Supplemento al n. 6 de “La Rassegna” del 14 febbraio 2013 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
febbraio 2013
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
A Bergamo il gusto va a M1.lle
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PENNA ALL’ARRABBIATA “Ristoranti dei Mille... sapori”, l’occasione persa dai ristoratori
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IL MERCATO Bar e ristoranti, la crisi rivoluziona gli acquisti
10 L’INTERVENTO
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Valcalepio, ma che gusto c’è a giocare da soli?
11 LA VISITA Frutta e verdura Ok, il prezzo è fatto
14 FORMAZIONE Ristorazione, “sette diplomati su dieci trovano lavoro”
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18 LA TRADIZIONE E le chiamano pure “erbacce”!
20 LA NOVITÀ M1.lle, il baricentro delle idee golose
22 PRODOTTI Vita sempre più dura per i salumi affumicati
25 TENDENZE C’è più gusto on the road
28 IL RISTORANTE Cucina Cereda, la sintesi del gusto
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“Ristoranti dei Mille... sapori”, l’ occasione persa dai ristoratori di Pier Carlo Capozzi
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i fa un gran parlare di Turismo e non potranno sfuggirvi le promesse campate in aria che da ogni parte politica verranno adoperate, a riguardo, in questi ultimi, ormai insopportabili, giorni di campagna elettorale. Per noi lombardi non è argomento da poco, considerando che c’è in ballo l’Expo, ma sentirete programmi triti e ritriti. D’altronde cosa vi aspettate da un Paese che, col patrimonio artistico e culturale che si ritrova e con l’enogastronomia migliore del mondo, ha pensato bene di investire nella siderurgia invece che nell’accoglienza? Si fa anche un gran parlare di “periodo nero” e di come superarlo, di salto di qualità, di aziende che nella crisi saranno brave a restare a galla, di investimenti sulle migliorie, di formazione del personale, di immagine e visibilità. Comunque vada, di lungimiranza. La Camera di Commercio di Bergamo, per la seconda edizione, manda in onda l’iniziativa “Ristoranti dei Mille… sapori” con l’intento di promuovere un “menù della tradizione” e un “piatto della tradizione”, entrambi a prezzo fisso, per avvicinare visitatori e non solo alle nostre proposte enogastronomiche. Ebbene, rispetto ai 67 ristoranti aderenti della prima edizione, siamo passati a 25, molto meno della metà. Come primo impatto non vediamo in questa notizia, dalla parte del ristoratore, alcunché di lungimirante, ma sarebbe davvero colpevole non analizzare l’evento in maniera più approfondita. Ci tentiamo. Bisogna partire da due punti che abbiamo già trattato, in queste righe, fino alla noia. Il primo è che la storia delle manifestazioni gastronomiche ci deve pur insegnare qualcosa e mi rincresce che, anche per questioni anagrafiche, sempre meno si possano ricordare di cos’era per Bergamo l’“Invito a Tavola”, meglio conosciuto, negli anni Sessanta, come il “Re della Polenta e uccelli”. Una rassegna che richiamava stuoli di gourmand da tutta la regione e che è cresciuta e s’è affrancata edizione dopo edizione. Come ogni manifestazione che si rispetti, dal Vinitaly a Identità Golose. Questo per rispondere a chi sostiene che la sfiducia dei ristorato-
ri assenti sia figlia diretta dello scarso successo economico (da dimostrare) della prima puntata. Un po’ come se si pretendesse da un allenatore di vincere subito 5 a 0 la prima partita di campionato. Magari in trasferta. Il secondo punto è la nostra riconoscenza, non dell’ultima ora, alla Camera di Commercio che è stato l’unico ente a credere fortemente nella crescita dell’accoglienza in terra bergamasca, sia come ospitalità alberghiera ed extralberghiera che come cultura enogastronomica. I prodotti tradizionali, le ricette codificate, la valorizzazione di tutto il territorio, produttori compresi, è merito suo. Certo, poi bisogna che le si vada dietro, altrimenti crescere sarà difficoltoso. Ci siamo letti tutto il regolamento dei “Ristoranti dei Mille… sapori” e ad ogni riga traspare la volontà di incentivare il miglioramento delle insegne coinvolte, persino in una maggiore coscienza eco-ambientale. Qualcuno spiffera che, in tempi come questi, duecento euro di iscrizione siano un problema: non vogliamo nemmeno pensarci, considerando solo la pubblicità che ne deriva (il sito dedicato e la pagina Facebook sono deliziosi) e la possibilità di partecipare ad un veloce corso d’aggiornamento sulla gastronomia di casa nostra. Ci spiace, profondamente, perché la vediamo come un’opportunità perduta (per chi non c’è) e fatichiamo a comprenderne le reali motivazioni. Ci preoccupa anche un possibile disimpegno da parte dell’Ente Camerale, che non crediamo abbia incassato volentieri il dimezzarsi degli iscritti a fronte di un impegno che non è mai venuto meno. Forse c’è qualcosa che poteva essere pensato meglio, e noi ci mettiamo a disposizione perché possa nascere uno scambio di vedute tra le parti, fermo restando che continuiamo a credere che una rassegna debba crescere nel tempo contando sulla fiducia di chi ci ha creduto in partenza. Alle 25 insegne rimaste in campo vada il nostro migliore auspicio e il promemoria che ce la devono mettere tutta perché, tra l’altro, il via alla terza edizione potrebbe dipendere anche da loro. piercapozzi@libero.it
PENNA ALL’ARRABBIATA
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IL MERCATO di Laura Bernardi Locatelli
Si tagliano le materie prime costose, dall’aragosta al ppesce selvaggio, e ssii rriscoprono della tradizione. iscoprono i piatti d Si limitano gli eccessi e si privilegiano semplicità e territorio. sempl Ecco cosa raccontano le aaziende fornitrici
Bar e ristoranti, la crisi rivoluziona gli acquisti
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a crisi si vince con la tradizione. Lo chef più mediatico d’Italia Gianfranco Vissani prende le distanze dalla cucina-spettacolo e torna, in un viaggio per l’Italia a ritroso sulle orme dell’Artusi, alle origini e ai piatti della tradizione degli anni Cinquanta e il seguito, in questa rivoluzione, non gli manca certo a queste latitudini. La crisi non ha ammazzato la fantasia - anzi, semmai invita a reinventarsi e a ripensare
la propria attività - ma ha limato gli eccessi e le complicazioni, valorizzando eleganza, semplicità e territorio. Una conferma che arriva dalle aziende che forniscono il mondo della ristorazione, dalle trattorie ai ristoranti blasonati, dalle aziende di catering e banqueting agli chef a domicilio, sempre più in voga. Non mancano di questi tempi tagli ai costi di materie prime lussuose, dal caviale all’aragosta, dai crostacei al
pesce selvaggio dei nostri mari, e una vera e propria revisione degli acquisti di tutti i giorni, come del resto abbiamo ormai preso l’abitudine a fare tutti anche in casa nostra. Il richiamo al territorio è comunque forte e chissà se la cucina degli anni Cinquanta non contribuisca a nutrire gli spiriti e ricreare quel clima che ci ha fatto - non senza rimboccarsi le maniche - risollevare dalla crisi del Dopoguerra.
QUATTROERRE
ADDIO AI BARRICATI, ORA PIACCIONO I VINI “SEMPLICI” IL SERVIZIO INADEGUATO FRENA LA BIRRA ALLA SPINA Tornano in auge territorio, tradizione e semplicità perché la crisi fa tornare ad amare ciò che più rassicura ed àncora alle nostre radici: “La tendenza, in atto da tre anni a questa parte, è l’abbandono di vini complessi, strutturati e “muscolosi” a favore di vini più semplici e meno pretenziosi - sottolinea Enrico Rota, responsabile commerciale della Quattroerre di Torre de’ Roveri e presidente del Consorzio di Tutela del Valcalepio -. Dopo l’era dei vini cervellotici che stupiscono al primo sorso ma non convincono al terzo bicchiere e dopo anni in cui i produttori avevano messo il vino come su un piedistallo, rendendolo ap-
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pannaggio dei soli esperti, si tornano a stappare bottiglie meno costruite e più immediate”. E non è solo una questione di budget: “Il prezzo senza dubbio fa la sua parte, ma è sempre il gusto a guidare la scelta e, in questo senso, non si tratta altro che di una conferma della ricerca di vini freschi, leggeri, fruttati e “facili”, superate quindi anche le mode che hanno portato al successo di Lugana, Vini del Collio friulani e dell’Alto Adige. Di contro, sono in calo i vini barricati, del resto estranei alla tradizione italiana: dopo il boom di barrique francesi in cantina e vini dalle note legnose si registra una controtendenza”. Ma le
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OROBICA PESCA
SOFFRE IL PESCATO, VANNO MEGLIO I PRODOTTI D’ALLEVAMENTO ANCORA POCO VALORIZZATO IL PESCE AZZURRO La crisi ritocca i menù di mare : “Oltre alla gestione e al controllo dei costi del ristorante che interessano la struttura, la crisi dei consumi sta portando ad una maggiore attenzione negli acquisti delle materie prime - sottolinea Ottavio Duzioni, responsabile acquisti di Orobica Pesca, azienda leader nella commercializzazione di prodotti ittici e generi alimentari -. In questo momento soffre il pesce pescato a vantaggio di prodotti allevati, dal salmone della Norvegia al branzino e all’orata nazionali o greche, che consentono di abbassare il food-cost. La crescita delle vendite di pesce d’allevamento si aggira attorno al 10-15 per cento rispetto allo scorso anno”. Calano i consumi dei crostacei: “A soffrire maggiormente sono scampi, gamberi ed aragoste dei nostri mari. I consumi virano maggiormente dal prodotto nazionale verso quello estero, comunque selezionato, proveniente da Spagna e Danimarca”. Anche da Orobica Pesca si registra una crescita delle vendite di
prodotti congelati: “Crescono le vendite di crostacei e molluschi congelati, sempre di qualità e dalla provenienza certa e selezionata”. Resta stabile il dato relativo alle vendite di pesce conservato, anche se non
manca un ritorno alle ricette di “bertagnì” e dintorni: “Negli ultimi anni si sta riscoprendo il merluzzo, dal baccalà allo stoccafisso, mantecato, fritto in pastella e alla vicentina, anche se al momento non si può parlare di una vera e propria tendenza”. Nonostante la crisi abbia imposto una revisione della spesa, sono ancora troppo pochi coloro che propongono in cucina pesce azzurro ed altri squisiti pesci dei nostri mari: “Il pesce sciabola in Sicilia va per la maggiore e cucinato alla griglia ha poco da invidiare ad altre specie più apprezzate. Il pesce azzurro è ancora poco valorizzato, nonostante appartenga alla nostra tradizione, sia pescato nei nostri mari, abbia un prezzo davvero contenuto e caratteristiche e proprietà importanti, a partire dall’elevato contenuto di omega 3. Sgombri, sarde ed alici hanno mille ricette calabresi e siciliane da scoprire. Da valorizzare anche i lanzardi - cugini “poveri” degli sgombri -, i tonnetti boniti e i palamita”.
Ottavio Duzioni
Enrico Rota
sorprese non finiscono qui: “Non si è mai rilevata un’attenzione così alta verso i vini e i prodotti del territorio e i piatti della tradizione. Il territorio non si è fatto trovare impreparato, ma anzi si è attrezzato per rispondere al meglio alle richieste dei consumatori. Un’operazione per molti versi rivoluzionaria è rappresentata dalla creazione della nuova Doc Terre del Colleoni - con 11 vini monovitigni e 3 tipologie realizzate con alcuni di questi: passito, spumante classico e novello - abbraccia la tradizione ma anche tutti i gusti. Dalla Schiava al Franconia ad incroci di paternità bergamasca come il Terzi, nato dall’incrocio fra barbera e cabernet franc effettuato dal viticoltore di Treviglio Riccardo Terzi”. Si è così allargato l’orizzonte enoico bergamasco da oggi non identificato più solo con il Valcalepio - oltre che con il Moscato di Scanzo - ma anche con vini più aromatici e leggeri”. Il successo dei vini del territorio è testimoniato anche dalle carte e dalle cantine dei ristoranti: “Quando il Consorzio ha promosso l’anno scorso la realizzazione di una guida enoturistica abbiamo avuto 238 adesioni, nonostante il requisito fosse la presenza in carta di almeno tre etichette di produttori consorziati”. Anche sul versante birra vi è la riscoperta dei prodotti nazionali e artigianali, ma il boccale spumeggiante è pieno solo a metà: “I consumi sono costanti e si attestano
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IL MERCATO LOIPOLL
I CONSUMI DI CARNE? COSTANTI MA È AUMENTATA L’ATTENZIONE AL PREZZO Il consumo di carne è costante, anche se si registra il fisiologico calo di inizio anno, ma l’attenzione per il prezzo è di questi tempi sempre elevata: “La richiesta è sempre e comunque di un prodotto di qualità ad un prezzo ragionevole - spiega Federico Loglio, quarta generazione, con la sorella Fulvia, alla guida dell’ingrosso carni e pollami Loipoll in via Moroni -. I tagli nobili continuano ad andare per la maggiore, purché abbiano un prezzo accessibile”. Si rileva comunque una maggiore attenzione ai piatti della tradizione del territorio e lombarda: “Nei menù sono ricomparsi piatti che affondano le radici nella tradizione, oltre al classico coniglio sempre accompagnato dall’immancabile polenta, si rispolverano ricette nobili di selvaggina, come la lepre in salmì. Vengono proposti guanciali di maiale e vitello, sempre più frequenti nelle carte dei ristoranti. Cresce l’attenzione anche verso altre ricette italiane, come il cinghiale, più tipicamente toscano”. Non mancano carni tutte da valorizzare: “Il settore avicolo meriterebbe maggiore attenzione: oca e anatra si prestano a svariate ricette e preparazioni gustose, oltre ad appartenere alla tradizione lombarda, specialmente dell’Oltrepò Pavese”. Destagionalizzare carni da sempre legate a determinate feste, consente di proporre piatti eccezionali contenendo i costi: “Capretto ed agnello fanno il loro ingresso nei menù solo a Pasqua, mentre ben si prestano ad essere gustati tutto l’anno”.
sui 30-32 litri l’anno pro-capite, ma si registra un continuo spostamento dalla spina alla bottiglia”. Un fenomeno imputabile ahimè - ad un servizio non sempre effettuato a regola d’arte: “I locali che seguono e curano in ogni aspetto il servizio registrano una crescita a due cifre di nella vendita di birra alla spina. Del resto, come non manchiamo mai di sottolineare nei corsi di formazione dedicati, servire la birra è un’arte: dalla cura nello sciacquare il bicchiere e di sgrassarlo alla giusta pressione dell’impianto, dalla freschezza dell’apertura del fusto, che per esprimere al meglio le sue caratteristiche non deve superare le 48 ore, alla giusta temperatura di servizio”. Tra le birre in bottiglia, cala l’Inghilterra e crescono le birre artigianali italiane e quelle speciali belghe. Sventola il tricolore anche nella galassia dei superalcolici: “Tutti i distillati sono in calo con flessioni importanti anche a doppia cifra, ma la grappa tiene. Anche in questo caso non può essere solo una questione di prezzo: i distillatori hanno abbassa-
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to il tenore alcolico - che si attesta in media tra a i 38 e i 42 gradi - e questa evoluzione uzione - nata in parte per rispondere ondere alla richiesta da parte dei consumatori di una grappa “morbida”rbida”- ha portato ad esaltare re le note erbacee di vitigni igni come il Cabernet e a dare risultati organolettianolettici straordinari. ari. Non bisogna dimenticamenticare che tra i distillati italiani nessun sun altro ha una materia a prima nobile come la grappa”. ppa”.
febbraio 2013 CIDIA
CROLLA IL CAVIALE, VOLANO LE PASTE RIPIENE IL FENOMENO IN CRESCITA DEGLI CHEF A DOMICILIO “I primi mesi dell’anno sono sempre i più “piatti” per le imprese della ristorazione che fanno i conti con un fisiologico calo delle presenze ai tavoli dei ristoranti, dopo le grandi “abbuffate” delle feste. Ci sono purtroppo, per effetto della crisi, sofferenze e difficoltà finanziarie che tutti gli imprenditori sono chiamati ad affrontare, ma di certo la gente non ha smesso di andare al ristorante. Si sta più attenti, si esce di meno ma si esce comunque. Tengono catering e banqueting, cresce il fenomeno degli chef a domicilio, che rappresentano una vera e propria tendenza”, sottolinea Maurizio Pradella, terza generazione alla guida del Centro di Distribuzione Alimentare Cidia Pradella. I ristoratori sono sempre più attenti ai piatti della tradizione e al territorio: “In cucina si rinnova la tradizione e ricompaiono nelle carte dei ristoranti le vecchie ricette. Stanno riscuotendo un ottimo successo le paste fresche ripiene già pronte, che distribuiamo giornalmente grazie alla collaborazione con un laboratorio che realizza ancora i casoncelli a mano”. Il 2013 sarà ancora un anno all’insegna del controllo del food-cost: “C’è una certa morigeratezza negli acquisti e la tendenza è di effettuare almeno due forniture settimanali, opportunità che da tempo abbiamo offerto ai nostri clienti con il nostro servizio consegne e che, con l’entrata in vigore dell’articolo 62 che impone di pagare a 30/60 giorni i prodotti alimentari, è sempre più richiesto”. Registrano crescite importanti i surgelati, settore in cui la Cidia vanta un’esperienza che dura dalla fine degli anni Sessanta quando si inserì tra le prime aziende d’Italia
della catena del freddo: “Grazie anche a tecniche di gestione del freddo sempre più sofisticate che rendono i prodotti congelati sempre più di qualità, questo segmento di mercato continua a registrare una crescita anche a due cifre. I prodotti della linea gelo sono sempre più apprezzati perché consentono di gestire al meglio le scadenze e il magazzino”. Le materie prime più pregiate registrano una battuta d’arresto: “Tra i prodotti di lusso la richiesta di caviale è quasi azzerata. I prezzi di quello iraniano, dal Beluga all’Asetra, sono del resto più che raddoppiati e vanno dai 3.500 ai 5.000 euro al chilo. L’attenzione si sta spostando sul caviale italiano che si aggira tra i 1.000 e 1.200 euro al chilo, ma si tratta di una piccola nicchia di mercato”. In forte ascesa i prodotti per la pasticceria, perché il dolce fatto in casa è sempre più una tendenza nel mondo della ristorazione: “I ristoranti investono sempre più sulla pasticceria, grazie anche alla disponibilità di prodotti che rendono sempre più agevole la vita e il lavoro in cucina, dai
prodotti semi-lavorati alle basi per realizzare creme, fino ad interessanti idee per una mise en place ad effetto”. Cresce anche l’attenzione e la sensibilità verso le intolleranze alimentari: “C’è sempre maggiore richiesta di prodotti senza glutine, tanto che quest’anno, in occasione del tradizionale appuntamento con il workshop aziendale in programma a marzo, sarà presente uno stand dedicato a prodotti senza glutine”.
