Anno XV n.6 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
luglio 2015
Bergamo, il gusto dolceamaro del melone
La varietà antica di Calvenzano stenta ad affermarsi. Intanto nella Bassa c’è chi punta sugli ibridi moderni
.UNO Terre del Colleoni - Denominazione di origine controllata - Incrocio Manzoni 6.0.13 prodotto da 4R srl - Degustare ad 8-10 gradi. QUATTROERRE S.r.l. Via Marconi,1 24060 Torre dè Roveri (Bg) +39 035 580701 info@quattroerre.com www.villadomizia.net
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in L. 27/02/2 004 n.
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Bergam
SOMMARIO
Spedizi
LUGLIO - agosto 2015
o - € 2,60
luglio
Anno
XV n.6
- Poste
Italiane
S.p.A.
www.affaridigola.it
Berga mo, il dolceagusto del memaro lone
La var iet di Calve à antica nzano stenta ad afferm Intanto nella Ba arsi. c’è ch ssa i pu sugli ibr nta idi mo derni
4 IL PRODOTTO
Bergamo, il gusto dolceamaro del melone
10 IL PERSONAGGIO
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L’inventore di formaggi
12 L’EVENTO
Un poker di chef stellati approda in centro
13 L’Itinerario
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18 TRADIZIONI
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Borgo San Leonardo, un mappamondo gastronomico in città Un gastronomo di nome Torquato
20 L’approfondimento
Allevare e coltivare? Una corsa a ostacoli
24 TENDENZE
Piccoli semi, grandi gusti
30 FACECoOK
Quel paiolo fumante nel cuore della Silicon Valley
32 LA NOVItà
Il Casalicchio, un angolo di Calabria nella torre del ‘300
34 LA SERATA
Cantalupa, lo Street food è proprio “stellare”
Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini,24 - 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - N° ROC 5847 - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
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IL PRODOTTO di Anna Facci
Bergamo, il gusto dolceamaro del melone A Calvenzano l’antico “Retato” segna il È
tornato sotto i riflettori a partire dai primi del 2000 e uno spicchio di notorietà se lo è ripreso, dopo i fasti degli anni Venti e Trenta che lo hanno visto sulle tavole dei più importanti ristoranti di Parigi e, secondo testimonianze di agricoltori di allora, persino su quella della residenza estiva dei reali inglesi. E oggi chi non è proprio digiuno di fatti agricoli e gastronomici sa che Calvenzano ha un suo melone, il Retato di Calvenzano, frutto delle sementi locali tramandate da generazioni, che un gruppo di appassionati, coordinati dalla Cooperativa agricola, ha voluto rilanciare. Le iniziative per farlo conoscere e per promuovere la ripresa della coltivazione non sono mancate, anche su scenari internazionali come le Olimpiadi di Atene, quelle invernali di Torino dove è stata presentata la confettura, il Wine Festival di Montecarlo, Gusto in Scena e il Salone del Gusto, dove è stato
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Poco dolce ha difficoltà nel mercato del fresco, ma è ottimo trasformato. Per il rilancio si lavora al marchio Slow Food portato anche nella veste di liquore. In tempi più recenti, però, questa vivace attività è andata rallentando. Il “vecchio” melone, per quanto testimone di un passato prezioso in termini di storia e tradizione, si è scontrato con un mercato e un gusto ormai lontani dalle sue caratteristiche, facendo tornare la produzione in un ambito prettamente hobbistico. Al punto che per questa estate il messaggio che la Cooperativa manda a chi fosse curioso di assaggiarlo è di non cercarlo nemmeno, perché chi ancora lo coltiva ha ridotto drasticamente le quantità, complice anche la brutta annata scorsa. Il freno al rilancio è dovuto alle difficoltà della commercializzazione del prodotto fresco, non solo per ciò che
questo comporta in termini di logistica. Il Retato di Calvenzano, di forma allungata e con una tipica scorza “ricamata”, non sembra proprio fatto per le esigenze della distribuzione e le abitudini alimentari di oggi. Innanzitutto è pesante. Dai 2 ai 5 chili (ma un esemplare è arrivato ad 8!), il che rende difficile consumarlo tutto in una volta o al massimo due. È profumatissimo, è vero, ma ha un basso contenuto zuccherino e questo non piace ai palati di oggi che il melone lo vogliono dolce. «Non ce ne stiamo accorgendo – racconta Fabrizio Messaggi, segretario della Cooperativa agricola di Calvenzano -, ma anno dopo anno cresce il grado zuccherino dei meloni che arrivano sulle nostre tavole. È perché vengono selezionate
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La varietà tradizionale di Calvenzano, recuperata e promossa, è distante dal gusto attuale e vive una fase discendente. Nei campi della Bassa c’è però anche chi ha cominciato a piantare gli ibridi “moderni” e punta sulla vendita diretta
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nsieme all’anguria è il simbolo dell’estate. Rispetto a questa è però più propenso ad infilarsi nei piatti o a diventare portata, anche perché proprio frutta non è, ma parente stretto di zucche e cetrioli. Parliamo del melone, che con il prosciutto forma una coppia inossidabile, capace di risolvere brillantemente l’antipasto o un pasto veloce, ma che sa anche dare carattere e freschezza dallo spuntino al dessert. Coltivato in passato anche nella Bassa Bergamasca, che ha un clima adatto, è stato soppiantato dalla specializzazione dell’agricoltura nei foraggi e nella zootecnia fino sembrare quasi esotico per i nostri campi. Ora però qualche azienda lo sta riscoprendo, complice l’esigenza di diversificare le produzioni e avvicinarsi sempre più diret-
tamente al consumatore finale. Mentre il Retato di Calvenzano - varietà antica e tipica salvata dalla Cooperativa agricola con un progetto partito nei primi anni del 2000 - ha pagato lo scotto di non essere al passo con i gusti e il mercato attuali, gli ibridi che piacciono di più crescono anche da noi. Sono piccole produzioni che non possono contare sui sistemi presenti nelle aziende più strutturate, vedi quelle del vicino Mantovano, dove la fatidica domanda “sarà buono?” è stata archiviata grazie a rifrattometri che riescono a calcolare il grado zuccherino di ogni esemplare senza toccarlo e a selezionare di conseguenza il prodotto. In compenso sui meloni made in Bergamo ci sono la faccia di chi li coltiva e il gusto di portarsi a casa qualcosa che è stato raccolto poco prima.
passo varietà sempre più dolci in accordo con i gusti dei consumatori. In realtà è una forzatura rispetto alla “natura” del melone, che appartiene alla famiglia delle cucurbitacee, come le zucche e i cetrioli. Si tratta di un ortaggio a tutti gli effetti, per quanto dal sapore delicato e aromatico, invece lo si considera frutta e se ne esalta la dolcezza». Nemmeno il bel profumo riscatta il melone di Calvenzano, «perché non è una caratteristica apprezzata – dice Messaggi -. Non piace il sentore intenso, che può pervadere cantine e frigoriferi». Le caratteristiche dell’antica varietà sono invece ideali per la trasformazione ed è proprio su questo versante che si è indirizzata prevalentemente la Cooperativa dopo aver rilevato le difficoltà del fresco. Ciò che continua ora è la produzione del liquore al melone di Calvenzano, da parte del Laboratorio liquoristico italiano Cucchi di Antegnate che ne ha creato due
versioni, “capsula blu”, ossia filtrato, e “capsula oro” con fettine di melone all’interno della bottiglia. La stagione no dell’anno scorso ha invece interrotto la realizzazione di confettura e senapata. «In questi prodotti, così come nel gelato – evidenzia il segretario, che è anche un coltivatore per passione – esce tutta tipicità del nostro melone, con sensazioni davvero notevoli. Dobbiamo però ammettere che l’idea di costruire un’economia sulla riscoperta del melone allo stato attuale non c’è più, anche se le op-
portunità restano». «Il valore dell’operazione è intatto – sottolinea infatti Beppe Facchetti, che da presidente della Cooperativa agricola ha promosso il progetto -. Ciò che volevamo era difendere la nostra cultura e tradizione, alzare un simbolo ed è stato fatto. Se la brutta stagione ha compromesso il raccolto lo scorso anno e se ci sono meno agricoltori che lo coltivano non vuole dire che più avanti qualcuno non possa riprendere il cammino. La Cooperativa non voleva farsi carico della
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IL PRODOTTO produzione ma recuperare un pezzo di storia e offrirlo al territorio». «Intanto l’esperienza fatta sino ad ora è servita per capire che è meno adatto ad essere venduto ma va benissimo per la trasformazione – rileva -. Non dobbiamo comunque pensarlo come una produzione industriale, ma come frutto di nicchia, per chi lo comprende. L’essere poco dolce, ad esempio, è apprezzato nella ristorazione, alcuni chef ci hanno detto di preferirlo perché riescono ad inserirlo meglio nei piatti». «Certo deve essere fatto conoscere ed è anche per questo – annuncia - che sono in corso le procedure per ottenere il riconoscimento da Slow Food. Le pratiche sono a buon punto e
l’operazione si dovrebbe chiudere e sarà un’ulteriore carta per il rilancio». In gioco ci sono anche temi come la tutela della biodiversità e la “libertà” sulle sementi, ottenute dai migliori esemplari della stagione precedente anziché acquistando gli ibridi, tematiche più che mai attuali, non a caso al centro anche dell’Expo. Punto di riferimento per la vendita dei prodotti a base di Retato di Calvenzano è lo spaccio della Latteria sociale di Calvenzano, dove si possono trovare anche i meloni, non della varietà antica, coltivati in loco. Il punto vendita è aperto tutti i giorni feriali tranne il lunedì pomeriggio (tel. 0363 86100).
