Affari di Gola - giugno 2011

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Supplemento al n. 24 de “La Rassegna” del 23 giugno 2011 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60

giugno 2011

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Ostriche, come gustarle al meglio

IN LOMBARDIA

LA CURIOSITÀ

L’INTERVISTA

IL PRODOTTO

Quattro itinerari alla scoperta di cibi e vini

Gandino piccola “patria” del peperoncino

Slow Food mette radici nella Bassa

Il Moscato di Scanzo “contamina” anche il salame


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GIUGNO 2011

SOMMARIO www.affaridigola.it

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PENNA ALL’ARRABBIATA A tavola la Germania ne infila una dietro l'altra. E alla fine "riabilita" la nostra Italia

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FOCUS Ostrica, che prelibatezza!

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LA NOVITÀ Slow Food vola "Bassa"

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LA CURIOSITÀ Un orto piccante

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SPECIALE Di stagione e italiana: ecco la frutta protagonista dell'estate

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PROPOSTE Strade del Vino, quattro itinerari tra cultura ed enogastronomia

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IL RISTORANTE Trattoria del Teatro, la tradizione ci ha preso gusto

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IL PRODOTTO Il Moscato di Scanzo "contamina" anche il salame

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 - 24125 Bergamo Presidente: Ivan Rodeschini Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. - via Giorgio Paglia, 26 24121 Bergamo - tel. 035 213030 fax 035 224572 affaridigola@larassegna.it Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri In redazione: Anna Facci Opinionisti: Pier Carlo Capozzi, Enrico Rota Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo tel. 035/213030 - fax 035/224572 - info@larassegna.it Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 Collaboratori: Michele Andreucci, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Pino Capozzi, Ettore Coffetti, Fulvio Facci, Alex Gabbi, Roberta Martinelli, Roberto Morandi, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi, Sara Vavassori Impaginazione: Videocomp, Bg Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

I NOSTRI INSERZIONISTI Alfa Term, BF impianti frigoriferi, Brevi due, Donna Giulia, Fabry Frutta, Frutta e Verdura self service, Gustar Gandino, Hotel Ristorante Gourmet, Il Cipresso, Metalfrigor Arredamenti, Orobica Pesca, Point Italy, Solo Delivery.


IL RICORDO di Giuseppe Ruggieri

Addio Italo, maestro di vino

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er capire lo spessore di Italo Castelletti era sufficiente avere il privilegio di visitare la sua cantina. Lì, tra le migliaia e migliaia di bottiglie, erano condensati la competenza, la visione, la curiosità e il continuo desiderio di novità di un sommelier con la “s” maiuscola, di un professionista capace di emozionarti raccontandoti un vino, intrigandoti con la sua storia e la sua “anima”. Quando era il caso, arricchendo il tutto con la sua esperienza personale, ricordando il viaggio alla scoperta di un vino, di un produttore, tra vigne e aziende di mezzo mondo. Qualche anno fa abbiamo avuto l'occasione di entrare in quella cantina. Una miniera di emozioni. Tra le oltre 11mila bottiglie disseminate tra i vari ambienti, Italo ci aveva raccontato che da oltre cinquant’anni viveva una realtà che non aveva mai smesso di affascinarlo.“Qui - indicava - riposano prodotti rari, annate introvabili, bottiglie cariche di storia, alcune addirittura con due secoli di vita. Ma la gioia più grande - aveva ammesso - è stata quella di aver potuto apprezzare e condividere questi grandi vini parlando della vite e della vita con uomini che hanno fatto la storia enologica del nostro Paese”.

Italo Castelletti, scomparso recentemente all’età di 80 anni

Il riferimento, tra i tanti, era a personaggi del calibro di Gino Veronelli, Gianni Brera, Gianni e Paola Mura, Giacomo Bologna, Cesare Pillon, Giorgio Grai (“lo considero uno dei più grandi degustatori italiani” ci aveva detto), Pietro Pittaro, ai tempi presidente nazionale e mondiale degli enotecnici, Aldo e Giacomo Conterno. Tutti, chi prima chi dopo, ospiti della mitica enoteca “Al Portico” di Ponte San Pietro, primo esempio di wine-bar nella nostra provincia (aperto nel ’68 e poi ceduto nel ’95) dove le serate accompagnate da grandi etichette e i dibattiti sul futuro del vino erano quasi all’ordine del giorno. Definirlo un laboratorio enologico non è esagerato. Certo è che ha contributo a spalancare nuove porte su un mondo in evoluzione, ad arricchire competenze, soddisfare curiosità ed esigenze di appassionati e professionisti.

Italo amava definirsi un collezionista legato sentimentalmente al prodotto. Forse per questo, più di altri, sapeva capirlo e valorizzarlo. Sicuramente per questo, nel fondare a metà degli anni Settanta la delegazione bergamasca dell’Ais, aveva chiaro il proprio obiettivo: far conoscere al maggior numero di persone possibile il mondo del bere, ma con gusto e piacere. E sempre per questo l'enoteca “Al Ponte” resta una tappa obbligata per chi, dal privato al professionista, è in cerca di qualche autentica “perla” enologica. Luca, il figlio, oggi Consigliere nazionale dell’Ais, garantisce la continuità, affiancato dalla delegata Ais di Bergamo, Nives Cesari. Italo se n'è andato da pochi giorni, aveva appena compiuto 80 anni. Come sempre, quando se ne va un personaggio che ha fatto la “storia”, resta un senso di vuoto.

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PENNA ALL’ARRABBIATA di Pier Carlo Capozzi

A tavola la Germania ne infila una dietro l’altra. E alla fine “riabilita” la nostra Italia

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i va l’Italia. Mille e mille volte ancora. Vi ricordate Pasquale Ametrano, il tenero e tamarro emigrante di Matera che, in “Bianco, rosso e Verdone”, parte dalla Germania per tornare in patria a votare ? La moglie teutonica, in vista del lungo viaggio, gli prepara un’orrenda colazione ricca di salsicce e a lui, povero diavolo impermeabile al male, capita ogni disavventura possibile: gli fregano il mangianastri mentre canta Claudio Villa e poi la gigantesca spesa al market, via via ogni pezzo della macchina, borchie e parabrezza compresi. È lo specchio di un’Italia furba e ladrona e lo sfogo di Pasquale, al momento di infilare la scheda nell’urna, sarebbe un’immagine amara di come siamo se questa fotografia non ce la fossimo fatta da soli: è un autoscatto d’autore e, si sa, quando parliamo dei nostri difetti, non badiamo a spese e non consideriamo mai la tara. A parti invertite non sarebbe mai successo. Perché quelli della pizza, della mafia e del mandolino siamo sempre e soltanto noi e i tedeschi, dall’alto della loro incrollabile certezza di onnipotenza, sono sicuri di non sbagliare mai. Peccato (si fa per dire) che qualche volta si facciano beccare con le mani nel barattolo dei crauti: come nel caso delle tonnellate di mozzarelle blu prodotte in un loro stabilimento e distribuite, la scorsa estate, in mezza Europa. Nei guai sono finiti consumatori svedesi, bielorussi, slovacchi, rumeni, francesi, danesi, polacchi, naturalmente italiani, ungheresi e altri ancora: poca igiene e scarsa qualità del prodotto, hanno sentenziato gli investigatori alimentari. Non contenti, sono continuate le grane per via delle uova e della carne di maiale con tracce evidenti di diossina, primo episodio di questo annus horribilis teutonico. Lo scandalo ha avuto origine in un allevamento della Bassa Sassonia ed ha scatenato un putiferio politico, col presidente socialdemocratico Gabriel che ha attaccato Ilse Aigner, ministro per la Tutela dei consumatori, chiedendole di rendere pubblico “ciò che sa e cosa intende fare”.

Questo invito, assai esplicito, ha avvalorato il sospetto che alberga in tante menti di casa nostra: cioè che da loro si tenda sempre a nascondere il più possibile, anteponendo la causa nazionale ad ogni altro dettaglio. Ma è sul cetriolo killer che i nostri amici hanno dato il meglio di loro stessi: dopo i primi tre morti, tutti tedeschi, per non saper né leggere né scrivere, hanno gettato in pasto ai media la notizia che la causa fossero tre cetrioli importati da Malaga. L’Agenzia spagnola di sicurezza alimentare, colta in contropiede, replicava che stavano indagando per capire l’origine del contagio. Da lì a tirare in ballo anche i pomodori e l’insalata, comprese le coltivazioni italiane, il passo è stato breve. E intanto i morti, in Germania, aumentavano. Poi l’illuminazione: macché cetrioli e lattuga, la colpa è nei t semi di fagioli. O nei germogli s di d soia ? Se non ci fossero povere vittime, strappate alle loro famiglie per p dolo e incuria di qualche filibustiere, ci sarebbe perfino da riderci sopra. Ma non saremmo in grado di farlo comunque perché l’indignazione è troppo grande. Questa incredibile serie di bufale (e la mozzarella non potef va che esserne la capofila) ha causato, oltre ad una psicosi collettiva di cui avremmo volentieri fatto a meno, 417 milioni di danno ai mercati europei, tra cui un centinaio tutti rigorosamente italiani con lo sfacelo di 50mila tonnellate di verdure buttate via perché invendute. Quelli che fanno i professori, che sono precisini, che non vogliono aiutare la Grecia perché ha sbagliato, sono finiti dietro la lavagna. A fare penitenza. Molto meglio noi, datemi ascolto, con le nostre pecche storiche, i nostri campanilismi, il nostro folklore a palazzo. Tutta roba che conosciamo. Pasquale Ametrano-Carlo Verdone, nel riporre la scheda, si lamenta del suo Paese e manda tutti a farsi friggere. Ma nel fondo del suo cuore sa bene che non cambierebbe mai la sua Basilicata con Monaco di Baviera. piercapozzi@libero.it

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FOCUS di Roberta Martinelli

Ostrica, che prelibatezza! Tonda, piatta, stretta, allungata: come che sia, il pregiato mollusco bivalva resta apprezzato da un vasto numero di estimatori. Ecco una piccola guida per andare sul sicuro

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e ostriche del Mar di Marmara sono già più grosse di quelle di Lucrino, più dolci di quelle della Bretagna, più gugu stose di quelle di Medoc, più piccanti di quelle di Efeso, più piene di quelle spagnole… più bianche di quelle del Circeo; di quest’ultime è asso-

dato che non ve ne sono di più dolci o più tenere”. Così il cronista latino Plinio descriveva le ostriche, uno dei cibi più pregiati delle nostre tavole e il più seduttivo per antonomasia. C’è chi le ama (molto) e chi non può nemmeno vederle. Ma gli estimatori sono tanti e sono disposti a spendere cifre anche molto alte per gustarle. Il segreto del loro successo è dovuto anche all’allure voluttuosa che le circonda. Fin dall’antichità infatti le ostriche (nome volgare di Ostree) sono considerate il cibo afrodisiaco per eccellenza per il loro contenuto di zinco che favorisce la funzionalità degli ormoni e del testosterone. Una caratteristica che nel XV secolo indusse il medico e scienziato Michele Savonarola a mettere in guardia contro gli istinti scatenati da questi molluschi bollandoli come cibi per ricchi lussuriosi. Oggi nessuno si sogna più di scomunicarle, pur rimanendo un cibo di lusso.

Come sceglierle e gustarle al meglio Con l’aiuto di Selecta, azienda leader nei prodotti di alta cucina, abbiamo realizzato una piccola guida per l’acquisto e la conservazione delle ostriche. LA SCELTA Un’ostrica fresca è sempre ben chiusa e presentata nella confezione di origine che deve avere l’etichettatura a garanzia di freschezza del prodotto. Una piccola astuzia: se si sbattono delicatamente due ostriche tra di loro, non devono produrre un rumore vuoto, ma un rumore sordo senza risonanze. Questo garantirà che sono ben piene. L'ostri-

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ca si mangia normalmente cruda. L’APERTURA Se un’ostrica fa resistenza è garanzia di freschezza. Munirsi di uno strofinaccio da cucina piegato in quattro e di un coltello a lama corta e solida. In quattro gesti l’ostrica è aperta. Non dimenticare di vuotare la prima acqua, la seconda è molto più saporita. 1. Stringere bene l’ostrica nel palmo della mano aiutandosi con uno strofinaccio quindi puntare la lama alla cerniera dell’ostrica tenendo il pollice a circa un centimetro dalla punta della lama

2. Introdurre la lama fino a due terzi dell’ostrica a partire dalla cerniera 3. Tagliare il muscolo 4. Sollevare la valva superiore e staccarla. Al momento dell'apertura della conchiglia deve essere viva, cioè reagire quando la si tocca. COME GUSTARLE Gustare le ostriche due giorni o più dopo la loro uscita dall’acqua. Consumare con pane di segale e burro salato della Normandia. Si può aggiungere succo di limone o una vinaigrette allo scalogno. Una


Quanto alle varietà, i nomi delle ostriche fanno riferimento a una specie o alla regione d’origine o alla località o al modo in cui sono state confezionate o alla famiglia degli ostricoltori. Di solito vengono utilizzati i nomi Fine per un prodotto raffinato e Special per un prodotto molto affinato. Le due categorie principali in cui le ostriche sono suddivise tengono conto della forma del guscio: le ostri-

Marcel Lesoille, campione mondiale e recordman d’apertura di ostriche, è stato protagonista di una recente serata al Roof Garden Restaurant di Bergamo con le ostriche dell’azienda Cadoret.

macinata di pepe su ogni ostrica evidenzia il loro sapore iodato. LA CONSERVAZIONE Se si mangiano il giorno stesso dell’acquisto vanno aperte all’ultimo momento. Se invece si desidera conservarle per qualche giorno bisogna porle in un luogo fresco o in un cassetto per la verdura del frigorifero senza aprirle, con la parte concava della conchiglia rivolta verso il basso e coperte da un peso. In questo modo è possibile consumarle fino a 10 giorni dalla data di confezionamento. La temperatura di conservazione deve essere tra 5 e 10°. LE PORZIONI Sia che la si consumi cruda, sia che la si cuocia, l'ostrica è molto digeribile. La porzione normale quando la si serve come antipasto è di 6 molluschi a testa.