Maurizio Pradella
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L’INTERVENTO
Ma che gusto c’ è a giocare da soli?
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Ho sempre inteso la Doc come un marchio, una garangregio Direttore, zia per il consumatore e un impegno per il produttore, un dopo aver letto l’intervento di Enrico Rota, presidente del riconoscimento del fatto che quel prodotto nasca da un Consorzio Tutela del Valcalepio, pubblicato sull’ultimo territorio e faccia parte di una collettività che segue regonumero di Affari di Gola (“Troppo spesso soli. Ecco perle precise e chiare a tutti. ché lancio un appello a chi non sostiene il Consorzio di Già, le regole. Tutela”), le scrivo per condividere con lei e con schierarsi nella teri suoi lettori alcune riflessioni che nell’ultimo ultimo Perché in molti preferiscono preferisc nessuno del nome di fanperiodo mi hanno accompagnato nel mio lara di nes tasia? voro di enologo ma, soprattutto, nella mia viQual è il meccanismo ta di amante del vino e del suo mondo. Valcale pio per il quale un produtUltimamente mi sono spesso domandanda“Tropp o spess la o n c io tore arriva a pensare to quale sia il significato attribuito da a alun app soli. Ecco p e e il Con sorzio llo a chi non rché di Tute che il suo vino assumecuni alla Denominazione di Origine Consostien la” e G trollata. rrà maggior valore solo per il fatto di distinguerp si dalla collettività della Doc? Do non era l’unione fa Il motto m forza? la fo allora da dove viene queE all desiderio di fare le cose sto d diverse dagli altri a tutti i codivers sti, di llasciare il percorso della collettività regolato da norme colletti comuni a favore di un terreno potenzialmente ogni cosa dove po è possibile? Sarà che sono sempre stato convinto (e lo sono tutt’ora) che il prezzo non lo fa il nome del prodotto ma la capacità di collocarlo sul mercato; sarà che ho sempre inteso la Doc come un bene collettivo a favore del territorio che in tanti dicono di sostenere ma per il quale in pochi combattono. Come si può dire di appartenere a pieno ad un territorio, di esprimere, attraverso il proprio prodotto, l’essenza stessa della migliore tradizione di un luogo quando poi si sceglie di remare contro il bene comune, abbandonando la collettività della Doc e scegliendo una strada diversa, una strada che evita la competizione allo stesso livello. Perché, se si accantonano le regole comuni e le norme collettivamente scelte, allora si cambia il livello e la competizione, la concorrenza non è più leale. Non si gioca più allo stesso gioco, si gioca fuori dalla regola (o senza regole, addirittura) e, quindi, si gioca da soli. A questo punto però mi domando: che gusto c’è a giocare da soli? Sergio Cantoni Sergio Cantoni di Enric o Rota*
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Rota
tilissim o dirett appro ore Àtto de lla re alc une co sua ospita lità pe perch nside diciot r faé, anch razion to me si alla i sui e se è stene zio Tut pri re il guida auspica ela Va del Co mi il prolife pluralismo lcalep un bil nsorper mi bile soio. Ne ancio rare di lle rag presen di quan l tracci o comp fare, ulteriori ioni, tativit to siamo are sen agnie assoc à di tut eventi di am rende riusciti possiam za peccare iazion te le azi de ici, no re dis i di pre a o ritene pe ende n può re capit l Consorzio. rsi vità su ti. Noi va la nzione, ag rci più di tutto che Molti o che siamo rappre hanno li senza il comp sareb mator i protag che soddis ra pro il Cons pube né arto. Pe sentatii, il Co fatduttiv orzio no tutela nsorz vino be r i cons a enolo onisti della tutela esiste né pro n ci rgama Àliee promo io deve oc ugica di un co mozio sco. Mi pia cuparsi ngruo dame Berga ne de ditori cereb nume ntali no zione; due mo: l di vitivin be ca ro sti ico n rdi ora di impre vitivin solo corag pensier li di pri ni fon icolo, giosi e nmo live i, chied condividere ma pe per il comp ri che ch tenac llo, hanno qu e en r art hann no eabili, do ai tutti gli i. Impre o costruit produ vero mo n aderiscono nditori opera mico loc o a cuore efÀcie o azien ttotor il tessu che tivo de al Cons nza ale. de di chi inv to eco i lla lor Tropp no confr , moderne grand o asten orzio il ece vi noe volte , che e onti co ap sio pe sib pa non tem nere, ne e a rò siamo ile da non ci n nessu nei fat re qualc rtiene se no oun no. Ep intere ti, quest soli nel sos n è po to. Ca osa in rischiam iamo sotto pure, ssa stepita o se più. Sa un un o di ess zioni se nte sapere ico cre difendia di dimentic vitale conc rebbe nel de ere co da alc etno do, arci ch ser to, mo as me un une e più sos n meritiam e splen chiara a voc o più att istitudido ter sieme ques se non tegno ma iso e mo fat per tut to no enzione ritorio lata. Ec no. Pe stro to e ch to , tut r no co e siamo ciò che ab Sarei è inizia i, una rivoluz to risulta vabia curioso in gra ta. ion do di far pure di parte dato vita Un percorso e silenziosa de e. sco lla prire pe un a situa sta molti ciazio zioni ch ico che ha rch vini ba mpa tende ni, mo e altre sta a elogia é lto più masch se ben as grand re i, senza che non sia div i e con sono be che su parlare riuscite erse della rgarisorrro nostra, di cer neppure te guide il lavoro gandosi il non son biamo ad im diritto da altrui, o magin di valuta , fazios Consigli to una strutt are. Ab e diatrib ricercano sol re ura op o di Am o sterili e, ignora dacabil erativa il “Circu ministra e i progre al no poi ito osp zione ga gli ssi italità Abbia e ma ins dell’e sca. inmo co Valcalep creato nolog stituit Capis Tutela ia berio”. o una co perfe ch Comm ttame si perso la qualit e si occupa ission nte ch del co nali ha e à del e gli int ntrollo nno da logica Valca e organ eres, ma do sempre izza ap lepio sul me delbbiam anzi il una lor po rcato o avere “carat o fatte sol site degusta tere”, il scend di camb coraggio, zioni, o da pro o una iare, ric volta pe du avere quelle onola possi ttori, per r tut pe bilità pinge ci di im rsone strao te il valore di re un di prese rdinarie quadro diallo ste semplic cis o e presso tem , capai quan de tta gli ato to sor do ed po tan Va lca prend emarg de l lep io enti, iso to inand ste sso coloro merca o in mo lansu l che sol to. Ab do deÀ o per ci perso biamo glato nitivo intere siun ac nali o ssi eco co pe tut rdo co r to vog le Un nomin liono me puro protag ive rsi ne. No tà di onism no che lano e n mi rim Mi o, il bene Pia ane ch l’ospit comula ricerc cenza per alità e e ringra a per qu questi anto lei ziarla per tura ed in viticoldic ha fat en se si vuo iotto mesi, to in dim concret ologia e le, tut izzato to quan ostrando ch è possi una magg e, to ho rac bile. Gra iore zie. contat rapo *presi
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dicembr e 2012
LA VISITA
febbraio 2013 di Laura Ceresoli
Frutta e verdura Ok, il prezzo è fatto Una mattinata tra gli operatori al mercato ortofrutticolo. Tra accordi, trattative e caccia all’ultimo sconto, il centro della Celadina si trasforma in un vero Borsino dove i valori oscillano in continuazione. In crescita la presenza dei clienti stranieri. Il commento dei grossisti
È
ancora notte fonda quando i primi camion, stipati di frutta e verdura, varcano la soglia del mercato ortofrutticolo di Celadina. Sono da poco passate le 2 e già davanti ai cancelli di via Borgo Palazzo c’è una lunga fila di automezzi. Alla guida ci sono grossisti pronti a sfidare il gelo e la fitta coltre di nebbia per scaricare la loro merce. Cassette di mandarini, arance, mele, cavolfiori e finocchi vengono impilate, l’una dopo l’altra, fuori dai vari stand. L’alba è ancora lontana, ma i preparativi già fervono per allestire quel quotidiano via vai commerciale fatto di contrattazioni, compravendite e scambi di informazioni. Verso le 4.30, quando a dominare incontrastato è ancora il buio di un gelido mattino di fine gennaio, arrivano i primi acquirenti, di solito ambulanti, negozianti o itineranti. Il mercato comincia così a prendere forma trasformandosi, di ora in ora, in una vera e propria borsa azionaria dove i prezzi oscillano di continuo. Se alle 5 del mattino una cassetta di limoni vale 1,10 euro, alle 7.30 il prezzo può già scendere a 90 centesimi. Tra il profumo delle mele rosse e i colori sgargianti dei mandaranci maturi, si sentono le urla dei venditori che dalle loro bancarelle incitano la gente all’acquisto. C’è chi si accal-
ca tra un bancale e l’altro per osservare da vicino la frutta e per valutarne la qualità, c’è chi vaga di stand in stand per scovare l’offerta migliore ed estorcere un appetibile sconticino e c’è chi invece va dal suo rivenditore di fiducia senza alcuna esitazione. “Voglio tre cassette di melanzane, una di cipolle, una di insalata belga e due di mandarini, ma a un prezzo buono”, dice un uomo di mezza età avvicinandosi al primo punto vendita che si trova all’ingresso. Si chiama Carlo, è ristoratore da oltre vent’anni, e per lui andare al mercato ortofrutticolo è una tradizione consolidata. Ormai acquista a colpo sicuro, senza nemmeno più fare lo slalom tra i 20 stand presenti sul piazzale. “Il risparmio c’è, soprattutto se ci si arrangia per il trasporto - spiega -. Io acquisto quantità minime perché il mio ristorante è piccolo, ma ci sono persone che già alle 6 del mattino hanno i montacarichi pieni di roba”. L’ortomercato, prima del sorgere del sole, è un brulicare costante di voci e lingue differenti. Già, perché sono parecchi anche gli stranieri che operano qui. Da un lato ci sono
LA VISITA gli autotrasportatori provenienti dalla Spagna, dall’Olanda o dalla Germania con Tir carichi di frutta e verdura d’importazione. Dall’altro ci sono gli extracomunitari che qui a Bergamo vivono e lavorano. Sono perlopiù ristoratori che acquistano insalate, pomodori o cipollotti per guarnire i loro succulenti kebab, ma ci sono anche famiglie di immigrati che fanno le scorte di ortaggi. Si portano via anche 20 o 30 cassette a prezzo modico che poi, a casa, divideranno con i loro amici e parenti. “Più si acquista più si risparmia - conferma Fulvio Bosatelli, titolare di BBR Ortofrutta -. Se un cliente porta via tutto il bancale è chiaro che avrà uno sconto maggiore rispetto a chi chiede solo una cassetta. La richiesta e i consumi variano da un giorno all’altro. L’oscillare dei prezzi dipende dalla qualità: per esempio se al sud la temperatura scende a -5 gradi e la produzione di zucchine va in sofferenza, anche il costo di questo ortaggio si alza. Oppure se in estate abbiamo delle fragole molto mature facciamo il possibile per svenderle. In questo periodo invernale, invece, le mele e le arance si conservano per lunghi periodi e non marciscono facilmente, perché fa freddo, quindi non avendo fretta di finirle, il costo oscilla di pochi centesimi”. simi”. Il prezzo della merce cambia anche in base alle spese di produzione: “Spesso le tariffe ariffe dei prodotti si impennano come conseguenza a dei costi che il contadino deve sostenere - interviene erviene il collega Ezio Benigni, di BBR-. Mi riferisco co all’aumento del gasolio agricolo, al costo della ella manodopera, all’Imu per il terreno. Anche il trasporto su gomma in autostrada oggi incide ncide di almeno 2.000 euro al mese”. Ma se è vero che i prodotti dii stagione sono da anni raccomanan-
OLTRE 58MILA GLI INGRESSI NEL 2012
IL DIRETTORE: “ESSENZIALE STABILIRE UN RAPPORTO COSTANTE CON I FORNITORI” Sono tante, e intrecciate tra loro, le ragioni che fanno di questo centro agroalimentare all’ingrosso un fattore strategico a vantaggio della produzione, dei grossisti, dei dettaglianti e del consuformazione del prezmatore finale. La for zo in condizioni di trasparenza, la garanzia della salubrità degli alimenti, la valorizzazione del mavalo de in Italy e la sostenibilità ambientale della catena distributiva fanno di questo quest mercato un polo di attrazione che nel 2012 attraz ha fatto fatt registrare quasi 58mila 58mil ingressi. “Stiamo notando un aumento nota dei de clienti più grossi mentre quelli più piccoli scendono p un u po’ - spiega Mattia Rossi, direttore di Bergamo Mercati -. MoBerga vimentare vimentar piccole quantità Mattia Rossi
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in un ortomercato come il nostro è difficile. Qui c’è un’ampia scelta che, per esempio, va incontro alle esigenze dei grandi ristoratori alla ricerca costante di varietà, qualità e di prodotti di nicchia a prezzi accessibili. Negli anni passati abbiamo anche organizzato degli incontri formativi con i futuri cuochi per svelare loro tutte le potenzialità di questa struttura. È essenziale stabilire un costante rapporto con i fornitori che rappresentano una vera e propria porta sul mondo”. Anche l’andamento climatico può condizionare molto i consumi. Previsioni meteorologiche disastrose possono influenzare il comportamento dei clienti e indurli a fare scorte di un determinato prodotto, con un conseguente aumento dei prezzi, come conferma Andrea Chiodi, responsabile Qualità e prezzi di Bergamo Mercati: “Le contrattazioni sono molto legate al clima - dichiara - quando la frutta è matura e deperibile, c’è tutto
Fulvio Bosatelli e Ezio Benigni
l’interesse da parte dei venditori di finirla al più presto. Poi statisticamente in estate sembra che i volumi di merce mossi siano superiori rispetto all’inverno ma è solo perché in quella stagione vanno per la maggiore angurie e meloni che pesano molto. Venendo invece al periodo invernale, in particolare dopo le feste, transitano ogni giorno al mercato un centinaio di piccoli clienti (con un carico massimo di un furgone) e una cinquantina di medi e grossi clienti. Il 90% del mercato è frequentato da negozianti, ambulanti, itineranti e fruttivendoli tutto un euro”. Insomma, la crisi economica non sembra aver frenato i consumi, anzi. La struttura di Celadina sta aprendo nuove e ulteriori prospettive a quello che in passato era solo un mercato all’ingrosso e che ora si è affermato come un vero e proprio centro agroalimentare per tutti i gusti.
