dei migliori prodotti da tutto il mondo». Ma la sua esperienza all’estero come è iniziata? «Ho lavorato per un periodo in Piemonte, prima al ristorante Guido dallo chef Ugo Alciati, di seguito al Relais San Maurizio con Luca Zecchin. Anni magnifici ma poi un giorno mi arrivò una chiamata di Paolo Frosio che mi disse: “Un mio amico dalla California (Gary Rulli, pasticcere Ampi e titolare di Emporio Rulli) cerca un cuoco per il suo ristorante, vuoi andare?”. A venticinque anni, e onestamente con nient’altro che tanta segatura in testa, mi sono trasferito a San Francisco in meno di due mesi. Ero partito con l’idea di farmi un’esperienza veloce all’estero ma sono ancora qui». Quindi si è trovato bene in America… «Se ti dai da fare e lavori bene, vieni rispettato e hai tante soddisfazioni». La sua soddisfazione più grande? «Far sentire a casa un cliente italiano preparandogli un piatto di casoncelli». Quali sono i lati negativi dell’America? «Molti sono ancora convinti che la cucina italiana sia fatta di Caesar salads, meat balls e fettuccine Alfredo. La manodopera è un po’ scarsa: la gente in cucina qui viene a lavorare solo per accumulare ore. Il 60% dei miei cuochi erano lavapiatti senza la minima idea di come fosse una julienne o una mirepoix. Di pasLa famiglia Cerea del ristorante Da Vittorio ospite da Michele Belotti sione dietro ce n’è gran poca. Fortunatamente c’è Paolo Marinoni, classe 1986 come me, originario di Leffe. È un grande amico e compagno di classe sin dalle superiori. È stato il mio sous chef a Ristobar. Mi ha dato un grande aiuto soprattutto quando ammazzavamo la nostalgia di casa facendo dialoghi interi in puro bergamasco».

Gli americani apprezzano la nostra cucina? «Sfortunatamente credo che il 70% degli americani non abbia la ben che minima idea di cosa sia la cucina italiana semplice che mangiamo tutti i giorni. La percentuale si abbassa fino al 45-50% solo in pochissime grandi città, il resto è notte fonda. Per assurdo, in tv o al supermercato è un tripudio di Italian dressing, Italian style, ma di Italian questi prodotti non hanno niente. Nei ristoranti che si spacciano per italiani usano una testa d’aglio tritata per ogni cliente. I ravioli sono spessi fino a un centimetro e vengono cotti e stracotti dall’alba al tramonto. Le polpette di carne, poi, sono proprio quelle che la mamma ti dice di non mangiare mai al ristorante perché chissà cosa c’è dentro! E non vi dico i giornalisti come ne vanno matti…». Non si salva proprio nessuno? «Fortunatamente qualcuno che si salva c’è, tanti americani sono stati in Italia e sorprendentemente molti hanno visitato anche la nostra Bergamo. Queste persone apprezzano tantissimo i prodotti tradizionali e i piatti proposti nei miei menù. Alcuni mi parlano della Marianna o della funicolare, altri sono stati nei più grandi ristoranti e nelle più belle località italiane, quindi riconoscono i formaggi, la vera polenta, la passione e la storia dietro ogni piatto. Questi sono coloro che ti danno la voglia di andare avanti». Quando è stato importante internet per promuovere la sua esperienza all’estero? «Qui è tutto. La Bay area è il cuore dell’high tech nel mondo. Tutto gira intorno al web. Twitter, Facebook, uber, on line banking, tutto è fattibile on line 24/7. Ci sono app che collegate ai migliori ristoranti ti portano il cibo a domicilio, addirittura un’altra app ti manda un signore a casa a prenderti la biancheria da lavare che verrà riportata poi piegata e stirata nel giro di un paio d’ore. Chiunque va su internet, è una grande arma per noi ristoratori, anche se spesso a doppio taglio...». Un po’ come Tripadvisor… «Oh, sì. Oltre a Tripadvisor, qui esistono altre applicazioni che offrono il medesimo servizio. La più popolare è Yelp, ma anche Opentable o Zagat, tutte a parer mio con lo stesso difetto: danno troppo potere a gente che spesso non è competente. Il problema è che una recensione, bella o brutta che sia, va direttamente a influire sulle vendite e sulla sopravvivenza di un’azienda fatta di tanti sacrifici. Se qui hai un basso rating, non dico che sei morto, ma ci vai molto vicino. Il valore di un ristorante dovrebbe essere stabilito da persone che hanno girato locali di tutti i tipi, ma l’evoluzione tecnologica ci sta portando su questa strada, quindi anche noi ristoratori ci adatteremo lavorando sempre meglio per far uscire i clienti dal ristorante pieni e contenti».

