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Supplemento al n. 28 de “La Rassegna” del 17 luglio 2014 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. - via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60
luglio 2014
Birra artigianale, Bergamo miete successi
La guida di Slow Food “premia” quattro produttori. «Destinati ad essere sempre più protagonisti»
Regalatevi una serata da ricordare Gloria e i suoi ragazzi vi aspettano all'Osteria in un ambiente informale ed accogliente, capace di farvi sentire coccaolati. I piatti creativi dello Chef rendono le proposte sempre interessanti e capaci di soddisfare anche i palati piĂš esigenti
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Supp leme Poste nto Italia al n. 28 ne S.p.A de “La . Sped Rassegna izion e in Abbo” del 17 name luglio 2014 nto Posta - Giuse le - D.L. ppe 353/2 Ruggieri 003 (conv dirett . in L. ore respo nsab 27/02 ile Editr /2004 n. 46) ice: art. 1, La Rass egna comm a 1, DCB S.r.l. Berg via Borgo amo - ? 2,60Palazzo 137,
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PENNA ALL’ARRABBIATA Quell'Italia enogastronomica che merita sicuramente di più
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L'APPROFONDIMENTO Birre artigianali, Slow Food "premia" anche Bergamo
14 TRADIZIONI Tra rape, porri e scalogni anche gli ortaggi hanno fatto storia
16 MANGIARE ALL’APERTO
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La cinquina che porta in città un’estate golosa
20 L'ITINERARIO Bronzone, quanta bontà in cima al monte Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@ larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
24 FACECOOK “Quell’incontro con Bombana che mi ha cambiato la vita”
28 TENDENZE Si fa presto a dire grigliata
32 IL LOCALE Ma quante ne pensa Gimbo!
e la storia continua... con la quarta generazione è Isabella Perego che prosegue l’attività di famiglia con la vendita di vini e distillati di qualità di selezionate aziende nazionali distribuite in esclusiva in Bergamo e provincia
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La gu ida di “pre Slow m prod ia” quattro Food ut «Des tori. tin sempr ati ad es se e più protag re onisti»
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Quell'Italia enogastronomica che merita sicuramente di più di Pier Carlo Capozzi
A
l di là di come ognuno di noi la pensi, dobbiamo essere sinceri, ha fatto un bell’effetto. Vedere il nostro presidente del Consiglio, nell'intervento introduttivo al semestre europeo a guida italiana, fare un discorso a braccio senza paura di nessuno. Sarà anche, non dico di no, per stima profonda che nutro nei confronti di chi è bravo a parlare a braccio, però Renzi non ci ha fatto fare la solita figura dei comprimari relegati in un angolo a prendere ordini. In questa alzata di cresta, ammantata di sano patriottismo, abbiamo intravisto la possibilità di un’impennata d’orgoglio della nostra ristorazione, guardate un po’ gli scherzi che può combinare il primo caldo. Ormai la moda spagnoleggiante dei sifoni e della cucina molecolare sembra in dissolvenza totale, la nouvelle cuisine francese (pur con qualche innovazione positiva) è stata liquidata da trent’anni, c’è qualche avvisaglia che viene dal nord a base di muschi e licheni e non pensiamo che la Germania possa creare problemi a botte di wurstel e crauti. Si fa per alleggerire il discorso, sia chiaro, ed è necessario prendere le semplificazioni per quello che sono. Pur tuttavia è forse arrivato il momento, per la cucina italiana, di riprendersi quel ruolo centrale che ultimamente aveva perso, distratta com’era dal nuovo (fasullo) che avanzava. Chiaramente non è solo una questione enogastronomica, essendo innegabile ormai come la ripresa dell’intera nazione debba passare attraverso il rilancio del turismo che, a sua volta, procede a braccetto con la nostra ospitalità a tavola, con la valorizzazione dei prodotti del territorio, attraverso il patrimonio delle nostre mille sublimi varietà in ogni campo. È un percorso che si scontra però, purtroppo, con i costi che chiunque scelga di fare una vacanza in Italia deve affrontare: è un discorso un po’ trito e ritrito, ma pare non abbia possibilità di miglioramento. Da noi pesano, è risaputo, il costo del lavoro e un esercito di lacci, lacciuoli e gabelle che fanno partire l’imprenditore italiano ad handicap. E quel capo del governo che parla a braccio a Bruxelles dovrebbe dare un’occhiata anche in questa direzione, magari supportato da Maurizio Martina, ministro bergamasco dell’Agricoltura: non è più possibile tenere aperto un eser-
cizio, di qualsiasi genere, a queste condizioni. In piena crisi, per di più. Ma noi si va avanti lo stesso, le difficoltà fanno parte del nostro cammino da sempre, a partire da Romolo e Remo. L’esempio di Adamo ed Eva mi sembrava francamente eccessivo. Quindi fiducia e cresta alzata, forse allevieranno la pressione fiscale alle aziende e faranno ridiventare competitive le buste paga dei dipendenti. Questo clima si deve respirare anche da noi, in provincia. E qualche nuova apertura e qualche bell’esempio sono lì a dimostrare che si può fare. Abbiamo visitato un agriturismo nella zona del Lago d’Iseo e siamo rimasti colpiti dall’orgoglio che mette in pista quella famiglia, dalla bontà degli ingredienti e delle preparazioni e dal prezzo concorrenziale che includeva tutto. Ne abbiamo provato un altro la settimana dopo, stavolta in montagna: cibo appena discreto e lo stesso prezzo del menù agrituristico del precedente. Peccato non fossero inclusi il dessert, i caffè, le due grappette. Sul lago ci avevano messo la bottiglia della grappa al tavolo, tanto per capire. Ecco, teniamoci come esempio il primo locale, e non solo per una questione di portafoglio: è la mentalità che ci piace. Ci vuol coraggio ad accendere una nuova insegna, così come ce ne vuole per portare avanti un’attività, supportati dal sacrificio dell’intera famiglia che passerà ogni festa al servizio degli altri. Sembra tutto scontato, ma basta fermarsi un attimo e ragionarci sopra. Così come apprezziamo sempre di più la riscoperta di prodotti del nostro territorio: che, nel momento in cui entra in discussione la cittadinanza dei casoncelli, può menar vanto del mais rostrato rosso di Rovetta, del melone retato di Calvenzano, dei mirtilli della Val di Scalve e di un sacco di altre prelibatezze strappate all’oblìo per merito di contadini solerti e preziosi. Quest’estate ci dirà a che punto del guado siamo arrivati e, soprattutto, se riusciremo a mettere i piedi sull’altra riva. Pur non essendo una lobby granitica e potente come i tassisti, gli imprenditori dell’ospitalità cercheranno di farsi valere. Meriterebbero sicuramente di più. Non importa se glielo diranno per iscritto o a braccio. piercapozzi@libero.it
PENNA ALL’ARRABBIATA
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L'APPROFONDIMENTO di Giordana Talamona
Birre artigianali, Slow Food "premia" anche Bergamo Segnalati sulla Guida 2015 Elav, Birrificio Valcavallina, Endorama e Via Priula. Signoroni, il curatore: "Registriamo una concentrazione di qualità elevata". "Il settore è in forte espansione, ma il rischio che si tratti di una bolla è alto"
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il “testo sacro” degli appassionati di birre artigianali, una guida imperdibile sulle migliori produzioni sparse per tutta la penisola. La Guida alle Birre d’Italia 2015 di Slow Food ha selezionato ben 1.662 birre su 331 birrifici, suddividendo le produzioni in tre categorie, la “Birra Quotidiana”, semplice e piacevole, la “Birra Slow”, che sa raccontare un territorio, e le “Grandi Birre”, quelle assolutamente da non perdere. Non mancano anche i birrifici bergamaschi nella guida. Quattro quelli segnalati: Elav, Birrificio Valcavallina, Via Priula e Endorama. “Assistiamo a una concentrazione di qualità elevata grazie a produttori che, nei prossimi anni, saranno sempre più protagonisti del settore” - spiega. Ed è proprio con Signoroni, deus ex machina di tutte le edizioni della guida, che facciamo il punto su un settore in espansione che non sembra curarsi della crisi. Come stanno i birrifici artigianali italiani? “Godono di ottima salute, anzi credo che siano arrivati al punto massimo di espansione. Il solo fatto che i birrifici siano passati, da un’edizione a un’altra della guida, da 227 a 331, la dice lunga su quanto il settore sia in crescita”.
Siamo, tuttavia, ancora su numeri di nicchia. “È vero, ci troviamo di fronte a dati ancora bassi, se si tiene conto che le birre artigianali rappresentano il 2,5% del mercato totale dei consumi di birra in Italia. La tendenza interessante, tuttavia, è rappresentata dall’aumento esponenziale dei consumi, cresciuti del 40% in un solo anno, e dal numero di birrifici artigianali più che raddoppiati negli ultimi due anni. Oggi se ne contano circa 600, sparsi un po’ in tutta Italia”. Paradossale in un momento di crisi. Qual è la ragione?
Eugenio Signoroni, il curatore della Guida alle Birre d’Italia 2015 di Slow Food
“È un settore di cui parlano tutti e di gran moda, cosa non necessariamente positiva per i birrifici, tanto che chi fiuta il business, ci si butta”. Qual è il rischio di tutta questa sovraesposizione? “Che si metta a produrre birra anche chi non è interessato davvero al prodotto, utilizzandolo come puro strumento di marketing. Si rischia di avere in giro prodotti senza anima e carattere, al contrario di ciò che la birra artigianale dovrebbe rappresentare. Oggi ci sono birre che non solo raccontano un territorio, ma che sono capaci di parlarci addirittura del birraio e del suo stile”. Un luogo comune smentito dalla guida? “Che la birra artigianale sia “strana” rispetto a quella industriale. Il consumatore poco esperto spesso considera la birra artigianale fin troppo pesante, sia nei profumi che nel gusto. È un falso mito, perché esiste tutta una serie di birre molto semplici, che possono essere bevute quotidianamente”. Quali sono le tendenze che vanno per la maggiore? “Difficile da dire, perché gli appassionati cambiano gusti in modo molto rapido, spesso alla ricerca di qualcosa di nuovo. Ci sono un paio di macro tendenze, tuttavia, che ultimamente stanno
luglio 2014 andando per la maggiore, come quella della produzione di birra da uva e vino, e quella dell’utilizzo del luppolo, tendenzialmente più amaro, che costituisce un punto di rottura per chi è abituato a bere birra industriale”. A proposito di vino, c’è chi trova sbagliato il tentativo di imitarne la comunicazione, sia per la degustazione che per gli abbinamenti, snaturando in parte l’estrazione popolare della birra. Cosa ne pensa? “Il rischio è dietro l’angolo, anche se sono stati proprio alcuni birrai ad aver inseguito questo tipo di comunicazione simile per certi versi, a quella del vino. Personalmente trovo che la degustazione di una birra abbia senso solo in fase di analisi del prodotto, non certo quando sono fuori con gli amici. Ma questo, va da sé, dovrebbe essere vero per qualunque prodotto”. Come si attesta la qualità delle nostre produzioni rispetto alle birre estere? “La qualità italiana oggi è altissima e ha poco da invidiare a nazioni più celebrate. Il problema che scontano le nostre produzioni, semmai, è legato alla giovinezza
del mercato e al prezzo più alto rispetto a quelle straniere”. Di quanto? “Mediamente del 30-40% in più rispetto alle birre estere, un prezzo legato principalmente alla tassazione più alta”. A tal proposito Assobirra ha lanciato, pochi giorni fa, un allarme occupazione a causa del paventato nuovo aumento delle accise. La situazione è davvero tanto grave? “Non è solo l’aumento delle accise, ma il problema vero nasce dalla tassazione di base già molto alta, che non differenzia un birrificio artigianale da uno industriale. Al contrario sono imprese di tutt’altro genere, con un rischio imprenditoriale ben diverso”. Venendo alle birre bergamasche, ci sono dei tratti comuni nella produzione orobica? “Il movimento bergamasco ha un tratto comune legato all’utilizzo del luppolo, almeno tra i prodotti che emergono per stile e qualità. È tra le zone d’Italia che è cresciuta maggiormente in questi anni, con una concentrazione di qualità elevata per merito di molti produttori che, nei
prossimi anni, saranno sempre più protagonisti del settore. Questo non è soltanto frutto della capacità dei birrai, ma anche dei movimenti che si sono costituiti attorno ai birrifici. Il territorio di Bergamo vanta tra i più bei locali d’Italia per la birra artigianale, come il “The Dome” di Nembro, l’Abbazia di Sherwood di Caprino e la locanda del Monaco Felice di Suisio. È inevitabile quindi che birrificio e birre di qualità vadano di pari passo, alimentandone la tendenza”. Il futuro delle birre italiane? “Difficilissimo fare previsioni. Siamo in una fase di maturità, quindi credo che il mondo della birra artigianale diventerà sempre più interessante nel futuro. Potrei sbagliarmi, perché il rischio che si tratti di una bolla è molto alto. Credo tuttavia che nei prossimi anni si arriverà a una selezione naturale, permettendo a chi resta di consolidare la propria posizione”.
Sulla Guida
ELAV / Segnalate Punks do it better, Indie Ale, Aeresis e Uppercut Ipa
Nuovi investimenti per produrre fino a 12mila litri al giorno L’avventura del Birrificio Indipendente Elav comincia nel 2010, quando Antonio Terzi inaugura il primo impianto da 300 litri a Comun Nuovo, con una cotta di Grunge Ipa. In breve il progetto, che nasceva per rifornire i due locali di proprietà, il Clock Tower Pub di Treviglio e l’Osteria della Birra a Bergamo Alta, diventa molto più importante. “Il successo delle nostre birre è stato tale che abbiamo avuto un’escalation produttiva inaspettata - spiega Terzi -. Abbiamo cominciato nel 2011 producendo 50mila litri, poi 180mila litri nel 2012, 300mila nel 2013 e quest’anno chiuderemo con 400mila litri di birra prodotta”. Il piccolo impianto da 300 litri è costituito da più vasche che permettono la produzione in continuo, tanto che ogni giorno
dal birrificio Elav escono 1.800 litri di birra. Tutte le birre sono ad alta fermentazione, non filtrate e pastorizzate, prodotte con malti prevalentemente inglesi e luppoli neozelandesi e giapponesi. “Esportiamo il 20% all’estero, negli Usa, in Finlandia e in altri Paesi. L’export ci interessa molto e le richieste sono in aumento, per questo abbiamo deciso di acquistare un altro impianto da 2.000 litri che a regime ci permetterà di produrre 12 mila litri di birra al giorno”. Attualmente il birrificio si sta aprendo al mercato cinese e tedesco. “Il segreto del nostro successo? Per noi la birra è un prodotto popolare che deve piacere, senza troppe elucubrazioni da “fighette”, simili al mondo del vino. Ci rivolgiamo a un pubblico molto ampio che frequenta i pub, a cui of-
friamo prodotti di qualità, ma popolari e accessibili”. Una filosofia che viaggia su un doppio binario, prestando un’attenzione quasi maniacale alla qualità e alla ricerca, grazie anche alla collaborazione col Politecnico di Milano, ma che mette al bando la comunicazione da birro-radical-fighetti. Le birre segnalate sono la Indie Ale nella categoria “Birra Quotidiana” e le Punks do it better, l’Aeresis e la Uppercut Ipa tra le “Grandi Birre”.
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L'APPROFONDIMENTO VIA PRIULA / Segnalate Loertìs, Camoz e Rosa!