febbraio 2013 IL BORSINO DELLA FRUTTA
AGRUMI, ANANAS, FINOCCHI E ZUCCHINE TRA I PRODOTTI PREFERITI DAI BERGAMASCHI
Il sapore fresco e aspro degli agrumi la fa da padrone in questi mesi invernali. Mandarini, arance, pompelmi e limoni dominano incontrastati in tutti gli stand del mercato ortofrutticolo di Bergamo. Complice il favorevole andamento climatico, è soprattutto l’ottima qualità delle clementine ad attirare il maggior numero di acquirenti. Frutto esotico per eccellenza, l’ananas è ormai diventato un classico sulle tavole dei bergamaschi. Gettonatissimo tra i ristoratori, il suo boom si è registrato a Natale insieme a frutta secca (noci, mandorle, nocciole), banane, mango, papaja e cocco. Finite le feste, i consumi sono però fisiologicamente calati. In qualche stand del mercato si scovano anche casse di frutta fuori stagione, ma sono pochi i clienti disposti a spendere per questi prodotti. Sarà perché le ciliegie di importazione sono quotate intorno ai 30 euro al chilo, le albicocche sui 20 euro e le pesche attorno ai 15 euro. Tra gli ortaggi invece sono sempre molto richiesti i finocchi, le zucchine e le carote. In calo rispetto al passato sono invece i cavolfiori, le insalatine fresche e i carciofi, soppiantati da verdure già lavate e pronte all’uso. I prodotti in busta, da cuocere o solo da condire, stanno infatti riscuotendo un grande successo poiché rispondono all’esigenza delle famiglie di preparare un pasto sano in poco tempo. Tra i prodotti ormai desueti spiccano infine le radici amare, forse un toccasana dal punto di vista della salute ma meno appetibili sul fronte culinario. dati dai nutrizionisti in quanto migliori rispetto a quelli coltivati in serra o importati da Paesi lontani, c’è qualcuno che ama comunque ingolosire il palato dei clienti con leccornie esotiche di nicchia o frutti alquanto inconsueti per il mese di gennaio. È il caso di Marco Fumagalli che nel suo stand offre quanto di più originale si possa immaginare per imbandire la nostra tavola: “Lo so che questo è il periodo di agrumi, mele e pere - dice - ma mi piace rifornirmi anche di prodotti di nicchia fuori stagione come l’uva, le prugne, le ciliegie. Certo, costano parecchio, ma alcuni sono disposti a spendere, quindi perché non farlo? Ho anche molti frutti
esotici ma devo ammettere che quelli li vendo più che altro sotto Natale, durante il resto dell’anno invece è dura. Nel complesso, per quanto mi riguarda, ho notato un calo delle vendite del 20% negli ultimi tre anni”. Ma a variare non sono solo i costi della merce; ogni giorno i clienti possono contare anche su un’ampia gamma di ortaggi sempre nuovi e freschi, come conferma la fruttivendola Alessandra Fabretti: “Tutte le mattine esponiamo prodotti diversi per invogliare la gente, poi ognuno va di stand in stand e sceglie ciò che gli piace di più. C’è chi paga anche un po’ di più pur di avere l’ortaggio migliore e c’è chi invece è disposto anche a rinunciare alla qualità pur di risparmiare”. Quando passano le ore concitate della contrattazione, l’ortomercato piano piano si svuota. I primi timidi raggi di sole iniziano a scaldare il piazzale e, verso le 9, l’ingresso viene concesso anche ai privati. Il sabato mattina è il giorno di maggior afflusso mentre a metà settimana l’atmosfera è tranquilla. I fruttivendoli, intirizziti ma sempre col sorriso sulle labbra, approfittano di qualche minuto di quiete per ordinare i sacchi di patate e le casse di legumi. Al mercato iniziano ad arrivare timidamente alcuni privati, perlopiù pensionati, famiglie o giovani coppie. Tra loro c’è anche un anziano, più interessato a qualche cassetta scalcinata che ad acquistare ortaggi. Chissà che quei pezzi di legno non gli servano per ultimare dei lavori di bricolage lasciati incompiuti tra le mura domestiche. Per terra non mancano gli avanzi: frammenti di cicoria, foglie di carciofi, mele bacate. Eppure fanno sempre molta gola ai meno abbienti che, non avendo il denaro necessario per acquistare la frutta fresca, si accontentano di ravanare tristemente tra rifiuti e rimasugli. C’è anche qualche avventore sporadico che, a Celadina, a dire il vero, non ci ha mai messo piede prima e rimane un po’ spaesato: “Stiamo curiosando un po’ - affermano Onofrio Colavito e Raffaella Carrara, due coniugi che all’ortomercato di Bergamo giungono per la prima volta - cerchiamo frutta di stagione qui perché ci hanno detto che c’è più scelta rispetto a un normale supermercato. Ad essere sinceri, però, siamo stati anche a Milano e non c’è paragone: là è più grande, più organizzato, la merce costa decisamente meno. Qui, invece, non abbiamo riscontrato una grandissima convenienza rispetto ai fruttivendoli al dettaglio, ma forse è soggettivo. Sarà perché siamo obbligati a comprare intere casse di roba ba e per noi che siamo solo in due è un po’ troppo”. A scaldare la fredda mattinata ata ci pensano le avvolgenti fragranze dei mandaranci daranci ma anche le molteplici tonalità di tutte e quelle varietà di mele che fanno capolino tra i bancali, dal verde acido al rosso intenso. Sguardi guardi di curiosi si insinuano tra una montagna di pompelmi e qualche cassetta di radicchio. hio. “Qui è come passeggiare in un orto”, ”, esclama Giuseppe Carminati, un dettagliante ttagliante con la passione per l’agricoltura. ura. Nella sua abitazione di Colognola, a, infatti, ama coltivare con minuziosa sa passione il suo piccolo appezzamento amento di terreno con insalatine, patate atate e alberi da frutta. Non a caso,, quando cammina al mercato di Celadina, gli sembra di rivivere la genuinità enuinità dell’orto di casa sua. Marco Fumagalli
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FORMAZIONE
Ristorazione, “sette diplomati su dieci trovano lavoro” di Rosanna Scardi
Inaugurato il nuovo corso dell’Abf a Treviglio. Il direttore generale Roffia: “Molte le richieste di iscrizione e gli sbocchi sono quasi sempre garantiti”. “Ai ragazzi insegniamo anche ad affrontare gli aspetti difficili di questo mestiere, come il lavoro nei giorni festivi o alla sera”
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el borsino delle professioni che battono la crisi figurano spesso quelle dell’operatore della ristorazione e del cuoco. Infatti, nonostante il periodo di elevata disoccupazione, non è spesso facile per gli addetti del settore trovare personale preparato e qualificato. Così, per far fronte alle esigenze del mercato, è nato a Treviglio, al polo tecnico “Oreste Mozzali”, il corso triennale e quadriennale di operatore della ristorazione e preparazione pasti, un’iniziativa programmata da Abf, Azienda Bergamasca Formazione. A coprire il ruolo di direttore generale è, dal 2011, Luigi Roffia, che spiega il perché di questa scelta. Dottor Roffia, perché l’avvio del corso proprio a Treviglio? “È un risultato importante e atteso che nasce per necessità e utilità. I centri Abf di Clusone e quello nella sede centrale a Bergamo e i due statali di San Pellegrino Terme e Nembro
non bastano a soddisfare le richieste di iscrizione. Lo scorso anno abbiamo dovuto lasciar fuori uori 120 ragazzi. E oltre un terzo degli alunni provengono ngono dalla Bassa sostenendo grossi sacrifici, pagando ndo un convitto o alzandosi alle 4 del mattino per raggiungere aggiungere la sede dei corsi. Abbiamo voluto dare una risposta a una domanda in costante crescita, cita, facendo da raccoglitori per l’area della pianura anche in vista dei futuri insediamenti enti produttivi. Non solo. Il prestigio della scuola ola varcherà i confini bergamaschi, richiamanando giovani dal Cremasco e dai comuni che sono situati a est di Milano”. Abf è una società della provincia di Bergagamo, che gestisce le scuole professionali con
ISCRIZIONI FINO AL 28 FEBBRAIO
QUASI MILLE LE ORE DI LEZIONE ALL’ANNO, UN TERZO NEI LABORATORI DI CUCINA Sarà possibile iscriversi on line fino al 28 febbraio al nuovo corso triennale e quadriennale di operatore della ristorazione e preparazione pasti che sarà attivato grazie ad Abf, Azienda Bergamasca Formazione della Provincia. Il primo percorso di studi consente di ottenere l’abilità per gestire le fasi più semplici dei processi che portano alla produzione e alla vendita alimentare, basandosi su capacità tecniche e relazionali. Il quarto anno attribuisce la qualifica di cuoco, equivalente al diploma di tecnico europeo di secondo livello, e consente di avviare un’attività
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in proprio, di accedere al quinto anno e, dopo l’esame di stato, all’università. Le lezioni avranno luogo all’Istituto Mozzali che nei prossimi mesi saranno oggetto di interventi di manutenzione. Un primo finanziamento della Provincia da 300mila euro consentirà di avviare i corsi a settembre nel prefabbricato già esistente che sarà dotato di cucine, ristorante e sala bar, mentre in seguito un milione e 300mila euro saranno destinati alla rimessa a nuovo della struttura adiacente. Per il primo anno le classi saranno due da 25 alunni ciascuna. La durata dei corsi
Luigi Roffia
è di 33 settimane l’anno per un totale di 990 ore, un terzo delle quali dedicate ai laboratori di cucina. Gli stage partiranno dal secondo anno attraverso accordi con l’Aspan, l’associazione dei panificatori, il Consorzio dei pasticceri bergamaschi, ma anche con piccole, medie e grandi aziende dove si potranno apprendere regole e gerarchie del lavoro a stretto contatto con gli esperti del settore. Il nuovo centro di formazione professionale è una scuola regionale gestita dalla Provincia, pertanto non ci sono rette. Iscrizioni: www.abf.eu
febbraio 2013 IL COMMENTO
MA ORA METTIAMO A RETE LE RISORSE SUL TERRITORIO di Marco Cimmino
L’
apertura del nuovo corso per cuochi, organizzato al “Mozzali” di Treviglio dall’Abf è, certamente, un’ottima notizia: ogni volta che, sul territorio, una scuola apre, si accende una lampadina, di quelle che illuminano il futuro di tanti giovani. Quando, viceversa, una di quelle lampadine si spegne o si attenua, dietro c’è, quasi sempre, un fallimento progettuale, un’ignavia, un’incomprensione. Il settore della ristorazione e, per induzione diretta, quello del turismo, sono certamente la carta da giocare per il futuro del nostro Paese: i Cinesi potranno anche copiarci le Ferrari o le Ducati, ma voglio vederli a copiarci il Colosseo o la polenta taragna! Quindi, ben vengano i corsi triennali e quadriennali: ben venga il sostegno logistico ed economico e ben venga l’impegno progettuale di chi, in questo specifico campo, si sta spendendo valorosamente, Roffia innanzi a tutti. Ad una condizione, però: che tutte queste lampadine non siano altrettante luci individue, che illuminano un pezzettino di provincia e lasciano il resto ad altri, oppure, addirittura, in ombra. La risposta alle incognite del domani sta nell’organizzazione, nell’ottimizzazione, nelle economie di scala. È imbarazzante, ad esempio, che la stessa Provincia, da una parte, apra nuovi corsi per futuri cuochi e, dall’altra, tenga l’Istituto Alberghiero di Nembro in un inverosimile limbo strutturale, su quattro sedi, del tutto inadeguate, in alcuni casi nemmeno a norma per la sicurezza, e con disagi enormi per studenti ed insegnanti. È la rete intera che deve funzionare, se si vuole fare crescere il territorio: per questo, applaudiamo senza remore a questa bella iniziativa, ma vorremmo che facesse parte di un piano complessivo di sviluppo dell’istruzione e dell’addestramento professionale in Bergamasca. Insomma, vorremmo che tutti gli attori si sedessero intorno ad un tavolo e progettassero insieme la Bergamo di qui a trent’anni. Sarebbe la migliore lezione di sempre nella storia della scuola bergamasca.
un contributo regionale. Quali vantaggi comporta? Quali sono i vostri punti di forza rispetto all’Alberghiero statale? “Noi siamo il braccio operativo della Provincia, in particolare dell’assessorato all’Istruzione, Formazione e Lavoro. Sono 2.050 i nostri alunni su un’utenza di 6mila persone includendo le lezioni di aggiornamento e apprendistato per adulti. Sette le sedi dei corsi, da quelli per parrucchiera, a quelli di meccanica e per elettricista: sono in via Monte Gleno a Bergamo, a Curno, San Giovanni Bianco, Clusone, Trescore Balneario, Castel Rozzone e Albino. Diamo lavoro a oltre 500 persone e fatturiamo 15 milioni di euro. Rispetto ai centri statali abbiamo una maggiore autonomia che si traduce in qualità. Offriamo una formazione completa con un’attenzione particolare ai ragazzi diversamente abili”. Come si strutturano i corsi per operatore della ristorazione? “Nelle 30 ore settimanali per 33 settimane, tipiche della formazione professionale, si apprendono le materie umanistiche, italiano, matematica, inglese e informatica. Il giudizio si basa sulle direttive di un progetto europeo diverso da quello statale, troppo agganciato al voto. Puntiamo alla massiccia presenza didattica in laboratorio”. E nei laboratori di cucina cosa si insegna? “Si ha la possibilità di vedere i grandi chef all’opera. Da loro ognuno apprende una ricetta completa dall’antipasto al dolce, oltre alle basi per la panificazione e la pasticceria. Dopo aver acquisito i fondamenti della cucina classica italiana, si apprendono quelli della fusion, che combina le diverse tradizioni, della vegetariana e di quella etnica. Cucinare significa anche conoscere le tecniche di cottura, saper gestire gli acquisti per una dispensa, saper usare i macchinari e conoscere a fondo materie prime e ingredienti. Per questo ci sono anche quattro ore di lezione dedicate alla scienza dell’alimentazione, all’igiene e alla sicurezza”. Qual è la differenza tra il corso triennale e quello quadriennale? “Al terzo anno si acquisisce la qualifica professionale di aiuto cuoco, pertanto si è in grado di gestire le fasi che portano alla produzione e alla vendita di alimenti. E l’assunzione lavorativa avviene con contratto nazionale. Al quarto anno si è cuochi a tutti gli effetti. Il diploma europeo di tecnico di cucina esperto nella preparazione alimentare consente di avviare un’attività imprenditoriale. Permette di iscriversi al quinto anno e, previo superamento dell’esame di Stato, di accedere a tutte le facoltà universitarie”. Veniamo alle prospettive di impiego. In quanti trovano lavoro e dove? “Spesso si ha l’illusione che con la laurea si possa trovare più facilmente un’occupazione, ma non è così. Dobbiamo essere pragmatici, viviamo in un periodo di crisi e occorre puntare a mestieri dal mercato garantito come quelli della ristorazione. Il 72% dei diplomati trova subito un impiego. La maggior parte rimane nelle aziende dove ha effettuato lo stage già a partire dal secondo anno, siano queste pizzerie, pasticcerie, forni, ristoranti o mense. Le lezioni si concludono a maggio e capita che a luglio ci sia già chi salpa sulle navi da crociera o si ritrova a lavorare nei villaggi turistici. Nei mesi invernali è facile trovare occupazione negli alberghi di Livigno e Venezia, dove abbiamo stipulato accordi”. Verso quale settore della ristorazione c’è una tendenza maggiore? “Non c’è una moda. I ragazzi si ripartono equamente tra pasticceria, panificazione e ristorazione. Il cuoco rimane una professione maschile, mentre dietro al bancone di bar e locali si stanno imponendo figure femminili. Sempre più le ragazze scelgono di essere assistenti di sala o cameriere”. Lavori come quello del fornaio o dello chef, ben remunerati, comportano grandi sacrifici. I ragazzi di oggi sono disposti a sostenerli? “Mi piace credere che sono assunti perché accettano di essere assunti. Sanno che, a volte, bisogna entrare nei meccanismi infernali del lavoro al sabato e alla domenica sera, notturno e festivo, che privano di svaghi e vita sociale. Noi pensiamo a educarli alle dinamiche e alla cultura del lavoro, che va ben oltre lo stipendio a fine mese. Ma spesso il merito va alle famiglie, semplici, dove i padri hanno alle spalle anni di sudata gavetta e, di certo, non hanno abituato i figli ad avere i soldi facili in tasca”.
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APPUNTAMENTI DOMENICA 10 MARZO
CIASPOLATA GOLOSA AI PIANI DELL’AVARO “Ciaspolando con gusto” è una passeggiata enogastronomica in versione invernale. La propone Kairos, un’Associazione di promozione sociale costituita da giovani dell’Alta Val Brembana con l’obiettivo di animare il territorio e valorizzarne le risorse
turistiche, culturali e naturalistiche attraverso la sinergia con gli operatori e le aziende locali. È un percorso tra le baite ai Piani dell’Avaro - 1.700 metri nel comune di Cusio - che per l’occasione imbandiscono banchetti con assaggi di prodotti tipici, che possono anche essere acquistati. L’ultimo appuntamento della stagione è in programma domenica 10 marzo. La partenza è dall’Info-Point installato davanti alla vecchia chiesetta in legno, dove viene consegnato il pass per accedere alle varie stazioni e chi non ha le ciaspole può noleggiarle per la giornata. Si può partire tra le 10 e le 13, la durata dell’escursione varia in base alle soste che si deciderà di fare durante il percorso. Nel “menù” si possono trovare lardo, insaccati, testina, miele, formaggi, marmellate, piccoli frutti, dolci caserecci, tisane e naturalmente vini. C’è anche la curiosità dell’ice bar panoramico. Il tracciato, adatto a grandi e piccini, si snoda lungo pendii innevati mediopianeggianti ed offre la possibilità di scoprire paesaggi di particolare bellezza. Il costo è di 20 euro a persona (14 euro senza il noleggio delle ciaspole). Info e prenotazioni: www.kairosemotion.it
DAL 22 AL 24 MARZO
“GIORNATA EUROPEA DEL GELATO”, A BERGAMO C’È ANCHE IL CONCORSO Il prossimo 24 marzo (domenica delle Palme) sarà celebrata la prima Giornata Europea del Gelato Artigianale, istituita ufficialmente lo scorso 5 luglio dal Parlamento di Strasburgo e dedicata alla valorizzazione del prodotto. Per l’occasione saranno organizzati eventi in contemporanea in diversi Stati ed anche il Co. Gel., il Comitato dei gelatieri bergamaschi aderente all’Ascom, non ha voluto mancare all’appuntamento. Tre gli impegni: un convegno (nella mattinata di venerdì 22 marzo nella sede universitaria di Sant’Agostino in Città alta), un concorso tra i gelatieri e l’adesione all’iniziativa che accomunerà tutte le gelaterie d’Europa, ossia la realizzazione di un gusto speciale – un fiordilatte con copertura cioccolato e mandorle che si chiamerà “Fantasia d´Europa” – che nella giornata del 24 marzo sarà proposto in coppette e coni al prezzo di un euro in ogni Paese. Il concorso, in particolare, vuole creare un momento di confronto tra i gelatieri bergamaschi ed ha per tema i prodotti del territorio: non solo latte, panna e frutta, ma anche verdura, vini, formaggi, dolci e tutto ciò che suggerisce la fantasia. Sono invitati a partecipare anche gli studenti delle scuole professionali e alberghiere. L’iscrizione è gratuita. La giuria si riunirà per valutare le proposte (confezionate in termoscatole anonime fornite dall’organizzazione) nel pomeriggio del 22 marzo. Il Comitato ha inviato ai gelatieri il programma e la descrizione di ciascuna iniziativa chiedendo di segnalare quelle alle quali si intende aderire.
