Affari di Gola luglio 2013

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luglio 2013

Supplemento al n. 28 de “La Rassegna” del 18 luglio 2013 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60

in rassegna sapori, gusti e piaceri del territorio

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Agrì, la “perla” di Valtorta piace anche all’estero La proposta

Il prodotto

Tendenze

L’allevamento

Vini per l’estate, dieci bollicine a buon prezzo

La canapa? Stupefacente anche a tavola

Caprini, Bergamo vince la sfida della qualità

A Casirate i conigli crescono ascoltando musica classica


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luglio/AGOSTO 2013

Suppl ement via Borgo o al n. 28 de Palazz o 137, “La Rassegna” Berga mo Poste del 18 luglio 2013 Italian e S.p.A. Giuse Spedizione ppe Ruggi in Abbon eri diretto re respon ament o Posta sabile Editric le - D.L. e: La 353/20 03 (conv. Rassegna in L. 27/02/S.r.l. 2004 n.

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L’Agr foto di ì di Valtorta Alberto Peroli

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PENNA ALL’ARRABBIATA

Quella pizzeria invece della sagra, un “tragico” errore pagato a caro prezzo

la proposta

Vini per l’estate, la sfida del prezzo

12 il punto di vista

Sadler: “L’Expo è un treno che la ristorazione non deve perdere”

14 il formaggio

Il piccolo miracolo dell’Agrì Ora piace anche all’estero

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17 la novità

Canapa, stupefacente anche a tavola

20 l’azienda

“Villa Domizia” conquista il mondiale di Bruxelles

22 itinerari

La bella abbuffata nel bosco

24 il Prodotto

Il salame di Monte Isola: buono, ma se è “originale”

26 tendenze

Formaggi caprini, Bergamo vince la sfida della qualità

30 l’allevamento

“Erbica”, dove i conigli crescono ascoltando musica classica

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamo - el. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Michela Brivio, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

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Quella pizzeria invece della sagra, un “tragico” errore pagato a caro prezzo di Pier Carlo Capozzi

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state, tempo di sagre. E s’accende, come ogni anno, la polemica da parte di una fascia di pubblici esercizi, ristoratori in primis, che vedono in queste manifestazioni un pericolo tremendo per i loro guadagni e denunciano una concorrenza il più delle volte sleale se non truffaldina. Il nostro pensiero, al proposito, credo sia chiaro da svariato tempo. Gli organizzatori delle sagre si devono mettere in riga per quanto riguarda ogni attività normata da regole, dall’aspetto igienico-sanitario a quello amministrativo. Non a tutti è noto che è necessaria una denuncia di inizio attività per somministrazione di alimenti e bevande, con tutto quello (ed è veramente un elenco corposo) che ne consegue. Ne parlavo l’altra sera con uno degli organizzatori della Festa degli Alpini su a Costa Valle Imagna (quella dove si può gustare la mitica Salsiccia del Busti, con cipolle e pomodoro) e sono rimasto affascinato dal come mi descriveva la preparazione all’evento, dal possesso rigoroso del libretto sanitario per tutti gli addetti alla ricerca della copertura più igienica per il piano di cucina. La freschezza delle materie prime è addirittura fuori discussione. Ecco, a queste persone, a chi organizza così, tanto di cappello, anche se non sono Alpini. Ai miei amici ristoratori, invece, vorrei solo esprimere un concetto. Credo che chi esca per andare ad una sagra, o ad una festa, lo faccia con cognizione di causa: quello è il suo obiettivo di quella sera e, di conseguenza, il ristorante non perde assolutamente nulla. Occorre inoltre, a parer mio, tener presente che queste lamentele vengono da locali di fascia media: è impensabile che ristoranti “di altissimo ceto” possano soffrire la concorrenza degli spiedini o della frittura di alborelle da gustare sulla panca. E, particolare non trascurabile, può essere che, in questa stagione, la gente senta il bisogno di stare in compagnia, all’aria aperta, magari anche in mezzo a un po’ di casino, eventualità che, una tantum, pare faccia davvero bene allo spirito. Cercavo anch’io, qualche sera addietro, di ritrovare un clima del genere e mi sono diretto ad una sagra del pesce in un paese in riva al lago, di cui mi dicevano davvero bene.

Fortunati nel trovare parcheggio, in due ci siamo diretti nel cuore del tendone che, nonostante fossero quasi le dieci di sera, era assolutamente stracolmo. Guardando la fila di gente in attesa di dettare la propria ordinazione, mi sono spaventato un po’. E, gettando lo sguardo al di là dello steccato, ho intravisto una terrazza, dei tavoli e delle sedie che mi sembravano paesaggio decisamente più comodo. Ho cambiato itinerario sui due piedi e ci siamo infilati nella pizzeria adiacente. Dal rimorso per quella scelta sciagurata non ho preso sonno per alcune notti. Al momento non avevo realizzato che stavo tradendo il mio desiderio e il mio programma di partenza. La sagra. Ma sarebbe andata comunque benino se non ci avessero portato, nella pizzeria, i due antipasti Sagra del Pesce 1953 prima ancora di acqua e vino. Se non mi avessero messo in conto 2 euro a testa per il coperto, considerando che trattavasi di busta di carta contenente posate e tovagliolo. Se non ci avessero allungato le seconde portate (un primo per lei e un secondo per me, non male in verità) intanto che stavamo finendo gli antipasti. La cameriera non s’è neppure fatta venire il dubbio e ha lasciato tutto sul tavolo. S’arrangiassero, avrà pensato. Ci siamo fermati lì. A una minerale, mezzo litro di bianco scaraffato, due antipasti, un primo, un secondo, mezza insalata mista. Totale: euro 68,30. Mi sono chiesto a quanto saremmo arrivati con due frutte e due caffè, ma non ho avuto il coraggio di rispondermi. La lezione è stata durissima, forse eccessiva rispetto alle mie colpe, ma mi è servita e me ne ricorderò. L’anno prossimo. Ecco, questo per dire che se la risposta di certi ristoratori alla presenza Il conto delle sagre è questa, beh, non ci siamo proprio. In quanto a me, come accennavo, non ho dormito per due notti. Poi ho realizzato che quella pizzeria, invece di essere danneggiata dalla sagra, grazie alla mia dabbenaggine, ne aveva avuto beneficio. E non ho dormito anche la terza. piercapozzi@libero.it

penna all’arrabbiata

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La proposta di Giordana Talamona

Tra bianchi e bollicine è ampia la scelta di etichette dal buon rapporto tra costo e qualità. Abbiamo chiesto una mano a tre esperti del settore. Ecco i loro consigli

Vini per l’estate, la sfida del prezzo

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reschi, fragranti, sapidi, ma anche avvolgenti e profumati, con delicati sentori di fiori e frutti bianchi. Questo è l’identikit dei vini per l’estate, adatti per accompagnare piatti leggeri e delicati, proprio come la calda stagione vorrebbe. In lungo e in largo per la Penisola si nascondono piccole perle preziose adatte ad accompagnare le serate estive. La buona notizia è che per bere bene non occorre spendere un occhio della testa, basta saper scegliere. Ma nel mare magnum di vitigni, territori, etichette e produttori, per il consumatore medio non è facile orientarsi. In questi anni, complice la crisi, è stato rilanciato da più parti il concetto di rapporto qualità-prezzo dei prodotti. Di grande appeal per i consumatori, il concetto è un venticello che, co-

me quello di rossiniana memoria, è passato in questi anni di bocca in bocca, gonfiandosi a dismisura, senza che nessuno si sia preso la briga di chiarirne i parametri. Se il prezzo è l’elemento più facile da prendere in considerazione, quello di qualità è tra i più complessi, oggetto di un’ampia letteratura che ha tentato di individuarne le caratteristiche. Ma se le qualità oggettive sono più facilmente individuabili per alcuni prodotti tecnologici (ad esempio per un pc le caratteristiche principali sono il tipo di processore, la memoria Ram, l’hard disk ecc.), quando si entra del campo dell’edonismo, di cui i vini fanno parte, tutto si complica. Definire astrattamente quanto sia giusto pagare una bottiglia di vino, fatti salvi i costi e i margini di guadagno del produttore, diventa ancora più periglioso,

Il curatore della“Guida Oro - I Vini di Veronelli”

Brozzoni: “Meglio privilegiare etichette

“Freschezza dev’essere la parola d’ordine che caratterizza i vini per l’estate - spiega Gigi Brozzoni -, ideali per accompagnare dei piatti leggeri, come consigliano le alte temperatura”. Vini immediati, freschi, non troppo complessi, supportati da fragranza e buona sapidità. La prima indicazione di massima per trovare dei buoni vini, senza spendere cifre esorbitanti, è quella di orientarsi verso etichette non blasonate, prediligendo territori emergenti ancora poco conosciuti. “Abbiamo la fortuna di avere un territorio che si estende dal 38° al 46° parallelo, con una varietà di climi e vitigni che hanno prodotto molte perle in ogni regione.

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Gigi Brozzoni

In Alto Adige abbiamo molti vitigni internazionali, con una notevole escursione di prezzo, tra le diverse linee prodotte. Per questo consiglio, a chi voglia stare sui 10 euro a bottiglia, di rivolgersi alle principali Cantine Sociali scegliendo le bottiglie della linea base. Anche in Friuli, terra di grandi bianchi, si possono trovare vini eccellenti a prezzi contenuti. In questo caso occorre fare attenzione alla zona di produzione. Si passa dalle pianeggianti zone di Grave e Isonzo, caratterizzate dai costi di produzione più contenuti, a quelle del Collio e dei Colli Orientali del Friuli che, a causa delle pendenze, hanno prezzi più alti”.


luglio 2013 perché si rischia di entrare in un campo minato, fatto di etichette blasonate e territori storici che ne gonfiano il prezzo. L’unico modo per capire il giusto rapporto qualità-prezzo di un vino è quello di calarlo nella realtà. “Altrimenti rischia di rimanere un concetto astratto”, spiega Gigi Brozzoni, giornalista che cura la “Guida Oro - I Vini di Veronelli”. “Anche per questo è un concetto che non amo. È molto meglio spiegare al consumatore che vi sono vini di alcune zone che hanno prezzi diversi dagli omologhi provenienti da altri territori. Le voci di spesa che incidono possono essere diverse, ma spesso basta l’inclinazione delle terreno delle vigne a fare la differenza. Un buon vino coltivato in pianura, per esempio, ha un costo diverso rispetto a quello proveniente da una zona collinare, seppur dello stesso territorio”.

La soglia minima di prezzo

re, quindi, deve sostenere investimenti ben più alti, sia in termini economici che di spazio per lo stoccaggio delle bottiglie che riposano sui lieviti”, rileva Ivano Antonini, Miglior Sommelier Professionista d’Italia 2008. Se col Metodo Charmat, col quale si fa il Prosecco, è possibile produrre in pochi mesi migliaia di bottiglie, col Metodo Classico da rifermentazione in bottiglia occorre attendere almeno 18 mesi, tempo che sale vertiginosamente in base al disciplinare di produzione di ciascuna zona vinicola. “Per uno spumante Metodo Classico italiano si può spendere sui 15 euro in enoteca - continua Antonini -, per un Franciacorta le cifre tendono a lievitare. Questo dipende dal fatto che la Franciacorta è una zona di prestigio più quotata rispetto ad altre, su cui pesano fattori restrittivi dettati dal Consorzio che incidono inevitabilmente sul costo di produzione”. I prezzi si aggirano sui 14-18 euro per un Franciacorta non Millesimato, tralasciando i produttori più blasonati per salire ai 20-25 euro per un Millesimato.

Se informarsi è la parola d’ordine per il consumatore, esistono cifre indicative che possono venire in aiuto anche ai più sprovveduti. “Ritengo che sotto i cinque euro, in enoteca, sia ben difficile trovare vini di qualità - afferma Gigi Brozzoni -. Ci sono dei costi che devono essere necessariamente rispettati per coltivare bene le vigne, lavorare le uve in condizioni igieniche perfette, per poi produrre vini di qualità”. Una sostenibilità non solo ambientale, che rispetti il vitigno e il territorio, ma anche economica. “Ci sono Cantine Sociali che vendono sottocosto i propri vini - continua - salvo poi avere bilanci in rosso che vengono sanati dagli Enti Pubblici. Questi sono comportamenti sconsiderati, che un qualunque produttore privato non potrebbe mai permettersi”. Se a meno di cinque euro a bottiglia sembra impossibile acquistare vini di qualità, la soglia sale per gli spumanti Metodo Classico. “Rispetto a un Metodo Charmat da rifermentazione in autoclave, i tempi di produzione sono più lunghi. Il produtto-

non troppo blasonate” Ma non finisce qui, perché lungo tutto lo stivale si possono trovare delle interessanti chicche. “In Liguria, Toscana, Lazio e Sardegna dominano i Vermentini, freschi e fragranti. Nelle Marche troviamo la zona d’elezione del Verdicchio dei Castelli di Jesi e di Matelica, entrambi fini ed eleganti, mentre in Abruzzo sono state riscoperte le potenzialità di Passerina e Pecorino. In Campania dominano il Fiano, ricco e complesso, il Greco dalla spiccata freschezza e la Falanghina con la sua esplosione di frutti. In Sicilia il Grillo si sta rivelando il vitigno emergente di questi ultimi anni, con risultati produttivi molto interessanti”.

I rosé - Considerati fino a qualche anno fa degli ibridi senza personalità, i rosati italiani si stanno guadagnando una buona fetta di mercato in quest’ultimo periodo. “Sarà perché i produttori hanno imparato a farli bene e i consumatori ne stanno apprezzando gli sforzi - dice Brozzoni -, ma ci sono sempre più estimatori di questa tipologia di vino. I colori sono diventati più leggeri. Non si tratta di una mera questione cromatica, ma di una scelta produttiva che privilegia la freschezza e l’aromaticità di questi prodotti. Rispetto ai rosati del passato, più grassi e opulenti, i produttori stanno privilegiando la loro bevibilità e piacevolezza. I profumi sono diventati molto più accattivanti, virando ver-

so la rosa e il lampone”. Prodotti con un lieve passaggio sulle bucce, i vini rosati possono offrire un’invidiabile versatilità durante l’estate, accompagnando bene tutto il pasto. “Sono molto interessanti i Chiaretti del Bardolino o i rosati prodotti in Puglia, tornati in auge dopo un periodo di impasse”. I rossi - C’è poi chi, anche a 40°C, rimane fedele ai rossi. “In questo caso consiglio di indirizzarsi verso rossi leggeri, come un St. Magdalener dell’Alto Adige prodotto da Schiava Grigia, contraddistinto da buona freschezza e poca tannicità. Anche il Petit Rouge valdostano è adatto per l’estate, così come i vini dell’Etna, chiari e molto piacevoli”.

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La proposta

Spesa media 15 euro

I 10 spumanti per l’estate consigliati da Antonini

parla dunque di vini estremamente secchi, poiché non vengono aggiunti zuccheri in fase di dosaggio dopo la sboccatura.

