febbraio 2014
Ortaggi, l’esotico mette radici anche a Bergamo
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Supplemento al n. 6 de “La Rassegna” del 13 febbraio 2014 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. - via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
IN CUCINA
IL PRODOTTO
L'INIZIATIVA
PENNA ALL'ARRABBIATA
La nuova stagione della polpetta
Scarola dei Colli, sono rimasti in cinque a produrla
Il Polpo d'occhio delle due cuoche "volanti"
Bimbi chiassosi al ristorante? Occhio ai genitori
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SOMMARIO
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FEBBRAIO 2014
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PENNA ALL’ARRABBIATA
Bambini al ristorante, facciamo un bell'esame ai genitori
TENDENZE
Ortaggi, l’esotico cresce anche a Bergamo
10 IL PRODOTTO
Quella cinquina fedele alla Scarola dei Colli
14 LA SCOMMESSA
Il "Polpo d'occhio" delle cuoche volanti
18 IL CASO
Sommelier, il sapore amaro della polemica
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20 IL CORSO
Polpette alla riscossa
24 LA TRADIZIONE
Nosécc, una delizia passata indenne tra i secoli
26 FACECOOK
«Agli americani ho fatto amare anche cassoeula e polenta»
32 IL PREZZO FISSO Una grigliata “Da Leone”
36 LA CLASSIFICA
Pasta, gli italiani la preferiscono così
Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini, 24 - 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24 - 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna. it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 dicembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
febbraio 2014
Invece di crocifiggere il ristoratore facciamo un bell'esame ai genitori di Pier Carlo Capozzi
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a notizia, ormai non più recentissima, ha comunque sollevato un polverone d’inferno. Succede che a Ba gnolo Mella, nel bresciano, il ristorante Sirani decida di non accettare più i bambini sotto i dieci anni a cena dopo le 21. E quella che a noi sembra perfino una scelta di buon senso viene invece bollata da mail diffamatorie e post intinti nel curaro. In cosa risieda il buon senso? Nel fatto che genitori avveduti si dovrebbero guardare dall’arrivare in pizzeria dopo quell’orario, chessò con un pargolo di cinque/sei anni. Che, più che legittimamente, dopo mezzora frignerebbe di sonno. Da Sirani ragionano così da sette anni, quindi non si capisce il motivo di tale putiferio solo adesso, e oltretutto sostengono che la loro clientela sia assolutamente soddisfatta per questa presa di posizione. Ciò non è bastato per impedire che cadessero sulla loro insegna vagoni di contumelie e ragionamenti border line. Per esempio: “Adesso, magari, cominceranno a lasciar fuori anche i biondi…” e poi “Ma perché questi segni di intolleranza provengono sempre da quelle latitudini ?” e ancora “Però potrei portare il cane. Non ne ho uno, magari me lo faccio prestare e se permettono addirittura l'ingresso ai disabili in carrozzina, di quelli che faticano a mangiare composti per intenderci, una pizza margherita in due ce la potrei ordinare”. E, naturalmente, vige tra chi protesta il pensiero comune che, essendo un locale pubblico, non possa permettersi di decidere regole in casa sua, ma debba sottostare alla mercè degli avventori e dei loro qualsivoglia desiderata. Che si tratti di un falso problema l’abbiamo già capito, che si stia affrontando la questione dal lato decisamente sbagliato, cercheremo di argomentarlo. Permettetecelo, parliamo con un briciolo di cognizione di causa essendo di qua e di là del bancone, avendo cioè vissuto esperienze come esercente e come cliente. E, soprattutto, avendo un figlio che, ahinoi troppo tempo addietro, aveva festeggiato le dieci primavere. Ebbene mio figlio, al ristorante, da solo o in compagnia di altri pargoli, non ha mai rotto gli zebedei ad alcuno. E se questo è merito esclusivamente suo, è doveroso aggiungere che, nel caso avesse travalicato i suoi diritti di bambino, sua madre o suo padre glielo avrebbero fatto presente.
Per dire che il problema non sono i pargoli, ma eventualmente alcuni genitori. Fateci caso: in cortile come al supermercato, al ristorante come dal parrucchiere, ci sono piccole pesti che si sentono autorizzate a fare quello che meglio credono, senza che il babbo (quasi sempre assente) o mammà ritengano di dover intervenire. Anni or sono eravamo a pranzo sul terrazzo della Colombina, in Borgo Canale. Di fronte a noi una tavolata numerosa con prole al seguito. Ad un tratto focalizziamo che un bimbo e una bimba, nella totale incuria dei genitori, avevano sradicato un rampicante che, oltre a fare bella mostra di sé, doveva aver impiegato un sacco di tempo per abbarbicarsi alla colonna. Richiamai l’attenzione dei camerieri, ma ormai lo scempio era consumato. Inutile aggiungere che dai genitori non arrivò né un adeguato rimbrotto ai due piccoli barbari né, tantomeno, delle efficaci scuse al locale. È una semplice questione di viver civile, di educazione. La stessa che dovrebbe impedire, nei ristoranti, lo squillo continuo dei telefonini, il parlare a voce alta, il fumare troppo anche nelle salette con l’apposito ricambio d’aria. Si è perso il senso della misura e si vuole crocefiggere un ristoratore che cerca di salvaguardare la tranquillità dei propri clienti. Perché ci sarà pure stata una serie di episodi che ha portato i responsabili di quella pizzeria a comportarsi così, non credete? Giovanna Favro, su La Stampa.it, dichiara invece il suo dissenso: “Addio, Bagnolo Mella. Separiamoci. Tenetevi i vostri locali no kids. Sceglierò d’ora in poi con cura maniacale i locali pubblici per evitare che anche un solo mio centesimo finisca in tasca al gestore sbagliato”. Ahilei, però, il Corriere della Sera.it ha lanciato sul tema un sondaggio e, in più di tremila risposte, il ristoratore bresciano è stato premiato col 72,2 delle condivisioni al suo operato. Devo assolutamente tornare alla Colombina. Per la loro cucina deliziosa e per vedere se il rampicante è tornato gagliardo come un tempo.
PENNA ALL’ARRABBIATA
Bambini al ristorante
piercapozzi@libero.it
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TENDENZE
Ortaggi, l’esotico cresce anche a Bergamo Dopo i ristoranti e i market, sono arrivati gli “agricoltori etnici”, con prodotti freschi e locali anche per chi ha consuetidini alimentari distanti da quelle europee. All’ortomercato della Celadina presenti tre aziende. De Fabritiis: «In Lombardia un mercato potenziale di 750mila consumatori» di Anna Facci
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n fondo anche il mais proprio nostrano non è. E nemmeno patate e pomodori. L’agricoltura e la tavola vivono di contaminazioni e la presenza ormai stabile nella popolazione di cittadini extraeuropei non poteva che portare qualche novità anche nei campi. Così, dopo i ristoranti e i market, sono arrivati gli “agricoltori etnici”, imprenditori che hanno scelto di puntare sull’esotico a chilometro zero per offrire prodotti freschi e locali anche a chi ha consuetidini alimentari distanti dalla tradizione lombarda e italiana. Il fenomeno è circoscritto, ma non trascurabile, considerando i numeri dei potenziali consumatori e l’evoluzione della società. Ed anche Bergamo può già annoverare qualche esperienza: ebbene sì, nelle nostre campagne crescono coriandolo, okra, peperoncini, korola e altri “strani” ortaggi tutti da scoprire. Ad offrire una prima ricognizione è il progetto Nutrire la Città che Cambia – promosso da Ases, Associazione Solidarietà e Sviluppo, cofinanziato dalla Cia di Milano, Lodi e Monza Brianza, patrocinato da Comune di Milano ed Expo 2015 e sostenuto da Fondazione Cariplo –, un percorso triennale di sperimentazione colturale di varietà esotiche che ha avuto come punto di partenza un’indagine sullo stato dell’arte. Emerge innanzitutto un aumento progressivo di aziende
agricole individuali condotte da titolari extracomunitari: in Lombardia sono passate dalle 265 nel 2009 alle 327 del 2012. In Bergamasca da 33 a 40 nello stesso quadriennio, valore assoluto secondo solo a Brescia che, con 73 aziende (dalle 54 del 2009), risulta la provincia con la maggiore presenza. La provenienza prevalente è dall’Europa centro orientale (149 imprenditori), seguita da Asia (83), America centrale e meridionale (46), Africa (42) e Canada, Usa, Au-
Fabrizio De Fabritiis ha curato l’indagine su produttori e prodotti agricoli non comunitari in Lombardia
febbraio 2014 stralia (7). I titolari sono maschi nel 57% dei casi e la fascia di età più ampia è quella dai 30 ai 49 anni. Le imprese sono nate per lo più nel periodo 2000-2009 (49%), il 33% è stato avviato dal 2010, mentre il 18% dal 1990 al 1999. L’origine degli imprenditori non dice però del tipo di colture realizzate. Un’idea in più l’hanno fornita le rilevazioni dirette nei mercati generali. In quello di Bergamo, ad esempio, si possono trovare tre aziende, due condotte da pakistani e una da un agricoltore cinese, che producono ortaggi ed erbe aromatiche etnici e vendono direttamente al pubblico il sabato mattina. La presenza in certi casi non è fissa, ma legata alla disponiblità delle produzioni, che sono per lo più primaverili ed estive. Al mercato di Milano le aziende censite sono 7, in quello di Brescia 11. Le realtà più grosse provengono anche da fuori regione. Le produzioni principali sono korola (71%, una sorta di cetriolo dal sapore amaro) zucche asiatiche (65%), coriandolo (59%), okra (53%, frutto commestibile di una pianta tropicale dal gusto delicato), ma la lista è molto più ampia e, a parte peperoncini e cavoli cinesi, ha bisogno di un manuale di botanica per essere decifrata, tanto varietà e nomi sono insoliti. Anche l’aspetto in certi casi è spiazzante, le melanzane tropicali, ad esempio, esternamente sono in tutto simili a dei pomodori! «Le varietà coltivate sono soprattutto legate all’origine dei titolari – rileva Fabrizio De Fabritiis, amministratore di Beni Pubblici, società di consulenza che ha curato l’indagine -, riferite perciò all’area asiatica. Cinesi, pakistani e bengalesi sono infatti la maggioranza dei produttori di ortaggi non comunitari, spesso favoriti nel mettersi in proprio da un’esperienza e una tradizione agricola portate con sé dal Paese di origine. Non abbiamo invece trovato nei mercati operatori sudamericani o africani, che, probabilemente, una volta giunti in Italia si specializzano in altri settori. Mancano perciò all’appello prodotti già apprezzati sulle nostre tavole come la quinoa, che pure potrebbe trovare condizioni adatte per crescere, o un’erba interessantissima come lo huacatay, profumatissima e ideale per insaporire». Tutte le aziende agricole intervistate distribuiscono nei mercati generali, il 41% fornisce anche commercianti, il 12% ristoranti e il 24% effettua la vendita diretta. La maggior parte opera su terreni da uno a tre ettari, segue la dimensione fino a un ettaro, ma non mancano realtà più grandi, da 3 a 5 ettari e oltre. L’affitto è la forma prevalente (67%). Il boom si è verificato dopo il 2009 (per il 53% l’avvio della produzione è avvenuto in questo periodo) e la motivazione più significativa è la volontà di rispondere alle richieste di comunità di immigrati (74%, mentre il 10% è dato dalle richieste dei ristoratori). Per le sementi, acquisto in Italia e importazione occupano la medesima quota (36%), mentre il 20% del campione ricorre all’autoproduzione. Alla richiesta di guardare al futuro, il 47% degli intervistati ha detto di prevedere una crescita di questo mercato, il 24% pensa invece che resterà costante. «La coltivazione di ortaggi non comunitari è ancora marginale – ribadisce De Fabritiis -. Abbiamo stimato che nei
VERDE ORIENTALE
A Cenate Sotto la “specialità” è il coriandolo
Mohammad Iqbal è un tipico esempio di ritorno alla terra per costruire una nuova prospettiva di lavoro. Pakistano del Punjab, è arrivato in Italia nel 1990. Abita ad Albano, ha lavorato all’Iper di Seriate, poi ha aperto un negozio di alimentari a Montello, dal 2004 si è dato all’agricoltura, prima in società e dal 2010 con il nipote Waseem Arif, titolare di “Verde Orientale”, con terreni a Cenate Sotto (22 serre) e a Telgate. La produzione è incentrata sul coriandolo, erba aromatica utilizzata da numerose comunità straniere, dal Nord Africa al Sud America, dall’India alla Cina alla Thailandia, e per questo molto richiesta. Viene venduto al mercato ortofrutticolo di Bergamo il sabato mattina e consegnato nei negozi etnici di città e provincia. Il prezzo del mazzetto da 70 grammi è 50 centesimi al dettaglio e 25 centesimi all’ingrosso. «In inverno la disponibilità è limitata – racconta il figlio diciassettenne Ednan, non senza qualche inflessione bergamasca -, abbiamo qualcosa che cresce in serra, mentre dalla primavera il banco è tutto pieno. Abbiamo anche un po’ di korola, che noi però chiamiamo Karela, e dei peperoncini verdi piccanti che chiamiamo chilly. D’estate abbiamo anche l’okra, insomma cerchiamo di coltivare ciò che i clienti possono chiederci anche se la nostra “specialità” resta il coriandolo». «In Pakistan – aggiunge il padre – facevo già l’agricoltore ed ho pensato che potesse essere interessante coltivare prodotti per gli stranieri che abitano qui». Non che abbia scoperto chissà quale business. «Il lavoro agricolo è tanto, richiede fatica, ha dei costi ed il guadagno non è molto – sottolinea – e poi nei mesi invernali siamo praticamente fermi. Facciamo quello che riusciamo». Oltre a lui, l’azienda ha un altro dipendente, Sajid Kazmi, che si occupa delle consegne sin dall’avvio dell’attività. È approdato a Bergamo nel 2010, dopo una lunga serie di trasferimenti che l’hanno visto passare da Dubhai a Como e a Milano.
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TENDENZE
SOCIETÀ AGRICOLA CORBARI / Cernusco sul Naviglio
«Senape rossa e mercati generali della Lombardia ne siano intermediate circa 250 tonnellate l’anno (a fronte di scambi totali pari a circa 930.000 tonnellate ndr.), i produttori sono piuttosto piccoli, ma non mancano realtà più strutturate e le prospettive sono particolarmente interessanti. In Lombardia, infatti, le persone regolarmente residenti provenienti da Asia, Africa e America centro meridionale, quindi potenzialmente interessate a questa offerta, sono circa 750mila: è un mercato». Pensato in chiave Expo, il progetto “Nutrire la Città che Cambia” vuole proprio verificare se l’agricoltura lombarda possa essere in parte indirizzata su questo versante, in modo da ottenere una migliore qualità dei prodotti e minori costi ambientali legati al trasporto. Coinvolge sei aziende agricole "italiane" (quattro in provincia di Milano e due nel pavese) in una sperimentazione di sei varietà (i “cereali” alternativi amaranto e quinoa, l’okra, le “insalate” mizuna e pak choi, il teff, antico cerale etiope, e il coriandolo). «Non si tratta – tengono a precisare i promotori – di introdurre piante che possano rappresentare un pericolo per dinamiche di infestazione di difficile controllo, sono invece state scelte tra quelle che richiedono di essere valorizzate attraverso la definizione di un disciplinare di produzione e commercializzazione». Nato da intuizioni dei singoli imprenditori, il settore vive infatti ancora una fase del tutto pionieristica e come tale priva di precisi indirizzi. «Al momento manca ancora l’attenzione da parte delle associazioni di categoria – evidenzia il consulente –, così come quella dei mercati generali a registrare le quantità, talvolta non c’è nemmeno chiarezza sui nomi dei prodotti. Indubbiamente la conoscenza non può che aumentare la trasparenza e la sicurezza e far crescere quindi in maniera più organica e regolata il mercato». Il progetto triennale prevede in una fase successiva di coinvolgere gruppi di produttori extracomunitari ed offrire assistenza tecnica per le colture, «ma un ruolo determinante per fare uscire questi nuovi prodotti dalla loro nicchia – prosegue – lo possono recitare la distribuzione, oggi ancora poco coinvolta, la ristorazione e l’informazione. Negozianti che selezionano e propongono ortaggi, cereali e aromi, riviste che ne parlano, scuole alberghiere che sperimentano piatti e accostamenti possono fare crescere la curiosità anche da parte dei consumatori italiani. Quando, del resto, queste verdure arrivano a portata di mano il riscontro non manca. A Milano, ad esempio, nel mercato rionale di via Benedetto Marcello sono presenti bancarelle di venditori extracomunitari accanto a quelle dei prodotti locali. Si è creata una commistione e non è raro che nella borsa della spesa finiscano prodotti etnici e tradizionali insieme».