Selecta, “mercato condizionato dalla scarsità di produzione” Antonio Vasile, esperto di Selecta, distributore di prelibatezze gastronomiche, parla dei trend di mercato delle ostriche, tra rincari e virus, e delle nuove tendenze nei consumi. “Il mercato delle ostriche afferma - non si è fermato nonostante l’aumento di prezzi, dell’ordine del 40%, dovuto alla scarsità della produzione: l’Ostreid herpes virus, che colpisce le ostriche con un anno di età, ha fatto registrare un picco di mortalità, con un calo compreso tra il 60 e l’80% della produzione. L’epidemia scatenatasi nel 2009 sta presentando ora i conti, dal momento che le ostriche vengono commercializzate dopo tre anni di allevamento”. Se il mercato complessivamente tiene, i consumi domestici, a causa dei notevoli rincari, hanno subito una battuta d’arresto: “E’ diminuita la domanda di ostriche in pescheria e nei supermercati - continua Vasile -. I rincari hanno disincentivato gli acquisti da parte del pubblico medio. La richiesta da parte della ristorazione resta invece sostanzialmente inalterata: se d’estate in Francia e nel Nord Europa i consumi calano, in Italia, complice il turismo e le temperature estive, le richieste non mancano mai. Come ogni anno si prevede un incremento di richieste nel periodo autunnale ed un boom nel periodo natalizio. Gli italiani restano dei grandi consumatori di ostriche: il pregiato mollusco non manca mai a tavola nelle occasioni importanti”. Quanto alle varietà, difficile stilare una classifica delle specie preferite: “ I francesi sono stati molto bravi a legare le ostriche al territorio, distinguendo tra Fine, Special e piatte - sottolinea l’esperto -. Sono sempre molto ricercate le Belòn, ostriche piatte affinate nell’omonimo fiume. Nell’ultimo periodo stanno riscuotendo un buon successo le ostriche triploidi, frutto della ricerca dell’ Ifremer, l'Istituto per lo sfruttamento delle risorse marine: si tratta di una combinazione genetica grazie alla quale le ostriche nascono sterili e con tre copie di cromosomi (anziché due), attraverso la combinazione con larve di ostriche tetraploidi (cioè in possesso di 4 cromosomi, riscontrabili anche in natura, seppure in minime percentuali). Le ostriche sterili, lontane dai mutamenti ormonali che coincidono con il periodo riproduttivo estivo e ne alterano la piacevolezza (risultando smagrite e lattigginose), diventano così un piatto per tutte le stagioni. La nuova produzione francese, criticata dai puristi, in Italia

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FOCUS

LA SCHEDA

Ostrica concava (ostrea gigas) soprattutto da Slow Food, non sconfina nel campo minato degli Ogm, come assicurato dall’Istituto Francese che ha semplicemente finalizzato una ricerca americana sui cromosomi dei molluschi. Ma la rivoluzione da laboratorio ha creato indignazione tra i produttori che hanno costruito la propria etica produttiva e commerciale sulla stagionalità.A partire da Jacques Cadoret e Yvon Madec che continuano a sospendere le spedizioni con l’arrivo della bella stagione, per poi riprenderle a fine estafondamentate”. L’affinamento delle ostriche resta fondame tecniche di le:“I romani furono i primi ad adottare tecnich viaggio da affinamento oltre che di allevamento: in viaggi riferimento Brindisi, antica capitale di riferim per il pregiato mollusco, a Roma lasciala rono le ostriche qualche giorscoprendo cono in un lago, scoprend me il passaggio in i acqua dolce ne esaltasse il sapore e ingusto. gentilisse il gu “quaranteCosì la “quara ostriche na” delle ostr nel lago Lucrin Lucrino dipassaggio venne un passa obbligatorio per degustadeg re al meglio le ostriche ostrich nei banchetti dell’antica Roma. R I processi di affinamento affinam migliosono essenziali per mi rare il sapore, la tessitura ed il conferire colore delle ostriche e conf loro un gusto unico”.

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* FINE DE BINIC È allevata in mare aperto nella Baia di St. Brieuc. Ha una conchiglia arrotondata, un colore serico, carne croccante, iodata e salata, con un fondo fruttato. * SPECIAL DU BELÒN O SPECIAL CADORET Quando l’ostrica ha raggiunto la sua maturità viene portata nel fiume Belòn per un finissaggio. Qui viene affinata per un anno nei parchi sui fondali emergenti, vi acquisisce una conchiglia chiara, una carne vellutata, un sapore di nocciola marcato da una leggerissima punta di zucchero. * PERLA NERA Allevata sulle splendide spiagge di Utha Beach in Normandia questa “Special” viene poi affinata per

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che tonde e piatte (francesi) hanno un sapore delicato e armonico, le ostriche a guscio allungato e rugoso, che può essere piuttosto stretto (portoghese) o più largo (giapponese) hanno un gusto intenso e pungente. Le ostriche più pregiate sono quelle tonde, in particolare le belon, che possono arrivare anche a 15 cm di diametro, ma i cui esemplari normali misurano tra i 7 e i 10 cm. Le ostriche che più comunemente si trovano nei ristoranti italiani sono quelle allungate del tipo portoghese o giapponese; le prime sono più pregiate. Molte delle circa 50 speciee che compongono la famiglia Ostreidae sono pescate e coltivate in tutti i mari del mondo. L’ostrica concava (Crassostrea gigas), in particolare, colare, è il mollusco più allevato su scala globale, con una produzione annua nnua che ha raggiunto i 4 milioni di tonnellate. Con oltre 2,3 milioni di tonnellate, e, di cui un 1020% di Crassostrea gigas, la Cina è il primo produttore mondiale di ostriche. Nello scenario europeo oltre il 90% delle ostriche, soprattutto concave, sono prodotte in Francia. Oggi la Normandia è la prima regione produttrice di ostriche della Francia e il regno ideale degli allevamenti di questi molluschi.

minimo sei mesi nel fiume Belòn. In questo modo assume una conchiglia arrotondata e un colore serico, una carne croccante e un gusto fruttato dalle note di zucchero. * FINE DE CLAIRE Affinata nei bacini di ingrassamento con una densità di massimo 20 ostriche per metro quadro e immersa per un periodo minimo di un mese si distingue per una pronunciata barba nera, il colore verde delle branchie e un gusto di nocciola. * SPECIAL DE CLAIRE Affinata nei bacini di ingrassamento e immersa per un periodo minimo di due mesi con una densità di massimo 10 ostriche per metro quadro, ha una forma arrotondata, un colore intenso, una carne soda. Come tutte le Special ha un gusto più delicato con una punta di zucchero. (Le ostriche concave più sono piccole più sono buone)

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Ostrica piatta (Ostrea edulis) * BELÒN DU BELÒN È l’ostrica piatta affinata nel fiume Belòn, l’ostrica più ricercata in assoluto. Si distinguono per la loro carne dalle sottili note di bosco, di una delicatezza eccezionale. Per ragioni economiche, il Ministero dell’Agricoltura francese ha permesso a tutti i produttori di ostriche piatte di poter denominare il loro prodotto con l’appellativo Belòn. Da qualche tempo per una maggiore correttezza sia nei confronti dei consumatori che degli antichi ostricultori di Riec sur Belòn, piccolo paesino della Bretagna, i produttori di questa zona chiamano le loro ostriche piatte Belòn du Belòn. (Al contrario delle ostriche concave le ostriche piatte più sono grandi più sono buone)

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TENDENZE

Birre artigianali, un fenomeno che deve fare i conti con i prezzi

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a birra artigianale italiana sta vivendo un momento unico, ricco di attenzioni e fertile sotto il profilo commerciale. Secondo la definizione di Unionbirrai, associazione nazionale di operatori del settore, “la birra artigianale è una birra cruda, integra e senza aggiunta di conservanti con un alto contenuto di entusiasmo e creatività ed è prodotta da artigiani in quantità sempre molto limitate”. Tanto che, si vuole aggiungere, per iscriversi a livello professionale a questa associazione, diviene d’obbligo non produrre più di 10.000 ettolitri di birra all’anno. Questa prefazione è assai importante nel cercare di determinare la linea di confine tra prodotto artigianale ed industriale nel campo brassicolo. Importante perché non esiste un’altra definizione di birra artigianale, se non quella classica legata al termine stesso, che vuole ricondurlo alla predominanza del fattore umano rispetto all’elevato impiego di attrezzature ad alto contenuto tecnologico. Stabilito il concetto, si può analizzare il fenomeno. A fianco della schiera di consumatori "consapevoli", che tengono in grande considerazione il prodotto artigianale, un numero crescente di curiosi e appassionati si è avvicinato a questo mondo, generando richieste che non potevano passare inosservate. Ad oggi in Italia i microbirrifici sono quasi 400. Numero importante se pensiamo che un anno fa superavano di poco i 300. Anche la nostra provincia oggi

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di Enrico Rota consigliere delegato e responsabile vendite Italia della QUATTROERRE di Torre de’ Roveri (Bg) Per ulteriori informazioni scrivere a enrico@quattroerre.com

vanta ben 8 produttori: Birrificio Elav, Birrificio Nazionale, Endorama, Maivisto, Maspy, Sguaraunda, Valcavallina e Via Priula (la maggior parte con impianti di proprietà). A parte la curiosità e la ricerca di prodotti capaci di dare emozioni degustative diverse, la discussione che ci interessa è la quotazione di queste produzioni di nicchia. Per dovere di cronaca, dobbiamo ricordare che produrre in piccole quantità ha un costo maggiore rispetto a quelle grandi. Questo perché più produci e meno incidono i costi fissi come manodopera, ammortamenti degli impianti e buona parte dei costi generali, senza poi parlare del poter di acquisto delle materie prime. Infine, l’imbottigliamento manuale o semi automatico ha un costo superiore rispetto ad una linea automatica. In modo inevitabile, il tutto si riflette sui prezzi delle bottiglie. D’altro canto, la birra è comunque una bevanda "popolare" da consumare in qualità ma anche in quantità. Giusto quindi, escludendo le birre molto particolari, cercare di produrre e vendere a prezzi molto più bassi degli attuali. Mantenere per lungo tempo le quotazioni odierne renderebbe troppo di nicchia non il prodotto, ma la richiesta. Ben sappiamo che i veri gioielli costano, ma un prezzo troppo elevato li rendono accessibili solo a pochi e, nel nostro caso, questo sarebbe poco lungimirante. Auguriamoci allora di poter bere spumeggianti birre artigianali ad un prezzo abbordabile.


BOTTA E RISPOSTA

“Sul Taleggio frasi che non rappresentano la realtà” Egregio Signor Presidente Mazzoleni, nell'ambito dell'intervista apparsa sulla rivista Affari di Gola dello scorso maggio, ci è spiaciuto constatare come permanga un certo livore nei confronti di un formaggio, il Taleggio, che deve le sue inconfondibili origini alla Valle omonima. Il Consorzio di Tutela è stato costituito ben oltre trenta anni fa con lo specifico compito di valorizzare un patrimonio che, senza adeguate protezioni normative, sarebbe stato annichilito da prodotti analoghi. Sorprende, infatti, che Lei abbia potuto dichiarare "Siamo già rimasti abbastanza scottati dal Taleggio, che ormai si produce dappertutto ed ha perso per molti versi il legame con la nostra omonima valle" che, a nostro avviso, è assolutamente fuorviante e non rappresentativo della realtà. Come Lei certamente sa, il Taleggio, essendo un formaggio a Denominazione di Origine Protetta, definisce le sue caratteristiche anche per la zona di origine, ovvero il territorio nel quale viene prodotto. E certamente non Le sfugge che il processo produttivo consta di produzione vera e propria e di stagionatura, fasi che si contemperano e danno luogo al "nostro" famoso formaggio. Riesce difficile comprendere cosa intenda per "rimanere scottati" quando in Valle permane una modesta produzione ma una buona fetta della stagionatura, con Aziende fortemente convinte del ruolo del formaggio Taleggio nell'economia locale. Il Consorzio è quindi a disposizione per confrontarsi su temi sui quali Lei appare particolarmente sensibile. Distinti saluti Il presidente del Consorzio di Tutela Taleggio, Massimo Taddei Ill.mo sig. Presidente, leggere nelle mie parole, tra l'altro a quella domanda avevo chiesto di poter rispondere come Sindaco di Taleggio, acredine nei confronti del Consorzio o dei produttori o degli stagionatori spero non celi un'involontaria malafede. Come ben lei sa, e come spero senza falsa modestia di aver dimostrato in questi miei sette anni da Sindaco, ho un grande attaccamento ai nostri prodotti e produttori vallari ed ho promosso un progetto ecomuseale basato proprio sulla valorizzazione del Taleggio Dop (senza mai avere avuto sostegno dal Consorzio) e dello Strachitunt (del quale credo lei, come privato, conosca la situazione essendo uno dei tre caseifici di pianura firmatari del ricorso per evitare che la Dop sia assegnata al solo luogo originario di produzione: le montagne della Val Taleggio!). Lascio pertanto le considerazioni sulla sua lettera ai lettori che certamente sapranno interpretare la correttezza dei comportamenti nella speranza che non ci sia solo il confronto ma anche riconoscimento per la montagna. Cordialmente. Alberto Mazzoleni Sindaco di Taleggio e Presidente della Comunità Montana Valle Brembana

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LA NOVITÀ di Laura Bernardi Locatelli

Slow Food vola “Bassa” Ha sede a Treviglio la terza Condotta bergamasca, appena costituita. A guidarla Mara Barcella, neolaureata in medicina. Definiti i gruppi di lavoro. “Tra gli obiettivi la valorizzazione dei giacimenti golosi e il sostegno all’agricoltura di qualità, con la creazione di una Comunità del cibo, una rete territoriale di produttori, trasformatori, educatori e formatori, consumatori critici e consapevoli”

È

nata la condotta Slow Food Bassa Bergamasca, la terza in provincia, con sede a Treviglio presso la Cooperativa Famiglie Lavoratori di viale Piave. Dopo la partecipazione alla Fiera agricola, il primo appuntamento importante della neonata associazione è stato il Congresso fondativo: sabato 14 maggio, all’Agriturismo Cascina San Marco di Arcene, si è tenuta l’assemblea di tutti i 60 soci della Condotta, alla presenza di Lorenzo Berlendis, membro del Direttivo regionale e nazionale di Slow Food Italia, che ha confermato la competenza territoriale della nuova condotta nella pianura bergamasca, dal fiume Adda al fiume Oglio, e ha ribadito i valori fondanti e le finalità dell’associazione, sotto-

lineando come dall’originario “piacere della convivialità”, oggi sempre di più Slow Food parli e si impegni per “il cibo buono, pulito e giusto” in riferimento alle profonde interconnessioni ambientali, economiche e sociali che oggi comporta in tutto il pianeta. Il Congresso ha eletto Fiduciario della Condotta Mara Barcella. 26 anni, fresca di laurea in medicina, Barcella delinea le strategie che verranno messe in atto con il Comitato di Condotta, per valorizzare i giacimenti golosi della Bassa Bergamasca. Ha solo 26 anni: quando nasce la sua passione per l'enogastronomia? "È una passione che mi accompagna da sempre, che mi è stata trasmessa fin da bambina dalla famiglia. I miei genitori, associati Slow Food da lunga data, mi hanno sempre insegnato a cercare prodotti che fossero espressione del territorio e produzioni di nicchia, a ricercare sapori autentici, che valorizzassero il lavoro appassionato di allevatori e agricoltori. Il progetto di fondare una nuova condotta nella Bassa c'era da tempo: ci stavamo lavorando da un anno. Mi sono subito interessata al progetto, sin dalla fase embrionale, quando Federico Crippa ha iniziato a muovere i primi passi con Slow Food per costituire la nuova Condotta. Abbiamo lavorato molto sul territorio, raggiungendo in pochi Mara Barcella

IL PRODUTTORE

Il salame del Montizzolo, con tanto di carta d'identità Dalla produzione dei cereali all’allevamento, fino alla realizzazione del salame all'antica. La Società Agricola Il Montizzolo produce il salame “come si faceva una volta”, seguendo la linea della filiera corta a garanzia totale del consumatore. I maiali scelti per la produzione dei salumi vengono allevati in azienda ben oltre i 12 mesi d’età perché per fare un buon salame, come sapevano i nostri nonni, il maiale deve avere “almeno due agosti”. La loro crescita è quindi meno forzata, la carne risulta più matura e di qualità superiore. Per l'alimentazione vengono utilizzati mais, orzo e frumento coltivati in azienda. Per produrre il “Salame del Montizzolo” vengono impiegate tutte e solo le parti migliori dei maiali, quindi le cosce, le spalle, le lonze, i filetti, pancette, panettoni e sottogola. È una carne sicura in quanto è certificata con il metodo del Dna, una forma di tracciabilità seria, sicura e trasparente con una etichetta unica e inconfondibile. Non è una semplice etichetta ma una vera e propria Carta d’Identità, che dà informazioni su ogni aspetto del prodotto, dal codice genetico del maiale al numero esatto di salami per ogni partita, agli ingredienti utilizzati, all’alimentazione naturale dei maiali.