● Spumante Ancestrale Rosso Rouge Effervescence Quattremilllemètres (15 euro in enoteca) Siamo in Valle d’Aosta e l’azienda in questione è un consorzio che raggruppa alcune delle produzioni a metodo classico. Tra le tante prodotte, consigliamo questo spumante ottenuto da uve Gamay con il metodo ancestrale, ovvero quella pratica che consiste di svolgere un terzo degli zuccheri in prima fermentazione in vasche d’acciaio ed i rimanenti due terzi in bottiglia.

● Spumante Brut Blanc de Noir Pinot Nero Il Montù (8-9 euro) L’Oltrepò Pavese è terra vocata per la produzione del Pinot Nero per la spumantizzazione. Piccola e storica cantina di Montù Beccaria, Il Montù produce questo Spumante particolarissimo da questo vitigno. Blanc de Noir identifica gli spumanti bianchi ottenuti da sole uve nere. 18 mesi sui lieviti prima della commercializzazione.

● Spumante Brut “Cuvée Tradizione” Orsolani 2007 (16 euro in enoteca) Siamo nel comune di Caluso (To) e questo Spumante è ottenuto da sole uve Erbaluce. 60 mesi di affinamento sui lieviti prima di essere messo in commercio. ● Franciacorta Dosaggio Zero Arici Colline della Stella (16 euro in enoteca) Si è già detto tutto sulla Franciacorta e sulla qualità dei suoi prodotti. All’interno di questa denominazione c’è l’azienda condotta da Andrea Arici che produce solo Franciacorta Dosaggio Zero, si

Ivano Antonini

● Alto Adige Talento Extra Brut Cuvée Marianna Arunda (17 euro in enoteca) Joseph Reiterer è uno dei più talentuosi spumantisti italiani. Produce vini con passione insieme a suo figlio Michael. Questa cuvée è dedicata alla moglie Marianna ed è ottenuto da Chardonnay e Pinot Nero da vigneti in Val Venosta. 48 mesi sui lieviti. ● Trento Brut Balter (15 euro in enoteca) La Doc Trento è una denominazione riservata solo agli spumanti metodo classico e quindi dà l’idea della valorizzazione che si vuole

Il Miglior Sommelier del Mondo 2013 Metodo classico, “anche Puglia e Toscana regalano sorprese” Il Metodo Classico in Italia, trainato dalle grandi produzioni di Franciacorta e Trento, ha migliorato enormemente la qualità media di produzione su tutto il territorio. Ogni zona vocata ha proprie peculiarità, ogni vitigno ha inclinazioni differenti per finezza, potenza o predisposizione all’invecchiamento. “La prima caratteristica di un buon Metodo Classico dovrebbe essere la piacevolezza. Le bollicine non devono essere grossolane, ma fini, accarezzando la bocca sorso dopo sorso - spiega Luca Martini, Miglior Sommelier del Mondo 2013 -. Lo spettro olfattivo dev’essere di grande elegan-

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za e complessità, mentre la vena acida che riporta al gusto, è la chiave di lettura di qualsiasi metodo classico: un passaporto per la sua longevità”. L’esposizione al sole, la brezza talvolta incuneata in dolci colline o in pendenze più decise, le caratteristiche geologiche e morfologiche del terreno, oltre ai differenti vitigni utilizzati, fanno esprimere gli spumanti Metodo Classico in maniera sostanzialmente differente, per caratteristiche organolettiche e piacevolezza gustativa. “Se fatto col Pinot Nero avremo uno spumante più grasso prosegue Martini -, con lo Chardonnay sarà più femminile


luglio 2013 dare a questa zona. Balter è un’azienda a conduzione familiare con Nicola Balter in prima persona a seguire il processo di produzione. Vino ottenuto da sole uve Chardonnay e 36 mesi di affinamento sui lieviti.

● Riesling Brut La Palazzola 2008 (16 euro in enoteca) Un Riesling metodo classico prodotto in Umbria? Certo, stiamo parlando di un ottimo prodotto dal vitigno e di una cantina sita a Vascigliano di Stroncone in provincia di Terni. 40 mesi sui lieviti. ● Verdicchio dei Castelli di Jesi Brut Cuvée Luigi Ghislieri Colonnara (17 euro in enoteca) Colonnara è una cantina sociale atipica, nata per volontà di 19 viticoltori con l’intento di dare valorizzazione al territorio attraverso il vitigno Verdicchio con prodotti di qualità. Oggi si contano 110 soci e questa Cuvée dedicata al presidente fondatore della cantina è uno dei vini più interessanti prodotti dal nobile vitigno marchigiano. 30 mesi sui lieviti. ● Spumante Brut Rosé Rosa del Golfo (15 euro in enoteca) Azienda storica del Salento, dove alla guida troviamo il giovane Damiano Calò il quale si trova a suo agio tra i filari di Negroamaro. Lo Spumante viene prodotto da circa sei anni ed il percorso qualitativo compiuto in questo breve lasso di tempo è davvero ragguardevole.

Spesa media di 10 euro

I 10 vini bianchi consigliati da Brozzoni ● Verdicchio di Matelica Azienda Agricola Bisci ● Verdicchio Castelli di Jesi Casa vinicola Piersanti ● Falerno del Massico bianco Masseria Felicia ● Soave Vigna Albare Portinari ● Gewurztraminer Cantina di Termeno ● Vermentino Toscana Azienda Agricola Russo ● Greco di Calabria Azienda Statti ● Grillo Zahara Casa di Grazia ● Timorasso Cantina sociale tortonese ● Vermentino ligure Colle dei Bardellini

● Spumante Brut Murgo 2008 (12 euro in enoteca) Chiudiamo questo percorso tra le regioni d’Italia con uno Spumante prodotto in terra di Sicilia da uve Nerello Mascalese. L’azienda prende il nome dalla zona dove si trova, condotta magistralmente dalla famiglia Scammacca. Uno dei più grandi prodotti per quanto riguarda il famoso rapporto qualità/prezzo. 24 mesi sui lieviti.

e fragrante, mentre se fatto da altri vitigni potrà avere un fascino tutto suo, in base al varietale”. Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, in zone vitivinicole totalmente differenti, esistono spumanti di grande livello che esprimono le caratteristiche della terra che le ha prodotte. “Un grande metodo classico viene fatto da grandi territori - aggiunge -. In Puglia, per esempio, c’è un ottimo spumante prodotto col vitigno autoctono Maruggio, dall’azienda Angiuli Donato, che costa meno di 15 euro alla bottiglia. Mentre in Toscana, la mia terra, non posso dimenticare degli interessanti metodo classico da Sangiovese vinificato in bianco o in rosè che, per struttura e personalità, possono abbinarsi addirittura alla fiorentina”.

Luca Martini

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La replica

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Le Signore della Valcalepio “il nostro unico interesse è la promozione del vino” gregio direttore,

desideriamo rispondere alla lettera pubblicata sul suo giornale Affari di Gola a pag. 11 nel numero di giugno 2013. Lo facciamo anche se non siamo solite dare chiarimenti o spiegazioni a chi si cela dietro un anonimato; segnale, a nostra opinione, di tiepido coraggio o scarsa convinzione delle proprie opinioni. Andiamo oltre la presunta “timidezza” di questo produttore di vino e vediamo di spiegare, non già di giustificare, la nascita delle Signore della Valcalepio. Dice che abbiamo scelto un nome pomposo? Saprà sicuramente il Nostro che il termine Signorina è stato accantonato anni fa su proposta di due parlamentari per essere sostituito dal termine Signora; inoltre non avendo più nessuna di noi 18 anni ed essendo tutte di sesso femminile, creda, non abbiamo trovato nulla di più adatto che il termine Signore. Continuiamo: il termine Valcalepio è stato scelto proprio per identificare una zona produttiva di vino che, ahimè, pochi o pochissimi conoscono, volutamente abbiamo voluto accogliere tutte coloro che di questa zona fanno parte indipendentemente dal tipo di vino che producono o dalla attività che svolgono, purché legata al mondo della produzione vitivinicola. Quello che ci interessa è far conoscere e diffondere il nome e la zona di produzione del nostro territorio, non tanto il singolo vino, tanto meno solo quello che producono le Signore; provenendo da Milano, ma è solo un esempio, quanta gente l’Anonimo produttore pensa si fermi in Valcalepio invece di proseguire oltre? Ha il nostro Anonimo pro-

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duttore mai visto cartelli che indichino al viaggiatore dove si trova la Valcalepio, per esempio lungo la A4 o altre strade che attraversano la nostra zona di produzione? Il Nostro, poi, non rimanga intimorito: la sua domanda dove arriveremo è corretta o voleva forse chiedersi dove arriveranno queste Signore? Si tranquillizzi Anonimo, il dove vogliamo arrivare è presto detto: ci preme che finalmente il vino della Valcalepio (e quindi anche suo e di tutti gli produttori) venga finalmente alla ribalta che merita, dato che tutti noi ci impegniamo per produrre vini che, ormai, sono assolutamente all’altezza di altre etichette italiane. Se poi l’Anonimo giudica la convinzione e la determinazione come negative, ci dispiace ma non ci tocca. Inoltre ci preme ribadire a coloro che ancora non l’hanno del tutto chiaro che le Signore non si pongono come antagoniste a nessuna delle istituzioni esistenti: tutte noi facciamo parte di molte altre associazioni e non per questo ci sentiamo di “tradire” nulla e nessuno. Anzi, le diverse competenze e professionalità di questo gruppo pensiamo possano andare a beneficio di tutti, lei caro Anonimo compreso. E poi, suvvia, non sia malizioso, il protagonismo personale non ci interessa, quello legato al successo dei vini suoi, nostri e di tutti gli altri, sì. Cordialmente Le Signore della Valcalepio Roberta Agnelli, Annamaria Belotti, Giancarla Bonaldi, Clara Bonazzi, Vanna Buelli, Luciana Cancelli, Patrizia Capoferri, Nives Cesari, Irina Cigolini, Elena Gatti, Cristina Kettliz, Rossella Masper, Elena Miano, Marta Mondonico, Daniela Rubis e Alessandra Vespasiano


IL personaggio

luglio 2013

Musica e confetture, le note di gusto di Ila

di Rosanna Scardi

La cantante genovese dal 2009 ha messo radici a Comun Nuovo. Qui produce le sue “chicche”, che vende anche durante i concerti, e tiene viva la sua “Love Kitchen”

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Ilaria Scattina

l suo motto è cambiare il mondo una nota alla volta. Ma potrebbe essere anche una ricetta alla volta. Perché il suono e il gusto non sono due mondi distinti per Ila, nome d’arte di Ilaria Scattina, artista sul palco (è stata protagonista anche a SanremOff) e in cucina. Trentacinque anni, genovese, vive dal 2009 a Comun Nuovo, dove ha posto le radici della sua band, The Happy Trees, gli alberi felici. E dove concepisce la “Love Kitchen”, rubrica contenuta nel suo blog “Little World” (http://ilamusic.wordpress.com), dal nome dell’album pubblicato nel 2011, dove pensieri, video e sapori si mescolano. “Per realizzare un buon disco, come un buon piatto, devi imprimere l’energia giusta - afferma Ila -. Chi ascolta o assaggia percepisce il flusso positivo e il risultato è ottimo”. Lo dimostrano gli ingredienti di una delle ultime ricette, il riso nero al salmone: riso, filetto di salmone, olive, cavolfiore, olio, peperoncino, aglio, pomodoro pachino e una buona dose di amore e attenzione. Le interviste con Ila si consumano proprio davanti ai fornelli e ai barattoli di confetture, sua specialità. C’è la pasta alla Ila & The Happy Trees a base di un pesto composto da rucola, grana, mandorle, aglio e olio condito da pomodori a pezzettini e il piatto forte, la

zuppa Zila. “In realtà, è un esperimento - racconta la musicista -. Quando arrivi ad aggiungere limone, pepe, alghe kombu a una zuppa di legumi, pensi di creare un miscuglio immangiabile, invece è la preparazione più copiata e apprezzata. Il segreto? Seguire l’istinto, combinare elementi che si legano

come note. Trovare l’alchimia magica, la stessa che ottieni quando scrivi le parole per una musica”. Lo stile non ha una collocazione geografica: “Non sono una cuoca da nouvelle cousine, alle raffinatezze preferisco i piatti rustici - ammette -. Un

giorno sono capitata in un ristorante nel piacentino. Essendo vegetariana non sapevo cosa ordinare, alla fine un baffuto signore mi ha portato delle ottime tagliatelle - ricorda -. Una volta a casa, ho creato la ricetta a base di pomodoro, aglio, peperoncino e panna. Anche se mi avesse dato i suoi ingredienti, avrei fatto di testa mia, ho bisogno di usare la fantasia, andare a ruota libera”. L’arte culinaria è una passione nata creando le marmellate “Scese dal pero”. “Ho un albero di susine selvatiche in giardino - dice Ila - e così oltre a scrivere canzoni, suonare ukulele e kalimba, ho cominciato anche a preparare confetture che vendo nei miei concerti, ad amici, parenti e che si trovano anche su Facebook”. Si va dalle classiche, di prugne, albicocche, fragole e pere, a quelle più particolari: “C’è la confettura alle cipolle di Tropea adatta per accompagnare i formaggi, quella ai peperoni e ai pomodori per i piatti di carne, le più sfiziose, mele e cannella, albicocche e rum o marsala, fino alle più elaborate di zucchine e carote”. Nessun limite alla creatività per questa artista. “Mi basta guardare fuori dalla finestra che dà sui campi di grano per trovare ispirazione per il mio suono agricolo e per i piatti che mi chiedono i fan”, conclude.