Dal campo alla gelateria in centro
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meloni coltivati in Bergamasca diventano anche gelato. Succede da Biogelato, gelateria “fresca” di apertura lo scorso 9 maggio sul centralissimo viale Papa Giovanni, in città al numero 96, debutto in sede fissa di Daniela Bernareggi, 27 anni, e Simone Bonfadini, 30, che hanno già fatto conoscere la loro proposta in forma itinerante, con un simpatico mezzo tondeggiante presente in feste ed even-
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Treviglio / Castel Cerreto
Il valore aggiunto è la
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on gli asparagi, i meloni sono l’unica eccezione alla lunga lista di frutta che è possibile cogliere di persona sul campo all’azienda ortofrutticola Castel Cerreto, frazione di Treviglio, realtà che ha sposato il self service per far comprendere ai consumatori il valore dell’agricoltura e della scelta biologica. Per raccogliere i meloni occorre sapersi muovere tra le piante, maneggiare una lama e trasportare un certo peso ed è per questo che il fai da te non viene applicato. Ma il risultato non cambia di molto. Chi si reca alla cascina Pelesa per acquistarli sa che al massimo sono stati spiccati il giorno prima, con l’eccellente plus, quindi, della giusta maturazione e della freschezza. «La Bergamasca non ha una grande produzione di meloni né di frutta in genere perché si è indirizzata prevalentemente sul versante foraggiero - spiega Fabio Proverbio che con i soci Francesco Tassetti e Matteo Moioli ha avviato l’attività nel 2012 -, ma il clima della Bassa è molto simile a quello del Mantovano, territorio d’eccellenza per i meloni. L’estate scorsa, troppo umida e fredda, è stata un disastro per chi coltiva in campo aperto, in genere però una stagione “classica”, ossia calda e piuttosto asciutta, dà buoni risultati anche da noi». A Castel Cerreto si coltiva a meloni mezzo ettaro, circa 2mila piante per una produzione attorno ai 140 quintali. Dalla metà di giugno si raccoglie la varietà Gaudio, classico melone italiano ovale, solcato e retato. Dai primi di luglio matura invece il Saphir, liscio, rotondo e del grado zuccherino superiore. «Si tratta di piccole quantità – rileva – che vanno ad integrare le altre coltivazioni. Circa la metà viene venduta direttamente in azienda, il resto a piattaforme e negozi biologici, ma anche a gelaterie e ristoranti». Che sia un melone diverso da quello che si trova sui banchi del supermercato ci tiene a sottolinearlo. «La coltivazione biologica è tutt’altra cosa rispetto a quella convenzionale – ricorda Proverbio -. Non utilizziamo
ti. La scelta è ben precisa: fare gelato solo con prodotti biologici e freschi e per garantirlo sia avvalgono della certificazione Bios. Non stupisce quindi che il gusto melone abbia fatto la sua comparsa nel pozzetto solo la prima settimana di luglio, quando è entrata nel vivo la produzione all’azienda agricola Castel Cerreto, fornitrice anche di altra frutta, come fragole e lamponi. «Per il melone abbiamo optato per un sorbetto – spiega Daniela che segue la produzione –, fatto quindi con
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coltivazione biologica
Fabio Proverbio e Francesco Tassetti fertilizzanti né trattamenti chimici, solo prodotti organici o al massimo minerali ma di copertura, ossia per proteggere, mentre nel convenzionale gli interventi sono spesso potenti e sistemici, entrano cioè all’interno della pianta per curarla. Il nostro diserbo, inoltre, è solo manuale o meccanico». Alla genuinità si aggiunge il fatto che i frutti sono raccolti per essere pronti al consumo, con tutto il gusto della frutta matura ma anche una maggiore digeribilità. «Per molti il melone risulta pesante – nota -, ma questo capita se è in giro già da giorni, per via dell’alto contenuto
Curiosità
di acqua. Mangiato subito o conservato in frigorifero fino a una settimana, invece, questi problemi non li dà». La scelta biologica e la mancanza delle tecnologie che permetto di misurare il grado zuccherino prima di porlo in vendita restituiscono al melone di Castel Cerreto un po’ della proverbiale incertezza sulla qualità fino al momento del taglio. «È una coltivazione difficile – dice Proverbio –. Poiché sui nostri prodotti ci mettiamo la faccia preferiamo non vendere le produzioni venute male, come è stato l’anno scorso. Ciò nonostante può sempre capitare di mettere in commercio qualche esemplare “sbagliato”. Chi lo trova può però tornare e segnalarcelo e riceverà gratis un altro melone. È il nostro modo di ovviare a questo inconveniente e a noi torna utile per monitorare la qualità». In azienda i meloni sono venduti a 2 euro al chilo. Uno sconto del 25% viene applicato a chi adotta un filare, che significa una ventina di meloni in tutta la stagione. L’acquisto può essere accompagnato dalla raccolta fai da te dell’altra frutta, in questo periodo soprattutto piccoli frutti. Per celebrare le stagioni e i frutti simbolo di ogni periodo, Castel Cerreto organizza inoltre delle sagre, vere e proprie feste di campagna con prodotti tipici, musica, laboratori. Dopo quella dell’asparago e delle fragole, la prima domenica di luglio è stata la volta proprio del melone. www.castelcerreto.com
acqua e non latte, che può essere consumato anche da chi è intollerante al lattosio. Lo abbiamo già sperimentato l’anno scorso, ma i meloni erano acquosi e poco saporiti per via della cattiva stagione, quest’anno sono molto meglio». Legata strettamente alla scelta di usare solo prodotti freschi e non ricorrere a preparati o semilavorati industriali è infatti la possibilità che il gusto non sia sempre uguale a se stesso e che la ricetta venga valutata e messa a punto di volta in volta. «Un esempio eclatante è il gusto alla pera – evidenzia – che cambia con le stagioni e le varietà a
Da sfatare Che un buon melone si riconosca dal profumo. L’olfatto intenso è una caratteristica poco gradita perché “invade” i frigoriferi e gli altri alimenti, così sono state via via selezionate varietà meno odorose, ma più zuccherine.
Da sapere Le tecniche per tentare di scoprire se un melone sarà buono - dal bussare sulla scorza al controllare il peduncolo – non sono così affidabili. Ciò che si può fare è controllare che sia fresco e non abbia difetti come ammaccature o macchie tendenti al marrone che rivelano che il prodotto è già stato raccolto da diversi giorni o ha subito sbalzi termici.
Da sfoggiare Volete stupire i vostri commensali raccontando l’origine dell’accoppiata melone-prosciutto? Risale al medioevo e deriva dai principi in voga al tempo, per cui i cibi freddi ed umidi come la frutta erano considerati pericolosi per la salute se non bilanciati da cibi caldi e secchi. Lo stesso motivo per cui sono stati fatti sposare formaggio e pere.
disposizione, facendosi molto più corposo d’estate». Entrare in gelateria diventa, quindi, un po’ come entrare da un fruttivendolo e scoprire ogni volta ciò che l’annata offre. E in effetti Biogelato non è solo gelateria ma anche rivendita di prodotti selezionati, bio o del commercio equo e solidale. Quanto ai gelati, l’attenzione è anche ai chi ha intolleranze al glutine e al lattosio e per chi segue la dieta vegana. Tra le specialità estive anche frappè, ghiaccioli e stecchi. www.biogelato.it
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IL PRODOTTO Calcio/ Cascina Remiglie
Accanto ai meloni anche la coltivazione di angurie
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anno puntato su meloni e angurie i fratelli Paolo e Mario Bariselli quando qualche anno fa, dopo essere stati in società con i cugini nell’allevamento di mucche, hanno deciso di dare una svolta alla loro attività agricola. Nella cascina Remiglie a Calcio hanno realizzato un impianto fotovoltaico da un megawatt e cominciato a produrre meloni, angurie e ortaggi, insieme con i figli Claudio e Giacomo. «Vendiamo direttamente – spiega Paolo Bariselli – e per angurie e meloni abbiamo anche contratti con cooperative di Treviso e Ferrara, che ritirano la produzione in eccesso nel momento dei picchi. I prezzi che si spuntiamo da questo canale sono però troppo bassi e non vale la pena. Ciò che abbiamo intenzione di fare è diversificare le varietà in modo che la produzione si diluisca nel corso dell’estate e possiamo gestire per un più lungo periodo la vendita diretta». L’azienda ha destinato due ettari ai meloni e due alle angurie. I meloni sono della varietà Giusto, la produzione di
Claudio e Giacomo Bariselli
circa 300 quintali per ettaro. Le angurie sono prevalentemente quelle senza semi. Coltiva inoltre ortaggi, in questa stagione zucchine, peperoni e melanzane, con l’autunno verza, cavolfiore e cavolo cappuccio. La volontà di potenziare la vendita diretta è testimoniata dall’apertura nella primavera di quest’anno di un laboratorio per preparare con le proprie verdure sottaceti e sottoli, ma anche confetture di frutta. Chi vuole assaggiare un melone o un’anguria cresciuti in terra bergamasca può andare allo spaccio, aperto da lunedì al venerdì dalle 14 alle 19 e il sabato dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18, oppure in piazza a Calcio la mattina di martedì e venerdì dove è presente il camioncino con i prodotti della Cascina. «Quando abbiamo scelto di differenziarci – ricorda Claudio Bariselli, figlio di Paolo – abbiamo puntato su meloni e angurie che in passato venivano coltivati anche qui e venivano bene, pensando che poteva essere una proposta interessante. I clienti apprezzano il fatto che sono locali e ci riconoscono una qualità superiore alla media». «Anche perché – fa notare il padre – sono raccolti al punto giusto di maturazione e venduti in pochi giorni, non in anticipo per poter stare in giro anche parecchio». La coltivazione non è comunque facile. «Richiede un bel lavoro – afferma Paolo Bariselli -, sono piante che hanno bisogno di bere e bisogna tenerle pulite. E c’è sempre l’incognita del tempo. L’anno scorso non abbiamo raccolto niente, ci sono morte 5mila piante ma le spese le abbiamo dovute sostenere lo stesso. Quest’anno il primo trapianto ha preso la grandine…». Tel. 0363 968114
Accademia del Gusto/ La ricetta d’autore
GAZPACHO DI MELONE BIANCO CON FRITTELLE DI LUERTIS di Sergio Mei Ingredienti per 4 persone Per il gazpacho: 600 g melone bianco (polpa), 200 g succo al naturale di arancia, 50 g succo di limone, 100 g cetriolo (piccolo), 100 g sedano, 50 g peperone rosso, 50 g cipollotto, olio extravergine di oliva, sale, pepe. Per le frittelle: 400 g luertis, 100 g pane di casa, 2 uova, 100 g ricotta di capra, 100 g pecorino, sale, pepe, olio extravergine di oliva
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Procedimento Frullare il melone con il succo di arancia, il limone e dei cubetti di ghiaccio. Aggiungere le verdure a cubetti e condire. Sbianchire il luertis, tritarlo e amalgamare con pane, ricotta, pecorino e uova. Confezionare delle quenelles e friggere in padella con poco olio. Servire al piatto
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Il commento
di Enrico Rota
Vino, l’evoluzione del consumatore e i progressi delle Doc bergamasche
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l consumo del vino rappresenta un fenomeno in costante mutamento e andando ad indagare nell’universo delle preferenze dei consumatori è possibile assistere a vere e proprie modifiche e cambi di direzione, a volte anche molto repentini. Se in passato il consumatore, una volta identificata la sua preferenza per una tipologia di vino, tendeva ad essere piuttosto fedele e ad essere costante nell’acquisto e nel consumo, ultimamente - grazie anche allo sviluppo e alla sempre maggior diffusione di mezzi di comunicazione di tipo immediato e di facile consultazione - è possibile notare un continuo mutare delle preferenze del pubblico. Cosa influenza il consumatore nella sua scelta? Sicuramente la curiosità di provare ogni volta un prodotto nuovo o una nuova tipologia di vino, capace di soddisfare specifiche aspettative e generare determinate emozioni, senza trascurare quanto il “fattore moda” conti quando si parla di consumi. Sono questi gli elementi che negli ultimi anni hanno generato un lento, ma costante, cambiamento delle tendenze legate al consumo enoico. Se fino a qualche anno fa la preferenza dei consumatori era indirizzata verso vini rossi di grande struttura, complessi e alcune volte assai “pesanti”, oggi i dati di vendita disegnano un panorama di preferenze nettamente differente. La caratteristica principale che un vino deve avere per essere apprezzato dal pubblico è sempre più la freschezza, una piacevolezza di bevuta che accomuna tanto i vini bianchi quanto i rossi.
