Anno XVI n. 5 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
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Bergamo e l’aperitivo, ecco i must dell’estate
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o - € 2,60 Bergam 1, DCB 1, comma 46) art. in L. 27/02/2 004 n. 353/20 03 (conv. - D.L. Postale Abbon amento ione in Spediz S.p.A. Italiane 5 - Poste
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Anno
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SOMMARIO XVI n.
GIUGNO 2016
Be e l’apergamo ecco i ritivo, dell’esmust tate
4 TENDENZE
Bergamo e l’aperitivo, ecco i must dell’estate
11 L’associazione
La Confraternita di San Lucio apre le porte al Caseificio Taddei
16 il circuito
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“Premiate trattorie italiane”, nel club entra anche la Visconti di Ambivere
20 il locale
Steak, il regno della tagliata strizza l’occhio al franchising
22 chef in trasferta
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Tra Venezia e Chiasso brillano le “stelline” bergamasche
24 LA LEGGE
Sagre alla svolta, tra paletti e nuove opportunità
29 L’intervista
Il Questore: «A Bergamo ho trovato una ristorazione di qualità»
30 TRADIZIONI
Casoncello, tante le ipotesi sull’origine del nome. Ma il dubbio si può risolvere
36 IL negozio
Treviglio, apre “Leonardo” e guarda già al Canada
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tendenze di Laura Ceresoli
Bergamo e l’aperitivo, ecco i must dell’estate
Lo Spritz domina la classifica dei più bevuti stilata dai gestori. I più modaioli sono Moscow Mule e Hugo, ma classici e vintage mantengono fascino. Tra gli stuzzichini spazio a proposte vegan e salutiste. E al buffet si preferisce più spesso il servizio al tavolo
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l cliente abituale preferisce stare al bancone per spiluccare qualche tartina, sorseggiare un buon drink e fare quattro chiacchiere con il gestore. Le coppie scelgono un luogo appartato, magari il dehors, per un cocktail a due immersi in un’atmosfera magica con musica soft di sottofondo. Poi ci sono i giovani che si incontrano per una festa o un’apericena a buffet, riempiono i loro piatti scegliendo tra i molteplici sfizi che stipano il bancone del bar e li condividono con gli amici al ritmo di un dj set. Insomma, con l’arrivo della bella stagione l’happy hour si rivela un prezioso momento di aggregazione dalle molteplici sfaccettature, adatto a tutte le fasce d’età. Una versione ultramoderna degli antichi caffè letterari dove tra un piatto di pasta fredda e qualche salume si stacca la spina dopo il lavoro, si scambiano idee, si risolvono problemi, si divulgano consigli. Il tutto accompagnato da gin tonic, Moscow Mule oppure da uno Hugo a base di Prosecco, sciroppo di fiori di sambuco, selz e foglie di menta. Sono questi infatti i drink più gettonati
dell’estate 2016. Tra i cibi invece spopola la moda vegan-salutista, con assaggi che vanno dalla quinoa al farro, dalle verdure in pinzimonio fino a croissant e macedonie che chiudono in dolcezza un aperitivo che ha ormai assunto le sembianze di una cena low cost. E in una Bergamo sempre più multietnica non mancano finger food esotici come tapas, mini burger, ma anche cous cous, sushi e nachos messicani. Il tutto a un prezzo fisso che va dai 5 ai 10 euro.
CAPITOLO DRINK I più gettonati
Il successo dello spritz è pari a quello del gin and tonic che in epoche recenti è stato rispolverato anche dai più giovani. A detta dei principali barman di Bergamo, quest’estate andrà per la maggiore lo Hugo, un cocktail più leggero del classico spritz che prevede cubetti di ghiaccio, sciroppo di sambuco, vino frizzante, seltz o acqua minerale e qualche fogliolina di menta. C’è poi chi si sta scervellando per trovare combinazioni inedite. È il caso del Tassino Cafè che ha de-
ciso di lanciare una nuova versione dello spritz con frullato di giuggiole sotto spirito, sciroppo di sambuco e Spumante Fior d'Arancio Docg.
Largo alle spezie Spezie e cibi d'oriente sono il trend del momento. Non a caso il Moscow Mule, drink ghiacciato a base di zenzero fresco, vodka, succo di lime e ginger beer, servito con fette di cetriolo e menta fresca, sta riscuotendo ampi consensi: «Lo zenzero del Moscow Mule ha un sapore predominante – spiega Alessandro Salamina, titolare del Tassino Cafè di largo Rezzara –. È una spezia diuretica e salutista, inizialmente utilizzata nelle tisane e oggi approdata nei cocktail. Le spezie contenute nei drink ben si accostato ai cibi orientali ed esotici che spesso compaiono sui banconi dell’aperitivo, come la quinoa, il cous cous, sushi di pesce, nachos».
Il vintage Succo di mezzo lime, due cucchiaini di zucchero di canna raffinato, foglie di menta cubana, rum, ghiaccio e acqua gassata. È questa la for-
i più bevuti a bergamo
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Spritz
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Gin and tonic
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Hugo
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Moscow Mule
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Mojito
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Cocktail classici (Americano, Negroni, Cosmopolitan)
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Prosecco
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Analcolici della casa alla frutta, centrifughe
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Birra artigianale
10 Crodino, San Bitter
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tendenze
I tavolini del Vox e la responsabile del locale Veronica Angiolini. Sotto il dehors del Tassino Cafè
mula del Mojito, cocktail dal gusto un po’ retrò che in quest’estate 2016 sta tornando alla ribalta. Amato dagli attori e dagli scrittori che nel periodo del proibizionismo americano erano soliti andare a La Habana per bere alcolici e fare vita mondana, il mojito è una bevanda fresca e dissetante, ideale per le serate più torride. Tra le versioni più originali che hanno rivoluzionato la ricetta base spiccano il Virgin mojito senza rum, il Black mojito con un liquore alla liquirizia e il mojito Fidel che prevede birra al posto dell’acqua frizzante. C’è un grande ritorno anche ai cocktail storici preparati con prodotti di qualità e spiriti premium come l’Americano, il Negroni e il Cosmopolitan.
L’analcolico alternativo Fresco, salutare e senz’alcol. Sarà questo il motto di quest’estate per astemi, vegani e salutisti che stanno cavalcando l’onda dei centrifugati a base di frutta e verdura. Ma è anche la rincorsa alla temuta prova
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costume a incentivare un consumo di cocktail meno calorici e più sani. Un’idea per un aperitivo rinfrescante da sorseggiare in estate è il ginger fruit cocktail, caratterizzato dalle note leggermente piccanti dello zenzero. Di recente anche alcuni studenti bergamaschi di istituti superiori e centri di formazione professionale si sono messi in gioco in una gara di cocktail per dire no all’abuso di alcol. Nell’ambito dell’iniziativa Giovani Spiriti hanno creato drink originali e colorati, dallo Yellow Drink (a base di sciroppo di fiori di sambuco, succo di limone, pompelmo e ananas con buccia di limone e mirtilli per decorazione) al Bitter Sweet (con bitter analcolico, succo di cranberry e soda water). Insomma, un piacere contro il caldo estivo che salvaguarda la linea ma anche i punti sulla patente. Tuttavia, pare che siano ancora parecchi i giovani che continuano ad associare il divertimento all’alcol, come conferma William Locatelli, titolare insieme alla moglie Sabrina Franchini del Glamour Cafè di via Don Luigi Palazzolo: «Sappiamo tutti che chi guida non dovrebbe bere. Purtroppo però non c’è ancora una cultura radicata in questo senso. I ragazzi se ne fregano dei punti sulla patente. Chi esce per festeggiare non si limita alle bibite, ama brindare con qualcosa di più strutturato. Durante il pranzo, invece, non beve quasi più
nessuno, solo acqua. Il vino o l’aperitivo alcolico si consumano prevalentemente la sera dopo il lavoro». Un trend confermato anche dal titolare del Tassino Alessandro Salamina: «Lo spettro del controllo alcolemico non preoccupa una clientela matura che vive il suo svago in orari limitati, dalle 19 alle 23, e accompagna sempre il bere con qualcosa da stuzzicare. In generale c’è voglia di azzerare i pensieri nel momento dell'aperitivo. L’esperienza aiuta comunque a moderare gli eccessi. Magari ci si muove in moto o a piedi per frequentare più comodamente i locali del centro città».
CAPITOLO CIBO
I finger food classici La moda dell’apericena resiste. Complice la crisi, sono ancora tanti coloro che praticamente cenano con pochi euro sorseggiando un drink. Gli stuzzichini anni 70 e 80 a base di patatine, olive, noccioline e salatini hanno ceduto il passo da tempo a sontuosi buffet che appagano l’occhio e il palato. Sul bancone si propongono tanti classici della cucina italiana e locale come riso, pasta fredda, baguette imbottite, insalatone, tartine, salumi, insomma ogni ben di Dio. Via libera anche a torte salate, polentine, salumi, formaggi, spiedini di mozzarella, ciotoline di casoncelli, polpette. «In generale il cibo servito dev’essere di qualità, meglio se artigianale come le pizzette, le focacce, i lecca lecca di grana e le frittate fatte in casa – dice Diego Belotti, titolare dello Zerotrecinque di piazza Matteotti –. Ciò che alla gente piacerà sempre (a noi gestori un po’ meno) è il fatto che questi aperitivi sono a volontà. Per chiudere in dolcezza, sul bancone si mettono persino bicchierini di macedonia oppure la brioche del giorno tagliata a fette con crema di cioccolato. Insomma, con soli 8 euro praticamente si cena».
L’etnico Oggi tra i classici italiani come mozzarelline, pizza e olive ascolane si
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trovano persino stuzzichini multietnici a base di cous cous, sushi e nachos messicani. Molto in voga sono inoltre i finger food americani e spagnoli, come conferma Giovanni Carminati dell’Underground Cafè di Seriate: «Le tapas, piccole fette di pane con farciture di vari sapori e colori, sono molto ricercate. Queste tartine tipicamente spagnole possono essere servite fredde con salsine varie, pomodoro o prosciutto, oppure calde con pesce o formaggio. È una tradizione iberica che ultimamente sta spopolando anche da noi. Gettonato è anche lo stile americano: si va dai piccoli panini con hamburger ai club sandwich. Il buffet a volontà è un continuo via vai: il 99% preferisce star comodo e bere l’aperitivo al tavolo, alzandosi solo di tanto in tanto a riempire i piattini». L’etnico spopola anche nei cocktail che vengono miscelati con spezie di vario tipo per ottenere un gusto che solletica il palato e ben si accosta coi finger food esotici.
L’AMBIENTE
Dal bancone al risto-bar «Sei già dentro l’happy hour, vivere costa la metà», cantava Ligabue in
una delle sue celebri canzoni. Goloso ed economico, l’aperitivo è infatti un modo furbo per saziarsi con pochi euro in locali alla moda senza ricorrere a costosissime cene. La tendenza crescente è quella di puntare sui risto-bar dove è possibile sorseggiare un drink comodamente seduti al tavolo e magari fare cena ordinando piatti via via più elaborati: «Sempre più persone, sia bergamaschi che turisti, amano far tappa in un locale a 360 gradi con una cucina aperta fino a tarda sera – spiega Veronica Angiolini, responsabile
del Vox di Bergamo, in viale Papa Giovanni XXIII –. I risto-bar sono perfetti per stuzzicare qualcosa insieme in modo informale perché non sono così impegnativi come un ristorante. L’aperitivo è lo spunto iniziale per poi ordinare qualcosa di sfizioso come una pizza e dividerla a metà. È una tendenza già consolidata all’estero e che sta prendendo piede negli ultimi tempi anche da noi. Immersi in un’atmosfera rilassante con musica jazz o bossanova, si inizia bevendo un mojito e poi magari lo si accompagna con un antipastino di salumi bergamaschi o si passa a una cena amichevole. In generale ho notato che l’aperitivo è un fenomeno più locale, gli stranieri invece conoscono poco il nostro rito del buffet, sono più propensi al consumo di alcolici al tavolo anche senza cibo di contorno. Quando poi però capiscono il meccanismo apprezzano». Cresce anche il numero di giovani bergamaschi che preferiscono l’atmosfera più informa-
Anche i casoncelli nel buffet dello 035, mentre l’Underground Cafè propone mini burger. Qui a fianco il Glamour Cafè e i titolari William Locatelli e Sabrina Franchini
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tendenze
le di un risto-bar per festeggiare un compleanno o la loro laurea. Con una spesa contenuta, infatti, è possibile offrire una degna alternativa a una costosa cena al ristorante solleticando il palato degli invitati con sfiziosi finger food a buffet.
Musica ed eventi Molti locali amano trasformare il momento dell’happy hour in un party dove, oltre a sorseggiare un drink e sgranocchiare qualche golosità, si ascolta musica, si balla, si organizzano persino sfilate o eventi mondani. È il caso del Tassino che tutti i venerdì dalle 19 alle 22 ospita Vinilisti in Vetrina: in quest’occasione la vetrina del gelato si trasforma in consolle dove giradischi con vinili di funk, soul e lounge creano il sottofondo giusto per la serata. E ancora il giovedì per chi ama del buon vino c’è Wine T'Aim, una serata dedicata interamente al vino per presentare nuove aziende e mettere a confronto vitigni o annate differenti dello
stesso prodotto. Al Bobino di piazza della Libertà o al Cubo Cafè di Seriate bazzicano spesso famosi dj per animare le serate mentre A.I. Giardini di piazza della Repubblica
i titolari puntano su un’atmosfera newyorkese con musica lounge e un dehors raffinato che non ha bisogno di altri effetti speciali per attirare la clientela.
PREVENZIONE
E le scuole alberghiere si sfidano a colpi di analcolici
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er combattere l'abuso di alcol tra i giovani cosa c'è di meglio che chiedere a loro di mettersi in gioco per creare drink analcolici? È quanto accaduto alla festa finale di Giovani Spiriti, progetto di prevenzione globale all’uso di sostanze legali e illegali e di altri comportamenti a rischio promosso dall’Ats Bergamo e dall’Ufficio Scolastico Territoriale in stretta collaborazione con il Dipartimento Dipendenze dell’Asst Papa Giovanni XXIII e con il Sert dell’Asst Bergamo Est. Si tratta di un percorso biennale, partito nel 2010, rivolto agli adoloscenti del primo e del secondo anno delle superiori con il coinvolgimneto di diversi attori della vita scolastica. Nella sua ultima edizione (2015-16) ha interessato 11 tra istituti superiori e centri di formazione professionale, 2.507 studenti, 70 insegnanti e 100 genitori. Tra i momenti più vivaci e appassionati dell'evento finale, lo scorso 20 maggio al Polaresco di Bergamo, la gara di cocktail rigorosamente analcolici che ha visto sfidarsi la
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IL FUTURO DELL’HAPPY HOUR Il tramonto del buffet
La prima grande trasformazione dell’originale aperitivo all’italiana in un happy hour pantagruelico si è verificata negli anni Novanta. Da allora i bergamaschi non hanno più abbandonato questo appuntamento mondano. Eppure la moda del buffet potrebbe avere i mesi contati. Chi bazzica nella Milano da bere si è accorto che, da qualche tempo, sono sempre di più coloro che preferiscono farsi servire l’aperitivo comodamente seduti al tavolo. Già, perché se è vero che da un lato i buffet al bancone danno la possibilità di gustare una innumerevole sequenza di leccornie, è altrettanto vero che i più attenti alla salute e alle norme igieniche storcono un po’ il naso di fronte a cibi deperibili alla portata di tutti e che restano in esposizione per ore perdendo di conseguenza la loro freschezza. «A Milano, città di tendenza che lancia le mode, l’aperitivo a buffet sta perdendo quota – spiega Diego Belotti, titolare dello Zerotrecinque di piazza Matteotti –. Faccio un esempio: quando ci si deve servire con salsine di vario tipo da spalmare o da mettere nel proprio piattino, ci si impiastra col cucchiaino, è poco igienico. Oppure nelle ciotole di patatine o salatini tutti toccano tutto. Questa è la ragione per cui in futuro sempre più locali, soprattutto quelli più sofisticati, opteranno gradualmente per un servizio al tavolo a scapito del buffet».