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Il punto di vista di Giordana Talamona

Sadler: “L’Expo è un treno che la ristorazione non deve perdere”

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sviluppate nelle precedenti edizioni, riBergamo, porta dell’Expo e stime parlano chiaro. Expo 2015 proponendo alla luce dei nuovi scenaLa fiducia sulle ricadute di Expo 2015 ospiterà quasi 22 milioni di visitatori globali il tema del diritto ad una alisono molto alte. Secondo l’indagine ri in sei mesi, un cifra che punta i rimentazione sana, sicura e sufficiente “Expo e imprese lombarde - 2013” flettori sulla necessità di riqualificare per tutto il pianeta. condotta dalla Camera di commercio le strutture ricettive della Lombardia. Progetto comune - In controtendi Monza e Brianza, che ha coinvolto Milano, che dispone di circa 70mila denza rispetto ad altri territori, le attivicirca 800 imprese lombarde, se a Mialloggi, non è in grado di ospitare da tà ricettive della provincia di Bergamo, lano un’impresa su quattro è convinta sola gli oltre 120mila visitatori al giorlegate alla ristorazione, sono cresciute dei benefici dell’evento internazionale, no che affolleranno i saloni dell’espodel 2% tra il 2011 e il 2012 e del 3,1% a Bergamo l’ottimismo sale addirittura sizione universale. L’offerta ricettiva negli ultimi quattro anni. Allo stesso al 46,8%. E non a caso. La provincia di si allargherà necessariamente alle modo stanno crealtre provincie e regioscendo le infrastrutni, che dovranno essere Il bistellato chef milanese: ture, in particolare pronte a offrire posti letto “Chi arriva dall’estero vuole conoscere nel territorio della e ristorazione di alto livelil nostro grande patrimonio culturale. Bassa, che diventelo. Da qui nasce la recenrà terra di passaggio te decisione dell’assessoPer questo occorrono una strategia definita per raggiungere Mirato al Commercio e al Tue una efficace comunicazione”. lano. Il potenziamenrismo della Regione Lom“Quanto all’enogastronomia, to dei collegamenti bardia di correre ai ripari della linea ferroviastanziando un fondo da l’innovazione va bene, ma senza stravolgere Milano-Venezia, dieci milioni di euro che la nostra tradizione, che va semmai rielaborata ria la costruzione della servirà a riqualificare alin chiave moderna, elegante e leggera” Brebemi e l’aeroporberghi e strutture turistito di Orio al Serio creche in vista di Expo 2015. eranno le premesse perché Bergamo Bergamo sarà, infatti, la porta naturaTra le altre proposte del programma, si trasformi in un centro nevralgico di le dell’Expo milanese per vicinanza, inanche la firma di accordi con alcune passaggio. Se le potenzialità non manfrastrutture ed eccellenze enogastroregioni confinanti come Piemonte, cano, quello che stenta a decollare è nomiche. La vocazione agricola della Veneto ed Emilia Romagna, per lanuna politica comune di promozione mibergamasca si inserisce perfettamenciare pacchetti turistici integrati. Un rata del territorio. te nel tema di Expo 2015: nutrire il visitatore di Expo 2015 potrà quindi Sadler - Bergamo ha le carte in regola pianeta. L’esposizione universale sarà scegliere un tour del nord Italia proper puntare all’Expo valorizzando anche uno straordinario evento che darà vimosso dalle Regioni, che spazierà la ristorazione, così pure Milano. A dirlo è sibilità alla tradizione, alla creatività e dalle Langhe piemontesi all’Oltrepò Claudio Sadler, tra gli chef più quotati in all’innovazione nel settore dell’alimenpavese, dal centro storico di Verona Italia, proprietario del bistellato Ristorantazione, raccogliendo tematiche già alla pianura emiliana.


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“Ristoranti dei Mille... Sapori” aperte le selezioni

Claudio Sadler

te Sadler, e di Chic’n Quick, la trattoria moderna dal conto “pop”. “Tuttavia - annota lo chef - siamo ancora lontani dall’aver definito una strategia mirata d’azione. Al momento, infatti, a due anni secchi dall’inizio dell’esposizione universale, nessuno mi risulta abbia contattato me o altri chef per informarci se saremo coinvolti in qualche evento, né tanto meno se sarà promossa una politica integrata tra i ristoratori. Lo stesso dicasi per gli altri colleghi che, a quanto mi risulta, non hanno molte più informazioni di me. D’altra parte, il nostro è un lavoro incessante che non lascia molto tempo per altro, tanto meno per la promozione di progetti integrati, che va fatta con l’intervento delle principali associazioni di categoria”. Tra i settori strategici su cui è bene puntare durante i sei mesi di Expo, Sadler non ha dubbi. “La comunicazione è un motore fondamentale, su cui consiglio di investire - afferma -. Oggi il settore è in profonda crisi, quindi capisco che non sia facile prevedere degli investimenti pubblicitari, ma occorre avere una visione strategica e lungimirante. È perfettamente inutile, infatti, creare degli eventi, se poi non vengono pubblicizzati o resi noti dai media. Il rischio è quello di fare un buco nell’acqua, di aver distribuito male le proprie ri-

sorse senza capitalizzarle”. E dal momento che il mercato italiano è esanime, Sadler consiglia di concentrarsi sugli stranieri. “Studieremo una comunicazione strategica rivolta a loro, che possa richiamare il meglio del made in Italy - continua -. Le persone che vengono dall’estero vogliono conoscere la cultura italiana, un patrimonio di tradizione e storia. In cucina l’innovazione va bene, ma senza stravolgere la nostra tradizione, rielaborata semmai in chiave moderna, elegante e leggera”. E su come affrontare la massa di turisti che affollerà Expo 2015, non si scompone. “Non sappiamo ancora che tipologia di clientela arriverà, se sarà popolare o di un certo livello - rileva - ma non sono preoccupato. Lavoreremo come di consueto, cambiando il menù ogni mese e mezzo. Non credo, infatti, che sarà un evento di proporzioni megagalattiche, che stravolgerà il nostro lavoro, sia per l’acquisto di materie prime, che per la gestione del turn over. I limiti strutturali di entrambi i locali non ci permetteranno, infatti, di raddoppiare o triplicare il nostro lavoro. Avremo, semmai, un ritmo più costante durante tutta la settimana e lavoreremo maggiormente come servizio di catering”. Insomma, la “risorsa” ristorazione avrà molto da fare.

Dopo il crollo di adesioni, dai 67 ristoratori del 2102 ai 25 di quest’anno, la Camera di Commercio di Bergamo torna a promuovere il marchio “Ristoranti dei Mille… Sapori” nella speranza di rilanciare tra gli operatori l’obiettivo di valorizzare e promuovere la cultura gastronomica, le produzioni e l’ospitalità del territorio bergamasco. Per il 2014 le domande di prima certificazione o di rinnovo vanno presentate entro il prossimo 31 luglio compilando il modulo scaricabile dal sito camerale. È previsto un costo di 100 euro (più Iva). Una volta superata la selezione, il ristoratore deve garantire un’offerta che preveda un “Menù della tradizione” stagionale, composto da antipasto, primo piatto, secondo piatto, dolce di produzione propria, pane Garibalda (sempre che sia disponibile in zona), vino Valcalepio Doc o Bergamasca Igt e acqua di produzione bergamasca; e un “Piatto della tradizione” che preveda un piatto unico accompagnato da pane Garibalda, vino Valcalepio Doc o Bergamasca Igt e acqua di produzione bergamasca. Il menù e il piatto della tradizione devono fare riferimento alla cucina tipica locale, rispettando la stagionalità delle pietanze, con particolare attenzione ai prodotti tradizionali a marchio “Bergamo, Città dei Mille… Sapori”. Il prezzo del Menù e del Piatto della tradizione va indicato comprensivo di coperto e servizio. Il ristoratore è obbligato a partecipare a due incontri di formazione che si svolgeranno a novembre.

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Il formaggio di Leo Bartoli

In pochi anni di vita, il gioiello caseario di Valtorta ha guadagnato larghi consensi. Grazie alle nuove tecniche di imballaggio e conservazione, è finito anche sulle tavole olandesi. Busi: “Comincia a piacere anche ai ristoratori, che lo utilizzano come ripieno per i ravioli”

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Il piccolo miracolo dell’Agrì Ora piace anche all’estero empo di export anche per l’Agrì. Da tutti è considerato una delle chicche più formidabili dell’enogastronomia locale, merenda ideale, noi lo sosteniamo da tempo, per un bambino che voglia assumere le necessarie quantità di calcio e calorie, salvaguardando la bontà ma senza arrendersi per forza alle merendine industriali. In pochi però avrebbero scommesso sulla crescita anche in mercati lontani del piccolo gioiellino caseario di Valtorta ancora lavorato a mano, non fosse altro per problemi di conservazione: anche se il piccolo vaccino, che ha le dimensioni cilindriche di un bon bon, è in grado di reggere maturazioni interessanti, la sua forza sta soprattutto nel consumarlo appena fatto, fresco, freschissimo, magari aprendolo in due e versandogli solo un goccio di olio extravergine e una spruzzata di pepe. Ora però le nuove tecniche sono in gra-

do di reggere l’urto anche sulle medie destinazioni: il resto l’ha fatto il prestigio e l’autorevolezza di Slow Food, che da tre anni ha inaugurato un Presidio che ha spinto molto il prodotto a livello promozionale, sostenendo anche gli sforzi della Latteria Sociale di Valtorta (quattro dipendenti), da sempre epicentro di tutta la produzione. Pur realizzando con ben altri volumi Formai dè Mut e in misura minore lo Stracchino all’antica, da oltre un anno le performance più brillanti le fa registrare proprio l’Agrì, che ha quasi raddoppiato la produzione (arrivando a superare i 50 mila pezzi annui) ed affacciandosi prima su mercati nazionali che non fossero i soliti approdi di Bergamo e Milano (dalla Toscana al Veneto, all’Emilia) e poi addirittura all’estero. È stata l’Olanda il primo approdo extraItalia del formaggino brembano, grazie

ai ripetuti ordini di alcune gastronomie e fromagerie di Amsterdam che da qualche anno richiedono i prodotti di punta garantiti da Slow Food: “Iniziamente era solo una scommessa, qualche piccolo quantitativo - spiega il presidente della Cooperativa Sociale di Valtorta, Silvano Busi -. Poi però il gradimento degli olandesi è continuato a salire e ora abbiamo una fornitura che supera il mezzo migliaio di pezzi al mese. È ancora un volume quasi simbolico, ma per un formaggio come il nostro, che non ha risorse per farsi pubblicità se non il passaparola di chi lo ha assaggiato, vuol dire già molto”. Per ovviare alle già citate criticità in fase di conservazione, alla Latteria Sociale hanno escogitato un sistema di imballaggio in scatole di cartone sigillate che accanto al prodotto prevede una cintura termica formata da sacchetti di ghiaccio, in grado di prolungare la freschezza del

Il commento

Dop, a volte prevale il «no grazie» L’Agrì continua a crescere, la sua fama travalica le Alpi, ma i ca-

sari che lo producono si guardano bene dal chiedere la Dop. Troppi vincoli, troppe spese, specie se accompagnate da un Disciplinare rigido, che anziché tutelare chi lo produce, rischia in tempi di crisi di avvinghiarlo in un abbraccio quasi mortale. Troppo facile fare gli esempi del lardo di Colonnata o dell’olio di Cartoceto per capire che il minuto dopo che arriva la Denominazione d’origine da Bruxelles, conquista peraltro di per sé assolutamente positiva,

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occorre mettere in moto, come Consorzio di tutela, una macchina organizzativa poderosa, capace di tener botta a livello di controlli e promozione, a una concorrenza sempre più spietata. Se ne sta accorgendo il Salva Cremasco che dopo aver penato tanto per arrivare all’agognato “sì” dall’Ue (il procedimento per la Dop è durato oltre tre anni), ora deve fare i conti con consumi non sempre in linea con le aspettative dei produttori. E poi c’è la politica dei prezzi: una Dop, essendo un marchio di garanzia che maggior-


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A Cheese riflettori puntati sui formaggi da salvare

Da sinistra: Luca Regazzoni, Silvano Busi, Primo Milesi e Abramo Milesi, presidente onorario e storico casaro della Latteria

prodotto: “A molti l’Agrì piace freschissimo e in questo modo garantiamo anche alla clientela olandese di gustare a pieno i suoi aromi di montagna - dichiara Busi -, anche se cominciano a essere parecchi gli estimatori del prodotto anche più stagionato”. C’è poi anche un altro versante, anch’esso finora inesplorato, che potrebbe dare altre soddisfazioni all’Agrì: “Alcuni ristoranti della zona - rivela Busi - stanno utilizzando il formaggio come ripieno per alcuni tipi di ravioli: li ho assaggiati e devo dire che è un esperimento interessante, ora l’importante è che non rimangano episodici”. La specificità di questa lavorazione è che è ottenuta da fermentazione lattica e non presamica, lavorata e “rollata” completamente a mano: in origine era stata pensata come “pasta base” per la vendita ai casaricaseifici di Valsassina, oltre il Passo di Ceresola, che ne avrebbero ultimato la lavorazione e veniva portata a spalla e a piedi da un corteo di donne che si faceva andata e ritorno oltre il crinale prealpino”. “Il rilancio di questo splendido formaggino attraverso il nostro Presidio - spiega Lorenzo Berlendis, responsabi-

le di Slow Food Lombardia - ha sortito un successo al di sopra di ogni aspettativa: i numeri delle vendite sono in continua crescita non più solo in Bergamasca o in Lombardia e il fatto che si comincia a parlare anche di ordini dall’estero ci riempie d’orgoglio. Un esempio importante di come le produzioni tradizionali, imperniate su un approccio sostenibile alle risorse locali, organizzate con una moderna rete promozionale e distributiva possono consentire di fare economia di pregio, possano dare nuove prospettive ai giovani del territorio”. Al boom dell’Agrì ha sempre creduto Beppe Stefanelli, responsabile del Presidio Slow Food dell’Agrì: dal 2010, anno in cui abbiamo cominciato a lavorare con il presidio, partendo da un disciplinare il più rispettoso possibile di una tradizione centenaria, il gradimento è sempre cresciuto. Oltre alla particolare lavorazione per un vaccino, che viene lavorato con la tecnologia del latte di capra e una coagulazione quindi molto lunga, il vero valore aggiunto dell’Agrì resta l’impastatura fatta ancora a mano, che gli dà una consistenza straordinariamente morbida e una finezza al palato unica”.

mente tutela i consumatori, giustifica un fisiologico aumento dei prezzi, ma dall’altra parte ogni socio del consorzio di tutela, almeno per i primi tempi, si vedrà aumentare le spese legate a tutta una serie di voci (adempimenti & investimenti) che prima era obbligato solo in parte a sostenere. Infine ci sono i volumi: capita spesso che appassionati richiedano prodotti di piccole Dop e si sentano sussurrare malinconicamente che la scorta è ormai finita: dif-

Sarà un’edizione di Cheese incentrata sui formaggi da salvare (l’Arca del Gusto) e sui sapori provenienti dalle Isole Britanniche, quella che si terrà a Bra (Cn) dal 20 al 23 settembre. Nei quattro giorni dell’evento saranno affrontati tutti i temi scottanti che riguardano il settore lattiero caseario: dal latte crudo ai fermenti, dai pascoli alle contraffazioni alimentari. L’Arca del Gusto è il progetto della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus che dal 1996 cataloga i prodotti simbolo delle tradizioni, della cultura e della storia dei cinque continenti. «A Cheese ognuno di noi sarà chiamato a portare il prodotto caseario ritenuto meritevole di salire sull’Arca con l’iniziativa Salva un formaggio! Solo così, infatti, si preservano razze, pascoli, paesaggi e saperi delle piccole comunità, spesso tramandati da generazioni», racconta Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia. Spazio quindi ai formaggi che rischiano di scomparire insieme alla cultura e all’identità di intere comunità. Dai Balcani alle Alpi svizzere, dal Kenya al Caucaso, dalla Valtellina al Belice, questi prodotti segnalati nell’Arca del Gusto o promossi grazie ai Presìdi Slow Food, sono veri e propri baluardi contro l’omologazione di sapori e aromi. Ospiti della manifestazione, le Isole Britanniche con i loro formaggi artigianali, creati recuperando antiche tecniche di produzione e restituendo i sapori autentici del territorio.

ficile dire a un turista giapponese o australiano di ripassare tra 15 giorni… Ci auguriamo che anche la nostra ultima Dop, lo Strachitunt, che sta muovendo i primi passi in questi mesi (con la norma transitoria valevole per ora solo per l’Italia, in attesa del via libera di Bruxelles), faccia tesoro dei piccoli e grandi errori sulle Dop che il mondo agroalimentare italiano ha pagato in questi anni a caro prezzo. (Al. Gh.)