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SABATO 16 MARZO
I COLLEZIONISTI DI CAPSULE SI INCONTRANO IN FRANCIACORTA CIACORTA La capsula è il tondino ondino decorativo in metallo che, insieme alla gabbietta, bietta, blocca il tappo della bottiglia di metodo odo classico. Inventata ata da Adolphe Jacquesuesson nel XIX secolo, o, è ormai oggetto dii appassionato collezioniezionismo. Raccoglitorii e curiosi si incontreranno no sabato 16 marzo nelle cantine Guido Berlucchi, Borgonaine G ido Berl cchi a Borgona to in Franciacorta, per la Mostra nazionale delle capsule: dalle 10 alle 17.30, via agli scambi, con la presenza di espositori italiani, francesi e argentini. In mostra collezioni di capsule da tutto il mondo, talvolta introvabili, insieme a bottiglie d’antan e attrezzature dal mondo del vino. In occasione della mostra, visite guidate alle cantine storiche e una bottiglia in edizione limitata con la capsula celebrativa dell’evento. Info www.clubcollezionisticapsule.it
febbraio 2013 DAL 17 AL 19 MARZO
FINO A GIUGNO
GUSTO IN SCENA SFIDA GLI CHEF A “BANDIRE” LO ZUCCHERO
AIS BERGAMO, TANTI MODI PER CONOSCERE IL VINO
Tre eventi in uno. È Gusto in Scena, manifestazione dedicata a professionisti e gourmet che si svolgerà il 17, 18 e 19 marzo nella Scuola Grande di San Giovanni Evangelista a Venezia. “Chef in Concerto” è il congresso di alta cucina che sfida i grandi nomi a studiare piatti gustosi con ingredienti in grado di sostituire, attraverso la ricerca e la creatività, sostanze di cui spesso si abusa in cucina, a tutto vantaggio della salute. Dopo aver chiesto di trovare alternative ai grassi e di bandire il sale, la trilogia si completa quest’anno sviluppando il “senza zucchero”. Sul palco della sala congressi saliranno una ventina di cuochi e pasticceri e ognuno di loro esprimerà per qualche minuto il suo concetto di “senza zucchero” e presenterà due studi di piatti eseguiti in modo che chiunque sia in grado di ripeterli. “I Magnifici Vini è invece un banco di assaggio con una selezione di aziende vinicole italiane ed estere, suddivise nelle categorie mare, montagna, pianura e collina, mentre “Seduzioni di Gola” è il salone dedicato alle eccellenze gastronomiche. Partecipano al progetto anche i grandi alberghi e i ristoranti di Venezia aderenti a “Fuori di Gusto” con l’obiettivo di fare di Venezia la capitale dell’enogastronomia italiana per qualche giorno. Info: www.gustoinscena.it
È una prima parte dell’anno ricca di appuntamenti quella che propone la delegazione di Bergamo dell’Ais, l’Associazione italiana sommeliers. Il 18 febbraio all’Hotel Settecento di Presezzo parte il secondo livello del corso di qualificazione professionale per aspiranti sommelier articolato in 15 lezioni, il lunedì e il giovedì, fino al 15 aprile, e dedicato all’approfondimento della tecnica di degustazione e all’enografia italiana. Mercoledì 6 marzo nella stessa sede si degusteranno sei vini di Marisa Cuomo, azienda dalla Costa d’Amalfi (relatore Guido Invernizzi, costo per soci Ais Lombardia 20 euro; 30 euro per i soci Ais), mentre sabato 20 aprile è in programma una visita in Trentino, tra bellezze del territorio e realtà vitivinicole, con pranzo tipico e tour con degustazione nelle aziende Ferrari, Maso Bellaveder ed Endrizzi. Lunedì 6 maggio in occasione della presentazione del neonato gruppo “Le Signore della Valcalepio”, i soci Ais sono invitati a Sarnico ad una degustazione dei vini dell’Azienda La Rocchetta, mentre venerdì 24 maggio al ristorante Bernabò in Città alta sarà la volta di una cena dedicata all’Isola d’Elba, con menù tipico e vini in abbinamento dell’Azienda Antonio Arrighi, che interverrà alla serata. Sabato 8 giugno torna invece l’appuntamento annuale con “Sorso in Marcia”, la camminata con degustazione in Valle Vertova (dalle ore 15), con concorso fotografico, cena e premiazioni (costo della giornata 25 euro). Per i dettagli e le prenotazioni www.aisbergamo.it
COMO, PRODOTTI TIPICI IN TAVOLA IN 73 RISTORANTI Prende il via il 16 febbraio con RistorExpo - il salone dedicato ai professionisti della ristorazione di scena a Lariofiere - ma prosegue fino al 24 marzo la quinta edizione della “Rassegna gastronomica della Provincia di Como”, che dà la possibilità di conoscere piatti e prodotti del territorio in menù proposti al prezzo speciale di 25 euro da ben 73 locali aderenti. L’iniziativa, organizzato da Confcommercio Como in collaborazione con Lariofiere e la Provincia di Como, viene promossa sotto il marchio “TI-Co... nsumo”, progetto che vuole favorire esperienze di filiera corta attraverso la valorizzazione delle produzioni agroalimentari del territorio comasco e ti-
cinese. Sono perciò coinvolti anche i produttori e le associazioni agricole, chiamati a selezionare e promuovere le migliori materie prime. L’ampia adesione dei locali permette tte di sbizzarrirsi nella scelta. Si possono trovare infatti ristoranti, trattorie e agriturismo, smo, a bordo lago, in città o su poggi panoramiramici. Anche in tavola la varietà non manca ca visto che la tradizione contempla piatti di lago e di terra. Si va dall’utilizzo di formaggi maggi tipici come il Caprino di Caslino d’Erba, ba, la Casoretta, la Ricotta del Lario, lo Zincarlin carlin e di salumi, come la mortadella di fegato egato al vin brulè, ai pesci come il Missoltino, no, il Pigo o il Lavarello. Si possono anche trova-
DAL 16 FEBRAIO AL 24 MARZO
re ricette che utilizzano la patata bianca comasca, la farina di mais vitreo o la birra lariana. La tipicità non manca nemmeno nei dolci, tra i quali, solo per citarne alcuni, ci sono il Braschin, il Miascia, il Resta, i Nocciolini di Canzo oppure con il Masigott. L’elenco dei locali aderenti ed i loro menù si possono trovare sul sito www.ristorexpo.net
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LA TRADIZIONE di Lara Abrati
E le chiamano pure “erbacce”! Raperonzolo
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Bru Bruscù, tarassaco, loertì, cicoria dei prati, aglio orsino: sono 2.800 le specie spontanee catalogate dal “Fab” so nella Bergamasca. Moltissime sono commestibili ne e ffanno parte delle antiche usanze alimentari. Ma la capacità di riconoscere e utilizzare queste erbe sta via via scomparendo. Ecco perché serve una svolta
a Bergamasca, caratterizzata da una ricca diversità di ambienti, altitudini, terreni e microclimi, si presta particolarmente bene alla coltivazione di diverse specie orticole e frutticole. Coltivazioni mediate dall’uomo attraverso le pratiche agricole tradizionali, che possono essere convenzionali, ma anche biologiche o biodinamiche. Già, perché sempre più appare necessario l’approccio agricolo sostenibile, a difesa di quell’ambiente che in tempi addietro, e in larga parte ancora oggi, è stato maltrattato da pratiche che si sono rivelate molto dispendiose in termini economici, ambientali e salutari. Sono quelle stesse pratiche che hanno mirato all’eliminazione dal terreno della vegetazione spontanea, delle cosiddette “erbacce”, in nome di una pulizia che spesso non ha alcuna motivazione razionale.
Erba San Pietro
Erba cipollina
Ecco quindi l’uso di disinfestanti ed erbicidi, selettivi e non, che hanno contribuito alla scomparsa di molte specie “segetali”, cioè che crescono in concomitanza ai cereali. Come dimostra una ricerca del Fab (gruppo Flora alpina bergamasca), iniziata nel 1989 e proseguita per ben venti anni, la provincia di Bergamo è ancora molto ricca, a livello di biodiversità, di specie spontanee. Questo grazie alla presenza di molte tipologie ambientali. Sono state catalogate dai diversi ricercatori all’incirca 2.800 specie, ancora un grande patrimonio considerando che in Italia il numero totale è di circa 5.000 specie. Molte sono sparite e molte, seppur alcune volte molto tossiche, di recente introduzione. Anche la capacità di riconoscere e utilizzare queste erbe sta via via scomparen-
do. Nei decenni scorsi, per parte delle popolazioni rurali, l’uso delle erbe era una fonte di sostentamento, soprattutto nei mesi primaverili, estivi e autunnali. Si andava per campi ricercando le foglie giovani del tarassaco e della cicoria di prato o i “loertìs” lungo le rive dei campi, con cui preparare frittate o mi-
ALCUNE DELLE SPECIE PIÙ DIFFUSE alliaria erba cipollina aglio orsino amaranto asparago selvatico erba di San Pietro borragine raperonzolo cicoria comune finocchio selvatico lampascione lupino bianco melissa rucola comune menta piantaggine porcellana comune sambuco tarassaco ortica comune Alliaria
febbraio 2013 Tarassaco
nest Ancora, lungo le rive dei torrenti o nestre. nelle zone umide, era facile trovare (e lo è nell tutt’ora) le graziose foglie di aglio orsino. tutt Nei boschi, la raccolta dei “bruscù”, caratNe terizzati dal sapore amaro, era prerogatite va del periodo pasquale, così come l’utililizzo delle ortiche era diffuso e frequente. Essendo spontanee, quindi non essendo E coltivate, queste piante si sono caricate nel tempo di forti significati e di molta importanza nei dibattiti sul futuro del mondo agricolo e dell’alimentazione. Parliamo di molti aspetti, della sostenibilità nella produzione di cibo, della progressiva riduzione di agenti chimici (le specie spontanee, oltretutto, sono ben adattate all’ambiente in cui crescono e resistono molto bene agli attacchi patogeni in quanto hanno proprie difese naturali che non si sono in alcun modo modificate per l’intervento dell’uomo), del rispetto e della salvaguardia della biodiversità, della stagionalità (forzata, non si coltivano in serra!), dell’aspetto salutistico, e, dulcis in fundo, dell’aspetto gustativo. Ci sono modi diversi, insomma, di vedere l’attività agricola. Una di queste è rappresentata dall’agricoltura del “non-fare” sostenuta dal microbiologo giapponese Masanobu Fukuoka. Tale ricerca in 50 an-
ni ha messo in serio dubbio le basi su cui poggia l’odierna agricoltura convenzionale e scientifica. Un metodo che, secondo Fukuoka, con 1.000 metri quadrati di terreno a testa potrebbe portare all’autosufficienza alimentare, coltivando nello stesso appezzamento una gran quantità di specie, contribuendo così anche all’aumento di fertilità dei terreni stessi di anno in anno. In considerazione del loro possibile e razionale utilizzo, non mancano le iniziative per promuovere la conoscenza di queste specie spontanee, così come gli eventi organizzati allo scopo di fare assaggiare piatti con materia prima le suddette erbe. E neppure le persone che nella loro vita privata si approcciano a questo mondo con interesse non solo teorico, ma anche pratico, facendo rientrare tutta una serie di pratiche e di accorgimenti nella loro quotidianità. In Bergamasca, vista la disponibilità ampia di questa materia prima, sviluppare un’attenzione maggiore nei confronti delle erbe selvatiche potrebbe rappresentare un’interessante risorsa per ristoratori, cuochi e operatori del settore enogastronomico. Diversi locali già propongono in alcuni loro piatti, o in serate dedicate, questo tipo di prodotto, ma rappresentano casi isolati, che non si caratterizzano come scelte ben precise. Dal momento che molti, anche tra i più famosi chef, si stanno accorgendo che la tendenza odierna del consumatore è sempre più orientata alla ricerca della semplicità e della genuinità con un occhio attento anche al prezzo, perché non riconsiderare le nostre cosiddette “erbacce”, valorizzandole nel modo opportuno?
Borragine
IL LOCALE
L’ORTO CON CUCINA ALL’ “ERBA BRUSCA” Deve il suo nome all’acetosella, per l’appunto l’“erba brusca”. Si trova a Milano e nasce da un’idea di Alice Delcourt. La sua posizione, tra città e campagna, rende il ristorante un anello di ricongiunzione con la dimensione rurale. Nella parte esterna ha un piccolo orto in cui sono coltivate molte piante aromatiche che vengono utilizzate nella cucina del locale. Si possono osservare: cinque tipi di timo, maggiorana, salvia, rosmarino, dragoncello, camomilla, basilico, prezzemolo, menta, ma anche levistico, achillea, melissa, pimpinella, maggiorana, origano di montagna. Nel periodo estivo molti sono gli ortaggi coltivati e direttamente utilizzati in cucina, avendo così prodotti freschi e un limite nell’utilizzo del frigorifero. L’orto viene curato in collaborazione con l’agronomo Davide Ciccarese, che segue i principi dell’agricoltura biologica ed è autore di alcuni libri riguardanti le erbe spontanee come “Cucinare le erbe selvatiche”.
IL METODO
LA RIVOLUZIONE DEL FILO DI PAGLIA DI FUKUOKA “La rivoluzione del filo di paglia” è il testo più famoso (tradotto anche in lingua italiana) del microbiologo giapponese Masanobu Fukuoka. Per lo studioso, lo scopo dell’agricoltura non era generare raccolti, bensì la coltivazione e il perfezionamento degli esseri umani. Attraverso il suo metodo, i “contadini” potevano smettere di faticare, per trovare anche il tempo di dedicarsi ad altro al fine della crescita interiore. I principi rivoluzionari del suo metodo sono: non arare, non diserbare, non potare e non concimare. Egli, per esempio, è riuscito a dimostrare che gli effetti causati dall’aratura sono controproducenti perché compattano il terreno, mentre gli effetti della presenza di erbe infestanti sono positivi perché le radici delle piante migliorano la porosità del terreno e quando muoiono lo riforniscono di humus. In natura, in effetti, le piante vivono e crescono insieme. Uno dei lavori più estenuanti dell’agricoltura tradizionale è rappresentato dall’asportazione delle erbacce. Questo è stato, soprattutto in passato, una grande fonte di inquinamento. Per la teoria dell’agricoltura del “non-fare”, invece, tutto avviene da sé.
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LA NOVITÀ di Leo Bartoli
M1.lle, il baricentro delle idee golose Aperto da poche settimane in viale Papa Giovanni, il locale guidato da Paola e Giampaolo Stefanetti è una tappa obbligata per chi cerca emozioni a tavola. “È il nostro sogno che si avvera, con un imperativo inderogabile: massima attenzione al cliente”
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on chiamatela enoteca, non riducetela soltanto a ristorante, non etichettatela come wine-bar o addirittura bistrot. Mille di viale Papa Giovanni (nello storico spazio dove c’era Airoldi) è qualcosa di più: un laboratorio di idee golose, un luogo dove oltre a gustare buon cibo e vino superbo si può cercare di scoprire l’”anima” dei prodotti, ma anche un giacimento di preziose “pepite” dell’enogastronomia italiana (e non). L’idea è sicuramente ambiziosa, la posta in gioco è alta, ma di questo tutta la famiglia Stefanetti è consapevole: “La nostra – dicono - è una sfida a 360° attorno al mondo dell’alimentazione: vogliamo coccolare i nostri clienti dalle prime ore del mattino con le nostre colazioni fino alle cene di mezzanotte per chi esce
Giampaolo Stefanetti con la moglie Paola e le figlie Martina ed Elena Servizio fotografico di Segio Agazzi
dopo una serata al cinema o al teatro. Qui non è in palio solo il successo economico del locale, ma qualcosa di più: la consapevolezza di condividere con i clienti un percorso che, attraverso la degustazione di prodotti di eccellenza, porti a conoscere anche la loro storia e quegli artigiani del gusto che hanno permesso alla cucina italiana di salire sul tetto del mondo”. Al timone di questo progetto una coppia, Giampaolo e Paola, che coronano il loro sogno: avere un locale tutto per loro nel cuore di Bergamo. Non lo avrebbero aperto se non si fossero verificate le condizioni ideali: Stefanetti fino all’anno scorso e da trent’anni a questa parte era il responsabile del comparto pesce al ristorante Da Vittorio: come dire, la Sorbona della ristorazione non solo in Bergamasca. E lui, in quell’università della cucina a tre stelle Michelin, aveva un compito delicatissimo, visto che quasi tutti vanno dai Cerea soprattutto per gustare il pesce: “Io da loro ci stavo benissimo, non li ringrazierò mai abbastanza. Da Vittorio e da tutta la famiglia Cerea ho imparato soprattutto due cose: il rispetto e la cura maniacale verso il cliente e sul fronte della cucina il rigore nella scelta delle materie prime”. Poi ti capita l’occasione della vita (“è stata mia moglie a segnalarmi il posto: era perfetto, ci siamo buttati”, spiega Giampaolo) e tu la cogli al volo: cominci ad appassionarti, a costruire questa avventura mattone dopo mattone, aggiungendo un Cru dopo l’altro nella munitissima e
spettacolare cantina e poi ci metti il paletto più arduo, ma nello stesso tempo affascinante, che è poi la filosofia della casa, appunto ereditata dal mitico Vittorio: “Far sentire il cliente a casa, non vincolarlo a orari rigidi, far sì che il tempo, se ne ha, scivoli via tra un buon piatto e un vino di grandi suggestioni, circondato di attenzioni ma non pressato, consigliandolo, se richiesto, nelle scelte, senza mai vincolarlo”. Così “M1. lle Storie & Sapori”, come recita il logo del locale, ha preso il largo da oltre un mese riscuotendo un successo sempre crescente: “Pensavamo di chiudere un giorno alla settimana, magari la domenica o il lunedì - precisa Stefanetti -, ma poi ci sembrava di tradire quei clienti che ci stanno dimostrando fedeltà ed affetto fin dall’apertura, arrivando ogni giorno per la colazione, per un brunch veloce o ancora per una cena rilassante”. Così il patron ha rilanciato, arruolando in ditta anche la figlia primogenita Martina di 20 anni (l’altra Elena, 14 enne, rappresenta il futuro): “Studiava architettura, - spiega il papà -: all’Università era brava, ma ha sentito il richiamo dell’azienda di famiglia e si è messa a disposizione. A me un po’ è spiaciuto, ma poi ho visto la passione che ci mette nel locale; adesso si è fissata con la Carta dei Té, dice che è un must, che bisogna averla per potenziare anche l’offerta del pomeriggio: è un vulcano, la faremo”. Intanto sono già state inaugurate le serate a tema, dove un grande produttore, o chef, o artigiano di cose buone viene ai Mille e spiega il
febbraio 2013 suo Cru, ne svela i segreti, racconta quanta fatica è stata necessaria per arrivare al grande risultato. “Abbiamo cominciato con i grandi vini piemontesi, di cui sono profondo estimatore – aggiunge Stefanetti, che è anche sommellier - ospitando Roberto Voerzio, mentre a breve avremo Clerico, entrambi Signori del barolo. Ma poi avremo produttori un po’ da tutta Italia, sia di vini che di altre eccellenze gastronomiche, formaggi in primis, di cui Bergamo è capitale, forse ancora un po’ troppo inconsapevole”. Questi momenti, centrali per il locale, sono logica conseguenza del lunghissimo lavoro di ricerca, veri e propri pellegrinaggi, che appena aveva un minuto libero, vedevano Stefanetti viaggiare in mezzo Stivale alla ricerca di giacimenti gastronomici, con una passione sempre crescente, ispirata dal compianto Italo Castelletti, fondatore dell’Ais bergamasca. Anche per questo la cantina del locale è un vero “pozzo dei desideri”, con quasi 500 etichette, tra cui bottiglie con prezzi da capogiro come un Chateau d’Iquem d’annata o il gotha italiano
dal Sassicaia, al Barbaresco, dal Piccolit all’Amarone. “Ricordo momenti indimenticabili – racconta commosso Giampaolo - come il giro per le vigne in compagnia di Angelo Gaja, o la vendemmia di Amarone
M1.LLE viale Papa Giovanni XXIII, 18 - Bergamo tel. 035 4220121 - www.millestoriesapori.it
celebrata a casa di Romano Dal Forno in Valpolicella….”. E le storie potrebbero continuare e continueranno all’interno del locale, perché chi è appassionato di vini e cibo “avrà pane per i suoi denti”, potendo anche concedersi uno shopping “mirato” di delizie del palato. E al termine del tour, prima di congedarsi dalla squadra (accanto al trio Stefanetti, ci sono ben 13 collaboratori, tra cui lo chef Michel Bono, la sommelier e responsabile di sala Emy Brentegani coadiuvata da Maurizio Conti) e salutare, irrinunciabile sarà appiccicare un post-it nel tazebao di famiglia in cui puoi scorgere messaggi di ogni tipo: piatti graditi, complimenti per il servizio, saluti a qualche simpatia nata in mezzo ai tavoli. Uno tra i tanti recita: “Avete riacceso Bergamo!”. Giampaolo gongola, e guarda fuori l’altro marciapiede, fino a qualche anno fa occupato dal locale dei Cerea, sua vera palestra di vita: “Vittorio mi diceva sempre: sai, viale Papa Giovanni è il cuore di Bergamo… Questa è la strada che ha creato il suo mito: spero tanto porti fortuna anche a noi!”.