Fondazione Isb di Torre Boldone e l'Ipssar Sonzogni di Nembro con quattro allievi ciascuno. Il primo premio, ex aequo, è andato a Francesco Marchini dell’Ipssar di Nembro che ha realizzato il drink Bitter Sweet (preparato con bitter analcolico, succo di cranberry e soda water) e a Nicola Brevi dell’Isb di Torre Boldone con Yellow Drink (a base di sciroppo di fiori di sambuco, succo di limone, pompelmo e ananas con buccia di limone e mirtilli per decorazione). La targa simpatia, messa in palio dall'Ascom e assegnata da una giuria di studenti, è andata invece Dimetro Pankenko (Nembro) con Sunset Lemonade. In gara anche Rassida Djebre con Melagrana, Sofia El Housni con Apple Dream e Diego Manzoni con Red Angel per l'Isb di Torre Boldone e Sofia Marchesi con Orange Berry e Maurizio Giovanetti con Tropical Summer per l'alberghiero di Nembro. «Una bellissima iniziativa – ha commentato Vincenza Carissimi, vicepresidente del gruppo Caffè bar dell'Ascom, tra i componenti della giuria tecnica -. I cocktail sono stati preparati con cura ed i ragazzi erano molto motivati. È importante partire da loro per sensibilizzare su un tema importante come la prevenzione all'alcol, perché sono giovani ma anche perché saranno i baristi di domani».
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La proposta di Enrico Rota
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Beer and Fish, il piacere di giocare con gli abbinamenti a birra è una bevanda ultrasecolare che ha attraversato le numerosissime epoche che si sono susseguite riuscendo ad arrivare fino ai giorni nostri grazie alla sua versatilità e soprattutto alla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti del gusto. Con questo spirito è possibile approcciarsi alla stagione estiva in modo diverso, alternativo se vogliamo, pensando a come abbinare la birra alle varie proposte ittiche disponibili. La regola di base è che la forza della birra, sia di sapore che di grado alcolico, deve essere proporzionata al tipo di piatto che andremo a degustare. Prima però di capire come si può procedere, vediamo di scattare una fotografia su come vivono il “prodotto birra” gli italiani. I nostri connazionali dichiarano di conoscere abbastanza bene la birra ed i suoi ingredienti e da questa consapevolezza traggono la conclusione, corretta, che la birra sia una bevanda naturale e con un minor contenuto calorico del vino. Collegata al concetto di naturalità, un’altra consapevolezza che risulta sempre più diffusa tra i consumatori è quella che vede la birra come un prodotto sano, adatto a
una corretta alimentazione e poiché una corretta alimentazione è sinonimo di dieta mediterranea, cresce il numero di coloro che ritengono la birra in linea con questo regime alimentare. Relativamente poi all’abbinamento con il pesce, malgrado l’accostamento risulti forse inusuale rispetto ad abitudini e tradizioni italiche, un numero assai considerevole di consumatori si dichiara curioso di provare o afferma di averlo già fatto rimanendone soddisfatto. Come procedere quindi a esplorare questo mondo diverso? Fondamentale pensare che ognuno di noi affronti un percorso che lo porti alla scoperta del suo ottimale abbinamento tra birra e un determinato piatto. Se proprio si vuole generare una linea guida, potremmo pensare a piatti leggeri quali antipasti di mare o pesci al forno o in umido senza condimenti con delle birre chiare di basso tenore alcolico, polpa di granchio o crostacei in genere nonché pesce ai ferri o sauté di molluschi con delle birre chiare leggermente luppolate, fritture di pesce con le birre bianche o weizen, pesci grassi quali salmone o accompagnati da salse con birre chiare ad alto tenore alcolico, mentre i pesci affumicati nonché le crudità di crostacei e ostriche con delle birre scure. Sono molteplici, quindi, le declinazioni del matrimonio birra e pesce. Interessante sarà giocare con le varie ricette e i probabili abbinamenti con le birre, a volte esaltandole, altre ancora contrastandole, ma sempre con la volontà di creare abbinamenti se non perfetti, curiosi e, perché no?, provocatori. Non resta che provare e riprovare, consapevoli che il gioco dell’abbinamento può aumentare il piacere della tavola e che la birra può per questo aprirci qualche sconosciuta emozione. Rimane però un gioco del piacere e come tale vale la pena di viverlo intensamente senza però prenderlo mai troppo sul serio; chiaramente guru gastronomici permettendo.
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L’ASSOCIAZIONE di Leo Bartoli
La Confraternita di San Lucio apre le porte al “Re del Taleggio” Il Caseificio Taddei di Fornovo chiamato a far parte dell’associazione che riunisce tutte le figure che si sono distinte in campo caseario a livello nazionale. Massimo Taddei: «L’ingresso nel Club, oltre ad essere un grande privilegio, è il miglior riconoscimento al lavoro fin qui svolto, sia in azienda sia in ambito istituzionale». «Bergamo? Ha molte potenzialità, a patto di eliminare l’obsoleta diatriba tra i produttori di montagna e pianura»
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an Lucio, protettore dei casari di tutto l’arco alpino e dei “formaggiai” di molte città del Nord Italia, dona anche il nome alla Confraternita fondata a Piacenza da poco più di un anno e che riunisce “per chiamata” (come nei club di servizio, Rotary, Lions, etc.) tutte quelle figure (allevatori, produttori, affinatori, critici, giornalisti, distributori) che si sono distinte in campo caseario a livello nazionale. Il club non è altro che una “costola” dell’associazione fondata in Francia nel 1969 dal mitico Pierre Androuet, conosciuto anche come il “Papa del formaggio” che ne è stato anche il presidente fino al 1992, quando il suo posto è stato preso dal collega e connazionale Roland Barthelemy. Della “casa madre” facevano già parte due bergamaschi: Giulio Signorelli “Ol Formager” e Bruno Gritti, l’inventore del Blu di Bufala. La denominazione originaria è la
“Guilde des fromagers - Confrerie de Saint Uguzon” (Sant’Uguccione è il nome francese di San Lucio) che tiene i suoi capitoli periodicamente un po’ in tutte le regioni della pianura padana. Tra i “confratelli” più recenti è entrato a far parte del capitolo italiano, nell’ultima conviviale tenutasi il mese scorso in provincia di Reggio Emilia, il bergamasco Massimo Taddei, titolare con la moglie Camilla dell’omonima azienda di Fornovo San Giovanni e presentato nell’occasione come il Re del Taleggio (Raspelli docet), fresco di doppia affermazione all’Alma Caseus durante il Cibus, a Parma, e al CaseoArt a Pandino con due dei suoi “campioni”. La Gilda Internazionale è presente in 33 Paesi, tra cui una dozzina di nazioni europee, ma c’è anche in Russia, Stati Uniti d’America, Canada, Australia e Giappone, oltre ad alcuni Paesi Latino Americani. «In questa logica di crescita, non
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L’ASSOCIAZIONE poteva mancare l’Italia – dichiara Hervé Davoine, presidente della Confraternita italiana di San Lucio – e gli italiani che credono nella Confraternita come strumento di valorizzazione culturale di tutta la filiera del latte, potranno, una volta “intronizzati” dare il loro contributo alla causa». Davoine, che alla vicepresidenza, oltre a Anna Maria Sepertino, ha voluto anche uno dei massimi esperti italiani come Vincenzo Bozzetti, cremonese, molto noto anche in Bergamasca, spiega che «l’associazione è in rapida crescita: anche in quest’ultimo incontro sono entrati a farne parte una decina di nuovi soci, che individuiamo in tutta la filiera, dagli operatori professionali ai casari, ai tecnici della filiera latte, agli stagionatori, agli addetti alla vendita». Il presidente Davoine ha un obiettivo: «Ci
piacerebbe che l’immagine del comparto caseario crescesse in Italia come meritano i numeri della sua economia. In Francia l’uomo dei formaggi è riconosciuto come artigiano di alto profilo: ci sono corsi, scuole, diplomi, concorsi. È un mestiere nobile, che attira molti giovani: lavoriamo per far crescere anche in Italia la reputazione come merita». In tanti si sono stretti attorno a Taddei nella riuscita serata reggiana dell’“intronizzazione” a Castelnuovo di Sotto: tra i primi, Vittorio Emanuele Pisani, storico direttore del consorzio Taleggio prima e attualmente del Provolone Valpadana, anch’egli in Confraternita da qualche mese. Tra i nuovi confratelli anche Libero Stradiotti, presidente del Consorzio Provolone Valpadana Dop. «Questo mio ingresso nella Confraternita - ha spiegato il titolare dell’azienda di Fornovo -, oltre ad essere un grande privilegio, è il miglior riconoscimento al lavoro fin qui svolto, sia nel mio caseificio dove cerco di salvaguardare e riproporre i formaggi della tradizione bergamasca, spesso dimenticati, sia in ambito istituzionale dove in passato mi sono reso parte attiva alla fondazione di due Dop, Quartirolo Lombardo e Salva Cremasco. Ma in particolare un pensiero lo rivolgo al mondo del
E intanto il Caseificio incassa due nuovi Medaglia d’oro col Blutunt all’Alma Caseus, in occasione di Cibus, e argento per la Toma Bergamasca al CaseoArt di Pandino. In arrivo un nuovo prodotto: il Quartino del Casaro
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incere un concorso caseario nazionale è già difficile, figuriamoci la doppietta nel giro di una settimana: eppure per il caseificio Taddei di Fornovo nulla sembra impossibile, grazie alla tenacia e al rigore con cui i titolari Massimo e Camilla curano la qualità dei loro formaggi, che li ha portati a esportare in mezzo mondo, ottenendo recentemente anche preziosi ordini proprio nella tana del nemico, quei francesi che sono stati “sfidati” durante il Salon du Fromage di Parigi, riscuotendo consensi unanimi, non solo per il taleggio Dop, per il quale già Edoardo Raspelli aveva “incoronato” la coppia regina bergamasca, ma per tante altre delizie del palato che hanno saputo portare alla conoscenza del mercato transalpino. Tornando alla doppia vittoria italia-
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na, la medaglia d’oro con il Blutunt all’Alma Caseus in occasione di Cibus e quella d’argento per la Toma Bergamasca al CaseoArt di Pandino, la soddisfazione è grande, anche se Camilla Taddei, che da sempre cura il marketing e la parte commercia-
le, sa bene che queste soddisfazioni fanno parte di un percorso che arriva da lontano: «Sia io che mio marito Massimo conosciamo la nostra azienda e il cammino compiuto negli anni, ma questi riconoscimenti ufficiali che arrivano da esperti del settore garantiscono per noi che il lavoro fatto non è solo di parole ma di costanza e serietà, proiettando sempre di più l’azienda in un mercato di qualità». Per il Blutunt, erborinato bergamasco molto gettonato negli ultimi anni dagli appassionati, è stato addirittura un percorso in crescendo a Cibus: dopo due argenti, ecco arrivare l’oro: «È un riconoscimento – aggiunge Camilla Taddei – alla qualità e alla crescita costante che negli anni ha avuto questo formaggio, pur collocandosi sempre in una fascia di
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Taleggio Dop di cui sono stato per quasi 20 anni vicepresidente, presidente fino al 2014 ed attualmente ancora consigliere». L’azienda ha superato da tempo il secolo di vita: è stata fondata dal bisnonno di Massimo, Giandomenico, nel 1885, ed è stata tra le festeggiate da Tuttofood il mese scorso con una serata di gala speciale in onore di tutte le sue aderenti “centenarie” a Villa Reale a Monza. Anche Taddei ha le idee chiare per cercare di incoraggiare la cultura casearia in Italia: «Penso sia fondamentale tornare a spiegare alla gente come si fa e che cosa è il formaggio: l’ho notato anche in alcuni incontri onlus (come quello con l’università della terza età) dove sono stato invitato per parlare delle origini e delle principali differenze delle produzioni casearie. Quando si apre la discussione ci si accorge di come oggi siamo bombardati tutti i giorni da “teorie” alimentari che spesso non hanno nessuna “pratica”, ma creano solo
confusione e falsi allarmismi. Fare invece della comunicazione corretta, spiegando le qualità dei nostri campioni caseari è la chiave per fidelizzare i consumatori». C’è poi un aspetto, che vede Massimo con la moglie Camilla da sempre in prima linea: valorizzare il primato caseario di Bergamo in Italia, prima di tutto sul fronte Dop, ma non solo. Qualcosa si è fatto durante l’Expo con il progetto “Forme”, da tre anni la Casa degli Alti Formaggi di Treviglio consolida una divulgazione esemplare, ma le potenzialità per spingersi ancora oltre ci sarebbero. «A patto che – sottolinea Taddei – si trovi finalmente il giusto equilibrio “geografico”, eliminando quella ormai obsoleta diatriba tra i produttori di montagna e pianura. Solo allora si potranno organizzare manifestazioni magari legate alla bellezza monumentale della nostra città, chiedendo anche l’impegno dell’amministrazione pubblica ad investire nel comparto, dove, oltre alle Dop, ci sono produzioni casearie di grande tradizione. Questo porterebbe alla valorizzazione del territorio esaltando anche le risorse umane della filiera, dagli allevatori ai casari, dai produttori agli affinatori, che in provincia sono di assoluta eccellenza».
riconoscimenti nicchia del mercato. Premia il lavoro e il rispetto delle regole: viene infatti prodotto seguendo un disciplinare imposto dalla Camera di commercio di Bergamo e per questo può fregiarsi del marchio “Mille Sapori di Bergamo” ed è certificato dalla CSQA». E se il Blutunt, come il Taleggio e il Salva Cremasco, possono dirsi veterani di Casa Taddei, ha destato impressione la Toma Bergamasca, per la prima volta proposta in un concorso e subito premiata a Pandino: «La nostra toma – spiega Camilla - rappresenta un’altra produzione sulla quale abbiamo investito tempo e lavoro fino ad arrivare al risultato che ci eravamo prefissati e cioè un formaggio che si colloca nella nostra tradizione, con una pasta morbida ed elastica, sapore delicato con retrogusto di fieno e una stagionatura importante. L’argento ricevuto a Pandino è stato una bellissima quanto inaspettata sorpresa, anche se sinceramente ci speravamo perché da buoni
produttori e stagionatori conosciamo le potenzialità di questo formaggio». Sperimentare e proporre accanto ai caci della tradizione sempre nuove golosità è una prerogativa dei Taddei che hanno già pronta un’altra novità: «La passione per questo lavoro ci solletica sempre a creare cose nuove - spiega ancora Camilla - e quando Massimo sparisce dall’ufficio per chiudersi in caseificio a “confabulare” con i casari e il responsabile di stagionatura, vuol dire che qualcosa bolle in pentola. Questo nuovo prodotto che sta già riscuotendo un notevole gradimento da parte dei nostri clienti è “Il Quartino del Casaro”, formaggio a crosta lavata con una stagionatura di 60/70 giorni e un gusto deciso. Buon appetito!». Il Blutunt del Caseificio Taddei ha vinto il primo premio Alma Caseus Cibus 2016, mentre la Toma Bergamasca si è aggiudicata la Medaglia Argento a CaseoArt - Trofeo San Lucio 2016. Da Tuttofood è arrivato invece il riconoscimento alla Storicità del Caseificio, fondato nel 1885, oggi condotto da Massimo Taddei e dalla moglie Camilla
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appuntamenti DAL 29 GIUGNO AL 3 LUGLIO
IL 9 LUGLIO
Fino del Monte, i Bertù sposano R il tartufo nero
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nche Fino del Monte rende omaggio ai Bertù, una delle tante varianti locali di ravioli prodotti in terra bergamasca. La loro tipicità sta nella sfoglia povera di uova, nel ripieno, a base principalmente di salumi, e nella particolare forma, che ricorda delle grandi orecchie (i bertù, appunto, nel dialetto Gaì parlato dai pastori bergamaschi). Sono sempre stati il piatto tipico della festa de “La Mare” che si svolge a San Lorenzo di Rovetta ogni 7 di ottobre e in tempi più recenti oggetto di riscoperta e rilancio. Sabato 9 luglio, ad esempio, si terrà la quinta edizione di “I nobili da Fin presentano... il Bertù”, rievocazione dei giochi antichi e degustazione gastronomica. Nell’occasione il Bertù incontrerà il tartufo nero dell’Associazione Tartufai Bergamschi e sarà offerto in assaggio gratuito. Si potranno anche gustare i formaggi della “Azienda Agricola Gaeni Monica” e i Sapori Seriani proposti da “La Cantina di Bacco”. La sera stessa e il giorno successivo i ristoranti del paese proporranno il “Menù del Bertù” al prezzo fisso di 10 euro.