33


L’azienda di Rosanna Scardi

Musica, massaggi e docce: la dolce vita delle mucche della cascina Guardiola Antonio Ciocca e la moglie Antonella Viola gestiscono l’azienda di Treviglio con una cura particolare dei bovini da latte. Che dormono su materassini di gomma e vengono alimentati con cibi naturali. I formaggi, va da sé, ne risentono al meglio

34

N

ella Bassa bergamasca un’azienda agricola ha scoperto il “segreto” per produrre formaggio, burro e yogurt eccellenti: il latte di mucche coccolate da spazzolatrici, allevate con un’alimentazione naturale ascoltando musica in sottofondo e senza stress da super mungitura. Il caseificio è nella cascina Guardiola alla Geromina, frazione di Treviglio, dove c’è anche uno spaccio con i prodotti di altri agricoltori a chilometro zero, gestito da marito e moglie, Antonio Ciocca e Antonella Viola. Ma non si può considerare l’attività casearia senza aver prima visitato l’azienda agricola in via del Bosco, in aperta campagna, avviata nel 1965 dal padre di Luigi, Antonio. Fin da allora l’allevamento rispettava i cicli della natura e i bovini erano solo 25. Nel 1992 è avvenuto il passaggio al figlio. Oggi i capi sono 110 e continuano a vivere in una condizione di cura

invidiabile con tanto spazio e comfort a loro disposizione. Le mucche hanno un loro nome e sono parte preziosa di un’attività a carattere familiare, come dimostra il loro trattamento: si pretende che producano “solo” 25 litri di latte in media al giorno, sono nutrite con erba e fieno, partoriscono fino a otto volte e quando invecchiano sono messe in un’area più tranquilla. Nella stalla c’è anche una grossa spazzolatrice verde elettrica: gli animali autonomamente mettono sotto la testa, e si fanno massaggiare collo e orecchie. Se il macchinario non si aziona, richiamano l’attenzione dell’addetto. Le mucche si coricano su morbidi materassini in gomma. E, d’estate, sopra le mangiatoie, ci sono docce nebulizzatrici che grazie ai ventilatori rinfrescando l’aria e le invogliano a mangiare. «Vuole sapere quale sarà il mio prossimo passo? Vorrei creare il


dicembre 2015 pascolo, lasciarle libere, ci ho già provato ma non è facile, sono animali intelligenti - afferma Ciocca -. Un giorno, mentre stavo rifacendo il pavimento della stalla, avevo messo le bovine in un’area recintata, ma due vacche hanno spinto una loro compagna contro, riuscendo così a scavalcare l’ostacolo». Ci sono anche stati alti e bassi, superati con costanza e dedizione al lavoro. «Avevo 400 capi, di cui 180 da mungitura, ho investito, assunto dipendenti e iniziato a vendere latte alle industrie, entrando in un circolo vizioso - spiega Ciocca perché poi sei costretto a produrre sempre di più dal momento che il prezzo viene abbassato e non riesci più a far fronte alle spese. Gli animali, negli allevamenti intensivi, sono portati a fornire fino a sessanta litri di latte al giorno e così sfiancati, dopo un paio di parti, finiscono al macello». Nel 2001 una malattia contagiosa gli ha imposto l’abbattimento di tutti i capi. Ma il trevigliese si è rimboccato le maniche e ha ricomposto la mandria, aprendo nel 2008 i distributori di latte crudo a Cavenago, Capriate, Suisio e Bellusco. Tuttavia, dopo il successo iniziale, il progetto non ha suscitato quel forte interesse. «Se non fai altro, non campi», si è detto l’allevatore che ha cambiato rotta, decidendo di dedicarsi alla trasformazione del suo latte. Chi si reca in cascina è attratto dal gusto unico di due formaggi speciali che, già nel nome delle due frazioni, sono un omaggio al territorio: Cerreto, compatto e dolce, realizzato da latte intero, stagionato da un mese e mezzo a tre mesi, che può somigliare alla fontina, e Geromi-

