Affari di gola giugno 2013

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Supplemento al n. 24 de “La Rassegna� del 20 giugno 2013 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60

giugno 2013

in rassegna sapori, gusti e piaceri del territorio

Da Strachitunt a Blutunt, la nuova sfida di casa Taddei


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Suppl ement via Borgo o al n. 24 de Palazz o 137, “La Rassegna” Berga mo Poste del 20 giugno Italian e S.p.A. 2013 - Giuse Spedizione ppe Ruggi in Abbon eri diretto re ament o Posta responsabile le - D.L. Editric e: 353/20 03 (conv.La Rassegna in L. 27/02/ S.r.l. 2004 n.

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PENNA ALL’ARRABBIATA Apriamo le strade alle nostre “chicche” gastronomiche

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la novità Blutunt, così Taddei rilancia l’erborinato della tradizione

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Export Salumi, «la riapertura del mercato USA un’occasione per i nostri produttori»

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13 itinerari Le terrazze gustose sul lago

16 iL personaggio «Pasta, tonno, dadi... così li ho resi famosi»

20 A tavola con Remuzzi: «La cena romantica? Al mare coi piedi nell’acqua»

22 La storia Una gelateria in Algarve, si avvera il sogno del cameraman

25 Prodotti Il lato dolce della tradizione

28 la proposta Un’ estate a tutta centrifuga

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamo - el. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Michela Brivio, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg



Apriamo le strade alle nostre “chicche” gastronomiche di Pier Carlo Capozzi

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a prima vacanza coi figli piccoli è come il primo amore, non si scorda mai. Con Alessandro s’inaugurò una lunga e fortunata (per merito suo) lista di ferie a Silvi Marina, Terra d’Abruzzo. So per certo che il mio Direttore, con radici che affondano laggiù, apprezzerà. E, tra i tanti ricordi, dalla spiaggia degradante con dolcezza ai confetti della gita a Sulmona, ci sono di certo gli Arrosticini. Sono spiedini di carne d’agnello lunghi e sottili, cotti alla brace e consumati anche passeggiando. Ecco, per le vacanze estive, anche come suggerimento, ci occupiamo del “cibo di strada”, universalmente conosciuto come “street food”, che ai giorni nostri si chiama appunto così, ma che un tempo nemmeno lontanissimo, per tanta gente, era “cibo” e basta. In questi giorni poi, tra la gaffe del sindaco meneghino Pisapia (che pretendeva di vietare il gelato da passeggio dopo mezzanotte) e le tremende notizie sul kebab (che in troppi casi contiene di tutto, occhi, ossa tritate e perfino carne di maiale), di cibo on the road s’è disquisito abbastanza. Ogni regione ha le sue specialità. Se vi trovate in Sicilia andate sul sicuro con gli Arancini, le Panelle (frittelle di farina di ceci in un panino al sesamo), U’Sfinciuni (pizza con pomodoro, capperi e acciughe) o il Panino con la milza bollita. Se vi state rosolando al sole di Puglia non perdetevi un Panzerotto (calzone fritto con ripieno classico di pomodoro e mozzarella), le Sgagliozze (scaglie di polenta, essì, fritte, salate e servite in un cartoccio di carta) oppure una fetta di Focaccia, la tipica barese che ritengo una delle prelibatezze mondiali in assoluto. Sul litorale toscano non fatevi mancare un Cinque e Cinque (torta livornese di ceci tra due fette di focaccia), una fetta di Castagnaccio o il leggendario Lampredotto (panino col quinto quarto del bovino, condito con olio ed erbe aromatiche). I Panigacci di Lunigiana, lì sul confine, sono sottili tortini di farina di grano serviti col pesto di basilico In Emilia è un trionfo dovunque siate: a Bettola, in Val Nure, c’è la Bortellina (parente stretta dello gnocco fritto, da riempire con salumi o formaggi), ugual sorte per la Tigella (tra Bologna e Modena) e poi l’Erbazzone (torta salata con bietole, spinaci, uova e Parmigiano, tipica di Reggio) mentre sull’Appennino si gustano i Borlenghi (piadina sottile servita con un impasto di lardo, rosmarino ed aglio) e in Romagna,

specie sulla riviera, di questi tempi, impazza sua maestà la Piadina, che non credo abbia bisogno di presentazioni. Così come le Olive ascolane, specialità conosciuta ed esportata in tutto il mondo. Siete su una delle riviere liguri? Focaccia di Recco, al formaggio, o Farinata (torta salata di farina di ceci e olio, cotta al forno). E il Baccalà fritto che si gusta nel Lazio? E la Porchetta nel cartoccio? E i Supplì al telefono, così detti perché, nella polpetta di riso, la mozzarella si scioglie e, tagliandoli, forma il classico filo? Un salto in Umbria per la Torta al testo o Crescia (schiacciata di farina da riempire con salsiccia cotta, stracchino e rucola o verdure lessate) per passare poi alla Campania, dalla Pizza alle Polpettine per finire con uno strepitoso Babà, dessert da passeggio per antichissima tradizione. E, parlando di street food, abbiamo citato solo alcuni esempi, forse i più conosciuti tra quelli della cucina tricolore. Giacché all’estero, in egual misura, c’è un campionario da leccarsi i baffi: dal Gyros di cretese memoria alla Tortilla messicana, dai Wurstel a nord-est al Croque Monsieur francese, dal Fish and Chips anglosassone al Carpati rumeno, un dolce a forma di montagna da cui prende il nome. È un elenco lungo, tuttavia largamente incompleto, tante sono le opportunità di scambio che ogni lembo di Terra è in grado di offrirci. Siamo quindi in grado di capire Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, quando dichiara: “Se non c’è scambio, non c’è identità gastronomica”, riferito agli ingredienti, il mais e il pomodoro sopra tutti, che sono i protagonisti di tante italiche ricette pur non vantando provenienza nostrana. Ma, secondo noi, dietro ad un piatto tipico, oltre agli ingredienti, c’è molto altro: c’è la storia delle nostre nonne che hanno tramandato le preparazioni e l’orgoglio nel portare avanti tipicità della propria Terra. Ecco perché non possiamo accettare la conclusione del discorso: “Non c’è dubbio che entro 30/50 anni anche il kebab sarà patrimonio della nostra Italia.” Eh no, Carlin, come patrimonio ci teniamo stretta la polenta on the road di PolentOne, ideOna di Marco Pirovano, partita da Borgo Santa Caterina e arrivata già lontano. E ne farà ancora. Di strada. piercapozzi@libero.it

penna all’arrabbiata

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LA NOVITÀ di Alex Ghezzi

L’assegnazione della Dop allo strachitunt della Val Taleggio impedirà di utilizzare il termine per le forme realizzate in pianura. Il caseificio di Fornovo gioca d’anticipo e regala un nome tutto suo ad uno dei prodotti di punta. «Abbiamo sentito l’esigenza di distinguere il nostro formaggio, visti i riconoscimenti ottenuti e le richieste dei clienti»

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Blutunt, così Taddei rilancia l’erborinato della tradizione a fatto incetta di trofei in mezza Italia, si è fatto ammirare per il suo gusto rotondo e la qualità dei suoi ingredienti, è diventato uno degli emblemi della produzione casearia bergamasca, eppure, almeno nella denominazione, è destinato a scomparire. Così si è deciso sull’asse Milano-Roma-Bruxelles a proposito dello strachitunt di pianura, che perderà il diritto a chiamarsi così appena scadrà la norma transitoria della Dop, a scapito dei “cugini” della Val Taleggio, dopo una guerra di carte bollate durata anni. Eppure sarebbe grave disperdere un simile patrimonio gastronomico: così Massimo e Camilla Taddei, titolari dell’omonimo caseificio di Fornovo San Giovanni e “genitori” del blasonato formaggio a due paste, hanno giocato d’anticipo, senza correre il rischio di subire gli eventi. «Non potremo più chiamarlo strachitunt? - spiegano loro -. E noi lo ribattezziamo Blutunt®», in onore di quell’erborinatura intrigante, quelle muffe nobili che donano al prodotto la necessaria (ma non invasiva) piccantezza. Se quindi la miglior difesa è l’attacco, dalle parti di Fornovo sanno bene come muoversi, forti anche dei consensi raccolti in questi anni non solo dalla critica ma anche da migliaia di buongustai che potranno continuare a trovare nelle gastronomie e nella grande distribuzione il loro formaggio preferito. Non è solo una questione di packaging (la nuova etichetta, peraltro, è molto suggestiva): «È la migliore risposta a chi aveva forse già decretato la fine dello strachitunt di pianura - racconta Massimo Taddei -, anche se i tempi di Bruxelles per il riconoscimento della Dop potrebbero diventare anni, come è successo per il Salva Cremasco, e noi avremmo potuto tranquillamente continuare ad usare la denominazione strachitunt, cosa che faremo ancora per un po’, affiancando le due denominazioni, abbiamo però sentito l’esigenza di registrare Blutunt® per distinguere il nostro formaggio, visti i riconoscimenti ottenuti e le richieste dei nostri clienti». «Blutunt® - dice ancora Taddei - è la fusione di

I RICONOSCIMENTI AL PRODOTTO •Medaglia d’Argento erborinati Alma Caseus, nel corso di Cibus 2012 •Diploma d’eccellenza Slow Food Infiniti Blu 2009 •Award Merano Wine Festival 2008 •Premio Expo Sapori 2004 •Primo Premio Expo Sapori 2002

E AL CASEIFICIO

•Gambero Rosso, pubblicazione su “Formaggi i migliori d’Italia 2012” •Premio Golosaria 2009 “Le Botteghe del Formaggio”

due parole e raffigura la vera natura di un formaggio che nasce dall’unione di due cagliate, una calda e una fredda, che fondendosi lo caratterizzano. “Blu” nel mondo lattiero-caseario definisce un erborinato e “Tunt”, in dialetto significa tondo, omaggio al territorio orobico, come recita lo slogan della nostra politica


giugno 2013 aziendale: “Sapori della tradizione bergamasca”». Con questa mossa però da Fornovo non c’è più l’intenzione di lanciare guanti di sfida al formaggio concorrente: «Nessuna rivalità - precisa Massimo Taddei - piuttosto una sana concorrenza. Poi, come sempre, sarà il consumatore a scegliere». Se Massimo è l’artefice della produzione, la moglie Camilla è la stratega del marketing e della promozione aziendale, leve che in questo caso entrano decisamente in gioco: «Il prodotto - rileva Camilla - è già conosciuto e apprezzato, non dovremo ricominciare daccapo: crediamo fortemente in Blutunt®, così come i nostri clienti che si fidelizzano sempre di più e hanno condiviso l’idea del nuovo marchio. L’obiettivo è incrementare ancora la produzione (che nel 2012 è stata di circa 4.000 forme vendute), anche attraverso la promozione. Pensiamo a una campagna sui vari media, oltre al restyling del nostro sito web, promuovendo poi il Blutunt® nelle manifestazioni e fiere di settore, oltre a creare un evento su misura nei prossimi mesi». Si riparte quindi dal Blutunt®, anche se Massimo Taddei non dimentica le schermaglie durate mesi e parla apertamente di «grandissima occasione persa per il territorio. L’ho sempre sostenuto e non sono il solo, dato che la stessa Camera di Commercio di Bergamo ha da tempo inserito lo strachitunt bergamasco, senza limiti geografici provinciali, nel suo marchio Bergamo Città dei Mille... Sapori. Sarebbe stato sufficiente dialogare tutti insieme, lavorando sul disciplinare, per evitare questa diaspora. Che bisogno c’era di una Dop? Occorreva proteggerlo da che cosa? Stiamo parlando di prodotti di nicchia, quantità minime che mi sembra assurdo caricare di costi inutili». Ora le strade si dividono, ma i Taddei sanno che il Blutunt® parte da un pedigree consolidato. «In questi anni - evidenziano i titolari - questo prodotto ha avuto tanti riconoscimenti a livello nazionale, che hanno dato lustro all’intera provincia di Bergamo: tra i più significativi ci piace ricordare, in occasione dell’edizione 2012 di Cibus, la medaglia d’argento vinta al concorso nazionale Alma Caseus con questa motivazione: “La degustazione del formaggio ha emozionato la giuria”. Crediamo ci sia poco da aggiungere». E a proposito di emozioni, in tanti si sono sbizzarriti in questi anni a cercare l’abbinamento ideale, Massimo Taddei non pone limiti: «È un prodotto talmente versatile che può scatenare la fantasia dando ottimi risultati: io lo uso in purezza con della polenta morbida e un filo di miele di castagno. Come ingrediente, invece, i miei piatti preferiti sono uno strudel di pere e Blutunt® e un risotto con crema di rapa rossa mantecato al Blutunt®. In abbinamento vino rosso tanninico: ci sono amici produttori bergamaschi che ne fanno di ottimi, rischierei anche un buon Amarone, ma se voglio il top rimango a Bergamo con il Moscato di Scanzo Docg».

Caseificio Taddei via San Vitale Fornovo San Giovanni tel. 0363 57120 www.caseificiotaddei.it

L’azienda

L’altra eccellenza è il Taleggio Anche se il Blutunt® è il protagonista di questi mesi, occorre ricordare che il caseificio Taddei è diventato celebre soprattutto per il Taleggio Dop (tra l’altro il titolare Massimo Taddei è attualmente il presidente del Consorzio di tutela che si sta distinguendo per le sue campagne anche sui social network per conquistare il palato dei giovani consumatori). A Fornovo quella del taleggio è una tradizione di famiglia che portano avanti da quattro generazioni e che da anni è tra le produzioni artigianali italiane più ricercate sia dai critici e sia dai semplici consumatori (molti dei quali sparsi ad ogni angolo del mondo, essendo questo formaggio il quinto italiano a livello di volumi e di export). Accanto alla media stagionatura, Massimo Taddei negli ultimi mesi sta spingendo molto per un affinamento avanzato, attorno ai 60/70 giorni: prodotto cremoso da intenditori, che sprigiona aromi di grande intensità. Una sperimentazione premiata dai clienti più esigenti e dalla critica: persino uno dei censori più severi della ristorazione italiana, Edoardo Raspelli, ha parlato infatti del taleggio di Taddei «che stagionato diventa un capolavoro», dopo aver compiuto una visita al caseificio di Fornovo ed essere stato anche colpito da «un burro squisito» e dallo stesso «superbo strachitunt, saggiamente erborinato». Oggi la gamma di formaggi aziendali è molto ampia: «Dal 1986, quando abbiamo iniziato la nostra avventura ritirando l’azienda di famiglia – spiega Camilla Taddei -, siamo diventati una presenza importante nel panorama caseario provinciale, pur restando ancorati a un modo di lavorazione artigianale. Da piccola azienda “monoproduttrice” di taleggio, siamo ora in grado di proporre al cliente altre dodici tipologie diverse di formaggi. Oggi inoltre, per meglio presentare i nostri prodotti, abbiamo attuato il restyling del sito web (www.caseificiotaddei.it) inserendo anche una nuova serie di immagini intitolate “dal latte al formaggio attraverso gesti antichi tramandati nel tempo”, e dopo tanti anni, abbiamo voluto anche rivedere il logo aziendale, rendendolo più attuale».