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LA NOVITÀ

luglio luglio 2013 2013 di Anna Facci

La pianta sta vivendo un’eccezionale riscoperta in molti settori, compreso quello alimentare. Niente effetto inebriante, ma un concentrato di principi nutritivi benefici per la salute. Pasquarella: «Gli usi sono molteplici e il consumo è in netta crescita»

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Canapa, stupefacente anche a tavola n tempo erano vele e cordami delle navi, tessuti, carta, olio per l’illuminazione. Poi sono arrivati il petrolio, la chimica e l’utilizzo stupefacente-ricreativo, attraverso il fumo delle parti alte della pianta e delle resine, che ha innescato una forte spinta proibizionistica, fino a far scomparire in molti Paesi - compresa l’Italia che era uno dei maggiori produttori insieme alla Russia – la canapa dai campi. L’uso alimentare dei semi ha invece rappresentato un’ancora di salvezza nei periodi di carestia, essendo una pianta resistente e capace di crescere anche in condizioni difficili. Oggi, accanto ad una rivalutazione in ambito terapeutico dei cannabinoidi sulla quale medicina e farmacologia stanno lavorando e ad un più ampio movimento che vede nella canapa una chiave dello sviluppo sostenibile (dall’edilizia agli imballaggi, dai tessuti alla carta, alle biomasse), si stanno scoprendo (o riscoprendo) le virtù salutistiche in tavola. In questo caso il terreno è libero da precauzioni o pregiudizi (o entusiasmo per i fautori della liberalizzazione!), perché si parla di semi e prodotti derivati dalla loro lavorazione, che non contengono in partenza Thc, la sostanza responsabile dell’effetto psicoattivo. Sono semplicemente semi oleosi, come quelli di

sesamo, girasole, zucca ad esempio, che racchiudono però un concentrato interessante di principi nutritivi. «La riscoperta non è casuale, ma dovuta al riconoscimento dei semi di canapa come alimento capace di fornire elementi preziosi per il buon funzionamento dell’organismo», afferma Marcello Pasquarella, titolare di Exhemplara, azienda abruzzese specializzata nella vendita di alimenti biologici a base di canapa, che ha tenuto un seminario informativo e dimostrativo alla cooperativa Il Sole e la Terra di Curno. In cima alla lista ci sono gli ormai famosi acidi grassi polinsaturi essenziali, Omega 3 e 6, che devono essere introdotti con l’alimentazione perché l’organismo non è in grado di produrli, indispensabili per costruire le membrane cellulari e utilissimi per tenere a bada il colesterolo e prevenire le malattie cardiovascolari. «I semi di canapa sono anche gli unici a contenere il pregiato Gla (acido gammalinolenico) – evidenzia – e soprattutto presentano la proporzione ideale di 3:1 tra Omega 6 e 3, che rende bilanciata ed efficace l’assunzione. Sono inoltre ricchi di proteine e contengono tutti gli amminoacidi essenziali». Con una tale carta d’identità, non stupisce la leggenda secondo la quale Buddha si sia nutrito con semi

di canapa – si dice anche un solo seme al giorno - per sei anni prima di raggiungere l’illuminazione. Per godere dei benefici dell’alimento non è comunque necessario intraprendere la via dell’ascetismo. La rivalutazione ha attivato la ricerca di lavorazioni e ricette per introdurli con facilità nel quotidiano. Con i semi interi si possono realizzare in casa una tisana, il latte ed il “formaggio” o meglio una sorta di tofu detto hemp fu. «I semi decorticati possono essere utilizzati nel muesli a colazione, in un brodo in sostituzione

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La Novità

della pastina, nell’impasto del pane – spiega Pasquarella -, al posto del parmigiano sulla pasta, hanno un sapore nocciolato e fragrante che li rende piacevoli». Dalla spremitura a freddo si ottiene l’olio da utilizzare per condire a crudo e con il residuo della spremitura la farina, con cui ci si può sbizzarrire negli impasti per alleggerire il contenuto di glutine e introdurre preziosi nutrienti. Nella linea Exhemplara ci sono anche spaghetti, penne, semi tostati salati o piccanti da utilizzare come snack, semi caramellati, barrette, cioccolata, una salsa e, ultima arrivata, la birra. «Per quanto ci riguarda, utilizziamo canapa sativa biologica proveniente dal Nord Europa – dice l’imprenditore -, altre aree di produzione sono il Canada, la Cina e l’Africa. In Italia la coltivazione è concessa solo in via sperimentale con una serie di

vincoli stretti e responsabilità. Anche nel caso di un via libera alla coltura si dovrebbe ricostruire tutta la filiera, a cominciare dalle macchine apposite per la mietitura che al momento ci sono solo all’estero. È un peccato, ma anche un paradosso, perché se è vero che si possono avere opinioni differenti sull’uso della cannabis, non mi sembra abbia molto senso vietare una pianta». Intanto il mercato alimentare è promettente. «Abbiano creato l’azienda tre anni fa dopo aver constatato il crescente interesse verso questi prodotti, che ricercavano noi per primi per il nostro consumo – racconta Pasquarella –. Trattandosi di un settore agli albori, la crescita è forte, si inserisce comunque nel quadro generale di tenuta dei consumi del biologico e dell’attenzione alla qualità del cibo, pur di

In casa si può preparare il “formaggio”

fronte alla crisi». La facile associazione alla sostanza stupefacente è un ostacolo o conferisce, al contrario, maggiore notorietà? «L’unica discriminante è l’informazione – dichiara -. Quando si hanno le notizie corrette sulle caratteristiche e le proprietà dei prodotti, scegliere diventa facile. Per questo accompagniamo sempre le nostre confezioni con spiegazioni dettagliate sugli scaffali e in etichetta, è una nostra precisa linea di azione». Quanto ai prezzi, 250 grammi di semi, ossia la versione base del prodotto, sono venduti dalla Cooperativa a poco più di 3 euro. «I costi sono alti – evidenzia – perché sono referenze di nicchia, per nostra scelta aziendale abbiamo però deciso di condividere con i clienti e i consumatori finali le economie che riusciamo a realizzare, a partire dai contratti di approvvigionamento».

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Con pochi gesti e in poco tempo è possibile realizzare in casa il formaggio di canapa, che vero formaggio non è, come il tofu ricavato dalla soia, ma contiene proteine e lipidi (da qui il paragone con i latticini), dell’ottima qualità contenuta nel seme di canapa. È chiamato anche hemp-fu. Ecco come Marcello Pasquarella, titolare di Exhemplara, ha suggerito di prepararlo. 1) Si frullano per circa 2 minuti 100 grammi di semi di canapa in un litro d’acqua. 2) Con un canovaccio si filtra separando la parte solida (che si potrà utilizzare per nutrire le piante) dal composto lattiginoso che viene trasferito in una pentola con l’aggiunta di un altro litro di acqua, salato e portato a bollore. 3) Con l’ebollizione, una parte del composto precipita formando una massa solida che si può scolare con un colino. L’unica attenzione è non attendere troppo dal momento in cui il composto comincia ad aggregarsi perché la prosecuzione della bollitura fa sciogliere nuovamente il prodotto nel liquido. 4) Il risultato è una sorta di ricotta, che può essere consumata subito, per una cena veloce accompagnata da verdure, o essere conservata in frigorifero, magari nei cestelli per la ricotta che fanno scolare la parte liquida. L’ hemp-fu si può spalmare, aromatizzare, utilizzare come ingrediente, con la soddisfazione di aver prodotto da sé un alimento innovativo e salutare.

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Marzio Barcella lavora al Fuorirotta ed ha lanciato, con successo, cocktail con latte di canapa

Marzio Barcella. Il cocktail che mostra è preparato con pera, pesca, fragole e latte di canapa. Viene servito con una piccola macedonia che fa da tappo e decorazione, fatta con gli stessi ingredienti, compresi i semi di canapa, in versione solida

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a canapa non è rimasta confinata nella cerchia di chi nel cibo ricerca prima di tutto salute e benessere. Si è fatta largo anche nel fuoricasa, in quei luoghi che sono sinonimo di compagnia, svago, piacere per il palato, dove i problemi di colesterolo e dintorni si tende più che altro a dimenticarli e Omega 3, 6 e apporto proteico non sono certo i principali temi di conversazione. Marzio Barcella, barman 35enne, da quattro anni al Fuorirotta di Gorle, prima al Quinto Vizio di Dalmine e sulle spalle l’intera gavetta nel settore, ce l’ha fatta a trasferire dietro al bancone l’interesse per l’alimentazione sana che lo ha portato a scoprire circa un anno e mezzo fa le virtù dei semi di canapa e ad inserirli stabilmente nelle abitudini di famiglia. Oggi Internet parla dei suoi cocktail con latte di canapa e lui è diventato un riferimento per chi vuole saperne di più sul prodotto e il suo utilizzo. Collabora anche con Equilibrium Nutraceutica, ramo dedicato alla promozione dell’uso alimentare della canapa nato in seno all’azienda lecchese di bioedilizia Equilibrium, che produce biomattoni a Castelli Calepio e punta alla rinascita dell’intera filiera della canapa. Come mai ha deciso di utilizzare il latte di canapa nei cocktail? «Già dal 2005 preparo drink naturali realizzati con centrifugati freschi, sono proposte sempre più apprezzate, soprattutto con l’inasprirsi dei limiti del tasso alcolico per chi guida. I cocktail analcolici sono anche quelli che permettono di esprimersi di più nel creare sapori nuovi, a differenza di quelli alcolici, dove la scelta dei clienti cade di solito su un ristretto numero di classici. Il latte di canapa mi offriva la possibilità di aumentare il potenziale effetto benefico delle bevande, introducendo le vitamine liposolubili, lipidi preziosi come gli omega 3 e 6 e proteine, insomma di andare oltre i multivitaminici».

Il barman: «Ho dato una marcia in più ai miei drink» Come l’hanno presa i clienti? «I cocktail con latte di canapa non sono inseriti nella lista, li propongo al banco in primo luogo per una questione di organizzazione del lavoro. Il locale è grande, 400 posti, sarebbe difficile in questo momento prevedere di soddisfare tutti: un conto, per intenderci, è preparare un centrifugato, un altro aprire una bottiglia di succo di frutta. Il rapporto diretto con il cliente al banco permette inoltre di spiegare meglio le caratteristiche del prodotto. Niente di troppo pesante, naturalmente, cerco di dare un input, non tutti hanno voglia di riflettere sull’alimentazione o lo ritengono un fatto importante, va bene così, al bar ci si va soprattutto per rilassarsi, divertirsi. L’uso della canapa accende comunque la curiosità, anche per il rimando alla sostanza stupefacente, e poi, al di là di tutti i discorsi, i cocktail piacciono…». C’è qualche ricetta che si è affermata? «Tra i più richiesti ci sono il cocktail con ananas, banana e latte di canapa e quello con fragola, pera e latte di canapa. Il più delle volte, però, la ricetta nasce nel momento stesso in cui il cliente ordina, mi dà solo qualche indicazione, “qualcosa di dissetante”, “di energetico”, “fai tu”». Prepara da sé il latte di canapa? «Sì, partendo dai semi decorticati, frullandoli con acqua e poi filtrando l’emulsione. Per avere sempre un prodotto sempre fresco lo preparo ogni tre giorni». Essendo un ingrediente poco diffuso, sono cocktail più costosi? «Un sacchetto da 250 grammi di semi decorticati costa 7.50 euro e mi basta per preparare il latte per tre settimane, è una spesa che non va ad incidere più di altre sul costo finale». In quali altri modi utilizza i semi di canapa? «È un po’ come avere a disposizione della granella di nocciole. Li uso nel pesto invece dei pinoli, migliorando il potere

nutrizionale, sulla pasta condita nelle maniere più diverse, ho realizzato anche una variante del gomasio (condimento di origine giapponese che si prepara con sale marino e sesamo tostato ndr.) e poi c’è l’olio per condire a crudo». Visto che è diventato un vero appassionato, con quale frequenza mangia la canapa? «Tutti i giorni. E per i miei bambini la merenda con il centrifugato è diventata ormai un rito». Non c’è il rischio di esagerare nelle dosi? «Non direi. Certo si deve considerare che la canapa contiene grassi e quindi si deve porre la stessa attenzione che si ha, ed esempio, nell’uso dell’olio di oliva, che fa bene, ma ha anche una certa dose di calorie. Ecco, l’accortezza è semmai quella di ridurre gli altri grassi». Ha avuto modo di verificare effetti positivi sulla sua salute? «Da due anni a questa parte non ho mai avuto neanche un raffreddore». Lei è vegetariano... «Lo era già mia moglie e per comodità nella gestione familiare ho pensato di diventarlo anche io quando ci siamo sposati. Ma l’ho fatto solo quando sono stato sicuro di non perdere, rinunciando alla carne, nutrienti importanti. La canapa è senz’altro un valido sostituto per la qualità delle sue proteine e si inserisce bene una scelta di vegetarismo, senza dimenticare altre fonti come i legumi e i cereali integrali». Non teme che la rivalutazione della canapa sia solo un fatto di moda? Anche altri prodotti, vedi l’aloe, sembravano l’ingrediente magico e per un certo periodo sono stati utilizzati in tutto, poi il fenomeno si è ridimensionato. «Ciò non toglie nulla alla validità dei prodotti, l’aloe resta eccezionale. Ma nessuno stile alimentare e di vita si può basare su un solo prodotto».

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L’azienda

Il “Gaudes Riserva 2007” ha appena ottenuto la medaglia d’argento al concorso internazionale. Un riconoscimento che si aggiunge a quello incassato a “Emozioni dal Mondo” nel 2011 e che premia la filosofia promossa dalla 4R di Torre dÈ Roveri guidata dai fratelli Rota

“Villa Domizia” conquista il mondiale di Bruxelles

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illa Domizia è il segno distintivo attraverso cui i fratelli Rota interpretano, con passione ed esperienza, il desiderio di rivalutare i vini del territorio lombardo. Un desiderio che parte da lontano. Risale infatti ai primi anni Novanta l’idea di valutare l’ipotesi di creare una linea apposita di vini che riuscisse a comprendere al meglio questo sentimento. L’ipotesi diventò realtà dopo alcuni anni di ricerche ed investimenti. E oggi la sfida legata al mondo enologico bergamasco dei fratelli Rota porta il nome di Gaudes (dal latino, “godere di qualcosa”), nome dedicato ai propri vini Valcalepio prodotti dal 1995 sotto il marchio aziendale Villa Domizia. Il segreto di per sé è semplice: s’è interpretato al meglio l’arte francese del selezionare e mettere insieme, arricchendola con il buon gusto italiano.