L’offerta
UNA DISPENSA E UNA CANTINA RICCHE DI AUTENTICHE CHICCHE Da un lato la portentosa cantina con quasi mezzo migliaio di etichette e tutta l’eccellenza enologica non solo nazionale ma mondiale, con oltre 70 champagne, dai più celebrati come Krug e Cristal alle piccole maison che Giampaolo Stefanetti ha scovato personalmente nei dintorni di Reims. E poi i grandi Cru di casa nostra e una meravigliosa collezione di vini da dessert che in Lombardia, credeteci, hanno pochi uguali. Dall’altro la piccola-grande dispensa delle cose buone, che vede arrivare al Mille delizie selezionate un po’ da tutto lo Stivale: un vanto che la proprietà intende accrescere in maniera esponenziale, per arrivare proprio a quel numero (Mille) che connota il locale. Ma già ora chi vuole fare shopping trova pane per i suoi denti: si va dal Culatello di Zibello di Spigaroli, al top del Patanegra, fino alle meravigliose acciughe salate del Mar Cantabrico o al tonno rosso di Carlo Forte. A proposito di pesce, nel menù dello chef bergamasco Michel Bono, non mancano mai le prelibatezze ittiche, a un’unica condizione “che sia pesce pescato – afferma perentoriamente il patron Giampaolo -: sgombri, spatola, sardine, assolutamente mai trattiamo il
pesce surgelato”. Si passa poi all’olio extravergine abruzzese di Tenuta Stella Maris, passando ai grandi formaggi, del territorio e non, con uno spettacolare Agrì di Valtorta per le merende ghiotte e un Castelmagno (mai assaggiato così a Bergamo!) per intenditori, fino ad arrivare alle delizie dolci con il torrone piemontese fatto con la mitica nocciola tonda gentile delle Langhe Dop e tutta la gamma del numero uno dei cioccolatai subalpini, quel Guido Gobino che ha rivoluzionato la cultura del gianduiotto. E a partire dalle prossime settimane il locale si appresta a proporre una formula innovativa sul fronte degli aperitivi. “Ci piacerebbe seguire il solco delle tapas spagnole o ancor di più dei pintxos baschi, con un Aperitivo Gourmet che ci auguriamo possa incontrare il gradimento soprattutto dei giovani. Offriremo insieme ai nostri vini in mescita, ben 27, di cui 9 bollicine, 9 bianchi e 9 rossi, una scelta di chicche gastronomiche d’accompagnamento che a prezzi modici diventino quasi una piccola cena. Penso ad esempio a una tartare di tonno, alle ostriche, al Patanegra, a un buon formaggio Dop o un classico rivisitato come baccalà con polenta”.
PRODOTTI di Riccardo Lagorio
Vita sempre più dura per i salumi affumicati La necessità di adeguare gli impianti, l’aumento dei costi e la difficoltà di programmare produzioni di nicchia e stagionali stanno riducendo la gamma, già ristretta per tradizione, degli affettati fumé prodotti in Bergamasca. Ma qualche specialità resiste
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no dei primi problemi che ha dovuto risolvere la comunità umana quando ha scelto di differire nel tempo il consumo di alimenti disponibili è stato la conservazione del cibo. Fu solo casualmente - come avviene per molte delle scoperte che cambiano le sorti dell’umanità - che dopo l’addomesticamento del fuoco ci si rese conto che il fumo delle caverne conferiva diverso aroma e sapore alla carne, ma soprattutto la conservava più a lungo. La tecnica dell’affumicatura sfrutta infatti le sostanze presenti nel fumo liberate dalla combustione lenta e incompleta, quindi senza fiamma, di vari tipi di legno. Queste sostanze penetrano negli strati superficiali dell’alimento modificandone le caratteristiche organolettiche, non ultimo l’aspetto visivo. Talvolta l’attività di affumicatura si combina con altri elementi che consentono di migliorare le condizioni di conservabilità, soprattutto con il sale. La provincia bergamasca è stata toccata solo marginalmente dal fenomeno, potendo contare sull’approvvigionamento nei secoli da parte di Venezia. Tuttavia qualche anno fa, nel corso di un mio studio dedicato all’argomento1, mi sono imbattuto in alcune testimonianze nei territori di Foppolo e Valleve che segnalavano la presenza in passato di carne fumegada, salume ottenuto dall’affumicatura di parti anatomiche di manzo. La sua preparazione consiste(va) nel selezionare e sezionare le parti meno nobili dell’animale ed i ritagli da altre lavorazioni che venivano tenute in infusione per almeno 25 giorni in soluzione di ginepro, aglio, alloro, rosmarino e sale. Tolti i pezzi dagli appositi contenitori e lavati, si lascia(va)no per alcune ore a contatto con fumo di essenze locali, preferibilmente ginepro e larice. Successivamente la carne fumegada era appesa a pertiche attraversata da grossi spaghi grazie ad un imponente ago. Nelle cantine ripo(sa)va un mese circa prima di essere consumata. 1
Lonzino del salumificio Rasmo
TOMASONI - CASTIONE DELLA PRESOLANA
ANCHE NON AFFUMICATA LA “BERGNA” HA I SUOI ESTIMATORI Pratica estinta solo da pochi anni è la preparazione della bergna (o castradina) affumicata. Di questo ci informa Tobia Tomasoni, dell’omonima macelleria di Castione della Presolana, nella cui frazione di Bratto si celebra annualmente una festa in onore della pecora e dove la castradina è materia prima di ingenti porzioni di risotto. La castradina si prepara con carne di pecora adulta. Le rifilature delle parti magre vengono adagiate in una concia di sale, aglio e ginepro dove possono trovare talvolta spazio anche altre spezie come i chiodi di garofano e l’alloro. Lasciate alcuni giorni e massaggiate in continuazione, le parti anatomiche sono avviate alla stagionatura in luoghi idonei per un mese. «Prima del passaggio alla stagionatura si provvedeva all’affumicatura. Poi sono intervenute le richieste di adeguamento degli impianti da parte delle aziende sanitarie e gli investimenti da fare non erano congrui con il mercato di pochi estimatori di questo prodotto. Così continuiamo a produrre castradina, ma non la facciamo affumicare», spiega Tomasoni, che conclude: «Trasmessa come usanza pastorale, diffusa un tempo anche in alta Val Brembana, la produzione della castradina si è adeguata al gusto moderno e mantiene una sua ragione d’essere in un mercato sempre più industrializzato». Il colore roseo accentuato, il profumo severo di spezie e di carne colpiscono favorevolmente i sensi e ne suggeriscono un taglio sottile. Gustosissima a fine pasto, la castradina è un cibo arcaico che ancora oggi è apprezzato sia dai locali sia dai turisti.
La conservazione della carne, La Compagnia della Stampa editore, 2004
febbraio 2013
SALUMIFICIO RASMO – GEROSA
ADDIO AL PROSCIUTTO VALTALEGGIO, RESISTE IL LONZINO Per trovare un’altra esperienza di affumicatura di salumi bisogna spostarsi a Gerosa, dove il Salumificio Rasmo ha utilizzato per anni la stanza con camino per la preparazione di lonzini, salami e parti di prosciutti. Adriana Corticelli ci porta indietro nel tempo, a metà degli anni Ottanta. «I nostri prodotti affumicati – racconta - hanno sempre rappresentato una piccola percentuale della produzione totale, piccola ma significativa e molto apprezzata soprattutto durante il periodo invernale. Per quello che mi consta i clienti associavano questi prodotti soprattutto alle feste natalizie, quando si concentravano le maggiori vendite. I salumi da affumicare erano appesi in una stanza che aveva sotto di sé un grande braciere da cui saliva il fumo. Venivano utilizzati legno di faggio e
rami verdi di ginepro che sprigionavano un denso e odoroso fumo. La pezzatura dei salami doveva essere più piccola di quelli tradizionali per consentire che l’affumicatura potesse avvenire in tempi ragionevoli. Il prodotto di punta era senz’altro il prosciutto Valtaleggio, poco affumicato e molto apprezzato dal pubblico. La forma era quella dello speck, quindi la zampa del suino veniva aperta e disossata, messa in salamoia con aromi e poi affumicata». Ma perché abbiamo scritto tutto all’imperfetto? Le regole dell’Asl si sono fatte più stringenti, i costi per la produzione di salumi affumicati erano nel frattempo lievitati ed il mercato si era indirizzato verso altre tipologie di prodotto. «Così – prosegue - decidemmo di chiudere la sala di affumicatura mantenendo tra i prodotti
affumicati solo il lonzino. I suini che utilizziamo per questo prodotto provengono dal circuito del prosciutto di Parma: sono maiali pesanti e presentano a copertura della lonza una piacevole marezzatura di lardo. Ancora oggi al consumatore piace regalarlo soprattutto a Natale ed in quel periodo viene venduto parecchio. Avendo chiuso la sala di affumicatura, ci avvaliamo dell’affumicatura artificiale grazie a prodotti che sono molto diffusi sul mercato anche per l’affumicatura di formaggi e pesce. Questo processo vince in rapidità e soprattutto è consentito e incoraggiato dalle Asl. Peraltro il consumatore apprezza il nostro lonzino per il taglio anatomico magro e la leggera affumicatura così che non abbiamo abbandonato definitivamente l’esperienza dei salumi affumicati».
IBS – AZZANO SAN PAOLO
IL PRODOTTO PIÙ ORIGINALE È LA “DELIZIETTA” A Chi invece non ha desistito dall’utilizzo di fumo naturale è l’Ibs di Azzano San Paolo. Luca Chiesa descrive con orgoglio quello che definisce il prodotto «più particolare» del loro listino, la delizietta. La delizietta è una pancetta lasciata in salamoia per 15 giorni in immersione completa con odori (alloro, chiodi di garofano, bacche di ginepro, pepe ed altro ancora), lasciata asciugare leggermente e poi cotta a barbotage (cioè ad una temperatura intorno ai 50 °C) per almeno una decina d’ore. «Abbiamo scelto questa modalità per prevenire lo scioglimento del grasso – dice - e abbiamo messo alla prova l’affumicatura tradizionale con quella artificiale e il riscontro è stato favorevole alla prima. Senza ombra di dubbio. Per l’affumicatura utilizziamo segatura di faggio con aggiunta di bacche di ginepro, che delinea il nostro prodotto con un profilo aromatico specifico, addolcendo il gusto appuntito del fumo. La delizietta subisce mezz’ora di affumicatura ed il gusto così ottenuto è molto apprezzato dalla clientela». Ma sono anche altri i salumi affumicati che escono dalle porte di Ibs. Come la pancetta, cruda però, adatta per essere tagliata a cubetti. In questo caso la pancetta dev’essere molto affumicata, assomigliare ad uno speck e per ottenerla l’affumicatura dura tre ore, conferendo alla carne un colore rosso cupo. Molteplici sono gli usi che se ne fanno in cucina, dalla carbonara ai soffritti e ai ripieni. «La pancetta intera e affumicata ha invece un mercato sempre più ristretto – fa notare - perché ha tanto scarto e si sta andando con passo sempre più deciso verso la standardizzazione di prodotto anche in
La Delizietta
salumeria dove persino lo speck deve presentarsi squadrato per facilità del taglio aglio da parte del banconista nista o del consumatore ore finale… E se fino o a qualche an-no fa si vendeva qualunque cosa purché avesse e prezzo contenu-to, oggi non basta sta neppure il prezzo zo e un prodotto standardizndardizzato è il prodotto che si venderà sempre più». La società di Luca Chiesa produceva affumicato, denominato a anche un salame affumicato Salame Mugnano, di 500 grammi. Il nome derivava da Mugnano del Cardinale, località nell’Avellinese dove si produce un ottimo salame affumicato. Ma c’era la necessità di programmarne la produzione perché si tratta di un prodotto speciale che si vendeva soprattutto durante le festività pasquali e natalizie. «La crisi ha fatto sì che nessuno oggi riesca a programmare le vendite – constata - e per la prima volta a Natale del 2012 non l’abbiamo messo in produzione». Eh sì, i tempi cambiano e nel Bergamasco a farne le spese sembra che siano proprio i salumi… affumicati.
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Il Cipresso primeggia alla rassegna dei Vini passiti
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Villa Garagnani, a Zola Predosa (Bo), lo scorso novembre si è tenuta la quinta Rassegna Internazionale di Vini Passiti indetta dall’Accademia della Muffa Nobile. Il premio ha lo scopo di suscitare l’interesse e far conoscere al grande pubblico queste tipologie di vini nobili, maestosi, prodotti solo in annate particolari, dove la natura gioca fattori importanti nella maturazione delle uve in vigna, seguite poi da una lavorazione complessa dei mosti e dei vini in cantina.
Tra i vini in evidenza, anche il Moscato di Scanzo “Serafino” 2009 dell’azienda “Il Cipresso” di Scanzorosciate, che ha ottenuto le 4 corone d’eccellenza. La rassegna in pochi anni è cresciuta d’importanza raggiungendo un buon riscontro per numero di partecipanti e di etichette presenti sui tavoli di degustazione. A quest’ultima edizione, gli organizzatori hanno registrato la presenza della migliore produzione di vini dolci e secchi, ottenuti con la tecnica anche
parziale dell’appassimento delle uve, con oltre 600 etichette in totale, di cui 150 emiliano-romagnole in rappresentanza di più di 90 aziende regionali, e una folta rappresentanza da tutte le regioni italiane. Quindici invece le nazioni estere rappresentate.
LA LETTERA
VISSANI E LE TROPPE STAR CULINARIE IN TV
Gianfranco Vissani
Gentile signor Capozzi, ottimo (per stare in tema) come sempre, il suo articolo su Vissani su “Affari di Gola” di dicembre/gennaio. Devo però rilevare che il suddetto Vissani, cuoco da leccarsi i baffi e difensore dei prodotti nostrani, va un po’ dove tira il vento e dove gli suggerisce il suo editore, che come tutti gli editori, si sta buttando su libri di cucina, di ricette etc.etc. Basta entrare in una libreria o sintonizzarsi su un canale tv per imbattersi in volumi o in trasmissioni di ambito culinario che a volte stancano. Cordiali saluti Piero Casati
Carissimo signor Casati, la ringrazio per le belle parole e per la generosa fiducia con cui ci segue. Lei ha ragione: ormai i cuochi famosi, spesso lontanissimi dai fornelli, sono diventati autentiche star al pari di calciatori, attori e cantanti. E questo, spessissimo, s’intreccia con altri interessi (assolutamente legittimi, per carità) che sfociano nell’editoria e nel piccolo schermo. Ho già rilevato come questa proliferazione di libri e di trasmissioni non mi entusiasmi perché, alla lunga, il livello s’abbassa di parecchio. Forse, un po’ da reducista, le confesso la mia stima per le trasmissioni di Mario Soldati e Luigi Veronelli (in coppia con Ave Ninchi, cari amici entrambi, li trovavo deliziosi): c’era la voglia di scoprire i sacrifici degli osti e dei vignaioli, dei contadini e dei cuochi, descritta con umanità e passione. Adesso ci sono i menù veloci a base di Philadelphia, pazienza... Grazie di nuovo. Le auguro un 2013 fantastico. Pier Carlo Capozzi
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TENDENZE
febbraio braio 2013 di Giordana Talamona
C’è più gusto on the road Anche in Italia i cibi da strada guadagnano spazio, complice la crisi. L’occasione per riscoprire i chioschi con le specialità tradizionali o lanciare idee innovative, ma sempre nel segno della tipicità
È
la nuova tendenza del 2013, almeno secondo il noto magazine inglese Hotel Industry, che ne ha analizzato il trend nell’ultimo periodo. Lo street food, o cibo da strada, ha avuto una crescita esponenziale all’estero dove, complice la crisi e il Lean Marketing, la strategia di gestione della spesa familiare, è stato preferito alla ristorazione classica da una fetta di consumatori. Da qui spiegato l’aumento di locali che propongono cibi take away per la pausa-pranzo o per una cena con gli amici, contraddistinti dal servizio veloce, accurato e di qualità. In Italia. Anche nel nostro Paese si sta
assistendo a un rinnovato interesse per i cibi da strada, legati in senso lato agli esercizi take away e ai chioschi ambulanti. Secondo i dati forniti da Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi, si contano circa 30/35mila attività con queste caratteristiche, per un fatturato annuo che sfiora i 2,5 miliardi di euro. Una nicchia di mercato del 5-6%, certamente minoritaria rispetto al totale dei consumi alimentari fuori casa, che tuttavia ha registrato un sensibile aumento in pochi anni. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel solo 2010 si è registrato un incremento reale del 13% di attività legate al
concetto del cibo da strada. Se lo street food soddisfa occasioni di consumo veloce ed economico, non deve tuttavia fare necessariamente pensare ad una moda esterofila legata ai fast food. Al contrario il cibo da strada all’italiana è quanto di più legato alla tradizione e alla storia alimentare della penisola. Il caso Toscana. In alcune regioni, che possono vantare una lunga tradizione legata allo street food, questa tendenza è cresciuta esponenzialmente. È il caso della Toscana dove, secondo i dati forniti dalla Camera di Commercio di Arezzo per un convegno-focus sul
HA CONQUISTATO Q ANCHE LO CHEF STELLATO
ULIASSI: «CIBO POCO COSTOSO, MA GOURMANT» Gira l’Italia col suo Streetfood camper, partecipando alle manifestazioni più importanti e rivisitando, in chiave moderna, la tradizione gastronomica di strada. Mauro Uliassi, chef stellato di Senigallia, crede nel “Rinascimento della cucina italiana low cost” legato ai cibi poveri. «La cucina di strada viola apertamente molte delle regole di casa – spiega -. Il consumo è al tempo stesso un fatto privato e un evento pubblico, perché avviene per strada o in locali aperti agli sguardi di tutti, quindi legato alla collettività. Si è da soli e insieme ad altri nello stesso tempo e ciò crea un’atmosfera di complicità tra avventori, per cui sovente si scambiano due parole, una battuta, perché la situazione induce ad un senso di confidenza non comune».
Democrazia in cucina, dunque, dove tutti, anche le nuove generazioni lontane anni luce dai ristoranti blasonati, possono avere un’alternativa agli snack e ai fast food. «Questo genere di riflessioni, ci ha portato a sviluppare il nostro concetto del cibo da strada – continua Uliassi -. Un cibo di qualità, spogliato di tutte le sovrastrutture del servizio, ridotto soltanto a cibo da tenere in mano, pronto per soddisfare il bisogno di “fame”. Un cibo poco costoso, un cibo tradizionale, facilmente identificabile, ma gourmant». Il “trapizzino”, a metà tra una pizza e un tramezzino, è la sua creazione da strada più nota, chiuso da un lato e ripieno, a scelta, di pollo alla cacciatora, trippa alla canapina o seppie. Il prezzo? La media è di 6 euro l’uno.