LE CINQUE TERRE
L’estate golosa della Val Gandino
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el distretto “Le Cinque Terre della Val Gandino”, che riunisce i comuni di Gandino, Leffe, Casnigo, Cazzano Sant’Andrea e Peia, l’estate è ricca di iniziative di gusto. A Casnigo, venerdì
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Festambiente Laghi, a Castro
itorna a Castro “Festambientelaghi”, la sagra promossa da Legambiente Alto Sebino che porta in piazza piatti gourmet. L’appuntamento con la settima edizione è da mercoledì 29 giugno a domenica 3 luglio all’area feste sul lungolago. La rassegna offre una proposta unica nel panorama delle sagre bergamasche. Nel menù non si trovano, infatti, i classici casoncelli e salamelle, ma piatti ricercati, preparati con materie prime di qualità e secondo procedimenti attenti alla salute, presentati con cura. Con due valori aggiunti: un conto contenuto e lo scenario del lago. Da non perdere gli gnocchi di zucca in bottarga di lago, il filetto di coregone gratinato in passerella (omaggio alla installazione di Christo che fino al 3 luglio collegherà Monteisola alla terraferma), l’anguilla di nonna Agnese, le grigliate, i taglieri di formaggi della Val Palot e della Val Camonica e la pagnottina di Castro. Per vegetariani e vegani il menù offre
IL 16 LUGLIO
Cascate del Serio, apertura notturna e sapori locali
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apertura in notturna delle cascate del Serio, in programma sabato 16 luglio dalle 22 alle 22,30, si accompagna alla scoperta dei sapori locali. “Cascata sotto le stelle - tra gusto e tradizione” è la formula inaugurata lo scorso anno dell’iniziativa che unisce allo spettacolo del triplice salto d’acqua illuminato da potenti fari alcune soste golose. Si comincia alle ore 17 all’antico borgo di Maslana con l’aperitivo e l’antipasto di “Sapori Se-
24 e sabato 25 giugno al parco comunale, il Gruppo Giovani organizza il festival della birra artigianale “Beer Berghem” con i prodotti dei birrifici Hop Skin di Curno, Dom Byron di Clusone e del ristorante Centrale di Gandino. La settimana successiva, dal 30 giugno al 3 luglio, al Circolo Fratellanza sempre a Casnigo, nell’ambito della manifestazione Circolfest, sarà la volta del vino con “Sorsi di luna e solidarietà”, quattro serate di degustazione con ben 60 etichette a disposizione tra bianchi,
rossi, passiti e bollicine lungo tutto lo Stivale, ma anche grappe e rum. Gli assaggi possono essere accompagnati con taglieri di salumi e formaggi. Il primo luglio, a Gandino, festeggia 85 anni la “Corsa de öf” (Corsa delle uova) una singolarissima sfida a tempo tra un concorrente che deve percorrere di corsa poco meno di 12 chilometri e un altro che deve raccogliere una per una cento uova, poste ad un metro l’una dall’altra. Al termine della gara il Gruppo Alpini offre uova sode e frittate
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IL 24 LUGLIO
la sagra è gourmet tante proposte a partire dai maccheroni monococco con bietole pungenti e la cipollata stufata. E per chi desidera fare un aperitivo o una cena veloce c’è una ricca lista con proposte di street food. A corredo dell’offerta gastronomica sono previste passeggiate e visite guidate al Parco della gola del Tinazzo, laboratori ecologici per i bambini e incontri tematici. La rassegna rinnova inoltre il proprio sostegno alla Associazione Angelman, onlus bergamasca che raccoglie fondi per la ricerca scientifica sulla Sindrome di Angelman. Per ogni commensale 1 euro del coperto verrà destinato a finanziare la borsa di studio di una giovane ricercatrice bergamasca all’Erasmus MC di Rotterdam in Olanda. www.legambientealtosebino.org
riani” accompagnati da mostre fotografiche sulla storia e la natura del territorio, intrattenimenti musicali, folcloristici e la rievocazione di antichi mestieri e tradizioni. La cena prosegue in località “Pià del’arda”, a pochi metri dal famoso ponte romano, dove verrà servito il piatto unico chiamato “la pietansa”. All’Osservatorio di Maslana, ottimo punto per godersi la cascata, sarà invece possibile gustare il dolce, mentre per il caffè ci si potrà recare in una delle attività convenzionate in paese. La quota partecipazione è di 20 euro per gli adulti, 12 per i bambini fino a 12 anni. Comprende gadget e buono pasto per ogni tappa. Poiché il percorso si sviluppa prevalentemente su sentiero montano, è obbligatorio utilizzare un’adeguata attrezzatura (scarponcini, torcia elettrica, maglione, giacca impermeabile) ed è sconsigliato ai bambini sotto i 5 anni. Alte 315 metri, le cascate del Serio sono le maggiori d’Italia e le seconde in Europa. Anche in alcune delle successive date di apertura - diurne - sono previsti eventi all’insegna del gusto. L’appuntamento di settembre (domenica 18) sarà in concomitanza con la festa di Maslana, mentre quello di ottobre (il 9) si sposerà al Sagra del formaggio e dei sapori seriani. In agosto l’evento sarà domenica 21. www.turismovalbondione.it
sotto i portici del Municipio, aprendo le danze della “Notte Bianca”, con musica, animazione, giochi, gastronomia e attrazioni in ogni angolo del centro storico grazie all’associazione “I negozi per Gandino” e alla Pro Loco. Si corre e si raccoglie anche a Peia, il 10 luglio, con la “Corsa dei cotechini”, gara a squadre a chi porta al traguardo il maggior numero di cotechini con percorsi per ogni età per le vie e le contrade. La festa si ispira al simbolo del paese, il cinghiale, e si conclude
con una grigliata di cotechini con polenta di mais spinato di Gandino. È accompagnata da animazione e prodotti tipici. Ogni sabato, infine, dal 9 luglio al 20 agosto e giovedì 25 agosto, nella piazza del municipio di Gandino c’è “Zampilli d’estate”, cena e bar all’aperto curati degli esercizi pubblici con musica dal vivo. Il 27 agosto sarà invece la volta del “Festival del Luppolo” con birre artigianali italiane, cena in strada e nei locali del paese. www.lecinqueterredellavalgandino.it
Peghera, il Taleggio interpretato dallo chef Mainardi
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eghera, in Val Taleggio, patria dell’ononimo formaggio e luogo d’eccellenza per la stagionatura, organizza una sagra che permette di conoscere i segreti della produzione e le virtù gastronomiche. L’appuntamento con l’ottava edizione è per domenica 24 luglio ed avrà come ospite Andrea Mainardi, lo chef bergamasco conosciuto con l’appellativo di “atomico”, per la creatività e l’energia del carattere. Noto in tv per la partecipazione alla Prova del Cuoco di Raiuno e la conduzione dei programmi “Ci pensa Mainardi” e “Tra due Fuochi” su FoxLife, sarà il protagonsita di uno showcooking alle 10.45.
La giornata, dalle 9.30 alle 18, propone bancarelle con prodotti artigianali ed un programma che unisce sapori, cultura e intrattenimento. Alle 9.45 si terrà una dimostrazione di caseificazione, mentre, dopo lo showcooking dello chef, si potrà pranzare con un menù tipico nei ristoranti convenzionati al costo di 18 euro. Alle 14 sono previste due visite, alle cantine di stagionatura del Taleggio Dop o alla Pala di San Giacomo del pittore Palma il Vecchio nella chiesa Parrocchiale. Ci saranno anche uno spettacolo di burattini (alle 15) ed un emozionante esibizione di freestyle in bici, oltre ai gonfiabili, a una mostra e al servizio ristoro.
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il circuito di Roberta Martinelli
Il presidente delle “Premiate trattorie italiane”
“Premiate trattorie italiane”, nel club entra anche la Visconti di Ambivere
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Da sinistra: Alessandro Rota, Roberto e Daniele Caccia, Fiorella Visconti e Giorgio Caccia
«Non si accede nel gruppo per ottenere visibilità,
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Federico Malinverno, presidente delle “Premiate trattorie italiane”
egli ultimi dieci anni il mondo delle trattorie ha registrato un boom. Ma c’è trattoria e trattoria. Insieme alle molte finte osterie, turistiche fino al midollo, ci sono realtà lontane dalle mode, che hanno ragionato sul valore e sul rapporto che può esistere tra gli elementi unici e caratteristici del paesaggio gastronomico di un dato luogo e una ristorazione rinnovata e innovativa, fatta di sapere e tecnica. È il caso delle Premiate trattorie italiane. Non è il solito club-vetrina per acchiappare clienti in più, ma un gruppo di ristoratori amici da molti anni, che condividono un modo di fare e di esistere all’interno del territorio. In comune hanno la gestione familiare e la loro partenza come osterie, la stessa fascia di prezzo, la stessa attenzione nella scelta delle materie prime, sempre a Km zero, lo stesso impegno storico nel modo di lavorare e l’identico approccio nel rapporto tradizione-attualità. Pur essendo legati in modo imprescindibile al passato, non si sono cristallizzati su una nostalgica cucina della nonna, ma si sono aperti alla modernità: hanno applicato la tecnologia di oggi alla cucina di una volta, in un riuscito connubio tra passato, presente e futuro, dando spazio, ad esempio, al sottovuoto e alla cottura a bassa temperatura per rendere più buoni e leggeri piatti storici. La differenza è che questi non sono il perno della loro cucina, come invece per tanti chef stellati, perché al centro di tutto c’è sempre il prodotto. «Non si entra nel gruppo per ottenere visibilità, ma per condividere - spiega il presidente Federico Malinverno -. Ci confrontiamo sugli aspetti della gestione della trattoria a 360 gradi e lavoriamo in modo
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L’ammissione nel Club, nato nel 2012, premia la capacità del locale di sapersi trasformare senza perdere la propria vocazione. E intanto il sito web si rinnova e diventa uno strumento di innovazione. Daniele Caccia: «Un mezzo importante per comunicare i nostri valori»
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a capacità di trasformarsi senza perdere la propria vocazione ha portato qualche settimana fa alla Trattoria Visconti un importante riconoscimento: l’ammissione all’associazione “Premiate trattorie italiane”, un sodalizio di osti dal Friuli alla Puglia legati da una filosofia comune, la salvaguardia delle tradizioni e lo sguardo al futuro. L’associazione è nata nel 2012 e raccoglie otto osti, premiati - di qui il nome - dal tempo, dalla storia e dalla clientela. Insomma, il gotha delle osterie italiane. Dopo essersi ritrovati per
ma per condividere valori» che la tradizione resti viva, aggiornandola con la tecnica moderna dove ha senso. Vogliamo comunicare una zona, vendere un territorio e realizzare un progetto di salvaguardia delle nostre antiche tradizioni e dei prodotti che la terra in cui viviamo ci fornisce». Che senso ha oggi avere una trattoria? «Facciamo il lavoro del pompiere, salvare il salvabile. Oggi c’è un abuso dei termini “territorio” e “tradizione”. Ma bisogna anche dare un valore al territorio. Noi a testa bassa portiamo avanti davvero il rapporto con chi coltiva, con chi alleva, vendiamo il territorio in tutto e per tutto, non solo la cucina ma anche quello che sta fuori. È un requisito fondamentale, che chiediamo a tutti i nostri associati». Tra le trattorie premiate non ci sono locali di città. È un caso? «Il presupposto è essere in location uniche. Il lavoro che si fa in provincia è diverso da quello che si fa in città. Non devi dare al cliente un motivo per venire da te, devi dargliene 100. Ed è quello che cerchiamo di fare». Come sarà la trattoria del futuro? «Un ristorante che punta alla tradizione, ma non rinuncia alla tecnica, che propone una cucina che, oltre a valorizzare le materie di prima scelta, combina una forte identità gastronomica locale con la creatività dello chef. Il problema spesso è che ci si blocca su un piatto con la convinzione che bisogna rispettare in modo rigoroso la ricetta tradizionale. Il futuro, invece, sta nel lavorare e non fermarsi mai sui piatti e le ricette. I piatti storici vanno aggiornati e preparati in modi nuovi. Si deve anche puntare a scoprire nuove ricette, sviluppare la creatività delle propria cucina senza perdere di vista le ricette che ci hanno tramandato».