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Export di Giordana Talamona

Davide Calderone, direttore di Assica, fa il punto dopo la fine dell’embargo. “In questa prima fase meglio puntare sui prodotti altamente riconoscibili. Quelli che avranno un immediato sviluppo saranno, senza dubbio, i salami della tradizione. Ma anche coppa e pancetta potranno avere un buono sviluppo”

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Salumi, “la riapertura del mercato USA un’occasione per i nostri produttori” opo l’apertura del mercato Usa ai salumi italiani a bassa stagionatura, quali scenari si apriranno per i nostri produttori? “La storia ci insegna che il mercato americano è considerato, da sempre, all’avanguardia rispetto agli altri. Per questo riteniamo che la sua apertura rappresenti l’inizio di un cambiamento molto importante, che ci auguriamo potrà aprire nuovi mercati in altri Paesi”. Al momento sono state autorizzate solo alcune regioni italiane, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte

e le Provincie autonome di Trento e Bolzano. È previsto uno sblocco del mercato anche per le altre? “Stiamo lavorando per allargare il più possibile l’indennità. La questione è legata prevalentemente alle differenti legislazioni in materia di indennità tra Ue e Usa. Come Assica, tuttavia, siamo già molto soddisfatti perché le trattative con gli Usa sono state molto lunghe e complesse. Le regioni che hanno ottenuto l’indennità, inoltre, rappresentano una buona parte delle lavorazioni e produzioni di salumi italiani.

Chiesa (Ibs Cà del Botto): ‹‹La vera sfida è rilanciare “Il segreto per avere successo all’estero? Creare per il cliente un vestito su misura”. A parlare è Luca Chiesa, amministratore delegato del salumificio Ibs Cà del Botto, di Azzano San Paolo. L’azienda, che si è aperta al mercato estero da circa un anno, esporta in Germania, Belgio, Inghilterra, Danimarca, Filippine e Hong Kong. “Il nostro export è ancora giovane - spiega Chiesa - ma ci siamo già fatti l’idea che sia fondamentale studiare ogni mercato, diversificando i prodotti per stagionatura, ingredienti e confezionamento”. L’apertura del mercato americano è

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salutato con entusiasmo. “Ci stiamo facendo un’idea di come affrontarlo - dice - perché il mercato statunitense è tanto interessante, quanto complesso. In città come New York e Boston, per esempio, l’Italian style di altissimo livello è molto apprezzato, mentre in altre città è meglio spingere sui prodotti base”. Il Made in Italy negli Usa, d’altra parte, è un marchio ancora potente, che riesce ad attrarre i consumatori stranieri più evoluti. Un valore che è cambiato nei decenni. “Oggi c’è molta più sensibilità da parte del consumatore finale, rispetto a una volta

- rileva -. Se qualche azienda italiana, in passato, si è presa la libertà di mandare all’estero prodotti di livello discutibile, facendo lievitare i prezzi grazie al marchio “Made in Italy”, oggi è un gioco che non si può più fare. Occorre, al contrario, esportare prodotti di altissimo livello dal buon rapporto qualità/prezzo, per poter essere competitivi”. Senza contare che sul Made in Italy, pesano le frodi alimentari e l’Italian sounding, quei prodotti che richiamano, nel marchio e nel nome, quelli italiani. “Credo che sia impossibile fermare completamente questo fenomeno


giugno 2013 Certo, non sono il totale, proprio per questo il nostro impegno continuerà a essere forte”. A causa della vicinanza con altre regioni italiane non ancora sdoganate, tuttavia, le autorità americane hanno preteso che i salumi destinati all’export negli Stati Uniti vengano prodotti solo in stabilimenti espressamente autorizzati. Sono richieste, inoltre, delle certificazioni supplementari di carattere veterinario sulle macellazione dei capi. Tutto questo quanto renderà ostico per i nostri produttori affacciarsi velocemente al mercato americano? “Ottenere l’abilitazione per il mercato americano è certamente un impegno per le aziende, che tuttavia non deve spaventare. Le uniche misure derivanti dall’accordo che, in parte, potrebbero vincolare i nostri produttori riguardano i macelli, ma non lo vivrei come un grosso problema. Al momento, infatti, sono solo quattro i macelli abilitati all’export con gli Usa, collocati in Lombardia ed Emilia Romagna, da dove, di fatto, deriva il parco suini numericamente più consistente”. Perché le norme americane sono più restrittive di quelle dell’Ue? “Gli Stati Uniti hanno dovuto fare i conti, storicamente, con maggiori problematiche legate alle intossicazioni alimentari. Da qui una legislazione molto più severa, che risponde tuttavia a una produzione agroalimentare ben diversa da quella europea e italiana. Sarà difficile cambiare il loro approccio, quindi anche se i nostri produttori garantiscono, già di per in sé, altissimi standard di sicurezza alimentare, dovranno attenersi alle norme americane”. Quante sono le aziende che hanno già ottenuto le autorizzazione per l’export americano dei salumi? “Le aziende abilitate sono circa un centinaio. La maggior parte produce prosciutti stagionati all’interno dei Consorzi, ma ne

abbiamo altre che commercializzano prodotti cotti e a breve stagionatura”. È possibile monetizzare l’investimento per ottenere l’autorizzazione all’export americano? “Non è tanto una questione economica, quanto organizzativa, quindi è difficile dare un indicatore. Molto dipenderà, infatti, dalla struttura aziendale. Si tratta, in definitiva, di mettere in piedi delle procedure diverse da quelle utilizzate per l’export europeo. Qualche spesa in più potrà derivare dai controlli analitici, proprio per i diversi parametri di riferimento, ma tutto è facilmente superabile”. A breve il Ministero della Salute pubblicherà delle indicazioni procedurali per ottenere l’autorizzazione. Quali consigli si sente di dare ai produttori che vogliano aprirsi a questo nuovo mercato? “Molta cautela, in particolare per le prime spedizioni, proprio per evitare che il mancato rispetto dei parametri richiesti dal mercato americano possa inficiare lo sforzo, provocando chiusure immediate”. Quali sono i prodotti che, secondo il gusto americano, potranno ottenere più successo? “I prodotti che avranno un immediato sviluppo saranno, senza dubbio, i salami della nostra tradizione. Gli americani sono abituati, infatti, a produzioni molto standardizzate, poco legate alle peculiarità del territorio. Per questo pensiamo che possano avere successo quei prodotti altamente riconoscibili, ben lontani dalla loro produzione massificata. Anche la coppa e la pancetta potranno avere un buono sviluppo nel mercato Usa. D’altra parte il successo che sta avendo il nostro prosciutto crudo ci ha insegnato a puntare verso produzioni di alta qualità, che sappiano raccontare le nostre tradizioni e il nostro territorio”.

all’estero la nostra cultura alimentare›› - commenta -. Sarebbe già un inizio se fosse definitivamente tolto il nostro Tricolore dal packaging di quei prodotti che richiamano fintamente l’Italia”. Una critica che Chiesa non si esime di fare anche nei confronti della denominazione Made in Italy. “Se con questa qualifica si indicassero solo i prodotti fatti, dall’inizio alla fine, in Italia escludendo quelli provenienti da altri Paesi che ne assumono la denominazione a seguito di una trasformazione sostanziale sul nostro territorio, sarebbe più facile tutelare la nostra produzione. Anche per questo credo nel

valore delle Dop e molto meno in quello dell’Igp”. Ma se la protezione dell’italian style è una battaglia impari contro il colosso incontrollato dell’export globale, la risposta che il mercato italiano dovrebbe lanciare si riconduce a ciò che di buono abbiamo: la cultura alimentare. “È su questa da occorre puntare - conclude Chiesa -, un impegno che ci vorremmo assumere, in collaborazione con altre aziende del settore. L’obiettivo è quello di creare delle manifestazioni all’estero, dove saremo noi a spiegare i nostri prodotti, il loro utilizzo e la loro abbinabilità”.

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Export

Si ipotizza un incremento dell’export del 17% Quindi al bando quei prodotti che vogliano ricalcare, nel gusto, quelli già presenti negli Usa? “Io rimarrei, almeno in una prima fase, sui prodotti tradizionali. Il tentativo dovrebbe essere quello di rendere i prodotti Made in Italy altamente riconoscibili. Negli Usa ci sono già fin troppi prodotti italian sounding che si rifanno fintamente alla nostra produzione, che sarebbe un errore ricalcarne il gusto. Si tratta, spesso, di produttori italiani emigrati di seconda o terza generazione, che hanno cercato di imitare certi prodotti italiani, senza arrivare ai livelli nostri. Semmai punterei ad un’educazione al gusto Made in Italy, senza seguire mode o tendenze americane”. Proprio l’Italian sounding incide enormemente sul nostro export alimentare. Cosa occorrerebbe fare, a livello normativo e attuativo, per proteggere il Made in Italy? “Trattandosi di operare in territori esteri, non possiamo fare molto. Se un produttore americano ha autorizzazione negli Usa per produrre il Genoa Salami, non possiamo purtroppo intervenire. Semmai l’unica arma che abbiamo è quella di far conoscere i nostri prodotti originali, sensibilizzando il consumatore alla nostra tradizione. Come Assica intendiamo fare proprio questo, intervenendo con l’Istituto di Valorizzazione dei Salumi Italiani alle più importanti manifestazioni e fiere alimentari Usa. È un investimento cospicuo, sia in termini di capitali che di tempo, ma siamo certi che questa è la strada giusta per valorizzare i nostri prodotti”.

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È stato definito “un evento epocale”, che potrebbe incrementare l’export dei salumi italiani del 17%. Si tratta della storica apertura del mercato americano alla commercializzazione degli insaccati Made in Italy. Coppe, salami e culatelli potranno finalmente tornare sulle tavole americane, dopo un blocco durato quindici anni. Era stata la malattia vescicolare del suino a far scattare l’embargo verso i prodotti italiani, una patologia dovuta al virus della famiglia picornaviridae, ben più resistente dell’afta epizootica. Dopo che le autorità statunitensi di Aphis (Animal and Planet Health Inspection Service) hanno riconosciuto l’indennità sanitaria dell’infezione, i salumi italiani a bassa stagionatura (meno di 14 mesi) sono stati finalmente sdoganati. Non tutte le regioni, tuttavia, festeggiano questa notizia. Al momento, infatti, l’autorizzazione è stata ufficialmente riconosciuta a Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e alle Provincie autonome di Trento e Bolzano. Il tutto con una manciata di grattacapi burocratici. A causa della vicinanza con altre regioni italiane non ancora sdoganate, infatti, le autorità americane hanno preteso che i salumi destinati all’export negli Stati Uniti vengano prodotti solo in stabilimenti espressamente autorizzati. Non solo, perché ogni salume dovrà essere accompagnato da un apposito certificato sanitario, corredato da un’ulteriore attestazione veterinaria con la quale si dovrà garantire che nell’impianto di macellazione non siano stati introdotti carni o animali provenienti da Regioni non indenni al virus. Poco male, comunque, perché dopo anni di trattative tra l’Aphis e l’Assica, l’associazione confindustriale delle carni e dei salumi italiani, il bicchiere è certamente mezzo pieno. Secondo una stima dell’associazione, infatti, l’apertura del mercato Usa potrebbe valere una dozzina di milioni di euro, passando dai 68 milioni agli 80 milioni l’anno (+17%). “Si tratta di un primo importante risultato del percorso intrapreso da Assica per av-

viare l’esportazione negli Stati Uniti di importanti prodotti della salumeria italiana come il salame, la pancetta, la coppa o il culatello - ha dichiarato Lisa Ferrarini, presidente di Assica -. Negli Usa la conoscenza del Made in Italy è molto diffusa (e i nostri prodotti sono anche molto imitati): i prodotti alimentari italiani sono particolarmente apprezzati come dimostrano gli acquisti di prosciutti crudi, prosciutti cotti e mortadelle che, già da anni, possono essere esportati”. A complicare il mercato, vale la pena ricordarlo, ci sono le perdite provocate dalle frodi alimentari e dall’Italian sounding, il proliferare per tutto il mondo di prodotti che “suonano” come italiani, ma non lo sono. Nei soli Usa il 70% dei nostri prodotti alimentari è imitato, dal Grana Parrano, al Real Asiago Cheese prodotto nel Wisconsin, al Salam Napoli rumeno, alla Daniele Soppressata statunitense, al Paresao portoghese e chi più ne ha, più ne metta. Caduta una delle barriere “non tariffarie” che impediscono lo sviluppo delle esportazioni italiane di salumi nel mondo, si potrà finalmente dare il via a un export che sappia “solleticare” il palato dei foodies americani, sempre più interessati ai prodotti italiani. Nel 2012, infatti, si è registrato un boom negli Stati Uniti del comparto agroalimentare targato Italia (+11%), che fa ben sperare per il futuro. Mica male per un settore, come quello zootecnico, che sta accusando il colpo della crisi. Le oltre 26mila aziende suinicole hanno registrato un calo della domanda interna di oltre il 7% in quantità e di oltre il 3% per valore. Molto meglio sul fronte dell’export anche se, nella sola filiera suinicola, mancano all’appello circa 250 milioni euro rispetto al 2011. La liberalizzazione completa del comparto sarebbe una bella boccata d’ossigeno perché, secondo i dati Assica, garantirebbe nel primo anno introiti maggiori nell’export per 50 milioni di euro, per i soli salumi, e per 200 milioni di euro per le carni e altri prodotti freschi. Il tutto con una crescita esponenziale negli anni seguenti.


giugno 2013

la lettera

Il ConsorzioValcalepio all’ultimo Vinitaly

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“Le Signore della Valcalepio”, ma era proprio necessaria questa associazione? gregio direttore,

da tanti anni produco Valcalepio e mi permetto di scriverle dopo aver letto sui giornali della nascita de “Le Signore della Valcalepio”, una nuova associazione legata al vino prodotto nella nostra terra. Non posso nasconderle di essere rimasto abbastanza perplesso nell’apprendere la novità, oserei dire quasi confuso. Leggendo e rileggendo ho finito per non capire bene cosa stia accadendo. In primo luogo, perché l’associazione è stata chiamata “Le Signore della Valcalepio”? A parte, mi consenta, la pomposità del nome, mi chiedo: se hanno scritto “della” devo dedurre che non c’entrano col vino, altrimenti si sarebbero chiamate “Le Signore del Valcalepio”. Se invece hanno proprio voluto indicare la zona geografica, che ci fanno tra gli iscritti produttrici di tutt’altre zone, che con la Val Calepio hanno ben poco da spartire? Abbandonando il dilemma eno-geografico, ho cercato di capire gli scopi del nuovo sodalizio. Cito testualmente: “Uno dei molti obiettivi che questa neonata associazione si prefigge è quello di aggiungere e consolidare consapevolezza: la consapevolezza di produrre un vino che ha poco o nulla da invidiare alle altre etichette italiane”. Ecco un’altra mia perplessità: di quale vino stanno parlando? Del vino Valcalepio in generale, di quello “della” Val Calepio e basta o di quello che producono le Signore? Ho finito di leggere l’articolo e arriva il bello: “Agguerrite, determinate ma soprattutto convinte…”.