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Tra i primi ad imboccare la strada del biologico e a divulgarlo, Antonio Corbari è stato anche un precursore nella coltivazione di ortaggi “stranieri”. Già cinque o sei anni fa nella sua azienda di Cernusco sul Naviglio, attiva dal 1978, cominciava a far crescere l’okra, nell’ambito di un progetto in collaborazione con la Provincia di Milano, seguita poi da insalate orientali come senape rossa, mizuna, mibuna, pak choi, tatsoi e ancora cavolo cinese e coriandolo. L’apertura al nuovo, la voglia di condividere le proprie conoscenze e la propensione a mettersi in gioco è stata raccolta dai tre giovani - in ordine di età, Daniele Fedeli (31 anni) e due bergamaschi Silvio Minconetti (32) e Luigi Lazzarini (33) - che hanno rilevato l’attività lo scorso anno dando vita alla Società agricola Corbari. Per loro è stato naturale prendere parte al progetto “Nutrire la città che cambia”, al quale, anzi, hanno contribuito portando le proprie esperienze di prima mano. «È un percorso molto interessante – afferma Daniele - per il marcato concetto di sostenibilità ambientale e di integrazione sociale che lo sorregge. Si tratta di individuare buone pratiche e moda-
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tatsoi hanno conquistato gli italiani» lità concrete per rispondere ai bisogni dei nuovi abitanti immigrati». «Con noi lavorano da tempo persone straniere e la nostra è una realtà aperta a nuove colture e culture, in una visione che però – tiene a precisare – è di integrazione e non sostituzione delle produzio-
Luigi Lazzarini e Daniele Fedeli raccolgono la senape rossa (foto ediesse.net)
ni tradizionali». Nelle varietà esotiche l’azienda non individua quindi un filone al quale convertirsi, ma un elemento «che rende particolare il nostro modo di lavorare». «Abbiamo a disposizione tre ettari e mezzo – evidenzia –. Effettuiamo prevalentemente forniture ai gruppi di acquisto e alla ristorazione, ma anche vendita diretta e ci piace offrire degli stimoli ai nostri clienti». E se l’okra è richiesta soprattutto dagli africani (che arrivando in azienda si avvicinano però alla cultura agricola locale), tatsoi e senape rossa sono acquistate tutte dagli italiani. «Sono delle brassiche dal sapore molto riconoscibile – spiega l’agricoltore -, la senape rossa è particolarmente saporita e può essere utilizzata nella misticanza o anche cotta, il tatsoi assomiglia più allo spinacio, a una bieta piccola e morbida». Anche la
ristorazione non è estranea al fascino di questi ortaggi. La chef Alice Delcourt, ad esempio, del ristorante con orto Erba Brusca, sui Navigli, «è stata felice di trovare vicino casa l’okra, che mette sotto aceto e cucina in una pastella di farina di mais», rivela Daniele. Tutte le colture di cui si parla, è bene ricordarlo, sono state scelte perché adatte al clima e ai terreni. Tra quelle che l’azienda sperimenterà nell’ambito del progetto in vista di Expo c’è anche la quinoa. «Non abbiamo appezzamenti tali da farne una coltivazione significativa – evidenzia Fedeli – e in ogni caso crediamo che diffondere la quinoa nei nostri territori darebbe luogo ad un paradosso, si andrebbe a fare concorrenza ai Paesi che oggi sono i maggiori produttori e trovano in queste produzioni una via allo sviluppo ».
ANCHE LE SEMENTI SI COMPRANO QUI Il nuovo fenomeno dell’“agricoltura esotica” si legge anche dal lato delle sementi. «In effetti sono in crescita – evidenzia Gianluca Gorno, dell’ufficio tecnico della Franchi Sementi a Grassobbio – gli agricoltori extracomunitari che si rivolgono a noi. Si tratta soprattutto di piccoli orticoltori, che arrivano da tutta la Lombardia portati prevalentemente dal passaparola. Comunque è un “giro” che si sta gradualmente ampliando». Possono trovare coriandolo, che la storica azienda bergamasca produce per altri mercati europei come Portogallo, Spagna e Germania, e okra, la cui coltivazione è già presente in Italia, soprattutto al sud, e cavolo cinese. «Per il resto cercano di adattarsi individuando nei prodotti europei qualcosa che somigli a quelli della loro tradizione – dice il tecnico -. Chiedono ad esempio rape lunghe e, in genere, ortaggi di dimensioni più grandi, che il nostro mercato invece non vuole più perché preferisce pezzature ridotte. Non sempre è facile assicurare che sia esattamente ciò vogliono, anche perché esistono varietà diverse dello stesso prodotto ed anche i nomi cambiano. Per ovviare a questo consigliamo loro di fare delle prove». Questa nuova domanda non ha però portato l’azienda – che vende in oltre 50 Paesi in tutto il mondo – a sviluppare il settore delle “orientali”. «Sono numeri troppo piccoli e non si sono stabilizzati – rileva Gorno –, senza dimenticare che le varietà che si possono vendere e seminare devono essere riconosciute a livello europeo e inserite negli appositi registri».
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IL PRODOTTO di Lara Abrati
Nel cuore di Bergamo alta, in via Borgo Canale, sono rimasti pochi i produttori della celebre Indivia. I margini si sono assottigliati sempre più e le mutate abitudini alimentari hanno complicato ulteriormente il quadro. E così c’è chi allarga la produzione ad altri ortaggi
Quella cinquina fedele alla Scarola dei Colli
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lle pendici di Città alta, c’era una zona suddivisa in piccoli appezzamenti, dove erano molti gli ortolani che quotidianamente lavoravano la terra. Coltivavano numerose tipologie di primizie, dalle insalate ai rapanelli, attirando compratori anche da fuori provincia, come sostiene Angelo Viscardi, uno dei pochi coltivatori rimasti: “Venivano anche da Como e da Lecco per comprare le nostre verdure. Probabilmente il microclima della zona, unito alla presenza di un terreno con molti sassi, ha sempre permesso una buona e fruttuosa coltivazione”. Qui, lo scettro se lo sono passati di generazione in generazione. Ma, con il passare degli anni, c’è chi ha scelto altre strade e questi piccoli appezzamenti appena fuori le mura di Città alta sono coltivati da sempre meno persone. Attualmente, come racconta il portavoce dei produttori della Scarola dei Colli di Bergamo Franco Viscardi, i coltivatori attivi sono cinque, ognuno con una propria storia, ma con in comune il faticoso e quotidiano lavoro di campagna. Perché sui terrazzamenti non ci si va facilmente con i mezzi meccanici a motore. Quindi il lavoro è prevalentemente manuale, come evidenzia Vittorio Gamba, uno dei cinque ortolani: “Lavoro la terra quasi tutta a mano, con l’ausilio di piccoli motocoltivatori e altre attrezzature leggere. Anche il trasporto del prodotto raccolto è manuale”. La coltivazione dei terreni collinari attorno a Città alta è segnata da un prodotto di punta e molto apprezzato: la Scarola dei Colli di Bergamo. È un’insalata Indivia, molto simile a quelle coltivate in centro e sud Italia, ma solo per tipologia. La grande differenza quale è? Il processo di imbiancamento, che ne trasforma la consistenza rendendola croccante e poco erbacea. Per questo è un’Indivia Scarola che si presta molto ad essere
consumata cruda, diversamente da altre scarole che vengono prevalentemente, e in alcuni casi necessariamente, consumate cotte in accompagnamento alla carne di maiale oppure, come in Campania, sulla famosa e amata pizza. “Consiglio di mangiare la nostra scarola cruda. Il processo di imbiancamento serve a renderla consumabile appunto anche senza la necessità di cuocerla” afferma orgogliosamente Viscardi. Come spiega Martino Bonacina, “la pratica dell’imbiancamento può durare anche 10-12 giorni. Più fa freddo, più si allunga, e viceversa. C’è chi lo fa in campo, estirpando la scarola e coprendola con dei teli, e chi in cantina, in base alle proprie possibilità e scelte”. È un prodotto invernale, presente sul mercato da settembre a marzo, che risente delle condizioni climatiche. Già, perché è importante che la scarola “prenda il gelo - precisa Michele Bonacina - attraverso la sua esposizione a un freddo preferibilmente asciutto. Al contrario ci sarebbero rischi per lo sviluppo di marcescenza”. E negli ultimi anni questo è stato uno dei problemi di questo prodotto, insieme a difficoltà di natura diversa. Le altre difficoltà, sostengono all’unanimità i produttori, riguardano il cambiamento degli stili di vita delle persone, alla ricerca sempre più di velocità e comodità, sia nel fare la spesa che nel preparare i pasti. La piccola produzione di scarola non ha i “numeri” per entrare nel circuito della Gdo. Essendo anche una produzione non meccanizzabile, il prezzo corrisposto al produttore non andrebbe a coprire le spese, risultando quindi una produzione economicamente insostenibile. Inoltre, la scelta del consumatore odierno ricade sempre più sui prodotti di IV gamma, pronti all’uso, nonostante il loro elevato prezzo al chilo. Gli ortolani di Borgo Canale hanno quindi necessariamen-
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te orientato la propria produzione alle piccole nicchie di consumatori attenti e curiosi, proponendo non solo la Scarola dei Colli di Bergamo, ma anche delle primizie ormai considerate locali, come alcune varietà di fagiolino, di cavolfiore o di cicoria. Il seme della scarola è stato selezionato da un’azienda sementiera locale, proteggendolo dalle naturali ibridazioni a cui nel corso degli anni sarebbe andato incontro. In quanto alla specifica cultivar, Michele Bonacina afferma che “noi tutti gli anni acquistiamo semi di Scarola Gigante dei Colli di Bergamo. Mio padre e molti anziani della zona, insistono nel chiamarla Romana, un tempo era riconosciuta così, anche se non conosco la motivazione di questo appellativo”. La produzione resiste, la richiesta c’è ed è anche in corso la procedura per farla diventare Presidio Slow Food. È importante conoscere e preservare queste piccole nicchie produttive, in difesa di saperi, sapori e biodiversità. Uno di quei prodotti che, come una volta, per assaggiarlo ci si doveva recare necessariamente a Bergamo. La Scarola dei Colli di Bergamo viene venduta dai produttori stessi tutte le mattine da settembre a marzo al mercato ortofrutticolo di Bergamo, suscitando l’interesse di dettaglianti e fruttivendoli ambulanti. La si può in effetti acquistare da quasi tutti i piccoli fruttivendoli presenti in città. Questi produttori conservano e mantengono viva la sapienza contadina della città, adattandosi a produrre come una volta, senza l’estrema meccanizzazione e industrializzazione della produzione. Oltre alla sapienza, danno speranza a un’idea diversa di agricoltura, rispettosa dei cicli naturali e della naturale biodiversità.
ANGELO VISCARDI
Ortolano da generazioni Ortolano da generazioni, Angelo Viscardi è un orgoglioso e simpatico cinquantenne che crede fermamente nel proprio lavoro. “Questa zona - dice - la chiamavano la conca d’oro perché crescevano abbondanti e gustose primizie, dalle insalate ai rapanelli e molto altro”. Sui Colli coltiva quasi esclusivamente la Scarola, lavorando poco meno di 1 ettaro di terra. Più in basso possiede altri appezzamenti dove coltiva, in maniera convenzionale, altre verdure. Se gli si chiede il motivo della coltivazione della Scarola proprio in quegli appezzamenti dice: “Questa Scarola la si coltiva bene senza teli. Di notte, nei periodi freddi gela e il calore della giornata poi la disgela. Il freddo secco e la bassa umidità ci protegge parzialmente dalle marcescenze”. L’imbiancamento avviene in cantina. Angelo in azienda coltiva anche un particolare cavolfiore, ormai ibridato nel corso degli anni, che lui chiama il cavolfiore “ruspante”, assolutamente da assaggiare, ma anche una varietà di verza che produce molte foglie rotondeggianti ottime per preparare i famosi “capù”.
Angelo Viscardi
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IL PRODOTTO FRANCO VISCARDI
La forza della tradizione secolare MICHELE BONACINA
“Sempre più dura guadagnare” Il più giovane degli ortolani di Borgo Canale è Michele Bonacina. Grande appassionato di mountain bike, consiglia di apprezzare la sua Scarola “senza condimenti e fritture. La croccantezza e l’imbiancamento la rendono tenera al cuore, permettendone il consumo da cruda”. Ha 40 anni e ha ereditato la professione dal padre Giuseppe, di 86 anni, e dal nonno. Anche lui conduce l’imbiancamento in un magazzino al coperto. Se gli si chiede se è soddisfatto e giustamente remunerato rispetto al suo lavoro dice “una volta, se facevi una buona stagione invernale con la Scarola eri più o meno a posto, diciamo che in proporzione ti ci potevi comperare un’auto, ora, forse, ti ci compri le quattro ruote”. Emblema, questo, della situazione che stanno vivendo i piccoli produttori di qualità, rispetto al passato. Diverse le colture coltivate in azienda, da alcune insalate a cespo sotto serra ad altri prodotti che “gli altri, in pianura, non riescono a produrre, ma che sono articoli di nicchia che ci permettono di sopravvivere. Per esempio alcune varietà locali di fagiolini o i fiori di zucchina, prodotti molto ricercati e gustosi”.
Nessuna parentela con Angelo, Franco Viscardi da generazioni coltiva la Scarola dei Colli di Bergamo. “Nel 1935 il parroco locale, amico di mio padre, gli disse che i Viscardi coltivavano la terra, o meglio, quel pezzo di terra, da almeno 500 anni”, sostiene . Lui pratica l’imbiancamento nello scantinato, proteggendo il proprio raccolto. È il portavoce dei produttori di Scarola cittadini e coltiva circa 5.000 metri quadrati di proprietà e altri appezzamenti in affitto. “Prima producevo molte tipologie di ortaggi e di frutta, ora mi dedico quasi esclusivamente alla Scarola, nostro cavallo di battaglia”.
Franco Viscardi
MARTINO BONACINA
Tappa mattutina al mercato ortofrutticolo Martino Bonacina, cugino di Michele, coltiva la Scarola col fratello Giancarlo. “Il periodo dell’imbiancamento - sostiene - dura circa 8/9 giorni, periodo che si allunga se più fa freddo”. Martino fa delle considerazioni economiche rispetto all’andamento degli ultimi 4-5 anni rivelando che “rispetto agli anni precedenti, guadagniamo circa 10-15 centesimi di euro in meno nella vendita”. Comunque sia, come tutti gli altri ortolani, i due fratelli vendono la verdura al mercato ortofrutticolo tutte le mattine.
VITTORIO GAMBA
L’ex operaio convertito alla terra
Michele Bonacina
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Vittorio Gamba ha una storia diversa rispetto agli altri produttori. È l’unico che non porta avanti l’attività di famiglia, bensì lavora terreni in affitto. “Facevo l’operaio - dice Vittorio - alla Tenaris Dalmine, ma all’età di 35 anni ho smesso e ho iniziato a fare l’ortolano con mio suocero”. Ora, sessantenne, è in pensione, ma comunque lavora circa 7.500 mq di terreno. Fa l’imbiancamento in campo, ammucchiandolo se fa troppo freddo. Alla domanda relativa alla motivazione per cui la Scarola dei Colli di Bergamo è un prodotto pregiato e di nicchia, risponde: “Il terreno in Città alta drena molto bene, quindi l’insalata non marcisce e non appaiono le macchie che ne determinerebbero l’abbassamento di qualità”. La Scarola, dopo l’imbiancamento, viene comunque pulita prima di essere messa in commercio.