anni a incontri e premiazioni, serate gastronomiche e convivi, hanno deciso di dar vita a questa singolare associazione che ha lo scopo di innovare la tradizione e proiettarla nel futuro. La trattoria di Ambivere si aggiunge a insegne come Amerigo 1934 a Savigno (Bologna), Antica Trattoria del Gallo a Gaggiano (Milano), Antichi Sapori a Montegrosso di Andria (BarlettaAndria-Trani), Caffè la Crepa a Isola Dovarese (Cremona), La Brinca a Ne di Valgraveglia (Genova), Locanda Devetak a Savogna di Isonzo (Gorizia) e La Locandiera di Bernalda (Matera). I requisiti per diventare soci sono rigidi: forte identità gastronomica locale, prodotti poveri del posto, ricerca delle materie prime e del modo di lavorare, impegno a far conoscere il proprio territorio ai clienti. Un altro paletto fondamentale è il prezzo: per le Premiate trattorie italiane, un menù della tradizione composto da antipasto, primo, secondo, contorno, dolce, acqua e caffè non deve superare i 50 euro a persona. Per festeggiare il nuovo ingresso bergamasco, i premiati osti si riuniranno nell’annuale cena dell’associazione alla Trattoria Visconti. La cena si terrà lunedì 27 giugno e sarà realizzata, come di tradizione, a più mani da tutti i ristoratori del sodalizio. «Siamo molto felici di far parte di questo gruppo perché ci consente uno scambio di conoscenze con gli altri patron - commenta Daniele Caccia -. Spostandoci di pochi chilometri, abbiamo modo di assaggiare dei piatti diversi, modi di cucinare diversi. È un arricchimento prezioso». «Il nostro lavoro - aggiunge - rimane lo stesso di sempre, cucinare i piatti regionali o locali e valorizzare il nostro territorio. Ogni zona ha delle tradizioni uniche, l’importante
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il circuito che si continuino a cucinare e non vadano perse. È la filosofia dell’associazione che tutti noi condividiamo». La tradizione si racconta anche sul web - Uno si immagina che le trattorie - quelle vere, che puntano sulla filiera e sul rispetto religioso per la cucina locale - siano l’ultimo baluardo/avamposto, il più tenace, delle tradizioni e quindi le realtà più lontane dall’innovazione. Non è così. L’Ascom, nel corso dell’ultima assemblea annuale, tenutasi poche settimane fa a Bergamo, ha scelto proprio Daniele Caccia come esempio di imprenditore proiettato al futuro, tra tutti i patron di ristoranti del territorio. «La Trattoria Visconti di Ambivere ha dimostrato che anche il ristorante più legato al passato può aprirsi al futuro senza rinnegare la propria anima», ha spiegato il direttore Oscar Fusini. La trattoria, aperta nel 1932, ha conservato lo spirito di un tempo, ma ha saputo cogliere le novità del mercato in evoluzione. Fiorella Visconti e Giorgio Caccia insieme ai figli Roberto e Daniele sono riusciti nella sfida, in apparenza impossibile, di conciliare tradizione e cambiamento. «La prima e vera innovazione – dice Daniele - è stato andare controcorrente nella proposta, preparare le ricette storiche della Bergamasca e della famiglia in risposta all’appiattimento dei sapori». I piatti della tradizione e le ricette di famiglia negli ultimi anni sono stati affiancati da un menù vegano. La cantina si è allargata dai vini blasonati alle etichette più nuove sino alle birre. Al ristorante si è aggiunto un orto di erbe. Infine, l’innovazione più grande: la trattoria ha portato la sua tradizione in rete. Tre mesi fa ha fatto debuttare un nuovo sito web (il quinto), facilissimo da gestire. Grazie alla collaborazione con la start up bergamasca Onlime, infatti, le notizie del sito si aggiornano automaticamente dai post sulla pagina Facebook. Il sito web si propone come una vetrina del ristorante: dà la possibilità di entrare nel locale, pregustare i piatti, conoscere i volti di chi lavora in sala, in cucina, sapere delle novità di stagione, ma anche di prenotare e di regalare un
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cena con pochi click. «Ci mettiamo la faccia, indichiamo chi siamo e cosa facciamo» dice Caccia, che avvisa: «Sul web occorre dare le informazioni che interessano di più, come orari, giorno di chiusura e soprattutto i prezzi. Noi facciamo i casoncelli con la ricetta della bisnonna Ida e diciamo che costano 10,50 euro. Chi va sul sito è contento di sapere quanto sono buoni, ma lo è ancora di più se sa quanto spende». Per ora il sito propone soprattutto testi e immagini ma la trattoria è decisa a puntare sui video «perché sono quelli che funzionano di più». Il filmato della patronne Fiorella che prepara i casoncelli e racconta una storia legata al piatto in dialetto bergamasco, con sottotitoli in italiano ha avuto un successo clamoroso ed è diventato presto virale registrando più di 30mila visualizzazioni e 250 condivisioni.
L’ANNIVERSARIO di Roberta Martinelli
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Arlecchino, da mezzo secolo un punto di riferimento della ristorazione bergamasca Il 12 giugno del ’67, Franco Previtali e l’amico Orazio Lazzari diedero vita al locale di piazza Sant’Anna. 49 anni di attività all’insegna della buona cucina
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Bergamo il ristorante-pizzeria Arlecchino, in piazza Sant’Anna, festeggia 49 anni di attività. L’anniversario è due volte importante perché coincide con la storia della pizza a Bergamo. Il segreto di tanta longevità sta in una formula che, nonostante sia passato quasi mezzo secolo, non è mai cambiata. Il sorriso che incontra ogni cliente, l’accoglienza mai artefatta, il tono familiare e la cucina semplice e essenziale che si fa valore. A Bergamo l’Arlecchino lo conoscono tutti, ci sono passate generazioni di bergamaschi: ragazzi, famiglie, politici, sportivi, professionisti, attori. La storia inizia il 12 giugno 1967 quando Franco Previtali, 23 anni, e l’amico e collega Orazio Lazzari aprono il loro ristorante. È la prima pizzeria gestita da bergamaschi in città. Ad aiutarli ci sono le mogli, Emilia e Lucia. Originario di Bianzano, Franco, energia, simpatia e piglio deciso, ha imparato il mestiere sul campo, al forno delle pizze, al bar, in cucina, in sala, in gelateria. Prima di aprire il ristorante ha lavorato al Pianone, al Dell’Angelo in via Borgo Santa Caterina e alla Marianna. Sono anni d’oro, quelli, e giorno dopo giorno Franco intreccia la vita con la cucina senza mai perdere di vista l’unica cosa che per lui conta davvero: «Far stare bene la gente». Altri tempi, ma l’idea di convivialità è rimasta la stessa. Franco Previtali è stato uno dei primi bergamaschi a credere nelle potenzialità della pizza. Questa
intuizione e la decisione di proporre, tra i primi il piatto unico, segnano la storia del locale trasformandolo in pochi anni in uno dei punti fermi della ristorazione bergamasca. Il sodalizio con Orazio Lazzari dura 29 lunghi anni. Dal ‘96, dopo la scomparsa del socio, Franco conduce il ristorante affiancato dalle figlie Enrica, Francesca e Patrizia e dal genero Gianfranco Rotini. Nel 2007, a suggellare l’impegno di 40 anni di attività, arriva il “Riconoscimento al lavoro per il progresso economico” da parte della Camera di Commercio. Oggi come un tempo, l’anima del locale rimane Franco. E l’Arlecchino è un porto sicuro per chi vuole mangiare bene. La simpatia e la professionalità del patron e dei suoi collaboratori sono in parte il segreto del suo successo. Molti sono qui da oltre vent’anni, come lo chef Tiziano, il pizzaiolo Domenico detto Baffo e Rosario e Battista, impeccabili in sala. Il resto lo fanno la semplicità, la volontà oggi come ieri di accogliere al meglio i clienti e i piatti storici: l’insalata esotica, le zuppe, la cassoeula, la ribollita, il fagotto, farcito di mozzarella, prosciutto crudo, pancetta e peperoncino rosso, e le pizze: “Arlecchino”, con carciofi, bresaola, quartirolo, radicchio rosso e mozzarella, e “Lambada” a base bianca con mozzarella, cipolle rosse, peperoncino e pancetta. Franco Previtali e la figlia Francesca. Nella foto in alto è il primo a sinistra
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IL LOCALE di Fulvio Facci
Il ristorante di Curno, specialista del piatto, che propone in numerose varianti, punta ad espandere il proprio format. Marina Bongiorno: «Ambiente accogliente, prodotti italiani certificati e prezzi giusti le nostre qualità» Steak Restaurant via Fermi, 10 Curno tel. 035 462504 www.steakrestaurant.it chiuso la domenica
Steak, il regno della tagliata strizza l’occhio al franchising
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uddivido i ristoranti in categorie: ci sono quelli dei grandi chef, che fanno una classe a parte; ci sono i ristoranti a conduzione famigliare, che hanno le loro caratteristiche ben precise, poi ci sono i ristoranti cinesi. Noi, invece, siamo per il gusto urbano in continuo divenire di piatti e sapori: vogliamo far mangiare bene con prodotti italiani sani ad un giusto prezzo». Così Marina Bongiorno, imprenditrice di successo nel settore dell’abbigliamento e dell’attrezzatura antinfortunistica, interpreta il ruolo dello Steak Restaurant, in via Fermi al numero 10 a Curno, del quale è titolare. «Un bel salto dall’antinfor tunistica alla ristorazione? Sì, certamente - ammette -, ma c’è un filo conduttore. Il progetto è nato per caso ma è stato approfondito. Il legame della nostra azienda storica con il mondo della ristorazione è infatti radicato, visto che forniamo divise per Marina Bongiorno
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il personale di cucina e di sala a diverse realtà in tutta Italia comprese le scuole professionali. I contatti quindi non mancano ad ogni livello per poter attingere informazioni e professionalità con un interscambio di idee». Il locale è molto bello, con i suoi arredi che uniscono sapientemente stile essenziale e tocchi originali e, soprattutto, accogliente, dai colori rosso e nero che risaltano. Altre definizioni sarebbero riduttive, visto che con la professionalità e cordialità del personale di sala ci si sente immediatamente a proprio agio, accompagnati anche da una discreta musica in sottofondo. Come sempre, comunque, l’attenzione maggiore va a ciò che viene servito in tavola, che viene presentato con un originale e curato menù tutto illustrato, quasi per gratificare prima gli occhi e poi il palato. Piatti unici, antipasti, primi, secondi di carne e pesce, pizze, insalatone in crosta di pizza, carta dei dolci, carta dei vini: una proposta completa con un mix di innovazione e tradizione tra cucina italiana ed internazionale a prezzi decisamente equi. I primi vanno dagli 8 ai 12 euro, i secondi di pesce dai 10 ai 17 di gamberi e scampi alla catalana, le tagliate, servite con contorno, da 15.50 a 21 per quella di filetto, senza contare l’interessante soluzione del “Basta un piatto”. La nota in più è che il coperto non si paga mai, altro punto a favore del mettere a proprio agio gli ospiti. «Abbiamo quattro cuochi, uno per ogni settore, e non lasciamo nulla all’improvvisazione - spiega la patronne -, usiamo soprattutto materie prime certificate. Il menù
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cambia ogni sei mesi e per la pausa tagliate. Ci sono la degustazione pranzo abbiamo sempre un piatto del del tris di tagliate, la tagliata allo giorno a prezzo economico (unisce priSteak, la tagliata di filetto allo Stemo, secondo e contorno più acqua e ak, quella alla rucola, grana, aceto caffè a 10 euro, oppure c’è il del piatbalsamico e pinoli, la tagliata profuto speciale a 15 euro ndr.). La nostra mata alla salsa Steak e la tagliata è anche una clientela bussiness e il francese. Per non farsi mancare nostro obiettivo principale, come detnulla c’è anche la tagliata di pollo to, è quello di trovare il giusto rapporcon rucola, pomodorini e ricotta to tra prezzo e qualità. Cerchiamo la salata. «Ebbene sì, siamo speciamassima soddisfazione del cliente e listi sulle tagliate – ricorda Marina non mettiamo certo in gioco la buona Bongiorno –. Anzi, in verità, non reputazione ottenuta nel tempo dalle ne facciamo un mistero, ci siamo aziende della nostra attività principale, Allo Steak i cani sono i benvenuti, come autoincoronati “re della tagliata” e anzi cerchiamo sempre di migliorarci. dimostra la mascotte Charlie facciamo il possibile perché questo Può sembrare un paradosso, ma forse titolo non venga messo in discusè meglio non essere nati ristoratori, così ci mettiamo più sione. Si tratta solo di provare!» attenzione e curiosità per arrivare a delle novità e comunque Ambiente e cucina meritano senz’altro una visita, a maggior a fare bene sempre». ragione se si considera che il conveniente rapporto qualitàDell’accattivante carta una parte rilevante è dedicata alle prezzo ricercato dalla proprietà è stato senz’altro raggiunto.
I punti di forza della formula Un’idea nata per essere replicata. Non poteva infatti fermarsi solo a Curno l’iniziativa di Marina Bongiorno con la realizzazione, per il momento, dell’unico Steak Restaurant. È pronto infatti il pacchetto globale degli accordi economicocontrattuali per lo sviluppo di una rete in franchising. E scegliere Steak Restaurant significa poter disporre della certezza di un prodotto di qualità con materie prime certificate e in grado di soddisfare tutti i palati e la sicurezza di un menù capace di esercitare un forte appeal in linea con i trend di un consumo veloce, dinamico ed economico. Cosa chiede Steack Restaurant ai propri partner? La collocazione in aree anche non principali ma centrali, caratterizzate dalla presenza di uffici e zone commerciali che garantiscano un discreto bacino d’utenza anche negli orari diurni e la replica del format del locale originale con sala rossa e sala nera, stile minimalista post industriale, televisori che trasmettono sfilate di moda, oggetti preziosi (troni, cornici
d’oro, ecc.), atmosfera intima, sottofondo musicale. I cani sono benvenuti, la griglia è a vista e il menù in diverse lingue. Menù che varia ogni sei mesi e che comprende piatti italiani e internazionali come la famosa tagliata alla francese con salsa Steak, la paella, i primi piatti di pasta fresca e i piatti di pesce. Alla pizza è stato riservato nella carta un trattamento particolare in quanto ad ogni tipo è stato abbinato un famoso Fashion brand. Ecco quindi che la pizza margherita è diventata pizza Prada, la napoletana Dolce & Gabbana e via di seguito. Tutto comunque è molto chiaro nel menù. Steak Restaurant fornirà ai propri affiliati un periodo di formazione di almeno tre mesi per il direttore, lo chef, il pizzaiolo e il responsabile di sala, un manuale operativo in particolare per la preparazione dei piatti e dettagli sulla loro composizione, le norme per l’accoglienza del cliente ed un piano di marketing e attività di comunicazione.