mesi l'adesione di sessanta soci”. Quali sono le prime iniziative portate avanti dalla Condotta? "Nell'ultima riunione di Comitato abbiamo costituito i primi gruppi di lavoro e definito i referenti di ogni singola area. Federico Crippa sarà referente per il tesseramento e si occuperà di tracciare una mappatura dei produttori locali; Anna Baratti seguirà i progetti "Terra Madre" sul territorio, Joy Coxhead sarà referente delle iniziative conviviali della Condotta e si occuperà di mappare locali e ristoranti, Luigi La Delfa seguirà i progetti di comunicazione e si occuperà dei rapporti con la stampa, Barbara Schiavino sarà il punto di riferimento per i corsi e i percorsi di formazione, mentre Vasco Speroni sarà il nostro tesoriere. Abbiamo organizzato la prima biciclettata gastronomica "Bici in pianura" nell'ultimo week-end di maggio: una pedalata alla scoperta di alcuni produttori locali. Altro appuntamento è lo Slow Food Day a Treviglio (si è tenuto il 18 giugno scorso) assieme ad altre 299 piazze italiane per celebrare il 25esimo compleanno dell'associazione, esaltando l’alleanza tra le Condotte, rappresentanze locali dell’associazione e gli agricoltori di prossimità. Il forte radicamento sul territorio è da sempre uno dei punti di forza di Slow Food: con la giornata celebrati-

va, c’è stata l'occasione di far conoscere la nostra attività e sensibilizzare all' impegno nella salvaguardia e promozione del patrimonio enogastronomico locale". Quali sono i prodotti che intendete valorizzare? "I primi prodotti che abbiamo individuato e che intendiamo proporre come marchi-presidi di Slow Food sono il melone retato di Calvenzano e il salame bergamasco alla vecchia maniera, realizzato con la totalità del maiale. Stiamo prendendo contatti con altri produttori di nicchia, dai formaggi di capra alle produzioni casearie di bufala: il nostro compito principale sarà quello di realizzare una mappa che valorizzi tutti i prodotti presenti nel territorio e i locali che li esaltano, rispettandone la stagionalità. Ogni località è una patria gastronomica, il nostro obiettivo è scoprire ed esaltare le nostre tradizioni e le nostre radici. Il nostro impegno più complessivo e strategico sarà quello di sostenere e rilanciare l’agricoltura di qualità, con la creazione di una “Comunità del cibo”: una rete territoriale di produttori, trasformatori, educatori e formatori, consumatori critici e consapevoli”. Quali sono i primi impegni in agenda? “Punteremo moltissimo sulla formazione. Slow Food sta sottolineando

l'importanza dell'impegno per il cibo "buono, pulito e giusto" ed è nostra intenzione valorizzare i principi, nell'ambito del progetto più ampio di "Terra Madre". Stiamo prendendo contatti con le scuole per lanciare un programma di educazione alimentare con Laboratori e seminari, a partire dal progetto “Orti in Condotta” per educare le nuove generazioni al gusto, alla biodiversità del cibo e al rapporto fra le generazioni. Il nostro impegno sarà anche all'estero: sposeremo il progetto “Mille Orti in Africa”, che perseguendo la “sovranità della produzione” mira ad aiutare le comunità africane, affinché si organizzino e scelgano autonomamente cosa coltivare. Il nostro obiettivo è di adottarne tre. A ottobre, in collaborazione con il Fondo Ambientale Italiano e con Alberto Capatti, docente di Storia della Cucina e della Gastronomia all'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, intendiamo ricordare la figura di Pellegrino Artusi, nel centesimo anno dalla sua scomparsa. La piccola agricoltura di qualità e la collaborazione tra Slow Food e produttori locali sarà il filo conduttore della nostra attività per promuovere un modello di economia virtuosa capace di realizzare quello che sta ormai diventando un ossimoro: lo sviluppo sostenibile”.

IL PRODOTTO

Il melone retato di Calvenzano Il “retato di Calvenzano” è un melone molto particolare, dalla forma allungata, dal peso considerevole (dai 2 ai 5 chili e oltre) e dalla tipica scorza rugosa che ricorda come un ricamo la rete. Storicamente il melone è stato importantissimo per Calvenzano. Il prodotto ha avuto il suo massimo splendore negli Anni 20 e 30: dalla piccola cittadina della Bassa i meloni raggiungevano i più importanti ristoranti di Parigi. Negli anni 30 è stato consegnato alla residenza estiva dei reali d’Inghilterra che - come ricordano alcuni soci dell’omonima Cooperativa - inviarono alla Cooperativa stessa un attestato di stima. Dal 2002 - dopo un periodo in cui la tradizione ha rischiato di esaurirsi - la Cooperativa Agricola ha avviato un progetto quinquennale per la riscoperta del “melone retato di Calvenzano”. Più re-

centemente una versione della confettura di melone di Calvenzano è stata inserita dal Ministero delle Politiche Agricole fra i prodotti gastronomici che hanno rappresentato l’Italia alle Olimpiadi di Atene 2004. Da oggi affiancano il frutto diversi prodotti satellite, dalla confettura, ideale per dolci, per prime colazioni, e in particolare in abbinamento a formaggi moderatamente piccanti, alla senapata, che si presta ad accompagnare arrosti, bolliti e formaggi di media stagionatura.Viene realizzato anche un particolarissimo liquore, pronto ad esaltare in spirito la qualità del celebre melone.

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Rota:“Col gioco di squadra Valcalepio più forte” Il nuovo presidente del Consorzio di Tutela: “Cercheremo di rispondere al meglio alle aspettative dei soci”

I

l Valcalepio ha rappresentato sicuramente una pedina importante dell’enologia bergamasca. A partire dal lontano 1976, quando i viticoltori orobici ottennero il decreto che sancì ufficialmente la denominazione di origine Valcalepio. A quell’epoca, la struttura agricola nella bergamasca era in decisa evoluzione: si passava dalla mezzadria alla conduzione diretta e tante piccole realtà produttive emergevano e si affermavano in un contesto del consumo del vino in rapida evoluzione. In questo ambito, la fondazione del Consorzio Tutela Valcalepio, che iniziava un’opera di unione delle varie realtà e di formazione dei produttori sia da un punto di vista viticolo che enologico, costituì un evento dirompente, soprattutto sul piano operativo, tutto proteso a creare lo sviluppo delle piccole imprese. Tanti anni sono passati, molti risultati sono stati ottenuti e diversi problemi sono purtroppo rimasti. Ora è tempo anche di cambiamenti. Il 30 maggio scorso, infatti, l’assemblea dei soci si è riunita per eleggere il nuovo direttivo che condurrà il Consorzio nel prossimo triennio. Tredici i consiglieri eletti: Giovanna Balestreri, Marco Bernardi, Giancarla Bonaldi, Giovan-

ni De Ferrari, Enrico Ginami, mi, Gianni Guffanti Scotti, Luigi Invernici, rnici, Pietro Lussana, Emanuele Medolago dolago Albani, Angelo Pecis, Franco Plebani, Marco Varinelli ed Enrico Rota. Proprio quest’ultimo, titolare insieme ai tre fratelli della Quattroerre oerre di Torre de' Roveri, l’8 giugno no è stato eletto presidente. “Non n voglio nascondere la forte emozione one per quello che rappresenta tale le nomina - commenta Rota -. Penso so che il nuovo Consiglio abbia creduto eduto sia nelle mie capacità che nella ella possibilità di avere un presidente te che sia la bandiera di tutta la filieraa del Valcalepio. Con questo auspicio o e avendo la fortuna di avere un direttivo ettivo forte e motivato, sarà più facile e affrontare le sfide che ci aspettano. L’ottimismo non manca e neppure la certezza che insieme a tutto il Consiglio io il gioco di squadra sarà sempre in primo mo piano per

IL CONCORSO

Vini da pesce, cinque i bergamaschi premiati Quattro vini bergamaschi sono stati premiati alla 12a edizione della “Selezione Nazionale Vini da Pesce” svoltasi a maggio all’Hotel Monteconero Badia di San Pietro di Sirolo (An). Alla manifestazione, indetta dall’Istituto marchigiano di Tutela Vini e realizzata in collaborazione con l’Associazione Enologi Enotecnici Italiani, cinque vini bergamaschi hanno ricevuto il diploma di merito

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avendo conseguito il punteggio complessivo di almeno 80 centesimi, corrispondenti all’aggettivazione “ottimo” in base al metodo di valutazione “Union Internationale des Oenologues”. Questi i vini bergamaschi premiati nelle varie categorie:Valcalepio bianco Doc “Melardo 2010” del Cipresso di Scanzorosciate, Valcalepio Doc Bianco 2010 e Bergamasca Igt Manzoni Bianco “Sogno” 2010

della Cantina Sociale Bergamasca, Valcalepio Doc Bianco 2010 della Cantina Sociale Val San Martino di Pontida e Spumante brut 2008 di Bonaldi. Il Concorso, riservato solo ai vini bianchi e rosati a denominazione di origine e ad indicazione geografica tipica e ai vini spumanti bianchi e rosati prodotti sul territorio nazionale, si propone di evidenziare la migliore produzione

Enrico Rota


rispondere al meglio alle aspettative dei soci. Un grazie - ha poi aggiunto Rota - va a Grumelli Pedrocca che ha sempre sostenuto con determinazione e forza quanto fosse necessario avere un Consorzio unito e coeso”. Rispetto al consiglio uscente, sono cinque i componenti nuovi che l’assemblea ha voluto nominare. Grande assente Bonaventura Grumelli Pedrocca, co-fondatore nonché presidente del Consorzio per oltre trent’anni. Il conte in questo lungo periodo ha traghettato il Consorzio in scelte importanti, coinvolgendo tutti gli attori possibili, ottenendo la certificazione del vino Valcalepio e creando una bottiglia esclusiva che rappresenta il prodotto stesso. Ha favorito il rinnovamento scegliendo di non ricandidarsi. Scelta sicuramente non facile visto quanto ha apportato negli anni, sia in termini esecutivi che d’immagine. Prima della sua uscita di scena, ha voluto evidenziare a tutti i soci l’importanza di una ampia partecipazione e di una totale rappresentatività della filiera coinvolta nel Valcalepio. Invito che è stato accolto oltre ogni aspettativa. L’affluenza alle urne è stata notevole: da un minimo dell’85,2 % per la categoria dei produttori fino al 92,6% per gli imbottigliatori. Una partecipazione molto forte, quindi, probabilmente senza precedenti, che ha voluto sottolineare l’importanza di scegliere un esecutivo in grado di affrontare le attuali problematiche legate al mondo del vino. La nuova regia avrà il faticoso compito di apportare quell’innovazione necessaria per affrontare un mercato sempre più competitivo, affiancando il Consorzio stesso a tutte le categorie o associazioni direttamente interessate allo sviluppo locale e cercando sinergie comuni oltrepassando i classici interessi personali.

enologica italiana, farla conoscere ai consumatori e agli operatori, presentare al pubblico le tipologie dei vini più caratteristici, nonché premiare e stimolare lo sforzo delle aziende vinicole al continuo miglioramento qualitativo dei loro prodotti. Al Concorso i vini sono stati suddivisi in dieci categorie: vini bianchi secchi tranquilli Doc e Docg, vini bianchi secchi tranquilli ad Indicazione geografica tipica, vini bianchi secchi tranquilli doc e docg elaborati in barrique o comunque affinati

Il vino bergamasco è sempre più “rosa” La vitivinicoltura è un’attività che vede sempre più in primo piano le donne. In provincia di Bergamo oltre il 20% delle aziende del settore è guidato da imprenditrici. Appassionate e professionali, oltre che sensibili, creative e determinate. Sono queste alcune delle qualità che fanno emergere le componenti dell’altra metà del cielo enologico bergamasco, produttrici molto preparate che negli ultimi anni si sono affrancate e hanno dimostrato non solo di essere capaci nella vigna e in cantina, ma anche di saper gestire con abilità gli aspetti legati al marketing e all’immagine. A livello provinciale - sottolinea la Coldiretti - sono circa 20 le aziende vitivinicole con donne titolari, quasi tutte imbottigliano vino Igt o Doc e sono concentrate nella fascia tra Bergamo e Sarnico. Per citarne alcune, a Foresto Sparso, al “Podere della Cavaga”, Nicla Acerbis, con i suoi 8 ettari di vigneto produce vini Doc e spumanti, valorizzando un vitigno storico a bacca rossa (passato recentissimamente Doc Terre del Colleoni), il Franconia detto anche Imberghem. Ben 4 le donne che gestiscono “La Tenuta degli Angeli”, un’azienda vitivinicola di Carobbio. La titolare Manuela Ghidini e le figlie Roberta, Laura e Maria Testa sono attente oltre che alla qualità anche all’aspetto della promozione. La società “La Rocchetta”, con 16 ettari di vigneto tra Villongo e Sarnico, è guidata da Giovanna Balestreri che nel corso degli anni si è specializzata nella produzione di spumante metodo classico e vini rossi Doc Valcalepio di gran pregio. Da citare anche Domizia Frattini di Adrara San Martino eletta alla guida dell’Associazione Viticoltori Monte Bronzone, una realtà nata nel 1984, che raggruppa 70 soci vitivinicoltori professionisti ed hobbisti dell'area Basso Sebino Lago d'Iseo con una superficie totale a vigneto pari a circa 40 ettari.

in legno, vini bianchi secchi e tranquilli a Indicazione geografica tipica elaborati in barrique o comunque affinati in legno, vini rosati secchi tranquilli Doc, vini rosati secchi tranquilli a indicazione geografica tipica, vini spumanti bianchi metodo Charmat con residuo zuccherino non superiore a 20 g/l., vini spumanti bianchi metodo Classico con residuo zuccherino non superiore a 20 g/l, vini spumanti rosati metodo Charmat con residuo zuccherino non superiore a 20 g/l, vini spumanti rosati metodo

Classico con residuo zuccheccherino non n superiore a 20 g/l.