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L'INIZIATIVA Dal 24 febbraio torna la rassegna dedicata alla gastronomia venatoria coordinata dall’Ascom. In tutta la provincia sarà possibile trovare menù e piatti a tema
In 50 ristoranti è “stagione di caccia”
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a stagione è quella giusta per concedersi succulenti piatti di cacciagione e dal 24 febbraio gli appassionati che cercano un locale dove gustarli non hanno che l’imbarazzo della scelta. Torna infatti “Caccia in Cucina”, la rassegna dedicata alla valorizzazione della tradizione culinaria a base di selvaggina organizzata in tutta la Lombardia da Anuu Migratoristi con la collaborazione delle associazioni provinciali dei ristoratori e i patrocini delle Province e della Regione. In Bergamasca l’iniziativa è coordinata dall’Ascom, che ha raccolto, anche in questa edizione – la dodicesima – una folta schiera di adesioni. Cinquanta tonde, dalla città (presente con sette insegne) alle montagne, ai laghi, a comporre un variegato panorama di proposte che coniugano una tradizione fortemente radicata nel territorio con le personali interpretazioni degli chef. I locali aderenti assicurano nel periodo della manifestazione la presenza in carta di un piatto o un menù completo a base di selvaggina, che potrà essere abbinato ai vini più adatti e accompagnato ad altri prodotti locali e della tradizione rurale. Obiettivo della rassegna è infatti sollecitare positivamente l’attenzione nei confronti del territorio, dell’ambiente e dell’attività venatoria tramite gli elementi unificatori della buona tavola e della convivialità. La chiusura ufficiale è fissata domenica 2 marzo ma sono numerose le attività che hanno scelto di protrarre l’iniziativa almeno di una settimana per dare più opportunità ai clienti.
Ecco chi partecipa In città: Agnello d’Oro, Al Vecchio Tagliere, Balicco, Il Circolino, I Sapori di Terra e Mare, Ol Giopì e la Margì, Da Ornella. In provinicia: Isola Zio Bruno (Albino), Locanda della Corte (Alzano Lombardo), Trattoria Visconti (Ambivere), Villa Cavour (Bottanuco), Genzianella (Bracca), La Tavernetta (Bracca), Corona (Branzi), La Trota (Brembilla - fraz. Laxolo), Da Mualdo (Capriate San Gervasio – fraz. Crespi), La Teglia (Castione della Presolana), Vecchi Ricordi da Gimbo (Cene), Ambra (Clusone), La Vecchia Cantoniera (Colere – Passo della Presolana), Al Sorriso (Curno), Al Portico Braceria (Endine Gaiano), Garden Hotel (Fino del Monte), Il Platano da Gira (Foresto Sparso), K2 (Gaverina), Hotel Ristorante Gromo (Gromo), Le Ciel
(Madone), Trattoria Bolognini (Mapello), Ristorante Alessandro (Mozzo), Coq d’Or (Nembro), Ol-Fa (Osio Sotto), Albergo Ristorante Piazzatorre (Piazzatorre), Da Tandy (Ponteranica), Trattoria Del Moro (Ponteranica), Parco dei Colli (Ponteranica), Bellavista (Riva di Solto), Poggio d’Oro (Riva di Solto), Al Vecchio Tagliere (Scanzorosciate), San Marco (Schilpario), Da Pacio (Spinone al Lago), Don Luis (Torre Boldone), Della Torre (Trescore Balneario), Quadrifoglio (Urgnano – fraz. Basella), Gioan (Valbondione - fraz. Lizzola), Centauri (Vertova), Il Tagliere (Villa d’Adda), Ca’ dell’Orto (Villa d’Almé – Bruntino), Cadei (Villongo), Al Vecchio Tagliere (Zanica), Da Gianni (Zogno). I dettagli sul sito dell’Ascom di Bergamo: www.ascombg.it
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LA SCOMMESSA di Rosanna Scardi
Il "Polpo d'occhio" delle cuoche volanti Sono due amiche, Chiara di Zanica ed Elena di Torre de' Roveri, e hanno deciso di unire le loro passioni e competenze dando vita al sodalizio nel campo dell'home cooking. "La nostra è una cucina informale, adatta per una cenetta romantica o in famiglia, ma anche per gruppi numerosi o cerimonie" Chiara Bellelli
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era una volta la nonna che sapeva risolvere ogni emergenza in cucina con le sue preziose ricette, i sughi e i piatti elaborati, buoni anche il giorno dopo. Oggi per far fronte alla mancanza di tempo a disposizione e alla poca dimestichezza delle donne con i fornelli è nata e si sta diffondendo la figura del cuoco a domicilio. A fare propria l'idea dell'home cooking nella Bergamasca sono anche due amiche, Chiara Bellelli, 27anni di Zanica, e Elena De Bellis, 31 anni, romana di origine ma residente a Torre de' Roveri, dove è arrivata tre anni fa per amore. Oggi sono conosciute come “cuoche volanti”, basta una telefonata e si organizzano per risolvere ogni problema culinario. Il nome della loro nuova attività doveva essere simpatico. Così tra “A polpo d'occhio” e “La divina polpetta” ha avuto la meglio il primo. Anche il logo è accattivante, una piovra sorridente con coltello e forchetta nei tentacoli, su uno sfondo rosa a righe con una pioggia di pois. La cucina è su misura, rustica, sana e colorata, ma soprattutto per ogni occasione e per tutte le tasche. Il sodalizio culinario è nato un paio di mesi fa. “Conoscevo Elena e sapevo quanto fosse brava a cucinare, così il giorno del mio matrimonio, l'anno scorso, le ho chiesto di aiutarmi per la cena delle mie nozze - racconta Chiara -. Abbiamo preparato un buffet per cento invitati ed è stato un vero successo”. Nessuna improvvisazione per le due ragazze, che possono già vantare anni di esperienza sul campo. “La cucina è sempre stata il mio destino, ovunque mi trovassi sono finita a spadellare - racconta Elena -. Tutto è cominciato quando sono stata a Berlino per fare la fotografa, professione per cui avevo studiato. Lassù sono finita a lavorare in un ristorante italiano e la stessa sorte m'è capitata nella mia città, Roma, poi a Grosseto, in Maremma, dove ho vissuto qualche anno, e quindi qui nella Berga-
Elena De Bellis
masca, dove collaboro in una mensa scolastica”. Ma le ore di lavoro per Elena, a Torre de' Roveri, sono troppo poche, le chiamate come cuoca o aiuto cuoca saltuarie, la voglia di mettersi in gioco tanta. “Ci siamo dette: proviamoci. In fondo, non ci costa nulla, abbiamo tutto il tempo per crescere”, ammette Chiara. Le prime occasioni per mettersi in luce sono state le cene di Natale, poi le feste di compleanno. La grande vetrina, a fine gennaio, con le due serate organizzate per celebrare il ventesimo anniversario del Clock Tower pub, a Treviglio, dove il loro buffet ha sfamato 400 persone. Due i menù preparati per non scontentare nessuno: uno a base di carne e uno vegetariano. La loro cucina a domicilio può essere informale o conviviale, varia da un numero minimo di poche persone, come una cenetta romantica o di famiglia, aperitivi tra amici, a buffet per ricorrenze importanti come lauree, battesimi, comunioni, cresime, o semplicemente feste di compleanno per tutte le età. In questo caso, il servizio è assimilabile a un catering. Sono disponibili pacchetti personalizzati per tutte le necessità. "Possiamo cucinare laddove esiste l'attrezzatura necessaria ma con assoluta discrezione anche al domicilio del cliente. Tutto dipende dal numero di persone, dunque dalla mole di lavoro. Se ci sono 50 invitati, e il pranzo è par-
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ticolarmente elaborato, non possiamo occupare una cucina per tre giorni, ma impastiamo a casa nostra”, spiega Chiara. Il costo è abbordabile: per una cena a casa, tra amici, il prezzo si aggira sui 20 euro a ospite, sale se le persone sono solo due. Nel caso di grandi buffet, il costo viene stabilito facendo un preventivo che stabilisca l'ammontare della spesa per avere a disposizione tutti gli ingredienti e le ore di lavoro. Se, per esempio, gli invitati sono 200 e la preparazione delle pietanze richiede una settimana di fatica, si può ipotizzare una spesa di 500 euro. In caso di buffet e cestini di compleanno, è prevista anche la sola consegna delle pietanze. Come una perfetta squadra, le due cuoche si dividono i compiti. Elena cura la parte salata. La sua cucina è quella più contaminata. Dalle tradizioni laziale e toscana ha appreso i sapori decisi, di quella orobica apprezza i formaggi che definisce insuperabili. “Ho portato una mattonella di taleggio a un'amica che vive a Panama”, sorride. L'amica la chiama la “maga delle frattaglie”, lei sostiene che il suo punto di forza sono i piatti sostanziosi, timballi di pasta, verdure ripiene, crostate di polenta. Per le cene più importanti predilige faraona e punta ripiena. Chiara cura la parte dolce, essendo stata allevata tra torte e Pan di Spagna. La famiglia gestisce, infatti, la pasticceria-gelateria “Verde Rosa” in via Battisti a Bergamo. Le sue specialità sono le monoporzioni di dolci, come il cioccolato con il caramello salato, il semifreddo morbidone, il panettone al luppolo con crema al mascarpone, i muffin, i plumcake. Siccome anche l'occhio vuole la sua parte, per questo si fanno ammirare per la loro bellezza, oltre che bontà, i frollini a forma di bottone o bustina da tè, che vengono forniti impachettati e possono durare nella dispensa fino a venti giorni. I segreti dell'arte culinaria di Chiara e Elena si riassumono in tre parole: fantasia, pianificazione e privacy. “Avere estro è fondamentale, ma anche sapersi dividere i compiti, collaborare, e poi la privacy sui nostri clienti è d'obbligo”, è la loro ricetta professionale. Il pensiero corre a quelle signore che vogliono fare bella figura con il marito seguendo l'antico motto che la via del cuore passa per lo stomaco e che magari non sono capaci o semplicemente non hanno voglia o tempo per cimentarsi in piatti complicati. “Certo capitano anche queste situazioni e noi corriamo in soccorso della poveretta, ma non solo: impiattiamo le portate, come gli antipasti e, se richiesto, diamo suggerimenti sugli abbinamenti dei vini”. Così il palato è soddisfatto, grazie alle due personal chef bergamasche. A Polpo d'occhio Chiara 346 - 3520042 Elena 339 - 2947993 apolpodocchio@libero.it
L'EVENTO
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Veronelli, una grande mostra alla "Triennale" in vista dell'Expo el corso dell’evento “Il vino è il canto della terra”, al Teatro sociale di Bergamo, lo scorso 2 febbraio, il Comitato decennale Luigi Veronelli, recentemente costituito e presieduto da Gian Arturo Rota, ha annunciato l’avvio dei lavori per la realizzazione della grande mostra Camminare la Terra dedicata al pensiero e all’opera di Gino Veronelli, che sarà prodotta dalla Triennale di Milano a gennaio 2015. Curatela di Aldo Colonetti (vice presidente del Comitato), dello stesso Rota e Alberto Capatti (direttore scientifico), progetto espositivo Studio Origoni Steiner. È camminando la terra che Veronelli ha incontrato le donne e gli uomini, amato i loro prodotti e scoperto gli strumenti utili per il lavoro e per il consumo. Da qui la decisione del Comitato, nato per valorizzare l’opera e il pensiero del grande intellettuale, di intitolare la mostra Cammi-
INGRUPPO LO RICORDA CON UNA BOTTIGLIA SPECIALE Lo scorso 2 febbraio, in occasione dell'ottantesimo anniversario della nascita, InGruppo ha voluto ricordare la figura di Veronelli omaggiando i clienti con una speciale bottiglia di Valcalepio rosso 2011 offerta dal Consorzio di Tutela. Sono state distribuite 3.500 bottiglie, che per l'occasione hanno riportato un’etichetta commemorativa (nella foto). Il migliore modo per ricordare il cantore delle vigne e dei vignaioli con il rituale millenario di alzare le coppe del nettare divino. I 15 ristoratori di InGruppo sono: A'Anteprima, Al Rustico, Al Vigneto, Antica Osteria dei Camelì, Colleoni&dell'Angelo, Collina, Da Vittorio, Frosio, Il Saraceno, La Caprese, Lio Pellegrini, LoRo, Osteria della Brughiera, Posta, Roof Garden.
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nare la Terra, con un motto che è manifesto, testamento, invito e che fu, di Veronelli, profezia. La mostra sarà di prologo a Expo Milano 2015 e al suo grande tema “Nutrire il pianeta”, che sarà celebrato da Triennale con la mostra semestrale di Germano Celant “Art&Food”. Camminare la Terra indagherà il metodo di lavoro, la formazione eclettica e le tracce che indicano il percorso verso un futuro auspicabile e necessario, rimettendo al centro di tutto la terra e la cultura materiale. Il lavoro in corso da parte del Comitato sull’immenso archivio, messo a disposizione dalla famiglia e finora mai indagato in modo sistematico, vuole tracciare un profilo più preciso della poliedricità di Veronelli e, al contempo, fa riemergere altre grandi personalità come ad esempio Luigi Carnacina, che con Veronelli intrattenne una fitta corri-
spondenza epistolare, Gianni Brera, Silvio Coppola, il suo designer e molti altri ancora. Il cuore della mostra sarà simbolicamente rappresentato da una trasposizione della sua grande cantina, in un percorso sinestetico utile ad avvicinare una personalità tanto complessa.
E BERGAMO GLI DEDICA UNA PIAZZA Nel decimo anno dalla scomparsa, anche Bergamo commemora Gino Veronelli, indimenticato enologo, gastronomo e scrittore “dissidente” - come amava definirsi - dedicandogli una piazza tra via Bartolomeo Bono e via Andrea Moretti, nel cuore del nuovo complesso “Quarto Verde”. Il via libera all’intitolazione è arrivato dalla Giunta il 28 agosto scorso dopo il placet della Commissione Consultiva per la Toponomastica cittadina riunitasi l’11 aprile scorso. La proposta è stata accolta senza alcuna riserva e ha rinsaldato il legame tra Veronelli e la città dove ha vissuto per 34 anni e che forse ha più amato, come sottolinea la biografia con articoli e aneddoti inediti “La vita è troppo corta per bere vini cattivi”.
IL PERSONAGGIO
febbraio 2014 di Rosanna Scardi
Coltivava piccoli frutti, oggi sta portando in giro per la Penisola la commedia “Facciamo un sogno” con Nathalie Caldonazzo. E quando non è in tournée Manuel Signorelli di San Paolo d’Argon torna alle sue piante e all’oliveto Manuel Signorelli sul campo...
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Manuel, «la mia vita tra mirtilli e palcoscenico»
ietro a un astro nascente del teatro c'è un esperto agricoltore. Il suo nome è Manuel Signorelli, 41enne di San Paolo d'Argon. Ha esordito, per gioco, nella compagnia dialettale “Franco Barcella”. Poi, dopo la gavetta, il debutto con Marina Occhiena, la bionda dei Ricchi e Poveri, in “Coppie scoppiate”. Ora porta in giro per la Penisola la commedia “Facciamo un sogno” di Sacha Guitry insieme a Nathalie Caldonazzo, Giorgio Caprile e Alessandro Marrapodi. Dal 2 al 13 aprile sarà al Teatro dei Satiri, il primo fondato da Pompeo a Roma, dove a vent'anni ha esordito Roberto Benigni. Quando non è in tournée, Manuel si dedica alla produzione di mirtilli e olio d'oliva. Una passione per la terra tramandata da nonno Giacomo che possedeva un vigneto. «Fin da quando avevo 14 anni lo aiutavo nella potatura e nel preparare le fascine per le stufe a legna – racconta -. Quando ha iniziato ad avere problemi di salute, dinanzi alla prospettiva di mandare tutto all'aria, ho deciso di imparare l'abc per coltivare i frutti di bosco e mi sono trasferito in Trentino». Lì Manuel impara le regole per far crescere lamponi, ribes, more e l'arbusto più complesso, il mirtillo. «Necessita di un terreno con pH inferiore a 5, deve essere concimato con acidi e innaffiato con acqua piovana. Anche la potatura non è semplice, se eccessiva, si rischia di avere, l'anno dopo, una grande vegetazione, ma poco frutto».