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TENDENZE Il presidente dell’Associazione Stretfood tema, è stato confermato l’interesse generale di nuove micro-imprese verso il cibo di strada. Nel triennio 2009-2011 se la ristorazione in sede fissa ha registrato un calo di nuovi avvii del 61,6%, la ristorazione ambulante ha subito un primo contraccolpo nel 2010, con un calo del solo 17,6%, per poi rimanere costante durante tutto il 2011. Made in Italy: un’Ape on the road. Ha aiutato gli allevatori liguri di mitili a trasformare la loro attività in un business itinerante. Da lì l’idea rivoluzionaria che ha permesso ad Andrea Carletti, architetto di La Spezia, di trasformare l’Ape Piaggio in un veicolo per il trasporto e la preparazione di cibi da strada. Il salto al mercato estero è stato quasi immediato, tanto che durante le ultime Olimpiadi di Londra sono stati lanciati i “Gurmetti”, dei veicoli che hanno proposto street food rigorosamente italiano. «È stata un’occasione per riproporre in modo insolito la qualità italiana – spiega Carletti -. Negli Stati Uniti e in Inghilterra non è insolito per un cuoco partire dalla strada per poi arrivare ad aprire un locale fisso. In Italia, spesso, è l’inverso: si parte da un locale per farsi conoscere per strada».
«Anche alcuni piatti lombardi sono adatti a questa modalità» È nata nel 2004, a seguito di un progetto di ricerca promosso dall’Università di Siena rivolto a “Esperti in Turismo Enogastronomico e Comunicazione Massmediatica di Culture Culinarie e Prodotti di Nicchia”. L’associazione no profit Streetfood, del giornalista e ricercatore Massimiliano Ricciarini, promuove la conoscenza e la tutela del cibo da strada all’italiana, organizzando convegni e manifestazioni itineranti. Perché scegliere il cibo da strada all’italiana? «Perché è una valida alternativa ai fast food e a tutta la produzione alimentare globalizzata. Lo street food nostrano non solo ha un profondo legame con il territorio, ma grazie alla sua vasta eterogeneità può accontentare davvero i gusti di tutti i consumatori». In quali zone lo street food è più radicato? «In tutto il sud Italia, presente particolarmente in Campania, Sicilia e Puglia. In ogni regione, tuttavia, si possono trovare dei piatti che si prestano al consumo di strada. In Toscana, per esempio, c’è dello street food di rilievo, come il
lampredotto fiorentino, e altri cibi da strada potenziali, come i panigacci della Lunigiana o le focacce di Aulla». C’è una regione italiana che, più di altre, può vantare il primato sullo street food? «Senza dubbio la Sicilia, dove il consumo del cibo da strada è ancora molto alto, anche grazie agli innumerevoli chioschi presenti su tutta l’isola. Si va dai classici arancini di riso al panino con la milza, sino a cibi di strada meno noti, come le “stigghiole”, dei budellini di pecora attorcigliati sullo spiedo». E in Lombardia? «Non ci sono dei veri e propri cibi di strada o delle ricette tradizionali equiparabili a quelle delle altre regioni. Esistono, tuttavia, dei piatti popolari lombardi che si presterebbero ad essere portati per strada, come è stato fatto in altri territori italiani. Penso alla cassoeula o ai pizzocheri, per esempio, che si adatterebbero perfettamente a questa filosofia legata alla tradizione». Una questione rilevante per lo street food, emersa anche da un vostro convegno organizzato recentemente ad
AD OGNI PIAZZA LA SUA SPECIALITÀ ARANCINI (O ARANCINE): sfere di riso condite. Le versioni possono essere diverse, prevedendo l’utilizzo di carne di manzo z o maiale con piselli lessi o zafferano. Reperibilità: tutta la Sicilia. BORLENGO: impasto liquido di farina, acqua, uova e sale, condito con la “cunza” fatta di lardo pestato, erbe aromatiche e parmigiano grattugiato. Viene ripiegato in quattro mentre si scalda sulla padella (“sole”) e servito. Reperibilità: a Zocca e in tutto l’Appennino modenese, spesso cucinato nelle osterie. GOFRI: cialde fatte con acqua, farina e lievito, cotte in apposite piastre dette “ferri per goufres” oppure “gofriera” che conferiscono la tradizionale forma ad alveare. Croccanti fuori e morbidi dentro, i gofri si possono abbinare al dolce come al salato. Reperibilità: Piemonte, fra la Val Chisone e Val Susa. PANIGACCI DELLA LUNIGINA: tortini sottili di farina di grano duro e acqua, cotti in coppi di terracotta sulla brace viva e serviti
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con pesto di basilico. Reperibilità: Appennino tosco emiliano. STIGGHIOLE: budelline di agnello, pecora o pollo attorcigliate sullo spiedo condite con sale, aglio, prezzemolo e una strizzata di limone. Reperibilità: tutta la Sicilia, in particolare nella provincia di Palermo. PANI CA’ MEUSA: panino soffice con sesamo e farcia di milza, formaggio e limone strizzato. La milza, di vitella o di maiale, è cotta in abbondante strutto a fuoco lento su un tipico tegame largo e fondo. Reperibilità: tutta la Sicilia. LAMPREDOTTO: è il quarto incavo dello stomaco del vitellone o della vacca adulta, lessato e condito con sale, pepe o con salsa verde o piccante. Si serve come farcitura di un panino. Reperibilità: Firenze. OLIVE ALL’ASCOLANA: realizzate con olive grosse ascolane tagliate a spirale e farcite di carne tritata di vitella e maiale. Dal
febbraio 2013
Massimiliano Ricciarini
Arezzo, è la sicurezza alimentare. Quali sono i controlli e le garanzie per i consumatori? «Sono le Asl locali che, in base alla normativa regionale derivata dal pacchetto igiene 852/2004, effettuano i controlli sanzionando chi contravviene alle direttive. Durante il nostro convegno, grazie ai dati forniti dall’Asl 8 di Arezzo, è emersa la tendenza che una parte delle nuove attività prestano poca attenzione alle misure preventive per la salute del consumatore. La nostra associazione sta cercando di vigilare attentamente, selezionando solo le attività in grado di garantire sia l’applicazione del pacchetto igiene, che il rispetto delle tradizioni cultural-gastronomiche del cibo da strada». Ma se la salute del cittadino va preservata e garantita, il legislatore rischia spesso di mettere a repentaglio certe tradizioni gastronomiche, non trova? «Il rischio esiste, non c’è che dire. Anni fa, per esempio, la pizza cotta nel forno
a legna fu messa in dubbio dall’Unione Europea, così come il lampredotto fiorentino. In quest’ultimo caso, in particolare, fu la caparbietà dei fiorentini a fare la differenza». In che modo? «Fu trovato un escamotage che permise di mettere in sicurezza il lampredotto, scongiurandone la scomparsa come cibo da strada. La parte di trippa di vitellone con cui si fa il lampredotto oggi viene pretrattata e sterilizzata in laboratorio prima di essere venduta nei chioschi fiorentini». Questo trattamento ne altera il gusto? «Un prodotto cotto al momento conserva, chiaramente, delle caratteristiche che si perdono con la sterilizzazione, come nel caso dei formaggi prodotti da latte pastorizzato. Nel complesso, tuttavia, il gusto tipico del lampredotto è rimasto». Sembra, dunque, che lo street food all’italiana non abbia vita facile. «Per far fronte alla normativa, occorre dotarsi spesso di attrezzature particolari, che di fatto limitano l’imprenditoria di strada legata alla nostra tradizione. Sono molti i cibi che non possono essere più venduti nei chioschi e che, per questa ragione, si trovano solo nei locali». Per esempio? «Lo gnocco fritto e la tigella, così come molti altri piatti dell’Appennino modenese. Occorre, dunque, armarsi di tempo e denaro per poter riportare in auge anche le tradizioni meno conosciute. Non stiamo lavorando anche per questo».
2005 le Olive ascolane del Piceno hanno ottenuto il riconoscimento Dop. Reperibilità: tutte le Marche. GNUMMARID: spiedini realizzati con le frattaglie di agnello condite con foglie di prezzemolo, salsicce e bombette di carne di maiale e peperoncino. Reperibilità: Basilicata e Puglia. GNOCCO FRITTO: cuscino di pasta vuoto all’interno che può essere riempito di formaggio e affettati. Reperibilità: area modenese-reggiana e parte del bolognese, dove può cambiare nome in “crescentina fritta”. ARROSTICINI: spiedini di carne di pecora o di castrato. Reperibilità: Abruzzo pescarese e aquilano. U’ SFINCIUNI: pizza realizzata con acqua, farina, sale e lievito, condita con pomodoro, acciughe e capperi senza mozzarella. Reperibilità: Palermo. FRITOLIN NEL CONO: “scartosso” di pesce e verdure fritte servite nel tipico cono di carta gialla. Reperibilità: Venezia. BALDINO O CASTAGNACCIO: dolce di farina di castagne, con pinoli e rosmarino. Reperibilità: Toscana
QUALCHE SUGGERIMENTO TORINO - M**Bun Agri-hamburgeria con carne piemontese a piccoli prezzi. Un hamburger di fassona 100%, insalata e pomodoro costa 6 euro. www.mbun.it. BERGAMO - PolenOne È la prima polenteria take-away “alla spina” condita con ragù di cinghiale, alla boscaiola, alla contadina, taragna o con la nutella. www.polent-one.com VENEZIA - Vecio Fritolin Servito nel cono di carta, il “fritolin”, il pesce fitto veneziano, lo si può gustare facendo un bel giro tra le calle. www.veciofritolin.it FIRENZE - All’Antico Vinaio Qui si può gustare la schiacciata farcita con fontina, prosciutto toscano, finocchiona e stracchino. ROMA - Pizzarium Il regno dei supplì a due passi dai Musei Vaticani, con rivisitazioni sul tema. L’ultimo nato? Un supplì con tagliatelle condite con ragù di carne bianca e cuore di taleggio, fritti al momento.
FARINATA DI CECI: torta salata molto bassa preparata con farina di ceci, acqua, sale, olio e cotta in tegame nel forno a legna. Reperibilità: Toscana e Liguria. TIGELLA O CRESCENTINA MODENESE: prende il nome dal disco su cui in origine veniva cotto l’impasto di acqua e farina. Accompagna i formaggi e gli affettati. Reperibilità: Emilia Romagna. CRESCIA SFOGLIATA DI URBINO: disco di pasta a base di uova, latte, lardo che si sfoglia al taglio e si serve accompagnata da salumi, formaggi o verdure saltate o grigliate. te. Reperibilità: Marche. TORTA AL TESTO: tipica focaccia schiacciata a di farina, acqua, sale, olio di oliva o strutto, bicarbonato e, a piacere, formaggio grana o granello (formaggio tipico umbro). La cottura a è fatta su una lastra chiamata Testo di pietra, coccio o metallo. Ancora calda, la torta al testo, viene aperta t e ffarcita con affettati, salsiccia, verdure, stracchino, rucola oppure usata in alternativa al pane. Reperibilità: in tutto il territorio umbro, Perugia in particolare.
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IL RISTORANTE
Il locale di Ponte San Pietro si destreggia con abilità e disinvoltura tra mare e terra, ingredienti di elevata qualità à e prodotti stagionali. Originale la carta dei vini di Lelia Parisi
Cucina Cereda, la sintesi del gusto
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e c’è una dote che non difetta alla Cucina Cereda, e al suo chef nonché patron Giuseppe, è la sintesi. Incamerare nel minimo spazio il massimo contenuto possibile (che, culinariamente parlando, significa pochi ingredienti di qualità e ben assemblati per piatto, ossia alto contenuto di informazione e bassa entropia, intendendo per entropia tutto quel superfluo che non c’azzecca). Essenziale, senza essere minimalista (tutto quel che serve
Giuseppe Cereda, al centro, con il suo staff
c’è), la “Cucina Cereda” lo è sin dal nome, una declinazione in chiave intimista della lezione del maestro Luca Brasi della “Lucanda” prima e della “Braseria” poi, per cui la cucina è filtro della personalità dello chef e della sua visione del mondo: «La scelta del termine “cucina” anziché “ristorante” – confessa Cereda – vuole richiamare il calore di un luogo informale e familiare». E dunque abbattere ogni barriera concettuale che tenga a distanza il cliente. Un nome che è anche la rampa di lancio per un viaggio, anzi una narrazione, attraverso il cibo in tutte le sue coniugazioni, acquatiche e terranee, secondo il Cereda-pensiero. Il quale, accanto alla sintesi, pratica anche la virtù della semplicità. Se fosse un narratore, e un po’ lo è, i suoi sarebbero racconti epici e corali, capaci di dare pari voce e dignità a tutti gli ingredienti-personaggi, anche a quelli più poveri, trattati alla stessa stregua di quelli nobili. Si osservi il menù. Una fila stringata di ingredienti elencati per ordine di apparizione nel piatto, senza alcuna gerarchia: cotechino grigliato, salsa di castagne, prugne fondenti, puntarelle; tortelli all’acciuga in guazzetto, gamberi e spinaci; maialino iberico, sedano rapa e cren (rafano); lepre, pasta fresca e carote bianche; pescato del giorno e puntarelle, e così via. E i piatti che di lì a poco seguono ripropongono, anche visivamente, lo stesso criterio. Quello di una cucina concreta che non ostenta, non intimidisce, ma segue l’orografia emotiva e mentale dell’ospite, pur affermando la propria identità. La formula degli assaggi a sorpresa (il “Percorso” di Cucina
febbraio 2013 Cereda che svaria tra mare e terra con sette portate e vini in abbinamento a 55 euro all included) è un percorso tra superfici minime, un esempio di quel massimo contenuto stipato nel minor spazio possibile che è una delle chiavi di lettura di questa cucina (e non si tema di tener a stecchetto lo stomaco, tutt’altro). Lavorazioni minimali, giochi di consistenze, ampio uso di texture morbide quale “legante” per far conversare gli ingredienti. E poi uso sapiente del cromatismo: colori scuri e accesi per i sapori più decisi e carichi, colori chiari e freddi per quelli più delicati o con note acidule. In questo viaggio a sorpresa, l’incipit è affidato alla cialda di polenta con salsiccia bergamasca, rispettivamente un rivisitato e un classico della tradizione. Si passa poi alle capesante scottate con crema di mandorle dolce-amara (unico, tra i vari assaggi, dove l’accostamento andrebbe forse rimeditato), specie di biancomangiare, un lontano richiamo materno giocato tra la morbidezza carnosa delle due capesante e la polvere di latte, archetipo di tutte le sensazioni tattili. Via via remigando verso le scale ascendenti dei sapori, si arriva al prepotente cotechino nostrano, sapientemente tacitato dalla salsa dolciastra di castagne. Si atterra poi su quel “mare in terra” che sono le conchiglie di Gragnano con cozze e sugo di fagioli, dove il borlotto è un fruscio di sapore che attraversa il piatto, ne scalda le tonalità di colore e gusto, per finire golosamente intrappolato nella valva della conchiglia. La panada che segue, rivisitazione del classico pancotto, nobilitata da qualche ingrediente extra, non altera l’identità di questo cibo povero per antonomasia. «Il legame con il territorio – spiega Cereda – ci deve sempre essere, può limitarsi a un richiamo, a un indizio, esser mascherato sotto altra forma, sino a non essere più riconoscibile». Ma solo all’occhio, evidentemente, perché il corpo ha una sua saggezza e riconosce ciò che gli è familiare. Tra le varie portate che sfilano, tutte di buon livello, spicca per esecuzione ed equilibrio di sapori il dentice con puntarelle e maionese di pesce. Arrivati al dolce, il mondo visto dopo un assaggio di tiramisù destrutturato con mascarpone in spuma cremosa e gelato di fresca montatura, diventa tutto un altro guardare. In un contesto felicemente in surplace tra antico e moderno si va dai 30 euro (due portate) ai 45 euro (tre portate) per un pranzo à la carte, vini esclusi e senza coperto.
IL GIUDIZIO AMBIENTE Il suggestivo stabile che ospita il ristorante era una casa padronale del XV secolo, facente parte di una corte chiusa e fortificata nel centro storico di Ponte San Pietro. L’ambiente, di taglio moderno, essenziale e molto curato, svela in alcuni piacevoli dettagli architettonici (volte, arcate, piccole nicchie) i suoi antichi natali. Le due sale accolgono una trentina di coperti. In estate si pranza nel bel dehors estivo. CUCINA Chiarezza, semplicità, sintesi anche visiva sono la segnatura di questa cucina che si destreggia con abilità e disinvoltura tra mare e terra, ingredienti di elevata qualità e, soprattutto, prodotti stagionali. Lodevole la possibilità, valida per quasi tutti i piatti (fritto di pesce incluso), di mezze porzioni, che consente di apprezzare in tutte le sue sfumature la cucina del Cereda. CANTINA Sono circa 200 le etichette selezionate una per una dal Cereda, sommelier oltre che cuoco. Ciò che più colpisce della carta dei vini è però la sua architettura. Non la classica carta dei vini classificati in base alla regione di provenienza o in bianchi, rossi e bollicine, ma in base a caratteri chiave individuati dal Cereda. Per esempio, l’“Eterno dilemma” raggruppa i vini del Piemonte e della Toscana all’insegna della sfida che da sempre li mette in campo gli uni contro gli altri; i Cheap & Good mettono sotto lo stesso tetto vini di buona qualità a prezzi ragionevoli. I bianchi della Liguria e quelli del sud sono raggruppati per caratteri simili o contrapposti: all’ospite il dilemma. Una carta originale e divertente, che punta a stimolare e incuriosire il cliente. Buoni i ricarichi dei fermi, medio-alti quelli delle bollicine. ESPERIENZA Cereda, 42 anni, bergamasco, sette anni sulle spalle come chef di Luca Brasi, ha maturato un suo stile personale, emancipandosi dalla tutela dell’ex-datore di lavoro, da cui ammette di aver molto appreso. Fuori discussione le abilità tecniche, basta vedere la perfetta cottura del pesce, la cui composizione varia di giorno in giorno in base al pescato (il menù ne indica solo il contorno, ovviamente, verdure di stagione). Ottime le lavorazioni sia nelle carni, dove spiccano il maialino iberico e la coscia d’anatra, sia nel pesce. In cucina, Giuseppe Cereda si avvale del contributo di due provetti (parlano per loro i risultati) giovani sous chef, il giapponese Akira Kikuchi e l’italiano Stefano Bonetti. SERVIZIO Il servizio ai tavoli è svolto in modo impeccabile da Diego Bologna, sommelier di fatto, capace di seguire e consigliare con competenza l’ospite nel percorso enologico che accompagna la scelta dei piatti. È supportato in sala da Gloria Bonetti, unica (graziosa) presenza femminile del locale.