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LA CURIOSITÀ di Anna Facci

Un orto piccante Cercava sapori forti ed ha deciso di coltivare da sé i peperoncini. Grazie a Internet, Francesco Carnazzi ha scoperto un mondo di appassionati e fatto crescere a Gandino fino a 80 varietà diverse, ssoprattutto “super hot”. «Anche forme e colori mi lasciano a bocca aperta»

I

n tempi pre-web la sua sarebbe rimasta probabilmente una curiosità in sottofondo, una ricerca per tentativi più o meno fortunati di peperoncini che potessero regalargli forti emozioni. Con Internet e la scoperta di una community interamente dedita alla coltivazione, allo scambio di semi ed esperienze gli si è aperto un mondo e nel giro di qualche anno ha fatto crescere in quel di Barzizza - frazione di Gandino ai piedi del monte Farno dove il clima e la tradizione gastronomica non sono certo tropicali ma nemmeno quelli del nostro Sud - fino a un’ottantina di piante e di frutti ogni varietà. Si chiama Francesco Carnazzi, ha 31 anni e fa il giardiniere. «Tutto comincia nel 2007 – racconta – quando mio suocero ed io volevamo trovare qualcosa di più piccante rispetto al peperoncino che utilizzavamo abitualmente, che ci sembrava non avesse più molto sapore». Dopo alcune esperienze di coltivazione poco soddisfacenti, l’approdo prima in un forum e poi nell’attuale Pepperfriends.com gli ha permesso di dare nuove soddisfazioni al palato. «Nel settembre 2008 – ricorda - ho potuto assaggiare il mio primo Habanero chocolate: un delirio, orecchie in fiamme, sensazioni difficili da descrivere ma emozionanti». Se nelle versioni più soft e ben dosate il peperoncino è un tocco generalmente apprezzato in cucina, che ha anche effetti benefici per la salute, al crescere della piccantezza diventa un prodotto per veri appassionati, fino all’assaggio di “super hot” in purezza definito addirittura “sport estremo” per il grado di sollecitazione che provoca sul sistema circolatorio (senza dimenticare l’effetto irritante sulle mucose e sullo stomaco). E non si tratta solo di sensazioni. La piccantezza viene misurata con analisi di laboratorio ed espressa con un’unità di misura specifica, i gradi Scoville. Per avere un’idea dell’ampiezza della gamma, si calcoli che la varietà Cayenna ha una “potenza” di circa 70mila gradi Scoville,

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e di più

Per sapern

etnici N e i n e go z i rt i d e o n e i re p a so ti c o d ic a ti a ll ’e fresco, e rc a ti tto tropicale o d e i su p e rm d ro p e h c e qual ualcosa di si può trovar uriosità di assaggiare q rivere la c ci si può isc to li ma se si ha so al d o e tenei divers riends.com rf e più forte e d p p e .p w a ggi sito ww rché nei par e p , ti al forum del n e m ta ici gli appun na cena tra am u o o re d’occhio tr n o c erci un in cia è stato il potrebbe ess ostra provin n a ll e N . o cin porre, con il del peperon Altino a pro i d r e st O l' igio operta delristorante B serate alla sc e u d , o p p l gru supporto de in cucina. el piccante d a la chimic

gli Habanero vanno dai 400 a 600mila gradi ma il peperoncino riconosciuto dal Guinness dei primati come il più piccante al mondo, il Bhut Jolokia, raggiunge il milione. A volte anche il nome può dare un buon indizio: il Seven Pod, ovvero “sette pentole”, si chiama così perché un solo frutto è considerato, nella tradizione caraibica da cui proviene, sufficiente per in saporire sette bei pentoloni di stufato. Esistono circa 400 varietà di peperoncino, suddivise in cinque specie: Capsicum annuum, frutescens, pubescens, baccatum e chinense, alla quale appartengono i frutti più piccanti. «La difficoltà maggiore per chi vuole coltivare i peperoncini – spiega l’appassionato bergamasco – è il fatto che si ibridano facilmente e così non sempre i semi danno vita alle varietà che si pensava di ottenere». Da qui la specializzazione di alcune


aziende e la nascita di forum e associazioni per lo studio e la divulgazione del mondo piccante. Attraverso il sito Pepperfrinds.com si possono scambiare informazioni, consigli, semi, confrontare esperienze, con tanto di documentazione fotografica e video delle degustazioni, ed essere aggiornati su manifestazioni, cene, congressi, visite a coltivazioni. Gli iscritti sono un migliaio, i più attivi circa 200. «È un rapporto a distanza – dice -, ma appena ci si incontra di persona è come se ci si conoscesse da sempre, l’intesa è immediata». Carnazzi fa anche parte anche dell’Aispes, Associazione internazionale studio peperoncino e solanacee, che ha cominciato a creare degli ibridi, interessanti per caratteristiche estetiche o organolettiche, con l’obiettivo, trascorsi i sei anni necessari alla stabilizzazione del patrimonio genetico, di proporli con il proprio marchio per sostenere i diversi progetti in cui è attiva. «Il filo conduttore è sempre la ricerca del peperoncino più piccante, anche se devo ammettere – continua - che ora a guidarmi più che il desiderio di mangiarli è la curiosità di saperne di più su questi prodotti, talmente diversi per forme e colori da lasciare a bocca aperta. Ce ne sono di color arancio salmone ma anche di viola, a forma di cornetto, di campana, anche le piante sono molto belle». Carnazzi è arrivato a coltivarne fino a 80 varietà diverse, oggi però si concentra su quelle più piccanti e su alcune ornamentali. «Con le dovute accortezze – spiega - la coltivazione è possibile anche nel nostro clima. Per i super hot la semina deve essere fatta a fine gennaio, in modo che la fioritura avvenga nei mesi più caldi, e per questo ci si aiuta con le lampade. Le piante poi fruttificano all’aperto, con l’attenzione di dotarle di un riparo dalla grandine, sia in vaso che in terra piena in posizione ombreggiata. Per quanto mi riguarda, i risultati migliori li ho dai vasi che tengo sul balcone». «Una pianta in

buone condizioni può dare anche una cinquantina di frutti - prosegue -. Coltivo peperoncini per il consumo in famiglia e tra amici, per lo scambio all’interno della community e talvolta vendo i frutti attraverso Internet, per coprire i costi della produzione dovuti soprattutto all’utilizzo delle lampade. La coltivazione vuole essere la più sana possibile, per questo scelgo concimi e trattamenti naturali». Una volta maturo, il peperoncino può essere utilizzato fresco, può essere fatto seccare tramite un essiccatore («per conservarsi a lungo deve essere ben asciutto», avverte Carnazzi), può essere messo sott’olio e utilizzato nelle conserve. «Secondo me dà il massimo sulla pasta – rileva -, mi piace molto anche la salsa di cipolle agli Habanero che preparo riducendo in poltiglia le cipolle stufate. Un amico svizzero realizza anche delle marmellate e prepara pure una salsa con peperoncini invecchiati in botte». Poi sta all’abilità del cuoco dosare sapori e piccantezza. «All’inizio della degustazione è possibile avvertire gli aromi dei diversi frutti, alcuni si presentano anche con una nota di dolcezza – conclude – poi però quello che resta è l’intensità del piccante».

Qualche assaggio Hanno forme e colori accattivanti, ma vanno assaggiati con cautela. Ecco un piccolo campionario dei peperoncini che crescono in quel di Gandino.

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LA TRADIZIONE di Roberta Martinelli

Del panetterie ultracentenario la sorpresa si chiama “sfongadina” A Tavernola, nella piccola bottega degli Zatti aperta dal 1854, si continuano a sfornare le piccole pagnotelle, ormai specialità della zona

A

volte le sorprese più golose capitano ano perr caso. Come l’incontro a Tavernola con il PaP Pa nificio pasticceria Zatti, una piccola bottega ga ultracentenaria in cima a una viuzza che dal lago sale ale al centro del paese. Nessuna delle pretese di tanti indirizzi di città, le cui vetrine e insegne ti fanno pensare più alle boutique che a negozi di alimentari: la bottega sembra uscita dritta dritta dai ricordi d’infanzia e si capisce subito che è un pezzo di storia del paese e dei suoi abitanti (in base ai documenti trovati sembra fosse già in funzione nel 1854, il che ne fa una delle panetterie più antiche della Bergamasca). Ci eravamo andati per comprare il pane, poi l’occhio è caduto su delle piccole pagnottelle. Rosa, la titolare, ci ha spiegato che le chiamano “sfongadine” in omaggio alle cugine maggiori della Valle Camonica. Le similitudini però finiscono qui: la ricetta è tutta loro e, negli anni, queste pagnottelle sono diventate una vera e propria specialità della zona. Tanto apprezzata che è capitato che comitive di turisti di Montisola abbiano fatto tappa a Tavernola solo per farne provvista. L’ideatrice di questo formato mignon è la figlia di Rosa, Caterina, che da ragazzina ha avuto l'intuito di spezzare la sfongada più o meno a metà perché le sue manine non riuscivano a formare le palline a grandezza normale. Rosa ha ragione: le sfongade, buonissime anche loro, sono altra cosa. Le sfongadine tavernolesi sono pagnottelle dolci a base di farina, burro, zucchero, latte, uova, lievito e farina gialla, ideali per la merenda. Ne compriamo una decina e, in cuor nostro, già programmiamo di tornare per acquistarne ancora. Intanto Rosa ci mostra un’altra specialità, la torta di amarene, il dolce tipico tavernolese, una ricetta che si tramanda dall’800. Un tempo si cuoceva al forno solo il 2 luglio in occasione della festa della Madonna di CorDa sinistra: Cornelio Zatti, Rosa Martinelli Eugenio Urgnani e la moglie Francesca Zatti

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tinica, poi la suocera l di Rosa, Catina, n anni an addietro ha sperimentato il metodo per conservare le amarene amaren tutto l’anno mettendole in mastelli di legno e da allora le preparano sempre. Fino a una decina di anni fa vi era l'usanza da parte di tutte le famiglie di Tavernola di ritrovarsi nel prato circostante il Santuario della Madonna di Cortinica per fare un pic-nic e condividere la torta di amarene. Ora non accade più, ma ogni famiglia di Tavernola ha conservato una sua particolare ricetta della torta. Quella degli Zatti è una variante di pasta frolla farcita con amarene snocciolate e realizzata a forma rotonda o rettangolare (tranne a Natale e a Pasqua: in queste occasioni la trovate a forma di albero di Natale e di colomba). Rosa e il marito Cornelio, erede di una storica famiglia di fornai, un anno e mezzo fa pensavano di chiudere e andare in pensione perché le figlie avevano scelto tutte un’altra strada. Poi la figlia Francesca ci ha ripensato e con il neomarito Eugenio ha deciso di proseguire l’attività di famiglia, giunta ormai alla sesta generazione. Grazie a loro il futuro delle pagnottelle e della torta di amarene di Tavernola è assicurato. Per fortuna.


Di stagione e italiana: ecco la frutta protagonista dell’estate SSecondo econdo i ffruttivendoli ruttivendoli bbergamaschi i consumatori hanno pochi dubbi osa aacquistare cquistare qquando u su ccosa il clima si fa più caldo: le tante varietà tti di di cui cui ilil nostro n di prodotti Paese, mese dopo mese, è prodigo

L’

estate è la stagione taag per eccellenza della frutta e sarebbe un peccato non approfittare delle tante varietà di cui il nostro Paese, mese dopo mese, è prodigo. Sembra un po’ questo l’atteggiamento di chi oggi fa la spesa dal fruttivendolo, che sceglie senza dubbio prodotti italiani con l’intelligenza di coglierli nel momento in cui la produzione è al clou, tra l’altro con vantaggi per il portafogli. E

così ciliegie, fragole e albicocche sono già finite nel cestino, al pari dei meloni e col primo caldo si è cominciato a tagliare anche le angurie. Ben avviata pure la stagione di pesche e prugne. Niente primizie, quindi, né prodotti esteri se a disposizione c’è il patrimonio nazionale. Tanto più dopo gli allarmi sanitari scattati, in primis sulle verdure, per i casi di morte e infezione da batterio Escherichia coli in Germania e

nei Paesi del Nord. «La richiesta è di prodotti italiani conferma Roberto Buusca titolare co ccon n la moglie di un negozio in via Statuto in città - e per le verdure, settore che ha avvertito qualche contraccolpo, più conte-

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«Gli allarmi sanitari hanno alzato l’attenzione sulla provenienza delle verdure e la richiesta è soprattutto di ortaggi locali»

nuto del previsto per la verità, dalle vicende internazionali, si cerca addirittura la provenienza locale. La nostra provincia da questo punto di vista può offrire molto, dalle numerose varietà di insalata alle zucchine, dai pomodori ai fagiolini, fino alle melanzane che arriveranno tra un po’. Solo peperoni e cavolfiori, in pratica, non sono nostrani». Stessa tendenza nei consumi anche all’ortofrutta Mora di Borgo Santa Caterina. «Tutta la frutta estiva sta andando molto bene – rileva la

signora Carmen -, del resto, dopo l’inverno, la gente ha voglia di sapori nuovi. Certo, c’è anche chi continua a mangiare mele perché è abituato, ma la voglia di cambiare è prevalente». «A maggio ha piovuto poco ed è stata un’ottima annata per le ciliegie – aggiunge –, ora proseguiamo con albicocche, pesche, prugne, angurie e meloni. Con l’avanzare della stagione aumentano le quantità disponibili e i prezzi cominciano a scendere». L’acquisto di angurie e meloni resta un’incognita? «Per quanto ci riguarda abbiamo fatto la scelta di prodotti garantiti dall’azienda così da poter assicurare la pienezza del gusto anche dei primi arrivi». L’approvvigionamento giornaliero al mercato di Bergamo porta poi in negozio le verdure locali. «Con il caldo si sta poco ai fornelli – dice ancora la signora – e lo

spazio se lo prendono quasi tutto le insalate. I fagiolini sono belli e sono richiesti, mentre zucchine, peperoni e melanzane sono scelti per le grigliate». Anche in questo punto vendita la domanda più frequente riguarda la provenienza, con l’estero in netto ribasso. Ha scelto di dare un’atmosfera provenzale la signora Giulia, marchande des legumes, al negozio che ha rilevato in via Zambonate e aperto da gennaio, dopo un’esperienza lavorativa in tutt’altro settore. «Se il tempo è bello – dice – i consumi di frutta aumentano». La scelta cade perciò sui prodotti di stagione, alimenti ideali per il clima più caldo, molto dolci e gustosi pur fornendo un contributo calorico limitato, in più ricchi di acqua e altamente dissetanti. «L’avvio dell’attività è stato incoraggiante – rileva – anche se

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20 Affari di Gola giugno 2011


ancora è presto per dire di aver ingranato. Oltre alla gestione quotidiana, quello che sto cercando di fare è dare un tocco femminile all’ambiente, curando pian piano certi dettagli. In inverno anche i prodotti saranno un po’ diversi dal solito, soprattutto francesi come cipolle e carote». In questa stagione però l’esterofilia è bandita anche qui.

IL CONCORSO DEL MINISTERO

Le famiglie, i bambini e la frutta: premi per chi scatta le foto più belle Piccoli reporter chiamati ad immortalare in un clic il proprio rapporto con la frutta e la verdura in casa, nel tempo libero, con gli amici.“Tutti pazzi per la frutta!” è un concorso fotografico - alla sua prima edizione - promosso dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali tra le iniziative a sostegno della campagna “Frutta nelle scuole”, il programma europeo che vuole favorire del consumo avvicinando i bambini e le famiglie al mondo dell’agricoltura e ai suoi valori tradizionali. Il concorso punta a dare visibilità a quelle abitudini che favoriscono il consumo regolare e consapevole di frutta e verdura nell’alimentazione quotidiana. Per partecipare, basta che qualcuno in famiglia decida di vestire i panni del fotografo e vada a caccia di scatti golosi: sorprendere la mamma o un fratello mentre gustano una fragola o una ciliegia, la nonna mentre prepara una fresca macedonia di stagione, inventarsi il frullato più pazzo del mondo o ancora farsi un autoscatto mentre si parla con il proprio frutto preferito. Il concorso è aperto a tutte le famiglie degli studenti delle scuole primarie italiane: ogni famiglia potrà proporre tre foto sul tema della frutta e della verdura nel proprio ambito quotidiano. Una giuria composta da esponenti istituzionali, esperti di comunicazione e fotografi selezionerà 100 foto. Ai 100 nuclei familiari vincitori verrà offerto un soggiorno premio in un agriturismo. I migliori scatti verranno esposti in una mostra organizzata a Roma nel prossimo autunno. Le foto, in formato digitale, dovranno essere caricate seguendo il percorso di upload sulla pagina web www.tuttipazziperlafrutta.it. non oltre il 30 agosto 2011. L’elenco dei vincitori verrà pubblicato entro il 30 settembre 2011.