Da quest'anno si stappa anche nella capitale inglese
È Giovanni Fumagalli l’appassionato birraio hobbista, o homebrewer, che comincia a produrre birra, quasi per gioco. Anni Novanta, Giovanni non solo produce la birra che vorrebbe bere, ma si diverte a sperimentare, stile “piccolo chimico”, diverse tecniche. Sarà quell’estrazione da farmacista, saranno i tentativi tra alta e bassa fermentazione che l’appassionano, fatto sta che Giovanni non solo è bravo, ma le sue birre piacciono agli amici, eccome. Due di questi, Marco Orfino e Mauro Zilli,
credono nel suo talento e parte un progetto: creare un nuovo birrificio a San Pellegrino. Nel 2010 nasce “Via Priula”, un birrificio che ha oggi all’attivo diversi riconoscimenti, non ultimo quello vinto nel 2013 dalla “Rosa!”, insignita Birra dell’Anno dall’associazione Unionbirrai. Ed è sempre la “Rosa!”, birra dedicata al Giro d’Italia, a entrare anche quest’anno nella guida di Slow Food, assieme alla Loertìs e la Camoz. “Ogni birra è una creatura che nasce in maniera diversa - spiega Giovanni
Fumagalli -. Mi lascio ispirare da ciò che mi circonda, un luogo, una persona, un profumo. La Loertìs nasce dalla ricerca della mia bionda preferita, un gusto che col tempo si è indirizzato sempre più verso la tipologia “Bohemian pilsner”, birre caratterizzate da un luppolo erbaceo e aromatico. Loertìs è una pilsner di carattere, con un tratto amaricante finale, che invita al nuovo sorso. La “Rosa!” è una birra di frumento alla frutta, adatta come aperitivo, mentre la Camoz è dedicata a un noto personaggio di San Pellegrino. Si tratta di Bruno Tassi, uno tra gli scalatori più amati della zona, che è stato anche maestro di Simone Moro. Questa birra è proprio come lui, uomo all’apparenza un po’ burbero e rude, che rivelava una grandissima umanità, una volta conosciuto meglio. Pensando a lui ho realizzato la Camoz, una birra nera e densa, che al palato rivela una grande generosità aromatica, data dai malti e dai luppoli”. Nel 2013 Via Priula ha prodotto 400 ettolitri, su due impianti non di proprietà. Vende principalmente per il pubblico locale e in alcune zone d’Italia. Da quest’anno la Loertìs sbarca anche a Londra.
BIRRIFICIO VALCAVALLINA / Segnalate Sun Flower, Albarossa e Diavola
Sulla Guida
Da parenti e amici al mercato lombardo, il salto di Carro
Produceva birra per sé, i parenti e gli amici, finché dopo otto anni decide di trasformare la sua passione in un lavoro. Originario di Bergamo, ma da sempre vissuto a Milano, Renato Carro apre nel 2009 il Birrificio Valcavallina a Endine Gaiano, un ritorno alle origini che gli ha cambiato la vita. Renato Carro
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“Tutti quegli anni di sperimentazioni casalinghe mi hanno aiutato a capire come produrre la birra a livello professionale - spiega Carro -. Una palestra che mi ha dato esperienza e competenza, senza le quali non avrei mai potuto aspirare alla qualità produttiva che contraddistingue le mie birre”. Ac-
luglio 2014 ENDORAMA / Segnalate Milkyman, Santa Lucia e Caliban
Addio informatica, meglio prendersi delle belle "cotte"
ta. Alla settimana, a seconda delle necessità, faccio dalle due alle quattro cotte complessivamente”. Nel 2013 il birrificio Endorama ha prodotto 300 ettolitri di birra ad alta fermentazione. “Non ho una scuola birraia di riferimento, ma faccio le birre che mi piacciono - spiega -. Al momento, a parte le birre one-shot, ne produco complessivamente una decina, tutte diverse l’una dall’altra per stile e carattere”. I prodotti premiati nelle categorie di Slow Food sono la Milkyman tra le “Bir-
quista un impianto da 1.000 litri per cotta, cominciando a produrre birra di qualità non pastorizzata, né filtrata e rifermentata in bottiglia o fusto. La produzione è 100% malto d’orzo, con luppoli in fiore o pellet. “Senza la pastorizzazione il prodotto rimane più integro, mantenendo inalterati i profumi primari e il sapore. Lo stesso vale per la filtrazione, che porta via parte delle caratteristiche organolettiche. Il gusto delle birre industriali pastorizzate e filfil trate è inevitabilmente più appiattito, riri spetto a quello delle birre artigianali”. I prodotti segnalati nella guida Slow Food, già per il terzo anno, sono la Sun Flower e l’Albarossa nella categoria “Birra Quo--
Sulla Guida
Simone Casiraghi si dedica anima e corpo al birrificio Endorama di Grassobbio, quella sua “creatura” nata nel 2010 dopo cinque anni di appassionante homebrewing. Lui da solo segue tutto, dalle fasi produttive alla vendita, ma nonostante il tempo non gli basti mai, non è pentito di aver barattato la vita da informatico con quella del birraio artigianale. “Quanto è grande il mio impianto? Semmai quanto è piccolo - scherza Casiraghi -, appena 250 litri per cot-
re Quotidiane”, la Santa Lucia e la Caliban tra le “Grandi Birre”. “La Milkyman ha uno stile anglosassone, ispirata alla stout inglesi. Si tratta di un prodotto quasi completamente estinto, nato originariamente per le gestanti. Si credeva, infatti, che bere birra consentisse alle donne incinta di avere più latte, quindi è nata questa birra che, con l’aggiunta del lattosio, ha un gusto più rotondo e morbido rispetto a una stout classica”. Endorama produce su richiesta birre per associazioni e locali. “La Caliban è di ispirazione belga, nata dalla collaborazione con la caffetteria “Spazio Terzo Mondo” di Seriate, che mi aveva chiesto di produrre una birra invernale. Anche la Santa Lucia è nata da un’altra collaborazione, questa volta con “La Compagnia del luppolo”, un’associazione di appassionati che mi ha chiesto di produrre per loro una birra natalizia. In realtà, dal momento che non amo le birre speziate, la Santa Lucia è una birra natalizia del tutto atipica, ben strutturata e con note agrumate”. Il birrificio produce in fusto e in bottiglia, nel formato da 75 e da 33 cl.
tidiana”, mentre tra le “Grandi Birre” vince la Diavola. “La Sun Flower è la nostra birra più premiata, piuttosto leggera e beverina, con un gusto che richiama la frutta tropicale, data dai luppoli americani. Albarossa è una rossa con una buona base di malto, rimarcata dal sapore dei luppoli euro europei, mentre la Diavola è la nostra bir birra invernale. È una rossa Barley Wine (vino d’orzo, ndr) da 8,6%, strutturata e complessa che si abbina alle carni ros rosse, ai formaggi stagionati o da meditazio meditazione”. Il birrificio Valcavallina vende quasi tutta la produzione, l’80%, in Lombar Lombardia e quest’anno produrrà 80mila litri di birra.
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LE NOVITÀ
Io, tanto di belle lettere quanto di vini e di acqueviti proprio non capisco un tubo. Però, di birra ne capisco, eccome: un quarantennio di paziente tirocinio, tra pub scozzesi e caserme altoatesine, ha fatto di me un birrista coi fiocchi. Così, oggi vi parlerò di una birra artigianale. So benissimo che, oggi, le birre artigianali stanno diventando più comuni della Peroni: ammetto che, negli ultimi tempi, si sono moltiplicati a dismisura i marchi artigiani, tanto da dare adito a qualche sospetto nei loro confronti. Però, c’è birra e birra: mica è sufficiente farsi la birra da sé per garantire al cliente un prodotto di livello. Spesso, dietro una sedicente artigianalità, alligna la semplice incompetenza: e, altrettanto spesso, queste birre ‘home made’ sono brode sciroppose e prive di mordente. La birra di cui voglio dire, viceversa, è proprio buona: semplicemente una gran buona birra. La produce Andrea Ravasio, di Nembro, un omone grande e grosso quanto gentile e bravo, che ama produrre birra, prima di tutto perché gli piace berla: e questa è già una discreta garanzia. Andrea, peraltro, non è un pellegrino: è laureato a pieni voti in scienza dell’alimentazione ed è un affermato tecnologo alimentare, tanto che, all’occorrenza, insieme alla birra,
AR Brewing, una "bionda" tutta passione e competenza
propone ai ristoratori ricette a base di birra, di sua creazione. La sua birra si chiama “AR Brewing” (http:// arbrewing.yolasite.com), dove AR sono le sue iniziali e il resto viene da sé. Per adesso, ha deciso di specializzarsi in un solo genere, la “Bionda”, dopo averne provati diversi: a botte di settecento litri, la fa preparare, dietro strettissimo controllo del rispetto dei protocolli della sua ricetta personale, dal birrificio Sguaraunda di Pagazzano. È una birra ad alta fermentazione, non filtrata, non pastorizzata, senza conservanti e rifermentata in bottiglia. Viene prodotta partendo da due malti e tre luppoli con un IBU (grado di amarezza) intorno al 18. Dice Ravasio stes-
so, parlando della sua creatura: “Si è cercato di ottenere un prodotto non troppo torbido. È una birra fresca, beverina, ma allo stesso tempo di personalità. Ha un grado alcolico non elevato e mi piace definirla una birra democratica ed elegante. Ogni suo ingrediente gioca un ruolo preciso senza sovrastare gli altri per giungere a un buon equilibrio di sapori.”. In cantiere, inevitabilmente per un mastro birraio che si rispetti, c’è anche una Dunkel, decisamente più corposa ed alcoolica della Bionda da 5,6 gradi alcoolici. La Bionda è una birra chiara, dalla bella schiuma consistente, dal gusto aspro e gradevolissimo, che richiama, a tratti, la migliore Bière Blanche belga, ma senza le fastidiose addizioni frisone, come il coriandolo e simili. A differenza di molte altre consorelle, la Bionda di Ravasio possiede anche una frizzantezza gradevole, che le toglie quel senso di dolciastro, così deludente in tante artigianali italiane. Insomma, è verissimo che le birre sono tante, milioni di milioni, però questa merita per davvero almeno un assaggio. Marco Cimmino
Anche Foresto Sparso ne beve di tutti i colori Quanto a fama “alcolica” Foresto Sparso non ha probabilmente rivali in Bergamasca. Noto per la produzione casalinga (e clandestina) della grappa, il paese della Valcalepio ora campeggia sulle etichette, in ecopelle, di Maggioodoroso, birrificio artigianale (ma non solo), creato da due giovani, che hanno voluto sottolineare il loro profondo legame con il territorio fin dal nome delle
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proprie creazioni. Sono così nate “Bionda di Foresto” (Belgian blond ale, 5,2% vol), “Rossa di Foresto” (American pale ale, 5% vol), “Ambra di Foresto” (Saison, 6,5% vol), “Bianca di Foresto (Blanche, 5% vol), “Mora di Foresto” (Porter, 5,3% vol), tutte in bottiglie da 50 cl, e l’ultima arrivata “Biondina di Foresto”, sorella della “Bionda” ma con meno lieviti in bottiglia, nel formato da 33 cl, pensata
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IL LOCALE
Per il giusto sorso la tappa è "Fusti ristoro" Da qualche mese Fusti Ristoro ha portato in città, in via Pitentino, le migliori birre artigianali italiane, con una selezione di oltre 50 etichette, dall’abruzzese Slow Food Almond 22 alla sarda Barley (nella top 20 della nuova guida della chiocciola), dalla Brewfist alla Extraomnes fino alla Menaresta, per citarne alcune. Alle bottiglie da stappare si affianca una ricca proposta alla spina che esalta la produzione artigianale brassicola locale. In esclusiva, grazie all’accordo con il Birrificio Via Priula di San Pellegrino, si spinano fusti di Loertìs, Corna Bianca, Dubec (nominata birra dell’anno), Melafoi, Camoz, Rosa!, Safrà e Bacio. L’atmosfera è quella di un pub interpretato con gusto italiano contemporaneo, grazie anche all’occhio più che allenato del designer Giovanni Minelli, tra i soci fondatori, che ha voluto che il locale parlasse anche sociale affidando parte della ristrutturazione, dalle sedie agli sgabelli, alla Cooperativa Aeper Colibrì. La cucina esalta il territorio e i prodotti locali, con casoncelli e ravioli preparati rigorosamente in casa, risotti come quello ai fiori di zucca mantecato alla formaggella della val di Scalve e piatti semplici come il Fustiburger accompagnato da chips croccanti e il panino al pollo con verdura e un velo di formaggio spalmabile,
oltre a pizze ed altri piatti veloci. Tra i dolci non manca la versione alcolica e spumeggiante del tiramisù: il birramisù. Il locale è aperto tutte le sere, eccezion fatta per il lunedì, dalle 18 alle 2 di notte.
FUSTI RISTORO via Pitentino, 2/E Bergamo
per chi vuole accostarsi al mondo della birra artigianale. A dare vita al progetto sono Giorgio Cimarelli, 28 anni, farmacista con la passione per l’homebrewing, e Marco Pecis, 30 anni, imprenditore nel settore della gomma nonché produttore di vino, salumi e formaggi nell’azienda agricola Vallonghe a Foresto Sparso, specialità ora entrate nel paniere di Maggioodoroso. «Dopo vari “esperimenti” alla ricerca delle migliori ricette – racconta Pecis –, le prime due birre sono nate un anno e mezzo fa e siamo in produzione da circa un anno. Abbiamo scelto di cominciare su un impianto già attivo, quello del giovane Birrificio del Lago di Sarnico, che gestia-
mo in compartecipazione, ma stiamo già pensando di realizzare un impianto nostro ed un nostro locale. Le birre hanno infatti incontrato molto successo al punto che, con le circa 2mila bottiglie prodotte ogni mese, non riusciamo a soddisfare tutte le richieste». La collaborazione di un’amica artista, Silvia Quadrelli (il “maggio odoroso” è quello della poesia “A Silvia” di Giacomo Leopardi) dà un tocco in più all’operazione sul versante dell’immagine e della promozione delle opere di artisti italiani. La sfida a più lungo termine è invece ottenere un riconoscimento legale del metodo di produzione casalingo e tradizionale della grappa di Foresto.
Giorgio Cimarelli e Marco Pecis
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NEWS
"Primavera del Prosecco Superiore", premiato il giornalista Roberto Vitali
Roberto Vitali (a destra) riceve il Premio da Federico Capraro presidente degli albergatori di Treviso
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l giornalista bergamasco Roberto Vitali si è aggiudicato uno dei premi giornalistici “Primavera del Prosecco Superiore” indetto da Alta Marca e dal Consorzio Prosecco Docg. Il premio (assegno, week-end nel Trevigiano e bottiglie di Prosecco) è stato conferito a Vitali per una serie di articoli sulla “Strada del Prosecco Superiore Docg”, tra cui due pubblicati sulla pagina del Turismo de L’Eco di Bergamo il 12 maggio 2014 e sul sito dello stesso giornale, sezione Enogastronomia, il 13 maggio. L’aula magna dell’Università di Agraria, a Conegliano (Tv), ha ospitato la cerimonia conclusiva della 19esima edizione della Primavera del Prosecco Superiore, la rassegna che da anni unisce 15 mostre del vino sparse sulle colline
trevigiane in un unico percorso enoturistico lungo quattro mesi. Anche quest’anno sono stati oltre 300mila i visitatori che hanno approfittato delle decine di eventi messi in campo dal comitato organizzatore e dai partner culturali, sportivi e del mondo della ristorazione, per conoscere da vicino l’area storica di produzione del Prosecco Superiore: il Conegliano-Valdobbiadene Docg, vino bandiera dell’enologia italiana nel mondo. Roberto Vitali, che nella sua lunga attività giornalistica ha meritato diversi premi nel settore del turismo e dell’enogastronomia, è stato anche fondatore e direttore prima di “Bergamo a Tavola” e poi di “Lombardia a Tavola", sino al 2002.