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Chef in trasferta di Gualtiero Spotti
Tra Venezia e Chiasso brillano le “stelline” bergamasche Alba Rizzo, al “Venissa”, sull’Isola di Mazzorbo, e Mauro Boroni, al “Conca Bella” di Vacallo (Chiasso) sono pedine importanti di due locali “premiati” dalla Michelin. Ecco cosa dicono della loro esperienza
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cuochi in erba, sempre più di qualche anno fa, cercano di diversificare le proprie esperienze su vari tipi di cucine e così spesso si concedono trasferte fuori provincia (per non dire al di fuori dall’Italia) per crescere e capire meglio quali sono le opportunità che offre il mondo della ristorazione al giorno d’oggi. Magari giusto come apprendistato per poi lanciarsi in prima persona nell’apertura di un proprio ristorante. Ed è questo un processo naturale che va sicuramente oltre il difficile momento che vive l’economia del Mediterraneo o la volontà di guardare fuori dal proprio orto e che, in realtà, è figlio dell’estrema facilità con la quale sempre più si viaggia e si ricercano nuove emozioni o nuove fonti di ispirazione, diverse da quelle circoscritte a un unico territorio. Ne abbiamo parlato un paio di numeri fa con l’esempio di Francesca Parazzi, sous-chef
del Marchal di Copenhagen, che, oltretutto, ha già lasciato il vecchio ristorante per aprire insieme al cuoco Christian Gadient il nuovissimo Spontum, sempre nella capita-
Mauro Boroni
le danese. Un segnale inequivocabile di come tutto ormai accada più rapidamente e le opportunità per crescere, specie su piazze più dinamiche e meno tradizionaliste, sia-
giugno 2016 no all’ordine del giorno. Restando invece più vicini a casa, i bergamaschi “d’asporto” ai fornelli iniziano a diventare un piccolo e nutrito gruppo. Ma non solo, oltre a farsi le ossa, spesso si fanno notare per la bravura, per la dedizione al lavoro e per le capacità di fare gruppo. È il caso, ad esempio, di Alba Rizzo, 23enne originaria di Verdellino che da neanche un mese rappresenta il 25% di un team affiatato e giovane, impegnato in quel di Venezia sull’Isola di Mazzorbo, nella cucina del ristorante Venissa (www.venissa.it). Alba, infatti, si occupa dei primi (soprattutto paste fresche e ripiene) in una brigata di quattro cuochi (caso forse unico al Mondo di un ristorante con una stella Michelin che mette in fila otto mani distribuite su antipasti, primi, secondi e dolci), nell’oasi di quiete creata qualche anno fa da Gianluca Bisol, uno dei più conosciuti produttori di prosecco. Qui ci si trova tra gli orti curati dai pensionati del luogo, circondati da bucolici paesaggi lagunari, con la vicinissima Burano a un tiro di schioppo, visto che basta attraversare un ponte per raggiungerla, e la curiosità di una microproduzione di vino che vede qualche migliaio di bottiglie, il relax un po’ contadino oltre a una cucina di ispirazione decisamente local. Alba ha lasciato, almeno per ora, la campagna bergamasca dopo un lustro trascorso tra il Civico 17 a Ponteranica e la Braseria di Luca Brasi a Osio Sotto. «Ed è stata una scelta meditata - dice ora - perché volevo mettermi alla prova e uscire dal guscio. Certo, questo non è il ristorante classico e turistico di Venezia. Lo si raggiunge con un po’ di fatica in mezz’ora di vaporetto e a Mazzorbo si è sempre un po’ isolati, ma forse è anche un vantaggio quello di non avere troppe distrazioni, almeno per me, così ho il tempo di pensare un po’, di ragionare sui piatti in modo di trovare con la giusta tranquillità la mia strada. Oltretut-
to sono finita a lavorare in un team giovane e spigliato, con altre due ragazze, una serba e una napoletana, e anche se io sono l’ultima arrivata il feeling è quello giusto. A Venissa mi occupo dei quattro primi, che di solito sono una pasta fresca, una secca, un risotto e uno gnocco, quasi sempre presenti nel menù». Uno dei primi che Alba prepara è l’ottima pasta Verde Mare,
spugnole, mandorla e aglio nero, o dell’originalissimo Piccione di Bresse in doppia cottura, con rabarbaro e Campari. Oltretutto approfittando di una cantina di tutto rispetto, riconosciuta come una delle meglio fornite in Svizzera e che, se non bastasse l’ottima cucina, da sola vale il viaggio. Il trentenne Boroni a dire il vero non è alla sua prima esperienza in un grande ristorante,
Il ristorante Venissa, dove lavora la giovane Alba Rizzo, ritratta con il team (la prima a destra) nell’immagine di apertura (foto di Mattia Mionetto) con spaghetti Benedetto Cavalieri in salsa di zucchine e menta, con colatura e alici marinate cui si aggiunge un crumble di pinoli tostati. Lasciando poi la laguna e avvicinandoci alla nostra provincia, Mauro Boroni invece, altro bergamasco doc, ha scelto la Svizzera, ed è diventato ormai da qualche tempo l’uomo di fiducia di Andrea Bertarini, cuoco stellato del ristorante Conca Bella di Vacallo, una frazione di Chiasso (www.concabella.ch). Forse è proprio questa la miglior cucina che si può incontrare oggi nel Canton Ticino, con i suoi piatti moderni e di grande fascino estetico, ma ricchi di sapore e che sanno affidarsi a un piglio rustico quando questo serve, vedi il caso dei Ravioli ripieni con capretto alle erbe,
visto che prima di passare al Conca Bella ha frequentato Aimo e Nadia a Milano e prima ancora ha seguito nelle sue scorribande Chicco Coria, sin dall’apertura della sua locanda Salvia e Rosmarino in quel di San Pellegrino Terme. Poi un altro bergamasco, Dario Ranza, altro orobico da esportazione e storico titolare della cucina dell’Hotel Villa Principe Leopoldo di Lugano da qualcosa come un quarto di secolo lo ha introdotto al Conca Bella. Ora, e almeno per i tre mesi estivi, Mauro Boroni ritorna al lago a spadellare sul rooftop del ristorante Panorama ospitato all’interno dello Swiss Diamond Hotel, dove si trasferisce temporaneamente la cucina del Conca Bella approfittando della bella stagione.
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la legge di Anna Facci
Sagre alla svolta, tra paletti e nuove opportunità La Regione è intervenuta sull’annoso problema delle manifestazioni all’aperto e la concorrenza ai locali. Fusini (Ascom): «La palla ora passa ai Comuni che dovranno stilare il proprio regolamento». «Il futuro è nell’integrazione tra le attività commerciali e gli eventi»
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estate 2016 in Lombardia sarà l’ultima dell’era della deregulation delle sagre. Con l’approvazione della Legge Regionale 29 aprile 2016 n. 10 in materia di commercio su area pubblica, vengono finalmente (gli esercenti lo chiedevano con decisione!) fissate alcune norme per lo svolgimento delle manifestazioni, con l’obiettivo di riportare equilibrio tra l’esigenza di salvaguardare appuntamenti dal valore religioso, sociale, culturale ed enogastronomico e quella di evitare il proliferare di eventi che di fatto sono attività commerciali ma senza le stesse regole. «La nuova legge introduce un calendario regionale – spiega il direttore dell’Ascom di Bergamo, Oscar Fusini - in cui dovranno essere presenti, entro il 30 novembre di ogni anno, le sagre autorizzate dai comuni per l’anno successivo. Prevede l’adozione di regolamenti comunali sulla base delle linee guida della Giunta regionale per definire durata, modalità di svolgimento e coinvolgimento degli operatori locali. Soprattutto è stata introdotta la definizione di sagra come occasione aggregativa in cui la somministrazione di alimenti e bevande è temporanea, accessoria e non esclusiva. In buona sostanza, dare da mangiare e bere deve essere un mezzo per
aggregare e non il fine ultimo per fare cassetto. Infine le manifestazioni dovranno rispettare gli obblighi vigenti in materia igienico sanitaria, fiscale, tutela dei consumatori e dei lavoratori, a protezione dei clienti e di chi lavora ed evitando evidenti casi di concorrenza sleale». Quando saranno attive le nuove disposizioni? «Siamo allo studio delle linee guida che serviranno ai Comuni per emanare i regolamenti, quindi ci auguriamo che il primo calendario arrivi per fine anno, valido per le manifestazioni del 2017». È una buona soluzione per tutelare ristoranti, pizzerie e locali? «È una buona legge ma toccherà ai Comuni saperla interpretare e svolgere la funzione di vigilanza. Ci si arriva solo oggi perché il settore dei pubblici esercizi è al collasso con evidenti rischi di cadute occupazionali per gli addetti di bar e ristoranti. Ora la partita è sulle linee guida». Quali sono le maggiori criticità del “fenomeno sagre”? «È stato un problema di svilimento del termine stesso di sagra. Una sagra è l’occasione per valorizzare un territorio, le sue tradizioni, le festività e i patroni, i
giugno 2016 suoi prodotti, la sua cucina. Negli ultimi anni c’è invece stato un proliferare di spazi attrezzati per dare da mangiare e bere all’aperto che fanno concorrenza agli operatori del settore». Insomma, ci sono sagre “buone” e altre meno... «Non ci sono sagre buone o cattive. Se sono sagre devono essere valorizzate e soprattutto messe a sistema Oscar Fusini del territorio. Le altre sono scorciatoie per guadagnare dando da mangiare e bere, magari anche male e con un cattivo servizio. Queste vanno eliminate perché dannose per le imprese del settore e per gli stessi consumatori» È un movimento ancora in crescita o anche qui la crisi e la concorrenza si stanno facendo sentire? «Secondo le nostre stime, nel giro di pochi anni, dal 2004 al 2014, il numero degli eventi in Bergamasca è triplicato, mentre sui giorni della proposta l’aumento è stato più contenuto perché molte manifestazioni sono limitate al fine settimana. Il fenomeno è dilagato per l’introduzione del divieto di fumo nei locali ed è stato sostenuto dalla voglia di stare all’aperto dei consumatori, lo stesso bisogno che, del resto, ha portato i ristoranti e i bar a creare i dehors. Per allestire uno spazio di somministrazione esterna bastava però una semplice richiesta al Comune e il pagamento dello spazio pubblico e così le iniziative si sono moltiplicate. Negli ultimi anni, è vero, il fenomeno non è più aumentato
per via della crisi, ma in un mercato così povero come quello attuale ha prodotto ancora più danni alle imprese del settore». È ipotizzabile una collaborazione tra eventi ed esercizi? In che modo? «La collaborazione non è solo auspicabile ma necessaria. Le linee guida stabiliranno spazi da dedicare agli imprenditori locali che vogliano promuoversi. Riteniamo infatti che il possibile sviluppo possa avvenire nei prossimi anni attraverso l’integrazione di iniziative comuni tra esercenti, commercianti in sede fissa, ambulanti e promotori di eventi. Questo perché saranno il luogo e la sua proposta complessiva di intrattenimento e svago a prevalere e non l’offerta di cibo e bevande ormai abbastanza codificata». Adesso la nuova tendenza sono le manifestazioni dedicate allo street food. Si apre un nuovo capitolo della “guerra” estiva? «A Milano, in alcune aree, si sono già registrate contrapposizioni. In realtà lo street food può esssere un’attrattiva e portare molta gente. Penso che la logica dell’integrazione con gli operatori locali sia anche in questo caso vincente nello spegnere possibili competizioni negative. La collaborazione si può realizzare attraverso una regia comune dell’evento in capo alle associazioni di categoria e distretti del commercio che sappia contemperare gli interessi in gioco e coordinare una proposta unitaria per i clienti avventori».
La presidente dei ristoratori
Frosio: «Tocca a noi diventare protagonisti di questi eventi»
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aluta con favore l’intervento della Regione per porre un freno alle sagre e alle feste estive, ma al tempo stesso Petronilla Frosio, presidente dei ristoratori dell’Ascom di Bergamo, è convinta che la categoria debba passare dalla difesa ad un ruolo più attivo, da protagonista. «Condivido in pieno ciò che ha detto Roberto Amaddeo (consigliere del Comune di Bergamo delegato per Città alta e ristoratore ndr.) in occasione del convegno De Casoncello – afferma Frosio -. Le sagre che vogliamo sono quelle che, come la manifestazione organizzata per celebrare il compleanno del nostro piatto tipico, uniscono cultura, storia, cibo, tradizione e coinvolgono gli operatori. L’evento del maggio scorso può
essere preso ad esempio di come le sagre possano diventare un’opportunità per i ristoratori, che sono i soggetti naturalmente deputati a far conoscere ciò che un territorio ha di buono e di tipico». Ed è un tema centrale. «Il progetto Erg, che vede Bergamo e la Lombardia Orientale Regione Europea della Gastronomia nel 2107 – evidenzia – apre una riflessione su quale sia la cucina che rappresenta un territorio ed io credo che, al di là dell’alta ristorazione, ciò che il turista ha nell’immaginario, la “poesia” della cucina italiana, siano la trattoria con l’orto, i piatti preparati con prodotti della terra. In un mondo sempre più globalizzato, dove impazzano i locali cinesi e giapponesi, la prospettiva, impegna-
Petronilla Frosio tiva ma di certo capace di arricchire tutti, è fare sistema e mettere insieme agricolori, allevatori ed esercenti». Di alterative non ce ne sono: «Lamentarsi non serve, i ristoratori – ribadisce la presidente - devono diventare attori, fare proposte e per farle occorre mettere il naso fuori dalla propria attività, passare “dall’io al noi”. Non è facile ma è l’unica strada».
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la legge
A Pedrengo le regole ci sono già. Il sindaco: «Dalla
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en prima che la Regione intervenisse, il Comune di Pedrengo ha scelto di affrontare lo spinoso problema della regolamentazione del feste estive. Già dal 2014 ha inserito nel proprio Regolamento di polizia urbana una serie di “paletti” per l’utilizzo dell’area di via Piave, luogo ideale per le manifestazioni all’aperto, dotato di una struttura attrezzata e contiguo al suggestivo parco Frizzoni e ai suoi alberi monumentali. L’Amministrazione ha innanzitutto definito con precisione il periodo di svolgimento delle sagre (da maggio a settembre), un limite ai giorni concessi complessivamente (45), la durata massima di ciascun evento (fino a 5 giorni consecutivi, che possono diventare 10 per quelli di consolidata tradizione, valenza socia-
le o qualità del programma) e stabilito anche che qualche week end rimanga libero (uno su tre la proporzione da rispettare nell’arco dei cinque mesi). Ha inoltre fissato la procedura per la definizione del calendario (domande entro il primo marzo di ogni anno e delibera della Giunta entro il 15 aprile), oltre agli orari delle manifestazioni e della musica e alla possibilità di richiedere alcune attestazioni sull’attività sociale svolta alle diverse realtà promotrici, che devono operare sul territorio comunale (solo se restano disponibilità vengono valutare richieste da fuori). Ma non è tutto. Tra gli obblighi degli organizzatori c’è quello di aderire al Codice etico comunale per la somministrazione di alcolici, che li ha portati
Gabriele Gabbiadini a seguire un corso di formazione apposito sulle leggi in materia e la prevenzione. E poi c’è un patto “morale”, un impegno, non formalizzato ovviamente perché la concorrenza è sovrana, a
Le sagre storiche
A Parre e Riva di Solto appuntamenti che valorizzano l’intero paese
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inquantun anni la prima, 21 la seconda. Quella degli Scarpinocc a Parre (che tornerà dal 19 al 21 agosto) e la Sagra del pesce di Solto Collina (dal primo al 3 luglio prossimi) sono due appuntamenti autentici, promossi dalla comunità locale attorno alle proprie tipicità gastronomiche. Hanno in comune una durata limitata, un menù strettamente a tema e una grande attrattività. «Le sagre sono nel dna della gente di Parre – evidenzia Fabio Tresoldi, consigliere della Pro Loco, che organizza l’evento -. La riscoperta delle tradizioni è un filo conduttore che ci accompagna negli anni, parte dai piatti che si preparano in ogni casa e li fa conoscere all’esterno». Non a caso, alle scarpette di pasta con ripieno di magro ormai famosissime si sono affiancati in tempi più recenti altri recuperi e relative sagre, come quella dei capù, gli involtini in foglie di
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verza, e degli gnoch in cola, gnocchi al cucchiaio fatti con farina, latte e poche uova, cotti con qualche patata e conditi con formaggio, burro fuso e salvia, che ha debuttato quest’anno. Oppure la prossima Sapori e Tradizioni, il 25 e 26 giugno, che unisce i piatti locali ai costumi e ai lavori di una volta. «In tutti i casi si tratta di un vero lavoro di ricerca, raccolta dei ricordi degli anziani, dibattito e confronto tra le ricette di ogni famiglia per proporre piatti autentici – evidenzia Trussardi -. Se ci dà fastidio il proliferare di sagre e feste? Personalmente rispondo di no. Credo che la creatività vada premiata e se c’è un gruppo di giovani che vuole organizzare un evento gastronomico di qualsiasi genere ben venga, sarà il pubblico a decidere se merita o meno». Quanto alla Sagra degli Scarpinocc, nella scorsa edizione, quella del 50esimo, festeggiata anche con un libro secon-
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Regione mi sarei aspettato qualche criterio in più» preferire per gli approvvigionamenti i negozi e le attività del territorio, così da far ricadere anche sulle aziende locali una parte del movimento generato dalle grandi tavolate sotto il tendone. «Dal 2015 – aggiunge il sindaco Gabriele Gabbiadini – abbiamo previsto che gli organizzatori di ogni sagra versino una quota giornaliera che va a costituire un fondo per sostenere progetti sociali. In questo modo lo scorso anno sono stati raccolti 3mila euro, che abbiamo devoluto all’Auser, mentre quest’anno i contributi saranno utilizzati per la manutenzione dei giochi esterni della scuola materna». Un modello articolato e ponderato, «che sta funzionando», afferma il primo cittadino. «Sulla questione delle sagre – ricorda –, le Amministrazioni
si trovano tra l’incudine e il martello. Da un lato c’è la volontà di facilitare le attività associative e di ricreazione, dall’altro si riconoscono gli effetti negativi di una presenza eccessiva di eventi a livello intercomunale. Le osservazioni e le preoccupazioni dei ristoratori sono pienamente condivisibili, il fenomeno diventa in molti casi concorrenza sleale contro la quale non si può competere. Proprio per questo le mosse della Regione mi sembrano troppo blande. Mi sarei aspettato criteri un po’ più precisi, qualche numero che ponesse dei limiti, così invece si affida ad ogni Comune il compito di scrivere il proprio regolamento e lo scenario non pare destinato a mutare granché, resta la possibilità di trovarsi ancora con troppe feste nei din-
torni. Un altro aspetto fondamentale è definire cosa si fa nella sagra, un conto, infatti, è offrire piatti semplici e a buon mercato, un altro essere un ristorante a cielo aperto». «Quanto a noi, con le nuove norme non cambierà sostanzialmente nulla. Abbiamo fissato dei limiti non per via di particolari lamentele da parte degli esercizi – rivela -, ma perché avevamo l’esigenza di mantenere gli eventi entro una dimensione locale. Credo che un certo equilibrio sia stato raggiunto: grazie al patto per gli acquisti locali si cerca di creare un raccordo tra le feste e il territorio; le associazioni, dal canto loro, possono promuovere dei momenti di socializzazione e autofinanziarsi per attività che tornano a favore della comunità».