Dalla sapiente unione di due vitigni alloctoni come Merlot e Cabernet, coltivati sulle colline bergamasche, è nato un taglio bordolese, originale e ruffiano, che gode anche della denominazione di origine Valcalepio. Un primo riconoscimento internazionale è arrivato dalla settima edizione del concorso enologico internazionale “Emozioni dal Mondo” del 2011: il Valcalepio Rosso Doc Gaudes 2008 “Villa Domizia” ottiene il premio della stampa quale miglior vino a taglio bordolese presente al concorso. Al suo fianco la versione in bianco ottenuta a sua volta da altri due vitigni alloctoni: Pinot e Chardonnay. «Questa sfida vuole sostenere che i prodotti enologici bergamaschi - affermano i fratelli Rota - possono ambire a molto più di quanto oggi il mercato riserva loro. Non per diritto ac-

La scheda Gaudes Riserva 2007 Valcalepio Doc Uve: Merlot e Cabernet Enologo: Sergio Cantoni Agronomo: Giovanna Cattaneo Vinificazione: in purezza, in primavera viene effettuato il taglio Affinamento: 36 mesi in botte + 30 mesi in bottiglia Colore: rosso rubino con riflessi granati Profumo: sentori di frutta a bacca rossa, con delicate note speziate Sapore: giustamente tannico, persistente, sapido Gradi: 13% vol. Abbinamenti: carni rosse, arrosti, selvaggine, formaggi

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luglio 2013 quisito, bensì perché la fascia collinare bergamasca offre situazioni uniche ed importanti e spetta solo al mondo imprenditoriale sfruttarla al meglio. L’enologia bergamasca è giovane e piena di risorse. La difesa ad oltranza del territorio deve essere condivisa e sostenuta da tutti i produttori ed enti interessati: solo in questo modo riusciremo a creare quel valore aggiunto che la Bergamasca merita». Con questa premessa, i vini più interessanti per Quattroerre non potevano che essere quelli della propria regione: la Lombardia. La sede dell’azienda, a Torre dÈ Roveri, del resto, si trova proprio in una delle zone più tipiche per la produzione dei vini Valcalepio Doc e Colleoni Doc. A fianco di Gaudes non poteva mancare una linea per un consumo giovane e informale: ecco la rivalutazione di Cuvè Zerotre. Bianco e rosso sono entrambi prodotti grazie all’assemblaggio di tre vini (da qui il nome). Il bianco è l’unione di Pinot, Chardonnay e Moscato giallo. Il rosso è prodotto con l’unione di Merlot, Cabernet e Franconia. Quando un vino è riconoscibile, equilibrato e facile da bere viene definito piacevole ed è la piacevolezza la dote più apprezzata in un vino. Quelli più apprezzati diventano vini di successo. Questo è il semplice segreto dei prodotti Villa Domizia. Segreto diventato di dominio cosmopolita grazie alla medaglia d’argento ottenuta con Gaudes Riserva 2007 al 19° Concorso Mondiale di Bruxelles tenutosi a Bratislava (Slovacchia) dal 10 al 12 maggio scorsi, davanti ad una selezione di grandi professionisti dal mondo intero: ben 305 degustatori provenienti da 40 nazionalità diverse, hanno lavorato per giudicare l’insieme dei campioni presentati, oltre 8.300 provenienti da 50 Paesi.

E con il vino alla spina parte lo sbarco in Oriente Un piano di sviluppo dedicato all’export di vino e birra artigianale in fusti monouso di nuova concezione, che permettono più efficaci azioni di presenza sui mercati internazionali. Parte con questi presupposti il Progetto export della 4R, già avviato e suddiviso in più fasi. Il piano dell’azienda di distribuzione bevande di Torre dÈ Roveri prevede l’individuazione dei mercati più interessanti partendo dalla prima area di consumo che resta l’Asia-Pacifico, insieme al mercato domestico europeo e a quello nordamericano. Per affrontare questa nuova sfida è stata creata una linea apposita di vini, utilizzando parte del patrimonio enologico dell’azienda. Quattro le tipologie: due vini bianchi e due vini rossi. Per i bianchi si punterà su un vino fermo a marchio “Brugali” e un vino frizzante a marchio “Villa Erica”; stessa soluzione per i vini rossi.

Villa Domizia 4R via Marconi, 1 Torre de’ Roveri tel. 035 580701 - fax 035 580782 www.villadomizia.net www.quattroerre.com

La Medaglia d'Argento Gaudes Valcalepio Rosso Riserva Villa Domizia 2007 Lombardia DOC

4R Srl

Spiega il presidente della 4R, Giampietro Rota, che “l’obiettivo è proporre vini genuini, di giusta gradazione, con la massima attenzione ai prezzi. Le esigenze legate però alla logistica e alla distanza geografica con i probabili Paesi di destinazione, hanno da sempre rallentato lo sviluppo di questo mercato all’estero. Grazie ai contenitori innovativi realizzati dalla PolyKeg srl di Grassobbio, queste problematiche sono state risolte. È quindi possibile dar vita al piano di sviluppo legato a prodotti che da sempre rappresentano il nostro core business”. L’innovativo recipiente monouso, eco-friendly e totalmente riciclabile, è stato progettato e realizzato dalla PolyKeg srl di Grassobbio. Esso garantisce una protezione del contenuto, un’elevata pressione di esercizio, stoccabilità, maneggevolezza e resistenza agli urti. Se il vino alla spina in contenitori PolyKeg rappresenta il presente, il futuro sarà dedicato anche al mondo della birra. “Grazie al progetto Birrificio Nazionale, nato all’inizio del 2011, entro pochi mesi - anticipa il presidente - saremo in grado di completare il nostro paniere di offerta anche con una birra speciale artigianale italiana, posizionandoci tra i primi esportatori di questo segmento”.

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itinerari di Pier Carlo Capozzi

La bella abbuffata nel bosco Due proposte molto diverse, vicino a San Tomè e sopra Lecco, per chi volesse abbinare un’esperienza gastronomica con sapori e porzioni d’altri tempi alla piacevolezza dell’ombra protettiva della natura, in un panorama di assoluta tranquillità. Vivamente consigliato a chi desiderasse, anche soltanto per qualche ora, sentirsi in vacanza a pochi chilometri da casa

LECCO

Osteria Belvedere Montalbano, la felicità a portata di mano Questo è un indirizzo per amanti dell’avventura (e Camilleri stavolta non c’entra) e dei sapori forti. E per chi vuole scappare per mezza giornata dalla quotidianità. Dal centro di Lecco dovete percorrere cinque/sei chilometri seguendo le indicazioni Valsassina sulla statale 62: la direzione è quella di Ballabio, ma nessuno lo segnalerà. Attenzione che il navigatore non potrà esservi d’aiuto. Dopo parecchi tornanti, oltrepassato il cartello che in alto segnala Lecco a chi scende, sulla destra di una curva troverete il pub “Big Apple” desolatamente chiuso. Subito a destra c’è l’imbocco di una strada sterrata che, dopo un chilometro e mezzo di bosco di castagni, tigli e betulle, vi porterà all’Osteria Belvedere Montalbano, una struttura rustica nascosta dal verde che, dai suoi seicento metri d’altitudine, regala la superba vista di uno spicchio di lago. Dentro è tutto molto semplice, dagli arredi in legno alle tovagliette di carta. Vi accoglierà Maurizio Bonfanti, socio-patron insieme allo chef Fabio De Rocchi: fatevi condurre

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Almenno San BArtolomeo

Antica Osteria Giubì, il “km 0” l’hanno inventato qui Alla piacevolezza di sempre, come il trionfo del glicine all’ingresso, adesso si può anche aggiungere l’asfaltatura nuova di zecca di via Cascinetto, quasi un tappeto che vi porta a destinazione. Dal rondò dell’arco romanico di Almenno San Bartolomeo, passando davanti al Museo del Falegname, si arriva all’Antica Osteria Giubì dal 1884, anno in cui Tommaso Locatelli, detto Bepo, aprì proprio un’osteria “con uso di cucina”, dopo una vita dalle parti del Generale, da cui il termine “Giubì”, la giubba rossa dei garibaldini. Attualmente il Giubì è nelle mani salde di Beppe Locatelli, patron in sala, e dei fratelli Giuliano, lo chef indiscusso, e Gabriele, che si occupa dei dolci. Tutti sono cresciuti sotto la guida, amorevole e severa, di mamma Maria, depositaria delle ricette e della tradizione, che è volata via nel 2007, lasciando in eredità anche il garbo nell’accogliere l’ospite. La sala interna è piacevolmente rustica, con tovaglie che ricordano la Provenza, piatti decorati alle pareti, fiori a centrotavola e un angolo col camino ambitissimo nelle fredde serate invernali. A pranzo è previsto un menù a 25 euro con due portate, un dolce, il caffè e un bicchiere di vino. A cena scordatevi la lista, dei cibi e dei vini, perché le danze le conduce Beppe. Sotto il gelsomino, vi arriverà al tavolo un piccolo tagliere con i caprini, a volte qualche pepita di parmigiano stravec-

con fiducia in un percorso di cucina, con richiami valtellinesi, dai risvolti sorprendenti. Non mancano mai i “Tagliolini con funghi porcini, bresaola e tartufo”, da abbinare, se volete, a un assaggio di “Gnocchi (sofficissimi) con zola, rucola e noci” e uno di “Raviolone di grano saraceno con ripieno di formaggio magro”. Sapori decisi, ma molto ben equilibrati, pregio che ritroveremo tra i secondi: “Tagliata di roastbeef con radicchio trevisano e zola”, tenero “Coniglio al forno con polenta”, stuzzicante “Goulash di manzo” oppure “Cervo in salmì”. Nei dolci c’è la tentazione di una “Crostata con crema pasticcera e Nutella”, buona, ma il primo premio se lo prende la “Tarte Tatin di mele con gelato al fiordilatte”. La carta dei vini è discretamente vasta e, dopo il caffè, Maurizio sarà disposto ad offrirvi

chio, il tutto accompagnato dai lamponi dell’orto e dalle confetture di more di gelso o di mosto d’uva. Confinante con l’Osteria e gestita da Giuliano Locatelli, c’è infatti l’azienda biologica di famiglia, il Cascinetto d’Agro, che produce vino, salame, coppa, pancetta, piccoli frutti e buonissime confetture. Tutte le verdure, inoltre, arrivano dall’orto. Il chilometro zero l’hanno inventato qui. La seconda portata del “Gran Menù” sarà un altro tagliere con polpettine di chianina, di magro, salvia fritta da record, crostone di lardo, melone dolce avvolto nel Prosciutto di Parma, salame, coppa e pancetta. Nel frattempo avrete ordinato da bere e sarete cascati bene perché quella di Beppe è considerata da Class una delle dieci cantine meglio fornite d’Italia: 2.800 etichette di vino, 240 tipi di Champagne e poi grappe, whiskies, rhum e cognac a profusione. Tra i primi segnaliamo i Ravioli estivi di magro, le Foiade con cicorietta e parmigiano, gli Gnocchetti con pomodoro e cipollotto. Poi una Vitella tonnata con capperi di Pantelleria, il Gran Piatto del Parroco (frittura di verdure, agnello, vitello e maiale), il Fegato con cipolla di Tropea, il Salmerino del lago di Como. Sfogliatina di lamponi o Sorbetto di fragola e mentuccia precederanno il caffè, rigorosamente preparato nella moka. Scucirete 50 euro più il vino, ma ne sarà valsa la pena. Sarete ninnati dal canto dei grilli, sentirete i ghiri e, se fortunati, vi imbatterete nelle lucciole. Non ha prezzo vivere da folletto per un paio d’ore. Antica Osteria Giubì via Cascinetto, 2 Almenno San Bartolomeo tel. 035 540130 chiuso il mercoledì

un amaro o un limoncello, segno di una generosità che viene giustamente premiata dal pubblico. Noi vi consigliamo di evitare il sabato e la domenica dove pare che qui si riversi l’universo mondo e dove, con molta evidenza, sarà arduo trovare quella tranquillità che si andava agognando. Arrivate quassù un mezzogiorno che non sia martedì (giorno di chiusura) e, dopo pranzo, sedetevi su una delle panche tra il campo di bocce e lo steccato del belvedere. Anzi, sdraiatevi proprio. Può essere che, tra le foglie dei castagni, riusciate a vedere il Resegone, che domina dall’altra parte della strada sterrata, mentre un paio di scoiattoli tenta una sortita tra i rami. Chi conosce Mark Twain e ha letto le Avventure di Tom Sawyer, sa di cosa stiamo parlando. Verrete via sazi e rigenerati, dopo aver speso una ventina di euro a testa. Non sapevamo che la felicità costasse così poco. Osteria Belvedere Montalbano via Montalbano, 30 - Lecco tel. 0341.496707 - cell. 348.5428269

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Il prodotto

di Riccardo Lagorio

Ancora oggi c’è chi lo prepara secondo tradizione. La domanda crescente ha però dato impulso a una produzione industriale. Archetti: “Fondamentale il modo in cui l’animale viene alimentato”

Il salame di Monte Isola: buono, ma se è “originale”

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ono numerosi i prodotti da salumeria inseriti nell’elenco dei Prodotti Agricoli Tradizionali (Pat) da parte della Regione Lombardia. Si va dal salame con la lingua che copre l’intera provincia di Mantova al Salame della Bergamasca che comprende l’intera area orobica, passando per la filzetta (che si elabora su tutto il territorio regionale) e la slinzega bovina di Sondrio e provincia. Si tratta spesso di elaborati le cui metodiche produttive sono illustrate in maniera generica, talvolta inesistente. La scarsa diffusione, anche tra gli addetti ai lavori, della conoscenza e rinomanza degli elenchi Pat non ha giovato ai prodotti sotto il profilo della notorietà. Alcuni dei prodotti individuati alla data del 31 dicembre 2009 (momento in cui si effettuò l’ultima integrazione all’elenco) avevano peraltro acquisito una certa visibilità presso il consumatore finale. Tra questi certamente il salame di Monte Isola, in origine elaborato esclusivamente sull’omonima isola immersa nel lago d’Iseo. In effetti se la buona riuscita di un prodotto è, almeno nel nostro Paese, direttamente proporzionale ai tentativi di imitazione, allora si deve dedurre che il salame di Monte Isola si colloca tra i prodotti di grande bontà,

tanti sono i salumifici grandi e piccoli e le macellerie fuori dall’isola che ne evocano il nome. Anche a Monte Isola però non va meglio. E la confusione in atto si deve alla poca chiarezza della scheda regionale acclusa alla deliberazione