Per quanto riguarda il mondo dei bianchi, il consumatore sceglie in parte di bere vini spumantizzati, dal carattere fresco e beverino, senza disdegnare bianchi fermi prevalentemente di natura aromatica, con profumi intensi e persistenti, facilmente identificabili al naso e che perdurano durante l’assaggio. Salgono alla ribalta anche i rosati, meglio se dotati di buona aromaticità. Ma la grande rivincita è quella dei vini rossi, freschi e con leggeri sentori legnosi che prevaricano i rossi barricati, ormai quasi dimenticati: il consumatore sceglie la facilità di beva alla struttura complessa e impegnativa. Nel frattempo, in questo scenario in continua evoluzione, la piramide produttiva bergamasca è diventata sempre più flessibile proprio per poter soddisfare queste variabili richieste dei consumatori. Il Valcalepio Rosso, per esempio, negli ultimi anni è diventato decisamente più fresco, grazie anche alla riduzione del periodo di invecchiamento in legno, che viene mantenuto nella tipologia riserva. Numerose poi le possibilità offerte dalla recente Doc Terre del Colleoni con particolare interesse sul Manzoni Bianco e sull’Incrocio Terzi, verosimilmente due vini che faranno parecchio parlare nel prossimo futuro. Infine, si conferma anche la decrescente attenzione sui pareri forniti dalle varie guide sul mercato: il consumatore ha finalmente deciso di applicare, in modo indipendente il proprio potere di scelta, adottando criteri generati dal proprio gusto rispetto al classico condizionamento formulato dagli esperti. Anche questo un segno dei tempi.
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IL PERSONAGGIo di Leo Bartoli
Diego Campana ha 25 anni e sin da bambino ha respirato il profumo di stalla e latte nell’azienda di famiglia a Zanica. Dalle sue mani sono nati il Formaiù, lo Stracampà e il Filù. Ora sta lavorando a un nuova chicca
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L’inventore di formaggi l ragazzo è sveglio, sa il fatto suo. Ha 25 anni, lavora sodo, studia e ha l’aspirazione di fare l’inventore. Di formaggi però. Li conosce bene: fin da bambino ha respirato il profumo del latte e delle stalle, con la famiglia proprietaria a Zanica di un’azienda agricola, 240 vacche che aiuta a mungere ogni giorno (sono conferitori storici della Parmalat che vende il loro prodotto ai consumatori come “Latte fresco Alta Qualità”). Poi dalla stalla, Diego Campana passa alla sua mansione preferita, quella nel caseificio aziendale e come giovane casaro, oltre a produrre caci e formaggelle della tradizione bergamasca, comincia i suoi “esperimenti”. Ormai conosce bene la pratica, e pure la teoria, essendo assaggiatore Onaf. Non si fa scoraggiare dai fallimenti che pure esistono quando ci si avventura in sentieri inesplorati. Così nascono caci particolari, come il Formaiù, un semiduro particolarissimo dal retrogusto piccante e sapore intenso, o lo Stracampà, erborinato a due paste, con note amarognole e muffate, che si sposa a meraviglia con i passiti. Il gradimento dei consumatori è crescente e il giovane casaro continua nel suo percorso di crescita. Ci racconta com’è nato il suo amore per i formaggi? «La passione per la produzione dei formaggi è nata inizialmente per curiosità. Quando avevo 11 anni c’è stato il crack della Parmalat che ha messo in seria difficoltà la nostra azienda. I miei genitori hanno avuto l’idea di provare a vendere i formaggi, che già producevano per uso familiare. Così ho cominciato ad appassionarmi: mi affascinava vedere il latte trasformarsi in cagliata e poi in formaggio. La svolta me l’ha fornita la possibilità di
frequentare la scuola casearia, dove la mia passione è cresciuta fino a trasformarsi in un’attività vera e propria». La sua famiglia ha un’attività consolidata… «La nostra è un’azienda a conduzione familiare che alleva vacche da latte ad alta qualità, che conferiamo da più di 40 anni alla Lactis di Albano Sant’Alessandro. Mio fratello Ivan è il responsabile dell’allevamento che gestisce con grande passione e professionalità. La coltivazione dei campi compete a mio papà. Sul fronte caseario, inizialmente producevamo solo formagelle e stracchini, poi la produzione è aumentata fino ad arrivare ad un assortimento che va dai freschi (primi sali, mozzarelle) agli stagionati oltre al gelato e agli yogurt. Il tutto venduto presso il nostro spaccio aziendale o nei mercatini dei produttori di Agenda 21».
Ol Formaiù del Campana
luglio 2015 Parliamo di lei: da quanto fa il casaro? «Dal 2010, cioè da quando mi sono diplomato presso la Scuola Casearia di Pandino. Quando studiavo, nei fine settimana e durante le vacanze estive, tornavo a casa e aiutavo mio padre nel nostro minicaseificio aziendale. Sono anche Maestro Assaggiatore Onaf e faccio parte dell’Asssocasearia, un’associazione di ex studenti della Scuola Casearia di Pandino che organizza corsi di aggiornamento per casari ed il prestigioso Trofeo San Lucio: un concorso biennale di formaggi che premia e valorizza la figura del tecnico caseario». Riesce a conciliare i tempi per famiglia e divertimento? «È un lavoro impegnativo e assorbe parecchie ore al giorno, anche perché ci sono lavorazioni che vanno eseguite la sera. Nonostante il poco tempo libero, grazie alla convivenza con la mia compagna, trovo comunque del tempo da trascorrere con lei e con i miei amici». Ci descriva il Formaiù… «Il formaiù è un formaggio creato da mio padre e che io ho ripreso: è un semiduro a latte intero con stagionatura minima di tre mesi: ha un sapore e un aroma intenso con un piacevole retrogusto piccante. È un formaggio che ci ha regalato grandi soddisfazioni vincendo nel 2010 e nel 2012 rispettivamente la medaglia di bronzo e quella d’argento al Trofeo San Lucio». E lo Stracampà? «Appartiene della famiglia degli stracchini: è un erborinato realizzato con l’antica tecnica delle due paste che ne caratterizza il suo aspetto visivo e la struttura della pasta. Lo abbiamo modificato e migliorato nel tempo al punto che nel 2008 ha vinto un “Premio Qualità” al Concorso Infiniti Blu di Gorgonzola». Ci sono altri formaggi di cui va fiero? «Un’altra mia creazione è il “Filù”, un pasta filata che valorizza la Stracampà qualità del nostro latte, conferendogli un sapore dolce e un aroma di latte intero e di burro. È un cacio molto versatile, ottimo da tavola ma che è anche molto utilizzato come ingrediente in cucina». Qual è il suo sogno professionale nel cassetto? «Quello di migliorare e approfondire le mie conoscenze di casaro, accostandomi alla conoscenza di nuove tecnologie; ma soprattutto riuscire un giorno a trasformare totalmente la nostra produzione di latte in formaggio, senza aumentare ulteriormente la dimensione aziendale, puntando sempre di più alla qualità». Quale formaggio sta pensando di inventare in futuro? «Sarà un formaggio molto particolare di cui non voglio svelare i segreti. A breve sarà pronto e invito tutti a scoprirlo venendoci a trovare nel nostro spaccio di Zanica». www.formaggicampana.it
“Soffio del Misma”, decima etichetta in casa Pecis
“S
offio del Misma” è la decima etichetta dell’Azienda Vitivinicola Angelo Pecis di San Paolo d’Argon, che così completa e corona la gamma produttiva. Il nuovo vino rosso è ottenuto dall’assemblaggio delle varietà Merlot e Cabernet Sauvignon vendemmiate tardivamente. Le uve sono raccolte separatamente e vinificate con preventiva macerazione a freddo e fermentazione con le bucce per almeno venti giorni. Il mosto s’ottiene con pressatura diretta delle uve e con fermentazione a bassa temperatura. Dopo aver trascorso l’inverno in botte di acciaio, il vino viene invecchiato in piccole botti di legno di origine francese per almeno un anno. Dopo l’imbottigliamento si affina per un altro un anno in bottiglia. “Soffio del Misma” ha un colore rosso rubino con riflessi che spaziano dal violaceo (giovane) al granato (quando maturo); al naso si apre con note di spezie e cacao lasciando poi spazio alle note fruttate di ciliegia e prugna. Angelo Pecis Al palato presenta un’im- con la nuova etichetta portante struttura, ricco di tannini, sapido con lunga persistenza. Questo vino esprime tutte le sue potenzialità nell’abbinamento con piatti importanti di carne rossa o selvaggina, formaggi a lunga stagionatura. «Deve il suo nome al monte Misma - annota Angelo Pecis -, uno dei primi rilievi delle Prealpi bergamasche. Dalle sue pendici discendono, nelle calde notti d’estate, le fresche brezze che accompagnano le uve da agosto fino alla maturazione esaltando la presenza di sostanze aromatiche nelle bacche e conseguentemente nei vini». L’azienda Pecis, fondata dal papà Carlo negli Anni 80, conta su cinque ettari di vigneti, gestiti da Angelo assieme alla moglie Marialaura, che si avvalgono della collaborazione dell’enologo Massimo Gigola, dell’agronomo Giacomo Groppetti e del perito agrario Aldo Chitò.