Sa, direttore, che inizio ad avere un po’ di timori? Pur essendo convinto da sempre che le “quote rosa” abbiano un senso per sdoganare e risolvere dei concetti retrogradi e malsani di maschilismo, mi chiedo: dove arriveremo? E aggiungo: c’era davvero bisogno a Bergamo di questa associazione per evidenziare il ruolo della donna nel mondo vinicolo? Il movimento nazionale “Donne del Vino” esiste già. E si badi bene, si parla “del Vino” non di una “Doc”, che ha di norma un Consorzio che tutela e promuove il vino di tutti, produttori e produttrici. A Bergamo poi ne abbiamo addirittura due di Consorzi e uno è guidato da una donna. In tanti altri casi ci sono poi gruppi che operano in nome e per conto del Consorzio senza disperdere ulteriormente energie. Ecco, direttore, penso che le associazioni abbiano un senso solo quando sono necessarie. Necessarie, così credo, a perseguire il bene comune e l’interesse collettivo. Quindi, perdoni la mia ignoranza, non capisco dove risieda l’interesse comune di queste Signore della Valcalepio quando, come ho già accennato prima, c’è già un Consorzio attivo in questo senso. Il rischio è quello di generare confusione nonché inutili sovrapposizioni. Ad essere maliziosi verrebbe da pensare ad un eccesso di protagonismo oppure a interessi individuali da perseguire. Ma per natura sono portato a credere nella buona fede degli altri e non voglio pensar male. Rimango però, come dicevo all’inizio, confuso e perplesso. cordiali saluti un produttore di Valcalepio

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L’evento

Castro, la sagra diventa supergolosa ed ecologica

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hi l’ha detto che per assaggiare i piatti di alta cucina è necessario spendere un capitale? Questa estate, grazie a Festambiente laghi 2013 - promossa da Legambiente Alto Sebino a Castro, dal 25 al 30 giugno - si potranno gustare proposte culinarie capaci di soddisfare anche i palati più raffinati. Non casoncelli, formaggi fusi e salamelle, ma piatti ricercati, con materie prime di qualità, cucinati con procedimenti attenti alla salute dei consumatori. L’idea è venuta a un veterano di feste di paese, Eros Foresti, di Castro, patron della “Castervino”, la festa del vino che per 20 anni ha portato a Castro migliaia di appassionati da tutta Italia. «Ho sempre amato la cucina di qualità - dice Foresti -. Ed ero stanco delle solite sagre, tutte più o meno uguali. Volevo creare una manifestazione diversa. Un’occasione dove le persone potessero mangiare piatti ricercati e sfiziosi di alta qualità, spendendo poco». Detto fatto. Foresti ha incontrato il gruppo di Legambiente Alto Sebino e

il progetto ha preso forma. A questo punto con un menù da gourmet, anche il servizio doveva essere all’altezza della situazione. «Abbiamo voluto fare una festa raffinata ed ecocompatibile - dice Massimo Rota, presidente di Legambiente Alto Sebino -. Quindi abbiamo bandito i piatti e i bicchieri di plastica, le tovagliette di carta e i detersivi inquinanti». Tutte le pietanze saranno presentate in piatti di ceramica, stoviglie d’acciaio e su tovaglie di stoffa e in cucina saranno usati solo detersivi naturali. Un’attenzione particolare sarà data anche ai prezzi. «Nella scelta dei piatti abbiamo tenuto in considerazione tre fattori - evidenzia Foresti la qualità, anche in termini di sicurezza, la bontà e i costi. Con 10-15 euro sarà possibile fare un pasto completo, serviti come al ristorante e con lo scenario incantevole del lago». Il menù presenterà specialità come gli Schlutzkrapfen (ravioli della Val Pusteria), il manzo all’olio, la polenta con sardine di Monteisola o la parmigiana di melanzane “sorelle Pirozzi”, tanto per citarne alcune.

La manifestazione avrà anche un obiettivo di solidarietà. Legambiente Alto Sebino sposa la causa della ricerca sulla Sindrome di Angelman, una malattia genetica rara molto grave e invalidante, che colpisce un bimbo ogni 12-15mila. Per ogni coperto, verrà devoluto 1 euro all’Associazione Angelman, organizzazione di volontariato che opera sul territorio del Lago d’Iseo e si occupa di raccogliere fondi per finanziare la ricerca, con lo scopo di trovare una cura per alleviare le sofferenze di tanti bambini e delle loro famiglie. «Siamo felici e grati agli organizzatori per la loro sensibilità e disponibilità – dice il presidente, Luca Patelli -. Stiamo lavorando molto per far conoscere di più la malattia. I bambini malati non parlano e hanno gravi difficoltà a camminare e apprendere. La loro vita è fatta di difficoltà quotidiane. Per fortuna la ricerca lascia intravedere una speranza di cura. Ma servono soldi, soprattutto in questo momento di crisi, dove i drastici tagli alle risorse hanno messo in ginocchio gli istituti di ricerca».


giugno 2013

Itinerari Itinerari

di Pier Carlo Capozzi

Le terrazze gustose sul lago Quattro proposte, tra il Sebino e il lago di Endine, per chi cerca la buona cucina e il fascino del paesaggio

Ranzanico Al Poggio

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Monasterolo del Castello Locanda del Boscaiolo

vvicinandosi l’estate abbiamo pensato di proporvi quattro indirizzi, per tasche diverse, tutti rigorosamente a strapiombo o in prossimità di un lago. Ci siamo divisi a metà: due sul lago di Endine e due sul lago d’Iseo, i nostri specchi di montagna che regalano un fascino del tutto particolare. Sono quattro storie di cucina, ma anche di affetti e di vita familiare, di passione per questo mestiere e di sacrificio in tempi non brillantissimi.

Fonteno Ristorante Panoramico

Riva di Solto Ristorante Zù

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Itinerari Monasterolo del Castello

Una Locanda per cuori romantici

Ranzanico

Al Poggio, tra bontà a tavola e colombi sull’aia Arrivando in territorio di Ranzanico, percorrendo la provinciale Bergamo-Lovere, ecco le indicazioni gialle per salire al Ristorante “Al Poggio”, su per la collina, difronte al lago di Endine. Ci arrivate dopo qualche centinaio di metri, aiutati da un’altra preziosa freccia. La strada finisce lì, proprio nell’aia della trattoria, perennemente popolata da oche, colombi, galli e pollastre. Un’ampia terrazza estiva, coperta da un tendone, domina dall’alto il lago, regalando una visione di incredibile serenità. Pierluigi Valaperta vi accoglierà con educata discrezione, proponendo piatti ormai collaudati e cucinati con mano sicura dalla moglie Claudia Moro e dalla cognata Daniela Masnada. Si può iniziare con affettati, crostoni di polenta, giardiniera e aglio aromatizzato oppure affidarsi a primi collaudati come le Pappardelle al cinghiale o i Casoncelli. Poi Filetto di Persico con le mandorle e Bocconcini di cervo, buone formaggelle nostrane, Torta verde (farina di cocco, menta e cioccolata a ricoprire) e un Bonet notevole. Qualche etichetta di Valcalepio e Franciacorta, ma non solo, se non vi accontentate di un rosso sfuso veronese o di un gradevole prosecco in caraffa. Sempre aperto a mezzogiorno, nel fine settimana anche alla sera. Il servizio è familiare, ma corretto, ed il conto è tra 20 e 25 euro a testa, che scucirete volentieri gettando un ultimo sguardo allo specchio del lago incastonato tra i monti.

Al Poggio dei Valaperta via al Poggio, 205 Ranzanico tel. 035 810054

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I fratelli Pettini (Anita, Romano e Mario) sono arrivati qui nel 1980, trasformando, di volta in volta, questo angolo di paradiso sul lago in un delizioso albergo con ristorante. Ora è rimasto Mario che, a sua volta, pur “presente sempre e comunque”, ha dato in gestione il locale ai nipoti Valentina e Simone, in sala, supportati in cucina dalle intuizioni di Mirko Arienti e Giampaolo Zambetti, che continuano un’affermata tradizione di piatti che hanno fatto la storia del locale. Il leggendario Luccio in carpione, l’Insalata del Boscaiolo (cetriolini, olive e wurstel amalgamati nella maionese), i Funghetti di coltura, i Tortelli rosa e verdi, lo Stufato di cinghiale in civet, il Coregone ripieno con la polenta. Più recenti le proposte, tra i primi, delle Gocce ripiene di formaggi della valle, mandorle e rucola e le gustose Linguine spadellate con olive nere, pomodorini e pesce spada. Buoni dessert, tra i quali il Tortino cioccolato e mandorle e il Semifreddo all’amaretto. Dalla cantina potrete scegliere tra una cinquantina di etichette e pagherete un conto sui 40 euro. Anche qui molto ben spesi. I sapori decisi della cucina si sposano infatti mirabilmente con la piacevolezza del paesaggio: una cena al Boscaiolo, comodamente seduti sotto un bersò di vite canadese, accarezzati dalla brezza del lago che è lì, a dieci metri, è la location ideale per romanticoni di vecchio stampo, ma anche per famigliole che si ritrovano in armonia. Locanda del Boscaiolo via Monte Grappa, 41 Monasterolo del Castello tel. 035 814513


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Riva di Solto

“Zù”, la suggestione della Gioconda

Fonteno

Quando si dice Panoramico Famiglia. Ecco cosa si respira appena si arriva in questo albergoristorante affacciato sul lago d’Iseo. Battista Bertoletti era un impresario edile: esattamente 50 anni or sono, decise di costruire un’azienda ricettiva in questo angolo incantato di Fonteno. Lo hanno spalleggiato la moglie Rosa, da subito, e poi i figli Giuseppe (attualmente in cucina insieme a Giovanni Todisco) e Monica, vulcanica responsabile al ricevimento dell’albergo e al servizio in sala. Battista è volato via nel 2008, avendo cura di regalare ai figli il terreno sottostante l’albergo, di cui era gelosissimo, pieno di alberi che crescevano un po’ alla rinfusa. Tre anni dopo Giuseppe, dopo averci lavorato con grande abilità e aver fatto ordine, in ricordo del padre ha inaugurato il Parco Battista, un gioiello di architettura verde con percorso rigenerante, gazebo, zona giochi e relax. Ma non è solo panorama, il Panoramico. C’è la sostanza di una cucina ricca di sorprese. Fatevi condurre per mano da Monica: Pesce Persico alla catalana, Salmerino gratinato, Coregone in carpione, Sarde di lago con polentina e poi un sontuoso Fritto misto (scampi, gamberi, persico e calamari con l’aggiunta di zucchine e mele), morbido dentro e croccante fuori. Torta di cioccolato farcita e confettura d’arance per chiudere. In enoteca riposano 300 referenze di vini. Attualmente, oltre al menù “dei Mille sapori”, viene proposto, sempre a 45 euro, un “Menù degustazione lago” a base di persico. Alla carta spenderete qualche euro in più. E tornerete a casa appagati, cercando di rubare con gli occhi ogni immagine tutt’intorno.

Questo incantevole ristorante in località Zù nel tempo ha avuto ragione di tutto, frane comprese che, ogni tanto, si staccano dall’alto e piombano sulla strada che costeggia il lago d’Iseo, isolandola per giorni e giorni. Convivere quindi, contemporaneamente, con la lontananza dalle strade più battute, con la crisi e con le frane, converrete con me non sia operazione delle più agevoli. Ma Marcello Viscardi (in sala) e sua moglie Patrizia Zenti (in cucina insieme a Gigi Martinelli) non hanno mollato mai e da qualche anno coronano il sogno, partito nel 1981, di vedere il loro ristorante nel novero delle eccellenze bergamasche. Dietro c’è una storia familiare solida, una grande professionalità e una passionaccia che non conosce confini. Te ne accorgi quando Marcello si avvicina al tavolo, per condurti attraverso un percorso enogastronomico di grande fascino. E quando ti spiega, con passione coinvolgente, la preparazione dei piatti, i problemi della pesca nel lago o la presenza certissima del profilo del Corno Trentapassi, che ti sovrasta sulla sponda opposta, dietro al sorriso di Monna Lisa perché è assodato che Leonardo fosse passato da qui. Le novità di una carta già eccellente sono “Il Salame di anguilla con polenta bergamasca”, ricetta riscoperta da Gigi e riproposta con successo, e “La Tartare di salmerino con crema di yogurt” negli antipasti. Poi “Lasagnetta con bronoise di lago al Curry” e “Bottatrice al rosmarino, agoni e pomodoro frullato al profumo di lemongras”. Dessert strepitosi e cantina con 150 etichette e presenze francesi. Potete scegliere un Menù degustazione a 55 euro; alla carta spenderete qualcosa di più, sempre da benedire. Allontanandovi, non scordatevi di fare un sorriso. Marcello e Patrizia (ma anche Monna Lisa) se l’aspettano. Ristorante Zù via XXV Aprile, 53 Riva di Solto tel. 035 986004

Ristorante Panoramico via Palazzine, 30 Fonteno tel. 035 969027

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IL PERSONAGGIO di Laura Ceresoli

Ha curato i set di tanti marchi noti, compresi quelli di memorabili pubblicità Barilla. La food stylist Giulia Romanelli lavora a Milano e abita a Gorle. «È un mestiere in cui si impara con l’esperienza, al momento in Italia non esiste una scuola». «Una fotografia istituzionale per rappresentare Bergamo all’Expo 2015? Mi inventerei qualcosa con la polenta, però anche i casoncelli...»

Giulia Romanelli (foto Attilio Marasco)

«Pasta, tonno, dadi... così li ho resi famosi»

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na bambina con un impermeabile giallo perde il pulmino dopo la scuola. Intanto la mamma la attende a casa con un piatto di pasta fumante. Sotto una pioggia incessante, di fronte a un portone, la ragazzina trova un gattino infreddolito, lo prende, lo mette sotto la sua giacca e decide di prendersene cura. Era il 1987 e quello spot, accompagnato dalle note malinconiche di Vangelis, diventò il più celebre tra quelli realizzati dalla Barilla. Dietro questa geniale intuizione pubblicitaria c’è lo zampino di Giulia Romanelli, la food styilist bergamasca d’adozione che, da quasi trent’anni, realizza campagne stampa, cartelloni promozionali e spot televisivi che hanno un unico denominatore comune: il cibo. Come ha iniziato la sua carriera di food stylist? «Preparo set pubblicitari lavorando con fotografi professionisti dal 1985. Ho cominciato un po’ per caso. All’inizio della mia carriera, infatti, mi occupavo di grafica pubblicitaria, poi una carissima amica di mia mamma che faceva la food stylist mi ha chiamato perché aveva bisogno di un’assistente. Ho accettato e mi sono innamorata subito di questo lavoro, tanto che lo faccio da una marea di anni ormai».

Questa carissima amica di sua madre era Luisa de Ruggieri, conosciuta come la prima food stylist italiana, vero? «Sì, esatto, era proprio lei. È stata la prima a proporre in Italia questo tipo di mestiere che aveva imparato in Inghilterra. Una volta tornata in Italia è cominciata la sua carriera, dapprima affiancata da alcuni assistenti, tra cui la sottoscritta, poi ha continuato da sola». Ci sono dei trucchi del mestiere che le ha insegnato e che ancora oggi lei mette a frutto nel preparare i suoi set pubblicitari? «Questo è un mestiere in cui si impara per esperienza, al momento in Italia non esiste una scuola. Quindi lavorare con qualcuno che lo sa fare è necessario. Inoltre non è un lavoro solo di tecnica ma anche di sensibilità. I clienti sono estremamente esigenti e l’abilità sta nel saper mettere in relazione l’aspetto estetico con le richieste del cliente, che sono ben precise». Insomma, deve riuscire a creare i presupposti per una foto invitante, da mangiare con gli occhi… «Già, la difficoltà sta proprio nel saper rendere il più appetitoso e invogliante possibile il prodotto alimentare rappresentato nella pubblicità».