Nel 1997 l'avvio della sua azienda agricola, non senza batoste. La prima si chiama oziorrinco, un insetto che si ciba di foglie di acidofile e le cui larve intaccano le radici di sostentamento. A insidiare le fragoline di bosco, poste in due serre, è invece un acaro rosso che si nasconde nella parte inferiore delle foglioline. Per un decennio Manuel conferisce la merce al mercato ortofrutticolo di Bergamo. «Lavoravamo, io, i miei genitori e mia moglie, 15 ore al giorno, con una media di due chili raccolti all'ora. Ma è stato impossibile competere con la concorrenza dall'Est». Proprio da Romania, Ucraina, Polonia e Serbia provenivano i frutti di bosco congelati, ritirati qualche mese fa dal mercato perché contaminati dall'epatite A: «Esistono – spiega - virus e batteri di origine fungina che si sviluppano perché le serre sono mal sterilizzate, se non si va sotto una certa temperatura proliferano». Oggi l'attore-agricoltore produce mirtilli per privati. Possiede un centinaio di piantine, che appartengono alla cultivar Berkeley, dal frutto gigante. «C'è chi arriva da fuori e acquista casse intere per fare marmellate, torte, macedonie, anche se forse è uno spreco». I frutti si raccolgono tra fine giugno e i primi di luglio. Per un mese e mezzo se ne producono tre quintali, tre chili a piantina. Al mirtilleto ha affiancato, dal 2009, un uliveto da 70 piante. Un'antica tradizione racconta che i monaci del monaste-
ro benedettino di San Paolo d’Argon, costruito nel XI secolo, fossero abili nel produrre olio. «A novembre ho portato le olive al frantoio, in meno di 24 ore dalla raccolta, solo così qualità e fragranza rimangono intatte. Il risultato sono 400 litri di un olio dal sapore forte, piccante, fruttato». La tournée porta Manuel fuori casa per mesi. Ma come riesce a sopportare la lontananza? «Amo la mia seconda vita di attore, certo mi mancano la famiglia, il paese. All'inizio, da ragazzino, aiutare mio nonno era un dovere, però poi la terra mi ha preso il cuore».
... e in scena
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IL CASO di Giordana Talamona
Con la nascita della Fis, Franco Maria Ricci, editore di Bibenda, si è posto in alternativa alla storica Ais, mettendo in tensione la categoria e separando il destino di Bibenda dall'Associazione. Lo scontro è tutt'altro che chiuso e ha registrato la discesa in campo anche degli avvocati
Franco Maria Ricci
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Sommelier, il sapore amaro della polemica
l divorzio che ha messo sotto pressione Ais, la più importante associazione della sommellerie del Belpaese, è giunto al capitolo finale. Almeno così sembrerebbe, nonostante qualcuno tema che prima di vedere scorrere la parola “fine” sui titoli di coda di questa “Guerra dei Roses”, possano esserci ulteriori colpi di scena. D’altra parte l’ultima comunicazione arrivata ai soci dal presidente nazionale, Antonello Maietta, con la quale si smentivano disparità di trattamento tra le delegazioni del Lazio e quelle delle altre regioni, trae spunto proprio da un’email della Bibenda Editore, società gestita da Franco Maria Ricci. Una battaglia a suon di comunicazioni ufficiali, che lascia intravvedere ulteriori sviluppi. Dalla separazione al divorzio. Dopo il commissariamento della delegazione del Lazio, avvenuta nel dicembre scorso, e la ricostituzione della nuova compagine regionale ad interim, l’associazione può guardare avanti con la consapevolezza che, parafrasando le parole di Maietta, l’incubo sia davvero finito. La motivazione che ha portato ufficialmente alla rottura del consolidato rapporto tra Ais e Franco Maria Ricci, editore di Bibenda e presidente del Lazio, è il mancato rinnovo del contratto per la rivista e l’omonima guida. Un affare da oltre 800mila euro all’anno, che di fatto metteva al sicuro Ricci e la sua società, la Bibenda Editore Srl. “Che l’aria fosse cambiata l’avevo nitidamente percepito durante il Congresso Ais a Firenze - ha spiegato Maietta nel suo editoriale del dicembre scorso - quando la mia relazione all’Assemblea Generale dei Soci è stata interrotta più volte dagli applausi, soprattutto quando ho detto che “l’Ais non è mai stata e mai vorrà essere un’Associazione elitaria” e, quasi al termine, quando ho annunciato che “l’orientamento del Consiglio Nazionale va verso l’emancipazione della componente edito-
riale”. "C’è qualcosa di male quando un’Associazione ipotizza di camminare con le proprie gambe senza ricorrere a costose stampelle nient’affatto disinteressate? Eppure quest’annuncio ha aperto una frattura, presumo studiata da tempo, vista la rapida tempistica con cui si è palesata, con l’uscita dall’Ais della costola periferica della capitale”. Di fatto, il rinnovo del contratto con Bibenda avrebbe vincolato l’associazione per tre anni, rinnovabili automaticamente per altri tre. Un impegno economico che i vertici dell’associazione, il cui mandato scade nel prossimo giugno, hanno deciso di non accollare ad Ais e alla prossima giunta, proponendo all’editore un contratto provvisorio di un anno, vincolato al ripristino dell’analisi organolettica dei vini all’interno della guida Bibenda, descrizione scomparsa nell’edizione 2014. Che la guida ufficiale di Ais non contenesse più la descrizione sensoriale dei prodotti degustati, informazioni che la distinguevano da qualunque altra guida di settore, era sembrato a molti un paradosso. Apriti cielo, perché la richiesta del reintegro Antonello Maietta delle note di degustazione e la proposta di un contratto provvisorio di un anno sono state, ufficialmente, il casus belli di questa guerra fratricida che ha definitivamente sancito la fine dei rapporti con Ricci e con tutto il suo entourage di Roma. La Fis. La prima controffensiva di Ricci è stata la scissione della delegazione di Roma da Ais e la successiva nascita della “Fondazione Italiana Sommelier”, presentata ai soci in una lettera. Pare, infatti, che prima della comunicazione ufficiale, nessuno del Consiglio nazionale avesse subodorato una fine così rapida dei rapporti con Ricci.“Carissimi, il percorso che abbiamo compiuto in questi 23 anni qui nel Lazio come Associazione Italiana Sommelier Roma è diventato un fenomeno
febbraio 2014 epocale - questa la comunicazione di Ricci di cui riportiamo alcuni stralci - premiando così gli sforzi di chi ha voluto fermamente professionalità e qualità nella comunicazione efficace del Vino (…). Si sono così realizzati più di 200 corsi per sommelier con oltre 20.000 Allievi, oggi Sommelier, raggiungendo circa un milione e mezzo di presenze tra le varie attività di degustazione. (…) Tutto ciò ci ha fatto recepire un’implicita richiesta di continuare il nostro lavoro in una veste sempre più Istituzionale, sempre più disponibile a rappresentare questo meraviglioso Made in Italy che è il nostro vino. Per questo motivo e con la consapevolezza dell’importanza del lavoro svolto insieme in questi anni, dal 9 dicembre 2013 l'Associazione Italiana Sommelier Roma aderisce alla Fondazione Italiana Sommelier, ente appositamente costituito per elevare ancora di più lo spessore del nostro lavoro di divulgatori della cultura del vino e dell’olio di qualità. La Fondazione Italiana Sommelier avrà il riconoscimento giuridico dello Stato e l’accredito presso la presidenza del Consiglio dei ministri, nonché presso i ministeri della Cultura, degli Esteri e delle Politiche Agricole. La Fondazione, con Associazione Italiana Sommelier Roma, realizzerà il Corso di qualificazione professionale per sommelier con il riconoscimento giuridico dello Stato, unico corso per sommelier in Europa a possedere tale importante requisito. La quota di Rinnovo all’Iscrizione scende dagli attuali 130 euro a 100 euro l’anno, pur continuando a garantire al Socio l’acquisizione di Sommelier Notizie per la partecipazione a tutte le Attività a Roma e nel Lazio per sé e per due suoi amici, di Bibenda la rivista nata per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino e Bibenda, la guida ai migliori vini e ristoranti d’Italia". La risposta di Antonello Maietta, che ha cercato di fare chiarezza sullo stato giuridico dell’iscrizione ad Ais dei soci di Roma, non si è fatta attendere. La questione rilevante, che ha scatenato una bagarre nella delegazione capitolina, non riguarda tanto la nascita di una nuova associazione, quanto la qualifica dei nuovi sommelier, la quota associativa già pagata per il 2014 e il passaggio diretto di tutti i soci romani alla Fis. “Gentilissimi colleghi presidenti regionali e consiglieri nazionali, vi prego di leggere con attenzione le due comunicazioni allegate dalle quali si percepisce che da oggi, 9 dicembre 2013, è stata costituita la Fondazione Italiana Sommelier alla quale ha prontamente aderito l’Ais Roma (e Lazio!?) - comunica Maietta ai soci - (…). A brevissimo faremo partire una comunicazione a tutti i soci del Lazio per spiegare l’incompatibilità delle due situazioni. Vi voglio comunque tranquillizzare perché la situazione è già passata nelle mani dei nostri legali per la tutela del nome, del marchio e dell’onorabilità dell’Associazione Italiana Sommelier. Mi impegnerò al massimo per dare tempestività ed efficacia alla nostra azione e di questo sarete tenuti costantemente aggiornati. Ho già indetto una riunione con lo staff dei nostri avvocati per giovedì 12, il 17 dicembre sono all'ordine del giorno provvedimenti urgenti da assumere, entro la prima metà di gennaio sarà convocato il Consiglio Nazionale”.
Ais Lazio. Gli oltre settecento soci che hanno partecipato alla riunione Ais di Roma, nel gennaio scorso, hanno visto scomparire le nubi che si adombravano sulla delegazione commissariata dal 17 dicembre. Non che tutti i dubbi siano stati fugati, tutt’altro. Che fine abbia fatto la quota associativa versata dai soci alla delegazione di Roma, per esempio, è tuttora un mistero su cui faranno chiarezza i legali di Ais. Dal canto loro, Maietta e i membri presenti hanno rassicurato i soci romani che non chiederanno il pagamento della quota associativa, purché in grado di comprovarne il versamento, e che tutti i corsi e le qualifiche ottenute saranno riconosciute retroattivamente. La guida e il giornale di Ais. Che sia arrivato il capitolo finale di questo scontro, non vi è certezza alcuna, visti gli ultimi sviluppi che fanno temere rigurgiti di battaglia tra Ais e Fis. È di pochi giorni fa la comunicazione inviata ai soci Ais da Bibenda Editore, che ha creato non pochi equivoci sulla disparità di trattamento tra i soci del Lazio e quelli delle altre regioni. Bibenda. La Rivista e Bibenda 2015 la Guida ai Vini e Ristoranti d’Italia non saranno più distribuite ai soci Ais Italia, mentre i soci del Lazio continueranno a riceverle. Se desideri continuare il percorso di qualità delle tue letture sul vino abbiamo preparato, solo per te, un favorevole abbonamento”. Maietta ha chiarito nuovamente la posizione di Ais, dando in anteprima una notizia che finalmente cancella un’anomalia nel Dna dell’associazione, da sempre costretta ad affidare ad un editore esterno la redazione della propria guida e rivista. Non si sa molto sui due nuovi prodotti editoriali, presentati ufficialmente al prossimo Vinitaly. I rumors dei beninformati parlano una guida nazionale realizzata col supporto dei degustatori Ais di ciascuna regione che, di fatto, si opporrà nelle vendite a quella di Bibenda. Una zampata di Ais che non potrà lasciare indifferente Franco Ricci. “Il 1° aprile è ancora molto distante, tuttavia parecchi tra gli iscritti stanno ricevendo, tramite l’utilizzo arbitrario di un database fornito per altri scopi, un invito ad abbonarsi alle pubblicazioni di Bibenda Editore, cosa quest’ultima assolutamente legittima - spiega Maietta -. Il riferimento a una disparità di trattamento tra i soci dell’Associazione Italiana Sommelier e quelli del Lazio, senza specificare che, nel caso di questi ultimi, si tratta di soci di altra associazione che nulla ha a che fare con Ais, ha indubbiamente generato parecchi equivoci. Per questo motivo ho ritenuto doveroso informare che, come da tempo è correttamente riportato sul sito ufficiale dell'Associazione Italiana Sommelier, tutti i soci Ais indistintamente continueranno a ricevere sia la rivista che la guida. L'unica differenza rispetto al passato è legata al fatto che, scaduto il contratto con Bibenda Editore, l'Associazione Italiana Sommelier ha deciso di realizzare autonomamente al proprio interno, con il contributo di competenza e professionalità dei propri soci, una nuova Rivista e una nuova Guida. La presentazione di entrambi i prodotti editoriali saranno presentati ufficialmente al prossimo Vinitaly”.
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IL CORSO
Polpette alla riscossa Guardate con diffidenza fuori casa, must di ogni mamma, i prelibati "bocconcini" stanno vivendo una nuova stagione grazie a locali dedicati (a Milano ci sono il Ciccilla e “The Meatball Family”) e a libri che li celebrano. E l'Accademia del Gusto riserva una lezione il 17 marzo
di Laura Bernardi Locatelli
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a diffidenza verso la ricetta principe del riciclo ne ha fatto l’orfanella della cucina italiana e allo scetticismo di fronte alla resurrezione degli avanzi si sono aggiunti ieri l’incubo mucca pazza e l’altro ieri l’allarme carne di cavallo. Eppure la rassicurante polpetta, comfort food per eccellenza, sta uscendo dalle pareti domestiche in cui è sempre stata esaltata da ogni mamma, per conquistarsi la ribalta e fare addirittura tendenza da vera “Pop star” della cucina. A Londra hanno aperto da tempo Meatball Shop e Restaurant e a Milano sono nate “Ciccilla”, una polpetteria che è anche una cooperativa sociale, e “The Meatball Family” - Diego Abatantuono è tra i soci - con menù a base di polpette declinate in oltre quaranta varianti (dalla Sashball a base
di sashimi alla Salentina e Lombarda) e abbinamenti addirittura con lo Champagne, che fanno molto “miseria e nobiltà”. Più che eloquente e ironicamente altisonante fin nel titolo “Una polpetta ci salverà” – il nuovo libro e ricettario di Anna Scafuri e Giancarlo Roversi, edito da Giunti, che vede in questa sfera imperfetta il futuro della cucina italiana. Una tradizione tutta da riscoprire che ci porta alle radici della nostra storia, ma che ci fa anche abbattere ogni barriera culinaria, abbracciando il mondo intero, dove la ricetta rimbalza in ogni luogo e tempo. “La crisi ha puntato di nuovo i riflettori su una delle ricette principe del riciclo presente ad ogni latitudine e in ogni tradizione da quella libanese a quella indiana - sottolinea Mirko Ronzoni, docente all’Accademia del
Gusto del corso “Piovono polpette” e chef del Braciere del Convento dei Neveri di Bariano -. È un piatto globale che si presta ad ogni ricetta perché non c’è davvero nulla che non possa essere tritato e forgiato in palline golose”. Carni, verdure, pesce e legumi vengono trasformati in pietanze che rifuggono una collocazione tra i rigidi schemi delle portate, prestandosi ad essere secondo piatto, finger food, amouse bouche, piatto unico. Le polpette parenti strette dell’hamburger - sono il risultato di incontri, esperienze e suggestioni. Le golosissime sfere rappresentano il piatto “glocale” per antonomasia, presente in ogni tradizione gastronomica da Oriente ad Occidente, da Nord a Sud, in infinite varianti. Lihapullat, kibbeh, bakso, frikadeller, acarajè, faggot,
albondigas, chiftele, keftedes sono solo alcune delle ricette presenti in giro per il mondo e non mancano Paesi che hanno dato alle polpette dignità di piatto nazionale, come la Svezia con i “kottbullar” e l’Afghanistan che ne ha fatto la ricetta tradizionale affiancata da zuppe casalinghe. Le polpette si cucinano ovunque e sono una ricetta alla portata di tutti, come del resto sottolineava già con una punta d’ironia Pellegrino Artusi, scrivendo di “un piatto che tutti lo sanno fare cominciando dal ciuco, il quale forse fu il primo a darne il modello al genere umano”. “La polpetta non richiede una grande manualità, anzi riporta alla memoria gesti e movimenti che siamo abituati a fare sin da bambini - continua Mirko Ronzoni -. Il segreto è quello di bilanciare con cura gli in-
febbraio 2014 gredienti e di optare per una cottura dolce che non rischi di asciugarle troppo perché devono risultare morbide dentro e croccanti all’esterno”. Dolcezza, semplicità, eleganza e salute sono i capisaldi per Gualtiero Marchesi della “polpetta gentile”, “materica e materna”, dalla “forma rassicurante e ancestrale”. Anche se per il Maestro della cucina italiana l’abbinamento ideale consiste in una semplice insalata e in un bicchiere di rosso fresco, non c’è che l’imbarazzo della scelta
nelle salse d’accompagnamento: “Verdura o frutta ben si prestano al contrasto con polpette di carne o pesce - continua Ronzoni -. Le salse riescono a dare carattere e una marcia in più alle solite polpette, conquistando anche l’occhio, con una mise en place elegante. Poi ci sono le classiche polpette con il pomodoro, base anche di spaghetti with meatballs, che però è davvero distante dal nostro gusto e per noi italiani resta sempre, in fondo, un’americanata”.