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L’EVENTO Edizione speciale di GourMarte per Expo. A settembre e ottobre quattro appuntamenti tra Domus e Balzer per aperitivo, showcooking e cena con grandi nomi della cucina. Il finale a Brusaporto con i Cerea
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Un poker di chef stellati approda nel centro di Bergamo ourmArte si fa “special” per Expo 2015. La manifestazione della Promoberg dedicata alle eccellenze enogastronomiche lombarde, da tre anni a questa parte organizzata in Fiera nel mese di dicembre, si trasferisce nel centro di Bergamo in occasione dell’esposizione universale. Tra settembre e ottobre la rassegna propone quattro date che gli appassionati della tavola d’autore è bene si annotino. Si tratta infatti di quattro incontri con altrettanti artisti della cucina italiana: Massimo Bottura (Osteria Francescana, Modena), Pino Cuttaia (La Madia, Licata Agrigento), Annie Féolde (Enoteca Pinchiorri, Firenze) e Gennaro Esposito (Torre del Saracino, Vico Equense – Napoli). Il poker stellato (sul piatto ci sono complessivamente 10 stelle Michelin) sarà completato da un’ultima data a inizio novembre alla Cantalupa di Brusaporto, per una grande chiusura in tavola firmata dai fratelli tri-stellati Michelin di Bergamo, i Cerea del ristorante Da Vittorio. L’evento si snoda tra il Balzer, lo storico locale recentemente rinnovato nell’ambiente e nella gestione, la tensostruttura del Quadriportico-Spazio Creberg e la Domus Bergamo, la “casa” allestita nel cuore della città per ospitare nel semestre di Expo gli eventi culturali e ga-
stronomici del territorio. Queste le date: 2 settembre Massimo Bottura; 21 settembre Pino Cuttaia; 5 ottobre Annie Féolde e i suoi chef; 12 ottobre Gennaro Esposito. La chiusura con i fratelli Cerea è invece fissata per venerdì 6 novembre. Il format dei quattro appuntamenti in città è lo stesso. A partire dalle 18, utilizzando la struttura della Domus Bergamo in piazza Dante, a pochi passi dal Balzer, il cuoco che firma la cena racconterà la sua esperienza professionale durante un aperitivo con prodotti locali e poi in un talk show che prevede anche la dimostrazione dell’elaborazione di un piatto con un prodotto bergamasco tra quelli riconosciuti dal marchio “Bergamo città dei Mille… sapori”. A seguire, indicativamente dalle ore 20,30, la cena al Balzer in cinque portate per massimo di 60-80 coperti. Gli ingressi alla Domus Bergamo (compreso lo show-cooking) e alla tensostruttura del Quadriportico-Spazio Creberg sono liberi e gratuiti. Il costo dell’aperitivo in Domus Bergamo è di 10 euro, mentre quello della cena al Balzer è di 99 euro a persona, tutto compreso. Per informazioni e prenotazioni per la cena occorre rivolgersi a Balzer (tel. 035 234083 - info@balzer.it)
02 settembre
Massimo Bottura
21 settembre
Pino Cuttaia
05 ottobre
Annie Féolde
12 ottobre
Gennaro Esposito
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L’ITINERARIO
di Laura Ceresoli
Il quartiere multietnico ha trovato nel cibo un filo conduttore per sviluppare l’integrazione e promuoversi. Il progetto BSLK riunisce 15 insegne, dai sapori bergamaschi a quelli etnici, in un percorso coordinato tra menù, eventi e visite guidate. «È nato un distretto del gusto»
© Francesca Ferrandi
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Borgo San Leonardo, un mappamondo gastronomico in città a storia di una comunità è fatta di scambi culturali, di integrazione, di incontri fra identità religiose. Proprio come il cibo. Non a caso, è attraverso la contaminazione di cucine e sapori che un quartiere vivace e multietnico come Borgo San Leonardo ha deciso di mettersi in gioco. Passeggiare tra le vie Moroni, San Bernardino e San Lazzaro oggi significa intraprendere un viaggio goloso in un vero e proprio meltin’ pot gastronomico. Accanto all’intramontabile tradizione di alcuni ristorantini orobici, dove l’odore della polenta abbrustolita si mischia a quello del soffritto burro e salvia che inzuppa i casoncelli, spiccano anche gli aromi impregnanti delle spezie che insaporiscono i kebab o il profumo del picantito de lengua che fuoriesce dal boliviano. Da qualche tempo queste variegate esperienze culinarie hanno trovato un singolare filo conduttore Lorenzo Nava
grazie a Borgo San Leonardo’s Kitchens. L’iniziativa, promossa dall’associazione per il Borgo San Leonardo, in collaborazione con La Scatola delle Idee, ha lo scopo di coordinare le numerose proposte del quartiere attraverso la nascita del primo Distretto del gusto in città. Ristoranti, caffè ed enoteche hanno così creato un’alleanza che supera le barriere della concorrenza e della rivalità. Dalle birre artigianali (Bar Portici) alle degustazioni in enoteca (RED Caffè e Perbacco), dalla bottega gastronomica francese (Chez Richard) a quella boliviana (El Conquistador), dai fast food (Chicken Hub Kebab e Chicken House) al churrasco sudamericano (El Tunari e El Valluno), passando attraverso le dolcezze sfornate dai Pasticcioni, il visitatore può esplorare in punta di forchetta i sapori di tutto il mondo. Parecchi anche i ristoranti italiani coinvolti (Trattoria del Gallo, Porta Osio, C’era una volta, Osteria Pane e Vino) che propongono menù alla carta o suggestioni studiate ad hoc, con prezzi per tutti i portafogli, tra i 5 e i 50 euro. Segno identificativo del progetto è la tovaglietta rossa con la cartina di tutti i locali aderenti. «Il distretto nasce per allinearsi ai temi dell’Expo 2015 – spiega Lorenzo Nava, presidente dell’associazione La Scatola delle idee –. La valorizzazione del centro storico
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l’itinerario passa anche attraverso un’integrazione culturale che è da sempre legata alla cucina. Borgo San Leonardo è un luogo di residenza e di incontro dove convivono tanti migranti di seconda e terza generazione. Attraverso il cibo possiamo capire meglio gli usi e i costumi di un popolo». Grazie alla collaborazione di cittadini e migranti, il quartiere si presenta come un mappamondo in versione enogastronomica in cui fare tappe golose, esplorando al contempo piccoli pezzi di arte e cultura che hanno segnato la storia di Bergamo. Già, perché oltre al cibo, altri insoliti ingredienti stanno colorando le serate del BSLK: dalla giocoleria degli artisti di strada Nicola Carrara e Fausto Giori agli spettacoli di improvvisazione teatrale, dai balli brasiliani alle visite della città con la guida Tosca Rossi. E ancora art-aperitivi con letture musicali, come quelli proposti lo scorso giugno dalla Bottega gastronomica francese Chez Richard Paris di via San Bernardino. Un connubio vincente quello tra cucina e cultura che è destinato a durare, come conferma il presidente Nava: «Il distretto del gusto non avrà una fine. Abbiamo diversi percorsi attivi che intendiamo sviluppare nel tempo. In particolare, il progetto Borgo San Leonardo’s Kitchens, tutto autofinanziato, è stato ideato da Francesca Ferrandi, socia attiva e membro del direttivo all’interno della Scatola delle idee. È la persona che cura la maggior parte delle attività associative e dei partner, quando viene direttamente richiesto. Noi siamo una realtà piccola ma complessa, che sta cercando di creare posti di lavoro nel settore delle attività culturali in ambito organizzativo». Rivitalizzare il borgo dal punto di vista gastronomico e culturale significa, infine, promuovere la movida, disincentivando episodi di microcriminalità che spesso hanno turbato la quiete dei residenti di via Moroni e via San Bernardino: «Con queste iniziative creeremo più occasioni di ritrovo in una zona spesso ritenuta degradata per colpa di episodi singoli che, negli anni, hanno sollevato qualche problema – conclude Nava –. L’integrazione non è facile, le regole di convivenza sono diverse, molti si lamentano degli odori delle cucine etniche o della sporcizia per strada. Purtroppo la città è piccola, i marciapiedi sono stretti, le motospazzatrici passano con difficoltà. Tuttavia io non credo che la situazione sia critica, anzi. Gli abitanti sono attenti e il Comune risponde bene alle esigenze dei cittadini. Penso che ci voglia solo più tolleranza da parte di tutti». Prossimi appuntamenti il 24 luglio con un tour guidato dalla Contrada di Prato alla Vecchia Fiera nel centro piacentiniano e il 21 settembre, lungo via Sant’Alessandro attraverso il paesetto, dalla chiesa della Madonna del Giglio fino alla Maddalena. E naturalmente tra un itinerario culturale e l’altro non mancheranno occasioni di degustazione per tutti i gastronomadi.
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7 EL VALLUNO
Bar Restaurante El Valluno
Al ristorante
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Sebastian Salazar
a comunità sudamericana è la più popolosa tra il mosaico di etnie presenti a Bergamo. Sono oltre 3mila, infatti, i boliviani che oggi risiedono in città. E il ristorante El Valluno di via San Bernardino è da anni uno dei principali punti di ritrovo della comunità di Cochabamba, e non solo. Anche i meno avvezzi ai cibi esotici faranno fatica a resistere a tutte le gustose spe-
luglio 2015
1 i partecipanti VIA SAN LAZZARO 1. 2.