Chi si rivolge a lei ha già un’idea definita in mente di come vuole pubblicizzare il suo prodotto o tutto è affidato alla sua creatività? «Nel 99% dei casi c’è un’agenzia pubblicitaria che avanza delle proposte ed è seguendo quelle linee guida che io parto per realizzare il set fotografico più adatto alla realizzazione di un’immagine promozionale». Qual è stata la richiesta più particolare che le è stata fatta? «Quella di contare, uno a uno, i ditali di pasta da inserire nel minestrone della foto. Oppure quella del cliente che in una immagine che prevedeva dei gamberi ha stabilito, calcolatrice alla mano, che le code di gambero dovevano pesare esattamente 7 grammi. Quando si preparano le immagini per le confezioni bisogna stare attenti a rispettare le quantità del prodotto perché esistono dei cavilli legali che non possono essere ignorati. Foto di questo genere sono complicate perché vanno inserite in una griglia ben precisa e se non si sta attenti si rischia di compromettere anche il testo della pubblicità». Di cosa si è occupata in questi anni? «Campagne stampa, cartelloni pubblicitari, riviste, confezioni, ricettari, calendari, libri di ricette natalizie e pasquali per i supermercati Esselunga.


giugno 2013

I primi anni facevo anche promozioni e spot televisivi, ma adesso è da molto che non me ne occupo più». Sempre nell’ambito pubblicitario, quindi? «Sì, mai nell’editoria». E i lavori più divertenti che ha svolto? «La realizzazione di ricettari». La sua giornata tipo? «La mia giornata inizia molto presto anzi, comincia addirittura la sera prima, quando vado a fare la spesa per procurarmi i prodotti necessari che occorrono per il set. Se invece ho bisogno di cibi deperibili, come le erbe, per esempio, ci vado la mattina stessa. Poi mi reco a Milano allo studio fotografico. Prima di iniziare è fondamentale controllare la luce: devo vedere da che parte proviene per posizionare al meglio gli oggetti, individuare l’altezza del punto di ripresa, eccetera. Poi si fa una preparazione veloce di un piatto per dare la possibilità al fotografo di impostare le foto. Quando tutto è messo a punto, si passa agli scatti del piatto definitivo che verranno mostrati al cliente che farà le sue osservazioni. Il prodotto viene via via modificato, a seconda delle richieste, fino ad ottenere un risultato ottimale».

Come mai? «Il tonno è un cibo molto delicato, crea moltissimi problemi. Visto che non si riesce a usare il pesce nelle scatolette, il cliente ci fornisce dei grossi filetti di tonno. Ma selezionare e tagliare il pezzo che ha le caratteristiche migliori è alquanto difficile perché spesso la qualità non è perfetta. Il suo colore naturale è grigiastro e viene trattato per diventare rosa. Se è troppo grasso, ha delle iridescenze o dei colori strani, crea delle difficoltà al fotografo perché lo scatto non rende. Per non parlare di quanto è sgradevole l’odore di pesce che invade lo studio». Come avviene questo lavoro manuale di messa in posa del prodotto? «Il grosso lo faccio io, ma poi serve collaborazione di tutti, si accettano consigli». Per una campagna pubblicitaria quante persone servono? «In generale io lavoro in coppia con la mia assistente. Poi naturalmente c’è il fotografo che non è sempre lo stesso, ma ci viene suggerito di volta in volta dai clienti o dalle loro agenzie di comunicazione». Lei non fa mai fotografie? «Sì, scatto foto ma unicamente per passione e divertimento, è solo un hobby.

anni, però, che non mi occupo più di spot per la tv». Gli spot televisivi più famosi che ha realizzato? «Il tonno Palmera, con quella specie di Indiana Jones che teneva un pappagallo sulle spalle. Ma anche la celebre pubblicità della Barilla con la bambina che trova un gattino infreddolito e bagnato dalla pioggia e lo porta a casa. Oppure quella del dado col bimbo che dice “Papà guarda, un pollo!». Lei ha la passione per il cibo anche nella vita o è solo un’esigenza lavorativa? «Saper cucinare e amare il cibo è fondamentale. Per me è una tradizione di famiglia, mia nonna e mia madre sono sempre state delle ottime cuoche e hanno trasmesso questa passione a me, ai miei fratelli e alle mie cugine fin da piccoli». Quando ha tempo le piace mettersi ai fornelli? «Sì, moltissimo». Il suo piatto forte? «Non saprei. Mi piace provare piatti diversi, amo soprattutto i cibi di altri Paesi. Ho una quantità di libri di cucina mostruosa a casa e mi piace sperimentare. La mia è una continua ricerca culinaria».

Tra l’altro lei porta sempre con sé due borse stracolme di oggetti che le servono per lavorare… «Sì, ho due valigie piene di posate, pentole, padelle, piatti, ciotoline, scolapasta, pelapatate, pennelli, bisturi, pinzette, forbici, colori, oltre ai cibi che compro per il set. Se qualcuno vedesse le mie borse non riuscirebbe a capire che lavoro faccio». Non sono i clienti a fornire la materia prima, ovvero il cibo che serve per le foto? «Dipende. Dalle aziende di solito arrivano cartoni che contengono 25 chili di pasta, ma se si tratta di fare solo un paio di foto è uno spreco. Quindi preferisco comprare io il mio pacco di pasta». Il cibo più difficile da immortalare? «Il tonno».

Per lavoro, invece, mi occupo solo del set pubblicitario. Le fotografie le lascio fare ai professionisti». Quali sono i fotografi più importanti con cui ha lavorato? «Ho iniziato negli Anni 80 con Mario Zappalà che ai tempi era molto in voga. Ho lavorato anche con Carlo Frattini, Ezio Frea, Raffaello Bra. L’affiatamento con il fotografo è molto importante nella realizzazione dei miei lavori, se poi c’è anche una sintonia di gusto le cose vanno meglio. L’importante è essere estremamente adattabili e pazienti». Ha lavorato anche con vari registi famosi. Un nome fra tutti? «Alessandro D’Alatri col quale ho collaborato per una pubblicità e che poi è diventato un celebre regista di cinema. Sono

Cosa ama della cucina bergamasca? «I casoncelli». Come mai ha scelto di vivere a Gorle pur lavorando a Milano? «Il mio compagno è bergamasco, quindi ho scelto di trasferirmi in una zona più a misura d’uomo dove mi trovo infinitamente meglio rispetto a Milano che, invece, è una città, a mio avviso, piuttosto faticosa e caotica». Se dovesse scattare una fotografia istituzionale per rappresentare Bergamo all’Expo 2015, quale prodotto enogastronomico sceglierebbe? «Mi inventerei qualcosa con la polenta che è il cibo più caratteristico, magari abbinata a prodotti tipici della tradizione lombarda come insaccati e formaggi. Però anche i casoncelli…».

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Appuntamenti

Valle Imagna, cene e spettacoli con la rassegna “Per antiche contrade”

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“Per antiche contrade” è un festival itinerante tra i paesi della Valle Imagna che lungo tutta l’estate (il calendario si conclude il 14 settembre) propone spettacoli che coniugano narrazione e musica, con l’obiettivo di far scoprire e valorizzare il patrimonio architettonico e ambientale del territorio. Alcuni eventi sono preceduti da facili escursioni guidate, altri dalla possibilità di sedersi a tavola e degustare i “Menù delle contrade”, con piatti e prodotti tipici a prezzi promozionali (tra i 10 e i 20 euro) nei ristoranti e nelle contrade stesse. Ecco il calendario: “Menù Cristina” (12 luglio, Roncola - Pizzeria Cristina), “Menù Bellavista” (14 luglio, Roncola - Ristorante Bellavista), “Romantiche atmosfere con Paolo e Francesca” (17 luglio, Sant’Omobono Terme - Ristorante Taverna 800), “Menù Botto e Belvedere”

(21 luglio, Roncola - ristoranti Al Botto e Belvedere), “Menù dei Tigli” (28 luglio, Roncola - Locanda dei Tigli), “Menù del pellegrino” (3 agosto, Sant’Omobono Terme - ristorante del santuario della Cornabusa), “Menù Narciso” (5 agosto, Roncola - Ristorante Narciso), “Aperitivo con San Defendente” (13 agosto, Roncola, sagrato della chiesa San Defendente - aperitivo con il circolo), “Menù del rustico” (16 agosto, Brumano - Trattoria “La Rustica”), “I segreti della Tite” (17 agosto, Valsecca - La piccola trattoria da Tite), “Menù Croce” (18 agosto, Roncola contrada Croce), “Menù di Bacco” (20 agosto, Roncola - contrada Cà Maltrotti), “Menù Bellavista” (24 agosto, Roncola - Ristorante Bellavista). Info: www.perantichecontrade.it

Lago d’Iseo, scocca l’ora delle sagre del pesce Birre artigianalI, festival a Nembro e a Brescia Gli appassionati della birra artigianale e chi vuole saperne di più hanno ormai un buon ventaglio di manifestazioni tra cui scegliere. A Nembro The Dome, locale specializzato, propone dal 21 al 23 giugno in collaborazione con la Compagnia del Luppolo la quarta edizione di Obf - Orobie Beer Festival, dedicato esclusivamente a prodotti di alta qualità. A disposizione oltre 30 birre artigianali, di microbirrifici italiani già molto apprezzati e di alcuni birrifici belgi ospiti speciali (www.obf.bg.it). A Brescia, per la precisione nella Cascina San Giorgio a Capriano del Colle, a dieci minuti dal centro città, da venerdì 5 a domenica 7 luglio è in programma invece il festival Madre Birra che vede la presenza di oltre 30 spine artigianali di birrifici italiani d’eccellenza e birrerie, accompagnamenti gastronomici, musica dal vivo, uno spettacolo di improvvisazione teatrale e musicale, laboratori e stand. La domenica, su prenotazione, è possibile gustare lo spiedo bresciano, ma ci sono anche piatti per vegetariani. Presenti anche produttori e locali bergamaschi (www.madrebirra.com).

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Sul lago d’Iseo l’estate porta in tavola le sardine e regala sagre a base di pesce. A Sarnico sabato 29 e domenica 30 giugno in piazza XX settembre c’è la “Sagra del pesce fritto”, mentre da venerdì 5 a domenica 7 luglio a Riva di Solto è di scena la 18esima edizione della collaudata “Sagra del Pesce”, dedicata ai piatti della tradizione bergamasca e rivierasca a base di pescato di lago - coregoni, alborelle, persici, salmerini, sardine – e arricchita dalla vista sul lago, da musica e animazione, mentre la piazza del porto e il lungolago ospitano mercatini di prodotti artigianali ed artistici. Nelle stesse date, sulla sponda bresciana, a Marone, tocca alla 23esima edizione della Sardinata, che al centro civico Benedetti propone la regina del lago preparata secondo le vecchie ricette della Riviera e abbinata alla classica polenta, accanto ad altre specialità lacustri e locali e all’intrattenimento musicale.

Foto: Danilo Pedruzzi

FINO AL 24 AGOSTO


giugno 2013

Sabato 13 e domenica 14 luglio TERRA MADRE YOUNG A Bellagio il primo incontro con i giovani produttori lombardi I temi sono quelli di Slow Food e Terra Madre, l’attenzione all’impatto delle produzioni, il rispetto del territorio e della sua vocazione, dei ritmi naturali e biologici, della varietà delle specie e della biodiversità, le filiere brevi, l’equità sociale, la sobrietà dei consumi, l’identità. Il taglio dell’evento è volutamente giovane e mostra come anche i riti del divertimento – aperitivo, musica dal vivo, colazione danzante, dj set e finger food – possano essere riletti alla luce della lentezza e della convivialità. Sabato 13 e domenica 14 luglio il Lido di Bellagio (Como) accoglie il primo meeting degli under 30 coinvolti in agricoltura, alimentazione e ristorazione in Lombardia, promosso da Terra Madre Young. Con il titolo di “Slow Night’n’Day Slow” il programma offre «trentasei ore di cibo buono pulito e giusto, live music, ballo, chiacchiere, bere consapevole». Si comincia alle 19 con l’happy hour d’autore preparato e servito da giovani agricoltori e chef da tutta la Lombardia, si prosegue fino a notte fonda con musica e ballo in spiaggia mentre stuzzichini e bevande sono rappresentati da pesce d’acqua dolce, salumi, formaggi, vino, birre crude artigianali, succhi, sciroppi e long drink biologici. La domenica, dopo la colazione con prodotti freschi dal territorio, ci sarà la presentazione del Presìdio del Missoltino del Lago di Como essiccato al sole, mentre alle 13 scatterà la gara tra giovani chef. Assaggi, interviste in video clip, salotti del gusto, Mercato della Terra e ancora musica e dance on the beach terranno banco nel pomeriggio. Alle 20 si potrà cenare su prenotazione con piatti di territorio e tradizione rivisitati dagli chef in gara, per poi dare di nuovo spazio alla musica e al ballo. Info: ww.slowfoodlombardia.it

3 AGOSTO A Rosolina Mare si eleggono i campioni del barbeque Vi considerate maestri del barbeque e in casa le grigliate sono terreno solo vostro? Bene, avete la possibilità provare il vostro valore a “Griglie Roventi”, il campionato di barbeque che mette in gara ben cento coppie di concorrenti da tutto il mondo. Sede dell’ottava edizione, sabato 3 agosto, sarà Rosolina Mare, località balneare allungata tra l’Adriatico e le lagune settentrionali del Delta del Po. È una grande sfida a colpi di ricette segrete, presentazioni ardite e costumi improponibili per impressionare la severissima giuria, costituita da giornalisti, chef ed esperti che valuteranno sulla base di quattro criteri: qualità di cottura, gusto, presentazione del piatto e simpatia. La novità 2013 strizza l’occhio ai vegetariani, oltre che con la carne sarà richiesto infatti di cimentarsi nella cottura del Radicchio di Chioggia. Per la scelta dei partecipanti anche quest’anno è stata scelta la soluzione della “lotteria”. Basterà mandare un’email a info@griglieroventi.com inserendo nome e cognome dei due partecipanti, città di provenienza e recapito telefonico per partecipare al sorteggio, che si svolgerà circa due settimane prima della manifestazione. L’iscrizione richiede poi un versamento di 60 euro a coppia che dà diritto all’equipaggiamento completo: barbeque, carne, Radicchio rosso di Chioggia, t-shirt, grembiule, cappello da chef e vino. La gara dura un’ora. Info: www.griglieroventi.com

Treno e gusto, ecco due proposte Ha sollecitato il dibattito su Affari di Gola e fatto auspicare un’iniziativa simile – purtroppo difficile da realizzare - nelle Valli Bergamasche. Per ora il Treno dei Sapori resta un servizio attivo sulla sponda bresciana del lago d’Iseo. È uno speciale convoglio realizzato da Trenord - composto da una motrice diesel elettrica e due carrozze ristorante ristrutturate mantenendo intatta la struttura originale dei primi del ’900 – che ogni domenica, fino a metà ottobre, percorre la tratta Iseo-Pisogne-Iseo proponendo un pranzo tipico a bordo e visite guidate nelle località toccate. Il costo è di 49 euro, 59 nella versione “Classic” che comprende una borsa di prodotti tipici da portare a casa. Info e prenotazioni: www area3v.com.

Non si pranza a bordo ma ci sono soste golose con il Trenoblù, l’iniziativa della Ferrovia del Basso Sebino lungo la linea Palazzolo - Paratico Sarnico riaperta al traffico viaggiatori nel 1994. Da quest’anno il servizio si svolge esclusivamente con treni storici a vapore. Con partenza da Bergamo il 22 settembre si può salire sul “Treno d’autunno per il lago d’Iseo”, da Milano partono invece “Il treno dei sapori del Lago d’Iseo” (8 settembre), “Il treno del vino novello in Franciacorta” (10 novembre) e quello che porta a Cremona per la “Festa del Torrone” (16 novembre). Info: www.ferrovieturistiche.it

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A tavola con...

di Filippo Grossi

Remuzzi: “La cena romantica? Al mare coi piedi nell’acqua” Giuseppe Remuzzi

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a appena assunto la presidenza operativa dell’International Society of Nephrology (Isn), carica che ricoprirà per i prossimi due anni. Il passaggio di consegne è avvenuto a Hong Kong lo scorso 4 giugno in occasione del Congresso Mondiale di Nefrologia 2013. Nefrologo di fama internazionale e coordinatore del Centro ricerche dell’Istituto Mario Negri, con sede al Kilometro Rosso di Stezzano, il professor Giuseppe Remuzzi è il primo italiano a cui viene affidato questo incarico che lo vedrà a capo del comitato responsabile delle attività e dei programmi della società scientifica che opera a livello mondiale. Ad Affari di Gola ha raccontato i suoi gusti a tavola.