Mario Archetti

dei prodotti Pat: il solo fatto che debba essere elaborato sull’isola per meritarsi il nome di salame di Monte Isola è in effetti un po’ poco… Così abbiamo attraversato il braccio di lago che separa Monte Isola dalla terraferma e ci sia-

mo inerpicati fino alle spalle di Siviano, il capoluogo che guarda la costiera bergamasca. Nelle campagne di Siviano, Masse e Cure si incontrano ancora isolate cascine dove l’attività agricola è praticata, benché non funga da prima occupazione. Mario Archetti fa l’impiegato comunale nella bassa bresciana. La sua giornata è lunga: Vespa, traghetto, automobile e tragitto al contrario ogni giorno, quando lo aspettano i doveri della campagna e della fattoria. “Ciascuna delle famiglie montisolane ha posseduto, sino ad epoca recente, qualche suino adatto alla macellazione. La nostra famiglia attualmente macella per uso personale due maiali. Li acquistiamo quando hanno raggiunto il peso di circa un quintale, a metà agosto. Quest’anno - aggiunge Archetti - anticipiamo di qualche giorno e li svezziamo da fine luglio. Il modo in cui l’animale viene alimentato è fondamentale per la buona riuscita del salame in quanto la carne non deve essere flaccida e la parte di grasso e pancetta ha da essere soda. Così la base dei pasti dei nostri due suini è farinaccio e crusca. Come diceva mio padre (da cui Mario ha ereditato la passione per la campagna, ndr.) gli scarti di cucina


luglio 2013 gno e bacche di ginepro. Ma l’adozione di Ciò forse deriva dal gradimento che si è venon sono molto utili alla crescita del suino lente combustioni risponde a bisogni ben nuto a creare negli anni, contraddistinto da poiché ne aumentano solo la parte grassa. più pragmatici come la necessità di asciugusti meno intensi. A parte viene macinaLa macellazione avviene di solito entro la gare l’umidità in eccesso uniformemente. to dell’aglio, che si piazza in un fazzoletto prima metà di gennaio, quando il suino ha A tale temperatura il salame è sottoposto su cui si fa scorrere del vino rosso che caraggiunto o superato i 220 kg di peso con per un periodo variabile tra una e due setde nell’impasto. “Con energia l’impasto è almeno 6 cm di lardo sulla groppa”. timane, “in base alle necessità metereomescolato a mano, sciogliendo il sale ed Le modalità di allevamento ed il peso raglogiche. Noi e molti altri utilizziamo legna amalgamando alla perfezione le carni, per giunto al momento della macellazione sodi carpino - taglia corto Archetti -. Le sucevitare che durante la stagionatura si veno quindi fondamentali per contraddistincessive fasi di stagionatura prevedono rifichino danni alla conservazione dell’inguere questo tipo di insaccato. Ma anche il regolare ricambio d’aria dei locali ed è saccato. Da noi a Monte Isola si dice, per le modalità di produzione sono del tutto senz’altro questo un altro elemento caratevidenziare lo sforzo nell’operazione, che il particolari e, malgrado per queste tipoterizzante il salame di Monte Isola originasalame si deve salare con il sudore di chi lo logie di prodotti si dica che ciascuna fale, generato dall’inimitabile microclima di mescola”, evidenzia ancora Archetti. miglia ha un proprio metodo, si possono collina circondata da identificare elementi di una notevole massa omogeneità. Le mezzed’acqua. Deve trane trascorrono una notscorrere solitamente te a temperatura amun mese prima che il biente; a gennaio non si salame sia pronto al è al di sopra dei 5 gradi. consumo”. Una volta tolto il fegato Il peso ad inizio stada parte del veterinario, gionatura è inferiore che provvede a certificaai 500 grammi. Esso re la sanità dell’animasi presenta con carne le, si scuoia e si disoscompatta che deve risa, separando la carne, manere in fetta e non che viene utilizzata per sfaldarsi, contraddiprodurre il salame, dalla stinta da pezzetti di pancetta, che si utilizza grosse dimensioni per l’omonimo insaccaI contenitori di marmo bianco, regiàt, dove vengono conservati i salami di Monte Isola (anche per questo il to. “Le parti più nobili, grasso è presente in minima parte, non Una fase molto rilevante è l’insacco, che coscia e lonza - precisa Archetti - vengooltre il 10%) derivanti dal taglio a coltelavviene in budello naturale bovino, legano tagliate a cubetti a mano mentre la lo. Il colore è rosso vivo ed il profumo è to a mano. Qui è l’esperienza a giocare un parte anteriore della mezzena e che rapquello di carne matura. Per evitare che ruolo fondamentale: non si devono creare presenta circa il 10% dell’insaccato viene il salame stagioni troppo, ovvero diventi bolle d’aria e lo spago deve essere stretto passata al tritacarne con piastre numero troppo duro, una volta raggiunto il giusto in maniera decisa. Dopo la consueta bu9 o 10”. grado di maturazione viene posto sotto cherellatura del budello inizia la fase della Ne esce quindi un macinato dalle dimengrasso in contenitori di marmo bianco, asciugatura. Per due giorni il salame persioni grossolane, che il norcino ripone in regiàt, protetti da un coperchio di legno. de la prima umidità ad una temperatura singolo contenitore, mescolandolo a sale “Questi contenitori oggi vengono sempre intorno agli 8 gradi, dopodiché è spostato e spezie: pepe, noce moscata, cannella e meno utilizzati, preferendo come metodi in locali più tiepidi. Il calore è ottenuto con chiodi di garofano in proporzione variabile di conservazione il sottovuoto”, conclude fuoco e fumo derivante da legna da ardeda casa a casa. “Mio padre, da cui ho apMario Archetti. Segno dei tempi e piccola re. La letteratura si è sbizzarrita a snidapreso a lavorare il suino, sino a trent’anconcessione a chi tramanda la tradizione, re sotto questa funzione la volontà degli ni fa utilizzava 300 g di sale ogni 10 kg di tra leggende e miti talvolta ridicoli, dell’auisolani di conferire particolare profumo al carne, ma a partire da quella data ci ha intentico salame di Monte Isola. prodotti finale ipotizzando l’utilizzo di lesegnato ad usarne solo 250 g”.

Pro e contro della notorietà Pro. Ha contribuito a diffondere il nome dell’isola e a caratterizzare il paniere di prodotti che lì vengono proposti: olio, pesce essiccato, reti. Contro. La richiesta ben al di sopra delle capacità produttive generali ha contribuito a diffondere la produzio-

ne di salame di Monte Isola (o tipo Monte Isola) ben al di là del territorio isolano, privilegiando sistemi industriali nell’allevamento dei suini e nella produzione del salume (come l’asciugatura in celle refrigerate, senza quindi il contributo di aria naturale).

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Tendenze

di Lara Abrati

Formaggi caprini, Bergamo vince la sfida della qualità Ad oggi, nella nostra provincia, gli allevamenti destinati alla produzione di latte sono 52, con 4.608 capi presenti. Cresciuto il livello dei prodotti, come confermano i numerosi premi conquistati tra i vari concorsi

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a nostra provincia possiede vaste zone caratterizzate da ambienti montuosi e collinari, simili alle zone del nord Italia dove l’allevamento caprino e ben più diffuso e radicato. Questi animali richiedono una conduzione notevolmente diversa da quella tipica dei ben più diffusi bovini. Tale peculiarità ha permesso la nascita di allevamenti condotti e gestiti totalmente al femminile, dalle operazioni di stalla a quelle di mun-

gitura, di trasformazione del latte, fino alla vendita. Stando ai dati dell’anagrafe caprina dell’Asl di Bergamo, alla data attuale gli allevamenti caprini finalizzati alla produzione di latte registrati in provincia sono 84. Il numero di capi complessivo è di 4.998, di cui 4.226 femmine adulte (che producono latte). Di questi allevamenti si devono però escludere quelli che hanno consistenza minima o tali che

di fatto non producono latte (gli hobbisti) e quindi il dato diventa: 52 allevamenti con 4.608 capi presenti, di cui 3.875 femmine adulte; questi sono gli allevamenti che producono il latte destinato ai caseifici o alla trasformazione aziendale in formaggi caprini. La distribuzione geografica approssimativa è invece la seguente: 14 allevamenti sono localizzati in Val Seriana e Val di Scalve, 11 in Val Brem-


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bana e valli laterali, 15 in zona collinare e del Sebino, infine 12 in pianura. L’introduzione dell’allevamento caprino in Bergamasca ha determinato, fin dall’inizio, un vero e proprio percorso orientato alla trasformazione della percezione vera e propria di questi formaggi da parte del consumatore, in una

introdurre nella propria dieta i formaggi caprini riducendo quelli vaccini. Molte le persone che percepiscono come “più salutare” questa tipologia di formaggio. Ovviamente, come per gli altri formaggi, non è adatto alle persone affette da intolleranza al lattosio; ne contiene infatti quantità molto simili al latte vaccino. La

zona in cui il predominante era ed è l’allevamento bovino e la conseguente produzione di formaggi a latte vaccino. È facile notare come sia sempre più frequente trovare, nei banchi frigoriferi dei piccoli negozi di dettaglianti e in quelli enormi della grande distribuzione, formaggi di capra sia freschi che stagionati. Il motivo? Forse la causa che ha scatenato questa virata, sempre più importante, nei consumi è quella relativa alla salute. Molti i medici che consigliano di

differenza riguarda la dimensione del globulo di grasso: il latte caprino contiene globuli di dimensione nettamente minore e questo, unito ad altri fattori, ne facilita la digestione da parte dell’organismo umano. La sfida degli allevatori e dei trasformatori in questi anni è stata quella di lavorare anche su una caratteristica gustativa che ne ha limitato l’apprezzabilità: il classico sentore “di capra”. Molti consumatori non lo amano.

Questo lavoro continuo, unito al miglioramento visivo del formaggio e allo sforzo di diversificare la mission aziendale, ha portato le produzioni caprine bergamasche a un livello medio/alto di eccellenza. Molti i concorsi vinti dalle varie aziende, altrettanto numerosi quelli organizzati. Merita menzione uno degli ultimi, organizzato dall’Onaf a Milano, dal nome “All’ombra della Madonnina”, in cui alcune aziende bergamasche si sono distinte: su 5 premi, ben 4 sono stati attribuiti ad aziende orobiche. Un risultato ricco di soddisfazioni e che fa ben sperare per il futuro. Le aziende premiate sono: cooperativa sociale “La Pèta” con il caprino fresco, “Casa Eden” con lo stracchinello, l’azienda agricola “Cà Morone” con la crosta fiorita e l’azienda agricola “Sant’Alessandro” con il caprino fresco. La premiazione si è svolta lo scorso 7 giugno a “La cordata” a Milano. Diverse poi le aziende bergamasche che si sono aggiudicate uno o più dei 50 riconoscimenti di qualità del concorso. Gli allevatori caprini, insomma, si mettono in gioco, si misurano tra di loro, si confrontano, con quel pizzico di sana e costruttiva competitività. Sono disposti a impegnarsi molto per raggiungere gli obbiettivi. Partono da buone basi tecniche, con persone che li aiutano e li accompagnano con sapienza nel loro lavoro. Sarà questa la ricetta vincente?

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Tendenze Nicolò Marchetti

Le Aziende La Pèta, ricerca e tecnica per migliorare i prodotti Ha sede a Costa Serina e si presenta come un luogo incantevole, quasi fiabesco, grazie a una grande struttura rurale finemente e sapientemente ristrutturata e molto ben curata e vivacizzata con dei coloratissimi fiori sparsi attorno alla struttura. In posizione quasi nascosta compare la stalla, dove vengono accudite una trentina di capre di razza Camosciata delle Alpi. Nella struttura sono allevati anche maiali, cavalli e animali da cortile. L’attività agricola è sostenuta da Mario Costa e dalla sua famiglia. Lo scopo dell’attività è anche sociale: infatti diversi ragazzi con disagi psichici sono ospitati dalla famiglia, un grande nucleo di accoglienza e condivisione. Importante l’attività agrituristica, aperta nel fine settimana, abbinata a sei stanze pronte ad accogliere ospiti che amano la natura e che condividono la filosofia con cui l’azienda è condotta e gestita. Vasta è la produzione aziendale: “Produciamo ben undici tipologie di formaggio - spiega Costa - dai freschi alle formagelle, dagli stracchini ai formaggi affinati”. La vendita avviene direttamente, ma soprattutto attraverso i dettaglianti dei paesi limitrofi. Il concorso Onaf di giugno a Milano è stato vinto con il caprino fresco, un formaggio prodotto attraverso coaugulazione acida del latte, senza quindi l’utilizzo del caglio. “Un tale successo a questo concorso caseario e, più in generale, nella qualità dei formaggi caprini bergamaschi - sostiene - è dato a mio avviso anche al supporto costante nel tempo dei tecnici delle Associazioni di categoria. Katia Stradiotto, tecnico di caseificazione, e Lisa Pirovano, zootecnica, hanno fatto e stanno facendo tanto per portare la qualità dei nostri formaggi a livelli importanti. Non sono solo tecnici, sanno come metterci le mani e conoscono molto bene il nostro lavoro”. Cooperativa La Pèta via Pèta, 3 Costa Serina

Agricola Cà Morone lo studente che ha scelto di allevare capre Una delle più recenti realtà della Bergamasca, nata dall’idea e dall’intraprendenza del giovane Nicolò Marchetti nella frazione Sottocamorone di Brembilla, è l’azienda agricola Cà Morone. Nata nel 2011 - quando Nicolò, una volta finiti gli studi professionali in agraria, decide da trasferirsi dalla città di Bergamo per dirigersi in valle Brembana - l’azienda si presenta come una bellissima struttura, con la nuova e curata stalla in legno, in cui vengono allevate circa 30 capre di razza Camosciata delle Alpi in purezza. Tutto il latte viene lavorato in azienda nel piccolo caseificio. Impiantate anche diverse varietà frutticole che inizieranno tra qualche anno a dare i primi frutti. Anche questi verranno trasformati in azienda. Cinque le tipologie di formaggio prodotte e vendute in loco: il crosta fiorita, con cui ha vinto il concorso milanese, lo stracchino, la formaggella, i caprini freschi e l’erborinato. Essendo una realtà giovane e dinamica, continua è la sperimentazione, che porterà man mano a diverse e interessanti novità ricche di soddisfazione.

Agricola Cà Morone via Sottocamorone Brembilla

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Sant’Alessandro in stalla anche una razza dalla namibia

Casa Eden, consolidata la presenza nei mercati rionali Casa Eden al concorso milanese si è aggiudicata il premio con lo stracchinello di capra. L’azienda agricola di San Giovanni Bianco, condotta da Lucia Morali e dal marito Claudio Moretti. ha una storia abbastanza lunga. Infatti dal 1991 la coppia ha iniziato con l’allevamento delle capre, nonostante la loro precedente vita professionale non avesse alcun legame con questo settore, dando vita a una delle prime realtà nella Bergamasca. Cresciuta pian piano, dal 1995 l’azienda diventa l’unica attività di sostentamento della famiglia. Diversi anni dopo, più precisamente nel 2005, la scelta di affiancare all’allevamento l’attività agrituristica che accoglie visitatori nel fine settimana. La loro stalla conta circa 80 capi in lattazione di razza Camosciata delle Alpi e Saanen. Tutto il latte prodotto viene trasformato nel piccolo caseificio aziendale al fine di produrre alcune tipologie di formaggi tra cui i classici caprini freschi, gli stracchini, le croste fiorite, gli erborinati e diversi formaggi aromatizzati. L’azienda vende direttamente e partecipa a numerosi mercati, attività che impegna i proprietari quasi tutte le mattine. È possibile assaggiare i formaggi prodotti anche attraverso l’agriturismo. “Il mondo dell’allevamento caprino bergamasco - spiega Lucia Morali - è molto fluido. C’è purtroppo chi chiude, chi riduce i capi, ma fortunatamente c’è anche chi aumenta il numero di capi e giovani allevatori che aprono attività. Quando abbiamo iniziato, molti il formaggio di capra non lo mangiavano proprio. Ora invece, dalla grande distribuzione al piccolo dettagliante, sono tanti i punti vendita che hanno almeno una tipologia di formaggio caprino”. Un successo in termini di apprezzamento da parte del consumatore. “Gli allevatori bergamaschi - racconta - dimostrano di amare il confronto e il mettersi in gioco. Per questo partecipano ai concorsi nell’ottica della crescita qualitativa. Non solo dal punto di vista gustativo, ma anche visivo. Ricordiamoci che anche l’occhio vuole la sua parte!” Casa Eden via Eden, 1 fraz. Cornalita San Giovanni Bianco

Dopo una carrellata di nomi tutti brembani, la quarta azienda bergamasca che si è aggiudicata il premio ha sede ad Albano Sant’Alessandro. Altre le dimensioni. Infatti, la sua attività agricola è molto diversificata. Si va dall’allevamento di cavalli sportivi ai bovini per la produzione di carne, che viene utilizzata in maniera esclusiva per un’altra attività aziendale: l’agriturismo. A tal proposito, l’azienda produce vino attraverso la coltivazione di un proprio vigneto, si allevano maiali e si coltivano svariati ettari a cereali. Infine, non per minore importanza, l’allevamento di capre, introdotto a partire dal 2002. Se ne contano ben 120 di razza Saneen, con un piccolo gruppo di razza meticcia anglonubiana, una razza proveniente dalla Namibia. Il latte viene lavorato nel caseificio aziendale dal simpatico casaro Gianni Mosca.“L’ho conosciuto grazie alla passione per i cavalli. Doveva aiutarmi in azienda solo per un mese, invece, sono passati diversi anni e lui è ancora qui”, scherza il titolare dell’azienda Amedeo Brembilla. La produzione consiste in 4 tipologie di formaggio. “Io ne farei solo uno, sia perché ha una migliore resa, sia perché a mio avviso è un buon prodotto” continua Amedeo, riferendosi al suo stracchino, di forma quadrata e dalle dimensioni per lato di circa 25 centimetri. Nonostante questo, il premio al concorso se lo sono aggiudicati con il caprino fresco. Oltre a queste due tipologie Gianni produce anche la formaggella e l’erborinato. “Quello che mi piace degli allevatori bergamaschi - afferma Amedeo - è la mentalità e l’essere testardi nel proseguire verso gli obbiettivi che si sono proposti: il produrre un formaggio di qualità”.