LE RICETTE DI MIRKO RONZONI Polpette al curry e latte di cocco Ingredienti 1 piccola cipolla, sbucciata e tagliata a brunoise 1 spicchio d'aglio, sbucciato e tritato 1 cucchiaino di peperoncino essiccato 500 g di carne macinata 75 g di mollica di pane fresco 3-4 cucchiai di latte olio d'oliva, per friggere Sale e pepe nero appena macinato Per la salsa 2 cucchiaini di coriandolo fresco 4 semi di cardamomo 1 cucchiaino di curcuma ½ cucchiaino di cannella in polvere 1 cucchiaino di peperoncino essiccato 2 lemongrass 5 centimetri di radice di zenzero fresco, sbucciato e affettato 400 ml Brodo di pollo 400 ml latte di cocco 1 lime
Procedimento
Ecco alcune ricette per portare in tavola tradizione e innovazione, a prova di vegetariani e amanti di gusti esotici, ma sempre con gusto italiano. All’arte di sminuzzare, amalgamare e dosare, l’Accademia del Gusto (piazzetta don Gandossi, Osio Sotto, 035.4185706/707 www.ascomformazione.it) dedica il corso “Piovono polpette” in omaggio al cartoon - in programma il 17 marzo.
Soffriggere la cipolla e l'aglio in padella con un po' di olio per circa 5 minuti, aggiungere il peperoncino. Mettere il trito di carne in una grande ciotola e aggiungere il condimento. Mettere la mollica di pane in un’altra ciotola e bagnare con il latte. Aggiungere il condimento, quindi mescolare il pane e il composto di cipolla nel trito. Con le mani bagnate formare le palline delle dimensioni di una pallina da golf. Trasferire in un vassoio e raffreddare per 30 minuti in frigorifero. Far rosolare le polpette in un tegame con un filo di olio per 4-5 minuti, girando spesso finché risultano ben dorate. Aggiungere il coriandolo tritato, cardamomo frullato, curcuma, cannella, peperoncino, lemongrass tritato e zenzero. Mescolare finchè tutte le spezie si scaldano e fuoriescono tutti i loro aromi, aggiungere il brodo e il latte di cocco e portare a cottura a fuoco lento. Assaggiare e regolare il condimento se necessario. Fare bollire per 8-12 minuti fino a portare a cottura le polpette e addensare la salsa. Aggiungere la scorza di lime e il suo succo e servire caldo.
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IL CORSO Polpette tradizionali con dressing senapato allo yogurt Ingredienti 500 g di macinato di bovino (tipo scamone o filetto) 250 g di pane raffermo 50 g di parmigiano reggiano 2 uova prezzemolo e erba cipollina tritata qb sale olio per friggere Per la salsa 1 yogurt greco senape piccante di Digione olio extravergine sale e pepe
Procedimento
Preparare la salsa: aggiungere allo yogurt, la senape, mescolare e aggiungere l’olio a filo continuando a mescolare con una frusta fino quando il composto avrà raggiunto una consistenza abbastanza fluida. In una ciotola condire la carne con sale e olio, aggiungere il prezzemolo e l'erba cipollina tritati. Ammollare il pane nel latte, fino a che non sarà del tutto zuppo, strizzarlo e aggiungerlo al macinato. Mescolare insieme alle due uova e al formaggio. Formare delle polpettine della misura desiderata, scaldare l'olio in padella e cuocerle da un lato e poi dall'altro schiacciandole leggermente per circa 10 minuti coprendo con un coperchio. Scolare le polpette su carta assorbente e servirle con il dressing.
Veggy Polpette Ingredienti
4 carote 100 g di zucca 2 zucchine 100 g ricotta salata 60 g prezzemolo tritato 60 g sedano tritato qb sale e pepe qb pane grattato
Procedimento
Grattugiare grossolanamente tutte le verdure in una bowl, strizzarle delicatamente per rimuovere l'acqua di vegetazione che farebbe perdere la croccantezza in cottura. Grattugiare la ricotta salata ed aggiungerla all'impasto con il sedano, il prezzemolo e una cucchiaiata di pan grattato. Dare forma alle polpette e cuocerle in padella antiaderente con un filo d’olio. Si possono abbinare su un gazpacho di pomodori e tabasco.
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Fino alla fine di giugno la speciale proposta di 42 locali bergamaschi
35 euro, nei ristoranti il prezzo diventa amico
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il prefisso telefonico di Bergamo e provincia, ma ora è anche l’identificativo sotto il quale si sono riuniti 42 ristoranti di qualità per promuoversi. Lo fanno con un prezzo fisso e tutto compreso, di 35 euro appunto, per menù appositamente creati per la rassegna. Una risposta alla crisi, un modo per invogliare ad uscire e a scoprire lo stile delle diverse insegne e per intercettare anche i giovani grazie ad un’offerta chiara e dettagliata, ad un prezzo accessibile e competitivo per questo tipo di accoglienza e cucina. I locali coinvolti sono attività affermate o novità interessanti, si va dai capisaldi della ristorazione del centro e di Città alta agli indirizzi sicuri in provincia, spaziando tra i territori, le specialità e le esperienze di ogni chef. La promozione, partita il 14 gennaio, si concluderà il 30 giugno. Sul sito www.trentacinqueuro.it basta cliccare sul nome di ciascun partecipante per visionare il menù, che nell’arco del periodo può variare. La prenotazione è obbligatoria contattando direttamente il locale scelto; i
posti dedicati all’iniziativa sono limitati. Sono compresi coperto, servizio e bevande, con il limite di una bottiglia di vino ogni due persone.
Le insegne aderenti A Bergamo: Arti, Balicco, Baretto di San Vigilio, Benigni, Cece e Simo, Enoteca Zanini, I Sapori di Terra e Mare, Il Gourmet, Il Pianone, Lalimentari, La Marianna, La Tana, Mimì-La Casa dei Sapori, Monnalisa, M1lle, Osteria al Gigianca, Taverna Valtellinese, Trattoria Sant'Ambroeus In provincia: Binomio (Dalmine), Cantina Lemine (Almenno San Salvatore), Casanova (Curno), Colletto Agribiorelais (Adrara San Martino), Cucina Cereda (Ponte San Pietro), Don Luis (Torre Boldone), Fatur (Cisano Bergamasco), Giordano (Cavernago), Il Becco Fino (Albino), La Corte del Noce (Villa d'Adda), Le Ciel (Madone), Mariet (Romano di Lombardia), One Restaurant Chicco Coria (Dalmine), Opera Restaurant (Mozzo), Osteria MarcoRossi (Paladina), Pampero (Ranzanico), Ponte di Briolo (Valbrembo), Ravecca (Romano di Lombardia), Della Torre (Trescore), Stockholm (Castelli Calepio), Trattoria del Sole (Fiorano al Serio), Trattoria del Tone (Curno), Trattoria Visconti (Ambivere), Zu (Riva di Solto).
Iniziativa nazionale analoga a quella già proposta a Bergamo
“CENE STELLATE”, LA FORMULA DI INGRUPPO FA SCUOLA Chissà se l’esempio è stato preso da InGruppo, l’iniziativa alla seconda edizione che propone (fino al 30 aprile) menù completi nei ristoranti stellati e di fascia alta della Bergamasca al costo di 99 euro per due persone. È comunque la conferma della bontà dell’intuizione
il fatto che una formula simile venga ora adottata su tutto il territorio nazionale. Si chiama “Cene Stellate” ed promossa dalla guida on line ai ristoranti DiningCity Italia, sulla scorta di analoghe esperienze già realizzate, con successo, in Europa. Dal 21 al 30 marzo, i risto-
ranti stellati che aderiranno al progetto (la lista è in costante aggiornamento) proporranno un menù di cinque portate a prezzi “calmierati e graduati”: 55 euro nei ristoranti 1 stella Michelin, 70 euro nei ristoranti 2 stelle Michelin e 80 euro nei ristoranti 3 stelle Michelin.
L’occasione è ghiotta per gli appassionati e promettente per i locali, in Olanda, ad esempio, ha coinvolto 70 ristoranti, visitati da 14.945 persone, ossia più 200 a ristorante in una sola settimana. Info: www.diningcity.com
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LA TRADIZIONE
L' involtino di verza col ripieno di carne di maiale è ancora oggi un piatto apprezzato nella Bergamasca. Nel tempo la ricetta ha subito diversi aggiustamenti
di Leonardo Bloch
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Nosécc, una delizia passata indenne tra i secoli
e v’è un ricettario di cucina la cui lettura merita di essere affrontata dal gourmet bergamasco con addirittura triplice deferenza, questo è indiscutibilmente la cinquecentesca ”Opera di Bartolomeo Scappi, Mastro dell’arte del cucinare”. La prima razione d’ossequio spetta per motivazioni, per così definirle, di mera ordinanza. Il monumentale trattato del cuciniere rinascimentale - personal chef dei pontefici Pio IV e Pio V - rappresenta infatti per le discipline gastronomiche ciò che il quasi coevo “Sidereus Nuncius” di Galileo Galilei ha significato per la cosmologia, tracciando una delle frontiere che nella storia del sapere umano scindono l’antico dal moderno. Una seconda e più territoriale ragione di reverenza risiede nell’autorevole attestato di considerazione per il nostro vernacolo che si cela tra le pieghe dell’imponente testo. Nel quarto libro dell’Opera, tra i resoconti dei più memorabili banchetti romani organizzati a cura dello Scappi, ha rilievo la “Colatione fatta all’ultimo di Febraro a Montecavallo (l’attuale Quirinale, nda),
nella sala dell’illustrissimo e reverendissimo Cardinal Bellaia, a un’hora di notte, dopo che fu recitata una comedia in lingua Francese, Bergamasca, Venetiana
et Spagnola”. La lista delle vivande proposte nell’occasione è assai più nutrita di quella che ai giorni nostri si converrebbe per uno spuntino del dopoteatro: ben 65 por-
tate ripartite in quattro servizi, tra cui spiccano preparazioni iperbolicamente barocche quali le “teste di rufalotto (cinghialetto, nda) cotte in vino, servite fredde con orpelle adornate e fiori sopra e fuoco profumato artificioso in bocca”. Ma di tale convivio risaltano soprattutto le sfaccettature storico-letterarie: il padrone di casa ovverosia il Cardinal Bellaia - altri non è che l’arcivescovo di Parigi Jean du Bellay, il cui attendente culturale risponde nientemeno che al nome di François Rabelais. Il padre dei leggendari Gargantua e Pantagruel ha dunque avuto voce in capitolo nell’allestimento di una pièce teatrale - forse opera del veneziano Andrea Calmo, commediografo dalla vena singolarmente poliglotta - che innalza al rango di lingua l’idioma degli Zanni e dei facchini bergamaschi, equiparandolo per giunta al francese ed allo spagnolo. L’ultima ma non meno significativa dose di osservanza è da tributarsi allorché, tra le centinaia di ricette codificate nel trattato, ci si imbatte nel prototipo di una delle preparazioni più
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Villa d'Almé classiche della tradizione culinaria bergamasca: “Per empire foglie di cauli d’una compositione detti nosetti”, progenitori degli involtini di verza a noi più familiari sotto la dizione dialettale di nosécc. Nelle indicazioni dello Scappi la farcia dei fagottini si componeva di noci e mandorle sminuzzate, mollica di pane ammollata, cacio grattugiato ed un trito di aglio ed erbe aromatiche - menta, maggiorana e prezzemolo -. Avvolti nelle falde della brassicacea, gli arcaici tortelli andavano sobbolliti in brodo grasso assieme a delle cervellate (antiche salsicce tipiche dell’area padana, nda), ed in accompagnamento a queste ultime venivano serviti. La misurata speziatura - a base di soli pepe, cannella e zafferano - e la mancata previsione dell’allora immancabile spolverata finale di zucchero sono chiaro indice di aderenza ai rustici natali del piatto. Ovviamente i manicaretti di cui si dà conto nell’Opera non sono sola farina del sacco dello Scappi: in letteratura gastronomica è reperibile un ancor più antico riferimento ai noxetti nel quattrocentesco Libro de arte coquinaria del Maestro Martino da Como - a sua volta cuoco secre-
to del Patriarca di Aquileia dal quale si ricavano le origini medievali della pietanza ed il collegamento del suo etimo alla presenza delle noci nella farcia. Con il trascorrere dei secoli l’impianto della preparazione è stato semplificato accorpando il pesto delle salsicce al ripieno, dal quale si sono eliminate noci e mandorle, e sfrondando il bouquet aromatico da erbe e spezie ridondanti. Una più incisiva cottura in umido ha inoltre soppiantato l’originaria sbollentatura. A dispetto delle modifiche intervenute, la ricetta dei nosécc cui ai giorni nostri ci atteniamo è sorprendentemente fedele a quella tramandataci dai trattati di Bartolomeo Scappi e di Martino da Como, e va di diritto iscritta nell’elenco delle rare vivande che sono passate pressoché indenni attraverso il tritacarne delle ere moderna e contemporanea. Ed ancor oggi, a distanza di cinquecento anni, in essa si avvertono le fragranze di un’epoca nella quale il Bergamasco aveva dignità di lingua letteraria ed al desco pontificio si servivano involtini di verza, a riprova di quanto effimero sia ogni discrimine tra miseria e nobiltà.
SONO IN CARTA IN QUESTI RISTORANTI • Giubì dal 1884
Almenno San Bartolomeo
• Trattoria Visconti
Ambivere
• La Colombina
Bergamo Alta
• Antica Osteria il Forno
Brembilla
• La Conca Verde
Trescore Balneario
Il salumificio Edoardo Gamba premiato dal Gambero Rosso
Nella recente prima edizione della guida ai Grandi Salumi edita dal Gambero Rosso, il salumificio Gamba di Villa d’Almè entra a fare parte delle principali eccellenze dell’arte salumiera italiana. Non solo è citato nella guida, ma ha ricevuto un premio per ognuno dei tre campioni presentati. “La scorsa primavera - spiega Claudia Gamba, titolare del salumificio con il fratello - ci hanno contattato e richiesto la campionatura di tre prodotti. Gli abbiamo inviato i salumi che secondo noi presentavano il corretto grado di stagionatura e in quel momento erano la salsiccia piccante biologica, la slinzega di suino e quella di manzo”. Rispettivamente, la prima si è aggiudicata il premio speciale “I migliori salumi biologici”, le altre si sono piazzate tra le 29 migliori eccellenze italiane. “Noi - spiega ancora Claudia Gamba - puntiamo molto sulla qualità e artiginalità, a partire dalla scelta delle materie prime, per poi passare al rispetto dei tempi di stagionatura, ma non solo: abbiamo una linea di prodotti biologici per la cui produzione utilizziamo solo carne, sale e spezie naturali, eliminando completamente nitrati e nitriti". Grande soddisfazione quindi in casa Gamba. Molte le ambizioni per il futuro e la voglia di guardare lontano che li spinge a credere che quella intrapresa possa essere la strada giusta. l.abr.