Il suo piatto preferito? “Un uovo col sale”. Le piace cucinare? “No, sono totalmente negato”. La specialità bergamasca che preferisce? “Il salame bergamasco”. Qual è il cibo che non le piace? “Non mi piacciono le minestre con la pasta e neppure il sedano e i finocchi”. La cucina regionale italiana che più apprezza? “Quella toscana”. Il suo menù ideale? “Polipetti con polenta, passata di pomodoro con basilico, polpettine di carne come le faceva mia mamma (buonissime!) con contorno di carciofi, e poi panettone, gelato di crema e fragole”. Vino o birra? “Prima una bella birra artigianale di San Pellegrino e dopo vino”. Rosso o bianco? “Rosso. In particolare amo i vini del Piemonte che competono con i migliori vini francesi”. Carne o pesce? “Pesce. Adoro i filetti di sogliola che fa mia moglie che è una bravissima cuoca”. Pasta o riso? “Entrambe”. La cucina straniera che più le piace? “Quella cinese e quella indiana”. La sua pizza preferita? “La margherita, ma anche la pizza al prosciutto cotto”.

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Cosa mangia prima di un impor tante congresso medico? “Niente, perché altrimenti non parlo bene”. È attento alla linea? “Sì. Per abitudine, tendo a non mangiare a mezzogiorno anche se poi la sera arrivo con una fame “da lupo”. Quali sono i segreti per mantenersi in forma? “Mangiare di meno e, in particolare, non mangiare pane. E poi muoversi tanto camminando (non correndo!), almeno mezzora al giorno”. Un piatto che le mette allegria? “Un piatto che mi ricorda la mia infanzia: le cervella di vitello impanate”. Qual è stato il pranzo o la cena più emozionante della sua carriera? “A casa mia. Mia moglie ha cucinato cose semplici, ma molto buone per Peter Agree, ematologo di fama mondiale, e per altri amici provenienti dagli Usa”. Le piace la donna che cucina? “Non sapendo cucinare, sì. Non ci sono alternative (altrimenti resto a bocca asciutta!)”. Come s’immagina una cenetta romantica? “Su un piccolo tavolino sul mare con i piedi nell’acqua”. Un cibo che rappresenta il suo carattere? “L’insalata di mare. Per cucinarla bene, però, ci vogliono rigore e fantasia, voglia di fare e impegno”. E un cibo che rappresenta il suo stato d’animo attuale? “Il pollo col curry che cucina mio figlio. È un piatto piccante e dinamico come lo sono io in questa fase”.


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Numerose le presenze di operatori e ristoratori durante la kermesse organizzata dal Consorzio Tutela Valcalepio

“Bere Bergamo Valcalepio Top”, i vini bergamaschi convincono i milanesi B

uona la prima. È stata infatti numerosa la presenza di operatori e ristoratori milanesi alla kermesse milanese organizzata dal Consorzio Tutela Valcalepio lo scorso 27 maggio. La sala Cristalli dell’Hotel Principe di Savoia è stata la location d’eccellenza scelta dal Consorzio per presentare per la prima volta il format “Bere Bergamo Valcalepio Top” sulla piazza Milanese. “Un’idea sorta dall’esigenza dei nostri consociati di far conoscere i nostri prodotti anche ai vicini di casa milanesi - ha spiegato il presidente del Consorzio Enrico Rota, che si è dichiarato “decisamente soddisfatto di quanto emerso nel corso del pomeriggio. Molti infatti erano gli operatori professionali che già conoscevano il vino bergamasco così come grande è stato l’interesse suscitato nei ristoratori grazie ai nostri Valcalepio Doc, Terre del Colleoni Doc e Bergamasca Igt”. “Ancora una volta - ha aggiunto Sergio Cantoni, direttore del Consorzio di Tutela - abbiamo avuto conferma della forza propulsiva che il vino di Bergamo può rappresentare per il nostro territorio. Pensate a cosa potremmo raggiungere in occasione dell’Expo 2015 se potessimo davvero presentarci al mondo con una Igt

Lombardia unica, che raccolga all’interno la variegata realtà enologica della nostra regione”. All’Hotel Principe di Savoia erano nove le aziende che hanno presentato ad un pubblico professionale il meglio della propria produzione: Cantina Sociale Bergamasca, Celinate, La Tordela, Locatelli Caffi, La Rocchetta, 4R - Villa Domizia, Il Cipresso, Le Mojole e Il Castello di Grumello. Ad accompagnare la degustazione, i

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formaggi del territorio, ambasciatori d’eccellenza della produzione bergamasca, presentati dalla Latteria Sociale di Branzi. “Ancora una volta - ha concluso Rota - il Consorzio Tutela Valcalepio mette concretamente in pratica il motto portato avanti dal Consiglio di amministrazione ‘Uniti si può’. Molte le sorprese che ancora attendono il pubblico per i prossimi mesi per un’estate e un autunno all’insegna dell’ottimo vino di Bergamo”.

Vini da pesce, nuovo riconoscimento per Il Cipresso

ncora un traguardo per il Cipresso, l’azienda di Scanzorosciate guidata da Angelica Cuni. Alla seconda edizione della “Selezione internazionale vini da pesce” - che si è svolta ad Ancona dal 15 al 17 maggio scorsi - il Valcalepio bianco Doc

“Melardo” del 2012 ha ottenuto il diploma di merito. Il Concorso per vini bianchi, rosati e spumanti è stato proiettato sullo scenario internazionale per favorire il confronto in un mercato globale che, tuttavia, premia sempre più le tipicità e le identità territoriali.

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LA STORIA

In cerca di un’alternativa alle giornate stressanti e alle difficoltà di un free lance in Italia, Dario Baù ha aperto con l’amico Vito Iodice un locale ad Albufeira

Dario Baù

di Anna Facci

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n tempi di crisi neanche la decisione di andarsene dall’Italia, mollare i ritmi frenetici del nostro stile di vita e aprire il famoso bar sulla spiaggia (o giù di lì) riesce ad essere tanto netta. Così, per ora, quella di Dario Baù è una svolta “stagionale”, ma la strada è ormai aperta e le idee sono ben chiare. Fino ad aprile girava accompagnato dalla fedele telecamera, con l’orecchio teso al cellulare perché in ogni momento poteva ricevere la chiamata che lo spediva a seguire un fatto di cronaca. Oggi, dopo aver svolto i suoi compiti nella gelateria che ha avviato con l’amico Vito Iodice, se ne va sulla spiaggia o in bicicletta lungo la pista ciclabile che corre lungo il mare. Stiamo parlando delle mitiche coste dell’Algarve, la regione a Sud del Portogallo. Trentacinque anni, cresciuto tra Alzano e Villa di Serio, poi residente a Cene, da dodici anni fa il cameraman libero professionista. Collabora con Bergamo Tv dal 1995 ed ha lavorato per tutte le tv nazionali a programmi calcistici e di news. «Le opportunità non mi mancavano, ho quasi azzerato le collaborazioni con le tv locali, ma in compenso ho avuto richieste dai grandi broadcaster nazionali. Il fatto è che mi ha deluso il Paese – confessa -, come è trattato il lavoro autonomo, la forte pressione fiscale sulle partite Iva, l’incertezza in cui vive chi ha un’attività. Amo l’Italia, ma oggi mi sembra Willy il Coyote che resta sospeso nel vuoto con la certezza che cadrà nel burrone… e così ho cercato un’alternativa all’estero, cambiando completamente vita». Ha cominciato a pensare al suo nuovo progetto nel maggio dell’anno scorso e trovato nel suo migliore amico, Vito Iodice, pugliese trapiantato a Bergamo da qualche anno, il compagno di avventura ideale. «Ha alle spalle quattro anni di esperienza negli Stati Uniti e 13 in importanti impieghi a contatto con il pubblico – sottolinea Baù – e come me rifiutava di confrontarsi costantemente con il precariato. L’Algarve per noi era perfetto, molto sole, un clima da sogno per no-

Una gelateria in il sogno del ve mesi l’anno, turismo del Nord Europa e una popolazione tranquilla e cordiale». Per la serie che dovunque si vada nel mondo un bergamasco lo si trova, per Dario e Vito l’incontro è stato con Igor Colombo, che da qualche anno ha un piccolo laboratorio di gelato artigianale in Portogallo e che li ha aiutati a valutare opportunità e ostacoli. Poi è partita la caccia al locale giusto. Dopo aver setacciato i centri turistici della regione, facendo la spola dall’Italia, la scintilla è scoccata per Albufeira, una cittadina a una quarantina di chilometri ad Ovest di Faro, antica roccaforte moresca alta sulle falesie che circondano la spiaggia sabbiosa oggi meta turistica rinomata. La gelateria si chiama Carosello e oltre che con il nome dichiara l’origine italiana sfoggiando qua e là i colori della nostra bandiera. «Non è sul corso principale, fin troppo affollato, ma è ben visibile – racconta -. La nostra idea è offrire un prodotto di altissima qualità e di differenziarci dalle altre proposte. Il gelato è preparato nel laboratorio di Igor Colombo, con ingredienti italiani e da italiani. I clienti apprezzano il vero gelato artigianale, che non ha rivali. Lo trovano da noi e amano tutti i gusti che proponiamo. Realizziamo anche un frozen yogurt abbinato a marmellate italiane di qualità oppure a macedonie di frutta fresca che ogni giorno acquistiamo al mercato comunale. I nostri clienti sono Portoghesi, Spagnoli, Inglesi, Irlandesi, Tedeschi, Norvegesi e persino Estoni, per ora di Italiani non ne abbiamo visti. I Portoghesi sono i più esigenti - dice -, ricercano la qualità, sono curiosi di sapere che prodotto stai servendo loro e quelli soddisfatti fanno un gran passaparola. Gli Inglesi preferiscono essere serviti in fretta, vogliono quello che ti chiedono e nulla di più. Gli altri turisti si godono il prodotto, apprezzano i sapori, tornano volentieri e si prestano a scambiare chiacchiere di ogni genere». Avviare il locale non è stato però semplice e nemmeno il Portogallo, quanto a burocrazia, si fa mancare complicazioni e ritardi. «Certe volte – ricorda - temevamo di non riuscire a coronare il nostro sogno: dapprima le difficoltà per la licenza, poi


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Sulla loro strada un altro bergamasco, Igor Colombo che ha un laboratorio di gelato artigianale. «La crisi si sente anche qui, ma si lavora meglio perché le leggi sono chiare»

Algarve, si avvera cameraman le autorizzazioni sanitarie, la residenza estera, le lungaggini del municipio cittadino. Alla fine ce l’abbiamo fatta e con molta emozione il 19 aprile abbiamo aperto. Per questo devo proprio dire grazie a Vito, che si è trasferito in Portogallo mentre io ancora lavoravo in Italia e non si è lasciato scoraggiare dai problemi, curando inoltre l’allestimento del locale, il design e gli ordini». Ma a differenza dell’Italia, «in Portogallo poi si lavora sereni perché le leggi sono chiare e sono rispettate da tutti perché le conseguenze sono pesanti – evidenzia Baù -. I regi-

stratori di cassa, per esempio, sono automatizzati e trasmettono giornalmente i corrispettivi, la gestione del personale è molto semplice, la pressione fiscale è bassa e quindi non ci sono tentazioni ad evadere». Anche da cameraman, Baù aveva a che fare con i “gelati”, ma erano microfoni. Come si trova ora nei panni dell’esercente? «Io mi occupo dell’apertura del locale la mattina – racconta -, dell’esposizione dei gelati, della preparazione delle linee della frutta fresca e delle crepes. Abbiamo seguito diversi corsi in Italia su questo tipo di attività, qualcosa ci è stato insegnato anche da professionisti del settore, mentre in Portogallo ho seguito dei corsi obbligatori sulle norme igieniche. Vito si occupa del locale con me, seguendo in più nel dettaglio l’amministrazione, e presto assumeremo una dipendente». «Ora la mia giornata è regolare, mentre facendo il cameraman era tutto il contrario – nota -. Seguendo le news, non sapevo mai cosa avrei fatto o dove sarei stato qualche ora dopo. Quello che realmente cercavo in Portogallo è serenità. Le persone con cui avevo a che fare in Italia mi hanno dato spesso segnali preoccupanti di forte stress, ho capito di voler lavorare per vivere e non vivere per il lavoro. Ora quando sono libero mi fermo sul mare, guardo l’orizzonte e spero di poter godere per sempre di momenti di pace così». Anche se è un desiderio che deve confrontarsi con la realtà. «La stagione estiva parte a marzo e finisce a novembre – dice -, ma quest’anno per il turismo in Algarve è stimato un calo del 70% per vari motivi tra cui il pessimo clima, la crisi economica a livello europeo e il declassamento da parte delle agenzie di rating del Regno Unito. I conti si faranno a fine stagione, ma è molto probabile che per quest’anno il cambio di vita sia solo “stagionale”: in estate la gelateria in Portogallo, in inverno un’agenzia di realizzazioni televisive in Italia. Le due attività, del resto, si intersecano bene, perché in estate il lavoro del cameraman è praticamente fermo per via della sospensione dei palinsesti e in inverno non si vende gelato. Chissà, anche il cambio di vita “a tempo determinato” può essere figlio della crisi…».

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Olio bergamasco, entro il 2015 la produzione raggiungerà i 500 quintali

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l convegno “Olio, il gusto del territorio” che si è tenuto lo scorso 9 giugno, all’Auditorium civico S. Giovanni Battista di Predore, ha valorizzato il forte legame tra olio e territorio, un connubio antico che molti giovani produttori stanno sempre più reinterpretando in chiave moderna trasformandolo in occasione di sviluppo economico e di opportunità turistico - culturale. All’iniziativa hanno partecipato anche molti imprenditori agricoli del settore olivicolo bergamasco, una realtà che conta circa 200 ettari di superficie a oliveto, un centinaio di hobbisti e una ventina di imbottigliatori di olio extravergine di oliva, di cui il 60% posti in zona Val Calepio orientale - lago d’Iseo. Poiché il settore è in crescita, si stima che entro il 2015 la produzione di olive raggiungerà le

400 tonnellate e la produzione di olio extravergine sarà di 500 quintali. Il convegno, organizzato dall’Associazione Interprovinciale Produttori Olivicoltori Lombardi (Aipol) in collaborazione con l’associazione Olivicoltori del Sebino Bergamasco con il patrocinio della Provincia di Bergamo e del Comune di Predore, ha visto tra i relatori Andrea Longaretti, responsabile olivicolo Coldiretti Bergamo, Giovanna Cattaneo esperta di analisi sensoriali e Marco Antonucci giornalista assaggiatore di olio. Diversi gli interventi, tra cui quelli di Massimiliano Locatelli presidente del Consorzio di Tutela Olio Extra Vergine di Oliva Dop Laghi Lombardi e di Valentino Ghirardelli presidente dell’Associazione Olivicoltori del Sebino Bergamasco.