BORGO SAN LAZZARO cucina tipica PASTICCIONI sweet & coffee
VIA SAN BERNARDINO 3. BAR PORTICI birre artigianali 4. CHEZ RICHARD PARIS bottega gastronomica francese 5. CHICKEN HUT KEBAB kebab e pollo fritto 6. CHICKEN HOUSE fast food 7. EL VALLUNO cucina sudamericana 8. C’ERA UNA VOLTA specialità di pesce 9. TAVERNA DEL GALLO cucina mediterranea 10. OSTERIA PANE E VINO osteria
VIA MORONI 11. RED caffé vino spirito 12. EL TUNARI cucina sudamericana 13. EL CONQUISTADOR pizzeria- gastronomia italo boliviana 14. PERBACCO wine bar 15. PORTA OSIO enoteca con cucina
borgo san lazzaro
www.ristoranteborgosanlazzaro.it
Dopo “Cucine da Incubo” carta rinnovata in chiave moderna
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el centro storico di Bergamo fa capolino un locale di 80 posti dall’atmosfera calda e accogliente, dove si possono assaporare le specialità delle valli orobiche. È il ristorante Borgo San Lazzaro, gestito con passione da Carlo Bertoletti. Già titolare nei decenni passati del bar Basket di via Sant’Alessandro, da ormai 16 anni Carlo porta avanti una lunga tradizione di famiglia. Eppure anche in un posticino tipico come il suo spiccano un cuoco dell’Ecuador e qualche cameriere albanese. Sì, perché l’integrazione culturale è ormai una prerogativa nel quartiere. E in occasione di Borgo San Leonardo’s Kitchens, i clienti potranno provare una carta completamente rinnovata: «Il merito va anche all’intervento dello chef Antonino Cannavacciuolo – spiega Bertoletti – che di recente ha fatto visita al nostro ristorante con il suo programma “Cucine da Incubo”». Così ora si potranno assaggiare piatti della tradizione rivisitati in una chiave più golosa e moderna. Si va dai fagioli con gamberi e pancetta alle tagliatelle con funghi e animelle; dalle lasagne con branzi e carciofi al filetto di maiale
La festa in strada organizzata dal locale per seguire la trasmissione in tv in salsa di miele e peperoncino; dalla mousse di patate all’insalata di pollo con carciofi e gorgonzola. «Da quando facciamo parte del distretto del gusto abbiamo più occasioni per far conoscere alla gente il nostro nuovo menù – annota il titolare –. Grazie all’abbinamento tra cucina e cultura, questo quartiere, che un tempo era abbandonato a se stesso, sta ritrovando una nuova linfa. Il centro va valorizzato e questa è un’ottima iniziativa per creare più movimento negli orari serali». Da provare I Casoncelli con gorgonzola e topinambur
boliviano imperdibile è la quinoa cialità cucinate dai cuochi di questo locale. Con la sua la sopa de quinoa, la trota del lago Titicaca, la sajta de papalisa e il picantito de lengua, El Valluno propone infatti un menù ricco di suggestioni. Ma non finisce qui: «Stiamo facendo il possibile per arricchire ulteriormente la nostra carta con dei piatti tipici sudamericani in occasione delle notti bianche o delle serate a tema legate al Borgo San Leonardo’s Kitchen – spiega il titolare Sebastian Salazar – purtroppo al momento ho poco personale fisso. In futuro, però, in occasione delle serate del Borgo, cercherò di coinvolgere colleghi sudamericani che mi aiuteranno a inserire anche piatti tipici argentini come Empanadas o Asado, il tutto accompagnato da spettacoli di ballo argentino. Tra le nostre specialità classiche, invece, ci sono le pietanze a base di quinoa: in estate prepariamo molte insalate fredde con questo “grano de oro” adattate ai gusti italiani, con caprese o frutti di mare. In inverno, invece, va molto la zuppa di quinoa».
Da provare Le insalate estive a base di quinoa
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l’itinerario 8
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c’era una volta
www.ceraunavoltabg.com
Il mare secondo le ricette delle nonne campane
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ella storica via San Bernardino alta, a pochi passi dal cuore pulsante della città, c’è un piccolo angolo campano dove il pesce la fa da padrone. Stiamo parlando del ristorante “C’era una volta”, sapientemente gestito dallo chef di origini salernitane Erasmo Maiorano. Con passione si dedica alle sue succulente pietanze offrendo ai clienti una varietà di crostacei, frutti di mare e prodotti mediterranei freschissimi. Dalla sua cucina escono piatti genuini che hanno il sapore, come dice il nome stesso, di una volta, seguendo le antiche ricette delle nonne.
A pranzo con soli 10 euro è possibile gustare un menù completo scegliendo un primo e un secondo fra tre opzioni di carne o pesce, il tutto accompagnato da acqua, vino, caffè. “E se te fet ol brao, a te regale u bel grapì”, recita in dialetto bergamasco la locandina del locale. E grazie a Borgo San Leonardo’s Kitchens, ci saranno sempre più occasioni per fare una tappa da C’era una volta: «Questa è una bella iniziativa perché crea coesione tra tutti i residenti e i ristoratori del Borgo – conferma Maiorano –. È un modo per mangiare in compagnia e riscoprire, al contempo, le bellezze e la cultura di questo Borgo che spesso è poco frequentato. Al momento puntiamo sui nostri piatti classici a base di pesce che da sempre ci caratterizzano. Poi per il futuro si vedrà».
© Francesca Ferrandi
Erasmo Maiorano
Da provare Lo scialatiello ai frutti di mare e gli spaghetti con tonno fresco, pomodorini e capperi
Osteria pane e Vino
Sapori bergamaschi e zuppa di pesce in atmosfera casalinga
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pranzo il menù dell’Osteria Pane e vino di via San Bernardino è economico e ricco di suggestioni. In questo locale, piccolo e accogliente, sembra quasi di mangiare nell’atmosfera familiare di casa. Sarà che il cuoco e titolare, Omar Piazzalunga, fa proprio di tutto per ingolosire i suoi clienti con specialità tipiche berga-
2 pasticcioni
4 CHEZ RICHARD
9 TAVERNA DEL GALLo
www.ristorantetavernadelgallo.it
Un angolo di mediterraneo, tra pizza e specialità siciliane
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n menù variegato che mantiene fede alla tradizione della cucina mediterranea. Pizze, soffici e fragranti, che richiamano il sole del sud. E ancora dolci cremosi, come il cannolo alla ricotta, un omaggio alle origini siciliane del titolare Salvatore De Salvo. Queste e altre prelibatezze sono racchiuse nella Taverna del Gallo di via San Bernardino che, in concomitanza con le notti bianche e gli eventi del Borgo San Leonardo’s Kitchens, propone un menù degustazione. Spendendo dai 10 ai 15 euro, lo chef vizierà i palati più golosi con un primo o
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Salvatore De Salvo
una pizza a scelta, un dolce, un calice di vino e un caffè. Durante la settimana, invece, la carta è libera e spazia dalla parmigiana tipica siciliana agli involtini di pesce con formaggio, dalla coda di rospo in umido ai maccheroncini alla norma con le melanzane. La Taverna ha ormai una storia trentennale ma è stato l’ingresso di Salvatore, nove anni fa, a portare una sferzata di energia e vivacità al locale con ricette sempre nuove e prodotti genuini. «Io lavoro molto bene coi miei clienti affezionati – spiega Salvatore – tuttavia il distretto del
luglio 2015 Osteria pane e vino
masche e classici della cucina italiana. Attento e disponibile, propone ogni giorno piatti diversi per venire incontro ai lavoratori della zona e agli affezionati. Sparito il caos del mezzogiorno, dove tutti vanno di fretta e c’è da sgomitare per un tavolo, a cena l’ambiente si fa più soft. Lunghe tovaglie rivestono i tavoli del locale e il menù è alla carta. Ma le proposte sfiziose non mancano mai. In questa calda estate che coincide anche con gli eventi del Borgo San Leonardo’s Kitchens, Omar si sta ingegnando per sfornare manicaretti
di ogni sorta che variano a seconda delle settimane. Per chi ama la carne ha proposto un menù a base di foglie di bresaola della Valtellina servita con noci di caprino aromatizzato all’erba cipollina e quiche alle zucchine; antipasto di polenta rustica con funghi porcini trifolati e tagliere di salame nostrano; vellutata di pomodoro; fiorentina di scottona femmina ai ferri con patate al forno e verdure grigliate; torta gianduja calda servita con gelato alla crema. Ricchissimo di tentazioni anche il menù di pesce con ostriche al limone, capesante gratinate, insalata di mare tiepida, strigoli verdi serviti con sinfonia di mare e gnocchetti di patate in salsa di gamberi e scampi e degustazione di baccalà alla vicentina accompagnato da polenta rustica. Tutti i sabati sera con 20 euro Omar propone un tagliere di salumi nostrani con bruschette al lardo di colonnata, risottino ai porcini e formaggio di monte, tagliata di scottona con rucola e grana e patate al forno, dolce della casa, acqua, calice di vino e caffè. Da provare La zuppa di pesce
© Francesca Ferrandi
11 RED Caffè vino e spirito
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RED Caffè Vino Spirito
L’apericena si sposa con spettacoli e tour guidati
el tunari
PARIS
gusto sta creando più coesione tra i ristoratori e soprattutto desta più curiosità nei visitatori. Quando il borgo è vivo, la gente ha voglia di uscire e magari ha l’occasione di conoscere nuovi locali. Nella nostra via, per esempio, è stato organizzato un piccolo spettacolo di balletti brasiliani. Cibo e percorsi culturali sono certamente un’abbinata vincente». Da provare Gli spaghetti del Gallo ai frutti di mare con copertura di pizza
© Francesca Ferrandi
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n happy hour è l’occasione giusta per un ritrovo tra amici. Meglio ancora se all’apericena si abbinano spettacoli o visite guidate per il centro storico. Da quando sono iniziate le serate del Borgo San Leonardo’s Kitchens, il RED Caffè vino e spirito di via Moroni è un continuo via vai di visitatori che qui fanno tappa per intraprendere percorsi degustativi dedicati a veri intenditori di vini e grappe. Ma se siete astemi, niente paura: ci sono anche aperitivi analcolici accompagnati da sfizi di ogni sorta. «Noi siamo un wine bar con tavola fredda, quindi non possiamo offrire menù a prezzo fisso come fanno i ristoranti – spiega il cotitolare Fabio Spada –. Il nostro punto forte sono le apericene che spesso si associano a spettacoli o tour guidati che includono sempre delle tappe golose. I prossimi eventi, per quanto ci riguarda, saranno due: uno il 24 luglio e l’altro alla fine dell’estate. Nell’occaFabio Spada e Fabio Epis sione è prevista una visita nei dintorni con la guida turistica per riscoprire i luoghi storici e d’arte, con tappa per l’happy hour sia nel nostro bar che in altri due locali limitrofi. È un modo anche per incentivare la movida in un centro che spesso è poco frequentato, soprattutto in estate dove tutti si spostano nei dehors di Città alta». Da provare I bicchierini di insalata caprese accompagnati da un fresco vino rosato
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Tradizioni di Leonardo Bloch
Un gastronomo di nome Torquato Il profilo del letterato, di genia bergamasca, che si ricava dal “Padre di famiglia” è quello di un buongustaio amante delle tonalità decise tanto nei cibi quanto nelle libagioni. Avido di cacciagione e di vini rossi, è irriguardoso di ogni conformismo
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il tardo meriggio di una delle canicolari giornate che ancora infiammano l’inizio dell’autunno, e nel cielo si stanno rapidamente accalcando cupi nembi gravidi di pioggia. Nell’agro tra Novara e Vercelli un cavaliere, in apprensione per l’incombente tempesta, pungola il suo destriero per spronarne il galoppo verso l’agognato riparo. Tra l’uomo e la sua destinazione si interpongono tuttavia le minacciose acque del Sesia, che si preannuncia in impetuosa piena, ed i barcaioli già si rifiutano di traghettare i viandanti da una sponda all’altra del fiume. A conforto del disorientato viaggiatore giunge inattesa la provvidenziale offerta di ospitalità avanzata da un giovane incontrato per avventura sulla via, il cui signorile portamento ne sottende l’inequivocabile estrazione gentilizia. Con questo teatrale proemio, prodigo di riferimenti autobiografici, si apre il Padre di famiglia - componimento in