Il metodo classico "Pecis" lancia il primo rosé prodotto con uve Franconia È uno spumante rosè con la fortuna “incorporata” e detentore di un piccolo record. Si chiama QuadriFoglio ed è un metodo classico ottenuto, primo in Italia, con sole uve Franconia, o Imberghem come viene chiamato nelle nostre lande. A pensarlo e a produrlo è l’Azienda agricola Angelo Pecis di San Paolo d’Argon. Duemila bottiglie in tutto la produzione iniziale, frutto della vendemmia 2012. QuadriFoglio ha un colore rosato con riflesso rubino. Convince al naso, con note floreali di cicla-
Angelo Pecis con la moglie Marialaura
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mino e violetta e sentori agrumati, ma al palato sconta la giovanissima età e la ridotta permanenza sui lieviti (15 mesi); si fa comunque rispettare per finezza e sapidità. Crescerà, ne siamo sicuri. Anche perché, come ha precisato l’enologo Massimo Gigola alla presentazione ufficiale dello spumante, “con la prossima sboccatura QuadriFoglio rimarrà sui lieviti qualche mese in più per monitorarne l’evoluzione”. "Certo è che il Franconia - ha aggiunto Gigola - conferma ancora una volta la capacità di esprimersi al meglio sulle colline bergamasche”. Per Pecis è la terza bollicina a vedere la luce, dopo il metodo classico Maximus Brut, dedicato al primo figlio Massimo, e il Gaio delle Passere, spumante dry da uve Moscato, dedicato al secondogenito Lorenzo. Dopo i figli, mancava la moglie. Ed ecco QuadriFoglio. “Perché quel nome? È presto detto - spiega Angelo Pecis -. Marialaura sin da giovane ha avuto la
capacità di scorgere i quadriquadri fogli nei campi. Ha lo sguardo allenato. E allora, in suo onore, ho deciso per questo nome”. Laureato in ingegneria, vignavigna iolo per passione ("è stato mio padre a trasmettermela"), PePe cis guida un'azienda agricola che può contare su 5 ettari e mezzo di vigneti, dove sono impiantati merlot e cabernet sauvignon, pinot bianco e grigio, chardonnay e moscato di scanzo. La produzione, oltre alle tre bollicine, contempla anche quattro Valcalepio (rosso, rosso riserva, moscato passito e bianco) e il Terre del Colleoni - Franconia, vini a Denominazione di origine controllata.
L'EVENTO
luglio 2014
Brusaporto, la "Gioia Multipla" dei grandi chef
I fratelli Bobo e Chicco Cerea con (al centro) Massimiliano Alajmo
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Cena solidale il 15 settembre alla Cantalupa. Ai fornelli i fratelli Cerea, Pierangelini, Leveillé, Alajmo, Niederkofler e Vigotti. Il ricavato andrà alla sezione di Bergamo dell’Aism per la lotta alla sclerosi multipla n aiuto concreto a chi soffre di sclerosi multipla: è questo il motore che ha alimentato l'energia di “Gioia Multipla”, l'evento enogastronomico di beneficenza che si terrà il prossimo 15 settembre alla Cantalupa della famiglia Cerea, a Brusaporto, e che vedrà ancora una volta schierati non solo grandi chef, ma anche le eccellenze italiane e mondiali della gastronomia. La cena prevede un'offerta minima di 300 euro per persona. Il ricavato della cena e dell'asta di beneficenza andrà a favore dell'Associazione Italiana Sclerosi Multipla, per supportare l'acquisto di un mezzo attrezzato per il trasporto dei pazienti affetti da questa malattia. Tale mezzo sarà destinato alla sezione Aism di Bergamo. Tutto nasce da Mauro Defendente Febbrari, amico e medico del grande Gino Veronelli, nonché educatore alimentare. L'adesione di chef e produttori all’iniziativa è stata immediata e da qui è nata la squadra che sarà protagonista della serata. In cucina ci saranno Enri-
co e Roberto Cerea del ristorante Da Vittorio, Massimiliano Alajmo delle Calandre di Sarmeola di Rubano (Pd), Philippe Leveillé del Miramonti l'altro di Concesio (Bs), Norbert Niederkofler del St. Hubertus di San Cassiano (Bz), Fulvio Pierangelini del Roccoforte Hotel e Matteo Vigotti del ristorante Peck di Milano. La cantina sarà affidata alle mani esperte di Francesco Cerea mentre in dispensa troveranno posto i prodotti di Peck, dell’Antico Pastificio Rosetano, della Macelleria Cazzamali, delle Note golose e del Jamon Joselito. La serata vedrà anche la partecipazione di Enzo Vizzari, direttore della Guida ai ristoranti dell'Espresso in veste di battitore d'asta, che metterà in palio al miglior offerente le giacche autografate degli chef. L’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (Aism) è una Onlus che da 40 anni opera su tutto il territorio nazionale. Oggi è l’unica rganizzazione in Italia che interviene a 360 gradi sulla sclerosi multipla. Il suo impegno si sviluppa
in particolare in tre ambiti determinanti per le persone affetta dalla malattia: promuovere ed erogare servizi a livello nazionale e locale; rappresentare e affermare i diritti delle persone con Sm; sostenere e promuovere la ricerca scientifica. Oggi Aism è il punto di riferimento per le circa 70mila persone e per i loro familiari. L'associazione crede fermamente che le persone colpite dalla malattia abbiano diritto ad una buona qualità di vita e alla piena integrazione sociale. Per questo l'associazione è attiva sul territorio nazionale con oltre 10mila volontari impegnati a diffondere una corretta informazione, sensibilizzare l’opinione pubblica, promuovere ed erogare servizi socio sanitari adeguati dove il servizio pubblico non arriva, promuovere iniziative di raccolta fondi per sostenere la ricerca scientifica. Info e prenotazioni: Da Vittorio tel. 035.681024 info@davittorio.com
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TRADIZIONI
Tra rape, porri e scalogni anche gli ortaggi hanno fatto storia di Leonardo Bloch
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correndo l’elenco delle eccellenze gastronomiche bergamasche redatto un’ottantina d’anni fa da una memorabile pubblicazione del Touring Club, non passa inosservata l’attigua menzione delle contrade seriane di Orezzo e di Gavarno. Del primo borgo l’autorevole guida celebrava la fama delle rape, mentre al secondo dava risalto per le prelibate pesche che giusto in queste settimane giungono a maturazione. Quella che potrebbe passare per un’associazione del tutto fortuita - tra l’ortaggio ed il frutto non pare infatti intercorrere alcun evidente legame - individua in realtà una tra le contrapposizioni più singolari ed eloquenti della cultura alimentare dei secoli passati. A darne ragione sovviene un colorito racconto di Sabadino degli Arienti, sagace novelliere del quindicesimo secolo. Il gustoso apologo narra dunque delle schermaglie tra messer Lippo de’ Ghislieri, nobiluomo noto per la solerzia nel ricondurre nei ranghi chi - “specialmente li discostumati villani” - osasse provare ad evaderne, e Zuco Padella, contadino tutt’altro che schivo delle taverne e dei buoni ficatelli che vi si servivano. Oggetto della contesa erano le persiche - di-
Il Touring Club, un'ottantina di anni fa, menzionava le valli orobiche e i suoi prodotti. Qualche secolo prima sulla materia s'era dilettato anche il Cocho Bergamasco zione medievale ancor oggi in uso nel nostro vernacolo - vanto di un frutteto di proprietà del cavaliere, delle quali il villico soleva far razzie notturne. Per osteggiare le ruberie il patrizio fece collocare nell’erba attorno agli alberi delle bande chiodate, in cui alla prima occasione il ladruncolo incappò fuggendo per il dolore. Ma alla scorribanda successiva quest’ultimo si ripresentò armato di trampoli, riuscendo così a schivare l’insidia delle trafitture. Il defraudato ordinò allora di scavare una trappola per lupi dinnanzi all’ultimo pesco ancora carico di frutti, nella quale una volta per tutte il razziatore precipitò senza possibilità di fuga. Non prima di aver fatto gettare nella fossa un calderone di acqua bollente, l’aristocratico si congedò dal villano con una stentorea rampogna: “Un’altra volta lassa sta-
re le fructe de li miei pari e mangia de le tue, che sono le rape, gli agli, porri, cepolle e le scalogne col pan di sorgo.” Il monito finale di messer Lippo sancisce inappellabilmente la gerarchia sociale dei vegetali nell’età di mezzo, riflesso di una tassonomia che istituiva un nesso diretto tra distanza dalla terra a cui questi crescevano e ceto a cui era riservato il loro consumo. Ad un estremo della classificazione trovavano collocazione radici e bulbi - quali appunto rape, cipolle ed agli - che, affondando direttamente nel suolo, erano appannaggio nutrizionale delle classi meno abbienti. Al capo opposto si disponeva invece la frutta, maturata tra le fronde in riguardosa lontananza dal terreno, e pertanto destinata a soddisfare appetiti più altolocati. Della modesta considerazione so-
luglio 2014 ciale di cui in età medievale godevano gli ortaggi sussistono invero ancor più antiche testimonianze. Relazionando Ottone I circa gli esiti di un’ambasceria a Costantinopoli, già nel decimo secolo Liutprando da Cremona riferiva con raccapriccio come nelle cucine dell’imperatore romano d’oriente si facesse ampio utilizzo di agli, porri e cipolle, alla maniera degli zotici. A decretare poi che le rape fossero cibo da contadini era stato addirittura l’illustre agronomo latino Columella, pur con l’ossequio che la cultura dell’antica Roma serbava per l’orticoltura.
tato dal regime alimentare cui si attiene la corte, eccessivamente raffinato per il suo stomaco grossolano. A nulla vale la sua supplica sul letto di morte acciocché gli venga somministrata a mo’ di medicamento una ciotola di fagioli con la cipolla, o una rapa cotta sotto la cenere. La richiesta cade disattesa, e il poveretto termina i propri giorni tra atroci sofferenze. È tuttavia risaputo che i capricci del patriziato sono estemporanei quanto impavidi dei più eclatanti voltafaccia: solo poco più di centocinquant’anni separano infatti la novella di Sabadino degli Arienti dalla “Epistre aux maîtres d'hôtel” di Nicolas de Bonnefons, valletto da camera nientemeno che del Re Sole. In quest’ultima l’autore - voce tra le più influenti nella storia gastronomica europea - auspicava in tema di minestre borghesi che “quella ai cavoli abbia tutto il profumo del ca-
che finì addirittura per morire di gotta - fossero di punto in bianco divenuti di gran moda proprio gli stessi ortaggi che sino a poco tempo prima erano stati emblema della tanto aborrita dieta dei bifolchi. L’alito di questa rivoluzione gastronomica si propagò ben presto sino al nostro circondario: risale infatti al crepuscolo del diciassettesimo secolo l’ancor attualissima ricetta dell’insalata di rape elaborata dal Cocho Bergamasco – anonimo quanto talentuoso cuciniere concittadino. Questa prevede che il bulbo, tranciato in fette sottili, venga condito con una conza ottenuta a partire da un finissimo battuto d’aglio, erbe aromatiche (pimpinella, prezzemolo, salvia e menta), porro, rucola, capperi ed acciuga. Stemperato in olio ed aceto, il pesto va filtrato attraverso un telo a maglia sottile in modo da cedere alla vinaigrette
A sostegno di questa segmentazione per classi delle risorse alimentari, la medicina dell’epoca giunse a sostenere la paradossale tesi che la fisiologia della digestione fosse diversificata tra plebei ed aristocratici, ricevendo peraltro ampio credito. Nella popolare saga letteraria di Bertoldo, contadino reclutato nel seguito di re Alboino, il protagonista viene ad esempio gravemente debili-
volo; quella ai porri, del porro; alla rapa, della rapa.” Certo, l’appello era primariamente indirizzato ad affrancare la cucina dall’eccesso di spezie dietro il quale per secoli i cuochi avevano celato il sapore naturale degli alimenti. L’esortazione provvede nondimeno una chiara attestazione di come presso la casta aristocratica più carnivora del continente – lontana progenie di quel Carlo Magno
tutti gli umori senza che residui alcuna impurità. La sontuosa semplicità di questa preparazione, consacrata dall’augusto beneplacito della neonata cucina borghese d’oltralpe, vale forse la riscrittura a parti invertite della pur dilettevole novella di Sabadino degli Arienti: e se fosse piuttosto l’altezzoso messer Lippo a dover bramare le umili rape di Zuco Padella?
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MANGIARE ALL’APERTO di Anna Facci
La cinquina che porta in città un’estate golosa Negli spazi messi a disposizione dal Comune la combinazione tra location, eventi e sapori ha fatto nascere proposte per tutti i gusti. Ma un filo conduttore c’è: il must della tavola open air 2014 è infatti l’hamburger, in versione rigorosamente gourmet
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ono ormai un punto fermo dell’estate a Bergamo. Gli spazi di somministrazione all’aperto messi a disposizione dal Comune permettono di vivere la città nella bella stagione e portano movimento e iniziative un po’ per tutti. Il loro punto di forza è dato dalla possibilità di godersi (tempo permettendo) ambiente e paesaggio, ma la proposta enogastronomica non può passare in secondo piano, soprattutto di fronte al crescere nel pubblico della passione per cibo e vino e dell’attenzione per i prodotti di qualità, insieme alla sensibilità sui versanti del territorio, dell’ecologia e della sostenibilità. Tutti temi che l’avvicinarsi dell’Expo
porta ancor più alla ribalta, non a caso tenuti in considerazione pure nel bando di gara del Comune. Quest’anno gli estivi a Bergamo sono cinque: tre sulle mura, il parco della Trucca e la new entry nel parcheggio degli ex ospedali Riuniti. I gestori hanno messo a punto l’offerta combinando location, eventi e sapori. Abbiamo passato in rassegna i progetti, scoprendo nella varietà delle proposte un filo rosso. Il must della tavola open air 2014 sembra infatti l’hamburger, in versione rigorosamente gourmet, ovvero con carne selezionata. Il panino con la salamella è avvisato!
Parco di Sant’Agostino
In un solo spazio le “chicche” di 15 locali “E.State di Sant’Agostino” è un grande esperimento che riunisce in un solo spazio – il parco pubblico vicino all’ex convento – gli esercizi di Città alta, con ben 15 insegne dell’area cibo e bevande. L’iniziativa è nata per volere dell’amministrazione Tentorio e dell’associazione Bergamo Tua con l’obiettivo di valorizzare le eccellenze locali dell’enogastronomia, anche in preparazione all’Expo del prossimo anno. Dire che ce n’è per tutti i gusti non è esagerato. Sul versante beverage, sono riuniti sotto lo stesso “tetto” lo storico Bar Flora di piazza Vecchia, il Caffè della Funicolare e la Birreria Città Alta per un pre e dopo cena con aperitivi e cocktail. Due le linee di birre artigianali, quelle del Fly Pub, locale del birrificio Maspy di Ponte San Pietro, presente al parco con sei creazioni - bionda, ambrata, scura, ambrata
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al miele, rossa doppio malto e weiss – e quelle dell’Osteria della Birra con tre prodotti, una bionda e due rosse, del birrificio indipendente Elav di Comun Nuovo. Per chi preferisce le etichette internazionali, i campioni dell’Irish pub The Tucans vanno dall’inconfondibile Guinness alla Chouffe delle Ardenne. Sul lato food, la storica Vineria Cozzi, nata nel 1848, sfodera classici come polenta taragna e uovo in tazza, mentre per la pizza, Da Mimmo è una garanzia fin dal 1956. Grazie al Pozzo Bianco si può poi spaziare tra taglieri di salumi e formaggi, pizze, panini, piadine, burger, accanto alla selezione di birre alla spina e in bottiglia. Ha il gusto delle bollicine, invece, la proposta del Caffè del Tasso, locale di piazza Vecchia tra i più antichi d’Italia, che al parco è un Bellavista
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Parco della Trucca
La porchetta di Ferragosto è diventata una tradizione Per lo jogging o una passeggiata con il cane, per leggersi un libro o prendere il sole, far scatenare i bambini o chiacchierare con gli amici. Una stagione dopo l’altra il parco della Trucca, nei pressi dell’ospedale Papa Giovanni, si conferma luogo d’elezione per il tempo libero dei bergamaschi, trasversale alle passioni e alle età. Le iniziative di animazione estive, realizzate per il quarto anno da Tassino Eventi, valorizzano la possibilità di fare attività all’aria aperta, comprese quelle più originali, come il kayak e, novità di questa edizione, lo slackline, ovvero l’arte di camminare sulla corda, e il bootcamp, l’allenamento in stile marines. In linea con un ambiente così variegato e dinamico, la proposta gastronomica non poteva che puntare sui capisaldi della tavola en plein air. Lo fa però con un occhio di riguardo alla selezione delle materie prime e al rapporto tra cibo e benessere (perché il parco lo si frequenta anche per tenersi in forma). Tra le pizze hanno così debuttato quest’anno quelle con farine speciali - integrale, di Kamut e di farro – e per la griglia l’attenzione è alla scelta delle carni, che diventano protagoniste anche di serate speciali, dedicate,
Point. E mentre l’enoristorante La Tana punta sulla sua fresca tartare di manzo piemontese al coltello, la Trattoria Sant’Ambroeus sceglie preparazioni fantasiose di carne e di pesce. Sono creazioni a tre stelle Michelin quelle della Pasticceria Cavour, locale simbolo di Bergamo Alta fin dal 1880, che fa capo alla famiglia Cerea di “Da Vittorio”. Si spazia dal salato al dolce con tre tipi di panini, un hamburger con il pesce persico e uno con la salamella, passando per brioche, biscotti e tutte le tipicità a cui ha abi-
ad esempio, alla costata, al galletto nostrano o all’hamburger di Angus (200 g), mentre a ferragosto (pranzo o cena) sta diventando una tradizione di successo la porchetta intera allo spiedo. «Ci affidiamo ai classici, cercando di farli bene», spiega Alessandro Salamina che con Gianluca Paris gestisce Tassino Eventi, realtà specializzata nel catering di eventi outdoor, e il Tassino Cafè in largo Rezzara. «Diamo la preferenza ai prodotti del territorio a chilometro zero, ai formaggi delle valli e ai nostri salumi. All’insegna della freschezza e della filiera corta, quest’anno abbiamo anche scelto di introdurre il chioschetto del gelato artigianale, che facciamo
noi». Il servizio di ristorazione è attivo pure a pranzo e si sta rivelando un piacevole break per chi frequenta l’ospedale. In questo caso la proposta contempla piatti più leggeri, dalle insalate in più varianti, anche di cous cous e di farro, fino agli immancabili caprese e prosciutto e melone. Per cocktail e birre, comprese quelle artigianali, c’è anche il chiosco del laghetto. «Ogni anno il parco diventa più verde e più bello – rileva Salamina – e viene conosciuto da sempre più persone. Funziona perché soddisfa tanti interessi diversi ed età diverse. Grazie all’area bimbi, ad esempio, i grandi possono cenare mentre i piccoli si divertono».
tuato i clienti. Sul vino, l’enoteca Fontana di Sant’Agata seleziona bollicine, bianchi, rosè e rossi, con una predilezione per i piccoli artigiani della vite che meritano di essere portati alla ribalta. E per il gelato, ci pensa Safarà Soft, la prima gelateria ad aver ottenuto la certificazione da un ente oncologico, l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, in collaborazione con Carpigiani Gelato University, nell’ambito di un progetto culturale per diffondere l'educazione al piacere e al gusto del gelato artigianale italiano.