Azienda Sant’Alessandro via Don Canini, 6 Albano Sant’Alessandro

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L’allevamento Ratatouille

A Casirate d’Adda, quella dei fratelli Decè è un’azienda dove la cura dell’animale è un imperativo. In media, 6mila i capi allevati. “È un settore difficile, complici anche le politiche della Grande distribuzione. Ciononostante, abbiamo programmi di espansione”

di Rosanna Scardi

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I fratelli Marco e Luca Decè, titolari dell’allevamento professionale “Erbica”

“Erbica”, dove i conigli crescono ascoltando musica classica

Casirate d’Adda si trova uno dei pochi allevamenti professionali di conigli attivi nella Bergamasca. Si chiama Erbica e lo gestiscono i fratelli Luca e Marco Decè: “Abbiamo dato all’azienda il nome di nostra nonna, Edwige. Veniva dalla Cecoslovacchia e tutti la conoscevano in paese come Erbica - raccontano i fratelli -. Ci ha insegnato l’amore per la natura. Non potevamo che renderle omaggio a nostro modo”. Erbica è un’azienda a “cinque stelle” per la qualità e la cura dei mammiferi. Lo dimostrano una bassissima mortalità e la massima attenzione al benessere degli animali, dall’alimentazione fino alla temperatura costantemente controllata dell’ambiente. Sorge in un terreno di famiglia, un’oasi di tranquillità immersa nel verde: per arrivarci bisogna percorrere una stradina sterrata, proseguimento di via Benedetto Croce. L’avvio dell’attività cunicola risale al 2010, dopo la costruzione di un ca-

pannone con tre silos per l’alimentazione degli erbivori: uno con il mangime per le fattrici, uno per i conigli svezzati e un altro per quelli posti ad ingrasso. “Ma non basta possedere un terreno e sostenere i costi dell’impianto - sostiene Marco Decè -. Ci vogliono passione e conoscenza dell’animale per affrontare un simile sfida, una predisposizione che noi avevamo fin da ragazzi. Basti pensare che per il nostro allevamento, secondo gli standard qualitativi, basterebbe un addetto, mentre siamo in due perché vogliamo il meglio”. Sono 6mila, a regime, gli animali allevati, suddivisi in una logica “dual band”: da una parte le fattrici, circa 450, insieme ai cuccioli, dall’altra 2.500 capi pronti per la vendita. “Tecnicamente il nostro è definito un allevamento a ciclo chiuso. In sostanza gli animali vengono fatti nascere e consegnati al macello - spiegano -. nella stessa azienda. La fattrice vie-

ne fecondata artificialmente e dopo un mese partorisce. Dopo 19 giorni viene impiantato di nuovo il seme, acquistato nel centro di allevamento per riproduttori specializzati della ditta francese Grimaud, così i cicli si ripetono sovrapponendosi ogni 49 giorni”. Sono circa 7 i cicli annui, in grado di garantire la macellazione di circa di 16-17mila conigli. La tecnica di allevamento si basa su tre fasi: riproduzione, accrescimento e ingrasso. La prima, se condotta con successo, assicura il buon andamento dell’azienda. L’allevamento Decé è semintensivo. “Diamo all’animale respiro, la possibilità di riprendersi - evidenziano -. Altri allevamenti intensivi hanno ritmi più serrati, le fattrici vengono inseminate di nuovo dopo due-tre giorni, così dopo 7-8 parti l’animale soffre, è stremato. La conseguenza è una drastica riduzione della fertilità e un’elevata mortalità”. L’Anci (l’Associazione italiana coniglicoltori italiani) riconosce 43 razze


luglio 2013 che variano per taglia, colore, lunghezza e forma delle orecchie. Quelle di Erbica appartengono a un ibrido, frutto dell’incrocio fra le razze più prolifiche e lattifere, la Bianca di Nuova Zelanda e la Californiana. La prima può essere considerata la regina delle razze da carne per le sue ottime caratteristiche di fertilità, prolificità e produttività. La razza allevata è molto diversa da quella inizialmente selezionata, che aveva testa lunga e stretta e pelo corto e rado. Oggi la Nuova Zelanda presenta la testa relativamente grossa, collo corto, corpo a parallelogramma, con masse muscolari ben sviluppate. La pelliccia è densa e folta, il colore è bianco albino, con occhi depigmentati rossi. La seconda ha una muscolatura forte e soda e un’ossatura leggera che dà una buona resa al macello. Il pelo è corto e il colore del mantello è bianco con macche nere su naso, orecchie, zampe e coda. I coniglietti rimangono con la mamma trenta giorni di vita dopodiché inizia lo svezzamento. “Anche in questa fase delicata badiamo a ogni dettaglio: manteniamo gli animali dove sono nati, creando delle colonie - precisa Luca Decè -. Un modo per evitare loro inutili stress. Sempre per tranquillizzarli usiamo perfino la musica, in particolare quella classica ha un effetto calmante. Gli animali sono infatti molto tranquilli, non sviluppano aggressività. Per il loro benessere fisico garantiamo anche una temperatura costante di 25 gradi grazie al raffrescamento della ventilazione e un’umidità tra il 40 e i 50 gradi”. Dopo lo svezzamento è avviata la terza fase, l’accrescimento. Inizia a 60 giorni e si conclude a 80, dunque è questo il ciclo di vita di un coniglio da carne. In questo periodo i mangimi utilizzati sono caratterizzati da un grande apporto di energia e dall’alto valore proteico. Al bando farine animali e ogm. “L’alimentazione è fondamentale - affermano i gestori -. Noi usiamo solo mangimi vegetali a base di erba medica, semi di girasole, vitamine. Tutti super controllati. Anche

l’acqua è dell’acquedotto. Non somministriamo nessun antibiotico e i medicamenti sono ridotti a due per le malattie respiratorie e intestinali e limitati ai primi 4-5 giorni di vita”. Animale delicato per eccellenza, considerato a rischio sopravvivenza, il coniglio può contrarre la mixomatosi e la mev o malattica emorragica virale, contro cui necessita di vaccinazione. “Abbiamo una mortalità bassissima, inferiore al 5% - sottolineano i due fratelli -”. Nel futuro dei fratelli Decè c’è l’ampliamento dell’attività: “Abbiamo in progetto di raddoppiare le gabbie, sempre garantendo la massima attenzione alle bestiole”. Del resto, l’ottima cura dell’animale porta a un prodotto finale eccellente. “La carne di coniglio possiede molteplici qualità - afferma Marco -.

in proporzione al lavoro svolto. Al dettaglio puoi vendere un coniglio a 20 euro, al macello a 4-5 euro, se si considera il prezzo di 1,56 euro al chilo per un peso di 2,6 chili. La macellazione intasca una bella fetta dei guadagni, la grande distribuzione si mangia tutto”. Al centro della polemica le strategie messe in atto dalle grandi catene alimentari. “È semplice - dicono i Decè -: basta non mettere il coniglio sul bancone principale nei supermercati, la gente non lo trova subito in esposizione, non lo cerca e non lo compra. Così ci dicono che non si vende e impongono prezzi ancor più bassi”. Nel 2010 è stato varato dal ministero per le Politiche agricole, alimentari e forestali il piano di intervento per sanare il settore cunicolo dopo che era stato dichiara-

Ha un sapore deciso e un buon valore nutritivo. Al tenore proteico, si aggiungono un basso contenuto di grassi, sodio e colesterolo. Tutto questo la rende adatta per l’alimentazione di bambini, anziani e persone malate o convalescenti. Tuttavia, non viene consumata nelle mense scolastiche per la possibilità che ci siano ossicini e viene venduto nei ristoranti, ma solo disossato”. A causa della cattiva congiuntura economica, le difficoltà non mancano. “E’ un settore in crisi da vent’anni. Siamo poche anime in balia di chi gestisce la filiera - lamentano i due allevatori -. La verità è che chi produce guadagna poco

to, con urgenza, lo stato di crisi per il settore. In quell’occasione è stata creata la Cun, Commissione unica nazionale per il coniglio. “Serviva per stabilire il giusto prezzo del vivo - ricordano - ma le tante borse merci locali vedono la super partecipazione dei macellatori. E a essere schiacciati siamo ancora noi allevatori. Un po’ come accade nella maggior parte dei settori agricoli”. “Non ne facciamo solo una questione di business - concludono - ma di qualità e di principio. Il consumatore, oggi sempre più attento, si accorge di cosa porta in tavola. Vuole prodotti di valore. Continuare a penalizzarci, allora, non conviene a nessuno”.

La Cina resta il maggior produttore Il maggior produttore di coniglio da carne è la Cina, seguita da Italia, Francia e Spagna. In Europa si concentra il 70% della produzione mondiale. Nel Bel Paese le regioni con il maggior numero di allevamenti sono il Veneto con il 40%, seguito da Emilia Romagna, Piemonte e Lombardia. Al forno o in umido, accompagnato dalla polenta, patate o piselli e funghi, il coniglio fa parte della tradizione culinaria bergamasca.

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IL PREZZO FISSO Dopo il trasferimento dell’ospedale, la famiglia Stroppa, per più di quarant’anni in largo Barozzi, approda nel complesso dell’ex Cesalpinia e punta sulla ristorazione. «Prossimo obiettivo ripristinare la gelateria, uno dei nostri fiori all’occhiello». Intanto lo storico locale resta aperto

Monica e Massimo Stroppa

La nuova stagione del Gino’s Bar fa largo alla cucina

di Fulvio Facci

“G

ino’s Bar dal 1971”. Un’insegna insolita per un locale nuovo di zecca, aperto all’inizio di giugno ed inaugurato il 22 dello stesso mese con una massiccia affluenza, testimonianza di popolarità. In effetti, il Gino’s Bar “originale” esiste ancora ed esiste dal 1971, fondato dal capofamiglia Igino Stroppa, ma è di uno di quei locali colpiti pesantemente dal trasloco dell’Ospedale Maggiore al nuovo Giovanni XXIII. «In largo Barozzi

– racconta Massimo Stroppa, uno dei figli di Igino – eravamo inseriti tra due ristoranti e la nostra specializzazione è sempre stata nella tavola fredda e nelle colazioni, che portavamo anche all’interno dell’Ospedale, tant’è che il personale ci ha rivelato che il nostro numero telefonico era il secondo nell’elenco del reparto dopo quello del primario. Più che con i parenti dei pazienti il nostro è stato un rapporto lunghissimo con i dipendenti, al-

cuni dei quali vengono già ora a trovarci». Il nuovo locale è per forza di cose differente. Ovviamente moderno, arredato con gusto, in attesa delle autorizzazioni per allestire anche un piccolo dehors e soprattutto - questa è la differenza sostanziale - dotato di una vera cucina e di un vero chef, Cristiano Lorenzi, perché si vuole fare ristorazione. Si trova in città, in via Moretti al numero 36, poco distante dalla stazione,

nella nuova area residenziale e commerciale dell’ex Cesalpinia, tra via Bono e via Fantoni. Un bel contesto, c’è anche un supermercato, ma ancora in attesa di uno sviluppo effettivo in termini di fruitori, almeno nell’ottica delle esigenze del bar. «Il locale, tranne piccole modifiche – racconta Monica Stroppa – ci è piaciuto così come era e l’abbiamo preso. L’attività del vecchio Gino’s Bar dopo il trasferimento dell’ospedale

LA PROVA Nella loro prima esperienza che abbina la tavola fredda - assoluta protagonista del Gino’s Bar storico di largo Barozzi - e la cucina, i titolari hanno creato un giusto mix che possa adattarsi a diverse esigenze, non solo di carattere economico. Si parte dai sei euro per un primo, un panino o una focaccia con acqua e caffè, per arrivare agli 11 euro per primo, secondo, contorno, bibita o birra piccola e caffè (dieci euro se si beve acqua). Nel mezzo tutta una serie di combinazioni da sette a dieci euro per focaccine genovesi, pizze, piadine, insalatone, secondo e contorno, torte salate e contorno. Nel giorno della nostra visita, la lista prevedeva Gnocchetti, mele zola e noci, Pennette alla tremenda, Spaghetti alla carbonara e

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al pomodoro tra i primi. Per secondo, crudo e melone, roast beef rucola e grana, valdostana, scaloppine al vino bianco o ai funghi porcini e punta ripiena. Per otto euro c’è la tagliata con rucola e grana e per 12 il filetto al pepe verde. Non opponiamo troppa resistenza nell’accettare il bis di primi composto da gnocchetti, zola e noci e spaghetti alla carbonara mentre per il secondo andiamo sulla punta ripiena, classica ma accompagnata da una salsina molto particolare. Decisamente un buon rapporto qualità/prezzo.


luglio 2013 stava languendo e al momento né il trasferimento di qualche ufficio comunale né gli spettacoli che si stanno organizzando possono rivitalizzarlo. Abbiamo dovuto fare una scelta coraggiosa puntando sul nuovo e qualche risultato lo stiamo già avendo. Lavoriamo bene come caffetteria e per l’aperitivo con buffet. Il pranzo ha bisogno di più tempo per decollare ma con le alternative e la qualità della cucina pen-

La zona è completamente diversa, la clientela anche, ma i fratelli Stroppa hanno dimostrato grande duttilità nel creare un locale che interpreti le caratteristiche di questo nuovo quartiere. E se il futuro del bar dell’ospedale rimane legato alla riqualificazione dell’area, quello del Gino’s di via Moretti sembra più strettamente connesso alle capacità e all’impegno dei titolari. «Siamo aperti sette

siamo di farcela. Il locale ai Riuniti? Per il momento ce lo teniamo, c’è nostra sorella Elena che lo manda avanti e aspettiamo che arrivi qualche soluzione duratura in grado di rilanciare la zona perché il problema, evidentemente, non è solo nostro. Speriamo solo arrivi prima che si sia costretti a chiudere».

giorni su sette dalle 7 alle 21.30, non si può dire che manchino l’impegno e l’entusiasmo. Ogni tanto tornano a trovarci alcuni dei nostri vecchi clienti e ci scappa una lacrimuccia – conclude Monica Stroppa -. Il prossimo obiettivo è ripristinare la gelateria che era uno dei fiori all’occhiello del nostro bar».