prosa che Torquato Tasso scrisse nel 1580. Un paio d’anni prima di mettere mano al dialogo, il poeta di genia bergamasca era in effetti transitato per quell’angolo di Piemonte - all’epoca landa di confine tra i granducati di Milano e di Savoia - sul percorso della tormentata fuga che da Urbino l’avrebbe condotto sino a Torino. È indubbio che la breve opera, giocata su una classicheggiante - ed invero piuttosto didascalica - rassegna degli uffici del capofamiglia, lasci il segno più per il suo rilievo gastronomico che per valore letterario. Da un lato il testo racchiude infatti il raro e dettagliato resoconto di un convivio della piccola aristocrazia terriera del Cinquecento: si tratta della cena offerta al ramingo letterato dal padre del giovinetto fortunosamente incrociato per strada. Dall’altro la lista delle vivande è corredata di un commentario a compendio delle predilezioni culinarie del poeta, che nell’oc-
luglio 2015 casione si dimostra un sorprendentemente fine intenditore di cibi e di vini, nel quadro della fase crepuscolare della dietetica tardomedievale. Il banchetto, pervaso da un’intonazione ancien régime piuttosto prevedibile in un’ambientazione campagnola, ha avvio con del semplice melone, la cui dolcezza riscuote il favore dell’illustre convitato. Il gradimento del Tasso cozza nondimeno con la diffidenza del padrone di casa, che, seppur offrendolo al commensale, quasi non tocca il frutto. A giudizio dell’anziano patrizio quest’ultimo, non sollevandosi mai dal suolo, finisce infatti per intridersi degli esiziali umori freddi ed umidi della terra. E del resto, per le medesime ragioni, le teorie mediche di matrice galenica ancora in voga nel XVI secolo bollavano inappellabilmente il popone di insalubrità. A riprova delle sue asserite proprietà deleterie, la cucurbitacea era addirittura incolpata di aver mietuto un’illustrissima vittima: il pontefice Paolo II, stecchito il 26 luglio 1474 da un colpo apoplettico susseguente - secondo i clinici del tempo - proprio ad un’indigestione di meloni. Ragioni di ossequio inducono il poeta ad astenersi dal controbattere i pregiudizi dell’ospite vercellese, dando nondimeno per inteso che suonassero ormai anacronistici. Non passa inosservato che, in abbinamento all’antipasto, venga proposto un vin bianco assai generoso - ossia di forte gradazione e zuccherino. Secondo la dietetica dell’epoca, la natura calda della bevanda avrebbe dovuto controbilanciare gli umori freddi del popone, mitigandone gli effetti pregiudizievoli. Colpisce vieppiù che l’uso di accostare un vino liquoroso al frutto - emblematico a tale riguardo è il caso del melone al Porto - sia sopravvissuto al declino seicentesco della medicina galenica, tramandandosi di fatto sino ai nostri giorni. Dopo una così frugale apertura - le convenzioni del XVI secolo avrebbero invero imposto un incipit assai più opulento -, giungono sulla mensa le portate principali: dapprima del capriolo - la più apprezzata tra le carni selvatiche in età medievale e protomoderna -, proposto in parte arrosto, in parte “condito in una maniera di manicaretti assai piacevole al gusto”. La perifrasi sta con ogni probabilità ad indicare un intingolo bassomedievale noto come civero, a base di cipolla generosamente speziata, che abitualmente accompagnava la cacciagione. Successivamente è servito del cinghiale, accomodato in brodo lardiero secondo quello che il poeta riferisce fosse l’uso di Bergamo. Chiara progenitrice dei salmì dei nostri giorni, la ricetta prevede che la polpa dell’animale venga lessata in una miscela d’acqua e vino bianco, con l’aggiunta di lardo tagliato a dadi - da cui la vivanda trae la sua denominazione -, di spezie e di erbe. A fine cottura il fondo è addensato con tuorli battuti e pane grattugiato, aggiungendo, se disponibile, il sangue della bestia. Incassate un paio di bordate che avrebbero messo a dura prova finanche le leggendarie capacità digestive del Pantagruel rabelesiano, i due commensali trovano comunque ancora spazio per un paio di piccioni a testa, uno arrosto e l’altro lesso. Ed in parallelo la conversazione volge inevita-
bilmente al tema delle carni. A quelle degli animali domestici, il Tasso dichiara apertamente di preferire la selvaggina, tanto per via dell’esercizio fisico cui sono costrette le bestie, che le rende più salubri, quanto perché la cacciagione non induce alcuna noiosa sazietà, e se ne può quindi mangiare a piacimento. Senza alcuna ritrosia il cantore lascia dunque trasparire di essere quella che oggi - ma non certo al suoi giorni, dato che la posata era solo da poco entrata nell’uso comune - si definirebbe una buona forchetta, non facendo peraltro mistero delle proprie inclinazioni carnivore. Con civero e brodo lardiero si mesce nelle coppe un claretto molto delicato. L’abbinamento enoico, che suona quantomeno eccentrico al gusto odierno, è invece coerente con i dettami galenici ancora imperanti al crepuscolo del XVI secolo. Privilegiando le associazioni per contrapposizione, a vivande dai sapori forti si usava infatti accompagnare vinelli di tempra esile, e viceversa. Ha quindi avvio tra ospite e commensale un erudito dibattito di afflato cosmopolita, che sfiora i nettari all’epoca accreditati della più alta considerazione: si discetta di malvagie e romanie (i vini della Grecia, così denominati perché prodotti nell’Impero Romano d’Oriente), di vini del Reno e della lacrima (il Lacryma Christi ancor oggi prodotto in Campania). In barba alle convenzioni, il poeta lascia nondimeno intendere che, in luogo dei bianchi dolciastri in voga al tempo, non avrebbe disdegnato un buon rosso robusto ed austero, assecondando le nuove tendenze che iniziavano a diffondersi dalla Francia. Il banchetto
Un ritratto di Torquato Tasso si chiude finalmente con il ritorno alla frugalità che ne aveva contraddistinto l’apertura, allorché in tavola è recata della frutta. Qual è, in conclusione, il profilo gastronomico del letterato di sangue bergamasco che si ricava dal Padre di famiglia? È con certezza quello di un buongustaio amante delle tonalità decise tanto nei cibi quanto nelle libagioni, avido di cacciagione e di vini rossi, nel complesso un po’ tradizionalista ancorché irriguardoso di ogni conformismo. Anche a tavola, a dispetto dei natali napoletani, non sussiste dunque alcun dubbio che l’immortale Torquato sia da considerarsi uno dei nostri.
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L’approfondimento di Laura Bernardi Locatelli
Allevare e coltivare? Una corsa a ostacoli Chi fa l’imprenditore agricolo deve fare i conti con giornate faticose, rese spesso amare da burocrazia e rapporti con grandi produttori. Abbiamo visitato due realtà bergamasche per capire come si lavora oggi nei campi e nelle stalle. Ecco i loro racconti
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on Farmville, il gioco che regala un’avventura rurale 2.0, siamo diventati tutti agricoltori virtuali, ma gestire una fattoria vera e propria è sempre più un’impresa anche per chi fa questo lavoro da una vita. Tra burocrazia, normative e paletti, per non parlare dei rapporti con i grandi produttori - ormai delle multinazionali a tutti gli effetti - portare avanti un’attività, anche se a gestione familiare, è sempre più faticoso. Ma le soddisfazioni non mancano mai: la sveglia non si punta più all’alba o al canto del gallo come un tempo, ma alle 7 e, anche se la giornata è lunga e faticosa, vedere nascere un vitello, un asino o un cavallo e godersi un buon raccolto non ha prezzo, per non parlare del privilegio di passare una vita all’aria aperta. La posta da pagare è comunque alta: giusto per fare un esempio banale nel bel mezzo dell’estate, niente vacanze se non previa organizzazione a turni in fami-
glia. Perché se è sempre un problema lasciare al vicino il gatto e quattro piante da bagnare anche solo per qualche giorno, diventa un po’ più complicato affidare ettari di terra, stalle, box, porcile e aia da curare. Le aziende più all’avanguardia hanno saputo innovare e diversificare l’attività, o comunque sono riuscite a ritagliarsi nuove nicchie, a partire da piccole produzioni ad alto valore aggiunto, dalle più antiche varietà di mais alla coltivazione del frumento a chilometro zero. Il baratto è ancora in uso in agricoltura per cui capita ancora che ci siano scambi e ci si dia una piccola mano, tra colleghi, anche provenienti da altre regioni, nella vendita diretta in azienda. Quello delle aziende agricole è per molti versi un mondo ancora a parte, che purtroppo si scontra ogni giorno con una realtà che continua a cambiare e con cui deve fare i conti. Così se l’agricoltura cresce, come mostra-
luglio 2015 no gli osservatori di Confagricoltura, e finalmente si torna a guardare con orrore alle distese di cemento che soffocano il verde per cercare piuttosto di riqualificare ciò che già è costruito, non vi sono grandi agevolazioni e incentivi per il settore, che oggi come non mai è bene faccia valere il suo ruolo “primario”. Mentre ci si scervella per trovare soluzioni per sfamare il pianeta, dalle fattorie galleggianti ad energia solare le cosiddette Smart Floating Farms - a nuove frontiere della coltivazione, nel pieno del semestre Expo, l’agricoltura “vera”, come già denunciato da Carlin Petrini di Slowfood, fatica a mantenere se stessa. E, probabilmente, se il nostro Paese avesse puntato con decisione sull’agricoltura o quanto meno si sforzasse di più per sostenerla, con le nostre produzioni eccellenti potremmo giocare un ruolo di primo piano nell’economia globale. Perché, come scriveva già a suo tempo Pier Paolo Pasolini, rimpiangendo la progressiva perdita della società agricola, simboleggiata dalle lucciole, avrebbe dato indietro volentieri la Montedison pur di rivederle brillare nelle nostre campagne. Non è un caso che proprio alla fine degli anni Sessanta e Settanta, in piena riconversione del Paese da agricolo ad industriale, molte aziende siano state dismesse e acquistate
da chi quelle terre le aveva sempre lavorate, dai mezzadri ai fattori che, a suon di sacrifici e debiti, hanno garantito un futuro all’agricoltura. Gli anni Ottanta hanno segnato uno spartiacque: nel 1984 la decisione della Comunità Economica Europea di contingentare la produzione e regolare l’offerta con il sistema delle quote latte, ha condizionato l’economia agricola comunitaria. Tra corsi e ricorsi, la maratona agricola delle quote latte si è chiusa il 1°aprile 2015, dopo più di trent’anni. Solo 1 stalla su 5 è sopravvissuta al regime delle quote latte che ha lasciato in vita in Italia solo 36mila allevamenti. È questo uno dei dati emersi dal “Dossier sull’attuazione delle quote latte in Italia” presentato in occasione della mobilitazione degli allevatori della Coldiretti per la fine del regime quote latte, a Roma in piazza del Foro di Traiano, con la pronipote della mucca “Onestina”, simbolo della battaglia per il Made in Italy degli allevatori onesti che hanno resistito a disattenzioni, errori, ritardi e compiacenze che si sono ripetuti in questi decenni. La storia stessa di molte aziende agricole si divide tra chi ha ceduto le quote, rifiutando i diktat europei, e chi invece ha deciso di investirvi e di andare avanti ad allevare vacche da latte. Ora, senza quote latte, istituite
proprio con lo scopo di evitare un calo nel prezzo di vendita alla stalla, con perdita di profitto per gli allevatori, il prezzo del latte è passato - complice l’invasione di latte addirittura dall’altro capo del mondo - dai 44 centesimi ai 35 centesimi al litro. Questa situazione è determinata dal fatto che esiste un evidente squilibrio contrattuale tra le parti lungo la filiera e non è un caso che con la fine del regime delle quote comportamenti scorretti nel pagamento del latte agli allevatori hanno portato prima in Spagna e poi in Francia alla condanna da parte dell’Antitrust delle principali industrie lattiero casearie. In Francia, l’Antitrust il 12 marzo ha multato per un importo di 193 milioni di euro 11 industrie lattiero casearie tra le quali Lactalis, Laita, Senagral e Andros’s Novandie per pratiche anticoncorrenziali dopo che il 5 marzo scorso era intervenuto anche l’Antitrust iberico che aveva annunciato multe per un totale di 88 milioni di euro a gruppi come Danone (23,2 milioni), Corporation Alimentaria (21,8 milioni), Grupo Lactalis Iberica (11,6 milioni).