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MANGIARE ALL’APERTO
Spalti di San Giacomo
Piatti e servizio come al ristorante. Ma
Il panino gourmet dell'Angolone
“L’Angolone” è l’estivo sullo spalto che si apre sulle mura di Città alta, poco più su di porta San Giacomo, ed è un nome che ben identifica la location incuneata verso l’orizzonte. Per il secondo anno se l’è aggiudicato Love Banqueting, società di catering che ha tra le proprie attività la gestione del Castello di Clanezzo ed è legata al ristorante Cece e Simo di via IV novembre. L’iniziativa ha preso il via l’11 luglio (le altre sono invece partite già a metà giugno) e si caratterizza per il deciso taglio “da ristorante”, pur in chiave semplificata visti i numeri ben più ampi. «Nella zona ristorante, con circa 70 coperti – spiega Simone Errante, impegnato nell’attività insieme con Cesare Crippa e Simone Lorenzi -, il
servizio è classico, con l’ordinazione al cameriere, che serve mano mano le portate. Una formula che lo scorso anno ha riscosso tanto successo da rendere necessaria la prenotazione e che quest’anno abbiamo voluto migliorare dedicandovi più spazio e una migliore delimitazione. Ma anche nell’area delle tavolate – precisa - si viene serviti, solo che le ordinazioni vengono portate tutte insieme, più nello stile delle feste all’aperto». A questa impostazione corrispondono i piatti, curati dallo chef Filippo Cammarata. Non ci sono pizze o salamelle ed i casoncelli sono stati inseriti pensando più che altro ai turisti. La linea ricalca quella di Cece e Simo, con un vero e proprio simbolo rappresentato dalla tartare di fas-
Spalti di San Michele
Tra vele e onde, vanno forte le degustazioni sensoriali «Bergamo? Una meta perfetta per la vacanza, manca solo il mare». Prende spunto dal giudizio di un gruppo di studenti Erasmus delle Canarie innamorati della città il progetto “Abadobordo sulle mura” che, se non spiaggia e flutti, porta almeno la suggestione di un ambiente marinaro. A proporlo è la società dei giovani Davide Minzato e Roberto Danelli sullo spalto di San Michele, nei pressi di porta Sant’Agostino. L’idea - che ha ottenuto il punteggio complessivo migliore di tutti i concorrenti al bando del Comune – punta su un allestimento con vele e “onde” di tavoli attorno ad uno spazio ellittico con al centro una struttura in legno che richiama il corpo di una barca rovesciato, a ricreare una sorta di marina. Studiata è anche la diffusione del suono, con 11 casse (alcune anche a forma di roccia) disposte in modo da non sovrastare le conversazioni o disturbare la zona. Il menù, semplice e giovane, va dalla griglia alla pizza, dai primi alle insalate, senza dimenticare l’hamburger (di carne bergamasca selezionata) che pare proprio essere il denominatore comune dell’estate gastronomica in città. Tra le iniziative, un posto di primo pia-
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no hanno le “Degustazioni territoriali e sensoriali”, proposte il mercoledì, con un taglio particolarmente originale dato alle degustazioni alla cieca grazie alla collaborazione con l’associazione sportiva dilettantistica di disabili visivi Omero. «L’analisi alla cieca – racconta Patrizia Capoferri, esperta di vino e comunicazione che ha curato il programma delle serate – è una nuova tendenza nel mondo enologico che punta a sganciarsi dalle certezze e dalle aspettative legate al colore. Solitamente viene realizzata con bicchieri neri, noi invece benderemo il pubblico, chiamato a confrontarsi sulle percezioni sensoriali con un professionista degustatore e una persona non vedente, in un reciproco scambio di esperienze e sensazioni». Accanto alle serate “solo vino” ci sono quelle che ab-
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Ex ospedali Riuniti
siamo sulle mura sona piemontese, ma anche, a titolo di esempio, orecchiette con pomodori datterino, burrata e alici o il vitello tonnato con panzanella, senza dimenticare i filetti e, tra gli antipasti, le focacce realizzate in casa (come tutto il pane) con lievito madre. Campione nelle preferenze lo scorso anno, torna l’hamburger di fassona piemontese, accolto in un pane a lievitazione naturale ed accompagnato da guanciale di Sauris affumicato, Fontal La Belinda di Casa Arrigoni, cipolla di Tropea croccante e una salsa segreta. Ma si fa largo, viste le richieste in crescita, anche l’attenzione ai piatti vegetariani e vegani. «È un’offerta che vuole differenziarsi, valorizzando al contempo il nostro stile di cucina», rimarca Errante. Sul versante dei vini, la scelta è andata al gruppo Terra Moretti, dalla Franciacorta alla Toscana, insieme ad una selezione di etichette della Valcalepio, per non far mancare il territorio. Tra le iniziative a tema food & wine, sono in programma aperitivi con showcooking con i prodotti di Piacere Mio e il lunedì sera le degustazioni di vini con il Seminario Veronelli.
binano vini o birre artigianali ai formaggi bergamaschi d’eccellenza selezionati da Slow Food e raccontati dagli stessi casari. «Con questi eventi – sottolinea Patrizia Capoferri - il vino esce dai consueti circuiti per incontrare un pubblico diverso, spesso giovane e femminile, e le degustazioni, pur condotte secondo criteri professionali, assumono un fascino tutto nuovo, circondati dal prato e dal panorama offerto dalle mura». Ababordo partecipa anche alla campagna del Cesvi Food Right Now, che promuove il diritto al cibo per tutti, alla quale sarà dedicata una raccolta fondi il 4 agosto. All’insegna della sostenibilità è anche il concorso di ricette che valorizzano gli avanzi, le migliori saranno inserite nel menù di agosto e premiate con voli Ryanair e buoni cena.
Al “Green Village” connubio tra sport e piatti light Il “Green Village” è un nuo nuovo indirizzo nella mappa degli estivi in città. Punta a rivitalizzare l’area degli ex ospedali Riuniti, che ha visto un drastico calo di passaggio dopo il trasferimento della struttura parsanitaria. Nel vecchio par cheggio è stato allestito, per iniziativa dell’Associazione sportiva dilettantistica Barnaba 4, un giardino temporaneo con tanto di campo da beach volley, rampa per mountain bike e skate e il calendario spazia dai tornei alla musica, alla proiezione degli eventi sportivi (mondiale di calcio e Formula 1 su tutti) su maxi schermo. Il giardino è aperto dalle 10 di mattina fino alle 2 di notte, sette giorni su sette, e offre il servizio ristorazione sia a pranzo sia a cena. A luglio è avvenuto un passaggio di consegne in cucina, con Elvio Beretta che ha lasciato il posto a Davide Suardi, esperto di catering. Il suo tocco personale lo ha dato con la “Piadaburger”, realizzata con 220 g di carne Chianina Igt, pomodoro, insalata, pancetta croccante bergamasca e salsa “Green Village”. La parola d’ordine della proposta è semplicità. Lo chef ogni giorno, sulla base dei prodotti trovati al mercato, realizza piatti con verdure di stagione che affianca alla più schietta tradizione bergamasca, con casoncelli e scarpinòcc fatti a mano, polentina con crema di taleggio e coste con cotechino bergamasco, oltre a piatti vegetariani come il cous cous di verdure e golose varianti di crepes salate. Il villaggio ha già ospitato una selezione del Campionato di risotto (per la cronaca il successo è andato al “Risotto al Branzi con pepe nero aromatico”), mentre a luglio sono in programma la serata spagnola con paella e sangria con frutta fresca e la serata toscana con cacciucco e Vermentino. A mezzogiorno la scelta si concentra su insalatone, primi e macedonia, oltre che sul “Menù Green” che a euro dieci prevede piadina, bibita, patatine e gelato. Tra le iniziate gustose anche gli aperitivi in lingua e l’aperoguida, aperitivo seguito da un itinerario con guida tra il quartiere di Santa Lucia e Città Alta.
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L'ITINERARIO di Lara Abrati
Tra stracchini, formagelle e salumi, l'area è ricca di aziende produttrici che meritano una tappa. Ecco qualche indicazione per andare a colpo sicuro
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Bronzone, quanta bontà in cima al monte agando per le tortuose strade attorno al Monte Bronzone ci si imbatte di frequente in molte baite e cascinali, ma anche prati dedicati al pascolo dei bovini appartenenti a piccoli allevatori locali. Quello praticato in questa zona è un allevamento estensivo, stanziale nei mesi invernali e al pascolo nei mesi estivi. Da sempre qui i piccoli allevatori, con poche decine di capi ognuno, producono formaggio, in particolare lo stracchino del Monte Bronzone.
L’assaggio -Tradizionalmente per la produzione di questo formaggio si utilizza il latte intero, preferibilmente crudo, lavorato subito dopo la mungitura, senza ulteriore riscaldamento. Questa pratica si sta un po’ perdendo per esigenze legate alla tecnologia di produzione, anche se molti piccoli allevatori continuano a produrre lo stracchino in que-
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sto modo. Si tratta di un formaggio fresco, a pasta molle e cruda. È di forma quadrata, con scalzo diritto alto circa 4 centimetri. La buccia è umida e rugosa e presenta le tipiche striature delle tele o del ripiani dove viene appoggiato durante la fase post produttiva, funzionale alla perdita del siero in eccesso. La pasta è bianco-crema oppure caratterizzata da un leggero giallo paglierino, con rare e fini occhiature. Può essere consumato fresco, ma anche un poco più stagionato: in questo caso si esaltano le delicate note aromatiche date dal latte proveniente dagli animali al pascolo, grande valore aggiunto di questo stracchino, soprattutto se prodotto a latte crudo.
L’itinerario - Percorrendo le strade attorno al Monte Bronzone, si possono incontrare diverse realtà agricole che producono lo stracchino,
ma non solo. C’è anche chi ha deciso di dedicarsi in particolare alla produzione di salumi e chi si dedica all’arte dell’affinamento di questo formaggio. Per chi non ama il trekking oppure preferisce un itinerario da fare in auto, moto o mountain bike alla ricerca di golosità gastronomiche, il suggerimento è di spendere una mezza giornata in questa zona. Partendo dal comune di Adrara San Martino si possono raggiungere i Colli di San Fermo, passando per Adrara San Rocco e proseguendo oltre l’abitato. Dopo circa 11 km si arriva a destinazione. Appena arrivati ai Colli di San Fermo, si può imboccare una strada subito a destra che porta a Vigolo. Questa strada panoramica è percorribile da quasi tutti i mezzi ed è per il 70% asfaltata. Una volta a Vigolo si può scendere verso Tavernola e il lago Sebino.
Le aziende
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"Capoferri Formaggi", qui l'affinamento è un'arte Capoferri formaggi è un affinatore, acquista quindi i formaggi dai piccoli produttori locali e li stagiona, vendendoli poi alla grande distribuzione e ai dettaglianti. “L’azienda è nata da un’idea di mio nonno - spiega Aldo Capoferri, 65 anni, titolare dell’attività - che poi è passata a mio padre. Un tempo ad Adrara arrivavano i formaggi dal Monte Bronzone con l’ausilio dei muli. Li portavano dagli alpeggi”. In azienda attualmente lavorano anche i due figli di Aldo, Claudio di 31 anni e Andrea di 30. L’attività consiste non solo nell’affinare e stagionare i formaggi, ma anche nel seguire ed aiutare i propri conferitori nella produzione, al fine di ottenere la maggiore qualità possibile. Una grande attenzione quindi al modo di produrre il formaggio e di allevare gli animali. “I nostri produttori - dice ancora Aldo - producono formaggi con latte crudo. Molti di loro nel periodo estivo non riscaldano nemmeno il latte, ma lo lavorano subito dopo la mungitura; è possibile fare questo perché possiedono ciascuno pochi capi. Noi ritiriamo il formaggio due volte la settimana nel periodo estivo, una nel periodo invernale. In totale i produttori con cui interagiamo sono una decina e tutti allevano in particolare brune alpine”. Un’importante tradizione famigliare quella di Aldo Capoferri che non si dedica solo agli stracchini, ma anche ad altre tipologie di CAPOFERRI FORMAGGI formaggio. via G. Marconi, 22 Onestà e rispetto per Adrara San Martino il consumatore sono le tel. 035.933125 sue parole d’ordine.
Azienda agricola “Le Foppelle”, spazio anche alle formagelle Arrivando da Adrara San Martino, prima di raggiungere l’abitato e il valico dei Colli di San Fermo, si incontra una strada a destra, via Casina del Monte. Vi sono anche le indicazioni per l’agriturismo Dedine. Imboccando questa strada, dopo essere risaliti per qualche tornante, se ne incontra un’altra, parzialmente sterrata, ma facilmente percorribile con tutti i mezzi. Il cartello indica la località Foppelle. Due curve in salita e si arriva all’azienda agricola “Le Foppelle”. L’azienda produce stracchini e formagelle a partire dal latte dei 40 bovini in lattazione, lasciati al pascolo nel periodo estivo. In azienda lavorano i tre fratelli Belometti: Luca di 34 anni, Agostino di 26 e Lorenzo di 21. Luca e Lorenzo, nel periodo invernale, lavorano presso varie aziende come norcini, un buon modo per continuare la famosa tradizione del cosiddetto Masadùr! “Produciamo lo stracchino a partire da latte crudo lavorato mattina e sera, dopo ogni mungitura - spiega Lorenzo -. Viene riscaldato e al latte viene aggiunto caglio di vitello per la coagulazione. Di solito lavoriamo il latte io o i miei fratelli, ma se non abbiamo tempo viene in prezioso aiuto mamma Carolina”. I formaggi possono essere acquistati in azienda. “LE FOPPELLE” Colli di San Fermo tel. 035.819046
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L'ITINERARIO
Cooperativa Monti e Laghi, quando l’unione fa la forza
COOPERATIVA MONTI E LAGHI loc. Seradello Vigolo tel. 035.932791
Lasciando la località Bratta alle spalle, lungo la strada che porta all’abitato di Vigolo, si incontra una strada che scende verso destra con l’indicazione per il caseificio. Ecco che si arriva alla Cooperativa Monti e Laghi, dove si trovano sia il caseificio che lo spaccio. La cooperativa racchiude un gruppo di allevatori che producono latte che quotidianamente viene raccolto e lavorato con un moderno impianto. “I soci conferitori sono localizzati nelle zone limitrofe al caseificio" - dice Giambattista Bettoni casaro e responsabile della produzione, sempre della zona del Monte Bronzone. Bettoni lavora alla cooperativa da quando si è diplomato alla scuola agraria professionale di Orzivecchi (Bs). “È stata una grande opportunità per me, non senza difficoltà, ma credo di essere riuscito a raggiungere discreti risultati”. Lo stracchino della cooperativa è stato infatti premiato per tre volte al concorso caseario San Lucio di Pandino. Viene prodotto con latte pastorizzato in loco. Questo per motivi microbiologici e per esigenze di tipo tecnologico date anche dal fatto che si unisce latte proveniente da diverse stalle. Questo però non ne diminuisce la bontà. Il caseificio produce anche diverse tipologie di formagella, il primosale, il taleggio Dop, la ricotta e lo yogurt. Lo spaccio si trova a Vigolo presso il caseificio stesso e a Sarnico al centro residenze “I fiori".