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FACECOOK ALLA SCOPERTA DEI SOCIAL-CHEF
Il bergamasco Marco Morosini gestisce dal 2008 un locale in Alabama, in cui i piatti italiani si affiancano a quelli più tipici della ristorazione a stelle e strisce. La specialità lombarda segnalata dalla guida ai ristoranti della città. Per le lasagne i maggiori apprezzamenti della rete
di Laura Ceresoli
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«Agli americani ho fatto amare anche cassoeula e polenta»
n’enorme Cassoeula fumante adagiata su un letto di verze e accompagnata da una morbida polenta bergamasca: è questa la foto più ghiotta che nelle ultime settimane è apparsa in primo piano sulla pagina Facebook del Silvertron Café, il ristorante gestito da Marco Morosini. Fin qui tutto normale, se non fosse che questa prelibatezza lombarda è al momento il piatto di punta di uno dei
più noti locali di Birmingham, in Alabama. Un altro bergamasco è così riuscito nell’ardua impresa di esportare le tradizioni del nord Italia oltre i confini nazionali. Un esperimento tutt’altro che scontato visto che questa popolare pietanza è stata inserita all’interno di un menù che di nostrano ha ben poco. E la Cassoeula di Marco è così speciale che è stata annoverata tra i 50 migliori piat-
ti recensiti dal giornalista Jan Walsh sul sito www.birminghamrestaurants.com. Classe 1973, Morosini dopo aver studiato ragioneria all’istituto Belotti di Bergamo e aver tentato la fortuna in diversi Paesi stranieri partendo come la-
«DAL WEB UN RISCONTRO IMMEDIATO SULLE NUOVE PROPOSTE» Come ha iniziato ad appassionarsi di cucina? «Ho iniziato nella ristorazione quando avevo 17 anni e non mi sono più fermato. Ho lavorato in diversi posti come cameriere, barista, barman per poi trasferirmi all'estero». Dove ha lavorato? Ho cominciato in Francia. Sono partito dal basso e sono arrivato a lavorare come Chef-de-rang al Ledoyen, all'epoca uno dei top 5 ristoranti di Parigi. Poi mi sono trasferito negli Stati Uniti dove ho iniziato come semplice lavapiatti, ma nel giro di due anni sono diventato assistente manager in un ristorante a San Francisco. Ho sempre lavorato duro ma nella sala. Quando nel 2008 ho comprato il ristorante Silvertron a Birmingham, in Alabama, mi sono scoperto sempre più amante della cucina.
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Non mi ha insegnato nessuno e ora cucino piatti italiani durante cene italiane a tema, una volta ogni tanto». Marco Morosini Come promuove la sua attività in Internet? «Uso Facebook, Twitter e Instagram. Sono gratis, promuovi immediatamente e hai subito una buona idea dell’impatto che il tuo ristorante ha sulle persone attraverso i commenti, i “likes” o via dicendo. La pubblicità stampata non offre riscontri così diretti, ma ha il suo peso nel promuovere il nome di un locale».
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A Lariofiere dal 16 al 19 febbraio
RISTOREXPO, IN SCENA I GRANDI CHEF
vapiatti e cameriere, oggi ha coronato il suo sogno americano. Insieme alla moglie Elan, addetta alla contabilità, è riuscito nel giro di cinque anni a rilanciare il Silvertron Cafè con una carta variegata dove i cibi italiani ben si alternano a quelle specialità autoctone a cui gli statunitensi proprio non riescono a rinunciare. Così, tra piccanti quesadillas e maxi hamburger di manzo in stile tex-mex, si scorgono a sorpresa anche linguine alla marinara, ravioli al pesto, bruschette al pomodoro e le ormai celeberrime lasagne di Marco. Non mancano poi piatti della tradizione italiana rivisitati per andare incontro ai palati internazionali. Il menù è infatti ricco di paste condite con ingredienti da noi poco indicati per una sana spaghettata, dal petto di pollo alla feta, dalle noci Pecan al Cheddar. Positivi anche i commenti su Tripadvisor dove il 78% dei clienti consiglia di far visita al Silvertron Cafè. Su 47 recensioni presenti, 21 hanno giudicato questo locale eccellente, 16 molto buono e 6 nella media. Soltanto uno ha azzardato uno “scarso” e in tre hanno dato
Qual è il suo rapporto con le recensioni di Tripadvisor? «Beh, le devi prendere con un po' di filosofia. Io sono sempre al ristorante e se abbiamo una serata storta me ne accorgo. Quindi, se arrivano commenti negativi, so già che il problema è dovuto a una serata nata col piede sbagliato e non a un problema continuo. L'importante è non tralasciare mai di rispondere al cliente, il quale ha tutta la ragione di esprimere la sua opinione e se si risponde che si è a conoscenza di quello che è successo, si hanno più possibilità che poi ritorni. Essere sinceri, riconoscere il problema e risolverlo è un buon metodo».
un voto “pessimo”. «Le porzioni erano fantastiche e le ricette erano molto originali – scrive un cliente di Pittsburgh (Pennsylvania) –. Il cibo era molto saporito! Il cameriere che ci ha servito era tranquillo, educato ed efficiente». Apprezzatissime sono poi le lasagne di Marco, ormai un “must” per gli habitué del ristorante: «Vale senz’altro la pena visitare questo posto se volete un po’ di cibo locale di Birmingham – scrive un residente della zona – anche se probabilmente sono più famosi per le loro lasagne, fatte in modo diverso ogni giorno, e per tutte le paste che servono». E ancora: «Hummus e lasagne vengono preparati giornalmente e sono sempre buoni – scrive Katie B, di Birmingham –. I prezzi sono giusti, il personale gentile e il cibo decisamente buono. Questo è sicuramente uno dei migliori ristoranti di Birmingham». Il locale gestito da Morosini ha 120 coperti e può contare su un flusso di circa 2.300 clienti la settimana. Per saperne di più su questo inconsueto angolo italiano in Alabama www.silvertroncafe.us.
Com'è cambiata la ristorazione e il rapporto con i clienti grazie ai nuovi media? «Facciamo un esempio: creo un piatto e lo fotografo alle 10.15, alle 10.16 tutti sanno di quel piatto. Dalle risposte saprò se sarà un successo o no. I social network sono un canale molto immediato ed efficace». Riesce a far conoscere la cucina bergamasca nel mondo? Con quali piatti? «Cassoeula con la polenta, anche se è più un piatto lombardo che bergamasco». A quale piatto della cucina orobica è più legato? «Sinceramente? A tutti!».
Torna RistorExpo, l'evento fieristico dedicato alla ristorazione professionale in programma a Lariofiere (Erba) dal 16 al 19 febbraio. Attesi tra i 20 e i 25mila ingressi. Buona la presenza bergamasca, che nelle scorse edizioni ha fatto registrare una percentuale, sul totale dei visitatori, che si aggira intorno al 20%. Il tema dell'edizione 2014, "In cibo veritas", è più che mai legato ai contenuti di Expo 2015 ed ha come obiettivo quello di assicurare a chi si occupa di ristorazione una significativa crescita professionale, grazie al contributo di numerosi personaggi che racconteranno le loro esperienze ed i loro progetti con i quali sono stati in grado di far emergere i valori del cibo e della cultura enogastronomica. Gli chef dell’edizione 2014. Il tema verrà affrontato con forum, interviste, stage di cucina ed incontri con il contributo di diverse figure importanti, volti noti della scena gastronomica italiana. Confermati gli stage di cucina con gli chef Davide Scabin, Viviana Varese e Sandra Ciciriello, Christian e Manuel Costardi, Norbert Niederkofler, Pier Giorgio Parini e Paolo Lopriore. I vini della Valtellina. Si rinnova anche per questa edizione la collaborazione con i vini valtellinesi. Per tutta la durata di RistorExpo, lo stand del Consorzio di Tutela presenterà al pubblico un'ampia selezione di prodotti delle aziende vitivinicole della Valtellina. Sarà l'occasione non solo di degustare ottimi prodotti, ma anche per provare interessanti abbinamenti enogastronomici.
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L’INTERVENTO di Everisto*
Tipico atipico, pressoché utopico
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iamo già nell’era della post globalizzazione. Si sono da un bel po’ sostituite le vetrate di banche e McDonald’s mandate in frantumi da militanti orfani di un sogno da coltivare. D’altro canto è dura la vita del figlio di sessantottini e settantasettine. E così eccoci all’epilogo. Qualche protesta fatta più di stizza male indirizzata, che di ideali e fantasia, qualche pacifista in più, magari buddista e che si nutre di tofu e licheni acquistati on line costituiscono la nuova eredità. La “generazione no global” può iniziare a fare un primo inventario. In questo decennio e mezzo si è ac-
cettato proprio tutto. Supinamente e nel momento peggiore, si è digerita la sentenza che senza banche non si vive, e neppure si può rinunciare al poco che danno e al molto che tolgono. Abbiamo metabolizzato il nuovo modo di alimentarci, non senza reticenze certo, ma tutto è stato incamerato nel serbatoio dell'“ineluttabilmente così”, del “tanto il mondo va così e non lo correggi certo tu coltivando un orto”. Questa premessa sembrerebbe aprire una dissertazione che richiede puntate, ma non abbiate timore, ho voluto partire “sparando a rosa lar-
ga”, ora però prendo la mira. Quante volte, frequentando locali, nelle più svariate situazioni abbiamo letto la dicitura: “Tipico”? Confessatelo, innumerevoli volte, dappertutto e a tutte le ore. Quante volte poi, ce lo hanno detto con voce rassicurante. Ma andiamo in ordine verificando il senso del vocabolo in questione. Spulciando alla ricerca del significato e senza fare riferimenti a questo o a quel dizionario, nell’accezione che interessa a noi leggiamo: “Che è proprio di un tipo; peculiare, caratteristico, particolare: segni, tratti tipici di una persona; è un'espressione tipica
L'evento a Osio Sotto
"LA BERGAMASCA", FA CENTRO LA CENA DEL NORCINO Alan Sartirani, patron del ristorante “La Bergamasca” di Osio Sotto, non si concede facilmente una pausa. Affiancato dalla moglie Milena, da validi collaboratori in cucina e ragazze sveltissime in sala, è alla perenne ricerca di novità da offrire alla sua clientela. L’ultima è stata la “Cena del Norcino”, una serata di fine gennaio, tutta in onore del maiale. Alla presenza di una piccola esposizione di attrezzi del mestiere, hanno partecipato, dettagliando con maestria tutte le la-
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vorazioni, il norcino (ol masader) Carlo Gerbelli, che affianca Alan, l’insaccatore Raf “Ezio”Riva e sua moglie Vanna, che si occupa della speziatura. Tutta la lavorazione del maiale, che procura a “La Bergamasca” un autentico bendiddio, avviene alla Cascina Speranzina di Cavernago, il regno di Cristiano Azzolin. La serata, che ha gremito le sale, a chi sceglieva il menù degustazione, proponeva la Tavolozza di salumi, con il prosciutto
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di questo scrittore; un piatto tipico della cucina sarda”. Bene!, aggiungo io. Dunque ci sarebbe da stare tranquilli ogni qualvolta sentiamo dire che quel che ci viene servito è tipico. Peccato che questa parolina dal suono un po’ spigoloso, a ben analizzarla sia più introduttiva che descrittiva. Si, introduttiva di altre più precise e doverose informazioni, ma spesso…puff. Arrivati a questo punto la spiegazione finisce d’incanto dissolvendosi come fumo di un toscanello in una giornata di tramontana. Questo però è alquanto strano, è come se un insegnante ad un colloquio ci dicesse: suo figlio si comporta. Bada bene, senza puntini di sospensione, i quali prevedono un completamento della frase, o quantomeno una sua prosecuzione. Niente, finita così. Oppure vediamo… come se un medico dal fare solenne e severo con tanto di diagnosi, brandita come Nino Bixio imbracciava il suo schioppo ci dicesse: la sua situazione clinica è. Oddio, è come? Certo sto spingendo la metafora ai limiti, ma il concetto c’è. Così come c’è il problema. La nostra sgangherata Italia rimane la nazione della biodiversità, dei formaggi differenti da valle a valle, dei vitigni che quasi equivalgono per numero censito a quelli di tutto il resto del mondo. Per non parlare delle ricette che costituiscono il
confine tra provincia e provincia, spesso tra comune e comune. Che senso potrà mai esserci nel rompere le vetrine dei fast food, inveire contro le multinazionali, prendersela con la Esso o con la Coca cola, se prima non abbiamo la coscienza della nostra storia e l’orgoglio per la nostra biodiversità. Se non abbiamo a cuore le piccole grandi diversità, che dei colossi divoratori sono l’esatto contrario e il vero antagonista? Ē ora di difenderle con la consapevolezza, la storia e la biodiversità. E allora - santo cielo! - perché permettiamo che dei prodotti, non di rado giunti da un’Europa che ci denigra ma nonostante tutto ancora ci copia, siano definiti tipici? Ma tipici di che? Piuttosto non dirmi nulla. Taglia corto, che tanto forse nemmeno ti chiedo altro, non aggiungere la parolina magica, oramai son seduto e li mangio lo stesso. Non dirmi che il salame che sto mangiando è tipico perché stavolta m’incazzo davvero e rischi grosso, rischi che io ti chieda: di puro
suino? Allevato dove? Allevato come? Macellato da chi? Impastato con quali aromi? Realizzato in base a quale disciplinare? Nel rispetto di quale tradizione? E i conservanti? Stagionato quanto? Che peso aveva all’origine? Eccetera. Io vieterei l’uso di questo odioso e subdolo nomignolo. Se non mi chiedi molti soldi per un salame mediocre, ciò non ti legittima a confondermi le idee, dimmi piuttosto con onestà che è industriale, e che male c’è? Cosa ci sarà di male nell’essere chiari, trasparenti e sinceri una volta tanto? Se non impariamo la lezione, un po’ ci sta bene. Ci sta bene se di questo passo ci considereranno importanti come la Mauritania alle olimpiadi invernali. Se è questa la nostra predisposizione alla chiarezza, condizione indispensabile per esigere rispetto, non lamentiamoci se poi la Merkel, tra le nazioni europee ci vorrebbe in squadra con la stessa bramosia con la quale da piccoli, alla partita del pomeriggio sceglievamo il brocco cronico. Quello che veniva sempre scelto per ultimo, che serviva a fare numero, a fare pari le squadre, e giocava solo perché sennò era escluso pure dal gruppo che stava costruendo il fortino di assi. *Dietro questo pseudonimo si cela un noto ristoratore bergamasco
cotto da Alan nel forno a legna, la bresaola, il salame tagliato a punta di coltello, la pancetta, il lardo, il culatello e la giardiniera fatta in casa, come il pane ed i grissini. A seguire Tagliatelle di farina macinata a pietra al sugo fresco di salame e Gnocchi di patate di Martinengo con blu di capra. E poi assaggi di Loanghina, Fegato con cipolle e Casöla, con accompagnamento di Polenta di mais rostrato di Rovetta. Si è bevuto un Valcalepio biologico “Ca’ Verde”, terminando in gloria con un assaggio di buonissime torte casarecce. Alan e Milena Sartirani, anche in questa serata, hanno mandato in onda la ricerca di materie prime d’eccellenza e, soprattutto, la loro grande passione. La gente apprezza e accorre numerosa. Alan Sartirani alla Cena del Norcino.
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LA BOTTEGA Lui ex consulente d'azienda, lei appassionata di minestre: insieme hanno dato vita alla zupperia in piazza Pontida. Decine le proposte in carta, dalla Ribollita alla Vellutata di zucca fino alla Pasta e fagioli. Imminente il servizio di consegna a domicilio
di Leo Bartoli
Da "Sigi" non è la solita zuppa
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rendete un consulente d’azienda che combatte quotidianamente all’arma bianca contro la crisi, aggiungete una moglie appassionata delle più gloriose minestre della tradizione italiana e concludete la ricetta con un pizzico di follia: così è nata, ormai un anno fa, la Zuppa di Sigi, che si è già fatto un buon nome nell’ormai affollata offerta targata piazza Pontida (per l’esattezza in vicolo dei Dottori), tra locali partenopei e angoli di Maghreb, tanto che a Bergamo ormai si dice che dopo la “pizzamania” e la “polentamania” sia ormai scoppiata la “zuppamania”. Un’idea che parte dalla passione per le cose buone della proprietaria Simona, che insieme al marito Nereo Bacci, ha affrontato quest’avventura arrivando da tutt’altre esperienze. Ma il gusto estetico per la vita era già forte in loro, lavorando entrambi, un paio di lustri fa, nientemeno che per il gruppo Versace. Dall’alta moda alla cucina, le due grandi eccellenze del made in Italy: di esperienze ne ha maturate la coppia prima di approdare nel localino nel cuore di Bergamo. “Anche solo tre o quattro anni fa, mai avrei pensato di lavorare nell’agroalimentare - spiega Nereo -,
ma devo dire che passione e soddisfazioni sono anche maggiori rispetto alle nostre precedenti attività”. A spingerli tra i fornelli dopo aver lavorato dietro le quinte delle sfilate non è stata quindi l’impietosa recessione economica, ma una passione sincera, che anziché attenuarsi col tempo, continua a crescere. Tutto inizia nel
luglio del 2011, quando Nereo Bacci, dopo l’esperienza (area finanza) nella maison mondiale con il simbolo della Medusa (e prima ancora in Trussardi), era diventato consulente gestionale e finanziario per una società di Bergamo: “Mi chiama al telefono Simona e mi racconta della sua idea di aprire una zupperia in centro.