Affari di Gola giugno 2011 21


FRUITS AND VEGETABLES LINE

L

a freschezza è una delle caratteristiche più apprezzate quando si parla di prodotti ortofrutticoli. Per questo, nell’arredare un negozio, è importante escludere l’impiego di materiali deteriorabili e sensibili all’umidità che potrebbero ammuffire e pregiudicare la corretta conservazione di frutta e verdura. Vanno garantiti, insomma, sia un’adeguata areazione sia i massimi livelli d’igiene, attraverso installazioni ad elementi smontabili, accessibili anche nei punti più nascosti per facilitare un’accurata pulizia. A questo scopo, le soluzioni di arredo per negozi di frutta e verdura, oltre ad essere necessariamente diverse, vanno studiate con attenzione così da assicurare praticità, funzionalità e un ottimale appeal estetico. La Point Italy Sas di Grassobbio - azienda

che si è ritagliata un meritato spazio nel settore degli arredamenti, è in grado di proporre alla propria clientela soluzioni di alta qualità, progettate da uno staff aggiornato su tutte le nuove soluzioni proprio per garantire articoli innovativi e di grande interesse e praticità. Compito del team operativo è quello di effettuare un sopralluogo preliminare dei locali, per determinare gli spazi a disposizione e le possibili soluzioni. Point Italy assicura anche la produzione di banchi di vendita su misura, costruiti sulla base delle specifiche esigenze: fruttivendoli e negozi di ortofrutta possono così godere di soluzioni ad hoc, rispondenti anche ad una precisa immagine aziendale. Avvalendosi della sua pluriennale esperienza nel settore, l’azienda si propone come partner qualificato e affidabile per le attività commerciali che hanno la necessità di dotarsi di soluzioni di arredo moderne e funzionali, assicurando anche la massima visibilità delle merce esposta all’interno dei negozi e promuovendo, in tal modo, le vendite sul mercato. GROUP SIFA SPA

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22 Affari di Gola giugno 2011

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APPUNTAMENTI

10 LUGLIO

Passeggiata tra i sapori di Gandino Nove chilometri golosi tra il centro storico di Gandino e le sue frazioni. Domenica 10 luglio torna “Gustar… Gandino”, un’intera giornata alla scoperta del territorio, della storia e dei sapori locali. Tre le partenze, a distanza di mezz’ora, a cominciare dalle 10.15 per questo menù: aperitivo alla Tribulina dell’Uccellino; affettati bergamaschi con il pane tipico “Garibalda” per l’antipasto al Laghetto Corrado; Casoncelli in piazza Monsignor Antonietti a Cirano; all’oratorio di Barzizza carne “cunciada” o lingua salmistrata o cotechino bollito con polenta di mais Spinato rosso di Gandino, una tipicità riscoperta e valorizzata, disponibile anche in versione polenta “cunciada”; formagella nostrana con miele, anguria e visita alle antiche cantine nel Convento delle Suore Orsoline; chiusura in piazza Vittorio Veneto con assaggio di biscotto Melgotto (a base di mais Spinato) e Moscato di Scanzo, torta, caffè, ghiacciolo per i più piccoli e concerto del Gruppo Campanine. Gadget per tutti, premi a sorteggio e animazione nelle aree sosta completano l’iniziativa, che costa 20 euro per gli adulti, 5 euro per i bambini da 6 a 12 anni ed è gratuita fino ai 5 anni. La manifestazione si svolgerà anche in caso di maltempo. Info: www.gandino.it

SABATO 16 LUGLIO

Cascate del Serio in notturna, due proposte golose Lo spettacolo è suggestivo di per sé, ma se ci si aggiunge il fascino della notte e il piacere di un’escursione scandita da qualche sosta golosa è ancora meglio. È così che torna, per la quarta edizione, “Cascata tra notte e gusto”, la camminata enogastronomica che conduce ad assistere all’apertura in notturna delle cascate del Serio (le più alte d'Italia e le seconde d'Europa con un triplice salto da un'altezza di 315 metri). L’appuntamento è a Valbondione sabato 16 luglio da dove si partirà attorno alle 16. Sei le tappe: aperitivo in via Torre, polenta e formaggio (per i bambini la pizza) all’ostello, pane e salame nella frazione Pianlivere, Casoncelli all’Osservatorio di Maslana per poi fare rientro - dopo il magico salto illuminato di fari previsto dalle 21.30 alle 22 - a valle per il dolce, il caffè e per ritirare il diploma di partecipazione. È obbligatorio indossare un adeguato abbigliamento da montagna, l’uso del frontale o della pila elettrica. Il regolamento di partecipazione è disponibile, insieme con la scheda di iscrizione, sul sito www.turismovalbondione. it. Il costo è di 20 euro per gli adulti e di 15 euro per i bambini fino a 12 anni. Per l’evento, anche il rifugio Campel, a 1.500 metri di quota in località “Asta della Corna” di Lizzola, ha organizzato un programma speciale: ritrovo alle 18.30 alla partenza della seggiovia e salita al rifugio, aperitivo, cena con grigliata mista, osservazione del cielo fino al momento dell’apertura delle cascate, ritorno in paese e conclusione al pub Duble Face con un caldo ristoro. Per gli adulti il costo è 18 euro, per i bambini 13.Anche in questo caso occorre la torcia. Info e prenotazioni: 339 4948155. Quest’anno le cascate saranno aperte anche le domeniche 21 agosto, 18 settembre e 9 ottobre, dalle 11 alle 11.30.

MARTEDÌ 28 GIUGNO

Vino, Caldaro porta in piazza i suoi bianchi Martedì 28 giugno si rinnova l’appuntamento con “Caldaro in abito bianco”, serata di presentazione della produzione vinicola della rinomata località altoatesina, a pochi chilometri da Bolzano lungo la strada del vino, affacciata sull’omonimo lago e circondata da vigneti, boschi e frutteti. I vini bianchi di Caldaro saranno presentati in piazza dagli stessi viticoltori a partire dalle 18, accompagnati da musica, prodotti tipici e specialità della gastronomia locale preparate dai membri dell’Associazione Albergatori di Caldaro. I vini bianchi di Caldaro, freschi e fruttati, con note di mela, banana e ananas, dai colori tipici verde fieno e giallo paglierino, sono caratterizzati da una spiccata aromaticità e da una buona acidità, conferite dall’elevata escursione termica notturna e dal terroir particolarmente calcareo, i cui vigneti si estendono a un’altitudine di 500 metri. L’iniziativa, giunta alla quinta edizione, è organizzata da wein.kaltern, l’associazione che annovera 62 iscritti fra ristoranti, cantine vinicole e aziende di Caldaro e che si dedica alla promozione di questo territorio. Info: www.wein.kaltern.com

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PROPOSTE di Giordana Talamona

Strade del Vino, quattro itinerari tra cultura ed enogastronomia Valtellina, Oltrepò Pavese, Franciacorta e Mantovano: qui una vacanza mordi e fuggi è l’occasione per scoprire cantine, ristoranti e musei. Ecco i nostri suggerimenti

S

i avvicina l’estate e la voglia di evasione non può che crescere. Per chi fosse a corto di idee o desiderasse una vacanza “mordi e fuggi”, una gita tra i vigneti e le cantine, seguendo una delle Strade del Vino presenti in regione, può essere una valida soluzione. Ne abbiamo selezionate quattro delle dodici esistenti, con una serie di suggerimenti e “fuori programma” gustativi non compresi nei classici itinerari delle Strade. Se amate i rossi importanti dovete andare in Valtellina, se preferite gli spumanti Metodo Classico scegliete tra Franciacorta e Oltrepò Pavese, se vi piacciono i vini briosi non potete che optare per il Mantovano. Insomma, la scelta non manca e se, sfortunatamente, foste accompagnati da un astemio, poco male. Le Strade del Vino coniugano storia, cultura, natura ed enogastronomia in itinerari che accontentano un po’ tutti i gusti.

OLTREPÒ PAVESE

Settanta chilometri di proposte, tappa obbligata la Valle del Riesling La Strada dei Vini dell'Oltrepò si estende per circa 70 chilometri consentendo al turista di percorrere, in lungo e in largo, itinerari diversi, sia di carattere enogastronomico che culturale. Andando a spasso per cantine e fortilizi quattrocenteschi, non potete perdere la cittadina di Varzi, patria del gustoso salame che potete accompagnare a un buon bicchiere di Bonarda Doc. Fatto lo spuntino di metà mattina non vi rimane che scegliere tra i tanti castelli della zona, come quelli di Montalto Pavese, Calvignano, Borgo Priolo o Mornico Losana. Siete nella Valle del Riesling, non dimenticatelo, un territorio che comprende anche Oliva Gessi e Casteggio, non avete dunque che l'imbarazzo della scelta tra le numerose cantine pronte ad accogliervi per una degustazione. Tutta la Valle infatti, ben 1800 ettari, è piantata a Riesling, sia Renano che Italico, anche se un nuovo progetto di riqualificazione

partito qualche anno fa, prevede il reimpianto del solo Renano, più adatto al lungo invecchiamento. Passando per Pietra de’ Giorgi date un’occhiata al suggestivo fortilizio quattrocentesco eretto su fondamenta che sembrano risalire, addirittura, all’anno Mille; mentre se siete amanti della musica non potete perdervi Stradella, famosa città delle fisarmoniche.A Broni trovate il Consorzio Tutela Vini del territorio che ha lanciato, già da un paio d’anni, il Cruasé, uno spumante Metodo Classico da Pinot Nero in purezza diventato portabandiera dell'intera zona. Sull’altura di Oramala sorge l’omonimo castello di Val di Nizza dominante la Valle Staffora, non lontano dall’Abbazia di Sant'Alberto a Butrio, altra meta che non perdere. Per degustare le numerose tipologie di vino presenti nella zona, dovete andare alla storica azienda Travaglino di Calvignano. Fondata nel 1868, proprietà oggi


MANTOVANO

Lambrusco e Garda dei Colli per chi punta a verso la città dei Gonzaga Nel Mantovano, la Strada dei Vini tocca le zone di produzione di due interessanti Doc, il Garda Colli Mantovani e il Lambrusco Mantovano. L’itinerario può idealmente partire dalle colline moreniche, tra le zone viticole più vaste della Lombardia, proseguendo direttamente verso la città dei Gonzaga. Facendo tappa a Mozambano, borgo medievale con il castello arroccato sulla collina al centro del paese, potete andare all’Azienda Agricola Ricchi per acquistare il loro Garda Chardonnay Meridiano e il loro Passito Le Cime prodotto da Mo-

scato giallo e Garganega. (www. cantinaricchi.it - tel. 0376 800238). Proseguendo verso la SP15 potete fermarvi a Cavriana per un salto all’Azienda Agricola Bertagna, dove acquistare l’interessante Garda Chardonnay Monte Volpe Bianco (www.cantinabertagna.it, tel. 0376 82211). Usciti dall’azienda potete fermarvi ancora per un po’ a Cavriana per visitare la vicina Villa Mirra Siliprandi, una delle residenze più care ai Gonzaga, ora sede del museo archeologico dell'Alto Mantovano. Proseguite ora verso Mantova, toccando la SP15 e la SP81, nell’area di produzione del Lambrusco Mantovano, un vino brioso dalla classica spuma violacea che si accompagna ai pastosi salumi del territorio. Arrivati a Mantova dovete assolutamente visitare il Castello di San Giorgio e il Palazzo Te,

di Vincenzo Comi, è uno dei simboli dell’Oltrepò Pavese per lungimiranza e rapporto qualità-prezzo di tutto rispetto. L’enologo è Fabrizio Maria Marzi, impegnato costantemente in azienda e nella promozione del progetto Valle del Riesling. Gli amanti di questo vino, dunque, non possono perdersi il loro Campo della Fojada, un Riesling che si abbina al tipico risotto ai peperoni di Voghera; mentre chi predilige i rossi deve provare il Marc’Antonio, un vino da Pinot Nero, Croatina e Barbera particolarmente adatto alla selvaggina da pelo. Se preferite le bollicine avete solo l’imbarazzo della scelta: il Grand Cuvèe Brut, il Cruasé, la Cuvèe 59 e il Classese Brut che ha passato 48 mesi sui lieviti (www.travaglino.it). L’itinerario non può dirsi completo senza la visita serale di Voghera, dopo aver cenato al Ristorante Ponte Rosso. Domenico Adorato, ex astemio oggi sommelier, ha optato per una cucina tradizionale italiana con “variazio-

per poi fare una capatina alle Cantine ne Virgili. Daa non perdere il loro Lambrusco Luna di Marzo e il Lambrusco Mantovano Loghino Dante (www.cantinevirgili.it - tel. 0376 322560). Un ristorante per la sera può essere la nota Ochina Bianca che nel 1992 era conosciuta come l’osteria di Slow Food, oggi rilevata da Roberto e Patrizia Toselli. I piatti sono legati alla tradizione mantovana con rivisitazioni sul tema, come il Risotto alla pilota con pesto di salsiccia, lo stracotto d’asino al Lambrusco, il filetto di tonno ai tre pepi, specialità in carta dagli anni Novanta, e la Sbrisolona con grappa (www.ochinabianca.it - tel. 0376 323700).

ni sul tema” che coniugano stagionalità e materie prime. Come entrée, si può assaggiare la pizza con bufala di Battipaglia, basilico genovese e pepe del Vietnam.“E’ una pizza totalmente fuori da comune - spiega Adorato - per la quale Voghera vorrebbe richiedere addirittura la De.Co, la (denominazione comunale, ndr)”. Per gli stranieri in difficoltà con la pasta, si può optare sulla “trenna”, una variante della penna ideata da Adorato, con una parte che rimane sempre coricata sul piatto. Info: www.ristoranteponterosso.it. Specialità: Fiori di zucca in farcia di ricotta di Pienza, Pappardelle rigate con asparagini di mare, Trenne con pomodoro, basilico e frutti di mare, Filetto di Angus Argentino ai semi di sesamo, Tagliata con i pomodori pachino, Entrecôte alla Lionese con cipolle di Tropea, Filetti di suino con scalogno e aceto di mele,Totanetti grigliati, Frittura mista di paranza e selezione di pizze.