LA NOVITÀ

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In città arrivano gelati e yogurt con latte di asina

ino ad ora le gelaterie si sono date da fare per inventare i gusti più nuovi o a ridare fascino alle proposte classiche selezionando materie prime d’eccellenza, dal cioccolato ai limoni, dai pistacchi alle mandorle. Ora arriva il locale in cui a fare la differenza è il latte. Si chiama Latteria igienica “La Vaniglia” la nuova sfida di Giuseppe Arcifa e della moglie Valbona Collaku, che poco più di due anni fa hanno aperto in via Pignolo, in città, la caffetteria torrefazione “La Chicca”. Sarà un esercizio dedicato alla lavorazione e trasformazione, con laboratorio a vista, di quattro tipi di latte - vaccino, di bufala, di capra e d’asina – che offrirà perciò alle persone intolleranti o con allergie alimentari la possibilità di gustare prodotti freschi, difficilmente reperibili sul mercato. Si va dal latte sfuso (anche in piccole quantità, visti i costi del latte di asina) ai gelati, agli yogurt, ai sorbetti, ai semifreddi. Genovese, Arcifa ha rispolverato un’insegna storica della sua città, la “latteria igienica” datata 1927, per impostare un progetto che ha nel latte d’asina la proposta più insolita. «È il più simile al latte materno ed ha importanti proprietà – ricorda– ed in Bergamasca possiamo contare su una delle migliori produzioni, quella dell’azienda agricola La Stalletta nella Valle del Lujo, ad Albino, di Mario Pucci, veterinario ed autentico esperto in materia. Anche per le altre tipologie di latte e il resto delle materie prime ci avvarremo di fornitori locali qualificati, poiché puntiamo su freschezza, stagionalità e qualità».

Valbona Collaku

Gino’s bar via Moretti, 36 Bergamo tel. 035 0603258 aperto tutti i giorni a cena ristorazione su prenotazione

Nel nuovo esercizio anche chi non ha problemi alimentari potrà comunque sperimentare il piacere di nuovi sapori. La scelta è volutamente contenuta, 18 gusti di gelato realizzato con i diversi “latti”, con quello di bufala che promette sorprese al palato. Quanto alla sede, si stanno valutando due opzioni, sempre in via Pignolo e vicino a “La Chicca”. Il progetto è stato anche selezionato dal Comune di Bergamo e riceverà un contributo all’interno del bando per la riqualificazione delle aree cittadine a rischio di desertificazione commerciale. L’apertura prevista a marzo del prossimo anno.

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Appuntamenti 3 E 4 AGOSTO 17 AGOSTO

Ardesio DiVino, chicche gastronomiche in rassegna

Sagra dei Bertù, Rovetta rilancia il piatto tipico I Bertù sono una variante dei casoncelli tipica di Rovetta. Non sono mai scomparsi dalle tavole ma la ricetta è stata variamente interpretata delle famiglie e dai ristoratori. Recentemente una ricerca della Pro Loco, contattata da uno chef di Atlanta (Usa) che voleva saperne di più, ne ha ricostruito la versione originale tra testimonianze orali e documenti. Per valorizzarla ha anche lanciato, lo scorso anno, una sagra, che, visto il successo, viene proposta anche quest’anno. L’appuntamento è sabato 17 agosto dalle 19 sulle lunghe tavolate all’aperto allestite nella centrale via Fantoni. La peculiarità dei Bertù (il nome è collegato al gaì, il linguaggio dei pastori, e significherebbe grande orecchio, d’asino in particolare come la forma sembra suggerire) è il ripieno a base di cotechino sgrassato, lavorato con formaggio, pane grattato, prezzemolo, un poco di cipolla tritata e di noce moscata. La pasta contiene uova e una piccola presenza di crusca a richiamare l’utilizzo in passato di farine non troppo raffinate. È questa un’intuizione di Matteo Teli del ristorante Vecchio Mulino che ha partecipato alla ricerca sull’origine del piatto e lo ha reso protagonista nella propria carta. www.prolocorovetta.it

I

l primo week-end di agosto nel centro storico di Ardesio torna Ardesio DiVino, la manifestazione che fa conoscere i prodotti di viticoltori e artigiani del gusto con banchi di assaggio e vendita. L’appuntamento, organizzato dalla Pro Loco con il sostegno del Comune, nasce per sensibilizzare a scegliere con attenzione ciò che si porta in tavola e si fonda sulla selezione degli espositori, che partecipano rigorosamente su invito. Anche quest’anno si potrà spaziare tra salumi, formaggi, miele, zafferano, sidro, erbe aromatiche, dolci, olio extra vergine di oliva, lumache e vini provenienti da tutta Italia, senza dimenticare il territorio bergamasco. La IX edizione presenta conferme e novità: le degustazioni e gli incontri con i produttori, la cena DiVina del venerdì (su prenotazione), le cene ecosostenibili all’aperto a base di prodotti tipici selezionati, laboratori di degustazione, la seconda edizione del Concorso “Bottiglia DiVina” riservato ai viticoltori presenti alla rassegna. E ancora, laboratori ludico-creativi nell’area bimbi e i concerti, che rappresentano un vero e proprio evento nell’evento. Novità 2013 la collaborazione con l’Istituto Superiore di Studi Musicali “Gaetano Donizetti” di Bergamo, con gli studenti e gli insegnanti che si esibiranno in quattro concerti. www.ardesiodivino.it

DAL 20 AL 23 AGOSTO Treviglio, cinema all’aperto con degustazioni Classico dell’estate, il cinema all’aperto si arricchisce di appendici golose a Treviglio. Nell’ambito della rassegna “Fuori il cinema”, in programma per sei settimane nel cortile delle scuole Cameroni, è inserito il ciclo “Cinema con gusto”, quattro serate in cui pellicole dedicate a cibo, vino e cucina si abbinano a degustazioni. L’iniziativa è a cura delle tre Condotte bergamasche di Slow Food (Bassa Bergamasca, Bergamo e Valli Orobiche) e va da martedì 20 a venerdì 23 agosto. Saranno proiettati nell’ordine: “Emotivi anonimi”, che racconta dell’incontro tra il direttore di una fabbrica di cioccolato e una cioccolataia,

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abbinato, naturalmente, ad un assaggio di cioccolati; “La cuoca del presidente”, ispirato alla cuoca personale del presidente della Repubblica francese Francois Mitterand, che sarà accompagnato da prodotti del territorio e di prossimità; “Sideways”, viaggio sulle strade del vino della California, seguito da una degustazione di Pinot Nero; per finire con “Slow Food Story”, di Stefano Sardo, storia dei primi 25 anni dell’associazione fondata da Carlin Petrini, proposta in anteprima in Bergamasca (la proiezione in questo caso è all’Ariston Multisala) e preceduta da un aperitivo slow. www.fuoriilcinema.it


Le Aziende informano

luglio 2013

I panorami gustosi della Val Brembana Un territorio dai superbi scorci naturalistici, ricco anche di tradizioni gastronomiche. Per chi è a caccia di sapori, la Val Brembana sa regalare gustose emozioni, grazie a una produzione di livello e a una ristorazione che ha fatto passi da gigante sul piano della qualità

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Le Aziende informano

BRANZI

Ristorante Hotel Corona

La polenta taragna è uno dei capisaldi della cucina delle Prealpi Orobie. Oltre al mix di farine (gialla e di grano saraceno), ci vuole buon formaggio e buon burro usati nella giusta quantità. Una delle migliori polente taragna che si possa degustare è a Branzi, in Alta Valle Brembana, al ristorante “Corona” (che è anche un piccolo albergo). Il locale è giusto all’ingresso del paese, sulla sinistra salendo verso l’alta valle, con comodo parcheggio. Spaziose e “calde” le sale, premuroso il servizio. Si vede che tutti fanno il loro lavoro con amore e dedizione, il che si riflette anche su quello che arriva nel piatto e nel bicchiere. Il “Corona” è affidato alla gestione delle tre sorelle Rossi (Emanuela, Beatrice e Arianna) che hanno avuto nella mamma, Elda Midali, una maestra perfetta in cucina. La polenta taragna, anche se non è un piatto tipicamente estivo, la si può gustare con piacere anche ad agosto. Si sposa con il coniglio al forno, ma va benissimo anche abbinata alla selvaggina o allo stinco di vitello. Il valore della cucina al “Corona” emerge anche nei primi piatti: dagli gnocchi classici a quelli di castagne con fonduta di Branzi e noci, dai tortelli di selvaggina ai ravioli ripieni di carne o spinaci selvatici. Senza dimenticare i funghi, cucinati a dovere in tutti i modi (anche crudi, quando sono belli freschi). I formaggi sono tutti di piccole produzioni locali, anche di capra, la rara “capra di razza orobica”. Anche i dolci sono fatti in casa: torta di noci con fonduta al cioccolato, crèpe Corona con gelato e crema di marroni. Quanto alla lista dei vini, è più che sufficiente per accompagnare i piatti serviti, con la giusta valorizzazione dei vini del territorio, in primis il Valcalepio. I prezzi di ricarico sono contenuti.

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luglio 2013 FOPPOLO

Residence Ristorante K2

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Da oltre 50 anni, la Famiglia Berera si prende cura dei suoi ospiti con l’accoglienza che l’ha resa famosa in tutta la Bergamasca. Nel cuore delle Prealpi Orobie, il K2 è la soluzione ideale sia per chi vuole rilassarsi lontano dalla frenesia della città sia per i giovani in cerca di sport e vita all’aria aperta sia per chi ama la buona cucina. Già, perché all’interno della struttura è presente il ristorante, conosciuto in tutta la Lombardia e segnalato su tutte le migliori guide gastronomiche nazionali. Qui c’è la possibilità di degustare piatti tipici e ricette internazionali rivisitate dalla mitica nonna Sandra e di essere serviti da personale in abiti tradizionali.

AGRÌ di VALTORTA Presidio Slow Food

STRACCHINO ALL’ANTICA DELLE VALLI OROBICHE Presidio Slow Food

La ricetta

LASAGNETTA DEL BUON ENRICO Per 4 persone Per la pasta: 300 g farina 00, 200 g farina di grano duro, 3 uova, 2 tuorli, olio extravergine di oliva, sale. Per il ripieno: 200 g di besciamella, 100 g di Paruc (spinacio selvatico), 100 g di formaggio d’alpe, noce moscata, sale e pepe. Unire nell’impastatrice gli ingredienti per la pasta, lavorare fino ad ottenere un impasto morbido, far riposare in frigorifero per 30 minuti. Cuocere il Paruc in acqua bollente, scolare e far raffreddare. Strizzare le foglie. Far saltare in padella con una noce di burro, sale, pepe e noce moscata. Unire il formaggio e la besciamella e amalgamare. Stendere la pasta e ricavarne dei dischi da 12/14 cm. Formare la lasagnetta con tre strati di pasta e due di ripieno. Cuocere al forno.

Ristoro Montebello

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Tel. +39 0345.87770 • email: latteriavaltorta@gmail.com

Tradizione, Passione Natura

Aperto sia d’inverno che d’estate, offre ai proprio ospiti un moderno self-service con la stessa cucina del Ristorante K2. La particolarità è che ve la potrete gustare a quota 2.100 m, con una vista mozzafiato sulle Prealpi Orobie. Raggiungibile tramite l’impianto sia a piedi che con gli sci, è il luogo ideale per prendersi una pausa tra una pista e l’altra, oppure solo per prendere il sole nell’ampia terrazza solarium.

via Foppelle, 42 Foppolo tel. 0345 74105 info@residencek2.it

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L’angolo

del single di Marco Bergamaschi

Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina

Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.

Pesce spada in salsa estiva Ingredienti per 1 persona 125 g di pesce spada mezzo limone 3 cucchiai di olio extravergine di oliva

un ciuffo di prezzemolo olive nere a piacere una manciata di capperi origano, sale e pepe (quanto basta)

Preparazione Preparate la salsa estiva mescolando l’olio d’oliva extravergine con il succo del limone, l’origano e un pizzico di sale e pepe. Immergete il trancio di pesce spada nella salsa, lasciandolo a riposo per circa 1 ora. Disponete poi il trancio di pesce spada sulla piastra o in padella antiaderente e cuocetelo per circa 5 minuti, voltandolo di tanto in tanto e spennellandolo con la salsa. Intanto che il pesce cuoce, aggiungete una manciata abbondante di olive nere sminuzzate e di capperi, precedentemente dissalati in acqua fresca, alla salsa rimasta dopo la cottura del pesce, mescolando energicamente. Una volta pronto, servite il pesce spada irrorandolo con la salsa rimasta e spolverizzando il tutto con del prezzemolo tritato.

Curiosità Con l’arrivo del periodo estivo che porta elevate temperature e generale inappetenza, cerco di evitare piatti particolarmente elaborati, preferendo cibi freschi e leggeri; a tal proposito verdura e pesce sono due degli ingredienti che preferisco e che consumo quasi tutti i giorni, considerato che si preparano velocemente e non necessitano di particolare lavoro in cucina. La ricetta proposta è semplice, anche se non immediata, perché richiede il giusto tempo per far marinare il pesce nella salsa di limone; quindi non può essere considerata una risorsa come piatto dell’ultimo secondo. Il discorso cambia decisamente se abbiamo in programma una serata tranquilla sul divano o dobbiamo organizzare una cena con qualche amico. Il pesce spada, in vendita tutto l’anno in tutti i supermercati, è un alimento molto ricco: ottima fonte di proteine, ha pochi grassi e contiene fosforo, selenio e vitamina B12 e B6. È possibile acquistarlo fresco o surgelato; quando è fresco, va consumato al massimo entro un giorno, la polpa dovrà essere compatta e di colore bianco-rosata e il suo odore gradevole e delicato. Se lo comprate surgelato, attenetevi scrupolosamente alla data di scadenza posta sulla confezione. Le olive sono per antonomasia il simbolo della dieta mediterranea: intere, snocciolate, schiacciate, incise, farcite, condite

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con olio ed erbe aromatiche o preparate al forno, sono sempre deliziose ed eccellenti per l’organismo: contengono vitamine e potassio e proprio per l’effetto dei sali minerali, hanno proprietà ricostituenti, energetiche e antiossidanti. Per quanto riguarda la loro digeribilità, sia le olive nere che quelle verdi hanno pochi carboidrati, ma le olive nere ne hanno una quantità inferiore e per questo sono più leggere. Non mi resta che auguravi buon appetito e soprattutto una piacevole estate.




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