na, a pasta morbida, con almeno otto mesi di stagionatura, prodotto da latte spannato in forme che raggiungono i nove chili. I prodotti sono finiti anche in vetrina per tutta la durata di Expo nel padiglione allestito vicino all’albero della vita. Le varietà casearie sono tante: c’è il mucchino, che piace ai bambini, simile al caprino, ma prodotto con latte vaccino, e i freschissimi come mozzarella, ricotta, crescenza e primo sale. Nelle formagelle, stagionate per due mesi, si spazia con i sapori: possono essere al peperoncino, al pistacchio, alla cannella, alle olive, all’erba cipollina, al finocchio e ai capperi. Il latte è conferito all’Associazione produttori latte della Pianura Padana e a Copagri per il progetto “Buono e onesto”, che consiste nel confezionamento diretto dagli allevatori. Il suo simbolo, presente sulle confezioni in tutta Europa, è la mucca Onestina colorata con la bandiera del Paese di origine. Con questo latte, i soci producono il Sovrano, un formaggio a pasta dura stagionato 25 mesi, con latte vaccino all’80 per cento e di bufala al 20, Fattorie Bresciane con caglio vegetale e meno sale, stagionato 12 mesi, il Supremo, a 15 mesi, con solo latte vaccino. Ci sono anche la Guardiola, spalmabile, e il Pronto pentola, una miscela macinata perfetta per mantecare risotti o pasta. Lo yogurt è, oggi, solo bianco. «Non utilizzo nient’altro che prodotti di stagione, pertanto non essendoci fragole, more o mirtilli che mi rifornisce la Cascina Pelesa, preferisco non aggiungere frutta che non conosco», conclude Ciocca.

Qualità dell’offerta, il Touring Club premia Al Carroponte

Oscar Mazzoleni con Luigi Cremona

A

poco più di un anno dall’apertura, Al Carroponte, l’enoteca-bistrot di via De Amicis a Bergamo, incassa un nuovo riconoscimento dal mondo della critica gastronomica. Alla lista, infatti, si aggiunge anche il “Premio Buona Cucina” del Touring Club Italiano, consegnato a Milano il 30 novembre scorso al patron Oscar Mazzoleni in occasione della presentazione della guida “Alberghi e Ristoranti d’Italia 2016”. Il premio, che vanta ormai una lunga tradizione, viene attribuito dal TCI ad esercizi selezionati, che si distinguono per la qualità dell’offerta enogastronomica e per il tono accogliente e curato del locale. Luigi Cremona, autore della Guida Ristoranti d’Italia ed opinion leader nel settore, ha così inteso «confermare ed evidenziare la grande attenzione di Al Carroponte per la qualità dell’offerta, in ambito sia culinario sia enologico, oltre alla passione per i dettagli.»

35


clicca MI PIACE per restare connesso con il

Gusto

Affari di Gola affaridigola.it


dicembre 2015

Da Slow Food tutte le “Ricette vegetariane d’Italia”

I

n occasione del Natale, Slow Food Editore ha deciso di presentare “Ricette vegetariane d’Italia”, un ricettario originale e completo che guarda con interesse a una tendenza della gastronomia e a uno stile di vita riscoprendo ricette dei nostri nonni. E lo fa portando alla ribalta i migliori piatti della tradizione vegetariana e

vegana. Grazie al contributo dei cuochi della guida Osterie d’Italia e di moltissime donne, protagoniste indiscusse della nostra tradizione in cucina, la guida racconta quella varietà e ricchezza uniche al mondo che trasformano la biodiversità italiana in mille gustose ricette, da conservare e tramandare. Le preparazioni sono suddivise a seconda delle regioni italiane e della portata, illustrate da fotografie e precedute dalla lista dei prodotti disponibili nell’arco delle varie stagioni, indicando gli ingredienti facilmente reperibili al Nord, al Centro e al Sud nei diversi momenti dell’anno. Per riuscire a mangiare locale e di stagione tutti i giorni. Ricette vegetariane d’Italia pagine 384 - prezzo 20 euro