FIPE: RISTORAZIONE, STAR DEL TURISMO I turisti visitano l’Italia per la buona tavola. È questa l’estrema sintesi di un focus realizzato su dati IsnartUnioncamere dal centro studi Fipe, la federazione italiana pubblici esercizi aderente a Confcommercio-Imprese per l’Italia. La qualità del mangiare e del bere ha ottenuto dai turisti, sia italiani che stranieri, un voto nella scala scolastica da 1 a 10 pari a 8,2, cioè il valore più alto, superiore di un decimale addirittura all’8,1 assegnato a cortesia e ospitalità. La qualità del mangiare e del bere è l’elemento che risulta ottenere voti alti da un minimo di 8,1 a un massimo di 8,3 in qualsiasi tipo di turismo, da quello montano a quello naturalistico, d’arte, culturale o sportivo. «Si tratta di valori immateriali – si legge nel focus Fipe – che, alme-

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no nel caso della ristorazione, assumono anche valenza economica considerando che il 19,3% delle spese sostenute dai turisti che hanno soggiornato in Italia nel 2012 è stato destinato alle consumazioni in ristoranti, pizzerie, bar, caffè e rosticcerie per un valore di circa 13,9 miliardi di euro. Nell’immaginario del turista ed anche nell’esperienza vissuta il cibo è la vera star dell’offerta turistica nazionale. È il risultato dell’azione combinata di tante persone che appartengono al mondo dell’agricoltura e dell’industria di qualità ed a quello della ristorazione dove il nostro Paese può contare sulla straordinaria competenza di chef ai vertici dell’enogastronomia mondiale e su una rete di ristoranti e trattorie che anima ed arricchisce

il territorio. «Il tema è di grande attualità – è la conclusione a cui arriva Fipe – e la prima considerazione che possiamo fare è che i giudizi dei turisti non coincidono con quelli di autorevoli esponenti del Governo che, con tutta evidenza, neppure sono a conoscenza di informazioni provenienti dall’Osservatorio Nazionale del Turismo promosso proprio dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il principio einaudiano del “Conoscere per deliberare” sembra aver perso di significato. Un vero paradosso italiano. Si spendono soldi pubblici per conoscere cosa funziona e cosa non funziona nel turismo del nostro Paese ma i policy maker non lo sanno».


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PRODOTTI

di Lara Abrati

Meno valorizzata rispetto ad altre specialità del territorio, anche la pasticceria tipica racconta la storia alimentare della Bergamasca. Negli ingredienti semplici il segno delle origini rurali

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Il lato dolce della tradizione e specialità dolci appartenenti alla gastronomia del territorio bergamasco sono spesso poco conosciute e valorizzate. Molto più celebrati i prodotti agricoli derivati dalla trasformazione di carne o latte e quelli della vitivinicoltura, il cui rapporto con il territorio è diretto e più facilmente individuabile. Quando si parla di pasticceria ci si rifà a una cultura diversa, tipica dapprima del sapere agricolo e casalingo, poi dal carattere borghese, fino ad arrivare al XX secolo, dove queste diverse tipologie si sono mescolate e la pasticceria è diventata patrimonio di una categoria di professionisti sempre più attenti, preparati e creativi. Molti pensano non esistano dolci bergamaschi e quando si parla di enogastronomia la parte riguardante la pasticceria viene, nella maggioranza dei casi, senza motivo trascurata. Invece, se la si analizza brevemente, ci si può accorgere di quanto sia vasto e variegato questo settore, ma soprattutto quanto dica della storia, seppur recente, della provincia di Bergamo. «Nella Bergamasca – spiega Giovanni Martinelli, pasticciere e autore del libro “Quanto basta per… l’eredità dolce” del Capab, il Consorzio degli artigiani pasticcieri bergamaschi – non vi si ritrova una tradizione dolciaria radicata, come in altre città. Questo essenzialmente è dovuto al fatto che la popolazione della provincia di Bergamo era tradizionalmente rurale, con poco a disposizione, facevano fatica a prepa-

cemente unendo i prodotti reperibili sul rare il pranzo o la cena per mancanza territorio, la meàsa, preparata a partire di risorse, figuriamoci se potevano pensare al dolce». E ancora «la pasticceria da acqua, farina di mais, qualche pezzetbergamasca si è radicata nel ‘900 e io, to di frutta secondo disponibilità, lardo e con il libro, ho voluto semplicemente tracipolla, quindi fatta cuocere. Per ribadire scriverla e celebrarla. Sono dolci semplila storia agricola e rurale della provincia ci, ma che stupiscono, diversamente da di Bergamo, merita menzione anche la quanto avviene con le ormai modaiole ressomada, il cui consumo ai giorni notorte da design, bellissime alla vista, ma stri è ancora minimamente conosciuto. che non suscitano emozioni all’assagLa preparazione consiste nel montare a gio. Queste ultime hanno neve gli albumi di un uoinoltre un costo proibitivo, vo, aggiungere quindi il arrivano a costare al contuorlo e lo zucchero avensumatore finale anche do cura di mescolare be10 euro la fetta, considene il tutto. Molto diffusa randola di circa un etto». in passato era anche la I primi dolci bergamaschi torta di sangue che, nelerano a base di frutta, la versione più elaborala frutta coltivata o semta, prevedeva l’aggiunta plicemente raccolta in di zucchero, panna, cioczona. Addirittura alcune colato e biscotti. Queste Giovanni Martinelli persone prevalentemen“ricette” caratteristiche te di età avanzata usano ancora molto il della cultura agricola coesistevano con consumare a fine pasto la frutta accomquelle delle case borghesi, più articolate pagnata dal pane. È una consuetudine e spesso trascritte nei manoscritti di altipicamente rurale il fatto di accompacune famiglie. Diversi e molteplici anche gnare qualsiasi alimento al pane, così da i dolci inventati dai pasticcieri bergamaraggiungere la sazietà più velocemente schi nel XX secolo, come il caso del bipossibile. Ecco quindi pane e uva, pane scotto di Clusone. e noci, pane e fichi, e così via. Come dolIn città e provincia alcune pasticcerie ci, erano anche consumate le castagne, ancora ripropongono, accanto a tipomolto diffuse in Bergamasca, nelle diverlogie di offerta più moderna e in linea se preparazioni: i biligòcc, le caldarroste anche con le nuove richieste di mercae le castagne secche. A questo proposito, alcuni dei dolci bergamaschi, che to, da citare una torta che potrebbe decomprendono prevalentemente biscotrivare da queste usanze, fatta sempliti secchi e torte.

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PRODOTTI

Conosciamoli meglio Polenta e osèi È uno dei dolci bergamaschi più conosciuti. Basta fare un giro in città ed è facile vederla troneggiare nelle vetrine di forni e pasticcerie. È la versione dolce del piatto bergamasco per eccellenza. Forse uno dei migliori modi per celebrare un piatto simbolo della cultura gastronomica bergamasca, la polenta, che da piatto consumato tutti i giorni per saziare la fame è diventato il piatto della domenica, assumendosi un carico di valori importante. La versione dolce potrebbe sembrare anche un tentativo implicito di ostentare orgogliosamente ciò che Bergamo, nel corso degli anni, è riuscita a diventare. A parte la lettura soggettiva, è consigliabile l’assaggio. La si

può trovare di diverse dimensioni. Consiste in una mezza sfera di pan di spagna farcita con una crema di burro al cioccolato e nocciola e bagnata con curaçao. La mezza sfera è ricoperta da marzapane giallo e zucchero. Viene spalmata al centro della confettura di albicocche e decorata con cubetti di cedro candito posizionati in maniera alternata agli uccelletti di cioccolato. Molte le pasticcerie in cui si può trovare in città, meno frequente in provincia. È protetta da un disciplinare di produzione nell’ambito del marchio “Bergamo Città dei Mille… Sapori”.

Turta del Donizèt È il dolce dedicato al celebre compositore bergamasco ideata da Alessandro Balzer nel 1948 per il centenario della sua scomparsa. Il dolce è stato inserito nell’elenco dei Pat (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) della regione Lombardia. È a forma di ciambella, simile al bossolà bresciano, il tradizionale dolce natalizio. Come la polenta e osèi è protetta da un disciplinare. Gli ingredienti sono burro, uova, farina, zucchero, ananas e albicocca candita, alcune gocce di maraschino e una bacca di vaniglia. Ha l’aspetto di una ciambella ricoperta di zucchero a velo, il diametro dello stampo utilizzato è di circa 26 cm. Anch’essa è facilmente reperibile nelle pasticcerie e nei formi della città.

Biscotto di Clusone Nonostante questo biscotto sia poco conosciuto e goda di scarsa fama, la sua messa a punto risale a svariati decenni fa, in particolare al 1920, quando un pasticciere di Clusone, Giuseppe Mantegazza, inventò la ricetta e ne depositò il marchio. La produzione proseguì fino agli Anni 50, quando Mantegazza abbandonò la Valle Seriana. Grazie alla registrazione della ricetta e del marchio, nel 2001 l’amministrazione comunale, in accordo con la figlia Emma, ha potuto recuperare ingredienti e modalità di preparazione. Ora il biscotto viene prodotto dalla pasticceria Trussardi. Consiste in una meringa con le mandorle nell’impasto, ricoperta di cioccolato fondente.

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Torta di Sant’Alessandro

Turta de Treì Insieme alla Torta di Sant’Alessandro è il dolce più recente ideato in provincia di Bergamo. Infatti è il risultato di un concorso bandito dall’associazione delle botteghe della città di Treviglio all’inizio degli Anni 90. È il terzo dolce protetto da disciplinare, sempre nell’ambito del marchio camerale “Bergamo Città dei Mille… Sapori”. Era stato pensato per essere prodotto durante la festività della Madonna delle Lacrime, una ricorrenza risalente al lontano 1522. In realtà, il dolce ha avuto molto successo ed ora viene prodotto in tutta la provincia di Bergamo. Nonostante la sua storia recente, ricorda molto il tipico dolce della nonna, preparato con ingredienti semplici, partendo da pasta frolla, vanillina e mandorle.

È in assoluto il dolce più recente, anch’esso voluto per celebrare una festività religiosa, la ricorrenza del santo patrono di Bergamo. La ricetta è relativamente semplice, è stata messa a punto dal Consorzio artigiani pasticcieri ed è stata presentata alla cittadinanza nell’agosto 2010. Gli ingredienti sono farina, farina di mandorle, uova, burro, miele, rum e zucchero. I fornai e i pasticcieri che la producono, possono apporre il marchio che la identifica in vetrina. Si presenta di forma circolare con un diametro di circa 20 cm.

E ancora...

Mezzelune di San Pellegrino È un biscotto secco a forma di mezza luna, friabile. Riproposto da Luigi Milesi nel 1934 nella sua pasticceria Bigio di San Pellegrino Terme. Inizialmente gli aveva attribuito il nome di “Biscotto Bigio”, mentre nel 1962 è stato brevettato con il nome di “Biscotto di San Pellegrino”. Ormai il biscotto non è prodotto esclusivamente nella pasticceria Bigio, ma anche da altri artigiani della provincia. Gli ingredienti di base sono farina, zucchero, uova, vaniglia, burro e miele.

Gli ingredienti, come si evince dalle ricette, sono semplici, così come le preparazioni. All’insegna dell’essenzialità che si rifà alla ruralità della storia bergamasca sono anche il dolce Umberto, di forma circolare, simile a una corona e ricoperto di granella di nocciole, oppure la torta Smiassa, che ha come ingredienti principali l’uvetta sultanina e l’uva americana. Ancora, i biscotti Brasadei (probabilmente derivati dai biscotti Brasadè, prodotti nella pianura lombarda) sono piccole ciambelle che venivano appese a un filo e usate dalle bambine come collane. Anche la zona dell’alto Sebino ha alcuni dolci locali, derivati soprattutto dalla vicinanza alla Valle Camonica, uno di questi, di chiara derivazione camuna, è la Spongada de Solt, una pagnotta morbida e dolce. Infine, il dolce Fardello, a forma di ciambella, prodotto con farina 00 e farina di mandorla.

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La proposta

Un’estate a tutta centrifuga di Laura Bernardi Locatelli

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Con l’arrivo della stagione calda, i “parenti” di frullati e succhi si propongono come drink salutistici dai mille colori e dalle mille virtù. Ecco i consigli degli esperti

erfetti per l’estate dalla colazione all’aperitivo, i centrifugati rappresentano un’ottima idea per cimentarsi in nuovi accostamenti, creare basi per ricette gustose e fresche e fare il pieno di minerali e vitamine, rispolverando il piccolo elettrodomestico forse più sottoutilizzato di casa e ancora poco familiare nei locali. Parenti di frullati e succhi di frutta, i centrifugati sono un

concentrato delle parti nobili di frutta e verdura che, privati mediante procedimento esclusivamente meccanico della parte fibrosa, diventano estremamente digeribili e vengono rapidamente assimilati, conservando intatte le proprietà, dai minerali alle vitamine, agli antiossidanti. Sono drink salutistici dai mille colori e dalle mille virtù, a torto considerati appannaggio

Lo chef Coria: ‹‹Via libera alla creatività per stupire ed esaltare i sapori››

Chicco Coria

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Per giocare in cucina con diverse consistenze e sprigionare all’ennesima potenza il sapore allo stato puro di ortaggi e frutta, via libera alla fantasia e a qualche colpo di centrifuga. È così che concentrati coloratissimi e vitaminici, accostati ad hoc a pietanze, danno vita a piatti ricercati, pronti a stupire chi ha sempre snobbato i centrifugati considerandoli dei beveroni buoni solo a non far morire di fame qualche

star hollywoodiana. Chicco Coria, chef dell’Antico Ristorante del Moro e docente dell’Accademia del Gusto, impiega con successo da anni i centrifugati dall’antipasto al primo al secondo. In vista dell’estate, lo chef propone una pasta alla sorrentina rivisitata: “È una versione scomposta della classica. Per esaltare appieno il sapore del pomodoro ramato fresco realizzo una centrifuga, che faccio ulteriormente ri-


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esclusivo di fanatici della linea e capricciose star. Anche se ancora poco impiegate al bar e in cucina, le centrifughe sprigionano tutto il gusto e il sapore della frutta e della verdura di stagione e sono perfette da portare in tavola e da abbinare ad altre pietanze per creare piatti interessanti ed appagare il palato, stupendo con diverse consistenze. Tra le principali ragioni di resistenza all’impiego e alla diffusione dei centrifugati, nei locali come a casa, vi è l’elevata percentuale di scarto che la loro preparazione comporta. Per questo, oltre a riportare i consigli di un barman esperto come Luca Ramoni per prepararli al meglio e di uno chef di rango come Chicco Coria per ricette pronte ad appagare il gusto e a stupire i propri ospiti, non mancano idee di riciclo per dare nuova vita agli scarti ed azzerare - o quasi - gli sprechi, proposte dalla massima esperta in materia, Lisa Casali. Da ciò che per pigrizia gettereste nell’immondizia nascono piccoli grandi piatti, da proporre senza esitazione anche all’ospite più di riguardo, con la certezza che non vi beccherà mai. E se proprio non vi frulla nessuna idea in testa su come riutilizzare gli scarti rimasti nella centrifuga e siete particolarmente stanchi e stressati, rivitalizzate la pelle con una maschera di bellezza fai da te o preparatevi un sorbetto in pochi minuti per vincere l’afa estiva, oppure ancora, se decidete di dedicare un po’ più di tempo alla cucina, datevi alle conserve creando una composta di frutta che verrà buona d’inverno.

Regole & attrezzi • Attenzione agli agrumi Arance e limoni se mischiati ad altri vegetali, verdura o frutta che siano, creano acidità.

• Frutto jolly? La mela Frutta e verdura hanno spesso caratteristiche di acidità e basicità molto differenti. La mela è l’unico frutto che si sposa a qualunque tipo di ortaggio perché ha un Ph praticamente neutro.