CUCINA CEREDA via Piazzini, 33 - passaggio Toscanini Ponte San Pietro - tel. 035 4371900 chiuso il lunedì e il sabato a pranzo
RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO Buono il rapporto qualità prezzo mediamente in tutti i piatti e nei menù degustazione, composti dal percorso a sorpresa e da un menù di 4 portate a 38 euro, vini esclusi. Ottima la formula 30 x 30 (menù degustazione a 30 anziché 38 euro per gli under-30), volta ad avvicinare il pubblico giovane alla buona tavola. Buona anche la proposta del menù lavoro, piatto unico a 11 euro, con vino e caffè (14 euro con dolce), oppure antipasto e secondo a 20 euro (acqua e vino inclusi). p.s.
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LA RASSEGNA
La “caccia” è in tavola in 53 ristoranti Dal 2 25 febbraio la manifestazione che promuove la gastronomia venatoria, giunta all’11esima edizione. Gambirasio (ristoratori Ascom): «Una proposta giunt sempre apprezzata, capace di esaltare la convivialità e di soddisfare il palato» semp
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piat a base di cacciagione torpiatti nano protagonisti nei ristorannan ti pe per l’undicesima edizione di “Caccia in cucina”, la rassegna “Cac regionale che valorizza la tradiregio zione venatoria, promossa da zion Anuu Migratoristi con la collaAnu borazione delle associazioni bor provinciali dei ristoratori e i paprovin trocini delle Province e della Retroci gione. In Bergamasca l’iniziatigion va è coordinata dall’Ascom ed anche quest’anno ha raccolto anc una ffolta schiera di adesioni. Sono infatti 53 le insegne (9 in città e 44 in provincia) che da lunedì 25 febbraio a domenica 3 marzo (ma
molti hanno scelto di prolungare il periodo) proporranno piatti o interi menù di selvaggina. Dalle valli ai laghi, dalla città alla Bassa, la scelta è ampia per posizione e tipologia dei locali. «È ormai un appuntamento consolidato – rileva Roberto Gambirasio, vicepresidente del Gruppo ristoratori dell’Ascom - sia per gli operatori, come dimostra la sempre nutrita partecipazione, sia per il pubblico. In Bergamasca la tradizione venatoria è radicata e i piatti di cacciagione continuano ad essere apprezzati, anche dai giovani. Non si perde perciò l’occasione di gustarli». «Cervi, caprioli, camo-
Roberto Gambirasio
IN CITTÀ Agnello d’Oro, Del Moro, Il Gourmet, Il Circolino (sino al 10 marzo), Balicco (sino al 10 marzo), I Sapori di Terra e Mare (sino al 10 marzo), Ol Giopì e la Margì, Santambroeus e Al Vecchio Tagliere (sino al 10 marzo).
IN PROVINCIA Isola Zio Bruno (Albino - sino al 10 marzo), Locanda della Corte (Alzano Lombardo – sino al 10 marzo), Trattoria Visconti (Ambivere – sino al 31 marzo), Villa Cavour (Bottanuco – sino al 31 marzo), La Trota (Brembilla), Corona (Branzi – sino al 31 marzo), Osteria Da Mualdo (Capriate San Gervasio), La Teglia (Castione della Presolana – tutto l’anno), Vecchi Ricordi da Gimbo (Cene – sino al 10 marzo), Hotel Ambra (Clusone – sino al 10 marzo), Al Sorriso (Curno – sino al 10 marzo), Al Portico Braceria (Endine Gaiano – sino al 10 marzo), Garden Hotel (Fino del Monte – sino al 10 marzo),
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sci, cinghiali e poi lepri e uccelli, i prodotti e le possibilità offerti dal tema sono tantissimi – aggiunge –. La manifestazione è una buona opportunità per presentare ogni anno, accanto alle ricette classiche, qualcosa di diverso, per studiare nuovi piatti ed invogliare i clienti a tornare ed assaggiare». «Oggi la preparazione e il trattamento delle carni – evidenzia fa sì che i piatti non abbiano più nulla a che vedere con i sapori impegnativi di un tempo, ma la selvaggina resta comunque una proposta gratificante, capace di esaltare la convivialità e di soddisfare il palato».
ECCO CHI PARTECIPA Trattoria Del Sole (Fiorano al Serio), Il Platano da Gira (Foresto Sparso), K2 (Gaverina – sino al 10 marzo), Hotel Gromo (Gromo – sino al 10 marzo), Le Ciel (Madone), Trattoria Bolognini (Mapello – sino al 10 marzo), Alessandro (Mozzo –sino al 17 marzo), Coq d’Or (Nembro), Drago (Oltre il Colle – sino al 1° aprile), Ol-Fa (Osio Sotto – sino al 10 marzo), La Vecchia Cantoniera (Passo della Presolana), Spiga D’Oro (Piario – sino al 10 marzo), Albergo Piazzatorre (Piazzatorre), Rustica (Piazzatorre – sino al 10 marzo), Da Tandy (Ponteranica – sino al 10 marzo), Parco dei Colli (Ponteranica – sino al 10 marzo), Del Moro (Ponteranica – sino al 10 marzo), Bellavista (Riva di Solto – sino al 10 marzo), Café Liberty (San Pellegrino Terme – sino al 10 marzo), La Forcella (Sarnico), San Marco (Schilpario – sino al 10 marzo), Snoopy (Serina), Da Pacio (Spinone al Lago), Don Luis (Torre Boldone - sino al 10 marzo), Della Torre (Trescore Balneario – sino al 10 marzo), Tavola Rotonda (Villa d’Adda – tutto l’anno), Ca’ dell’Orto (Villa d’Almé – fraz. Bruntino – sino al 10 marzo), Cadei (Villongo), Trattoria Zucchello (Villongo – sino al 10 marzo), Quadrifoglio (Urgnano – fraz. Basella - sino al 10 marzo), Da Gianni (Zogno – sino al 10 marzo).
febbraio 2013
A tavola con lo sportivo di Filippo Grossi
Emiliano Brembilla: “Sono come la pasta al pomodoro” EmilianoBrembilla
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a da poco appeso il costume al chiodo, sei mesi fa, dopo una grande carriera fatta di allori europei, mondiali e il bronzo olimpico. È avvenuto prima delle Olimpiadi di Londra 2012 e in contemporanea alla nascita della sua primogenita, lo scorso 29 luglio. Emiliano Brembilla, bergamasco di Chignolo d’Isola ed ex campione di nuoto di fama internazionale, ci ha raccontato la sua passione per la cucina (è un ottimo chef) e per le cenette che organizza per le sua compagna. Oggi è vice direttore della piscina di Verona, città in cui si è trasferito per amore. Il tuo piatto preferito “La pasta al pomodoro, ma adoro anche il pasticcio”. Ti piace cucinare? “Sì, moltissimo. Vorrei avere più tempo per divertirmi un po’ con nuove ricette, ma non sempre è possibile”. Il piatto che ti riesce meglio? “Le scaloppine al vino bianco”. La specialità bergamasca che preferisci? “Non è proprio bergamasca, ma si mangia molto anche nelle nostre terre: i pizzoccheri”. Qual è il cibo che non ti piace? “Pur essendo un nuotatore, non amo il pesce”. La cucina regionale italiana che più apprezza? “Amo molto la cucina toscana, in particolare la selvaggina, il cinghiale, l’oca e la lepre”. Il tuo menù ideale? “Come antipasto prosciutto crudo e involtini di bresaola, ricotta e rucola. Poi, di primo delle tagliatelle con i piselli o una pasta al pesto con i pomodorini, di secondo una tagliata ai ferri con patate al forno e, infine, per dolce una bella crostata di frutta o una torta paradiso con gocce di cioccolato: vado ghiotto per i dolci”. Vino o birra? “In realtà, sarei astemio”.
Però… “Però, come dice il mio amico ed ex campione di nuoto Massimiliano Rosolino, non bere in compagnia porta sfortuna e quindi, quando si festeggia, “mi bagno le labbra” con un po’ di prosecco”. La cucina straniera che più ti piace? “Quella americana, soprattutto perché si mangia molta carne”. La tua pizza preferita? “La margherita. Però, anche la pizza regina con bufala e pomodorini non è niente male…” Che alimentazione seguivi prima di un grande evento come una finale olimpica? “Prima di un grande evento sportivo si mangia poco: una pasta in bianco con il grana e un cucchiaio d’olio e un petto di pollo con insalata”. E dopo una vittoria o una medaglia olimpica? “Qualunque cosa. Potrei anche entrare in un Mc Donald’s e non uscire per molte ore (ride!)”. Un piatto che ti mette allegria? “Il cioccolato fondente alle nocciole”. Qual è stata la cena più emozionante? “Non ce n’è una in particolare. Amo le cene con gli amici o quelle con la mia famiglia e la mia compagna”. Come t’immagini una cenetta romantica? “Io che cucino alla mia compagna, preparando una bella tavola con un paio di candele e un mazzo di fiori o un regalino”. Un cibo che rappresenta il tuo carattere? “La pasta al pomodoro, per la sua semplicità e per la sazietà che dà”. E uno che raffigura il tuo stato d’animo attuale? “La pizza, la pasta e la carne: tutto ciò che è semplice, genuino e che ti da sazietà. Sono davvero felice e come non potrei esserlo con una bella bimba appena nata?”
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IL PREZZO FISSO di Fulvio Facci
Magetta, cucina di famiglia da mezzo secolo A Cividate al Piano la trattoria aperta da papà Carlo prosegue con i figli. «Era un agricoltore, ma aveva una vera passione per i fornelli e così è cominciata la nostra storia nella ristorazione»
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rattoria Magetta dal 1953. Così recita l’insegna del locale in via Ospedale al numero 14 a Cividate al Piano. Alla loro data di “nascita” i Magetta ci tengono in modo particolare: la trattoria, infatti, racconta anche la storia della loro famiglia. Per la precisione, nel ’53 papà Carlo con la moglie Teresa Conti aveva avviato ad un centinaio di metri di distanza dalla sede attuale una classica osteria di paese, un posto di ritrovo ma senza cucina, mentre nel ’59 è avvenuto il trasferimento con l’ampliamento dell’attività alla ristorazione. «Il mio caro babbo – racconta Elena Magetta – era un agricoltore, ma aveva una vera passione per la cucina ed è così che è cominciata la nostra attività. Venendo dalla terra, conosceva bene i prodotti locali e sapeva come utilizzarli. Non l’avrà inventato lui ma quello che adesso viene chiamato banqueting era una delle suda sinistra Rosaria, Gianni, Elena e Mario Magetta
LA PROVA
NOTA DI MERITO PER LE CARNI PRODOTTE IN PROPRIO 32
Scritto diligentemente col pennarello ed in caratteri maiuscoli e poi fotocopiato, il menù del giorno è su tutti i tavoli. È già una dichiarazione di programma: artigianalmente fin che si vuole ma il nostro lavoro lo facciamo bene. E allora leggiamolo. Tagliolini al ragù o pomodoro; penne speck, rucola e panna; risotto alla trevisana; minestrone di verdu-
re: queste le proposte per i primi piatti. Compongono invece la lista dei secondi, bolliti (manzo, salamino e soppressa), brasato con verdura, filetto di maiale al pepe verde e alla griglia si possono inoltre richiedere braciole, tacchino e salamino. Patate lesse, fagiolini, insalata e pomodori i contorni. Lista assolutamente non banale e che
febbraio 2013 BAR TRATTORIA MAGETTA via Ospedale, 14 - Cividate al Piano - tel. 0363 97012 chiuso il martedì - la sera aperto su prenotazione
e attività preferite: caricava il necessario sulla sua motocicletta e andava nelle cascine della zona per cucinare in occasione di feste, soprattutto di matrimoni». Quando si parla di tradizione famigliare la “storia” della trattoria Magetta può tranquillamente essere presa ad esempio. Non c’è stato infatti un taglio netto nel passaggio generazionale. Man mano che i figli crescevano finivano tra i tavoli o in cucina. Da circa trent’anni si può dire comunque che sia la nuova generazione a mandare avanti il locale. «Io sono in cucina – dice ancora Elena – con mio fratello Mario e con mia cognata Rosaria che mi danno una mano. L’altro fratello Gianni, marito di Rosaria, si occupa prevalentemente del bar. Ma il nostro lavoro non è diviso in modo schematico, siamo una famiglia, ci diamo una mano dove serve. Nei momenti di punta del pranzo di mezzogiorno io esco spesso in sala». Gli spazi sono ben organizzati. Il bar, con arredamento moderno, è ben diviso dalla zona pranzo. La sala, a sua volta, è divisa da una porta a vetri da un altro ampio spazio. Quando serve si arriva quindi a circa 150 coperti. E spesso serve perché la trattoria Magetta è sede tradizionale dei pranzi di tutte le associazioni di Cividate e quindi Avis, Aido, Alpini, Combattenti, le cene dei coscritti. «Si siamo un punto di riferimento sotto questo aspetto e siamo grati alle associazioni che continuano con questa tradizione – rimarca Elena -. Per quanto riguarda la cucina, siamo aperti solo a pranzo e anche nei giorni feriali lavoriamo bene nonostante non sia una zona di passaggio, siamo soddisfatti. Alla sera apriamo solo su prenotazione e alla domenica stiamo proponendo per 25 euro un pranzo inserito nell’iniziativa “Il percorso del gusto nella Valle dell’Oglio”». I prezzi sono decisamente abbordabili, cinque euro i primi, otto i secondi come media, per una cucina casalinga e tradizionale che di più non si può. I casoncelli alla bergamasca non mancano, come il risotto ai porcini, e poi le crespelle al prosciutto e i ragù di selvaggina classici. Brasato di asino, stracotto di cervo, bollito ed il coniglio nostrano sono altre presenze fisse nella carta della trattoria Magetta. E per concludere ci sono i dolci fatti in casa. «Dove possiamo acquistiamo ancora carni nostrane soprattutto conigli, abbiamo anche una nostra piccola stalla. Guardiamo molto alla qualità delle materie prime. D’altro canto la nostra è una clientela abituale, non possiamo sbagliare. Il futuro? La nostra attività è veramente a conduzione famigliare e speriamo possa continuare in questa direzione. Nelle nostre famiglie ci sono cinque figli, due di loro sembra abbiano una buona inclinazione per questa attività. Ci contiamo».
rispecchia quanto la trattoria offre nel menù alla carta. Acqua, vino e caffè sono compresi per il costo di 11 euro. Pur molto tentati sia dal minestrone sia dal risotto alla trevisana, siamo andati sulle penne con panna e speck, buone. Eccellente il secondo con carni di animali allevati in proprio: la produzione è limitata e la qualità si sente. Quindi manzo veramente speciale, cotechino e soppressa con salsa verde e patate lesse. Ottimo pranzo per un buonissimo rapporto qualità/prezzo.
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LIBRI RATATOUILLE
di Rosanna Scardi
La cucina d’alta quota firmata da una bergamasca
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n viaggio gastronomico per l’Italia d’alta quota. A compierlo è Francesca Negri, giornalista trentina, trapiantata in terra orobica, nel libro “La cucina di montagna” edito da Ponte alle Grazie per la collana “Il lettore goloso” curata da Allan Bay (sarà presentato il 21 marzo alle 18 nella libreria Ibs in via XX Settembre a Bergamo). Un tempo luoghi impervi e isolati, oggi le valli rappresentano un paradiso per i gourmet e molte ricette tipiche sono golosità irrinunciabili. L’autrice ne racco-
di Giordana Talamona
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Il cioccolato, un secolo
dorato presso la corte spagnola di Carlo V che lo trasformò nella sua bevanda d’elezione, il cioccolato è un alimento che più di altri ha conservato intatta la propria fascinazione nei secoli. Il cibo degli dei, così chiamato dal nome della pianta da cui si estraggono i semi, è oggi un alimento goloso e sensuale legato indissolubilmente all’evoluzione della società e al cambiamento dei costumi. Cartina di tornasole del paese, il cioccolato è un testimone ricco e aromatico di quanto il cibo non sia solo una mera questione di sostentamento, ma rappresenti la società e, più intimamente, le scelte di ognuno di noi. Ne parliamo con Roberta Deiana, autrice del libro “Cioccolato, passione italiana. 100 anni di storie e ricette”, edito da Giunti. Il cioccolato ha segnato per molti versi il nostro immaginario, ma storicamente è sempre stato così? “Direi di sì, l’umanità si è arresa alle seduzioni del cioccolato ormai da millenni. Anche se la qualità del cioccolato cambiò molto nell’arco dei secoli, per l’alto costo della sua lavorazione e dello zucchero”. Quale evoluzione hanno avuto le ricette con protagonista il cioccolato? “Agli inizi del ‘900 erano poche e piuttosto basilari dal punto di vista gastronomico. Il cioccolato si usava prevalentemente come bevanda corroborante, indicata per i bambini e i malati, oppure per fare salse, creme, come “quella ghiacciata” che altro non era se non l’odierno gelato. La complessità delle ricette, in seguito, è andata via via cre-
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glie 315, riportate per ogni regione in ordine alfabetico, dai casoncelli bergamaschi o casunzièi in Trentino, alla polenta e oséi, dalla busecca alle foiade. Alcune preparazioni sono rarità, mai scritte e tramandate oralmente, qui riportate in versione standard con la consapevolezza che la cucina cambia di casa in casa. Gran parte del libro è dedicata all’arco Alpino. Il fil rouge è caratterizzato da ingredienti come rape, patate, olio di noci, erbe usate come preparazione o rimedio curati-
scendo, così come l’affidabilità della materia prima, anche grazie alla prima produzione industriale di cioccolato, nata intorno agli anni Dieci”. Il costo del cioccolato rimaneva alto? “Certamente, tanto che le ristrettezze economiche di buona parte della popolazione, ne hanno moltiplicato le frodi. Ho letto innumerevoli ricettari dei primi del Novecento nei quali il cioccolato veniva sostituito con un altro ingrediente. In un libro degli anni Dieci, per esempio, si suggeriva di sostituirlo con dello zucchero vanigliato, probabilmente meno caro, ma certamente anche molto diverso da un punto di vista organolettico. In un altro testo dell’epoca, Gli alimenti e le loro falsificazioni, se ne segnalano le adulterazioni con fecola di patate, farina di mandorle, mattone pesto, sego e oli diversi”. Un piacere per pochi, dunque. “Direi che il sapore del cioccolato rimaneva sconosciuto ai più. È sintomatico, a tal proposito, che solo nella quattordicesima versione dell’Artusi, del 1914, venga riportato un breve capitolo sul cioccolato e, per di più, su richiesta dei suoi lettori”. Come mai? “Artusi si giustifica sdegnosamente con un suo lettore dicendo testualmente che se del cioccolato “avessi dovuto raccontarne la storia e le adulterazioni dei fabbricanti nel manipolarla, trop-
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A marzo la presentazione del volume “La cucina di montagna”, scritto da Francesca Negri vo, fiori, come quelli del trifoglio alpino, apprezzati in pastella. L’ortica, per esempio, era la base per le minestre e veniva consumata anche in insalata. Immancabili le curiosità. I vecchi raccontano che i serpenti finissero nelle pentole, utilizzati per preparare un brodo succulento per i risotti, mentre la festa della transumanza era l’occasione per gustare la marmotta in salmì con erbe, aromi e polenta. L’autrice effettua uno studio sulle minoranze linguistiche e le loro tradizioni culinarie, non certo minoritarie. Dagli occitani, inventori della ratatouia o
ratatouille, agli altoatesini con la ministra d’orzo o gerstsuppe, ai walser, minoranza piemontese e valdostana, le cui leggende narrano di folletti intenti a preparare il pane di segale. L’ultima parte del libro tratta le ricette segrete delle altre regioni, come le laziali fettuccine alla Trebulana, la cui tradizione è stata tramandata finora solo a voce dalle donne di Monteleone Sabino, o gli Amor della Lunigiana, la cui composizione è nota solo al Bar degli Svizzeri a Pontremoli.