do classificato al Premio Dattini di Assisi dedicato ai lavori delle Pro Loco, ha ospitato 13.500 persone in tre giorni e servito oltre 140mila ravioli. «E bar e ristoranti erano strapieni – rileva –, l’obiettivo della sagra è infatti quello di creare un ritorno per il paese, altrimenti non avrebbe senso. È un appuntamento che non porta via niente a nessuno, anzi, ci teniamo che anche i ristoratori possano essere protagonisti». Oltre agli scarpinocc, il menù prevede carni grigliate e formaggi di monte, nel pieno rispetto della semplicità e della scelta locale. «Per l’edizione 2016 valorizzeremo anche il vino bergamasco», annuncia Tresoldi. Lo slogan che accompagna la Sagra del pesce di Riva di Solto è “l’originale”. «Non che ci sia l’esigenza di contrapporsi ad altri eventi – chiarisce Daniela Negrinelli, componte del direttivo del comitato organizzatore –, è stata semplicemente un’idea per ricordare alla gente ciò che ci contraddistingue, ossia la qualità del cibo». In tavola arriva infatti solo il prodotto fresco dello storico pescatore della sponda bergamasca del Sebino, in un menù che negli anni si è arricchito di gusto e creatività. Così accanto ai più tradizionali pesci al forno ripieni o al gettonatissimo menù del pescatore (che offre una serie di assaggi dal cavedano sottolio alla sardina fresca alla griglia, alla tinca fritta) si sono aggiunti, ad esempio, la trota marinata o le bavette al coregone. A rendere speciale la sagra è anche il grande coinvolgimento. Nata con l’obiettivo di raccogliere fondi per le squadre di calcio del paese, ha continuato a destinare i proventi in beneficenza e mobilita ad ogni edizione più di cento volontari, in gran parte giovani, che, cosa davvero insolita, «non occorre sollecitare, ci chiamano loro per
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la legge
lavorare – dice Daniela - perché è in fondo un grande divertimento per tutti». Forte oltre che dei piatti di una posizione suggestiva come la piazza dei Giardini della Doana, affacciati sul lago, la tre giorni di Riva attira commensali non solo dalle province di Bergamo e Brescia, ma anche da Milano. «È un evento che valorizza l’intero paese, che spesso è conosciuto proprio per la sagra – nota la portavoce -. E poi per gli acquisti ci rivolgiamo alle nostre botteghe e il sabato si chiude il centro storico, ci sono i mercatini e si crea un salotto
che piace anche ai commercianti». «È però vero che in altri paesi si sta esagerando con le feste e condivido le lamentele dei ristoratori – ammette Negrinelli, che per inciso è anche vicesindaco di Riva di Solto -. Una regolamentazione serve di certo, in primo luogo a tutela dei clienti, come sta succedendo per le norme igieniche e la sicurezza. L’importante è che i paletti non diventino troppi, lo spirito di questi eventi è sempre benefico e sociale e se troppo tartassati rischiano di scomparire. Sarebbe un peccato».
L’esperienza
Ad Albino la sagra organizzata dalla trattoria compie sei anni
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n ristoratore che ha girato a proprio favore il fascino della sagra è Gianluigi Moro, titolare della trattoria Moro da Gigi di Albino, in località Perola, che ha sempre fatto della tradizione e della vicinanza al territorio il proprio marchio distintivo. Sei anni fa, in occasione del 50esimo dell’attività, ha organizzato nel parcheggio di fronte al locale la Sagra degli Gnocchi ripieni, per celebrare la ricorrenza attraverso il piatto più conosciuto della sua cucina: morbidi gnocchi di patate ripeni di prosciutto e formaggio e conditi con burro versato. È diventato un appuntamento fisso, in programma quest’anno dal 14 al 17 luglio. «Le sagre sono occasioni per promuovere la tipicità – afferma - e la Bergamasca ne avrebbe di piatti e ricette da tirare fuori, ad esempio le varianti locali dei casoncelli, le polente, gli stracotti, gli stufati o i piatti poveri delle nonne: ce n’è una miriade e gli eventi che puntano su questi aspetti funzionano mentre gli altri si somigliano tutti». Secondo Moro le sagre, se veramente tipiche e fatte rispettando certi parametri, «possono essere opportunità anche per i ristoratori, perché trascinano gente. Naturalmente sono favorevole ad una regolamentazione – rimarca - e in fondo non credo che serva nemmeno molto, bastano tipicità o originalità e limitare la durata a qualche giorno». Nel caso della sua sagra, «l’avevo in testa da anni, sapevo di avere un prodotto adatto e quando c’è stata l’occasione mi sono lanciato - ricorda -. Oltre agli gnocchi, che rappresentano il 90% dei primi che serviamo (l’anno scorso ne sono stati preparati 8 quintali ndr.), anche
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tutte le altre proposte del menù sono legate al territorio e hanno un senso». Poiché qualche alternativa bisogna pur offrirla, ci sono la pasta con il ragù di selvaggina e i Gianluigi Moro casoncelli, anche questi fatti a mano in casa, mentre per secondo la polenta è preparata sul fuoco da due addetti e si accompagna con i funghi, il cinghiale in salmì o il baccalà. Sulla griglia niente salamelle, ma costata, costine e cosce di pollo. Anche i dolci sono fatti in casa e quest’anno debutterà il “Moroncello”, la ricetta che ha vinto il concorso “Un dolce per il Moroni”, per dare ad Albino il suo emblema goloso. Per mettere in piedi la sua sagra Moro ha dovuto misurarsi con allestimenti, adeguamenti, gestione del personale e nell’organizzare le iniziative collaterali, anch’esse originali, come la presenza di artigiani che eseguono lavorazioni dal vivo o la novità della beerrun, una goliardica corsa intervallata da qualche bicchiere di birra. «Non sono diventato un organizzatore di eventi – precisa – ma di evento! L’impegno è tantissimo, ma vale la pena soprattutto per il risvolto promozionale. C’è anche il business, a patto di non contare la fatica e il tempo spesi».
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L’intervista
Il Questore: «A Bergamo ho trovato una ristorazione di qualità» Parla Girolamo Fabiano, raffinato gourmet, che sottolinea: «Mi hanno colpito i valori e la passione. Purtroppo in pochi praticano la cucina tipica bergamasca». «Un’eccellenza? I vini di Casa Virginia di Antonio Lecchi»
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Bergamo ho trovato grandissima professionalità, una ristorazione di alto livello, e non solo nelle tante insegne stellate. Passione e amore nella ricerca, nella qualità e nella cura del locale sono senz’altro i valori che mi hanno colpito di più». Così Girolamo Fabiano, Questore di Bergamo, analizza le proposte enogastronomiche della nostra provincia, e lo dice da raffinato gourmet qual è, amante del piacere della buona tavola in convivialità. Le sue origini pugliesi - per la precisione di Corato, in provincia di Bari, che definisce capitale dell’olio d’oliva (tant’è che una delle tipologie di olive diffuse è appunto la coratina) - sono senza dubbio alla base di una conoscenza e competenza affinate nel tempo e nel percorso professionale che lo ha portato ad operare in diverse realtà geografiche. Prima del trasferimento nella nostra città, ha lasciato un pochino del suo cuore nell’umanità della popolazione valtellinese. Ma non solo. Anche in questa zona ha coltivato la passione apprezzando il duro lavoro dei vignaioli locali sui terrazzamenti dove producono vini da uve Chiavennasca, ottenendo anche l’ammissione all’Accademia del Pizzocchero. Spontaneo a questo punto un raffronto tra le due tipologie di cucina. Ci sono alcune sostanziali differenze che forse partono dal contesto ambientale. Antonio Lecchi (in piedi), del ristorante Villa «Trovo che le principali difPatrizia di Sorisole, con il Questore di Bergamo, ferenziazioni siano nell’apGirolamo Fabiano
proccio personale, decisamente più caldi i valtellinesi, molto più concentrati nella loro professione i bergamaschi. Anche il contesto economico e i conseguenti ritmi sono diversi». È nella storia la valutazione del “maestro” Veronelli che ha eletto Bergamo a capitale della ristorazione italiana. Dopo le sue esperienze, in pratica sull’intero territorio nazionale, condivide questa affermazione? «In Italia si mangia ovunque bene, non so se Bergamo possa meritare questa definizione, ma indubbiamente noto una grande evoluzione. Non molti, purtroppo, fanno la tipica cucina bergamasca, anzi, è nata quella che potrei definire la “nouvelle bergamasca”. Sono comunque soprattutto i giovani quelli che fanno attenzione alla tradizione, ma non è facile cucinare come una volta. Bisogna proprio trovare i giovani a cui piace questo tipo di ricerca e di riscoperta. I piatti classici sono i casoncelli e la polenta taragna ma un particolare riguardo meritano senza dubbio i nove formaggi Dop, un record per la provincia orobica». Ha colto qualche eccellenza in particolare? «Non posso fare una graduatoria di merito, ma sicuramente per l’amore verso la professione, dato che ci mette veramente il cuore e l’entusiasmo, cito Antonio Lecchi per i suoi vini di Casa Virginia, visto in modo particolare l’attaccamento alla terra e alla produzione agricola in generale». E per concludere prendiamo per la gola i nostri lettori chiedendole di proporre due menù, uno bergamasco e l’altro pugliese. «Pochi dubbi al riguardo - ammette Fabiano –. Nel menù bergamasco sono obbligatori i casoncelli e se ci si trova in un agriturismo lo stracotto d’asino. In montagna la polenta taragna. Per il menù pugliese scelgo quello della tradizione e cioè: antipasto di verdure, orecchiette al ragù, involtino di carne, mozzarella e insalata. Come dolce, perché no?, potrebbe andar bene la vostra polenta e osei. Ma per il vino è d’obbligo il mio amato nero di Troia. Buon appetito!».
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Tradizioni di Leonardo Bloch
Casoncello, tante le ipotesi sull’origine del nome. Ma il dubbio si può risolvere
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opo essermi troppe volte imbattuto in decifrazioni impavide dell’ilare, non nego di aver sviluppato un certo scetticismo verso un approccio strettamente lessicologico all’esegesi gastronomica. Ancora stento per esempio a capacitarmi di come il pur autorevole filologo Costantino Nigra, nel glossare il termine caciocavallo, possa aver impudicamente chiamato in causa fantasiose similitudini tra il campione dei latticini campani e l’organo riproduttivo maschile degli equini. È dunque con circospetta curiosità che al convegno De Casoncello dello scorso 13 maggio, salutato da una folta partecipazione di pubblico e beneficiato di assai opportuno rilievo dagli organi di informazione, ho atteso l’intervento del glottologo Alessandro Parenti. In realtà già avevo avuto facoltà di apprezzare il rigore e l’acume degli studi condotti dal brillante linguista fiorentino a riguardo al secolare tortello, che hanno indiscutibilmente provvisto un apporto risolutivo all’individuazione di molti tra i principali paletti storiografici e lessicologici su cui oggi possiamo far perno. In un memorabile contributo pubblicato alcuni anni fa ne l’Archivio per l’Alto Adige, Parenti aveva evidenziato come le più antiche attestazioni letterarie del vocabolo casoncello, risalenti alla seconda metà del Trecento, siano tanto strettamente legate alla città di Bergamo da aver indotto diversi studiosi a sostenere che il termine debba giocoforza essere di conio locale. Nel corso dei due secoli successivi alle prime menzioni la voce pare nondimeno aver goduto di una più estesa diffusione: fa difatti comparsa in diversi documenti bresciani tra la fine del quattrocento e la prima metà del cinquecento, e giusto in quel periodo viene eletta dal poeta mantovano Teofilo Folengo e dall’umanista veneziano Niccolò Liburnio a sinonimo principe di raviolo. Assai singolarmente, oltre che a Bergamo e nei territori della Serenissima, il vocabolo conobbe una certa fortuna anche nelle Marche. Di cascioncelli scrive un anonimo trattato di cucina redatto negli ultimi anni del XV secolo
presso la corte dei Montefeltro, ed alcuni decenni più tardi del tortello fornisce una dettagliata descrizione il botanico urbinate Costanzo Felici. È altresì assodato che proprio nel corso del cinquecento si assista ad una proliferazione di riferimenti nella letteratura di taglio popolaresco che riaffermano con elevata attendibilità l’identità bergamasca della pietanza. Se la diatriba attorno al luogo di nascita pare dunque possa essere a buon titolo archiviata, decisamente più aperto risulta invece il dibattito intorno alle radici etimologiche della vivanda. Parenti rigetta con convinzione la tesi più ampiamente accreditata, secondo la quale l’appellativo dell’arcaico raviolo ha tratto ispirazione dal cacio che all’epoca ne costituiva la farcia. Il linguista obietta che tali pietanze di regola derivassero la loro denominazione non tanto dagli ingredienti a partire dai quali erano elaborate, quanto piuttosto dalla forma che loro era conferita. Secondo il glottologo risulta dunque assai più verosimile che il vocabolo sia da collegarsi a calzoncello, o alternativamente a cassoncello. L’ipotesi dell’apparentamento ad un filone lessicale e gastronomico - quello del calzone - particolarmente prolifico nel meridione è senza dubbio assai suggestiva. Già da queste colonne nel maggio del 2015 si era congetturato che il casoncello potesse essere in qualche modo affiliato al corpus della cucina di corte Sveva, forse a margine dell’alleanza politico-militare stretta tra Bergamo e Cremona e l’imperatore Federico II. Non difettano importanti concordanze a supporto di tale assunto: da più fonti si apprende difatti che il calzone campanopugliese fosse ai suoi primordi un boccone di salsiccia avviluppato in pasta di pane e fritto. Incidentalmente, la morfologia della vivanda corrisponderebbe per filo e per segno a quella dell’artibotulo bergamasco - letteralmente “salsiccia in sfoglia di pane” - citato alla fine del trecento da Castello Castelli quale sinonimo di casoncello. Questa ricostruzione cela tuttavia un non trascurabile
giugno 2016 punto di debolezza nella sua articolazione diacronica. Anzitutto, come riconosciuto dallo stesso Parenti, il vocabolo calzone nell’accezione di indumento si è affermato nel gergo comune solo a partire dalla metà del XV secolo - ovverosia con considerevole ritardo rispetto alle prime menzioni del termine casoncello. Parallelamente, pure il calzone nelle sue vesti eduli risulta pressoché ignoto sino al tardo quattrocento. Facendo dunque mente esclusivamente alla sequenza temporale nella quale si succedono le fonti documentali, si dovrebbe inferire che, più che un discendente, il fagottino bergamasco possa essere semmai stato un precursore del panzarotto meridionale. A ben vedere, anche l’obiezione sollevata da Parenti a riguardo delle denominazioni assegnate nel medioevo alle paste ripiene non può essere accolta del tutto pacificamente. In molteplici casi i tortelli dell’età di mezzo paiono infatti aver acquisito i loro appellativi, generalmente in forma di diminutivo, dalle torte di cui rappresentavano la miniaturizzazione. Ed è sovente riscontrabile che queste ultime preparazioni, di aspetto per lo più indifferenziato, fossero battezzate sulla falsariga del loro ingrediente principe. Tale ad esempio sembrerebbe il percorso seguito dall’anolino, che l’illustre medievalista Enrico Carnevale Schianca individua come propagazione dell’enolata - un pasticcio aromatizzato all’enula. E da un timballo contenente del marrubio - una radice amarognola affine all’enula - hanno verosimilmente mutuato la loro denominazione i marubini della tradizione cremonese. Su basi del tutto analoghe, dalla casciata - una torta al formaggio tra le più rappresentative della cucina medievale - potrebbe essere derivato il termine cascioncello. L’argomento non è tuttavia cogente al punto da dissipare ogni dubbio, e non può dunque essere ritenuto del tutto risolutivo. In realtà una direttrice interpretativa definitivamente chiarificatrice, sostanzialmente negletta da Parenti ancorché provvista di intrinseca coerenza, assume evidenza seguendo le tracce di un antichissimo tortello di genia veneziana, nelle cui vene scorreva anche qualche goccia di sangue ebraico. Ma il tema sarà oggetto di approfondimento, sempre all’interno di questa rubrica, nel prossimo numero di Affari di Gola.