• Non mischiare più di tre vegetali diversi Combinare gli alimenti non è semplice, sono composti da un’infinità di molecole differenti e per assimilare i nutrienti al meglio senza affaticare il sistema digestivo è meglio non esagerare. Un’aurea regola di semplicità ed eleganza di gusto.

durre, perfetta per condire dei mezzi paccheri assieme a una crema di mozzarella”. Le centrifughe di ortaggi esaltano anche le materie prime più nobili: “Una centrifuga di peperone, cetriolo e pomodoro accompagna alla perfezione il foie-gras. Mi piace accompagnare le ostriche con una centrifuga di scalogno, cui aggiungo un filo di aceto rosso”. I centrifugati si prestano particolarmente per aperitivi e amouse bouche pronti ad appagare i palati più esigenti: “Il succo di finocchio abbinato a quello d’arancia e ad un goccio di Martini si sposa perfettamente, ad esempio, a del bacca-

• Come funziona la centrifuga La separazione delle parti liquida e solida è ottenuta grazie alla forza centrifuga: l’alimento viene introdotto un cestello che, ruotando ad alta velocità (dai 6.000 ai 18.000 giri al minuto) è in grado di sviluppare una forza centrifuga tale da rompere le cellule dei vegetali e liberarne così il succo, che filtra attraverso dei fori presenti nel cestello stesso e viene raccolto in un apposito contenitore. La centrifuga, a differenza di uno spremiagrumi, riesce ad estrarre il succo anche dei vegetali più coriacei, come le carote, oppure degli ortaggi a foglia, come gli spinaci.

là crudo”. Oltre alle preparazioni salate, ci si può sbizzarrire anche con i dolci, declinati in tutti i gusti, profumi e sapori che la frutta di stagione regala: “Basta solo un pizzico di fantasia per dare vita a dessert d’impatto. E per qualche nota orientale e particolare ci si può affidare ad esempio allo zenzero, che tra l’altro assieme al limone contribuisce a favorire la digestione oltre che a regalare un’immediata sensazione di freschezza”. Nulla da togliere alla centrifuga nuda e cruda: “D’estate le centrifughe aiutano a fare il pieno di vitamine e a trovare un po’ di frescura”.

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La proposta Ratatouille

Il barman Frutta e verdura da bere, Ramoni: ‹‹Attenti agli abbinamenti›› Non hanno riscosso un grande successo e restano dei drink di nicchia, eppure i centrifugati sono un’occasione per ogni barman di mettere alla prova la propria creatività accostando frutta e verdura di stagione, sbizzarrendosi tra colori e sfumature. Luca Ramoni, barman e formatore professionista che a colpi di shaker ha conquistato importanti concorsi, svela alcuni segreti per preparare al meglio centrifugati e cocktail dietetici. “La materia prima è fondamentale e l’obiettivo deve essere sempre quello di preservarne al massimo la freschezza. Negli accostamenti bisogna prestare molta attenzione agli equilibri di gusto, ad acidità e basicità, ma anche al colore del centrifugato, che deve conquistare anche la vista. Se impiego ad esempio una barbabietola rossa devo prestare attenzione ad altri abbinamenti, onde evitare di servire un drink dal colore poco invitante”. Anche l’occhio vuole la sua parte: “Decorazione e presentazione sono altrettanto importanti. I centrifugati richiedono un bicchiere da long drink: va servito in una quantità di 300 grammi in un bicchiere di 48 centilitri e può essere diluito con dell’acqua. Le decorazioni, come in tutti i drink, dovranno essere commestibili e possibilmente attenersi agli ingredienti del drink. Ad esempio in un centrifugato che contiene sedano, il gambo, oltre a richiamare il gusto del drink, si presta ad essere un comodo cucchiaio. Una buona idea è utilizzare come nei drink “exotic” i gusci della frutta come contenitori: dalla noce di cocco al melone, all’ananas fino all’anguria per grandi quantitativi”. Spezie e radici danno un tocco particolare ad ogni centrifuga: “La radice di zenzero e il pepe si prestano particolarmente per questi drink, conferendo una nota leggermente piccante ed esotica”. Luca Ramoni

Le ricette

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Il bere wellness. I nuovi stili di vita e le abitudini alimentari hanno contribuito allo sviluppo di una nuova tipologia di drink costituita dai cocktail dietetici, che sta iniziando a prendere piede nei juice bar, nei bar di spa e centri benessere, oltre che nelle più importanti catene alberghiere. Oltre ai centrifugati, stanno prendendo piede long drink analcolici (a base di succhi di frutta e sciroppi o bevande gassate), exotic (a base di succhi di frutta, sciroppi, frutta fresca nella quale vengono serviti), smoothies (a base di gelato). “Il cocktail dietetico, per essere definito tale, deve sottostare a criteri ben precisi quali l’assenza assoluta di alcool, di zucchero o di sciroppo di zucchero e la sola presenza di frutta fresca, verdura e acqua. Il contenuto calorico delle bevande non deve superare le 100 calorie, dovrà inoltre contenere 100 grammi di verdura ed almeno un ingrediente solido. Per non uscire dai ranghi si può impiegare del fruttosio, senza caricare il drink di calorie superflue” spiega Ramoni. La preparazione in genere viene effettuata attraverso l’uso della centrifuga. “Sono ancora pochi i bar ad impiegarla - fa notare -, eppure assieme a spremiagrumi, frullatore, mixer, shaker, dosatore di liquidi, coltelli e scavini da frutta e attrezzature da decoro rientra tra i principali “attrezzi del mestiere”. E invece resta un drink di nicchia, surclassato da frullati e altri soft drink”. Per ogni barman rappresenta una sfida da cogliere per proporre succhi preparati al momento, di stagione e di eccezionale qualità, che nulla hanno a che vedere con i preparati industriali: “Anche i migliori succhi di frutta a lunga conservazione sono semplici derivati del succo concentrato del frutto. I succhi preparati al momento hanno tutto un altro sapore, anche se evidentemente non possono avere lo stesso prezzo di quelli industriali, non possono costare meno di 5-6 euro”.

Cocktail alle verdure

Cocktail ai frutti di bosco

Cocktail alla frutta

(in centrifuga) ghiaccio tritato 4 cucchiai carota gr 50 sedano gr 50 succo di limone 2 cl acqua naturale 20 cl un pizzico di sale 2 cucchiaini di fruttosio

(in centrifuga o frullatore) ghiaccio tritato 4 cucchiai lamponi 50 gr mirtilli 50 gr more 50 gr succo di limone 3 cl 2 cucchiani di fruttosio acqua naturale 20 cl

(estivo) anguria 50 gr pesca 50 gr succo limone 2 cl 2 cucchiaini di fruttosio acqua naturale 20 cl


giugno 2013

L’esperta Lisa Casali Le idee di ri-ciclo per ridurre gli sprechi La fibra scartata dalla centrifuga può trovare nuova vita in altri impasti, dai muffin ai ciambelloni, alle torte salate. Un pieno di fibre e vitamine a costo e impatto zero. Una seconda vita è possibile anche per le bucce degli agrumi usate per le spremute che, fatte essiccare, si trasformano con un colpo di mixer tritatutto in una polvere eccezionale per amplificare i sapori di piatti classici e dare il tocco finale a ricette più ardite. Con la polpa di frutta di scarto si possono creare diversi dolci dal plum- cake ai biscotti, ai pancake, assolutamente perfetti per la colazione di tutti i gior-

Le ricette

ni e il brunch. Un’idea sbrigativa è quella di realizzare con la polpa di scarto degli eccezionali sorbetti alla frutta in pochi minuti. Preziosi aiuti e consigli per non buttare via nulla - o quasi - in cucina arrivano dalla massima esperta in materia, Lisa Casali, che dal suo blog (www.ecocucina.org) e dalle pagine dei suoi libri non manca di indicare nuove vie per azzerare gli sprechi e promuovere un’alimentazione più sostenibile per l’ambiente. Senza contare il risparmio sulla spesa che con qualche accorgimento arriva al 20 per cento.

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Crostatine di ex centrifugato di carote Ingredienti La polpa di scarto di due bicchieri di centrifugato di carote 300 g di pane raffermo 6-7 grissini sottili 1 cipolla 2 patate bollite 2 uova formaggio grattuggiato noce moscata olio extravergine di oliva sale, pepe q.b. Procedimento Spezzettare il pane con le mani, metterlo in una ciotola e bagnare con poca acqua. Lasciare ammorbidire il pane, strizzarne con le mani qualche pezzo e disporlo sul fondo degli stampini imburrati. Lavorare con le dita in modo da formare una base omogenea con i bordi un po’ alti, in grado di contenere il composto. Nel frattempo tritare la cipolla e farla dorare a fuoco basso in una padella con poco olio. Unire la polpa del centrifugato e farla cuocere per circa 5 minuti. Salare, pepare e spegnere il fuoco. Quando il composto si sarà intiepidito unire le patate bollite (pelate e schiacciate), le uova e qualche cucchiaio di formaggio grattugiato e la noce moscata grattugiata. Suddividere

il composto negli stampini sulla base di pane. Completare con qualche grissino spezzettato in modo da formare la classica decorazione a rete da crostata. Cuocere in forno già caldo a 180 gradi per 30 minuti. Lasciare intiepidire, sformare e servire.

nuare a mescolare in modo da ottenere un composto omogeneo. Ungere e scaldare una padella per frittelle o, in alternativa, una piccola padella antiaderente. Quando sarà ben calda, versare un mestolino di composto e lasciare cuocere a fuoco basso finché non si sarà ben rappreso. Girare il pancake e cuocerlo bene anche sull’altro lato. Proseguire fino a terminare il composto. Tenere i pancake in caldo e servirli con sciroppo d’acero.

Ecobudino con quel che resta del centrifugato Pancake Zero Sprechi Ingredienti 200 g di polpa di scarto di centrifugato di frutta mista 100 g di farina 1 uovo 1 cucchiaino da tè di lievito per dolci ½ cucchiaino di zucchero grezzo di canna 1 pizzico di sale 2 dl di latte vegetale (riso, mandorla o soia) sciroppo d’acero per accompagnare Procedimento Mescolare farina, uovo, lievito, zucchero, sale e la polpa del centrifugato e lavorare con una frusta. Unire il latte a filo e conti-

Ingredienti 100 grammi di polpa di scarto di centrifugato di frutta 1 foglio di gelatina 2 cucchiai di zucchero di canna la scorza e il succo di mezzo limone Procedimento Mettere il foglio di gelatina in un contenitore e coprirlo di acqua fredda. In un pentolino porre lo zucchero con un decilitro di acqua e farlo sciogliere a fuoco basso. Spegnere il fuoco; dopo qualche minuto unire il foglio di gelatina strizzato e mescolare. Aggiungere la polpa di scarto, la scorza grattugiata e il succo del limone. Mescolare e mettere un vasetto chiuso ermeticamente e posto in frigorifero.

*Le ricette di Lisa Casali sono tratte da Ecocucina, Edizioni Gribaudo

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IL PREZZO FISSO Ratatouille

di Fulvio Facci

Al Papageno di Città Alta si era specializzato nelle birre belghe. Ora, nel nuovo locale di Alzano, Alberto Miccoli ci ha aggiunto piatti tipici e atmosfera

Leopold, la cucina di Liegi in riva al Serio I

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l prossimo quattro luglio il Leopold Pub di Alzano Lombardo non celebrerà la festa della sua indipendenza, come gli Stati Uniti, ma sarà ugualmente una data importante, quella del primo anno di vita. Ottanta coperti a mezzogiorno, una buona frequentazione del ristorante alla sera e poi via alla birreria sino alle due di notte: siamo nella zona industriale del paese, in riva al Serio, e perciò non dovrebbero esserci disturbi per la quiete pubblica. Alberto Miccoli, 29 anni, stila un primo bilancio. «Stiamo andando bene – dice – perché ci comportiamo come una famiglia. Anche i dipendenti, del resto, in questo periodo devono tenersi caro il posto di lavoro e si riesce a capire più facilmente che se l’attività funziona i vantaggi sono di tutti. Questo spirito è stato ben compreso e lo si vive da quando si apre a quando si chiude». Perché un locale di impostazione belga? «In precedenza – racconta - avevo una birreria in Città alta, Papageno. Tenevo solo birra belga. Quando ho visto che quel tipo di lavoro in quella zona stava calando ho pensato di abbinare la cucina belga. Avevo bisogno però di altri spazi e mi sono trasferito qui. Con lo chef belga, Samuel Fusaro, 31 anni, nato a Liegi anche se di chiare origini italiane come dice il cognome, abbiamo

iniziato l’avventura. Abbiamo già dovuto raddoppiare la potenza del fuoco in cucina, un bel segno». Ma cerchiamo di capire cosa ha inteso Miccoli nel progettare e realizzare il suo Leopold Pub. Il locale è disposto su due livelli, botti, tavoli alti, tavoli bassi, c’è anche un piccolo palcoscenico, che per la

LA PROVA Al Leopold le ordinazioni per il pranzo di mezzogiorno si segnano direttamente sui menù distribuiti sui tavoli. C’è anche una casellina per il “subito” e per il “dopo” e quindi si può scegliere anche la tempistica del servizio. Per quanto riguarda i prezzi, si va dai sette ai 13 euro e sono sempre comprese bevande, volendo anche la birra vista la vocazione del locale, e caffè. Per sette euro ci sono cinque tipi di pizze, le più semplici se vogliamo, per otto euro altri cinque tipi di pizze maggiormente guarnite. Per dieci euro c’è il menù classico: primo, secondo e contorno mentre c’è anche il menù business che costa 13 euro e che, in occasione della nostra visita, offriva una tagliata da 250 grammi con contorno, una tartare di manzo dello stesso peso sempre con contorno oppure i ravioli fatti in casa con ripieno di lumache e un secondo dalla lista del giorno. Come d’abitudine abbiamo scelto il menù classico da dieci euro che proponeva risotto ai carciofi, pasta pasticciata, spaghetti tonno e peperoni tra i primi e bocconcini di pollo con salsiccia, formaggi e pepe verde, salmone alla piastra e crudo, rucola e grana quali secondi piatti. Patatine fritte (che pare la tradizione belga voglia siano cotte tre volte) e insalatina mista i contorni. Pasta pasticciata, ma pasticciata veramente bene, e pollo con salsiccia, formaggi e pepe verde la nostra scelta. Ottimo rapporto qualità prezzo e, lasciatacelo dire, una volta tanto qualcosa di diverso.