La cosa mi è piaciuta subito, perché aveva il crisma dell’originalità e rispondeva ad un crescente bisogno di alternative valide al solito panino o alla solita pizza per chi lavora e all’attenzione diffusa, alla qualità e alle proprietà nutrizionali di cosa si mangia. E poi, pensavo, in quasi 15 anni di matrimonio Simona si è sbagliata ben di rado: la sua passione per la cucina era nata proprio quando ci eravamo conosciuti lavorando nella sede milanese di Versace: studiava in continuazione nuove ricette. E l’amore più grande, naturalmente, è sempre stato legato alle zuppe della tradizione”. Così il 24 gennaio 2013 apre “La Zuppa di Sigi”, dal soprannome dato a Simona da piccola in famiglia. Un progetto che, per l’alta specializzazione in un’unica tipologia di prodotto (allargata in un secondo momento anche ai tortini di verdure e ad alcune torte dolci), appare subito ad alto rischio, tanto più se si considera che non era mai stato sperimentato da altri, né a Bergamo, né altrove. Con quel viavai di pony express che portano da un capo all’altro della città pizze calde, e l’invasione in centro dei kebab, i due ignorano quali margini di penetrazio-
febbraio 2014
FRANCIACORTA, AUMENTA LA QUOTA DELL'EXPORT Nereo Bacci con la moglie Simona (a sinistra) e l'aiutante Alice
ne possano esserci. “Ci confortava l’idea che un po’ tutti eravamo legati a quei ricordi d’infanzia, con quelle minestre fumanti che arrivavano nei nostri piatti dai fornelli della mamma o della nonna”. Questa reminiscenza gastronomico-romantica del consumatore medio, unita all’esigenza di un mangiare più sano, equilibrato e meno ripetitivo, ha fatto sì che l’idea decollasse. “Subito ci siamo concentrati sull’asporto - spiegano Simona e Nereo -: pensando che sarebbero state le zuppe ad andare dai clienti, non tanto il contrario. Ma chi viene a mangiarsi la zuppa nei nostri locali è comunque il benvenuto”. Anche se nel 2014 c’è la volontà di rilanciare il take away, con la consegna delle zuppe a domicilio: “Mangiarsi a casa una bella minestra portata dai “pony zuppa” di Sigi - aggiunge Nereo - è tutta un’altra cosa”. Tra le decine di zuppe in menù, che Simona crea nel laboratorio di Chiuduno e che Nereo, coadiuvato nella somministrazione da Alice, propone in città alla clientela, ne abbiamo scelto una cinquina, proponendo anche l’immancabile abbinamento enologico: la Ribollita, classico toscano cui abbinare un Chianti generoso; la Zuppa di pesce, molto ricca che sposa bene un Prosecco o meglio ancora un Vermentino di Gallura; Pasta e fagioli, intensa, da abbinare a un corposo Dolcetto d’Alba. Accanto a questi tre classici, due minestre più originali come la Vellutata di zucca, amata dai giovani a cui consigliamo l’ardito abbinamento con un Gewurztraminer e la saporitissima
Zuppa di fave e patate al timo, innaffiata con un Greco di Tufo d’annata. “Ma al di là delle ricette più o meno sfiziose, c’è un ingrediente che ormai manca alla stragrande maggioranza delle famiglie italiane e che noi mettiamo invece a disposizione - spiegano Nereo e Simona -: è il tempo. Qui non parliamo di un piatto cotto e mangiato o di una pizza che può essere pronta in 3-4 minuti. Chi conosce un po’ la cucina, sa che per una minestra fatta “a regola d’arte” occorrono ore: noi mettiamo questa variabile a disposizione della clientela abbinando gusto e genuinità alla praticità di un packaging che consente di acquistare le zuppe e portarsele via, preparandole e riscaldandole poi in 3 minuti a casa propria. È una sfida che lanciamo a chi non si vuole arrendersi all’omologazione quotidiana del cibo, che è anche cultura e amore per le tradizioni. Se infatti i bergamaschi ritroveranno le zuppe dell’infanzia, il nostro menù è in grado di accontentare appassionati e gourmet dal Piemonte alla Sicilia, dalla Toscana al Veneto, proponendo zuppe di ogni angolo d’Italia”.
Un anno positivo per il Franciacorta, che nel 2013 cresce lievemente nel mercato interno mentre fa registrare un incremento a doppia cifra della voce export rispetto al 2012. Le bottiglie commercializzate superano di poco i 14 milioni, di cui circa 1,3 milioni sono state destinate all’estero (+14,3% sul 2012) con un’incidenza sul totale delle bottiglie vendute salita al 9%. Dall’elaborazione dei dati dall'Osservatorio economico, emerge che il Franciacorta ha avuto un buon incremento nel numero di bottiglie vendute nel Sud Italia, sebbene il Nord Italia mantenga il primato delle vendite. All’estero, il principale mercato per il Franciacorta si conferma il Giappone; a seguire Usa, Germania, Svizzera. Molto interessanti i risultati ottenuti nel regno Unito, dove nel 2014 proseguiranno le attività di promozione e valorizzazione del brand iniziate nel 2013. “Quello appena passato è stato un anno intenso che ci ha visti impegnati su vari fronti, soprattutto all’estero, per diffondere la cultura del Franciacorta." - dichiara Maurizio Zanella, presidente del Consorzio Franciacorta -. La crescita nei volumi è stata coerente alle aspettative, anche in considerazione della difficile congiuntura economica particolarmente grave in Italia, consentendo di mantenere il prezzo medio di vendita per bottiglia in linea con quello del 2012 - aggiunge Zanella -. Nel 2014 ci attende ancora molta strada da fare per conquistare nuovi consensi all’estero, soprattutto in mercati che ci stanno seguendo con interesse come Usa, Regno Unito, Giappone e Svizzera”.
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IL PREZZO FISSO
Il locale di Vertova ha introdotto uno scenografico camino dove si cucinano a vista carne argentina, texana, blue beef scozzese, angus, romagnola e bisonte. Alla guida da trent’anni Carlo Costa e la moglie Nadia: «Abbiamo aggiunto un po’ di novità ai nostri classici» Nadia Chioda e Carlo Costa
di Fulvio Facci
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Una grigliata “Da Leone”
al leone al bisonte passa una bella differenza. Non è che trent’anni fa, nella vecchia trattoria “da Leone”, con annessa balera, a Vertova si cucinassero leoni, ben s’intende. Solo che oggi una delle specialità del locale è il bisonte alla griglia, che diventa perciò una sorta di simbolo di come tempi e proposte siano cambiati nel tempo. «Con mia moglie - racconta Carlo Costa, chef e patron – abbiamo
rilevato il locale trent’anni fa apportando man mano delle modifiche per migliorarlo. L’anno scorso abbiamo aggiunto una grande griglia a vista ed è su questa che cuciniamo, appunto, tanti tipi di carne come il bisonte del Canada, la carne argentina, la texana, il blue beef scozzese, l’angus, la romagnola, esposti in un vero e proprio banco come in macelleria. Tagliate, filetti e costate hanno incontrato il gusto della
clientela. Abbiamo voluto così aggiungere un po’ di novità ad una cucina che si era ormai ben attestata sui classici». In effetti, far viaggiare un locale di queste dimensioni, trecento coperti distribuiti in più sale e salette, tra le quali una per fumatori, non è impresa da poco. Il menù a prezzo fisso di mezzogiorno e i banchetti sono tra gli assi portanti e la clientela è soprattutto quella fidelizzata. Da
LA PROVA
“Specialisti” nel menù di mezzogiorno Il menù a prezzo fisso di mezzogiorno è uno dei momenti fondamentali per il ristorante pizzeria, ora anche grill, Da Leone a Vertova: un locale che può ospitare sino 300 coperti. E di movimento, grazie anche all’ampio parcheggio, ce n’è senz’altro. Su ogni tavolo il menù del giorno stampato offre sempre la scelta tra sei primi e sei secondi. Troviamo: farfalle al salmone, riso all’inglese, pasta al pomodoro, lasagne alla bolognese, gnocchi verdi del Tirolo e pasta e fagioli tra i primi. Per i secondi invece la lista propone: bollito misto con salsa
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verde, ossibuchi con piselli, palombo impanato, bocconcini allo zola, uova e “scamuscì”, paillard di tacchino ai ferri. Il contorno è a buffet, ampissimo, di verdure cotte e crude. Il prezzo di dieci euro comprende primo, secondo, contorno, acqua e vino a volontà, caffè, dessert (torta di mele o macedonia). Lasagne alla bolognese, bollito misto (lingua, manzo e cotechino) con salsa verde e contorno di verdure cotte le nostre scelte per un rapporto prezzo/qualità ottimo, con una nota particolare per il servizio in sala veramente inappuntabile.
febbraio 2014 Leone è arredato con gusto e “mise” di ottima qualità. Oltre alla moglie, Nadia Chioda, ora ci sono le figlie Eva e Veronica che danno più di una mano, curando anche l’immagine sui nuovi mezzi di comunicazione. «Facciamo anche pizzeria – dice Nadia Chioda, che si occupa prevalentemente del servizio in sala – ma sentivamo la necessità di dare un po’ una “scossa” ed abbiamo provato con la grande griglia, che fa anche molta scena. Tra le altre novità, abbiamo anche un menù fisso di pesce a 35 euro, una vera scorpacciata che è un’altra alternativa alla nostra tradizione. I piatti di pasta sono fatti tutti in casa e abbiamo una serie di portate che bene si accompagnano con la polenta taragna, un’altra delle altre nostre specialità: quindi selvaggina, stracotti
do. A mezzogiorno l’affluenza è alta e si tratta di persone che spesso hanno fretta, bisogna “pedalare” ma le soddisfazioni non mancano. Le figlie aiutano ed è un aspetto che sottolinea la conduzione famigliare nonostante la dimensione sia notevole». In effetti, si può definire Da Leone un bel locale dove nulla è lasciato al caso. Anche il clima è cordiale. Lo chef Car-
e brasati sono all’ordine del giorno». La scelta è ampia e rodata grazie alla lunga esperienza. «Con 30 o 35 euro a seconda di ciò che si beve (c’è anche un piccola carta dei vini ben assortita) – prosegue Nadia - si possono mangiare un buon primo e un buon secon-
lo dopo le 22 di solito esce dalla cucina a far quattro battute con i clienti e questo non è solo un momento di relax ma è anche l’occasione per raccogliere le opinioni. E in trent’anni di mestiere si può ben dire che questo tandem affiatato ne abbia davvero fatto tesoro.
PROPOSTE IN VAL BREMBANA E VAL SERIANA
IN MONTAGNA TRA CIASPOLATE E BUONA TAVOLA
RISTORANTE DA LEONE via don B. Ferrari, 29 - Vertova tel. 035 711592 - www.ristorantedaleone.it chiuso il lunedì
Sono la versione invernale delle sane sgambate in montagna, ecco perché alle ciaspolate si abbinano con sempre più frequenza ristoratori momenti gastronomici. Anche nella Bergamasca non mancano occasioni per camminare tra la neve muniti delle speciali racchette (possono essere indossate e utilizzate da tutti), vivere il fascino della natura e dei paesaggi e gratificarsi con prodotti tipici e buona tavola. “Emozioni in quota” è il programma di ciaspolate notturne proposte dal ristorante Ristorobie ai Piani dell’Avaro di Cusio, in programma sabato 15 febbraio, 15 marzo e 12 aprile. Dopo una passeggiata nel silenzio della notte accompagnati dalla luna si è attesi da cena tipica nell’accogliente ristorante in quota. Sempre ai Piani dell’Avaro, domenica 2 marzo, Kairos Brembo Emotion propone “Ciaspolando con gusto”, un’escursione tra le baite d’alpeggio dove si possono conoscere, gustare e acquistare, tappa dopo tappa, le tipicità della Valle Brembana proposte direttamente dai produttori. “Ciaspolate sotto le stelle” è l’iniziativa del Rifugio Trifoglio a Valtorta-Ceresola: sabato 22 febbraio, 15 marzo, 5 aprile. Oltre all’uscita e alla cena tipica, il rifugio propone offerte di pernottamento con colazione e pranzo per il giorno successivo. A Valtorta il 15 febbraio va invece in scena “Moon Rider – Serata di luna piena” con la cena al Rifugio Lecco ai Piani di Bobbio. E se le date non combaciano con i propri impegni, il Rifugio Monte Avaro a Cusio propone Ciaspolata e cena tutti i venerdì e sabato, con possibilità di noleggio e guida. (info: www.altobrembo.it). La Val Seriana risponde con “Ciaspolate a Valcanale”, organizzate dall’albergo Concorde (ritrovo tutte le domeniche alle ore 8.45 al ristorante e ogni terzo sabato del mese alle ore 18) fino al 16 marzo, ma anche con le aperture serali per ciaspolatori e scialpinisti del rifugio Vodala agli Spiazzi di Gromo. Il 15 febbraio c’è la “Ciaspolata al chiaro di luna” sul monte Farno, che comprende la degustazione lungo il percorso di prodotti tipici a base di Mais Spinato con salami e formaggi delle malghe. La luna piena ha ispirato nella stessa data la ciaspolata con cena a Schilpario sul percorso Fondi-Madonnina dei Campelli, mentre il 23 febbraio a Oltressenda Alta c’è la Ciaspolata alle baite del Moschel con pranzo convenzionato (info: www.valseriana.eu).
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APPUNTAMENTI SINO A FINE MARZO
Valle dell’Oglio, menù della tradizione in 60 locali
DAL 23 AL 26 FEBBRAIO ALIMENT: ALLA FIERA DI MONTICHIARI STAND, SEMINARI E CONCORSI Taglia il traguardo della 27esima edizione Aliment, la rassegna dedicata all’alimentare, alle attrezzature professionali per la ristorazione, l’hospitality e i servizi alberghieri, in programma dal 23 al 26 febbraio al Centro Fiera di Montichiari (Bs). L’appuntamento si rivolge a bar, ristoranti, catering, food service e alle realtà produttive e distributive, offrendo, oltre all’esposizione con un’ampia vetrina sul beverage e prestigiose cantine, una serie di eventi enogastronomici, sessioni di live cooking e seminari formativi utili per l’aggiornamento. Numerose anche le competizioni, a cominciare dal Gran Trofeo
L’iniziativa è consolidata e le possibilità di scelta non mancano. Sono infatti 60 i ristoranti, le locande, le osterie e gli agriturismo lungo il fiume Oglio che dallo scorso novembre e sino a fine marzo propongono menù della tradizione a prezzi speciali (la fascia va dai 20 ai 40 euro) nell’ambito de “Il percorso del gusto della Valle dell’Oglio”, che coinvolge, oltre alla Bergamasca, i territori di Brescia, Cremona e Mantova. Il corso del fiume diventa la prospettiva di lettura della gastronomia e dei prodotti tipici, che cambiano con il procedere verso valle. Dai casoncelli si passa ai tortelli di erbe o di zucca, dal coniglio ai bolliti, senza dimenticare i salumi e le diverse interpretazioni del pesce di acqua dolce. La rassegna è promossa dai Parchi Oglio Nord e Oglio Sud. I menù ed i prezzi sono riportati dettagliatamente nel volantino pubblicato on line (www. parcoglionord.it). In provincia di Bergamo partecipano 14 locali. A Sarnico Ristorante Bèla Eta, Cascina Boneta, Ristorante Panorama, Agriturismo Cascina Oglio; a Villongo Trattoria Zucchello; a Credaro Ristorante La Cascina, Trattoria da Mario, Agriturismo La Cascina dei Prati; a Palosco Ristorante Ponte Cherio; a Cividate al Piano Ristorante Magetta, Ristorante LocoMotiv; a Pumenengo Osteria Finiletti; a Torre Pallavicina Ostello Molino di Basso, Trattoria dell’Angelo. Ma anche tutte le altre proposte sono a portata di mano: un’occasione, quindi, scoprire sapori, posti e ristoranti. La prenotazione è vivamente consigliata.