ARCENE - AZIENDA EREDI VITALI
In stalla 200 Frisone. Ma c’è spazio per sperimentare la coltivazione dei mais antichi
L’
azienda Eredi Vitali è stata fondata nel 1966 da Franco Vitali, contagiato dalla passione per l’agricoltura dal padre Mario, che aveva lavorato una vita come fattore. «Quando papà Franco è scomparso, dopo solo 5 anni di avvio dell’attività, nel 1971, mia mamma Romana Radice, che veniva da Milano e non sapeva probabilmente da che parte iniziare a mungere una mucca, ha deciso lo stesso di continuare l’attività - racconta Mario Vitali, che gestisce
l’azienda di famiglia con i fratelli Dario e Silvia -. A suon di sacrifici, l’azienda è cresciuta, fino a spostarsi dal centro di Arcene all’attuale sede. La scelta è stata sin dall’inizio quella di optare per stalle all’aperto, ventilate, con doccette e cuccette progettate ad hoc, alimentazione naturale con foraggio e cereali coltivati nelle 800 pertiche di terreno che circondano l’azienda. Oggi le quasi 200 vacche di razza Frisona producono ogni giorno 5.800 litri di latte».
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L’approfondimento via Pradone, 17 Zanica tel. 035 671301 338 1377890
Zanica - Cascina Buona Speranza
Dal latte bio all’agriturismo, l’evoluzione della fattoria
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a storia della Cascina Buona Speranza affonda le sue radici nel 1800, quando, assieme ad altre aziende, con le famiglie di proprietari e quelle, sempre più numerose, dei mezzadri, contribuì a dare vita al paese di Zanica. Oggi è un’azienda agricola a certificazione biologica che rispecchia appieno la diversificazione e la multifunzionalità. L’anno di fondazione, scolpito all’ingresso di una delle poche autentiche cascine bergamasche che si possono ancora visitare nel territorio, è il 1847. La nuova storia della Cascina Buona Speranza risale invece al 1972 quando Virgilio Nosari, macellaio che da sempre acquistava bovini in azienda, decide di rilevarne una parte e di affiancare all’attività del commercio quella agricola. Il sogno dell’agricoltura aveva già qualche anno prima spinto il figlio Ettore con la moglie Natalina Cianfarini ad abbandonare
rispettivamente un lavoro da assicuratore ed un impiego in un’agenzia pubblicitaria di Milano, per fare a loro modo il 1968, mettendo su famiglia ed un piccolo allevamento di conigli in Umbria, a Umbertide. Ma l’azienda agricola bergamasca aperta dal padre li richiama a Zanica, dove si specializzano nella fornitura di latte biologico ad una realtà affermata come la Fattoria Scaldasole.
L’avvento delle quote latte non ha fatto che complicare le cose ad un’azienda avviata da poco. «Alla fine degli anni Ottanta abbiamo investito 600 milioni di vecchie lire nell’acquisto delle quote latte. Purtroppo in Italia sono sempre mancate sanzioni e controlli e, di fatto, chi non ha rispettato la normativa comunitaria ha munto lo stesso di più, affossando l’intero settore. Ora che le quote latte sono state eliminate, l’investimento ingente fatto anni fa è stato gettato letteralmente alle ortiche». In compenso il prezzo del latte è sceso, in meno di un anno anche del 25%: «Siamo passati dai 44 centesimi dell’agosto del 2014 agli attuali 35 centesimi al litro. Il prezzo riconosciuto agli allevatori, come denunciato dalle associazioni del settore, stenta a coprire i costi per l’alimentazione degli animali - spiega Mario Vitali -. Eppure il prezzo per il consumatore non è calato e va da 1,60 a 1,70 euro». Alle distorsioni del mercato, Vitali ha risposto con la vendita diretta, installando distributori automatici e partecipando ai principali mercatini, a partire da quello del venerdì in piazza Pontida: «Il prezzo va dai 90 centesimi ad 1 euro, con la garanzia di provenienza e tracciabili-
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«Con l’avvento delle quote latte, mi sono però trovato di fronte alla scelta di acquistare o vendere, perché avrei dovuto allargare la produzione per renderla sostenibile economicamente - spiega Ettore Nosari che gestisce l’attività con la moglie Natalina e la figlia Sara -. Abbiamo deciso di cedere e con il ricavato delle quote latte abbiamo riconvertito l’attività in agriturismo. Una volta lavoravamo conto
Mario Vitali
tà. Purtroppo il mercato è calato e la normativa europea che obbliga alla bollitura del latte destinato ai distributori automatici ha creato un’infondata diffidenza da parte del consumatore. Peccato che negli scaffali ci siano bricchi che contengono latte polverizzato e rigenerato che arriva dall’Est Europa e addirittura dalla Nuova Zelanda». Etichettature e tracciabilità non bastano a valorizzare le
luglio 2015
che affonda le radici nell’800 terzi, ora ci rapportiamo direttamente con il cliente finale». Dal 1992, dopo la decisione di cedere le quote latte, l’azienda ha diversificato la sua attività, tornando ad essere una vera e propria fattoria, aperta anche ai bimbi tutto l’anno per visite didattiche e pronta a dare il benvenuto a turisti, data la vicinanza con l’aeroporto di Orio, con tre camere e due appartamenti. Qui si allevano suini, conigli, asini, ma anche bovini - dai piemontesi alle vacche di razza Frisona - e pecore, tra cui la gigante bergamasca. Inoltre la Cascina ospita e accudisce diversi cavalli nei box. «Dieci ettari di terreno producono il foraggio per gli animali, dall’erba medica al fieno, all’orzo, al granoturco - continua Nosari -. Per stare sul mercato o ci si ingrandisce e specializza o si diversifica la propria attività. Anche se gli impegni raddoppiano, perché ogni animale e coltura ha esigenze e tempi diversi». E qui tutto na-
sce, cresce e si trasforma: dai maiali si producono salumi e insaccati, dalla pancetta al salame, e le carni servite a tavola, da animali alimentati ad orzo e foraggio bio, sono a chilometro zero, dall’agnello alla pecora, dal vitellone al cavallo e all’asino che viene in genere brasato. Le marmellate sono fatte in casa: «Abbiamo un ampio frutteto con, a seconda della stagione, un’ottima varietà di frutta, dalle ciliegie alle albicocche, dalle prugne alle pesche, alle pere. Peccato che faccia gola anche a chi vi passa davanti e purtroppo non si limita a qualche frutto, ma riempie intere ceste…». C’è spazio anche per la sperimentazione alla Cascina Buona Speranza: «Oltre a coltivare con successo frumento, varietà Bologna, per produrre pane e dolci, è stata avviata la coltura di varietà antiche di mais Nostrano dell’Isola e da un seme di mais bianco si sta formando un campo con le prime pannocchie», spiega Nosari.
piccole produzioni di qualità: «Non abbiamo esitato diversi anni fa di far parte con altri 250 allevatori del Consorzio Produttori Latte Milano. Ma, anche se il percorso di filiera è all’insegna della tracciabilità, è difficile per il consumatore distinguerlo dal latte che magari arriva dall’estero». Molte imprese bergamasche hanno deciso di trasferirsi all’estero, Romania in testa: «Tra prezzi al ribasso, costi legati alla gestione e al controllo, tasse ed oneri burocratici, diversi allevatori hanno trasferito le loro stalle lontano dall’Italia, specialmente nell’Est europeo - spiega Vitali -. Il punto è che così facendo, anche il know-how lascia il nostro Paese, a partire dalla produzione di formaggi che ricordano il grana padano, una delle Doc più taroccate al mondo». Da oltre dieci anni Vitali ha avviato, all’inizio esclusivamente come produzione
Natalina e Ettore Nosari
via Achille Grandi
familiare, la coltivazione di antiche varietà di mais Arcene tel. 035 878116 per polenta: «Sono partito con il Marano per poi affiancarlo al Rostrato Rosso di Rovetta, che poi miscelo in un’unica farina che dà eccellenti risultati in cottura. Fiore all’occhiello tra le farine di mais è il Nostrano di Arcene, una varietà autoctona che con le sue piccole pannocchie, ha rappresentato l’alimentazione base della civiltà contadina della Bassa». Negli anni la produzione si è allargata ed oggi si attesta sui 70-80 quintali l’anno, con tre ettari dedicati: «Alle farine, macinate a pietra, all’inizio ad Esine poi a Cerete ed ora a Gandino, nella patria dello Spinato, abbiamo affiancato le gallette di mais, sempre più richieste dagli intolleranti al glutine. La lavorazione, che parte dal chicco di mais intero, è affidata ad un’azienda specializzata di Alba. C’è anche spazio per il frumento, varietà Bologna, e per una farina integrale perfetta per ogni uso».