Laxolo di Brembilla

La Trota si conferma “tempio” della cucina del territorio P

arli di polenta contadina e subito il pensiero corre al ristorante La Trota di Laxolo, a Brembilla. L’automatismo è quasi naturale, dal momento che proprio grazie a questa ricetta il locale ha conquistato il primo premio al concorso enogastronomico “La cucina delle Valli” indetto dall’Ascom nel lontano 1976. Da quell’evento sono passati tanti anni, eppure il piatto, semplice e gustoso, continua a riscuotere il gradimento della clientela locale e a mietere successi nelle rassegne gastronomiche organizzate da “Ristoranti Regionali – Cucina DOC” (www.ristorantiregionali. it), sodalizio che promuove la conoscenza delle diverse specialità regionali e che vede nella Trota l’associato più anziano. Fondato nel 1908 ad opera di Domenica Ghisalberti - bisnonna di Luca, Ugo e Sonia Pesenti che, affiancati dalle cognate Renata e Romina, continuano con passione l’attività di famiglia ereditata dai genitori Carlo e Imelda - il ristorante di Laxolo conserva intatta la sua fama grazie ad una cucina che ha sempre mantenuto forte il legame col territorio. Oggi al visitatore si presenta un locale ampliato e abbellito, che può ospitare fino a 250 coperti suddivisi in un’accogliente sala da pranzo (dove troneggia un imponente camino), in una moderna pizzeria e in un giardino estivo. Le trote nel vivaio - da qui il nome del locale - vengono pe-

Da sinistra: Imelda Perico, Luca, Carlo, Ugo, Asia Perico e Sonia (foto di Gian Vittorio Frau) scate e cucinate al momento e sono proposte con diverse ricette. Il menù, stagionale, spazia dalle carni ai pesci, si chiude con i dolci elaborati da Sonia e fa leva su una carta di vini che comprende ben 25 etichette bergamasche. In questi giorni sono stati messe a punto le proposte per l’autunno-inverno. Nel corso della nostra visita, La Trota ci ha servito una proposta convincente per materie prime ed elaborazione dei piatti: ottimo il “chisol” (crocchetta di polenta con cuore di taleggio) e funghi porcini, gustoso il risotto al tartufo nero (scorzone) e filetto di trota e così pure il guanciale di maialetto su crema di patate. Degno il finale con la cialda croccante con semifreddo allo zabaione e cioccolato. Il tutto sapientemente abbinato a vini del territorio. Insomma, La Trota vale una sosta. www.ristorantelatrota.com

37


Pagine di

Gola

Quale idea regalo migliore per il Natale di un libro di cucina? L’editoria gastronomica offre tantissimi titoli. Si può optare per un ricettario, una biografia, un saggio oppure un romanzo. Per aiutarvi nella scelta, abbiamo sfogliato le ultime novità, in cerca di qualche proposta per voi. Ecco la nostra lista.

di Roberta Martinelli

Per chi ama mangiar fuori Una spassosa guida per scegliere il locale giusto. Dai ristoranti stellati alle osterie di quartiere, Gianni Mura consiglia cosa fare prima di sedersi a tavola per evitare fregature: ad esempio, per scegliere il locale giusto meglio fidarsi del consiglio degli amici, consultare le guide storiche o le recensioni di TripAdvisor? E quali insidie (o indizi) può nascondere la telefonata con cui prenotiamo un tavolo? Tra una dritta e l’altra, Mura racconta di grandi ristoratori, di cuochi arroganti e di mangiate omeriche nelle trattorie battute dai camionisti. Sarà un regalo azzeccato per tutti quelli a cui piace mangiar fuori e che da tempo cercano conferme sulle loro teorie sul posto migliore in cui sedersi, il piatto che vale la pena assaggiare, la pietanza assassina che rischia di bucarci lo stomaco e altro ancora. Gianni Mura