giugno 2013

Lo chef Samuel Fusaro e Alberto Miccoli AbbAttitore 5 teglie

verità non viene molto usato. Le pareti riproducono le facciate di case tipiche, con tanto di porte, finestre, stemmi e lampioni, l’idea è di richiamare l’atmosfera di una piazza di Bruges. E poi ci sono loro, le birre belghe: sei alla spina - con l’eccezione rappresentata dalla Guinness, che per una serie di rimandi storici sembra abbia però mantenuto qualche parentela con il Belgio - e altre trenta tipologie in bottiglia. «Abbiamo appena lanciato il menù estivo - racconta lo chef Samuel Fusaro – anche se, almeno in un certo senso, quella belga è una cucina che si può considerare da paese freddo, invernale. Proponiamo un menù serale a prezzo fisso, 27 euro, che comprende antipasti belgi, un bis i primi fatti in casa, come tutti i nostri primi del resto, e poi un bis di secondi composto da polpette di trita fresca stufate nella birra e da uno spezzatino alla Guinness. Si chiude con un dessert a scelta dalla nostra lista. Per il resto, nel menù estivo abbiamo diversi piatti di pesce, che ci portano molto vicino alla cucina mediterranea, mentre per la carne, chi vuol stare ancora sulla cucina belga può trovare fra i secondi il medaglione di maiale avvolto nella pancetta con salsa alla senape e pepe verde e la carbonade: spezzatino di manzo con carote e cipolle stufate nella birra. I dessert sono tutti tipici, ricordo solo la gaufre, la cialda belga servita con gelato e dadolata di frutta». I prezzi sono decisamente accessibili. Ci sono anche le moule-frites, una specialità belga molto diffusa anche in Francia che abbina cozze e patatine fritte. Da Leopold ne viene servito un chilo e si può scegliere tra tre condimenti, al naturale con verdurine, con panna e aglio o alla blanche, la birra bianca di frumento della tradizione belga. Il piatto, che comprende contorno e insalatina, è proposto a 13 euro. Ci sono poi le pizze cotte nel forno a legna, proposte sia a pranzo sia a cena, che ben si inseriscono nello stile informale della brasserie. Su cosa bere non ci sono dubbi. Qui si può sperimentare il piacere di accompagnare la birra all’intero pasto, grazie anche ai preziosi consigli del personale. LEOPOLDO PUB via Piave, 58 - Alzano Lombardo tel. 035 512664 - www.leopoldpub.com chiuso a pranzo sabato e domenica

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€ 1800,00

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laRassegna.it


giugno 2013

L’evento

Da sinistra: Umberto Bera, enologo dell’omonima cantina piemontese, Marinella Argentieri, Marina e Fiorenzo Innocenti

“Ristoranti Regionali” targa di merito alla trattoria Del Tone

L

o scorso primo giugno, l’“Associazione Ristoranti Regionali - Cucina Doc” ha consegnato una targa di merito alla Trattoria del Tone di Curno. Un evento che ha rimarcato una duplice ricorrenza. È da 20 anni infatti che il ristorante aderisce all’Associazione nata in provincia di Bergamo nei primi Anni 70 con lo scopo di promuovere la conoscenza della cucina delle diverse regioni d’Italia. Ed è sempre da 20 anni che Fiorenzo Innocenti, chef e patron del locale di Curno, affiancato dalla moglie Marina, ha trasformato la trattoria del nonno in un elegante ed accogliente locale che si è fregiato, in passato, anche della stella Michelin. Come ha evidenziato Marinella Argentieri, da anni alla guida del sodalizio gastronomico, “con la targa di merito si è voluto sì celebrare la ricorrenza, ma anche e soprattutto premiare il merito di un associato di spessore”.

“Del Tone” resta in effetti una garanzia per chi apprezza la buona tavola. Nei suoi menù spiccano sia le creative ricette di carne e di pesce sia i piatti della tradizione locale, elaborati con sapienza e ben presentati. Asso nella manica dello chef resta senza dubbio la carta dei dessert, che si esprime al meglio con le “Variazione di dolci” (golosa tavolozza di prelibatezze a tema) e che trionfa nella piccola pasticceria. Una mano sicura e convincente, quella di Fiorenzo, che ben si è espressa anche alle cene di gala organizzate da “Ristoranti Regionali” nonché a convegni e congressi enogastronomici internazionali. In ogni circostanza i consensi sono stati unanimi. Come lo sono stati anche in occasione della consegna della targa, quando Del Tone ha “incrociato” i vini dell’azienda agricola Bera di Neviglie (Cn) mettendo a punto una serie azzeccata di ab-

binamenti. Dopo l’aperitivo con il Bera Brut Alta Langa Doc 2006, davvero convincente, lo chef ha proposto una sfogliatina agli asparagi con crema di formaggio Branzi e tortino di funghi porcini accompagnata dall’Arnais Langhe Doc 2012. Lo stesso vino ha “affiancato” i casoncelli alla bergamasca, piatto più che collaudato e che ha anticipato il coniglio al rosmarino, ben cucinato e arricchito da un tortino di patate al timo e dalla polenta. La proposta è stata valorizzata da un ottimo Barbaresco Docg 2009. Infine la “Variazione di dolci del Tone”, un gran piatto con tanti delizie: semifreddo allo zenzero, parfait alla fragola, due mousse al cioccolato completate da macarons e biscotti al cucchiaio, mele caramellate con pasta fillo, tartelette alle mele con crema chantilly. A degna cornice un Asti Docg 2012 e un Moscato d’Asti Docg 2012.

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Il concorso nazionale “All’Ombra della Madonnina”

Caprini eccellenti, quattro aziende bergamasche al top Quattro aziende bergamasche si sono aggiudicate le targhe di eccellenza (in totale ne sono state attribuite cinque) nell’ambito della manifestazione “All’Ombra della Madonnina”, l’evento nazionale legato alla filiera caprina che si è tenuto a Milano lo scorso maggio, con l’ottava edizione del relativo concorso che ha visto la straordinaria partecipazione di 111 formaggi e 15 yogurt di latte di capra in purezza provenienti da tutta Italia e dal Canton Ticino. Le premiazioni delle aziende vincitrici si sono tenute il 7 giugno nel corso di una serata organizzata sulla terrazza affacciata sul giardino del “La Cordata” a Milano, durante la quale è stata organizzata anche una degustazione dei formaggi che hanno ricevuto il riconoscimento. Le aziende bergamasche e i formaggi che, conquistando più di 83 punti su 100, hanno ricevuto il riconoscimento sono:

il Crosta fiorita dell’azienda agricola Cà Morone di Brembilla, il Caprino fresco dell’azienda agricola S. Alessandro di Albano Sant’Alessandro, lo Stracchinello di capra dell’azienda agricola Casa Eden di San Giovanni Bianco e il Caprino fresco della Cooperativa La Peta, società agricola di Costa Serina. “Il settore ovicaprino - sottolinea la Coldiretti bergamasca - rappresenta un tassello importante dell’agricoltura provinciale e negli ultimi anni ha fatto passi da gigante per quanto riguarda la qualità delle produzioni confermandosi come una delle nostre eccellenze di cui essere orgogliosi. Le aziende premiate sono l’esempio di come il nostro progetto per la filiera agricola tutta italiana porti valore non solo all’economia ma anche al territorio e ai consumatori”.

L’appello

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La Regione: “I ristoranti devono I ristoranti lombardi che si fregiano del vanto di essere “tipici” devono usare i prodotti lombardi, dai vini ai formaggi di grande qualità, espressione del nostro grande patrimonio agroalimentare

Su questo refrain ha insistito l’assessore regionale all’Agricoltura Gianni Fava, presentando a Milano la prima edizione di “Di.vini Formaggi di Lombardia”, rassegna dedicata ai prodotti enologici e caseari del territorio, organizzata da Regione Lombardia e Unioncamere Lombardia in collaborazione con Onav e Onaf, le organizzazioni nazionali degli assaggiatori di vini e formaggi. “Iniziative come questa - ha ricordato Fava - puntano a rinvigorire il mercato interno, in sofferenza per quanto riguarda i consumi, nella prospettiva che aumenti la domanda di prodotti di qualità, ma anche i mercati internazionali, dove le dinamiche più complesse ci chia-

mano a interventi ormai improcrastinabili”. Il riferimento è alle decisioni di grandi mercati emergenti, come quello cinese, pronti a introdurre misure restrittive all’import di vini dall’estero. “Il 21 giugno - ha detto Fava - tre governatori delle Regioni del Nord, insieme ai consorzi di produzione, si riuniranno a Riccagioia, a Torrazza Coste (Pavia), centro di proprietà Ersaf, e quindi regionale, per affermare il proprio dissenso rispetto a queste scelte. Finora il Governo italiano in tal senso è stato un po’ tiepido, ci aspettiamo che ci dia una mano”. Secondo i dati Istat elaborati dal Centro studi di Unioncamere Lombardia, lo scorso anno, mentre il

mercato interno stagnava, le esportazioni di vini sono infatti cresciute dell’11,2% rispetto al 2011, con punte del 194% a Singapore, del 23% a Hong Kong, del 17,3% in Messico e del 16,4% negli Stati Uniti. Nello stesso periodo anche le esportazioni di prodotti lattiero-caseari sono cresciute del 4,4%, con punte del 98,1% negli Stati Uniti, del 63,6% in Ucraina, del 47,6% negli Emirati Arabi Uniti, del 29,9% in Russia e del 28,4% a Hong Kong. “Un no secco - ha, quindi, precisato l’assessore - a iniziative che mirano a inibire la nostra capacità di penetrazione su quei mercati, dove abbiamo diritto di stare con le nostre produzioni. Anche in virtù


giugno 2013

Caffè, otto italiani su dieci bevono almeno TRE tazzine al giorno L’Italia è al sesto posto in Europa per il consumo di caffè con 3.413 quintali nel 2012, classifica che vede al primo posto la Germania. In Italia sono 716 le torrefazioni censite di cui 138 in Lombardia, 70 in Emilia Romagna, 68 in Toscana, 61 nel Lazio. Sono alcuni dati del 2012 (fonte Coffitalia, annuario 2012/2013) diffusi nei giorni scorsi alla presentazione di “Pausa Caffe”, primo festival italiano dedicato al tema che si è tenuto il 13 e 14 giugno scorsi in vari luoghi del centro di Firenze con oltre 20 eventi, 30 realtà italiane del settore e 20 caffè speciali in degustazione gratuita. Il Festival è stato ideato e diretto dal campione italiano di caffetteria Francesco Sanapo e dal coffee expert Andrej Godina. Al centro del pro-

gramma i “Percorsi del gusto”, viaggio sensoriale (gratuito) con oltre 20 miscele di tutto il mondo. Ai molti eventi si sono affiancate le gare tra baristi, assaggiatori e decoratori di cappuccini con latte art. Oltre tre quarti delle importazioni italiane di caffè, spiega una nota, provengono da cinque soli paesi produttori: Brasile, Vietnam, India, Indonesia e Uganda. Il Brasile, principale paese da cui si importa, assorbe il 3435% del totale delle importazioni. Per una piccolissima quota (1,4%) il caffè verde importato viene riesportato tale e quale in altri paesi, tutto il resto viene avviato alla produzione/tostatura. La produzione di caffè torrefatto, al netto delle variazioni delle scorte, è destinata per la parte maggiore al consumo

interno, per una parte minore, ma significativa, all’esportazione e per una parte ancora più ridotta per utilizzi industriali nella preparazione di prodotti a base di caffè. L’ Italia, con un export di 112 milioni di chili, rappresenta il più importante esportatore in Europa dopo la Germania. Alcune statistiche riportano che il momento di maggior consumo è al mattino e dopo pranzo, che gli uomini bevono più caffè delle donne (1,7 tazze al giorno contro 1,5), che l’81,1% dei bevitori di caffè beve fino a tre caffè al giorno, mentre quello bevuto al bar rappresenta il 24-25% del consumo globale come volume e il 60% circa del valore. Inoltre il 22,2% degli italiani consuma almeno una tazzina quotidiana al bar.

utilizzare i prodotti tipici lombardi” di quel fattore di reciprocità che spesso ci vede soccombere, quando si tratta di tutelare le nostre produzioni d’origine”. “Daremo un segnale netto - ha aggiunto - non accettiamo di sottostare a vincoli che limitino il nostro export in giro per il mondo, in un momento particolare come questo, in cui siamo la prima Regione, forse d’Europa, che ha deciso non solo di anticipare la Pac per andare in aiuto alle aziende e al settore, ma anche di aumentare la percentuale di contribuzione”. ”I nostri vini e i nostri formaggi sono sempre più apprezzati all’estero, come conferma la crescita dell’export registrata nel 2012 da entrambi i comparti - com-

menta Francesco Bettoni, presidente di Unioncamere Lombardia -. A maggior ragione le nostre produzioni, che quanto a qualità non sono seconde a nessuno, devono trovare maggiore spazio sulle tavole dei ristoranti e nelle gastronomie della Lombardia. L’impegno di Unioncamere è, ancora una volta, quello di aiutare i Consorzi di tutela a consolidare sinergie e collaborazioni con il mondo della ristorazione e della distribuzione. Questo anche in vista di Expo 2015, che rappresenterà il momento in cui mettere a frutto l’attrattività turistica del territorio lombardo e delle sue produzioni di eccellenza”.

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L’angolo

del single di Marco Bergamaschi

Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina

Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.

Insalata di bresaola Ingredienti per 1 persona 50 g di songino (valeriana) 1 finocchio 1 gambo di sedano

60 grammi di bresaola di manzo 1 cucchiaino di senape olio extra vergine sale e pepe a piacere

Preparazione Lavate e asciugate 60 grammi di songino (valeriana). Lavate e tagliate a fettine sottili il finocchio e il gambo di sedano. In una ciotola unite il songino, il finocchio, il sedano e 50 grammi di bresaola tagliata a listarelle. Ora preparate il condimento: in una ciotola mettete 1 cucchiaino di senape, 2 cucchiai di olio, sale, pepe e sbattete bene con una forchetta. Versate il condimento sull’insalata e mescolate ancora per amalgamare il tutto. Gustatevi un piatto estivo e semplicissimo, che diventa ancora più buono se la verdura utilizzata è quella dell’orto o acquistata in un negozio di prodotti a coltura biologica. Curiosità Con l’arrivo dell’estate, viene meno la voglia di dedicare tempo all’arte culinaria o almeno questo è quello che capita a chi ai fornelli solitamente ci sta mal volentieri; complice il caldo e la voglia di vacanza, si è alla ricerca di qualcosa di gustoso, fresco e veloce da consumare senza troppi problemi, soprattutto se la giornata lavorativa appena terminata è stata caratterizzata da ritmi serrati e intensi. La ricetta di questo mese è una variante del solito piatto di bresaola e, accompagnata con delle verdure fresche e il giusto condimento, può diventare un’idea sfiziosa per sé e per eventuali ospiti dell’ultimo momento. La bresaola di manzo è uno dei salumi con il minor contenuto di grassi e si distingue per il suo particolare sapore, dolce e delicato allo stesso tempo; è molto nutriente, povera di grassi, ricca di proteine, ferro, sali minerali ed alcune vitamine e per questo motivo può essere considerata a tutti gli effetti un ingrediente tipico delle diete dimagranti e di quelle per gli sportivi più incalliti. Chi soffre di pressione alta deve invece consumarla con moderazione a causa dell’elevato contenuto di sodio, ma è un’accortezza che va seguita anche con tutti gli altri salumi. Se rimaniamo in tema di “calorie”, il finocchio è uno degli ortaggi meno calorici sulla piazza: ricco di acqua, di sali minerali (potassio), diuretico, depurativo e digestivo, è pieno di virtù, soprattutto per il gentil sesso. Apporta infatti un altis-

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simo contenuto di fitoestrogeni, ormoni vegetali, che possono influire sul sistema ormonale femminile. Infine il songino, l’insalata conosciuta con i nomi più disparati: formentino, soncino, serzetto, valerianella, valeriana, dolcetta e grassello, a seconda delle zone d’Italia. Presente tutto l’anno sui banchi del fruttivendolo, è un vero toccasana in termini di salute e benessere: foriera di vitamina A, vitamina B, vitamina C e sali minerali come potassio, ferro e fosforo, risulta utile nell’anemia, rinforza i vasi capillari agevolando la circolazione sanguigna e stimola l’attività di fegato, reni ed intestino. Quando l’acquistate, i cespi devono essere dritti, con le foglie tese e prive di parti scure o appassite; il songino può essere conservato in frigorifero in un sacchetto di plastica forata per massimo 3 giorni, facendo attenzione a non poggiarvi sopra altre cose. Anche se personalmente mi pace consumarlo freschissimo e non conservato: il gusto infatti è tutta un’altra cosa. Non mi resta che auguravi buon appetito.


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