“La Bratta”, la norcineria tiene banco insieme al caseificio Provenendo dai Colli di San Fermo, quasi al bivio dove si può proseguire verso Vigolo oppure scendere verso Tavernola, si incontrano le indicazioni per raggiungere questa azienda, in località Bratta. È una famiglia di agricoltori da sempre quella di Dario Bettoni di Vigolo, afflitta negli anni scorsi da tutte quelle problematiche reddituali che hanno spinto molti piccoli agricoltori a chiudere la propria attività. Ma non è il caso di Valeriano, che insieme al figlio Dario, 27 anni, ha pensato a un progetto che differenziasse l’attività agricola con lungimiranza. “Gli investimenti fatti sono stati parecchi, ora speriamo diano buoni frutti - dice Dario -. Purtroppo, a differenza di mia sorella, ho lasciato la scuola, l’Istituto Agrario di Bergamo, ai primi anni di frequenza per dedicarmi all’azienda di famiglia e alla produzione di salumi”. Dopo aver fre-
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quentato il corso per diventare norcino, Dario ha cercato di imparare sempre di più rispetto all’arte salumiera da un norcino del paese. Ora in azienda ha un piccolo macello autorizzato Ce nato nel 2006 adiacente a un laboratorio di trasformazione delle carni. Qui lavora quelle provenienti da circa 60 suini allevati ogni anno. Produce salami, coppe, pancette, lonzini, ma anche dei piccoli prosciutti crudi. I salami maturano in cantina controllata per circa 2 mesi e provengono dalle carni di suini dell’età di almeno 14-15 mesi. La maturità di queste carni è determinante per la qualità finale di questi salumi. Ma non è tutto, Dario e la sua famiglia hanno ricreato una piccola economia agricola basata anche sulla vendita di animali da cortile, di carne bovina proveniente dagli animali allevati in azienda e dai formaggi prodotti con il latte
delle loro quattro vacche. “Nel 2012 abbiamo deciso di fare un altro investimento - sostiene Dario - creando il piccolo caseificio in cui lavoro circa 30-35 litri di latte alla volta per la produzione di stracchini, formagelle e formaggi stagionati”. Una piccola realtà agricola "come una volta" immersa in una zona in cui è possibile respirare la natura.
AZIENDA AGRICOLA “LA BRATTA” Vigolo tel. 035.932 742
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Lo storico locale di Canonica d’Adda ha ricevuto nei giorni scorsi la targa che attesta l’ingresso nel sodalizio enogastronomico
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La Terrazza Manzotti aderisce a “Ristoranti Regionali - Cucina DOC” a Terrazza Manzotti inizia la sua vita nel 1907, quando Francesco Manzotti, detto Cechì, con la moglie Enrichetta aprono la Trattoria Adda a Canonica. Frittura di pesce pescato nel fiume e buon vino è quanto offrono ai viandanti che con carri e greggi attraversano l’attiguo ponte di legno sul fiume. Nel primo Dopoguerra la trattoria aggiunge la gelateria artigianale e la sala da ballo, divenendo un vivace luogo di incontro, caratteristica che mantiene tuttora. Il locale, abbellito da un completo restyling, non ha più la sala da ballo, ma ha mantenuto intatte alcune peculiarità come il bellissimo lampadario in ferro battuto nella sala del caminetto. La terrazza sul fiume, arricchita in estate da rigogliose fioriture, regala in ogni stagione un panorama suggestivo incorniciato dal grande ponte, ad arcata unica metallica, che collega Vaprio e Canonica d’Adda. Il lounge bar che serve curati aperitivi e cocktail, la gelateria ricca di golose proposte e il B & B completano l’accogliente struttura. La gestione è affidata a Francesco, la quinta generazione, che dopo aver frequentato l’Istituto Alberghiero di San Pellegrino Terme è subentrato, negli anni 90, alla mamma Enrichetta ancora oggi insostituibile presenza nel locale. La cucina prepara piatti della tradizione, rivisitati in chiave moderna, realizzati con le attuali tecniche di cottura. Per soddisfare ogni richiesta della clientela, un forno a legna sforna anche pizze. La Terrazza Manzotti è entrata a far parte del Gruppo Ri-
storanti Regionali- Cucina DOC (www.ristorantiregionali.it), l’associazione che fin dai primi anni 70 sostiene l’importanza dell’enogastronomia regionale intesa come espressione di cultura ed elemento indispensabile per un’offerta turistica di qualità. La segreteria del gruppo promuove la conoscenza di locali selezionati in tutto il territorio nazionale che offrono una tavola eccellente con attenzione al rapporto qualità/prezzo. Le bollicine di Franciacorta hanno accompagnato il menù approntato in occasione della consegna della targa che testimonia l’adesione del locale al sodalizio enogastronomico. Lo chef executive Mauro Civiero ha preparato alcuni piatti del menù estivo: sformatino di zucchine e pomodori essicati con crema spumosa di grana, risotto alle borraggini mantecato con formaggio caprino, tonno di coniglio con porcini e maggiorana, semifreddo al miele di montagna con amaretti e pinoli. Barone Pizzini, primo produttore da agricoltura biologica in Franciacorta, ha proposto in abbinamento: Franciacorta Brut Animante Docg, ottenuto da uve Chardonnay, Pinot nero e Pinot bianco, affinato 18- 30 mesi sui lieviti; Franciacorta Rosé Docg 2010, da uve Pinot nero, affinato 30 mesi e maturato sei mesi in barrique. A chiusura del convivio è stato proposto Curina Verdicchio dei Castelli di Jesi Passito Doc, prodotto di nicchia dei vigneti marchigiani di Barone Pizzini che, in questo territorio, applica la coltivazione biodinamica. Marinella Argentieri
RISTORANTE TERRAZZA MANZOTTI piazza Libertà 4 Canonica d'Adda tel. 02.9094048 02.90988253 www.terrazzamanzotti.it Al centro, seduta, Enrica Manzotti. Dietro Francesco Colombo con in braccio il figlio Emanuele. Alla sua destra lo chef Mauro Civiero e alla sua sinistra il maître Diego Martinelli
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FACECOOK
alla scoperta dei social chef
di Laura Ceresoli
Marino D’Antonio, di Cisano, da otto anni lavora nella capitale cinese, prima col ristorante Sureño e ora con Opera Bombana. È stato eletto anche “Chef of the year”
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“Quell’incontro con Bombana che mi ha cambiato la vita” arra un’antica leggenda che nel lontano 1292 fu Marco Polo, durante il suo viaggio in Cina, a scoprire gli spaghetti e a portarli in Italia. Ma le presunte origini orientali dei noti “vermicelli” sono state più volte sconfessate dai cuochi nostrani che rivendicano a pieno titolo la paternità di questa succulenta pietanza. Tra i più convinti promotori della pasta c’è anche Marino D’Antonio, cuoco 42enne di Cisano Bergamasco che da otto anni delizia i sofisticati palati pechinesi con i suoi manicaretti di qualità. Capo chef all’Opera Bombana di Pechino - il terzo locale aperto in Asia dal rinomato cuoco della Valle Seriana Umberto Bombana, dopo i due “Otto e mezzo” di Hong Kong e Shanghai - D’Antonio è riuscito nell’impresa non facile di sovvertire una radicata tradizione cinese basata su otto stili di cucina profondamente lontani dalla cultura italiana. “Spaghetti, tortellini, ravioli, paccheri, fusilli… In Italia abbiamo una varietà di pasta senza limiti e dire che è stata inventata dai cinesi è proprio fuori luogo - conferma Marino -. Negli ultimi anni i giovani cinesi benestanti stanno apprezzando sempre di più i prodotti di qualità italiani e, appena posso, cerco di inserire anche un tocco orobico nei miei menù”. Nato a Bergamo da papà abruzzese e mamma valtellinese, Marino scopre la sua passione per la cucina da giovanissimo quando inizia a lavorare nel ristorante della zia. Così decide di iscriversi all’Istituto alberghiero di San Pellegrino. Dopo il diploma, lascia l’Italia per
fare esperienza in Europa, in particolare a Londra e a Tolosa. Grazie all’aiuto di Luciano Tona, rettore di Alma, apre il primo ristorante italiano a bordo della Silversea, una delle più lussuose navi da crociera del mondo. Ma è in Cina che oggi D’Antonio ha trovato fortuna, dapprima con l’apertura del Sureño, giudicato il miglior ristorante mediterraneo di Pechino, e poi con Opera Bombana, grazie al quale ha ottenuto vari riconoscimenti come “Chef of the year” da riviste del settore. Su Tripadvisor le recensioni sono più che positive: 17 eccellente, 4 molto buono, 6 nella media e soltanto uno scarso e 2 pessimo. “Per me Opera Bombana è uno, se non il migliore ristorante a Pechino - scrive shib0329, un residente della zona -. Io vengo regolarmente per una porzione di
spaghetti e polpette firmati dallo chef Marino, per l'enorme cotoletta alla milanese o per il prezzo molto ragionevole del pranzo”. E ancora BeijingHongkie commenta: “Lo chef Marino applica qui la sua esperienza maturata al Sureño. Il menu, che presenta una combinazione fra i piatti caratteristici di Bombana e la creatività di Marino, è semplicemente meraviglioso”. Oltre a specialità lombarde come l’Ossobuco con risotto allo zafferano e la cotoletta alla milanese, nei mesi più freddi si possono gustare anche i casoncelli alla bergamasca e l’immancabile polenta, mentre tra i dolci fatti in casa meritano una segnalazione il soufflé al Limoncello e i cannelloni al gianduia. www.surenorestaurant.com www.operabombana.com
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“Troppe brutte copie della nostra cucina. Per il made in Italy è un danno” Com’è iniziata la sua esperienza lavorativa all’estero? “Ho iniziato a lavorare all’estero da giovane. A 18 anni ero a Tolosa e poi a Londra. Sono rientrato in Italia dove ho avuto l'occasione di conoscere Luciano Tona il rettore di Alma che mi ha aiutato a capire la vera cucina di qualità. Dopo un’esperienza veramente bella sulla Silversea, una delle na- vi da crociera più lussuose al mondo, ho avuto un’offerta per venire a lavorare in Cina. Onestamente, però, non ero molto entusiasta all’idea di vivere a Pechino, ma quando so- no arrivato qui ho cambiato idea”. Co- me vive a Pechino? “Qui ho aperto due ristoranti, il Sureño e Opera Bombana per conto dell’omonimo chef di Castione della Presolana che è l’unico cuoco italiano al mondo con tre stelle Michelin al di fuori dall’Italia con il suo ristorante di Hong Kong “Otto e mezzo Bombana”. Pechino è una città con grandi opportuni- tà e dopo otto anni devo dire che sono contento anche se le difficoltà sono molte”. Ri- esce a far conoscere la cucina bergamasca nel mondo? Marino D’Antonio Con quali piatti? “Chiaramente la po- lenta ha un posto speciale nel nostro menù e nel mio cuore. Per questo durante il periodo autunnale e invernale non può mancare. Anche casoncelli e pizzoccheri sono specialità che proponiamo spesso”. A quali chef si ispira? “Chiaramente al mio maestro, lo chef Umberto Bombana: lavorare con lui è la cosa più bella che mi sia capitata professionalmente. Amo moltissimo anche la cucina dei fratelli Cerea che sono uno dei fiori all’occhiello della ristorazione Italiana”. È vero che gli stranieri hanno una visione stereotipata della cucina italiana? “Verissimo. È davvero molto difficile promuovere la vera cucina italiana perché va fatta con prodotti italiani di qualità e va oltre le brutture che le nostre ricette tradizionali subiscono all’estero. Circolano infatti troppe brutte copie dei nostri piatti fatte con prodotti di dubbia qualità che non hanno nulla a che vedere con il Made in Italy”. Quanto è importante Internet per promuovere la sua attività? “Internet, soprattutto negli ultimi anni, è diventato uno strumento indispensabile per promuovere un locale. È sempre più diffusa la moda dei blog che oggi grazie agli smartphone permette ai clienti di informarsi sui locali da casa, oppure di scattare foto dei piatti durante la serata e scrivere recensioni istantanee”. Ha una pagina Facebook per sponsorizzare i suoi prodotti? “Purtroppo non ho una pagina Facebook perché qui in Cina Facebook e Twitter sono censurati”. Qual è il suo rapporto con le recensioni di Tripadvisor? “Penso che siano utili ai clienti che vogliono sapere i punti di vista di chi è stato prima nel locale, anche se talvolta sono un po’ fuorvianti: dipende sempre da chi le scrive”. Come sono cambiati la ristorazione e il rapporto con i clienti grazie ai nuovi media? “I nuovi media hanno un effetto immediato. Quando il cliente viene al locale comincia a fare foto al posto, ai piatti, alle espressioni dei suoi amici durante la cena e le mette on line sul suo blog, facendo una valutazione immediata del tipo di locale in cui si trova. In questo modo incuriosisce chi non ci è mai stato a voler provare la stessa esperienza, creando così un interesse mediatico che può giovare al ristorante”.
In vacanza con gusto
Street Food, ecco i 20 campioni regionali
Al centro di una vivace riscoperta, il cibo da strada - street food nella dizione più modaiola – non può mancare in ogni vacanza o escursione che si rispetti. Spesso i piatti da mangiare all’aperto, preparati nei baracchini sulla spiaggia, nei chioschi o nelle piccole botteghe dei centri storici sono capaci di esprimere con semplicità ed immediatezza il carattere e la tradizione di un territorio. A questa ristorazione il Gambero Rosso dedica da due anni la guida Street Food, che nella nuova edizione ha recensito oltre 400 esercizi ed eletto 20 campioni regionali. Ve li proponiamo, per una sosta golosa dovunque vi porti l’estate lungo la nostra Penisola. Valle d’Aosta – Panizzi Cheese & Wine (Courmayeur – Ao); Piemonte – Gofreria Piemonteisa (Torino); Liguria – Priano (Voltri, Genova); Lombardia Sciatt à porter (Milano); Veneto – La Torre (Verona); Trentino Alto Adige – Bozner Brot (Bolzano); Friuli Venezia Giulia – Street Food Trieste (Trieste); Emilia Romagna – Kalamaro Piadinaro (Riccione – Rn); Toscana – Il Lampredotto Lorenzo Nigro (Firenze); Marche – Le Pallette di Giorgio (Ascoli Piceno); Umbria – La bottega di Perugia (Perugia); Lazio – Dess’Art (Roma); Abruzzo – Antica Porchetta di Campli (Campli – Te); Molise – Panificio Antichi Sapori di Patriarca (Agnone – Is); Campania – Fratelli Mascolo (Gragnano – Na); Puglia – Mezza pagnotta (Ruvo di Puglia – Ba); Basilicata – Pane & Pace (Matera); Calabria – Siamo Fritti (Cosenza); Sicilia – Fud (Palermo); Sardegna – Retroburger (Cagliari).