NON C’È GUSTO

108 pagine Minimum Fax

Viaggio nella cucina e nelle tradizioni giapponesi

Maori Murota

TOKIO, LE RICETTE DI CULTO

271 pagine Guido Tommasi Editore

Un diario di viaggio attraverso i sapori e le ricette autentiche di Tokyo, ben oltre il sushi e i piatti più famosi, da quelli di casa a quelli dei ristoranti più ricercati. Un libro bellissimo, destinato a diventare di culto (oltre il titolo). Più di un semplice ricettario, spiega tantissime cose della cucina giapponese, come ad esempio le differenze fra i diversi tipi di miso, gli accostamenti giusti per creare un bento equilibrato e così via.

Romanzi di cucina

Franco Di Mare

IL TEOREMA DEL BABÀ 221 pagine Rizzoli

38

A un mese da Natale, in un paese della costiera amalfitana, un cuoco che ha un ristorante con prodotti locali scopre che di fronte a lui aprirà un ristorante di cucina molecolare. Il titolare è un cuoco della tv, una star dei fornelli, e pure un uomo affascinante. Franco Di Mare (il giornalista che conduce sulla Rai “Uno Mattina”) mette in scena la guerra tra due chef a colpi di tradizione e innovazione e una brigata di personaggi irresistibili le cui bassezze e genialità sono quelle di tutti noi.

Per ritrovare il valore del cibo

Andrea Segrè CIBO 115 pagine Il Mulino

L’ultimo saggio dell’agro-economista Andrea Segrè è un dizionario in 55 voci che analizza e racconta la nostra relazione col cibo, ai tempi di Expo. Un lessico-dislessico della cultura agroalimentare degli ultimi 50 anni in Italia, che vuole dare valore al cibo e ritrovare uno spirito dell’educazione e della cultura agroalimentare. Contro un certo mondo variegato di affabulatori, avvelenatori, blogger, chef, ristoratori, consulenti, dietisti, guru, nutrizionisti, sofisticatori e truffatori.

Un grande chef si racconta Né ricette né corsi di cucina, in “Apparentemente semplice” lo chef abruzzese Niko Romito, tre stelle Michelin, si racconta in un volume scritto con Leopoldo Gasbarro (prefazione di Carlin Petrini), che afferra sin dalle prime pagine con la sua determinazione nel dire che l’eccellenza non sta scritta né nel destino né nelle stelle, Niko Romito, soprattutto quando queste congiurano Leopoldo Gasbarro continuamente contro di te, ma che il diAPPARENTEMENTE ventare primi è la scelta quotidiana di chi SEMPLICE non ha paura di diventare semplicemente 228 pagine se stesso. Sperling & Kupfer


Sostegno ai LAVORATORI Assistenza per figli disabili Sussidio straordinario ai dipendenti in malattia oltre il 180° giorno Acquisto libri di testo per i figli dei lavoratori Acquisto testi scolastici per lavoratori dipendenti pantone 3395C

Concorso spese asili nido

pantone 7725C

Spese sostenute per modello 730

pantone 2995C pantone 7461C

Sostegno alle IMPRESE pantone 1485C

pantone 3395C

pantone 166C

Formazione e apprendistato

pantone 7725C pantone 2995C

Accesso al credito

pantone 7461C

Certificazione contratti di lavoro

pantone 1485C

D. Lgs 81/08 sulla sicurezza

pantone 166C

Corsi sostitutivi libretto sanitario Promozione dei sistemi di qualità

Incentivi alle imprese per l’assunzione di giovani disoccupati (solo sett. commercio)

www.entibilateralibg.it Enti Bilaterali di Bergamo via Borgo Palazzo, 154 - 24125 Bergamo - Tel 035.4120140 / 035.4120116 - Fax 035.4120110 info@entebilturbg.it | info@entebilcombg.it A S C O M B

E

R

G

A

M

O

ConfcommerciO UNA STORIA, TANTE IMPRESE

BERGAMO



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.