PROPOSTE

FRANCIACORTA

Nel regno delle bollicine Docg l’escursione è anche iper-tecnologia

La Strada del Vino in questo caso è quanto mai tecnologica, perché l’Associazione Vino di Franciacorta mette a disposizione il noleggio di un kit, il Metafacile, composto da un computer palmare con Gps e itinerari del territorio precaricati (info:Associazione del Vino Franciacorta, Erbusco via Verdi 53, tel. 030 7768539). A chi amasse ancora le buone vecchie cartine stradali, invece, consigliamo un itinerario che si snoda per 80 chilometri da Mandolossa a Paratico, fino al lago d’Iseo, attraverso un paesaggio caratterizzato da vigneti a perdita d’occhio, intervallati da torri d’avvistamento, castelli e ville storiche. La viticoltura della Franciacorta, d’altra parte, è per certi versi antica e moderna assieme. Sulle colline in provincia di Brescia, infatti, la vite è coltivata da tempi remoti, ma la rinascita di questa zona, per qualità e successo, ha storia relativamente recente. A partire dagli anni Sessanta, ma questo è avvenuto in molte altre realtà produttive del nostro Paese, in Franciacorta si è assistito alla nascita di una viticoltura diversa, proiettata verso una filosofia quanto mai qualitativa. Una presa di coscienza che ha letteralmente cambiato la faccia della Franciacorta che, da terra di rossi, si è trasformata in terra di spumanti Metodo Classico grazie all'impianto di Chardonnay, Pinot

Bianco e Pinot Nero, che regalano oggi prodotti di grande finezza ed eleganza. Questo itinerario enoico, dunque, non può che conquistare gli amanti delle bollicine Metodo Classico declinate in numerose tipologie diverse. Abbiamo il Franciacorta Docg, uno spumante che può accompagnare tutto il pasto; il Satèn dalla spiccata morbidezza gustativa determinata della minore pressione in bottiglia, ottimo compagno di risotti delicati e piatti a base di pesce; il Franciacorta Rosé dai tenui aromi di piccoli frutti rossi, perfetto con i salumi e le carni bianche, fino alla Riserva, con i suoi 60 mesi sui lieviti, come minimo, che esprime grande complessità ed intensità gusto-olfattiva. Per chi non apprezzasse gli spumanti consigliamo di puntare sulla denominazione Curtefranca Doc che per il rosso vede l'utilizzo di Cabernet Sauvignon, mentre per il bianco lo stesso uvaggio utilizzato per gli spumanti. Passando da un cantina all’altra non dovete perdervi qualche meta culturale di rilievo come il Santuario della Madonna della Rosa a Monticelli Brusati e il Castello di Fassati a Passirano, la fortificazione meglio conservata del territorio. Dopo aver ammirato proprio questo castello potete fare una capatina all’Azienda Montedel-

ma per conoscere una realtà giovane che si è già fatta notare per i suoi vini dalla spiccata finezza. L’azienda è nata nel 2000 per volontà di Piero Berardi,“figlio e nipote d’arte”, proveniente da una famiglia che lavora nel settore da oltre ottant'anni. È dello stesso gruppo, infatti, anche l’azienda franciacortina Berardi, a Molinetto. Oggi Montedelma produce dei Franciacorta Docg nella versione Brut, Satèn, Rosé e Pas Dosé, quest'ultimo dal gusto particolarmente secco, senza l’aggiunta della liquer d'expedition (www.montedelma.it). Per una romantica cena con vista sul lago d’Iseo potete andare all’Osteria Cascina Doss, a Iseo, che offre menù in degustazione e alla carta, accompagnati dalle più importanti etichette franciacortine. L’ultima trovata dell’eclettico chef è il menu “giro d’Italia” per festeggiare i 150 anni dell’Unità, dove si parte con un piccolo canederlo, come entrée, per proseguire con i piatti della tradizione e finire, in dolcezza, con la cassata siciliana. Per rimanere nella tradizione gastronomica della zona, non si può perdere la Tinca al forno del Sebino con polenta del molino Salera e il Tombea, un formaggio prodotto negli alpeggi del comune di Magasa, attualmente presidio Slow Food. Info: tel. 030 9822176


VALTELLINA

Il fascino della viticoltura “eroica” che esalta la cucina di montagna Sono tante le possibilità per il turista che voglia passare un breve soggiorno in questa terra affascinante, perdendo lo sguardo tra gli infiniti appezzamenti sostenuti dai tipici muretti a secco. Non a caso sono proprio questi impervi terrazzamenti a strapiombo, i cosiddetti “inferni”, ad aver fatto entrare di diritto la viticoltura valtellinese tra quelle considerate “eroiche”. Il vitigno principe è il Nebbiolo, detto localmente Chiavennasca, coltivato a fatica dalla mano dell’uomo senza l’aiuto, se non in casi rarissimi, di macchine e trattori. La strada dei Vini e dei Sapori di Valtellina si snoda in cinque zone denominate secondo l’antico retaggio storico-geografico, ma se vi interessa solo l'aspetto enologico conviene andare direttamente verso Sondrio. Il capoluogo, infatti, si trova proprio in mezzo alla strada dei Vini, con a ovest Ardenno e a est Tirano, estremi confini dell'itinerario enoico. La zona vitivinicola si estende per circa 45 chilometri, ricomprendendo la produzione di tutte le denominazioni valtellinesi, con partenza da Berbenno per le due Docg. È in questa zona, infatti, che si producono lo Sfurzat e il Valtellina Superiore, due vini rossi di grande pregio e struttura, da vitigno Chiavennasca. Se amate il Valtellina Superiore Docg non potete mancare l'itinerario delle sue cinque sottozone di produzione: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella. Il primo rientra nel comune di Berbenno, territorio che dà vini dal sapore asciutto, abbinabili alle carni rosse e ai formaggi stagionati. Il Sassella si coltiva a ovest di Sondrio, nel tratto più famoso della Valtellina, da cui svetta il bel santuario mariano che dà il nome a tutta la zona. Il vino ha, in questo caso, buona predisposizione all'invecchiamento, abbinandosi perfettamente al Bitto con la polenta taragna. Il Grumello, un vino dal sapore vellutato, è prodotto a est di Sondrio e si sposa bene con gli Sciàtt, le frittelline di grano saraceno con cuore di formaggio Casera. L’Inferno, la più piccola di tutte le zone, è un vino austero, con sapore asciutto, leggermente tannico che trova giusto accostamento con la selvaggina. Per finire il Valgella coltivato nei comuni di Chiuro e Teglio, a nord-est di Sondrio, è un vino dal bouquet delicato, morbido e fresco in bocca. Di tutti è quello che, per

Il ristorante Trippi Grumello

le fresche note floreali, può essere apprezzato anche giovane con i pizzoccheri, la bresaola e violino di capra. Terminato l'itinerario potete visitare, su prenotazione, l'azienda Nino Negri che ha sede proprio a Chiuro. Fondata sul finire dell'Ottocento è oggi tra le realtà produttive più importanti della Valtellina rappresentandone la storia e l'evoluzione qualitativa. In cantina c'è Casimiro Maule, insignito nel 2007 del riconoscimento di Enologo dell'Anno dal Gambero Rosso. Il loro Sfurzat Cinque Stelle, un vino che fa 20 mesi in barrique, si dimostra ogni anno una piacevole conferma per finezza e longevità, così come il Valtellina Superiore Vigneto Fracia. Cosa non comune, Nino Negri produce anche il Bianco Ca' Brione da Sauvignon, Chardonnay e Incrocio Manzoni, decisamente da provare se si vuol qualcosa di atipico per la zona (www.ninonegri.it). Per provare la tradizionale cucina di montagna potete andare al ristorante Trippi Grumello, proprio dietro ai terrazzamenti dell’omonima sottozona, a due passi dal bel Castello che dà il nome a tutta la zona. Appena entrati vi accoglierà lo scoppiettio del camino, acceso tutto l’anno estate compresa, utilizzato per cuocervi l'originale Tzigeuner, del controfiletto di manzo arrotolato su uno spiedino di abete. Marco Baruta, patron del locale, è in sala per consigliarvi tra l’ampia scelta dei piatti e le oltre 200 etichette di vino anche se, confessa “cerco di proporre in prima battuta i vini del nostro territorio, perché li amo e desidero farli conoscere”. Una cucina “eroica”, la sua, perché fare il ristoratore da queste parti non è facile, e non solo per il reperimento di alcuni prodotti.“Fortunatamente - spiega Baruta - rispetto a dieci anni fa, le cose sono migliorate enormemente grazie all'economia dell'Alta Valtellina che ha trainato tutto il territorio aprendo nuovi canali coi fornitori”. Info: Trippi Grumello, via Stelvio, Montagna in Valtellina, Tel. 0342 212447. Alcuni piatti: Spiedino originale Tzigeuner, Terrina di piedini di maiale in gelatina, Carpaccio di coniglio, Risotto al Grumello e bresaola, Involtino di gallinella alle mele, i classici Sciatt con cicorino, i Pizzocheri, il "Taroz".


IL RISTORANTE di Lelia Parisi

Trattoria del Teatro, la tradizione ci ha preso gusto Nel menù dello storico locale di Città Alta, da quasi mezzo secolo stazionano gli stessi piatti dell’autentica cucina bergamasca. La formula è vincente e pure il prezzo

A

ndare alla Trattoria del Teatro in Città Alta è un po’ come andar sopra i 5.000 metri: bisogna prima acclimatarsi per poter affrontare lo sbalzo di altitudine. Magari basta un pranzo la domenica dalla mamma (se sufficientemente anziana), meglio dalla nonna o da una prozia nubile, purché bergamasche doc, per riallenare il gusto alle vecchie pietanze. Certo qui non c’è il rischio di finire nella sacca iperbarica, ma siamo ormai così assuefatti a una cucina in punta di grassi e dai gusti così levigati anche quando vuol essere di sostanza, che forse si fa un po’ fatica ad apprezzare dei piatti che da quasi 50 anni stazionano immutati nel menù, benché a loro pieno agio. Il peso specifico delle preparazioni culinarie di Tranquillo Viganò, che

di anni ne ha 72, ma l’età nel suo caso è davvero relativa, per non dire quella della moglie Adele che sta in sala, è tutt’altra cosa rispetto a quelle eteree di oggi che si librano sempre qualche millimetro sopra il piatto. Qui i cibi al piatto ci stanno ben attaccati con il loro peso fatto di tanta sostanza, mantecature ricche, formaggi di lunga stagionatura, carni dense che hanno esalato quei liquidi e con essi quella leggerezza che le tecniche di oggi tendono a conservare. Eppure questa maggiore massa non si traduce in pesantezza. Anzi, Tranquillo la redime, la fa a suo modo lievitare, e quando usciamo dalla trattoria non abbiamo la sensazione di aver mangiato troppo o in modo pesante. Cosa che invece può capitarci dove meno ce lo aspettiamo. Segno

che il cibo ha le sue leggi o che forse i cibi sentono la mano di chi li lavora, il suo coinvolgimento o il suo distacco, e reagiscono di conseguenza. Forse percepiscono la mano esperta, protettiva, e a essa si concedono senza riluttanza, si trasformano al di là o nonostante la loro natura. Perché sono strane le alchimie del cibo. Se dunque la cucina di oggi tende a una minore densità e quindi a essere meno “solida”, qui invece la solidità permane, anche come valore, solido, appunto, così solido da durare da

IL GIUDIZIO AMBIENTE

7/10

L’ambiente, ricavato da un’antica costruzione, con i suoi arredi e le atmosfere un po’ d’antan, è ancora quello dell’83, dove la Trattoria si è trasferita dall’originale sede da cui, in tempi antichi, aveva preso il nome: il Teatro Sociale. Lindo, semplice, pareti con mattoncini a vista, un po’ austero nelle mise scure degli arredi, ma accogliente, il locale dispone di un’ottantina di coperti.

CUCINA

18/30

La Trattoria del Teatro è sicuramente l’ultimo locale di Città Alta che ancora propone l’autentica cucina bergamasca. L’ultimo baluardo di una tradizione integralista che ha resistito pervicacemente al nuovo, non facendosene mai contaminare. Per tener fede al suo credo, Tranquillo Viganò, che la gestisce insieme alla moglie Adele Verderio (in sala) e il figlio Enrico (ai fornelli con il papà), ha dovuto rinunciare a quelle che pur sono delle innegabili conquiste della cucina moderna, soprattutto sul fronte delle tecniche di cottura e di lavorazione dei

28 Affari di Gola giugno 2011

cibi. Ma la sua scelta di campo l’ha fatta 50 anni fa, e non l’ha mai più rimessa in discussione. E quindi largo alla migliore tradizione orobica, con ampio spazio alle carni, arrosto, brasate e stufate per lo più di provenienza locale, come i conigli di Ardesio, all’immancabile polenta, con farina bramata oro o taragna, e ad alcuni classici della cucina meneghina dei tempi gloriosi.

CANTINA

8/20

Assortimento molto sobria, praticamente di soli rossi, con circa 25 etichette, concentrate nelle regioni del Nord, andando non oltre la Toscana. Il Valcalepio è presente.

COMPETENZA

8/10

La scuola di Tranquillo Viganò, nativo di Como, ma da quasi mezzo secolo trapiantato a Bergamo, sono stati i ristoranti della Milano a cavallo tra fine Anni 50 e inizio Anni 60 e l’apprendistato in Città Alta nella trattoria che in seguito avrebbe preso il nome “da Ornella”. L’incontro con la Trattoria del Teatro avviene nel 1964, dove Tranquillo, prima di


quasi 50 anni. E allora provate la polenta e salame della Trattoria del Teatro, e vedrete come la densità a volte sfuma nella levità e come questo piatto persino banale riesca a incontrare un gusto che è una finestra sul passato, sui sapori stampati nella nostra storia e memoria (difficile dire se personale o collettiva), almeno, se si è bergamaschi, pure di vecchia adozione. E poi, se proprio non volete prendere i casoncelli, la specialità più gettonata insieme al celebre brasato e al capretto al forno, provate il risotto giallo, ché Tranquillo, comasco di origine ma naturalizzato bergamasco da quasi 50 anni, ha fatto il suo primo apprendistato nella Milano scomparsa di fine Anni 50, prima che le trattorie toscane dilagassero, soffocando nella finocchiona una tradizione gastronomica secolare, indifesa di fronte ai nuovi colonizzatori. Riso Carnaroli tostato nell’olio, brodo di carne, pistilli di zafferano e, a metà cottura, la benedizione della cipolla cotta a parte nel vino bianco. E poi via con la mantecatura di burro e formaggio, una coltre spessa come neve d’alta montagna. Oppure, provate la cotoletta (anzi costoletta) alla milanese con l’osso, cotta rigorosamente nel burro (certamente non quello a basso tenore di colesterolo, pazienza), che conserva ancora il sapore dei tempi (quelli della breve dominazione austriaca che oggi alcuni, col senno del poi, forse rimpiangono) in

cui si discuteva - dilemma mai risolto in 160 anni - se la cotoletta fosse milanese o austriaca. O l’ossobuco, qui servito con piselli, quello che l’Artusi diceva che lo san fare solo i milanesi. Oppure il piatto unico (a 15 euro), lo stufato di manzo col suo sugo denso come mosto e la sua bella taragna al Branzi di Almenno. E se volete onorare il detto e “stancare” la bocca, chiedete a chiusura pasto i formaggi, tra cui il Taleggio della valle stagionato in casa per 60 giorni, perché alla Trattoria hanno una speciale tecnica per portarlo alla giusta stagionatura, e un Monte Corna di latte di montagna. Altrimenti concedetevi una semplicissima crostata di frutta di stagione o il gelato di crema fatto in casa e non preoccupatevi per il conto. Si sta ancora, come ai vecchi tempi, sui 35 euro, vini esclusi.

piazza Mascheroni, 3 Bergamo tel. 035 238862 chiuso il lunedì

assumerne la gestione, affianca per qualche tempo il titolare che lo rende partecipe del vecchio ricettario della casa. Che, una volta rivisitato e affinato sulla scia delle competenze tecniche acquisite, diventerà la sua Bibbia per tutta la successiva carriera. Ricette e tecniche collaudate da oltre 45 anni fanno dunque dei piatti di Tranquillo degli ottimi saggi di una cucina semplice e schietta, che, se ha rinunciato a qualcosa, ha comunque il merito di aver conservato integro il passato.