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L’INTERVISTA di Leo Bartoli
“Mangiar sano non vuol dire rinunciare al gusto” Anche chi decide di concedersi una parentesi in una Spa può soddisfare il proprio palato: parola dello chef Matteo Maenza. “L’approccio dietetico detossinante e ipocalorico e i metodi di cottura nulla tolgono al piacere della buona tavola”
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uno dei paradossi più perfidi della cucina made in Italy, che da qualche tempo sta cercando con feroce determinazione di sposare un menù politicamente corretto sul fronte della dieta, senza rinunciare al piacere della buona tavola. Un equivoco che spesso viene ancor più evidenziato dall’offerta che tante Spa di altissimo livello propongono ai loro visitatori. In quel caso c’è sempre l’amico carogna che al tuo ritorno da una settimana di dieta e relax ti dirà: 1) certo che sei dimagrito, ti avranno propinato delle pappette indecenti al punto che non hai potuto far altro che perdere peso. Oppure: 2) Ma non volevi dimagrire? Fai un sacco di trattamenti e poi ti ritrovi davanti a una cucina stellata: tempo sprecato… Per uscire da questo percorso lastrica-
to di luoghi comuni abbiamo intervisto uno dei più promettenti chef che operano in Lombardia: Matteo Maenza, pugliese di nascita, (allievo dello stellato Fabio Baldassarre e con un robusto bagaglio di esperienze all’estero) è da poco più di un anno chef del Lafay Resort di Gargnano sul Lago di Garda, una delle massime espressioni legate al benessere e alla cura del corpo oggi in Italia. Maenza, come si coniuga il mangiar bene con i trattamenti per il benessere delle grandi Spa? “Dedicare una particolare attenzione agli aspetti salutari del cibo non significa rinunciare al gusto. È un vecchio equivoco che io, da giovane chef, cerco di sfatare, in prima battuta rinunciando all’uso di fondi cotti per ore, Matteo Maenza
Villa in Verticale, si aggiudica lo scettro l'annata 2004 La 20° edizione promossa dall'azienda franciacortina di Monticelli Brusati ha celebrato una delle etichette simbolo della Maison, la "Cuvette" È giunta alla ventesima edizione Villa in Verticale, l’immancabile appuntamento con i prestigiosi millesimati della maison Villa Franciacorta tenutosi lo scorso giugno a Borgo Villa. Protagonista dell’edizione 2014 l’elegante Cuvette, una delle etichette più rappresentative della Cantina di Monticelli Brusati. In degustazione dieci annate: '92, '94, '98, 2000, 2001, 2002, 2004, 2005, 2006 e 2007 in anteprima (in quanto disponibile sul mercato dal prossimo dicembre). Ognuna delle annate ha raccontato le proprie caratteristiche, le peculiarità delle diverse vendemmie. Il millesimo che ha conquistato tutti con il punteggio di 94/100 è stato il 2004, annata che ha sfiorato l’eccellen-
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za, seguito dal 2000 con 91 punti e dal 1992 con 90.7 punti. Anche quest’anno con la guida di Corrado Cugnasco ed Ermes Vianelli, rispettivamente enologo e responsabile della produzione, gli ospiti hanno potuto ripercorrere il cammino evolutivo che ha caratterizzato le diverse vendemmie. La degustazione tecnica e sensoriale è stata invece condotta dal giornalista Fabrizio Penna, ideatore insieme alla moglie Elisabetta Fezzi di Enotime. Tra i relatori anche Giovanni Creminati, sommelier di grande esperienza nonché da diversi anni delegato Ais per la provincia di Brescia. “Questa verticale è la risposta a tutti coloro i quali chiedono come mai Villa produce solo millesimati - com-
luglio 2014 burro e panna innanzitutto. In cucina utilizzo solo olio extravergine, nel nostro caso, del Garda. Poi, dopo un lungo lavoro di ricerca e studio su testi di cucina mediterranea e vegetariana, ho eleborato una serie di ricette per il nostro menù, scandite dal rispetto delle stagioni e realizzate solo con materie prime di qualità”. Come si esce dall’equivoco di una cucina gustosa con l’esigenza di una cura dimagrante? “La dieta svolge un ruolo fondamentale all’interno del “concetto di benessere globale” dei programmi salute. Ma questo non toglie nulla al piacere della buona tavola. Per le esigenze degli ospiti di una Spa si punta su un approccio dietetico detossinante e lievemente ipocalorico, con proposte che mirano ad assicurare il rifornimento energetico attraverso alimenti selezionati per la loro qualità e trattati con metodi di cottura che non sollecitano in modo eccessivo l’apparato digerente. Così il gusto è salvo, credetemi”. Di sicuro, un cliente che approccia un ristorante con annesso centro benessere ha esigenze diverse di quello standard…. “Gli ospiti di un resort o una spa hanno sicuramente esigenze diverse dall’ospite esterno in quanto durante il loro soggiorno esso diventa momentaneamente la loro casa e la loro vita
si svolge al suo interno. Ma non per questo si rinuncia a un pasto sfizioso: è tutta questione di equilibrio”. Mestiere che ha conosciuto nuovo slancio, quello dello chef, anche se forse qualcuno ne sottovaluta i sacrifici…. “In effetti è così. Per me fare lo chef è passione pura, una vera e propria missione, molto difficile da intraprendere quando si è in età scolare, in quanto bisogna privarsi di molte cose. Si è costretti a crescere in fretta, a vivere da soli e a imparare a risolvere in autonomia i propri problemi. Oggi le tv enfatizzano il ruolo dello chef visto come una star, ma, dietro i lustrini e le mode, sono le motivazioni che contano. Per questo vi garantisco che si può anche partire in tanti, ma alla fine solo chi ha passione vera arriva alla fine dei corsi. Oggi la percentuale di chi continua non arriva al 30-35%”. Quindi senza forti motivazioni non si va da nessuna parte? “Proprio così. Il nostro lavoro ci sottrae quasi tutto il tempo libero, che va adeguato alle esigenze degli ospiti. Le nostre ferie si svolgono sempre in periodi di bassa stagione, gli orari di lavoro non coincidono con il tempo libero della maggior parte delle persone, mentre i ritmi e lo stress sono molto alti. Non voglio drammatizzare, ma di solito un giovane che prova questa
menta Roberta Bianchi -. È un’esperienza, quella di degustare dieci anni di millesimi, che ha permesso agli intervenuti di verificare come un grande terroir possa dar origine a ottimi prodotti anche in annate per nulla favorevoli dal punto di vista climatico. Il valore della tradizione, della terra, della famiglia, dell’amore e della passione sono piccole perle che come in un perfetto perlage animano e riemergono nei nostri millesimi. Pensare con la testa e agire con il cuore, questo il nostro segreto”. Il Franciacorta Cuvette Brut Le origini della Cuvette sono intimamente legate al territorio e alla storia della famiglia Bianchi. Anzitutto il nome, che significa “conca”: identifica un cru omonimo, una sorta di conca naturale posta sul lato sinistro della collina Madonna della
esperienza e non ama profondamente questo lavoro finisce per gettare la spugna. Come dicevo, questione di passione”. Natura, benessere, storia e ospitalità sono punti fermi: la cucina invece non è ancora riuscita a pieno a diventare un punto di forza nell’offerta del Lago di Garda: eppure l’Expo è dietro l’angolo… “In effetti la forza del Garda in passato è sempre stata rappresentata dalla sua cultura e dalla sua storia, Goethe e Lawrence hanno cantato la sua bellezze, oltre a una natura spettacolare e un microclima invidiabile. Credo però che da qualche anno il territorio abbia preso coscienza che anche l’enogastronomia può rappresentare un valore aggiunto decisivo. Non a caso, nel solo paese di Gargnano, sono presenti due ristoranti stellati e tutti sanno oggi che il Garda è un luogo dove è possibile mangiare veramente bene”. Per concludere, ci suggerisce un primo piatto sano e “politicamente corretto” per l’estate che le viene in mente? “Proporrei i miei Fagottelli all’olio extravergine d’oliva Lefay in guazzetto di frutti di mare, dove una sfoglia di pasta di riso, quindi senza glutine, racchiude un ripieno cremoso a base di olio extravergine d’oliva Couvè Lago: imperdibili”.
Rosa, da cui provengono le uve. Ma alla Cuvette è legato anche un episodio romantico: in occasione delle nozze della figlia Roberta, Alessandro Bianchi volle creare un Franciacorta con le migliori uve di tre varietà della vendemmia ’83 (Chardonnay, Pinot nero e Pinot bianco) per accompagnare tutto il pranzo nuziale, idea allora avanguardistica; nacque così la Cuvette allora in versione Extra Dry - e l'idea di riproporre ogni anno una selezione delle migliori vendemmie in quantità limitata. Dopo qualche “apparizione” in versione Sec, con il millesimo 2002 la Cuvette diventa definitivamente Brut. Per anni Cuvette è stata la protagonista dello Sparkling Menù, rappresentando perfettamente la filosofia della “bollicina a tutto pasto” (e richiamando in questo l’origine stessa della sua nascita).
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TENDENZE
Con l'estate torna la voglia di cucinare carni, verdure e pesce alla brace. Ma per ottenere risultati apprezzabili sono molti gli elementi da considerare. Ecco i consigli della macelleria Oberti di Grone e della Pescheria Rossi di Bergamo
Si fa presto a dire grigliata di Laura Bernardi Locatelli
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l crepitio dei rami che ardono, l'odore delle braci accese, una nuvola di fumo invitante che si alza e il tintinnio di pinze e griglie mettono allegria e fanno immediatamente estate. Grill e barbecue riportano la cucina alle origini, en plein air, con fuoco di legna, che sorprende sempre e continua a rendere la preparazione di cene all'aperto divertente e contagiosa. Col fuoco però non si scherza mai, anche perché non perdona disattenzioni e trascuratezze e non esistono purtroppo termostati o sonde termiche che possano facilitare questo compito, come invece accade per la cottura arrostita. Sta all'esperienza di chi sta davanti a grill e barbecue decidere tempi e modalità di cottura, scongiurando anche rischi per la salute, date le raccomandazioni di evitare carni bruciate o troppo abbrustolite. Per cucinare alla griglia all’interno del camino è sempre consigliato il fuoco di legna piuttosto che la carbonella, che sprigiona una notevole quantità di ossido di carbonio. Anche la scelta dei ceppi è importante: meglio legna aromatica ben stagionata e che non scoppietti eccessivamente come quercia, olivo, ciliegio, melo e vite. Per la griglia c’è solo da scegliere se puntare sulle carni bianche o quelle rosse. “Per una grigliata ad opera d’arte le regole da seguire sono quelle di un’accurata scelta dei tagli di carne, di una marinatura di almeno due o tre ore oltre che della cura delle braci e della cottura - spiega
Giuseppe Oberti, di Grone, vicepresidente del Gruppo Macellai dell'Ascom -. Le parti migliori non sono troppo magre ma hanno almeno una leggera marezzatura e le fette mai sottili”. Manzo, vitellone e vitello la fanno sempre da padrone sulle griglie roventi: “La fiorentina è la regina del grill assieme alla costata, al roastbeef, allo scamone e al codone. Si può anche optare per il reale di vitellone, che richiede una cottura più lunga. Quanto al vitello sono perfetti il nodino, lo scamone, le costatine e i teneroni. La marinatura è fondamentale: via libera ad un buon olio extravergine, ad erbe aromatiche lasciate essiccare, dal timo al rosmarino, dalla salvia alla maggiorana, unite ad aglio schiacciato o in camicia ed altre spezie a piacere”. Costine e salamelle mettono sempre d’accordo tutti: “Anche il maiale è da sempre il protagonista del grill,
dalle braciole alle costine, dalle salamelle alla salsiccia. Il consiglio per la preparazione della carne di maiale è di aggiungere del vino bianco alla marinata oppure di spruzzare qualche goccia di aceto balsamico o di vino bianco un attimo prima della fine della cottura per aggiungere gusto alle carni”, dice il macellaio. Pollo e tacchino sono invece sempre apprezzati dai più piccoli: “Sono perfetti i fuselli di pollo, aperti e marinati, le ali, le sovracosce e il classico intramontabile pollo aperto a libro alla diavola. L'intenso calore del grill e del barbecue rende croccante la pelle del pollame e conferisce alla carne un sapore unico”. Gli spiedini sono sempre divertenti architetture del gusto: “Per dare agli spiedini una marcia in più si possono usare al posto degli stecchi, rametti di rosmarino puliti con cura oppure di ciliegio, pesco o vite. Non resta
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che scegliere le carni, tra pollo, tacchino, vitello e maiale. Il consiglio è sempre quello di non mischiare mai le diverse tipologie di carne. Ogni cubetto di carne si alterna a pancetta e peperone, ma chi ama le verdure può aggiungere anche rondelle di zucchina e pezzetti di cipolla”. Il fuoco richiede pazienza e dedizione: “Come diceva Giulio Oggioni spiega ancora Oberti, citando una frase popolare dello storico vescovo di Bergamo - per fare cuocere costine e cotechini il miglior legno è quello della vite. Per due ragioni: dà un sapore eccezionale alla carne ed è segno che ci dev’essere per forza del buon vino. La scelta della legna è a discrezione di ogni fuochista, ma la prescrizione è quella di non usare mai quelle con resina". Anche il pesce ama la griglia, eccezion fatta per scorfano, gallinella e tutti i pesci da “zuppa”. “La pelle e le spine mantengono il
pesce morbido. È bene scegliere pesci interi di non più di sei etti perché diventa davvero difficile cuocerli a puntino al grill o alla piastra. L’ideale è cucinare un pesce da porzione, dal branzino all’orata allo sgombro fino alla nostra trota. È molto importante regolare la cottura alzando ed abbassando la griglia a regola d'arte. I pesci grassi, come lo sgombro, sono ideali perché il loro olio naturale mantiene la polpa umida e fragrante", spiega Maria Rossi che con il fratello Gianni e con la nipote Claudia gestisce la Pescheria Rossi di via Borgo Palazzo, attiva dal 1965. Non stancano mai gli spiedini che condensano sullo stecco tutti i sapori del mare, dai molluschi ai crostacei, ai pesci più grandi: “Noi li prepariamo con gamberi, seppie, tonno, rana pescatrice, salmone e spada, ma c’è solo l’imbarazzo della scelta tra pesci o anche
solo crostacei da infilare sugli spiedini” - sottolineano alla Pescheria -. Seppie e calamari sorprendono al gusto, ma sulla piastra può finire anche un polpo intero, anche se richiede una pre-cottura in acqua bollente: “Per rendere ancora più gustose seppie ed altri molluschi una spolverata di pangrattato aromatizzato dà una marcia in più alla ricetta sia alla brace che alla piastra”. Tranci e filetti si prestano ad una cottura in tempi record: “Dal tonno allo spada fino al salmone, i tranci si prestano ad una cottura al grill. I filetti richiedono una cottura davvero veloce e accurata e vanno sempre posti sul grill dal lato della pelle". Un'alternativa - che vale anche per polpa magra di pollo e di bovino - è di preparare il satè arrotolando filetti di pesce tagliati a striscioline su stecchi di bambù, farli marinare anche una notte e farli cuocere su grill molto caldo spennellandoli con la marinata e girandoli di continuo. Anche i crostacei alla griglia sono sempre apprezzati: “Il carapace degli scampi va inciso a metà, mentre per i gamberi basta rimuovere il filetto nero e adagiarli per poco tempo sul grill". Per ogni pesce è importante la marinatura nel classico salmoriglio: “Ad una base di olio extra vergine, limone, aglio, sale, pepe e prezzemolo si possono aggiungere altre spezie ed erbe aromatiche secondo il proprio gusto, dal dragoncello al rosmarino". È sempre interessante il contrasto caldo/freddo con una salsa d'accompagnamento ispirata alla cucina messicana con aglio, cipolla, peperoncino e lime.