E dai “cjarsons” arriva un modello di promozione
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uella di cui l’amena Sutrio ha da poco ospitato la terza edizione rappresenta, a giudizio di chi scrive, una tra le più riuscite ed originali manifestazioni enogastronomiche dell’intera Penisola. In essa dieci contrade della Carnia propongono annualmente, in una tenzone dall’afflato più propositivo che competitivo, altrettante declinazioni borgherecce dei cjarsons - i celebri tortelli friulani lontanamente imparentati con i nostri casoncelli. Provare a tratteggiare un profilo coerente della pietanza, nella molteplicità delle sue versioni, risulta decisamente arduo: si tratta di un raviolo dal ripieno non carneo, usualmente a base di ricotta o di patate, avviluppato in una sfoglia piuttosto grezza ottenuta impastando sole farina ed acqua.
Tra le note aromatiche della farcia prevalgono quelle della melissa, ed una quasi onnipresente tendenza dolce apportata dalla frutta - tanto fresca (pere, come nel raviolo bergamasco) che secca, candita o in confettura. Le interpretazioni più ardite si spingono sino ad azzardare l’inclusione del cioccolato fondente, del rum e del vermut. Il condimento - quello invece sì - è uguale per tutti: burro fuso ed una grattugiata di scuete fumade (ricotta affumicata). A margine del percorso gastronomico, graduato per impatto gustativo delle pietanze, è proposta una serie di abbinamenti enoici regionali che regalano gemme quali il Friulano di Robert Princic o il Sauvignon di Graziano Specogna. Gli organizzatori preavvisano che si tratta di “assaggi”, ma le dosi, in un circondario dalla proverbiale devozione a Bacco, non sono certo da avvinamento dei calici come in troppe degustazioni d’oggi. La manifestazione, che richiama migliaia di appassionati anche d’oltreconfine, ha l’indiscutibile merito di aver contribuito a fissare le variazioni locali sul tema del cjarson preservandole da un altrimenti irrimediabile caduta nell’oblio. Un analogo sforzo andrebbe a mio avviso compiuto con riguardo al tortello bergamasco, prodigo di secolari interpretazioni paesane - se non addirittura familiari - che rischiano di svaporare schiacciate dall’inflessibilità dei disciplinari. Sogno ad occhi aperti di poter un giorno addentare, per le vie di Città Alta, un casoncello alla moda antica - quello, per intenderci, con la farcia a base di pere spadone, amaretti, mandorle e cedro candito - magari accompagnato ad un calice di Moscato di Scanzo. A quando anche a Bergamo una rassegna come quella di Sutrio? l.b.
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LA STORIA di Laura Ceresoli
Brasile, le olimpiadi speciali di un pizzaiolo bergamasco Roberto Ceribelli
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Roberto Ceribelli, originario di Covo, è stato uno dei tedofori nel cammino della fiamma verso Rio e nel suo menù ha subito inserito la pizza dedicata all’evento. «È stata un’esperienza unica». Eppure la sua filosofia è slow e a chilometro zero, coltiva infatti in proprio gli ingredienti che utilizza nel locale ella città coloniale di Pirenópolis, località brasiliana ambita dagli ecoturisti per la natura rigogliosa e le cascate mozzafiato, fa capolino dal 2012 la pizzeria Grano Salis. In questa piccola cascina dall’atmosfera raccolta e familiare, c’è un forno a legna che arde da mezzogiorno a sera, da cui fuoriescono pani e focacce di ogni sorta. Alle tradizionali pizze italiane si affiancano contaminazioni estrose con pollo e formaggio fuso, varianti dolci con banana, cannella e miele oppure cioccolato e ananas, e altre originali invenzioni, dalla pizza con pesto, pomodoro e olive fino a una succulenta pancetta, gorgonzola, zucchine e noce moscata. Il genio creativo del ristorante è Roberto Ceribelli, un bergamasco doc. Questo 43enne originario di Covo vive da tempo tra i verdeoro coltivando la sua passione per il cibo biologico a chilometro zero e promuovendo la filosofia slow food. Ogni ingrediente utilizzato per la preparazione dei suoi piatti proviene dall’orto di casa sua,
dove crescono piante da frutta tipicamente brasiliane come banana, papaya, mango, avocado, ma anche ortaggi, aromi e spezie come peperoni, melanzane, basilico, peperoncino, salvia. Tra le specialità incluse nel menù di Grano Salis spicca da qualche mese anche la pizza olimpica. Il nome non è stato scelto a caso ma è un omaggio a quell’incredibile avventura che per un giorno ha trasformato Roberto da pizzaiolo a tedoforo. Il 3 maggio scorso la fiamma dei Giochi di Rio 2016 è infatti arrivata in Brasile e Ceribelli è stato scelto per raccogliere il testimone ad Anapolis e portarlo verso il confine con il Mato Grosso. La selezione dei tedofori prevede un iter molto rigido ma per Roberto l’occasione è arrivata in maniera del tutto casuale: «È stata un’esperienza unica, di quelle che ti sfiorano una sola volta nella vita – racconta il pizzaiolo –. Una sera di ottobre dello scorso anno un gruppo di ragazzi è venuto a cenare nel mio ristorante. Abbiamo parlato
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L’IDEA
La guida della città? Legata a una bustina di tè Mara Rinaldi photo
parecchio, mi hanno fatto un sacco di domande. Pensavo fossero semplicemente dei clienti e invece, solo in seguito, ho scoperto che erano membri del comitato della torcia olimpica. Dopo due giorni mi hanno chiamato, chiedendomi se avessi voluto portare la fiamma e ho accettato. Io non corro a livello sportivo ma solo saltuariamente. Vanto però un passato da capoeirista in Angola, un’arte marziale che mi mantiene lucido sia mentalmente che fisicamente». Ceribelli se n’è andato dalle Orobie 15 anni fa alla volta di Chapada Diamantina, nel cuore di Bahia, 400 chilometri a ovest di Salvador. Lì ha incontrato Claudia, la donna che è poi diventata sua moglie e gli ha regalato due figli, Maria Elisa e José Elias. «Nel marzo 2004 sono rientrato temporaneamente in Italia – ricorda Ceribelli –, ho cercato di racimolare il più possibile lavorando sodo perché volevo ritornarmene subito in Brasile con la mia famiglia. Invece sono passati sei anni prima di riuscire a partire di nuovo per il Sud America. Nel 2010 sono andato a Brasilia per rispondere a un’offerta di lavoro ma purtroppo lì non è andata bene. Brasilia è una città futurista, molto cara. Per me non ha un’identità ma per i brasiliani sembra essere l’unico posto vivibile sulla terra. Da Brasilia mi sono spostato in Cidade de Goias per poi approdare a Pirenópolis, patrimonio storico dell’Unesco, ricca di cascate, buon cibo, hotel di lusso o economici, per qualsiasi classe sociale». Quando è arrivato a Pirenópolis nel 2011, Ceribelli ha lavorato per un periodo in una Ong dove ha imparato la bioedilizia e la permacultura, scoprendo l’importanza di un’agricoltura sostenibile e di una gestione etica della terra. La sua prima abitazione se l’è costruita da solo. Poi nel novembre 2012 ha restaurato una casetta a 200 metri dal centro e l’ha trasformata nella pizzeria mediterranea Grano Salis. «Anche il forno a legna l’ho realizzato con le mie mani – dice –, merito di un passato ben attivo come geometra e muratore. Mi definisco un pizzaiolo autodidatta. Da quasi 20 anni faccio il pane in casa e penso che ogni giorno si scopra qualcosa di nuovo. Anche se ero un perfetto sconosciuto in poco tempo ho acquisito una buona clientela. Le mie pizze e i miei piatti sono semplici ma genuini. Ci tengo tantissimo al controllo di quello che viene servito perché il cliente deve rimanere soddisfatto e mi diverto a guardare la reazione delle persone dopo il primo morso. Sono l’unico italiano che fa la pizza a Pirenópolis e attiro l’attenzione del pubblico perché, a differenza delle pizzerie brasiliane che fanno una pizza precotta, apro l’impasto con le mani e lo metto crudo nel forno. Inoltre il mio piano di lavoro è a diretto contatto con il pubblico. Nel nostro menù ci sono circa 40 pizze, due tipi di lasagne, tagliatelle fatte a mano con una decina di sughi differenti. Preparo anche il pane pugliese nel forno a legna per fare le bruschette, succhi di frutta fresca e prodotti in conserva sottolio». Eppure, dopo tutti questi anni lontano da Bergamo e una serie di soddisfazioni, la sua terra d’origine avrà sempre un posto speciale nel suo cuore: «Quando parlo con i miei clienti e mi chiedono cosa più mi manca dell’Italia, rispondo sempre: i miei genitori, mio fratello e alcuni ingredienti che trovo solo a casa».
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a guida a una città? Legata alla bustina di un té. Per assaporare in maniera diversa l’atmosfera di un luogo l’idea innovativa è Narratè, un “tè narrante” che unisce due tradizioni millenarie, il tè e la lettura. Lo fa in modo originale, collegando una teabag, con miscele di alta qualità e ingredienti evocativi, a un libretto la cui lettura dura esattamente il tempo d’infusione, 5 minuti circa. Il progetto è composto da diverse linee editoriali e quella denominata Narraplanet è dedicata alle più importanti città italiane. Dopo quella di Milano, sono pronte le nuove uscite dedicate a Roma, Venezia e Firenze. I racconti che accompagnano le miscele esclusive sono di Michele Gnesotto (Venezia), Cristina Giuntini (Firenze) e Luca Notarianni (Roma), risultati vincitori del concorso nazionale di scrittura per Food souvenir culturali del 2015. Nei libretti sono inoltre presenti alcuni suggerimenti brevi, come la ‘Unusual Top Ten’ dei luoghi meritevoli, ma meno noti, da visitare in ogni città. A caratterizzare i prodotti sono anche l’assemblaggio manuale, realizzato dalla Cooperativa sociale La Bottega di Lissone e la stampa su carta 100% riciclata. Ad ogni città, quindi, la propria miscela e il proprio racconto: Milano, ad esempio, è definita «una pianta grassa con una scorza duretta ma, se hai la pazienza di cercarlo, un cuore morbido» e l’essenza che la rappresenta vuole trasmettere «ottimismo, energia e, perché no, un pizzico di eros». Per Venezia la scelta è andata a spezie e sapori esotici in virtù del ruolo di porta d’oriente che per secoli ha ricoperto, mentre il tè scelto per Firenze è articolato e prezioso e quello che racconta la Capitale «profuma di storia, magia e mistero».
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Due bergamaschi a Roma di Luciano Della Vite
Stregati dalla “Metamorfosi” colombiana Una stella Michelin, il locale guidato da Roy Salomon Caceres propone capolavori assoluti. È una tappa imperdibile per chi arriva nella Capitale
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una salsa rubino al peperone dolce, accompagnato da un etti una sera a cena a Roma. Metti due bergamaschi a sorbetto di guacamole, che evoca profumi sudamericani. zonzo per la Città eterna. Metti l’incontro casuale con Un piatto di inarrivabile perfezione, un’esplosione di colola “Metamorfosi”, un ristorante dall’ingresso minimalista ri e sollecitazioni papillari, con momenti di emozione allo ed invitante nel quartiere Parioli. stato puro, come raramente ti accade e solo con i massiEcco raccontato lo scoccare di una scintilla d’amore gami interpreti della cucina, che sanno toccare le corde più stronomico che ti strega e si rinnova ad ogni incontro. È recondite del piacere gastronomico. il regno di Roy Salomon Caceres, uno chef colombiano Pre dessert, dessert e post dessert sbalorditivi, originadall’insuperabile estro nel combinare i sapori, i profumi lissimi nell’accostare ingredienti che immagineresti inavdel suo paese con i piatti più famosi della cucina italiana. vicinabili, come lo stecco di Blu del Monviso ricoperto da Nascono così capolavori assoluti, quali l’uovo alla carbocioccolato fondente. nara, dove il monumento della cucina romanesca viene Il menù degustazione, 6 portate per 100 euro (o 10 pordestrutturato e ricomposto sotto forma di uovo, cotto a tate a 130 euro), è un autentico inno all’afflato creativo lungo, a 65°, in una vellutata spumosa di pecorino e di di questo giovane maestro colombiano che non si stanca croccante guanciale, con effetti cromatici e gustativi che mai di sperimentare, di approfondire e di osare l’inosasfiorano il sublime. bile con risultati che a volte raggiungono l’empireo del Assolutamente geniale è il risotto mantecato al Blu del gusto. Monviso, ricoperto da una sottile lamina di carne cruda Il servizio è veramente irreprensibile e premuroso. Grandi fassone, che conferisce al piatto una colorazione rosde classe dimostra il direttore di sala, il valenciano Juan so vivo e che si scioglie deliziosamente in bocca al primo Alberto Faus, grande conoscitore della nostra Franciaassaggio. Con l’effetto a sorpresa di una sapidissima corta, dove ha maturato preziose especrema al pistacchio Bronte colata al rienze di lavoro a fianco di Gualtiero centro del piatto. Marchesi. Inarrivabile la minestra di ravioli, con ripieno di zuppa di pesce, servita con Talentuoso il sommelier, il giovanissimo pesce crudo (gambero rosso, dentice, Paolo Avvalle che propone vini di nicchia cannolicchio) e cotto (seppia a bassa e autentiche rarità enologiche, propitemperatura e cozza morbida al vaziando matrimoni d’amore con i piatti pore), illiquidita da un brodo di pesce proposti dalla cucina. E certamente si giapponese ottenuto con l’Alga Kombu tratta di un’impresa non facile per la e il Katsuobushi, cioè lamine di tonno complessità delle creazioni di Cacers. esiccato, che conferisce alla preparaCome direbbe la Guida Rossa, la tavola, zione un quid ulteriore di raffinatezza. di per sé sola, vale il viaggio. Se poi ci Ma il piatto forte deve ancora venire: si trova già a Roma per lavoro o diporto, viene servito in tavola un trancio di non bisogna lasciarsi sfuggire una seracapocollo di suino iberico ricoperto da Roy Salomon Caceres ta da epicurei che si ricorderà a lungo.