SERVIZIO

8/10

È Adele Verderio, impeccabile nella sua divisa da cameriera d’altri tempi, che nessun’altra saprebbe rendere così credibile, a svolgere in modo efficiente il servizio in sala, con il suo fare garbato e al tempo stesso autorevole.

RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO

8,5/10

Considerato che siamo in una piazza storica di Città Alta e che anche il contesto vuole la sua parte, il rapporto qualità/prezzo si può considerare certamente buono. Conveniente in particolare il piatto unico a 15 euro, a menù anche la sera, pensato intelligentemente per i turisti, ma anche per chi vuole giusto fare un po’ più di uno spuntino e un po’ meno di un pranzo completo, in perfetto “orobic style”. p.s.

Slow Food, il 4 luglio incontro all’insegna dell’Alleanza

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l prossimo 4 luglio, alle 20, alla Trattoria Visconti di Ambivere, si terrà un incontro all'insegna dell'Alleanza con i Presidi Slow Food. La Trattoria, oltre ad essere menzionata nella guida delle Osterie d'Italia, fa parte dei ristoratori che hanno siglato con Slow Food il protocollo dell'Alleanza, che prevede un utilizzo sistematico nei propri menù di alcuni Presidi Slow Food. Fiorella, Daniele e lo chef prepareranno: Carpaccio di manzo dell’allevamento Micheli di Sotto il Monte marinato nella birra Loertis di San Pellegrino con sfoglie di farina di mais nostra”; “Gnocchetti di patate e ortiche con lo Stracchino a Munta Calda (Presidio Slow Food); Stracotto di pecora gigante bergamasca con polenta di mais biancoperla”; “Lamponi dell’Albenza con fiorì di Valtorta e miele di Robinia de L’Alveare”. In accompagnamento, verranno proposti gli ottimi vini dell'Az. Agricola Il Cipresso, menzionata nella guida Slow Wine di Slow Food Editore. Grazie alla collaborazione della Trattoria Visconti, una parte del ricavato dell'iniziativa sarà dedicato al Progetto 1.000 Orti in Africa.

Affari di Gola giugno 2011 29


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L’APERTURA

Degustando, la cucina si colora di “rosa” Due sorelle, la madre e un’amica: in quattro guidano il nuovo locale aperto a Gavarno di Nembro. In carta piatti tradizionali ispirati al Km Zero

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on una nonna paterna e una madre vocate per la cucina, non era facile “sottrarsi” al richiamo dei fornelli. Lo ammettono Emanuela Colleoni e la sorella Elena che nel loro Dna “l’impronta della passione culinaria è ben marcata”. E dal momento che nella vita l’ideale è poter dare sfogo alle proprie inclinazioni, Emanuela ed Elena, 38 anni la prima, 37 la seconda, dopo una corposa esperienza al Circolo Arci e poi al Caffè d'Autore a Nembro, hanno preso al balzo l’occasione di potersi misurare direttamente con la propria passione. Hanno restaurato la vecchia autorimessa annessa alla casa di famiglia, a Gavarno, e lo scorso 7 maggio hanno ufficialmente inaugurato il “Degustando”. Questo il nome del ristorante-pizzeria che gestiscono insieme all’amica Nadia Arrigoni, 30 anni, di Seriate (le quote sono paritetiche) e che è stato progettato “sposando” in larga parte le atmosfere tipicamente nordiche, vista la scelta caduta sui legni chiari, le travi a vista e le grandi vetrate. Il risultato è quello di un locale caldo e accogliente, con un azzeccato equilibrio tra struttura e arredamento. Ottanta i coperti, ai quali se ne aggiungono oltre venti nell’area esterna. A poche settimane dal via, il lavoro di squadra è più che rodato, con ruoli ben definiti: Emanuela “regna” in cucina con l’appoggio di mamma Laura, Elena segue la pizzeria e Nadia, l’esperta di vini, la cantina e il servizio in sala. Il menù - che viene rinnovato ogni due mesi - è declinato anche sulla proposta giornaliera a mezzogiorno (11 euro due piatti, vino, acqua e caffè) e si ispira ai criteri del Km

Da sinistra Emanuela ed Elena Colleoni e Nadia Arrigoni

Zero.“Grazie al contatto con diversi produttori locali puntualizza Emanuela - ci riforniamo di tante specialità, dal fresco (per esempio le paste) ai classici formaggi e salumi”. Il tutto per dar vita ad una cucina tradizionale, di sostanza, con una carta contenuta “per dar spazio più alla qualità che alla quantità”. Nella nostra visita abbiamo trovato in lista, oltre agli antipasti a base di salumi e formaggi, risotto con mirtilli e caprino o, in alternativa, con crema di patate aromatiche e petali di guanciale croccante, Scarpinocc de Par e il piatto della casa, il “Degustando”, gnocchi freschi con pomodorini saltati, veli di cipolla e semi di papavero (piatto davvero succulento). Tra i secondi, costata alla piastra con patate arrosto e filetto di maiale a listarelle in crema di gorgonzola, spätzle bianchi e finferli trifolati (grande equilibrio e ottima cottura). Nella stagione più fredda è facile trovare in carta anche le specialità storiche di mamma Laura, come gli stufati al vino rosso o lo stracotto di manzo ai porcini e polenta. Ma il vero punto forte del locale sono i dolci.“Sono tutti fatti in casi - conferma Emanuela - e sono il frutto di una passione che ho da sempre”. Oltre al servizio pizzeria, l’offerta di Degustando sarà a breve arricchita anche da serate a tema.“A seconda della stagione o delle richieste dei clienti, c’è l’intenzione di proporre eventi basati su prodotti specifici”. A supportare la proposta culinaria una cantina ancora in fase evolutiva, con una sessantina di etichette che spaziano in tutta Italia. Il costo medio per un pasto completo (vini esclusi) si aggira sui 30/35 euro. Meritati.

DEGUSTANDO via Gavarno 10 Nembro chiuso lunedì sera tel. 035 521338 Affari di Gola giugno 2011 31


IL PREZZO FISSO di Fulvio Facci

«Sui nostri casoncelli siamo pronti a scommetterci» Scherza, ma neanche troppo, Stefano Morotti della trattoria Alle Piante di Alzano presentando la proposta del locale. «Penso sia un pregio e non un difetto innovare il meno possibile in cucina»

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l susseguirsi delle stagioni scandisce i ritmi di tante attività e, in questo caso, offre alla trattoria Alle Piante, ad Alzano Lombardo in via Guglielmo d’Alzano al 27, la possibilità di presentarsi in due versioni diverse, non solo per le proposte della cucina, che per consuetudine sono stagionali, ma anche nel suo aspetto esteriore e di capienza. Nella bella stagione, sotto le piante, c’è posto per parecchi clienti mentre con i primi freddi lo spazio si riduce a 50-60 coperti. «È un particolare, questo, del quale non mi lamento – racconta Stefano Morotti, titolare del locale – dal momento che durante la bella stagione il lavoro è molto intenso e abbiamo bisogno di più personale. Quando ci ritiriamo all’interno torniamo alla conduzione familiare, i ritmi rallentano un po’ e ci va anche bene per rifiatare e per prepararci al nuovo ciclo estivo». Alle Piante si può dire ci sia da sempre. Prima si trattava della classica osteria di paese, luogo di ritrovo per la partita a carte del pomeriggio e per qualche spuntino con salame, carne salata o trippa, come nella tradizione dei ristori della Valle. Dal primo gennaio del 1986 la storia del locale è cambiata. A gestirlo è arrivato Arrigo Morotti, padre di Stefano, ed è iniziata la ristorazione sulla Stefano base di esperienze gastronomiche acquisite Morotti da diversi componenti del nucleo famigliare. Dal 2000 il testimone è stato raccolto da Stefano, passaggio sottolineato anche dal premio “Protagonisti di una società che cambia” assegnato dall’Ascom nel corso della sua recente assemblea alle attività caratterizzate da una continuità familiare e associativa. «Abbiamo i casoncelli più buoni del mondo – afferma, scherzando ma nemmeno troppo, Stefano Morotti – e su questo tema accettiamo scommesse. Penso sia un pregio e non un difetto innovare il meno possibile in cucina. Oltre ai casoncelli abbiamo quindi le tagliatelle ai funghi e le pappardelle al cinghiale con la pasta fatta in casa. Per i secondi piatti cuciniamo il coniglio, l’arrosto coi funghi, lo stufato, il filetto allo speck e la carne alla griglia. Nella stagione estiva proponiamo la carne salata, che è stata a lungo uno dei piatti che ha fatto conoscere il locale, il carpaccio e il vitello tonnato». Con un tipo di cucina così ben definito uno degli elementi fondamentali diventa la scelta delle materie prime e sotto questo profilo l’orientamento è quello di seguire una filiera corta con acquisti in zona. «Facciamo molta attenzione – ha concluso Stefano Morotti – ma non lesiniamo sulla qualità anche per il menù fisso di mezzogiorno che specialmente durante la bella stagione ci dà delle belle soddisfazioni e ci consente di fare numeri importanti. Nelle altre occasioni e quindi la sera e la domenica abbiamo una clientela molto affezionate e costante, anche se non sono mancati cambiamenti. In precedenza avevamo una fascia che forse disponeva di meno risorse mentre ora arrivano clienti con maggiori possibilità. Ritengo che nei confronti di questi ultimi sia passato un messaggio del tipo: è inutile spendere di più quando si può avere la qualità a prezzi accessibili. Da noi, se non si prende il filetto, con 25 euro si può fare un buon pranzo».

32 Affari di Gola giugno 2011

LA PROVA Nella bella stagione alla trattoria Alle Piante la pausa pranzo assume un carattere particolare dal momento che il servizio viene effettuato nella cornice che, con ogni probabilità, deve aver dato il nome al locale: sotto le piante, appunto. Il pranzo è di lavoro per definizione ma proprio perché l’atmosfera è abbastanza festaiola, quasi da picnic verrebbe da dire, sono frequenti anche clienti che con il lavoro ora non hanno nulla a vedere: coppie di pensionati, ipotizziamo, che nelle belle giornate passeggiano sulla ciclabile che costeggia il Serio. Il prezzo è accessibile, la cucina è buona: perché non approfittarne... Sui tavoli c’è il menù del giorno. Farfalle tonno e piselli, spaghetti aglio e olio, penne all’arrabbiata, spaghetti all’amatriciana sono le proposte per i primi piatti. Per i secondi si può scegliere tra filetto di pesce persico al forno, scaloppa di cavallo al brandy, petto di pollo ai ferri e vitello tonnato. Zucchine trifolate o verdura fresca sono i contorni. Il menù, per dieci euro, comprende primo, secondo, contorno, acqua, vino e caffè. Eccellenti gli spaghetti all’amatriciana, buono il vitello tonnato, sicuramente giusto il rapporto prezzo/qualità.

TRATTORIA ALLE PIANTE via G. D’Alzano 27 Alzano Lombardo tel. 035 510080 chiuso il lunedì


A tavola con lo sportivo di Filippo Grossi Il campione bergamasco di motociclismo Roberto Locatelli

Locatelli: “Vado al massimo con casoncelli e brasati”

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l diavoletto bergamasco del motociclismo, che nel 2000 è riuscito a vincere un titolo mondiale nella classe 125 in sella all’Aprilia. Un purosangue che per vent’anni è stato la punta di diamante del motociclismo di casa nostra. Lui è Roberto Locatelli, grande centauro bergamasco, che oggi continua a cavalcare il mondo delle moto, la sua passione fin da bambino al seguito del papà Carlo, nel ruolo di coordinatore tecnico-sportivo del Team Italia Fmi: oggi per far trionfare i ragazzini, i nuovi diavoletti del motociclismo azzurro. Gli abbiamo chiesto i suoi gusti in fatto di cucina, guardate cosa ha risposto… Piatto preferito “La pizza” Ti piace cucinare? “Non molto” Il piatto che ti riesce meglio “Sono un buon grigliatore: cucino alla griglia la verdura, la carne e il pesce” La specialità bergamasca che preferisci “I casoncelli” La cucina regionale italiana che più apprezzi “Non c’è niente di meglio della cucina bergamasca, la adoro” Il tuo menù ideale “Direi un bel menù bergamasco doc: di primo casoncelli, secondo brasato e poi una bella panna cotta come dessert” Vino o birra? “Birra” Rosso o bianco? “Rosso” Champagne o spumante italiano? “Champagne” Carne o pesce? “Il pesce, mi piace molto il fritto misto” Pasta o riso? “La pasta all’arrabbiata” Dolce o salato? “Salato: mi piacciono gli stuzzichini e i formaggi nostrani” La cucina straniera che ami di più? “Quella giapponese” La tua pizza preferita è... “La Napoli”

Cosa mangi prima di una gara motociclistica? “Pasta in bianco con olio e grana” Come si deve alimentare un motociclista professionista durante la stagione? “È importante, ma non essenziale seguire una buona alimentazione ma nessuna dieta specifica. Ad esempio, solitamente mangio pasta o riso a pranzo, carne o pesce la sera con le verdure e la frutta e, a volte, anche il dolce” Sgarri mai? “Sì” Come recuperi? “Allenandomi di più. Comunque, quando si è spesso regolari nell’alimentazione quando si sgarra non incide molto” Ti pesa dover mantenere un peso forma? “No, perché ci si sente bene” Cosa mangi quando sei giù di morale? “Niente di particolare: «oggi va male, di sicuro domani andrà meglio!» sono un ottimista per natura” Un piatto che ti mette allegria è... “Una pizza tra amici” Quando vinci una gara o ottieni un risultato importante come festeggi? “Una birra con le persone care” Qual è stato il pranzo o la cena più emozionante? “Quando ho vinto il Mondiale, al ristorante italiano a Motegi, in Giappone: abbiamo pranzato con un buon piatto di spaghetti di Ivan e vino rosso” Qual è il piatto che cucina tua moglie che ami di più? “La cotoletta alla milanese, mia moglie Manu la fa molto buona” Come immagini una cena romantica? “È l’atmosfera che conta: va bene anche un piatto semplicissimo se c’è l’atmosfera giusta” Il cibo che più si avvicina al tuo carattere è... “Sicuramente, la pizza perché ci sono molte fette ed ognuna di esse è diversa: lì ritrovo tutto me stesso!” E il piatto che rappresenta il tuo stato d'animo attuale è... “Gli spaghetti alla diavola”

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IL PRODOTTO di Leo Bartoli

Il Moscato di Scanzo “contamina” anche il salame All’agriturismo Cascina del Francés, il nettare Docg prodotto dotto in casa è protagonista di molti piatti in carta, oltre ad essere ingrediente irrinunciabile del salame e della grappa. Giovanni Marchesi, il titolare, spiega la sua filosofia in cantina e in cucina