Gradi e tempi di cottura della carne di manzo I tempi di cottura dipendono dal calore e dalla distanza dal grill e dallo spessore della carne. Per bistecche alte 2,5 centimetri, messe alla distanza di 5 cm da un grill molto caldo, i tempi vanno da un minuto a parte per il filetto a 2 minuti a lato per lo scamone puntando a una cottura al bleu, molto al sangue. La carne al tatto si deve presentare molle (come quando si uniscono pollice e indice) e all'interno con color porpora bluastro. Per una cottura saignant (al sangue) i tempi salgono a 2 minuti per lato per il filetto e a 3 per lo scamone. Si deve formare una crosta più spessa e resistente alla pressione e nel cuore la carne deve essere ancora rossa e abbastanza calda (50° C). La cottura al punto (a point) è facilmente riconoscibile nella cottura alla griglia e al salto, poiché la carne viene voltata quando appaiono fini goccioline sulla parte superiore e deve essere tolta quan-
do la stessa situazione si ripropone sull’altro lato (da 3 minuti per il filetto a 4 per lo scamone). A cottura ultimata la carne va fatta riposare per un paio di minuti affinché la temperatura si uniformi. Al taglio deve essere di un colore rosa uniforme e ben calda (60° C). Per una bien cuit la carne va scottata prima per 3 minuti a lato e poi cotta a temperatura più bassa per 6 minuti o più. La carne è soda, bruna all’interno e ben calda (70° C).
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TENDENZE
Dieci regole base per preparare un perfetto barbecue Ecco i consigli degli organizzatori di Griglie Roventi, il campionato del mondo per dilettanti che si svolge ogni anno a Jesolo
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La qualità prima di tutto Non importa se non avete la tecnica di Cracco o Bottura: se la materia prima è di qualità il risultato è certo. Meglio quindi, se possibile, optare per i tagli più pregiati, primo fra tutti la lombata o il girello di coscia, la noce, la fesa interna. I tagli migliori sono anche quelli che hanno tempi di cottura più brevi salvaguardando così le proprietà nutritive della carne.
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Marinatura Da fare almeno 6 ore prima della cottura per ammorbidire e insaporire la carne oltre che per proteggerla dalle alte temperature. Gli ingredienti sono variabili: di solito si predilige un mix di olio, limone, sale, erbe o spezie di diverso tipo, ma è da provare almeno una volta la marinatura nella birra o nel vino rosso.
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Ma che caldo fa Almeno 300 gradi. Questa la temperatura che dovrebbe raggiungere il barbecue, anche se ci sono molte differenze. La cottura italiana è di solito diretta, con la brace sotto le pietanze che cuociono velocemente rimanendo al sangue all’interno. Negli Stati Uniti invece si predilige la cottura indiretta (low&slow): la carne viene cotta vicino ma non direttamente sopra la fonte di calore.
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Legna, gas o carbonella?
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Dipende soprattutto dal tempo e dallo spazio a disposizione. Per la cottura a legna, bisogna avere tempo (di solito almeno un’ora per fare la brace) e scegliere attentamente cosa bruciare. Niente legnami trattati (non si usa il barbecue per smaltire una vecchia sedia che non serve più!), legna resinosa di pini o abeti o altri che, come il cipresso, rilasciano sostanze nocive. Vite, ciliegio, ulivi o faggio sono generalmente i più consigliati. Più facile la scelta della carbonella che si trova in commercio e ha tempi di preparazione rapidi (circa mezz’ora). Chi abita in spazi ristretti non deve però rinunciare al barbecue: ci sono ottime griglie a gas in commercio, magari con due o più bruciatori regolabili separatamente così da dosare al meglio la cottura.
Girare, non infilzare Regola ferrea per i veri amanti del barbecue: il classico forchettone da grigliata è un nemico, perché fa fuoriuscire i succhi che invece devono rimanere all’interno della carne per lasciarla morbida e saporita.
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luglio 2014
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Calcolate bene i tempi Mai avere fretta: per portare tutto contemporaneamente in tavola dovete grigliare a fasi, partendo da carni o verdure più lente a cuocersi (come le patate) e via via aggiungendo ciò che deve restare al sangue.
Affumicare, ma senza esagerare
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L’affumicatura conferisce un tocco originale e speziato alla grigliata. Se volete farne uso per il vostro barbecue, dovete procurarvi dei particolari legni aromatici chiamati “chunks” (tronchetti) o chips (scaglie), che andranno inumiditi e posti nell’area di cottura in modo da esalare fumi odorosi. In commercio è possibile trovare gli smoker, studiati appositamente per le griglie: tra i legni considerati più adatti la noce, la quercia, il ciliegio, il melo, il pero e hickory, ossia il legno di noce americano.
8 Il dolce sempre alla fine, anche sulla griglia Ci sono decine di salse diverse per insaporire la carne, perché limitarsi a una sola? La tradizionale salsa barbecue è una miscela di concentrato di pomodoro, salsa worchester, limone, aceto, olio d’oliva e zucchero di canna, ma si possono preparare salse di tutti i tipi: dallo yogurt alla salsa di soia al whiskey. Attenti però a scegliere
il momento giusto per condire: durante la cottura si può spatolare la carne con le salse se queste sono preparate con olio, aceto, limone o yogurt; se invece sono salse a base di zucchero vanno messe verso fine cottura, perché lo zucchero brucia velocemente e non va esposto al calore prolungato.
9 Unto non vuol dire sporco Non c’è nulla di peggio che cucinare su un barbecue incrostato di vecchi residui di cibo. Inoltre, qualsiasi alimento si attaccherà su una griglia sporca. Pulitela due volte: la prima dopo averla preriscaldata, la seconda quando avete terminato di grigliare. La prima pulizia rimuove tutti i frammenti di cibo che potrebbero essere
sfuggiti in precedenza. Una spatola di metallo aiuta a terminare il lavoro nel dettaglio. Oliate la griglia prima di metterci il cibo sopra: usate della carta impregnata d’olio, o una fetta di pancetta grassa o della pelle di pollo. In alternativa, si può spruzzare dell’olio sulla grata, ma lontano dalle fiamme.
10 Come vi piace Siate appassionati, ma non fanatici della forma. Barbecue, barbeque, BBQ: scrivetelo come vi pare, basta che cuciniate! Se poi volete fare sfoggio nozionistico, sappiate che il termine deriva probabilmente o dal dialetto caraibico Brabacot, o dal francese “Barbe a queue” cioè “dalla barba alla coda”, ossia interi, così come venivano cucinati gli animali una volta.
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IL LOCALE
Con la sua pizza ha conquistato la Valle Seriana, ma non si è fermato. Dopo il trasferimento a Cene, Giambattista Acerbis ha puntato anche su carne, pesce, pasta e dolci fatti in casa e sulla bella atmosfera del giardino. L’ultima idea? Il “balcone dei Vecchi Ricordi” con un solo tavolo Giambattista “Gimbo” Acerbis con la figlia minore Eleonora nel “balcone dei Vecchi Ricordi”
Ma quante ne pensa Gimbo! di Fulvio Facci
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a più recente “invenzione” di Gimbo è il balcone dei Vecchi Ricordi: un angolo isolato dal resto del locale - un balcone appunto -, dove è possibile prenotare per avere un solo tavolo (da due a otto coperti) con un servizio esclusivo che comprende superalcolici e sigari in libertà contro un ragionevole corrispettivo: una maggiorazione del 15% rispetto ai prezzi della “carta”. Gimbo, ovvero Giambattista Acerbis, è un personaggio ben conosciuto, almeno in Valle Seriana, dove ha iniziato l’attività nel 1981, chiamandola con il suo soprannome. In quell’anno, dopo aver terminato la scuola Alberghiera di San Pellegrino come
due fratelli, due sorelle e la mamma Maria, ora 86enne, che si arrabbia se ogni martedì non la si va prendere per dare una mano in cucina a pelare patate e carote. Una volta invece era lei la regina dei fornelli. Da tre anni la gestione è passata interamente nelle mani di Giambattista, che conduce il locale, oltre che col personale, con la moglie Chiara Remondi e la figlia Greta di 19 anni. Anche se il cambiamento più radicale è stato quello del 2002, quando il ristorante si è trasferito a Cene in via Bellora 10, nella sede attuale. «Eravamo in scadenza di contratto – racconta
cameriere, decise con la famiglia, proveniente da Villa di Serio, di aprire un ristorante pizzeria nel centro storico di Albino, nei locali dell’allora “Pradelì”, una storica trattoria di paese. Esperienza tutta da costruire, entusiasmo tanto, progressivamente il gruppo si è conquistato la fiducia di un’ampia clientela, comprese le tante società sportive della zona per la classica pizza di fine allenamento, al punto che spesso c’era da fare la coda per guadagnarsi un tavolo. Con Giambattista allora c’erano il papà Giandomenico, recentemente scomparso,
Giambattista Acerbis – ed abbiamo cercato a lungo di rimanere ad Albino ma non abbiamo trovato una collocazione idonea. Siamo venuti qui e abbiamo cambiato in parte il nome che ora è “Vecchi Ricordi da Gimbo” mantenendo quindi un legame con il passato». Dal punto di vista estetico il locale è molto diverso rispetto al precedente ed ha tra i punti di forza un giardino capace di 160 posti, mentre all’interno i coperti sono circa 100. Ovviamente quando si parla di esterno bisogna fare i conti con le situazioni atmosferiche, ma l’ambiente è molto
luglio 2014 gradevole. Ad essere cambiata è anche la proposta. Se la pizza resta infatti una delle regine nelle preferenze, in cucina c’è aria nuova rispetto al passato quando venivano preparati piatti più tradizionali. Ai fornelli c’è Angelo Mologni, chef di lunga esperienza, con l’obiettivo di proporre carne e pesce in modo innovativo. «La pasta fresca la facciamo in casa – sottolinea Acerbis – così come tutti i dessert, in porzione monodose. Abbiamo quindi dei classici come casoncelli e foiade, mentre tra i secondi offriamo una selezione di filetti e le tartare. Per il pesce, ad esempio, abbiamo i filetti di triglia con pomodorini e asparagi, lo scorfano in zuppetta e i tagliolini agli spinaci con ragù di gallinella. Cerchiamo di attuare tutte le iniziative che possono rispondere alle esigenze della clientela perché la concorrenza è forte», riflette. «Anche se il margine è ridotto, abbiamo una buona affluenza per il menù fisso di mezzogiorno con prezzi che variano da 7.50 euro per le insalatone ai 16 per il menù di pesce, mentre il
"classico" con due portate e contorno costa 11 euro. Abbiamo inserito anche il pranzo della domenica al costo di 20 euro con possibilità di scelta tra tre piatti di carne o pesce, dessert, acqua e un bicchiere di vino. Aderiamo inoltre al circuito della Camera di Commercio “Ristoranti dei Mille... sapori” e quindi abbiamo sempre una combinazione all’insegna della tradizione e dei prodotti tipici. Un altro dei nostri servizi che mi gratifica molto è il menù bambini. Con 8 o 9 euro c’è una vasta scelta tra pizza, primi e secondi e poi sul menù ci sono disegni da colorare con i pastelli che forniamo noi e per i piccoli c’è sempre un dolcetto e un gadget del locale». Recentemente il ristorante Vecchi Ricordi ha spostato il giorno di chiusura dalla domenica al lunedì. «Una scelta con la quale cerchiamo di intercettare la clientela della banchettistica, quindi cerimonie come cresime e prime comunioni – rileva Acerbis -. Come dicevo, la concorrenza è molto agguerrita e bisogna sempre rimettersi in gioco, trovare nuovi spunti e idee. Per quanto mi riguarda, rispetto ma non condivido assolutamente la politica della scontistica che viene attuata sui giornali e su Internet. Preferisco gestire le promozioni con il cliente, senza intermediari».
RISTORANTE PIZZERIA VECCHI RICORDI DA GIMBO via Bellora, 10 - Cene tel. 035.719121 www.ristorantevecchiricordi.it chiuso il lunedì e il sabato a mezzogiorno
IN CONCORSO 18 PIATTI
“Bergamo Mille Ricette” al via il voto on line
Il concorso “Bergamo Mille Ricette” della Camera di Commercio approda alla seconda fase. Dopo la raccolta delle proposte (conclusa il 30 giugno), scatta la votazione on line da parte del pubblico, aperta fino al 31 ottobre. I piatti in lizza, inviati da appassionati di cucina, sono 18 e si rifanno alla tipicità degli ingredienti, come richiesto dal regolamento, ma non mancano quelle che interpretano la tradizione con originalità e creatività, anche con spunti moderni. Le ricette sono pubblicate sul blog http://blog.giallozafferano.it/bergamomillesapori/. Le più votate saranno esaminate entro il 30 novembre da un giuria che formerà la graduatoria e proclamerà i vincitori. In palio ci sono cinque cesti di prodotti dei Mille sapori (offerti da Caseificio Taddei, Salumificio Gamba, Pasticceria Bonati, Raviolificio Poker, Pastifico Orobico) e cinque buoni per menù nei Ristoranti dei Mille... sapori (offerti da Hotel Panoramico di Fonteno, Roof Garden di Bergamo, Locanda della Corte di Alzano Lombardo, Giopì e Margì di Bergamo). L’iniziativa si inserisce infatti nell’attività di promozione dei prodotti enogastronomici tradizionali e di valorizzazione della tradizione culinaria del territorio, che comprende anche due marchi di qualità proposti dall’Ente camerale agli operatori: “Bergamo città dei Mille… sapori” (per contraddistinguere i prodotti tradizionali) e "Ristoranti dei Mille… sapori" (per i ristoratori che offrono il menù e il piatto della tradizione a prezzo fisso). Queste le ricette in gara: “Biscotto spino dorato”, “Brustolot”, “Capù bergamasco”, “Faccio fagotto ma resto”, “Farfalle ai sapori di valle”, “Galletto ripieno su uva e taccole in agrodolce con creste alla salsa di lamponi e lardo croccante”, “I ravioli della nonna Nina di Fontanella”, “Involtini alla bergamasca”, “Minestra di latte e riso con pancetta della Bergamasca croccante”, “Nosecc”, “Polenta bergamasca con farina di granoturco integrale e coniglio”, “Polentine filanti al pascolo”, “Riso facile delle valli”, “Risotto Rosa”, “Scarpinocc de Par”, “Tagliatelle boscaiole alla moda bergamasca”, “Torta di patate e agretti ai formaggi brembani”, “Torta Valerie”.
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APPUNTAMENTI
Monte Avaro, aperitivi in alpeggio e serate G-Astronomiche AGOSTO
Bertù e Scarpinòcc, in Val Seriana è tempo di sagre
Ad agosto la Val Seriana celebra le sue paste ripiene tradizionali. Comincia Rovetta che ha da poco codificato e cominciato a valorizzare i Bertù, una variante tipica dei casoncelli mai scomparsa dalle tavole ma variamente interpretata dalle famiglie e dai ristoratori. È stata la Pro Loco a ricostruirne la versione originale tra testimonianze orali e documenti e a lanciare la sagra, arrivata alla terza edizione. L’appuntamento è sabato 16 agosto per una lunga tavolata all’aperto nella via centrale. La peculiarità dei Bertù è il ripieno a base di cotechino sgrassato, lavorato con formaggio, pane grattato, prezzemolo, un poco di cipolla tritata e di noce moscata. La pasta contiene uova e una piccola quantità di crusca, intuizione di Matteo Teli del ristorante Vecchio Mulino, a richiamare l’utilizzo in passato di farine non troppo raffinate (www.prolocorovetta.it). Più rodata è la sagra degli Scarpinòcc di Parre, dal 22 al 24 agosto, che offre la possibilità di gustare nel luogo di origine un piatto ormai conosciuto in tutta la Bergamasca. Il valore aggiunto è dato dalla possibilità di conoscere da vicino la cultura popolare da cui hanno origine. Si chiamano Scarpinòcc perché nella forma richiamano le calzature artigianali di panno in uso in paese e sono ravioli di magro con ripieno di formaggio, pane, erbe e spezie.