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IL RICONOSCIMENTO
Il Premio Francesco Arrigoni 2016 va alla start up agricola “Maramao”
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l Premio Francesco Arrigoni 2016 è andato ai ragazzi della start up agricola Maramao ed è stato consegnato dalla moglie Antonella Colleoni, insieme ai figli e alla giuria, lo scorso 7 maggio nel monastero San Pietro in Lamosa di Provaglio d’Iseo. Oggi si parla molto di muri e purtroppo non ci si ferma alle parole: si costruiscono. I muri, per Francesco Arrigoni, erano le pareti verticali delle montagne che amava, muri creati dalla natura e non dagli uomini. Ci sono barriere visibili, fatte d’acqua, di mattoni, di fil di ferro, di steccati. E barriere invisibili, fatte di indifferenza, egoismo, ignoranza, pregiudizio. Sono le più difficili da abbattere e da superare. Nella quarta edizione del Premio Arrigoni - giornalista bergamasco morto improvvisamente a 52 anni - l’attenzione è caduta sui ragazzi di Maramao - start up alessandrina, con terreni tra Canelli e Calamandrana - perché la loro esperienza dimostra che è possibile ideare e realizzare con successo una cooperativa strettamente legata alla terra, che è di tutti e dove tutti hanno o dovrebbero avere il diritto, riconosciuto,
di lavorare e vivere con dignità. Dimostra che “Yes, we can” si può dire anche in dialetto piemontese. Dimostra che richiedenti asilo e rifugiati possono integrarsi nella nostra realtà, basta concedergli un’occasione. Dimostra che nella coltivazione dei pomodori non è obbligatorio lo sfruttamento. Dimostra che è possibile lavorare gli uni con gli altri e non gli uni per gli altri. Tra le vigne e i noccioleti, tra le insalate e le zucchine, si coltiva anche qualcosa di più prezioso: la speranza in un mondo migliore. Il premio, che ha cadenza annuale, viene assegnato il giorno del compleanno di Francesco, “a una iniziativa contraddistinta da una forte valenza etica”. Consiste in 5mila euro e un oggetto artistico realizzato da un allievo della scuola d’Arti e Mestieri F. Ricchino di Rovato. Tre le caratteristiche fisse dell’opera: un pezzo di roccia, a ricordare la passione di Francesco per la montagna e le arrampicate, un cuore a ricordare la sua generosità (fino all’espianto degli organi) e la sua passione civile. E qualcosa che spunta dalla roccia, forse una vite, per-
ché gli uomini possono morire, le idee no: sono come semi, portati dal vento o dagli uomini di buona volontà. L’autore dell’opera della quarta edizione è stato Massimo Signori del corso di scultura. Nella prima edizione, il 4 maggio 2013, è stata premiata Libera Terra, l’associazione nata con l’obiettivo di valorizzare territori stupendi ma difficili, partendo dal recupero sociale e produttivo dei beni confiscati alla criminalità organizzata per ottenere prodotti di alta qualità attraverso metodi rispettosi dell’ambiente e della dignità della persona. Don Luigi Ciotti ritirò personalmente il premio a Provaglio. Nel 2014 la scelta della giuria ricadde sui pescatori di Lampedusa sempre in prima fila, da anni, in una catena di solidarietà e coraggio che fa onore ai lavoratori del mare. In loro nome e rappresentanza, ritirò il premio il pescatoreassessore Vincenzo Billeci. L’anno scorso la giuria volle dare un riconoscimento al duro lavoro del casaro, sui pascoli di montagna e premiò una singola persona, anziché un’associazione o un gruppo, Guglielmo Locatelli di Vedeseta.
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IL NEGOZIO di Rosanna Scardi
Omar Buttinoni
Treviglio, apre “Leonardo” e guarda già al Canada
Omar Buttinoni, ex “Volo a vela” di Valbrembo, ha lanciato un nuovo alimentari con prodotti selezionati. Dopo l’estate raddoppierà con un franchising a Monza mentre sono in corso contatti per sbarcare a Vancouver
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uole creare una storia nel settore alimentare e ha deciso di partire da un negozio campione nella sua cittadina, Treviglio. Omar Buttinoni, 41 anni, ha aperto “Leonardo”, in via Verga, non una semplice gastronomia, ma un negozio che si basa sulla filosofia del mangiar bene e sano e che diventerà il marchio per i prossimi franchising, prodotti inclusi. Papà imprenditore nel settore farmaceutico e mamma psicologa, attiva nella mediazione familiare, il trevigliese vanta una lunga esperienza nel suo settore. A 24 anni gestiva la discoteca Stonehenge, in piena movida milanese, dedicando particolare attenzione alla ristorazione. Dopo quattro anni, è arrivata la svolta. «Cercavo un club più grande, ma è capitata l’occasione di occuparmi del ristorante “Il Capanno”, all’interno del Parco zoo della Preistoria a Rivolta
d’Adda, poi del “Volo a vela” a Valbrembo, scoprendo la mia vera strada, anche se non ho mai tralasciato il divertimento, organizzando eventi - spiega Buttinoni -. Con “Leonardo” ho voluto riscoprire le tradizioni e i sapori italiani, con materie biologiche da sempre, senza ogm, né conservanti». Nella bottega, dallo stile vintage e familiare, si trovano in mostra sugli scaffali passate di pomodoro, mieli, pesti verdi e gialli al curry, raffinatezze come la marmellata di corbezzoli o d’uva, ideale da spalmare sul pane per la colazione, per farcire crostate o preparare sorbetti, la grandina di manzo da consumare fredda in insalata, il riso integrale venere color nero e quello corallo, al radicchio e con salsiccia e fagioli. Per la frutta sciroppata ci sono i vasetti con uva e castagne. Svariati i legumi, considerati il cibo più prezioso, mentre vino e olio extravergine sono biologici e vanno a ruba. Nel banco frigo c’è la pasta fresca, prodotta dagli artigiani di un laboratorio, modellandola e richiudendola a mano: tortelli alla borragine, ravioli ripieni al salmone, alle noci e agli spinaci, fagottini al
cinghiale, oltre ai più comuni casoncelli, cappelletti, gnocchi, pappardelle, tortelli alla zucca caserecci, secondo un menù che viene integrato dalle novità in base alla stagione. Accanto, ci sono altre eccellenze di nicchia: le olive ammaccate del Cilento, le salse alle gocce di moscato, alle cipolle e ai mirtilli. Il prezzo è commisurato alla qualità. “Chi assaggia torna e la nuova clientela non manca mai», sorride Buttinoni che ha in programma l’ampliamento dell’offerta con paste fresche per intolleranti a lattosio, glutine e uova, oltre ai salumi. L’attività, inoltre, non si fermerà a Treviglio. Dopo l’estate è in programma l’apertura di un punto vendita in franchising a Monza e ci sono i contatti per sbarcare a Vancouver. «A richiedere la vera qualità italiana è la comunità di connazionali, i gestori per il Canada li ho già individuati, i prodotti avranno il marchio Leonardo e la pasta fresca sarà conservata sotto vuoto in modo da poter essere venduta entro un paio di settimane», anticipa. Anche se il sogno è un altro. «Essere presenti a New York, ci arriverò, un passo alla volta».
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il personaggio
“Pioniere” del Valcalepio, premiato Falconi di Villongo L’azienda, nata nel 1952, ha utilizzato il nome della Valle prima dell’arrivo della Doc e lo conserva. Al titolare Angelo il riconoscimento di Cavaliere “Al Merito della Repubblica Italiana” in occasione della festa del 2 giugno
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on orgoglio posso asserire di aver iniziato a 7 anni a pigiare con i piedi l’uva nei tini e di aver portato sulle spalle la famosa “brentina” e la “barile”». Parole di Angelo Falconi, titolare dell’Azienda Vinicola Valcalepio dei Fratelli Falconi di Villongo, che in occasione della Festa della 2 giugno è salito sul palco di piazzale Alpini a Bergamo per ricevere dalle mani del prefetto Francesca Ferrandino il diploma dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”, concessa dal presidente Sergio Mattarella, su proposta della presidenza del Consiglio dei Ministri, e assegnata quest’anno in totale a 9 bergamaschi, ai quali si aggiunge un’onorificenza di Ufficiale. Falconi è originario della frazione Collepiano del comune di Adrara San Martino, località già vocata per la coltivazione della vite. “Colplano”, in latino, è citata in un testamento redatto dal notaio Flaccadori e depositato presso l’Archivio notarile di Stato, che documenta di un lascito ai poveri di Adrara di due carri di vino da parte di un certo Bernardo Falconi nel 1533. La tradizione di operosità della famiglia Falconi come viticoltori sulle colline di Collepiano ha dunque radici lontane. Nel 1948 la famiglia al completo si trasferisce nel capoluogo, ad Adrara, e più avanti a Villongo. Nel 1952 i Falconi sono obbligati a fare la licenza di commercio pur continuando a coltivare la vite e a produrre vino con iscrizione all’Associazione Coltivatori Diretti.
Angelo Falconi con il vicesindaco di Villongo Danilo Bellini in occasione della cerimonia di consegna dei riconoscimenti
È in quell’anno che nasce l’Azienda Vinicola Valcalepio. Ricorda Angelo Falconi: «Ritiravamo il mosto di vino dai viticoltori della zona Valcalepio, essendo la nostra produzione, nonostante fosse cospicua, insufficiente ad accontentare la nostra affezionata clientela. È per questo che è nata l’idea di chiamarsi Azienda Vinicola Valcalepio. Fino alla nascita, nel 1974, del disciplinare della Denominazione di origine controllata abbiamo sempre venduto il vino con la dicitura Rubino di Valcalepio per il rosso e Fior di Valcalepio per il bianco». Precoce quindi l’intuizione della famiglia, che ha creduto nella vocazione vinicola della valle dalla quale provenivano le uve utilizzate per la vinificazione. L’Azienda ha potuto continuare a tenere in etichetta la denominazione di Azienda Vinicola Valcalepio dei F.lli Falconi ricevendo tramite decreto l’autorizzazione del Ministero dell’Agricoltura e Foreste di Roma. Angelo Falconi, 74 anni con oltre 50 di lavoro in azienda, è ancora impegnato in prima persona nell’attività, che ha sede sulla strada provinciale per i Colli di San Fermo e ora si dedica all’imbottigliamento e alla commercializzazione, forte di una consolidata clientela. Associata al “Consorzio Tutela Valcalepio”, è un’impresa storica e una delle prime vinicole bergamasche, premiata anche nel 2012 dalla Camera di Commercio di Bergamo con il Riconoscimento del lavoro e del progresso economico.
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Pagine di
Gola
a cura di Roberta Martinelli
D’ estate l’ultima cosa a cui si pensa è mettersi ai fornelli. Il palato però non va in vacanza. La soluzione? Ricette gustose e allo stesso tempo superveloci da preparare: centrifughe, estratti, succhi, insalate, zuppe fredde, e poi, gelati e sorbetti, ideali quando le temperature salgono. In questi cinque libri troverete proposte originali e inedite che vi faranno riscoprire il gusto del cibo sotto il solleone.
Il pasto nel bicchiere Per l’estate questa raccolta di frullati, estratti e centrifughe è fatta apposta. Le ricette sono preparate con cibi salutari e nutrienti, che rivitalizzano il corpo: frutta e verdure ricche di vitamine e di proprietà benefiche, ma anche qualche prodotto insolito come alghe, erbe, tè, spezie e integratori, che aiutano a rigenerare la mente e il corpo senza privare del carburante naturale. Clara Serretta
Centrifughe, estratti e succhi 281 pagine - Newton Compton
Idee per mangiare all’aria aperta Un libro per chi ama mangiare bene con ricette per tutte le diverse situazioni che si possono presentare d’estate: la necessità di arrangiarsi con quello che c’è, un’apericena sulla spiaggia, una cena in montagna, dopo la lunga passeggiata fino in vetta, il barbecue in campagna e il pranzo di ferragosto in città. E poi picnic, pranzi al sacco, merende sull’erba, partite davanti alla tv. Max Mariola
Lo chef in tasca. Ricette per l’estate 150 pagine - Laterza
Veloci con gusto Un libro originale pieno di ricette gustose che richiedono 10 minuti solo di preparazione e per tutti i gusti. Le ricette sono corredate da fotografie. E per ognuna è proposta la variante vegetariana o vegana. David Bez
Insalate 304 pagine - Il Castello
Il dolce freddo Il gelato è il dessert dell’estate per eccellenza. Grazie a questo ricettario ci si può divertire a creare una varietà di dolcezze artigianali: gelati, creme, sorbetti, granite, ghiacciate, dai gusti tradizionali a quelli più originali come il gelato al tè verde e il sorbetto di visciole. Non mancano le idee salutiste come i gelati biologici, i sorbetti leggeri e le creme a basso contenuto di colesterolo. Marilyn e Tanya Linton
200 ricette di gelati e sorbetti 283 pagine - Newton Compton
Dieci modi di fare la zuppa (estiva) Fredda, calda o ghiacciata, la zuppa disseta nelle lunghe serate estive. Dalla birra alle cozze, passando per la melanzana o la carota, ogni libricino di questa collana descrive dieci modi unici e inaspettati per dare nuova vita a un ingrediente e solleticare l’immaginazione. Michel Porfido
Le zuppe d’estate 24 pagine - Guido Tommasi Editore-Datanova
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Sostegno ai LAVORATORI Assistenza per figli disabili Contributo straordinario ai dipendenti in malattia/infortunio oltre il 180° giorno Concorso spese libri di testo, mensa scolastica e abbonamento trasporto pubblico per i figli dei lavoratori Concorso spese testi scolastici per lavoratori dipendenti pantone 3395C
Concorso spese asili nido
pantone 7725C
Concorso spese abbonamento trasporto pubblico ai lavoratori Spese sostenute per modello 730
pantone 2995C pantone 7461C
Sostegno alle IMPRESE pantone 1485C
pantone 3395C
pantone 166C
pantone 7725C
Formazione e apprendistato
pantone 2995C
Certificazione contratti di lavoro
pantone 7461C
D. Lgs 81/08 sulla sicurezza
pantone 1485C
Corsi sostitutivi libretto sanitario
pantone 166C
Promozione dei sistemi di qualità Concorso spese libri di testo, mensa scolastica e abbonamento trasporto pubblico per i figli dei datori di lavoro Incentivi alle imprese per l’assunzione di giovani disoccupati
www.entibilateralibg.it Enti Bilaterali di Bergamo via Borgo Palazzo, 137 - 24125 Bergamo - Tel 035.4120140 / 035.4120116 - Fax 035.4120110 info@entebilturbg.it | info@entebilcombg.it
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