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ppollaiata sulle pendici di Scanzo, a 400 metri di altitudine, nascosta tra i filari del Moscato dalla Docg più piccola d’Italia, la Cascina del Frances abbina l’offerta della sua cantina a quella agrituristica con una mission ambiziosa e determinatissima: esaltare, attraverso i piatti della cucina locale, naturalmente rivisitati ad hoc, le qualità uniche del Moscato di Scanzo. Per far questo Giovanni Marchesi, oggi 34enne, titolare dell’agriturismo, ha cominciato 15 anni fa una gavetta che l’ha portato a diventare prima aiuto e poi chef in prestigiosi ristoranti londinesi: da Le Gravache all’Harry’s Bar, in zona Hyde Park. Un’esperienza preziosa poi ribadita sul campo in locali della Riviera romagnola e del Veneto. Terminato l’apprendistato, Giovanni era pronto per affiancare il padre Valentino e il fratello Luca, che da sempre portano avanti il lavoro in vigna e in cantina. Così da un paio di anni Cascina del Francés ha cominciato a farsi conoscere non più soltanto come etichetta, prima Doc e ora Docg, ma come agriturismo molto gettonato da famiglie e compagnie giovanili (una quarantina i coperti).Tante, come detto, le ricette che hanno come protagonista il prodotto principe, ma ce n’è una che spicca su tutte: il risotto mantecato al Moscato di Scanzo con radicchio trevigiano e mirtilli. Un piatto equilibratissimo, dove le qualità del Moscato trovano davvero la loro esaltazione, creando una

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finezza al palato fuori dal comune: riso rigorosamente al dente, con radicchio e mirtilli che non fanno che completare la mappa degli aromi e la mantecatura di parmigiano che lega perfettamente gli ingredienti.“È un piatto su cui ho lavorato parecchio - spiega Giovanni - e che in effetti ha riscosso un grande successo tra la clientela: peraltro è un risotto che a livello di materie prime comporta costi alti, ma che proponiamo a prezzi ugualmente modici perché è diventato in breve tempo il nostro fiore all’occhiello”. Alla fine chi pranza in Cascina riesce infatti a pagare sotto i 30 euro e diventa un “must” la degustazione finale del Moscato di Scanzo insieme ai cantucci o a formaggi erborinati del Colle Gallo. Ma le creazioni con il nettare Docg non finiscono qui: continuando nelle sue sperimentazioni, Giovanni ha infatti ideato il salame al Moscato di Scanzo, color vinaccia, forti suggestioni di uve e sapori d’altri tempi, senza contare che molti dei suoi piatti, come la carne salata di cavallo, sono conditi con l’aceto al Moscato di Scanzo e il pasto si chiude con l’immancabile grappa da lui inventata, sempre a base del Cru di famiglia. Sul fronte della cantina la storia è quasi centenaria: nata all’inizio del secolo scorso dal bisnonno Luigi Marchesi che, dopo essere emigrato in Francia in cerca di lavoro, nel 1913 tornò a Rosciate (da qui la denominazione “Cascina Francés” in bergamasco). An-

CASCINA DEL FRANCÉS via Monte Bastia, 22 - Scanzorosciate aperto da giovedì a domenica, pranzo e cena - tel. 338 1815679 34 Affari di Gola giugno 2011


che qui è in corso un potenziamento con una showroom verandata di 50 metri quadri per degustazioni e aula didattica che diventerà il biglietto da visita dell’azienda. “Fin da ragazzo ho viaggiato molto spiega Giovanni - per acquisire più esperienza possibile: appassionato di cucina ho avuto la possibilità di imparare tanto da importanti chef a Londra e in molte parti d’Italia, ma la mia idea era sempre quella di tornare a Scanzo, per poter arricchire l’offerta di famiglia, affiancando la cucina alla cantina. Così ho avverato il mio sogno: utilizzare il Moscato di Scanzo come materia prima nei miei piatti, primo fra tutti il risotto che davvero ha riscosso un gradimento altissimo, ho fatto da volano anche per la cantina che è sempre stata tra le più conosciute di Scanzo. Ma nel menù Marchesi non è monotematico: propone ad esempio i casoncelli alla crema di taleggio, mandorle e salvia; le crespelle con speck, scamorza e zucchine; le carni piemontesi dell’amico Ugo Colleoni (anche i brasati sono naturalmente “innaffiati” a dovere con la Docg), il pollo al mattone; le tagliate, la polenta croccante ai formaggi della fattoria del Colle Gallo. Il finale torna però al grande amore:“Ho inventato - spiega Marchesi - anche la torta al Moscato di Scanzo, che potrebbe davvero essere una novità gradita per i consumatori: la base è simile a una torta margherita, con il pan di Spagna ben imbevuto nel moscato. Poi aggiungo una marmellata di fichi sempre affinata nel moscato: faccio un paio di strati così e poi ricopro la torta con cioccolato fondente: chi l’assaggia difficilmente non chiede il bis”.

Affari di Gola giugno 2011 35


“Villa in verticale�, vince il millesimo 2000 D

iciassettesima edizione per “Villa in Verticaleâ€?. L’evento in programma nell’omonima cantina della Franciacorta, a Monticelli Brusati, riservato alla stampa specializzata, alla forza vendita e ai migliori clienti dell’azienda, ha visto quest’anno come protagonista il Franciacorta Diamant Pas Dosè millesimato. In degustazione otto annate: dall’anteprima del 2006 sino alla storica 1999. Parliamo di una bollicina che rappresenta la punta di diamante della collezione aziendale e non a caso il nome che gli è stato conferito alla nascita, con il millesimo 1999, è proprio “Diamantâ€?. Ottenuto da uve Chardonnay (85%) e Pinot Nero (15%) questo vino affina dapprima parzialmente in pregiati carati francesi in legno di rovere di Allier per oltre sei mesi e, in seguito alla messa in bottiglia, riposa per altri quattro anni sui lieviti. Questa lenta maturazione conferisce al prodotto intriganti note organolettiche. Cristalline sfumature dorate catturano subito l’occhio, al naso profumi fragranti si alternano a note fruttate e leggere spezie dolci. Nel corso della degustazione, i partecipanti sono stati

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chiamati a valutare le diverse a n n a t e d i Vi l l a Franciacorta Diamant iamant millesimati, considerando siderando sia gli aspetti tecnici sia quelli lli organolettici. l i i Le preferenze si sono cosĂŹ espresse: - Villa Franciacorta Cuvette Diamant Pas Dosè millesimato 2000: 91/100 - Villa Franciacorta Diamant Pas Dosè millesimato 2004: 90/100 - Villa Franciacorta Diamant Pas Dosè millesimato 2001: 90/100 Dopo oltre sette anni dalla sboccatura, l’annata 2000 stupisce per freschezza e piacevolezza. Il color giallo paglierino denota l’ottima tenuta di questo Franciacorta che col tempo ha sviluppato i caratteri di giovinezza iniziali in intrigante evoluzione. Note di mandorla e croccante allietano l’olfatto con equilibrata armonia. Il 2004 si dimostra invece generoso nei profumi legati al lievito e al fiore e conferma l’ottima freschezza, un perlage fine e persistente e non da ultima l’eleganza. Il 2001, infine, si lascia scoprire poco a poco, in un crescendo di sensazioni che spaziano da note balsamiche, ancora evidenti, alla mela fresca golden. Ma a stupire è il millesimo 1999. A distanza di otto anni ottima freschezza, aciditĂ e bollicina cremosa. Un millesimo che sicuramente si farĂ ricordare nel tempo.

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36 Affari di Gola giugno 2011

Bergamo, la buona cucina sale in vetta L’obiettivo è valorizzare allo stesso tempo l’ambiente incontaminato delle Prealpi Orobiche, l’enogastronomia tradizionale e genuina del territorio e la cultura rurale e montana della Bergamasca, avvicinando alla montagna un pubblico sempre maggiore non necessariamente esperto di alpinismo. Con “La Buona Cucina sale in Vettaâ€? - iniziativa promossa da Mangiartipico e Orobie, in collaborazione con la Sezione Cai di Bergamo - ogni venerdĂŹ sera, dal 24 giugno a settembre, nei 19 rifugi che hanno aderito all’iniziativa, verrĂ proposta una cena in chiave bergamasca a 25 euro (antipasti, primi, secondi, dolce, caffè, vino) con un trattamento particolare di mezza pensione per coloro che volessero trattenersi in rifugio (costo della mezza pensione euro 40). Info. www. www.caibergamo.it.


FUORI PORTA

DAL 18 AL 24 LUGLIO

Clusane, la tinca al forno regina della tavola Dire Clusane è dire tinca al forno, ovvero ripiena di formaggio e spezie, cucinata in pirofile di terracotta secondo la vecchia ricetta dei pescatori. Un piatto che gli operatori turistici della località sebina non mancano di celebrare con la classica “Settimana della tinca”, che quest’anno tocca la trentesima edizione ed è in programma dal 18 al 24 luglio. La formula è semplice: in tutti i locali che partecipano alla rassegna viene proposto ogni sera un menù composto da tinca al forno con polenta, dessert, acqua minerale, mezza bottiglia di Terre di Franciacorta e caffè al prezzo di 20 euro. Otto le insegne aderenti: Al Porto, Da Sandro, Antica Trattoria

del Gallo,Trattoria del Muliner, La Svegas, Le Margherite, Punta da Dino e Villa Giuseppina. Concerti, serate musicali e una festa per i bimbi arricchiscono il programma della settimana che ha il suo clou domenica 24 con il campionato dei naecc, tipiche imbarcazioni del lago, nel pomeriggio e i fuochi d’artificio. Domenica 17 la manifestazione vivrà un’anteprima con la “Cena sul lungolago”, una tavola imbandita all’aperto sulla quale saranno serviti antipasto, tinca al forno con polenta, dessert, vini Terre di Franciacorta, acqua e caffè al costo di 35 euro.Ad accompagnare il tutto musica e intrattenimento. Info: www.clusane.com

FINO A NOVEMBRE

A cena nella Reggia di Venaria Restituita alla magnificenza barocca cui fu ispirata alla metà del Seicento dal duca Carlo Emanuele II di Savoia, la Reggia di Venaria, una delle maggiori residenze sabaude in Piemonte, dalla sua apertura (avvenuta nell’ottobre 2007 dopo due secoli di abbandono e degrado e otto anni di restauro) si è attestata tra i primi cinque siti culturali più visitati in Italia. Ciò è dovuto anche al pensiero di fondo che anima il recupero: un complesso concepito non come “museo”, ma come “reggia per i contemporanei”, ossia spazio da vivere, tra arte, storia, architettura e paesaggio. In questa visione si inseriscono le “Cene Regali”, appuntamenti mensili che fino a novembre danno la possibilità di fare un viaggio tra i piatti tipici delle cucine regionali italiane preparati da grandi chef, nella straordinaria cornice della Galleria Grande, al costo di 60 euro.Tutte le cene cominciano alle 20.30 e possono essere precedute dalla visita alla Reggia. Gli appuntamenti sono fissati generalmente di venerdì così che nei due giorni successivi è possibile fare shopping nel mercato delle eccellenze enogastronomiche allestito negli stessi week end negli spazi vicini alla Reggia, dove anche i ristoranti locali propongono menù abbinati alle tipicità della regione ospite. Dopo le cene dedicate a Sardegna,Toscana ed Emlilia Romagna, il 15 luglio toccherà alla Sicilia, il 30 settembre alle Marche, il 7 ottobre alla Puglia, per finire il 18 novembre con il Piemonte. La prenotazione è obbligatoria. Info: www.lavenaria.it

FINO A SETTEMBRE

Degustazione di vini navigando sul Mincio al tramonto Anche quest’anno i Barcaioli del Mincio, in collaborazione con la Strada dei Vini e dei Sapori Mantovani, propongono serate di navigazione tra i canneti, le ninfee e i canali della Riserva naturale abbinate ai sapori locali. La manifestazione si chiama “Il piacere dei sensi navigando sul far della sera” e fino alla fine di settembre dà la possibilità di percorre all’ora del tramonto un itinerario fluviale con partenza dal porticciolo di Grazie di Curtatone fino a Mantova in compagnia dei vini mantovani. Ogni sera sarà dedicata a tre tipologie diverse, tra spumanti, Sauvignon, Pinot Grigio, Chardonnay, Chiaretto, Cabernet, Merlot e Lambrusco abbinati a stuzzicherie preparate dai ristoranti locali. I prodotti saranno illustrati da esperti degustatori. Queste le prossime date: 25 giugno; 2, 9, 23 e 30 luglio; 6, 20 e 27 agosto; 3, 17 e 24 settembre. Il costo è di 22 euro a persona. Info: www.fiumemincio.it

Affari di Gola giugno 2011 37


L’ANGOLO

DEL SINGLE di Marco Bergamaschi

Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina

Capita a tutti nella vita di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo mo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.

Quella “fusione” tra scamorza e speck Ingredienti per 1 persona 1 scamorza bianca 70 grammi di speck olio d’oliva extra vergine 1 coccio da forno o pentolino in terracotta Preparazione Tagliate la scamorza a fettine e, dopo aver unto il coccio con un filo d’olio, disponetela a strati alternandola alle fettine di speck. Continuate fino a terminare gli ingredienti con l’accortezza di lasciare per ultimo lo strato di scamorza. Mettete il coccio nel forno già caldo (160°) e terminate la cottura fino a quando la scamorza non si è sciolta. Per la cottura potete anche usare il forno a microonde e al posto del coccio è possibile utilizzare una ciotola di vetro.Accompagnate il tutto con crostini di pane e un’ insalata fresca.

LA CURIOSITÀ La scamorza è un formaggio crudo a pasta filata dall’inusuale forma globosa con collo e testa. Facilissima da trovare, esiste principalmente in due varietà, bianca o affumicata. La prima, quella che usiamo per la nostra ricetta, ha un profumo dolce e delicato. Quella affumicata è invece di colore bruno e il sapore è aromatico e dolce con “sentori di fieno”, come spiegano i veri intenditori. È un formaggio ricco di fosforo, di calcio e di vitamine B1, B2, PP ed A.Va tenuto in frigorifero e se si forma della muffa, si può eliminarla senza buttare tutto il pezzo.Vi invito anche a provare la ricetta con la scamorza affumicata: il sapore è più forte e deciso, ma non per questo meno buono. Lo speck è un tipo di prosciutto crudo leggermente affumicato e stagionato di origine altoatesina. Ha un gusto inconfondibile, deciso e dolce, con la crosta saporita ed intrisa di spezie; è ricco di colesterolo e cloruro di sodio e il suo contenuto proteico è molto buono, così come quello di sali minerali (sodio, potassio, magnesio, fosforo e zinco) e di

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vitamine B1, B2 e PP. Il più rinomato è ovviamente quello prodotto in Alto Adige, dove la cultura dello speck è famosa e ha valicato i confini regionali: gli ingredienti principali utilizzati per la salatura sono sale, pepe, alloro, rosmarino e bacche di ginepro, ai quali va ad aggiungersi l’esperienza accumulata da generazioni di contadini e macellai che hanno custodito i procedimenti familiari per secoli. Infatti lo speck rappresenta una vera e propria tradizione: già nel 1200 alcuni documenti citano lo speck come prodotto derivante dalla necessità di conservare durante l’anno la carne dei maiali macellati nel periodo natalizio. E ancora si racconta che nella tradizione popolare lo speck era il cibo consumato dai contadini e costituiva una fonte di energia preziosa durante i lavori nei campi. Sono ormai passati molti anni e oggi è un alimento famoso in tutta Europa e protagonista indiscusso della tipica merenda sudtirolese. Ma fortunatamente non bisogna aspettare di andare da quelle parti per assaporare una pietanza tanto gustosa.


Gelateria Franca - Leffe (BG)

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