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Avaro solo di nome, perché di proposte tra gusto e natura il monte nel comune di Cusio, in alta Val Brembana, è invece prodigo. Sabato 26 luglio e 23 agosto, ad esempio, Kairos Brembo Emotion, una società costituita da giovani con l’obiettivo di animare il proprio territorio e valorizzarne le risorse turistiche, culturali e naturalistiche, organizza “Alpeggiando con gusto” aperitivi a tappe nelle baite d’alpeggio dei Piani dell’Avaro con la possibilità di degustare prodotti locali e partecipare alla vita degli alpeggi. La partenza è libera tra le 16.30 e le 18, chi arriva tardi può sempre gustarsi l’aperitivo in relax disteso di fronte alla “Baita del Ciàr”, punto di ristoro e scrigno dei tanti prodotti della
Valle. Il pomeriggio del 9 agosto è in programma invece un’escursione guidata tra le malghe, con la possibilità di assistere alla mungitura e alla lavorazione del formaggio e la degustazione finale (www.kairosemotion.it). Molte anche le iniziative dell’albergo rifugio Monte Avaro, tra cui le serate G-Astronomiche con cena e osservazione del cielo in collaborazione con gli astronomi di Edutainment360 (il 19 luglio telescopi puntati su Saturno, il 9 agosto tra luna e costellazioni estive e il 20 agosto a spasso nella Via Lattea). Per godersi il cielo stellato in un romantico dopocena il rifugio mette inoltre a disposizione ogni sera di agosto sdraio, coperta e dolcetti (www.monteavaro.it).
24 LUGLIO
Città alta, i ristoranti “Veg+” si presentano con un aperitivo
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nù L’Ascom e la Lav (Lega antivivisezione) di Bergamo sono state pioniere a livello nazionale del progetto Veg+, che ha sollecitato i ristoranti a proporre piatti e menù vegani, senza cioè l’utilizzo di alcun ingrediente di origine animale. Sono 15 le insegne di città e provincia che hanno accettato la sfida - seguendo un corso e mettendo a punto le proprie originali proposte - e che ora espongono il marchio “Qui si mangia anche Vegano 2014”. Per lanciare il circuito e far conoscere questo tipo di cucina, giovedì 24 luglio alle 19 è stato organizzato l’aperitivo “Veg+” nell’ambiente a cinque stelle del Relais San Lorenzo in piazza Mascheroni in Città alta, che aderisce al marchio. Si spazierà tra dry snack e finger food caldi e freddi con in più la possibilità di apprezzare il bel contesto ed reperti archeologici valorizzati dalla struttura. La partecipazione è aperta a tutti previa prenotazione alla Lav. Il costo è di 20 euro a persona e comprende due calici di prosecco.
luglio 2014 IN VACANZA
Emilia Romagna, un’estate a tutto gusto Se la meta delle vacanze è la riviera romagnola e non si disdegnano le divagazioni golose, conviene tenere d’occhio il calendario di “Emilia-Romagna è Un Mare di Sapori”, manifestazione che da luglio a settembre si propone di raccontare ai turisti l’identità agricola ed enogastronomica della regione. L’edizione 2014 è dedicata alla via Emilia nei 2.200 anni della sua nascita e alla pasta ripiena, che muta forme e sapori (cappelletti, tortelli e tortellini, ma anche ravioli, cannelloni e lasagne) snodandosi lungo le 177 miglia romane che collegano Rimini a Piacenza. Le celebri sfoglie vengono raccontate in uno spettacolo teatrale preceduto da degustazioni in cinque località diverse. Tra gli appuntamenti invece ormai tradizionali ci sono “Fuoco al Mito”, ovvero la cottura sul fuoco del “re dei formaggi”, il Parmigiano Reggiano (quattro le date, Bologna, Ferrara, Cesena e Cervia) e Tramonto DiVino, sette appuntamenti tra città e riviera in cui un piccolo esercito di sommelier in divisa fa degustare circa 300 etichette regionali in abbinamento ai prodotti tipici del territorio. Tra gli altri appuntamenti nel cartellone, “Sapori da Mare” nei lidi ferraresi (fino al 5 ottobre), “Sapore di Sale” a Cervia (dall’11 al 14 settembre), “Nel ventre della Balena di Bologna”, un viaggio alla scoperta del pesce assieme allo chef Marcello Leoni (a Bologna il 14 settembre), le “Leccornie di Emilia Romagna Festival”, itinerari di musica, scoperte e degustazioni in cinque tappe e le “Sere d’estate fresche di vino” dell’Enoteca Regionale (www.unmaredisapori.com).
DAL 4 AL 7 SETTEMBRE
Festa del Moscato di Scanzo, a tu per tu con i produttori È in programma dal 4 al 7 settembre la nona edizione della Festa del Moscato di Scanzo e dei sapori scanzesi, manifestazione ormai classica che in un percorso tra casette di legno nel borgo storico di Rosciate permette
VALLE IMAGNA
“Fuoco, vino & stracchino”, l’agricoltura di montagna si racconta “Il Tesoro della bruna” è una cooperativa agricola nata nel 2011 a Corna Imagna per migliorare la qualità delle produzioni lattiero casearie e la vita in montagna. Suo patrimonio sono l’esperienza familiare di lunga data dei soci allevatori, l’ambiente e le pratiche rurali, che danno vita, tra gli altri, ad un prodotto sempre più apprezzato come lo stracchino all’antica. Sede, laboratori e spaccio sono stati realizzati in un fabbricato antico in contrada Finiletti, che ha preso il nome di La Cà dol Strachì. È qui che per quattro sabato (il primo è stato il 28 giugno, le altre date sono 26 luglio, 23 agosto e 13 settembre) va in scena la manifestazione “Fuoco, vino & stracchino”. Realizzata in col-
laborazione con l’associazione Gente di Montagna e Aku Italia, propone musica, film, fotografia, incontri con personaggi della montagna accompagnati ai formaggi della cooperativa e ai prodotti della rete Agrimagna. Tutte le serate iniziano alle 20 (www. gentedimontagna.it).
di degustare il prezioso passito ottenuto dal vitigno autoctono (è la Docg più piccola d’Italia) e le altre specialità locali incontrando direttamente i produttori. L’appuntamento si accompagna a momenti di animazione, musica, storia, incontri con ospiti e ristorazione. Nel 2013 sono stati distribuiti circa 8.000 bicchieri per oltre 24.000 assaggi di Moscato di Scanzo e altri prodotti scanzesi, con circa 5.000 coperti al ristoro, per una presenza stimata di circa 28.000 persone, provenienti da tutta Italia e dall’estero (www.stradamoscatodiscanzo.it)
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NEWS
Barone Pizzini, il brut "Animante" premiato dai sommelier britannici
I
sommelier britannici hanno incoronato il Franciacorta Brut Animante, ottenuto da uve Chardonnay, Pinot nero e Pinot bianco, tra i migliori Sparkling al mondo nell'ambito dei Sommelier Wine Awards 2014 (S), il concorso vinicolo britannico per gli operatori del settore on-trade. Unica medaglia d'oro nella sua categoria (Other Sparkling Wines), il nuovo vino della Barone Pizzini è stato definito "di classe, elegante e asciutto, con sentori di frutta
e buona mineralità” dal Master of Wine Peter Mc Combie, leader della squadra dei giurati che ha premiato Animante. “Il biologico non è il fine ma il mezzo per produrre vini di sempre maggiore qualità - commenta il direttore della Barone Pizzini, Silvano Brescianini - e l'oro appena conquistato conferma la validità di questo principio, ispiratore del nostro impegno in vigna e in cantina. Del resto il mercato britannico negli ultimi anni è diventato
molto esigente: il gusto dei consumatori si è affinato, c'è maggiore attenzione alla qualità, e la risposta della ristorazione è stata quella di una ricerca di vini di eccellenza e, preferibilmente, di matrice biologica”.
Vino, vendite in calo del 2% nei primi cinque mesi dell'anno
All’Accademia Fiera Milano a Fieramilanocity, s'è tenuto l’incontro conclusivo del primo ciclo del Percorso di alta formazione Wine Business Executive Program, organizzato da Business International - Fiera Milano Media. Il programma attuato col patrocinio di Unione Italiana Vini, Confagricoltura, Assoenologi, FederBio, Ismea e Agivi, e con il coordinamento scientifico di Stefano Cordero di Montezemolo (Università degli Studi di Firenze) - è rivolto a imprenditori e top manager del settore vitivinicolo, con l’obiettivo di sviluppare e qualificare le competenze fondamentali per la direzione delle aziende del comparto, attraverso una modalità didattica mista: sia scientifico/accademica, sia pratico/tecnica. Il comparto necessita di formazione, soprattutto per
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affrontare la crisi del mercato domestico, le micro e piccole imprese hanno bisogno di ottimizzare i processi interni ed esterni, sia per consolidare il proprio posizionamento, sia per migliorare l’approccio verso gli stessi canali di distribuzione e di vendita. Competenze tecniche evolute e nuove capacità manageriali sono sempre più richieste all’Executive del Vino. A conferma di questa esigenza, Tiziana Sarnari, della direzione Servizi di Mercato dell’Ismea, ha diffuso, nel corso del suo intervento alcuni dati di settore in anteprima, in merito ai consumi nazionali e internazionali. Secondo i dati Ismea presentati ed elaborati su base Eurostat ed Assobirra, gli acquisti alla distribuzione moderna (ipermercati, supermercati, superettes, libero servizio) dei primi cinque mesi del 2014 confermano la dinamica flessiva dei consumi di vino e spumanti nel 2013. I volumi di vino e spumanti sono scesi del 2% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, a fronte di un aumento della relativa spesa (+2%). Per quanto riguarda invece l’ambito internazionale, nel primo trimestre 2014, gli scambi hanno toccato i 22,4 milioni di ettolitri, contro i 22,8 dello stesso periodo del 2013 (in valore sono stati superati i 5,3 miliardi di euro contro i 5,5 del primo trimestre 2013). La flessione è totalmente imputabile al vino sfuso (-7%) ed in valore (-15%). I confezionati sono stabili a 12 milioni di ettolitri, mentre in valore con 38,7 miliardi sono scesi del 3%; risultano invece in crescita del 15% i volumi di spumanti scambiati nel mondo, per un controvalore salito del 7,5%.
luglio 2014
Il 2 e il 3 agosto la mostra mercato enogastronomica allestita nel centro storico
Ardesio DiVino, al via la decima edizione
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abato 2 e domenica 3 agosto, il centro storico di Ardesio, in alta Val Seriana, si trasformerà in una cantina a cielo aperto dove, selezionati vignaioli e artigiani del gusto, in occasione della decima edizione della rassegna enogastronomica Ardesio DiVino, proporranno in assaggio e in vendita i loro prodotti a visitatori, appassionati e addetti al settore. La rassegna è organizzata e promossa dalla Pro Loco di Ardesio con il sostegno dell’amministrazione comunale e con la collaborazione di vinumINfabula (Paolo Tegoni e Luca Cagnasso - Università di Parma). Per la decima edizione sono attesi ad Ardesio oltre 6mila visitatori che, in un viaggio enogastronomico attraverso i sapori della Penisola e oltre confine, potranno assaggiare e acquistare direttamente: vino, olio extra vergine, salumi, formaggi, miele, birra, sidro, farine e cereali, zafferano, caffè e tantissime altre prelibatezze. In continuità con le passate edizioni e con la finalità di promuovere non solo il territorio di Ardesio e della Val Seriana ma la cultura enogastronomica, si conferma l’attenzione costante per la selezione, la qualità e la varietà e soprattutto la possibilità di conoscere degustare e acquistare i prodotti che da portare in tavola direttamente da chi, con passione e dedizione, li produce. Oltre alle degustazioni presso gli stand enogastronomici (sabato e domenica apertura stand 10.30/13 e 16/21), sono molti gli eventi in programma nel week-end: cene eco-sostenibili (con utilizzo di materiale bio degradabile) nelle vie del centro storico a base di prodotti tipici selezionati; “Stappa la fantasia… e tutto si trasforma” laboratori ludico-creativi per bambini a cura di Artelier; il concorso Bottiglia DiVina riservato ai vignaioli presenti; le mostre “Ardesio DiVino nel Mondo” e “10 anni di Ardesio DiVino” e i numerosi concerti che allieteranno i visitatori durante le degustazioni. Per scoprire e riscoprire Ardesio e le sue bellezze, sono in programma inoltre visite guidate gratuite: sabato e domenica (dalle 16 alle 18) al MEtA Museo Etnografico
dell’Alta Valle Seriana; domenica (dalle 16 alle 18) al Santuario della Madonna delle Grazie. Durante la rassegna da non perdere il progetto "Collio/ Brda. Oltre le linee di un confine immaginario" a cura del Seminario Veronelli. Si parte venerdì 1° agosto con l’esclusiva cena “DiVina” presso il ristorante Albergo Bigoni: Paolo Tegoni e patron Davide Bigoni ospitano "Cucina di mescolanza e racconto molteplice: il Collio tra Friuli e Slovenia in un amour fou di sapori e convivenze”, mentre sabato e domenica “Incontri e assaggi con vignaioli e chef del Collio italiano/sloveno”. Il progetto del Seminario Veronelli “Collio/Brda”, attraverso i prodotti, i sapori, la tradizione e soprattutto le voci di chi vive quel territorio, diviene un’opportunità per incontrarlo e scoprirlo.
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L’ANGOLO
DEL SINGLE di Marco Bergamaschi
Il cous cous di Ferragosto
INGREDIENTI PER 1 PERSONA 2 tazzine da caffè di acqua (circa 200 ml) 2 tazzine da caffè di cous cous 1 pizzico di sale 1 cucchiaio di olio di oliva 1 pomodoro mezza cipolla affettata a velo menta a piacere una punta di harissa
PREPARAZIONE Fate bollire l'acqua con sale e olio e poi spegnetela. Aggiungete il cous cous, fatelo riposare cinque minuti e poi sgranatelo con una forchetta. Tagliate il pomodoro, affettate la cipolla il più sottile possibile e aggiungeteli al cous cous. Guarnite il tutto con una manciata di foglie di menta e della salsa harissa.
CURIOSITÀ La prima volta che ho assaggiato questo piatto, mi trovavo in vacanza al mare; era ferragosto e un’amica aveva organizzato una cena in terrazza per festeggiare la ricorrenza principale dell’estate, che per tutti è sempre sinonimo di allegria, villeggiatura, relax. Tra i piatti proposti, c’era il “Cous cous di Ferragosto”, servito come antipasto insieme ad altre delizie e mi ricordo che ne fui letteralmente folgorato per l’aroma straordinario e il sapore semplice, ma deciso; da allora e sono trascorsi cinque anni, è diventato una delle mie ricette must per l’estate e quando lo cucino per gli amici, il risultato è sempre lo stesso: piace a tutti. Facilissimo e molto veloce da preparare, rappresenta anche l’ennesima conferma di quello che sostengo da sempre: spesso il concetto di bontà va a braccetto con quello di semplicità, alla faccia di chi snobba tutti quei piatti che non richiedono almeno trenta minuti di preparazione e l’obbligo di sporcare duetre padelle. Io quelli li lascio agli altri. Il cous cous è un piatto tipico della cucina nord-africana, tanto da essere definito il piatto nazionale dei Berberi; ormai diffuso anche in Italia, lo si acquista precotto al vapore in como-
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de confezioni sugli scaffali di qualsiasi supermercato o negozi di alimentari. In verità, il metodo tradizionale di preparazione prevede l'uso di un recipiente per la cottura a vapore chiamato “taseksut” (in lingua berbera) e conosciuto dagli addetti ai lavori come “cuscussiera”; si compone di due contenitori, uno inferiore in cui si cuociono le verdure e la carne e uno ad esso sovrapposto in cui il cous cous si cuoce col vapore del preparato sottostante. Ma per questa ricetta sono sufficienti una confezione di cous cous precotto e un pentolino: come ho detto, il risultato sarà una delizia per il palato. L’unica accortezza è non far cuocere troppo il cous cous: una volta pronto, deve essere morbido, non gommoso, né formare grumi. Può essere che le prime volte il risultato non sia proprio eccellente, ma non preoccupatevi: con l’esperienza diventerete “competenti in materia”. Infine non dimenticatevi di acquistare l’harissa, una salsa tipica del Nord Africa e diffusa soprattutto in Tunisia, a base di peperoncino rosso fresco e aglio; è in vendita in quasi tutti i supermercati in forma di barattolo e tubetto, ma ricordatevi che è piccante. Quindi prima di abbondare con le dosi, assaggiatela.
TEATRO DONIZETTI
Cuvèe Millesimata, birra artigianale Italiana.
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