di passione italiana fatti, era popolare, desiderabile, ma ancora costoso, quindi regapo mi sarei dilungato e perché tutti, più o men bene, una cioccolalarne una scatola, di quelle ricche e sontuose che oggi fanno la feta a bere la sanno fare”. Questo ci dà il polso, dunque, di quanto licità dei collezionisti vintage, era non solo gradito, ma anche una non solo fosse diffusa la pratica dell’adulterazione, ma di quanto questione di stile e di etichetta”. il suo consumo fosse relegato a quello di una mera bevanda corIl cioccolato ha influenzato le nostre ricette regionali? roborante”. “In parte sì, anche se, curiosamente, si C’è una ricetta del passato che l’ha coltratta prevalentemente di ricette salapita più di altre? Intervista a Roberta Deiana, te. Il cioccolato ha vissuto di suggestio“Sono molte, soprattutto quelle del peni, subendo in primis l’influenza franceriodo legato al secondo conflitto monautrice del libro che ripercorre se, nonostante la cucina autarchica del diale, dove si doveva fare di necessità le evoluzioni Ventennio abbia cercato di addomestivirtù. Forse il “finto fegato” è quella che, del “cibo degli dei” carne i termini, trasformando il soufflé, più di altre, ci dà il senso della miseria per esempio, in cioccolato “soffiato”. Le durante la guerra. Si tratta, in buona influenze regionali sono arrivate dopo, sostanza, di una sorta di omelette denma sono tuttora presenti, come nel caso della lepre in dolceforte, sa a cui si aggiungeva un po’ di polvere di cacao, di cui possiamo della Toscana, che richiede un pezzetto di cioccolato nella prepaimmaginare la qualità, fatta cuocere a bagnomaria, poi tagliata a razione o le tagliatelle al cacao di origine piemontese”. pezzi e condita con una salsa di cipolle. Il tutto chiaramente doE il cioccolato di oggi? veva, con buona fantasia, richiamare alla mente il fegato alla ve“Adesso che è possibile trovare del buon cioccolato nella grande neta”. distribuzione e in pasticceria, il consumatore è diventato molto E il cioccolato degli americani? più attento ed esigente. I palati sono più educati rispetto al passa“Gli italiani lo conoscono durante la Campagna d’Italia iniziata nel to e c’è chi diventa degustatore di cioccolato, ricercando pregiati 1943 con lo sbarco in Sicilia. La barretta, infatti, era entrata della Cru di cacao, proprio come accade nel mondo del vino”. cosiddetta Razione K, in dotazione delle truppe americane ed era Per concludere, si può dire che il cioccolato sia la cartina di torutilizzata come merce di scambio con la popolazione civile. Il rinasole dei costumi? cordo del cioccolato americano, delle sigarette, dei chewing-gum, “Senza alcun dubbio, perché l’evoluzione della società è andata della carne in scatola, della polvere di piselli e del pane bianco in di pari passo col cioccolato, un alimento che ha segnato in qualcassetta sono legati indissolubilmente alla V Armata americana che modo la vita di ognuno. Ma c’è dell’altro, perché le scelte che sbarcata nei pressi di Salerno”. facciamo nell’acquisto del cioccolato e, più in generale, degli aliCioccolato e bon ton hanno mai incrociato le loro strade? menti, ci rappresenta intimamente, descrivendo non solo le no“Certamente, all’indomani del boom economico. È di quel periostre possibilità economiche, ma anche la nostra sensibilità e la do la consuetudine di scegliere una scatola di cioccolatini come nostra etica”. regalo di cortesia per una visita a parenti o amici. Il cioccolato, in-
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RATATOUILLE
Gli agricoltori? Sempre più amici del web Anche a Bergamo si rafforza la pattuglia di chi punta su Internet per la vendita dei propri prodotti. I casi di Alberto Sangalli (Camerata Cornello) e di Massimo Mussetti (Sorisole)
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n’attività tradizionale come quella agricola sempre più spesso va a braccetto con le nuove tecnologie. È il caso di Internet, considerato da molti imprenditori agricoli un interessante canale di vendita e di dialogo con i consumatori oltre che uno strumento per informarsi e confrontarsi con altre realtà nonchè per gestire l’azienda. A utilizzarlo sono soprattutto i giovani, che ne conoscono le potenzialità e sono più preparati dal
punto vista iinformatico. La rete è ormai indispensabile agricole che vogliono farsi conoscere. per le imprese imp Gli agriturismi ad esempio sono quasi tutti doa tati tat di un proprio sito e molte prenotazioni arrivano grazie a Internet. Le possibilità sono r veramente molte. Tramite questo canale ad esempio si possono vedere quali verdure sono disponibili in campo prima di compilare online l’ordine della spesa che poi verrà consegnata domicilio oppure adottare un maiale e seguirne la crescita per essere sicuri della qualità
FUORI PORTA
“Grangia”, i sapori rustici della cucina della nonna di Michela Brivio
Nella campagna milanese un locale che punta deciso sui piatti della tradizione
È
un suggestivo viaggio nel passato, per chi è alla ricerca di una cucina della memoria fatta di tradizioni che rischiano di scomparire. All’interno della cascina storica di famiglia, a Settala (Milano), Alessandra Negri ha rimesso a nuovo l’antico deposito di foraggi, da cui il nome Grangia, trasformandolo prima in enoteca e poi in osteria. “L’ho realizzato così come lo vedevo nei sogni e tutto da sola, semplicemente trasportandoci la mia vita da piccola”. Il cuore contadino batte nell’ampio salone arredato in stile rustico: vecchie credenze, tavoli e travi di legno, attrezzi agricoli, foto di famiglia e una grande stufa in ceramica. Ma ancor più pulsa nei piatti.
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“Ho sempre cucinato come figlia, moglie e mamma e questo è solo il frutto della mia passione e dei ricordi”. La Cassoeula ne è un esempio: preparata rigorosamente secondo la ricetta di famiglia, come quando a Sant’Antonio, il 17 gennaio, veniva ucciso il maiale, sgrassando tutte le parti di recupero con la bollitura e aggiungendo solo all’ultimo le verze. Tutti i piatti sono quelli della nonna e non c’è un menù scritto o fisso perché, proprio come a casa, si cucina in funzione di quello che c’è in dispensa, giorno per giorno e senza il bisogno di scorciatoie come precotture o abbattitori. “Sono cose che non mi servono perché io non lavoro così”. Una vera e propria antologia di
piatti meneghini e lombardi che seguono l’alternarsi delle stagioni, proposti con le materie prime dell’orto e di aziende locali. Ma c’è anche un fuori porta, il Friuli Venezia Giulia, grazie ad un legame affettivo che ha permesso di scoprire un territorio e prodotti “buoni, puliti e giusti” che sposano perfettamente il tipo di cucina e la filosofia del posto. Lo speciale statuto permette infatti ai contadini di allevare alla vecchia maniera, allo stato brado e di vendere direttamente quanto producono ad un prezzo decisamente concorrenziale soprattutto per l’elevata qualità che offrono. Arrivano da qui i maiali, alcuni insaccati tra cui la pancetta, che però “concia” Alessandra, qualche formaggio
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dei salumi. Tante piccole idee che generano reddito e fanno crescere il settore. Anche nella Bergamasca questa tendenza si sta sviluppando e vini, verdure, marmellate prodotte sul territorio si possono acquistare con un semplice click. Le aziende che hanno intrapreso questa strada non sono ancora molte, ma l’interesse è crescente. Alberto Sangalli titolare dell’azienda agricola Settimocielo di Camerata Cornello sta sperimentando questa modalità di vendita. “Poiché prima mi occupavo di vendere software on line ho trasferito nell’attività agricola le conoscenze che avevo spiega Sangalli -; da due anni commercializzo le confetture che produco con questo sistema, non è facilissimo perché in rete ci sono moltissime proposte ma ho comuqnue risposte interessanti. L’importante è pianificare bene la propria attività e investire anche in pubblicità per farsi conoscere. Recentemente ho posizionato il mio shop su Facebook perché così posso più facilmente entrare in contatto con potenziali clienti. Chi vuole, grazie al mio sito aziendale, può anche adottare un albero da frutto e seguire le varie fasi di sviluppo nel corso delle stagioni. Si paga una quota annuale e si riceve in cambio l’equivalente in prodotti. Chi vuole può venire a raccogliere i frutti direttamente nel frutteto”. Anche Massimo Mussetti dell’Antica Bottega dell’Alveare di Sorisole ha aperto un vero e proprio negozio virtuale per la commercializzazione dei suoi prodotti. “Per ora è solo un tentativo
di malga e vini di un piccolo produttore, che affiancano l’altra azienda, di San Colombano, attualmente presente in carta. In sala è il giovane figlio Carlo ad occuparsi degli ospiti e a raccontare il menù del giorno. La sua passione per la parte enologica - e per le birre - è il valore aggiunto che servirà a selezionare ed introdurre nuove etichette del territorio lombardo, coerenti con la proposta gastronomica. L’antipasto della casa apre le porte ad una serie di piatti poveri e semplici, ma ricchi nella sostanza e generosi nella quantità: due o tre verdure, come la vellutata di carciofi, l’insalata di legumi e carpaccio di barbabietola con noci e grana, il purè di patate alla vecchia maniera con musetto (versione friulana del cotechino), la polenta con gorgonzola e tagliere di salumi. Seguono succulenti paste fresche all’uovo con ragù d’anatra o selvaggina (quando il cacciatore la porta), lasagne o ravioli: d’oca conditi al burro e salvia con scorze d’arancia o di cappone. Non mancano i risotti, dal classico giallo alla milanese a quelli arricchiti con ingredienti di stagione, ma solo quando riesce a farli, perché Alessan-
- afferma - ma intendo fare investimenti per migliorare questa esperienza che in ogni caso mi è molto utile perché è comunque una finestra aperta sulla mia azienda”. Oggi molte offerte della campagna si possono vedere stando comodamente seduti sul divano e sono in aumento anche le imprese agricole che ricorrono a Facebook e a Twitter per connettersi con il mondo. “Tutto ciò dimostra che il settore agricolo sta vivendo una fase di profonda trasformazione verso attività complentari come la trasformazione, la vendita diretta e l’agriturismo – sostiene il presidente della Coldiretti bergamasca Alberto Brivio -; il merito di questa accellerazione è dei giovani che stanno trasferendo nella loro attività imprenditoriali conoscenze e strumenti sempre più moderni. Il binomio creatività e innovazione tecnologica rappresenta una scommessa per l’agricoltura del futuro”. L’orientamento è stato fotografato anche dal Censimento Istat. A livello nazionale i numeri non sono elevati, ma il trend è chiaro. Nell’ultimo decennio sono raddoppiate le aziende che utilizzano gli strumenti informatici; è aumentato di due volte e mezzo il numero delle aziende che utilizzano l’informatica per la gestione di servizi amministrativi e per la gestione delle coltivazioni e degli allevamenti; è quintuplicato il numero di aziende agricole che hanno un sito Internet, è addirittura aumentato di circa sette volte il numero di aziende che utilizzano la rete per l’acquisto e la vendita dei prodotti.
RISTOR ANTE G RANGIA piazza V it torio Ve Settala neto, 2 (Mi) - te l. 02 95 375135 dra è sola in cucina e questa preparazione richiede una cura e un’attenzione che è impossibile gestire con tante persone. Meritano il podio, tra i secondi, i mitici involtini di nonna Angelina, il piatto di famiglia della domenica: fettine di lonza di maiale che abbracciano un ripieno povero e di recupero a base di pane, uovo e parmigiano, cotti al momento nel burro e legati con la panna. Da non perdere, quando c’è, il capriolo con la salsa ai mirtilli e per i più golosi l’arrosto di coppa di maiale cucinato a fuoco lento per quattro ore con prugne, castagne e mele
che creano un intingolo da scarpetta. Raccontano il passato anche la trippa, con tanta verdura e fagioli di Spagna, il brasato, l’ossobuco, le cotolette e per i palati più preparati un piatto che qui si trova ancora: la rustisciada, fettine di carne di maiale cotte a lungo nella cipolla e pomodoro. Ma anche stinco, cappone ripieno e polpette alla milanese nel ricettario invernale, che lasciano poi spazio ad un assaggio di formaggi, tra cui un Salva Cremasco molto interessante, accompagnati da composte e mostarda. Per finire i dolci della casa come i fichi caramellati serviti con la crema al mascarpone, le fragranti crostate o le torte, come quella di pere e cioccolato. Prima del caffè una fumante caraffa di vin brulè e per chiudere questo viaggio di sapori e ricordi il cestino dei liquori. Quanto ai vini, la carta abbraccia un po’ tutta l’Italia con predilezione per le etichette dell’Oltrepò Pavese, della Franciacorta e della Valtellina. I prezzi sono fissi a seconda delle portate ma è difficile spendere più di 35 euro, comprese le bevande, in un posto che per accoglienza e cucina è come la casa di campagna della zia che tutti vorrebbero avere.
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L’ANGOLO
DEL SINGLE di Marco Bergamaschi
Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina
Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche manngiare da soli può essere piacevole.
Insalata di gamberi e ananas INGREDIENTI PER 1 PERSONA 150 g di gamberi rossi 150 g di insalata mista 2-3 pomodorini polpa di ananas erba cipollina a piacere una manciata di capperi olio extravergine e aceto balsamico sale a piacere
PREPARAZIONE Mettete dell’acqua in un pentolino e portatela ad ebollizione. Non appena comincia a bollire, spegnete il fuoco e buttate in acqua i gamberi precotti per circa 1 minuto, quindi scolali e lasciateli raffreddare. Tagliate l’ananas a metà per il lungo e con l’aiuto di un coltello e di un cucchiaio prelevate la polpa e riducetela a cubetti. Tagliate i pomodori in piccole parti e in una ciotola mettete l’insalata mista. Tritate l’erba cipollina e aggiungetela nell’insalata insieme ai pomodori, ai capperi e ai cubetti di ananas. Condite l’insalata con olio, aceto balsamico e sale, aggiungete i gamberi e mescolate bene. Se volete, accompagnate il piatto con dei fragranti grissini al peperoncino.
CURIOSITÀ Ecco un’idea fresca, gustosa e soprattutto ipocalorica, ideale dopo i bagordi dell’ultimo periodo trascorso tra sfiziosi manicaretti, dolci e panettoni di ogni tipo. L’insalata di gamberi e ananas è una ricetta facile e veloce, che stupirà il vostro palato e perché no, anche quello degli eventuali ospiti, che visiteranno la vostra tavola. I gamberi sono gustosi crostacei il cui sapore inconfondibile conferisce sempre un piacevole gusto di mare a ciò che si prepara; per questo piatto io preferisco utilizzare il delicato gambero rosso, che per ragioni di tempo acquisto precotto, ma è ovvio che se non avete problemi di tempo e di budget, sono preferibili i gamberi freschi, comprati dal pescivendolo, di provenienza italiana. I gamberi si trovano sul bancone del pesce tutto l’anno, ma come suggerito, in alternativa si può optare con quelli precotti surgelati, meglio se di provenienza Argentina, surgelati in barca, che conservano tutta la loro freschezza e sono in genere molto buoni. Se decidete di comprarli freschi, ricordatevi di prestare particolare attenzione alla corazza che non deve presentare macchie scure e non si deve separare con troppa facilità dalla carne, perché vorrebbe dire che il prodotto non è fresco e ovviamente evitate di acquistare quelli che odorano di ammoniaca. Ricchi di proteine, i gamberi apportano fosforo e vitamine del complesso A, B e D e rappresentano un passepartout per molte ricette; infine, quando li preparate, ricordatevi che una volta in cottura nell’acqua bollente, tendono a ridursi di dimensione, quindi abbondate con il numero e non siate parchi con le dosi. Ciò dipende dalla “glassatura”, lo strato di ghiaccio attorno al
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prodotto, che dovrebbe essere sempre indicata in percentuale sulla confezione; ci sono diverse marche e non potendo qui fare pubblicità, vi consiglio di acquistare la confezione più cara: in questo caso la qualità si sposa con il prezzo più alto. Per quanto riguarda l’insalata, non faccio mai a meno della croccante iceberg, della saporita rucola e del rosso radicchio di Chioggia, sminuzzato finemente con un coltello, ma non c’è una regola e ci si può sbizzarrire, aggiungendo cetrioli, peperoni, carote, fagiolini appena scottati, finocchi, mais, insomma tutto ciò che si ha in casa o che piace di più. Parentesi a parte per le buste di insalata già pronte: molto pratiche, sono la manna per quelli che in cucina entrano solo per bere l’acqua; è indubbio che siano comode, ma ricordatevi di evitare le confezioni vicine alla scadenza e soprattutto lavate sempre il suo contenuto (il tempo richiesto per tale operazione lavaggio è davvero esiguo). Anche se sul sacchetto viene riportata la scritta “già lavata e asciugata” o “pronta per essere consumata” i tanti studi effettuati hanno dimostrato che in barba ai processi di pulitura, asciugatura e confezionamento, queste insalate contengono sempre una carica microbica che è doveroso ridurre. Sciacquandole si ha inoltre l’opportunità di individuare ed eliminare quelle foglie che iniziano a scurirsi. Se poi volete stupire i vostri ospiti con un’idea originale, potete servire questo piatto all’interno di un ananas scavato: oltre ad essere molto saporita, l’insalata di gamberi e ananas è anche molto bella da vedere per l’originalità del recipiente con cui viene portata in tavola e il successo è assicurato. Non mi resta che augurarvi buon appetito.
Consegne rapide e personalizzate. Prodotti freschi, surgelati e biologici, dall’antipasto al dessert SEDE DI CURNO (BERGAMO) Via Bergamo 46 - 24035 Curno (BG) Tel. 035/462861 Fax 035/461151 - 035/618627 infobergamo@alimentarimoretti.it
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