IL PRIMO MARZO BED AND BREAKFAST, PER LA GIORNATA NAZIONALE UNA NOTTE È IN REGALO
d’Oro della Ristorazione Italiana, che coinvolge Istituti di formazione professionale turistica ed enogastronomica selezionati tra più di 250 scuole di tutto il territorio nazionale. Immancabili pure le finali provinciali per Brescia e Bergamo del Campionato italiano Baristi-Caffetteria, mentre la novità è la premiazione di “In… Pizzeria 2013”, il primo concorso dedicato alle pizzerie bresciane. Sul fronte dolce, lo spazio è per il “Concorso per il miglior gelato artigianale di qualità”, una gara-spettacolo che metterà a confronto maestri di gelateria da sette regioni italiane nella preparazione del gusto “bacio”: per i panificatori, invece, saranno proposte sessioni tecniche, degustazioni e dimostrazioni a cura del Sindacato Panificatori di Brescia e Provincia - Associazione Artigiani. Alla manifestazione si affianca Commercial Market Expò, il primo evento in Italia interamente dedicato al comparto automarket. Info: www.centrofiera.it
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Se per carnevale ci si vuole regalare una fine settimana goloso alla scoperta di qualche chicca gastronomica o per provare finalmente quel ristorante di cui si è sentito tanto parlare, è bene segnarsi questa opportunità. Sabato primo marzo si terrà l’ottava edizione della Giornata Nazionale del Bed and Breakfast, il “B&B Day”, grazie al quale migliaia di strutture in tutta Italia offriranno gratis una notte a quanti prenoteranno in quel weekend un soggiorno - di due o più giorni - all'insegna dell'ospitalità familiare. L’iniziativa è ideata da www.bed-andbreakfast.it, portale turistico specializzato nell'ospitalità extra alberghiera, che segnala come l'Italia sia diventata la patria del B&B scalzando, in termini di numeri, altri Paesi e individua nella diversificazione (charme e design, dimore storiche, centri storici, giardini e paesaggi, aree metropolitane) uno dei pilastri del successo di questa formula.
febbraio 2014 MARCA TREVIGIANA
GLI CHEF INTERPRETANO IL RADICCHIO IN VERSIONE “STREET FOOD”
DAL 16 AL 18 MARZO
VENEZIA, IN SCENA TUTTE LE FORME DEL GUSTO Tre eventi in concomitanza, questo è Gusto in Scena, manifestazione che torna a Venezia, nella Scuola Grande San Giovanni Evangelista, dal 16 al 18 marzo. Il primo “ingrediente” del trittico, ideato da Marcello Coronini, è "Chef in Concerto", congresso di alta cucina che ha aperto la strada ad un nuovo approccio attento alla salute. Negli anni, il percorso ha sfidato gli chef relatori e i pasticceri a studiare piatti gustosi con ingredienti in grado di sostituire, attraverso la ricerca e la creatività, prima i grassi, poi il sale e nell’edizione successiva lo zucchero. Il tema della “cucina del senza” viene riproposto quest’anno attorno a tutti e tre questi elementi di cui spesso si abusa, una scelta fatta anche in prospettiva dell’Expo che porta in primo piano il tema della nutrizione. Altro versante su cui si articola la tre giorni è “I magnifici vini: vini di mare, montagna pianura e collina”, selezione che propone cantine “cult” italiane e straniere e valorizza aree poco conosciute e nuovi produttori e che si abbina a “Seduzioni di gola: le eccellenze della gastronomia” focalizzata, in particolare, sui prodotti della dieta mediterranea. Completa il quadro Fuori di Gusto, che coinvolge ristoranti, osterie e gli chef dei grandi alberghi veneziani.
Cocoradicchio è una rassegna nata nel 1988 con l’obiettivo di celebrare il Radicchio di Treviso e il Variegato di Castelfranco Igp, due gemme del territorio apprezzate in Italia e all’estero. Per l’edizione 2014 il gruppo ristoratori Cocofungo e Cocoradicchio, aderenti al Gruppo Ristoratori della Marca Trevigiana (UnascomConfcommercio), con la colla-
re delle serate che porteranno in tavola la voglia di divertirsi e sorprendere degli chef trevigiani. Il carattere spiritoso ed ironico degli chef protagonisti è sottolineato anche dai fumetti d’autore firmati Claudio Bandoli che caratterizzano tutta la comunicazione del progetto, all’insegna della vivacità d’animo e del piacere di vivere. Dopo la serata di aper-
borazione dei consorzi di tutela dei due prodotti, coinvolge sei ristoranti in sette appuntamenti gustosi con un obiettivo preciso, evidenziare la versatilità dell’ortaggio. È così che per la prima volta la preziosa cicoria si presenterà in versione “street food”, filo condutto-
tura a Monaco di Baviera, si torna sul territorio con gli altri sei appuntamenti, in programma il 14, 21, 26 e 28 febbraio e il 4 e 5 marzo.
Info: www.cocofungoradicchio.it
PROMOSSO DAL CFP
Treviglio, il concorso letterario che premia con pane e libri Il Centro di Formazione professionale di Treviglio dell’Abf (Azienda bergamasca formazione) non solo organizza corsi per panificatori e pasticcieri, ha anche scelto di promuovere una riflessione letteraria e culturale sul pane e la panificazione varando il suo primo concorso letterario sul tema. L’invito è rivolto agli amanti della scrittura di tutte le età, chiamati a cimentarsi in un elaborato che ruoti attorno a questo prodotto, tanto antico e simbolico quanto semplice e quotidiano, soffermandosi proprio sul consumo giornaliero e la preparazione artigianale. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con l’Aspan, la cartoleria libreria Rossetti di Treviglio, la Biblioteca Comunale e l’As-
sessorato alla Cultura della Città di Treviglio. Quattro le sezioni Bambini, Ragazzi, Giovani e Adulti - per ciascuna della quali sarà selezionato un vincitore. In palio non ci sono assegni o trofei, ma dei buoni acquisto per dieci chili di pane e libri per 75 euro, un riconoscimento schietto, concreto e goloso per gli appassionati di parole e buon pane fresco. Ai gruppi-classe dei vincitori delle sezioni Bambini e Ragazzi sarà inoltre offerta la possibilità di seguire una lezione teorica e pratica di panetteria nel laboratorio di panificazione del Cfp di Treviglio. Il regolamento ed il moduli di partecipazione possono essere scaricati dai siti www.aspan.it e www.abf. eu (sede di Treviglio/notizie)
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LA CLASSIFICA
Sono oltre trecento i formati prodotti nel Bel Paese. I tre più amati dagli italiani, secondo i dati Nielsen, sono gli spaghetti, le penne rigate e i fusilli. Nella top ten anche tortiglioni e farfalle
Pasta, gli italiani la preferiscono così
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a cucina italiana presenta un’enorme e variegata scelta di ricette di regione in regione. Il fattore comune che la caratterizza è la pasta: perfetta nella sua semplicità – composta solo da semola e acqua – è in grado di rinnovarsi ogni giorno, grazie agli abbinamenti realizzabili tra i tantissimi formati e i vari condimenti. Ma tra gli oltre 300 formati prodotti in Italia, come preferiscono la pasta gli italiani? Certo non la pasta col ketchup, come talvolta si mangia all’estero. Academia Barilla svela i dieci formati di pasta più venduti (riportando i dati Nielsen)e per ciascuno propone una ricetta in grado di esaltarne le caratteristiche. Nel nuovo libro di Academia, “I love pa-
sta”, i fratelli Barilla dichiarano inoltre le loro preferenze: i fusilli per Guido, le casarecce per Luca, gli spaghetti per Paolo. 1) Il re indiscusso, lo spaghetto: di gran lunga il più consumato (ha una quota del 14,4% sui volumi totali venduti in Italia), è il formato di pasta che maggiormente rappresenta la cultura alimentare italiana nel mondo. Il termine deriva da ‘piccolo spago’ ed è presente in tutte le tradizioni culinarie regionali, da Nord a Sud Italia. Sono molto versatili e si sposano perfettamente con moltissimi condimenti: universalmente preferito è lo spaghetto al pomodoro e basilico.
febbraio 2014 Una ricetta che ne esalta le caratteristiche è “la carbonara”: piatto classico della cucina romana; ha tempi di preparazione molto ridotti (10/15 minuti) e i pochi ingredienti selezionati – guanciale, uova, pecorino romano – sono la garanzia di un piatto gustoso e saporito. 2) Le penne rigate: molto diffuse in tutta Italia (8,5% dei volumi), devono il proprio nome alla penna d’oca, anticamente utilizzata per scrivere, che era tagliata in modo obliquo per ottenere una punta dal tratto sottile. Le penne sono uno dei rari formati la cui data di nascita è certa: il 1865, anno in cui un pastaio genovese brevettò una macchina in grado di tagliare in diagonale – a forma di penna - la pasta fresca, senza schiacciarla. Le penne rigate si sposano perfettamente con il sugo “all’arrabbiata”: piatto immancabile nei menù dei ristoranti italiani di tutto il mondo. È una ricetta tipica della cucina siciliana, per realizzarla servono pomodori, aglio, olio e l’ingrediente da cui deriva il nome della ricetta: il peperoncino. 3) I fusilli: di derivazione araba, si sono diffusi dapprima nelle regioni meridionali, da cui partì l’espansione musulmana nel Mediterraneo. Il fusillo - che deriva dal termine ‘fuso’, strumento di legno per la filatura a mano su cui
si avvolgeva lo s p a g h et to p e r ottenere un filo di pasta serpentino - si sposa con moltissimi condimenti, dai più elaborati ai più semplici, come una dadolata di verdure dell’orto condite con un filo d’olio extravergine d’oliva, leggero e colorato (7% volumi). 4) I tortiglioni: specialità dell’Italia del Sud - in particolare della Campania – oggi sono presenti in tutte le regioni italiane. Il nome deriva dal latino popolare tortillare, deformazione di torquere, ovvero girare. Le sue caratteristiche sono esaltate da sughi saporiti e corposi come l’abbinamento con una fonduta di parmigiano e poche gocce di aceto balsamico (5,6% volumi). 5) Le mezze penne rigate: nella grande famiglia delle penne, la differenza tra le varie tipologie è data da spessore, diametro e lunghezza. Le mezze penne rigate sono le più corte, ma non le più piccole: hanno infatti lo stesso diametro delle penne rigate. Molto versatili, si sposano alla perfezione con sughi di ogni tipo, e vengono anche utilizzate per insalate fredde di pasta e come base per pasticci al forno. Per un primo piatto originale, possono essere abbinate a vongole e ceci: una ricetta insolita e sfiziosa! (5,3%). 6) Gli spaghettini: variante dello spaghetto con il diametro più sottile, perfetti per sughi veloci, leggeri e poco densi. Tradizionalmente si abbinano ai sughi all'olio, che non ne appesantiscono la forma guizzante e sottile. Sono perfetti anche per la classica “aglio, olio e peperoncino”, piatto popolare in tutta Italia e facile da preparare in poco tempo (5%). 7) Le bavette: formato antico di origine ligure, forse già presente nel XIII secolo. La forma schiacciata offre una superficie maggiore per far aderire sughi e pesti, esaltandone il gusto e il profumo. Sono tipicamente abbinate al pesto alla genovese, una delle più tipiche salse regionali italiane (3,7%). 8) Le pennette rigate: di spessore più
sottile rispetto alle sorelle maggiori, si tuffano nel sugo amalgamandosi alla perfezione. Sono molto utilizzate per la pasta alla norma, tipica ricetta della cucina siciliana in cui si esaltano tre ingredienti tipici: pomodori, melanzane e ricotta salata (2.7%). 9) Le farfalle: hanno molteplici varianti di nome: stricchetti (dal verbo stringere); galani (dal farfallino dello smoking); in Abruzzo e Puglia nocchette (dalla voce meridionale ‘nocca’, usata per definire un nastro annodato). Le ampie ali riescono a trattenere il sugo; la pinzatura centrale risulta diversamente consistente ed esalta ancora di più il condimento. Diffuse in tutte le regioni, sono perfette sia per condimenti robusti, tipici del periodo invernale, sia per sughi più leggeri e tipicamente estivi, come tonno, pomodorini e olive taggiasche (2.6%). 10) I rigatoni: tipici dell’Italia centro/ meridionale, il nome deriva dalla rigatura presente sulla parte esterna ottenuta grazie all’incisione delle trafile in bronzo, che permette di assorbire e raccogliere il condimento. Protagonisti di uno storico spot Barilla girato negli anni 80 da Federico Fellini: di fronte a un menù ricco di piatti dagli altisonanti nomi francesi, una signora sofisticata sorprende il cameriere ordinando semplicemente "Rigatoni!!!”. Perfetti per i pasticci e i timballi al forno, sono adatti anche per sughi da mantecare, come nella tipica ricetta laziale del cacio e pepe (2%).
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L’ANGOLO
DEL SINGLE di Marco Bergamaschi
Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina
Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.
Ciambella classica Semplice, ma gustosa INGREDIENTI 150 g di burro 300 g di zucchero 300 g di farina
180 ml di latte 3 uova 1 bustina di lievito per dolci un pizzico di sale
PREPARAZIONE Mettete tutti gli ingredienti nel bicchiere del mixer, frullate per un minuto e versate l’impasto in uno stampo ad anello che precedentemente avete imburrato e infarinato. Fate cuocere a 180° per circa 30 minuti, quindi togliete il dolce dal forno e spolverizzatelo con zucchero a velo. Una volta raffreddata, potete decidere di tagliarla, stando attenti a non romperla, per farcirla con la marmellata che più vi piace. Ma vi assicuro che è buona anche “al naturale”. CURIOSITÀ Di rado mi cimento nella preparazione dei dolci, un po’ perché sono notoriamente pigro quando si tratta di tempo da dedicare ai fornelli e un po’ perché ritengo che il dessert acquistato in pasticceria sia quasi sempre più buono e gustoso. Ma il “quasi” è d’obbligo, perché in alcuni casi il dolce fatto in casa non ha nulla da invidiare a quelli venduti nelle migliori pasticcerie. Questa ricetta ne è l’esempio lampante: rubata ad un’amica, che è solita servirla ai tre figli per la merenda pomeridiana, è molto facile e veloce da preparare e a dispetto della sua semplicità, è realmente buona. Io di solito la preparo quando qualche amico viene a trovarmi alla sera e la bella figura è sempre assicurata; se poi avanza, la inzuppo nel latte o nel te alla mattina, in alternativa ai biscotti, ma spesso non arriva al giorno seguente. Tra l’altro non necessita di ingredienti particolari e sono pronto a scommettere che in tutte le dispense, anche quelle solitamente sguarnite, zucchero, farina, burro e latte sono sempre presenti. Al massimo mancherà il lievito, ma sarà sufficiente fare una piccola scorta, per poter preparare questa ricetta ogni volta che arriverà l’ispirazione giusta. Se qualcuno poi è particolarmente goloso, può tagliare la ciambella a metà e farcirla con la marmellata che più preferisce: va benissimo quella biologica al gusto di fichi, ma anche il classico gusto di arance amare ha il suo perché. Se intendete farlo, ricordate di tagliare la ciambella solo dopo che si è completamente raffreddata. È
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un’operazione che faccio con il “taglia-torte”, un articolo economico venduto nei reparti casalinghi dei supermercati, simile alle grucce porta abiti, alle cui estremità è legato un filo di acciaio inox. In questo modo l’operazione sarà precisa e la ciambella non rischierà di rompersi. In verità, quando non possedevo un taglia-torte (ho scoperto solo recentemente l’esistenza di suddetto articolo), usavo la strategia del filo: dopo aver creato una “traccia” con un coltello sul bordo della ciambella, (in corrispondenza del taglio da effettuare per intenderci), è sufficiente passare il filo (tenendolo impugnato ai due estremi) sul “solco” tracciato dal coltello e tirare per tutta la lunghezza della torta. Unica accortezza, è di essere delicati e di farlo lentamente, per evitare di spezzare il filo. E la ciambella sarà pronta per essere riempita di marmellata o perché no, di una golosa crema alle nocciole o al cioccolato.
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febbraio 2014
Ortaggi, l’esotico mette radici anche a Bergamo
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Supplemento al n. 6 de “La Rassegna” del 13 febbraio 2014 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. - via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
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IL PRODOTTO
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PENNA ALL'ARRABBIATA
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