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tendenze di Roberta Martinelli
Dal lino alla canapa, dal sesamo al girasole fino al coriandolo e al cardamomo: è in crescita il consumo dei semi, tra il 25 e il 35% negli ultimi tre anni. In cucina si possono utilizzare in mille modi, con un occhio alla salute
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Piccoli semi, grandi gusti emi di lino, canapa, sesamo, papavero, girasole, zucca, finocchio, cardamomo, coriandolo e anche di anguria. Rendono più croccanti e gustosi i nostri piatti ma soprattutto sono degli alleati preziosi per la nostra salute perché danno energia, combattono lo stress, mantengono giovani, aiutano a ridurre l’uso del sale e a prevenire e curare diverse patologie. Presenti nella dieta umana da migliaia di anni, i semi oleosi sono la riscoperta alimentare del momento. Nutrizionisti e naturopati li consigliano da tempo per integrare le carenze dell’alimentazione moderna e, ultimamente, anche i medici li prescrivono come cura per alcune patologie o dopo interventi chirurgici. Il risultato è che le vendite negli ultimi tre anni sono aumentate tra il 25 e il 35% e i consumi sono in continua crescita. Ma cosa si sa davvero di loro? Non tutti ad esempio sono a conoscenza che l’orzo, l’avena, il riso, i fagioli, la soia e anche il pistacchio e gli anacardi sono in realtà semi. E in pochissimi sanno che i semi di sesamo apportano molto più calcio che non il latte e i formaggi; che 30 grammi di semi di girasole hanno più ferro di una bistecca di manzo; e che i semi di anguria sono ottimi come snack e possono essere usati per fare oli, minestre e persino il tè. I semi oleosi sono un concentrato di nutrienti importanti per il nostro organismo: sono ricchi di acidi grassi essenziali, enzimi, antiossidanti, minerali, fibre e vitamine. Per far capire quanto siano preziosi basta dire che una piccolissima manciata di semi al giorno può sostituire in modo efficace dosi massicce (e costose) di integratori alimentari e di alimenti spesso mal tollerati dal nostro organismo, con grande beneficio per il nostro stato psicofisico. In cucina si possono utilizzare in moltissimi modi: al naturale come snack o cereali per la colazione, mischiati negli impasti di pane e focacce, miscelati nei frappè e negli yogurt, ma anche nelle insalate, nelle frittate e
nei primi e secondi piatti. Alcuni, ad esempio i semi di girasoli, di lino e di canapa, possono essere pressati per ottenere olii, altri si fanno germogliare e poi si mangiano, come nel caso dei semi di crescione. L’unica nota critica è che sono calorici, ma gli esperti assicurano che se assunti con moderazione - la dose consigliata è di un cucchiaino al giorno - la linea non ne risente. «È importante che se ne parli perché scelte di alimentazione diverse possono fare la differenza per la salute - afferma Uliana Bianchi responsabile della Cooperativa Il Sole e la Terra di Bergamo - e i semi possono sostuire altri alimenti ritenuti dannosi per il proprio organismo. Pensi che c’è chi entra in negozio addirittura con la ricetta medica». “Tre anni fa, dopo solo un anno di attività, stavo per chiudere - raccolta Alma Conci, titolare del negozio Alvin Bio a Lovere -. Poi, alcune amiche che soffrivano di intolleranze alimentari mi hanno chiesto di fare il pane con farine naturali senza additivi. Da quando mi sono specializzata nel biologico le vendite sono sempre aumentate. Oggi cerco di far capire alle persone che comprare i semi al supermercato ha qualche aspetto da considerare, costano un po’ meno ma i valori nutrizionali non sono gli stessi: l’apporto di 50 grammi di prodotto biologico ne fornisce due-tre volte più di quello industriale. È comunque importante scegliere un’alimentazione sana prima di ammalarsi». Anche nel mondo della ristorazione le proposte di cucina vegetariana e vegana sono in crescita. Al Villino di Erica, a Valbrembo, la gestione,
luglio 2015 dopo 14 anni, da qualche mese è passata di mano, ma la filosofia è la stessa: moltissimi semi, di zucca, di sesamo, di girasole, nelle insalate ma anche nei primi e
nei secondi piatti. Il trancio di tonno con crosta di sesamo e la millefoglie di pesce spada con sesamo sono tra i più richiesti. «Credo molto in questa cucina e sono intenzionato ad arricchire la carta con nuove idee e proposte - afferma il titolare Mario Buterchi -. La nostra clientela apprezza la qualità e i prodotti più salutari. È uno stile di vita».
10 semi e il modo migliore per consumarli Semi di sesamo Alcalinizzante, energetico, ricostituente, il sesamo è noto per la sua capacità di rinforzare la memoria e la concentrazione. Esistono in due varietà di semi: dorati e neri. Si possono usare tritati e pestati freschi nei piatti di cereali, nelle insalate, nei dolci e sono buonissimi per le panature al forno del pesce o delle polpette di legumi. Dalla loro lavorazione si ricava la tahina, chiamata anche burro o crema di sesamo, ingrediente fondamentale per preparare l’hummus di ceci. Tostati e mescolati con il sale creano il gomasio. Semi di girasole Sono ricchi di vitamina E, B1, B3 e B6, oltre che di rame, manganese, selenio, fosforo, magnesio e folati. Sono buonissimi tostati e preziosi per l’olio che si ottiene tramite spremitura. Possono essere usati nell’impasto del pane o nel ripieno di una torta salata oppure aggiunti alle insalate o alle verdure cotte, dopo essere stati leggermente tostati in padella con poco sale. Rappresentano un aperitivo ottimo e salutare, al posto di patatine e arachidi. Al naturale, crudi e senza sale, sono l’ingrediente per gustosi muesli di cereali e frutta. Semi di lino Rappresentano una preziosa fonte di minerali, di omega 3 e omega 6, regalano tanta vitamina E. Possono essere consumati con lo yogurt, nei succhi di frutta o nelle insalate, a cui donano un piacevole retrogusto alle nocciole. Vanno tritati oppure masticati bene prima di essere ingeriti in modo da far penetrare tutti i principi oleosi contenenti all’interno della buccia.
Semi di papavero Come gli altri semi, sono una fonte preziosa di proteine e grassi. Essendo molto piccoli sono ideali per ricette cremose, come passati, purè e vellutate ma anche per creme dolci, ad esempio, a base di ricotta e miele. Possono essere bianchi, come quelli utilizzati nella composizione del curry, o neri, come quelli impiegati nei prodotti da forno. Semi di zucca Sono ricchi di proteine, carboidrati e grassi, contengono vitamina E, magnesio, fosforo, ferro, selenio e manganese. Dopo averli spellati si mangiano crudi oppure leggermente tostati in forno. Sono ottimi nel muesli a colazione e ideali come snack soprattutto perché hanno tanto magnesio e poche calorie.
Semi di anguria Di solito li scartiamo quando mangiamo il frutto invece anche i semi di anguria sono ricchi di proprietà benefiche e possono essere usati in cucina. Hanno un alto contenuto di acidi grassi essenziali, proteine e sali minerali. Vanno lavati, asciugati e fatti essiccare all’aria. Possono essere usati come snack o per fare oli, minestre e tè. Semi di chia Originari del Centro America, sono una bomba di micronutrienti (e in effetti “chia” in azteco significava “forza”): dalle proteine ai carboidrati, dalle vitamine ai sali minerali, dai lipidi agli antiossidanti. Il modo più semplice per consumarli è aggiungerne tre cucchiai a un litro di acqua, mescolare per bene, e attendere 15 minuti prima di bere ma possono essere mischiati anche a succhi di frutta e tè o usati per preparare dolci e insalate. Semi di finocchio Sono ricchi di fibre, calcio, potassio e rame. Hanno un sapore dolce che ricorda l’anice. Possono essere usati per preparare pane, cracker e grissini e una tisana diuretica e digestiva.
Semi di canapa Fra tutti i semi oleosi sono quelli con il valore nutrizionale più elevato. Contengono tutti gli aminoacidi essenziali che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare; danno un buon apporto di vitamine, di sali minerali (ferro, calcio, manganese e fosforo) e sono ricchissimi di omega 3 e omega 6. L’olio che se estrae ha un sapore molto gradevole e può essere usato per arricchire insalate, per preparare biscotti, dolci, pesti e salse.
Semi di coriandolo Sono granelli simili al pepe, gialli e dal sapore dolciastro che ricordano il limone. Possono essere usati per preparare un infuso digestivo, efficace e dal sapore aromatico. Un paio di cucchiai dopo i pasti favorisce la digestione e l’eliminazione dei gas intestinali.Hanno un aroma delicato, si prestano a insaporire zuppe e minestre, legumi, carne, pesce e verdure, in particolar modo cavolo e crauti. E sono indicati nella preparazione di sottaceti e salamoie.
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Oscar Green
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Bistecca col Qr Code, premiato un allevatore bergamasco nche un giovane agricoltore bergamasco è stato protagonista della consegna degli Oscar Green Lombardia 2015 che si è tenuta nei giorni scorsi allo Spazio Sforza di Expogate, a Milano. Francesco Marchetti, 29 anni, della Basella di Urgnano, è stato premiato nell’ambito della categoria “Fare rete” per la migliore esperienza in concorso: Smartphone e Qr Code per una bistecca doc. Per combattere le truffe nel piatto e difendere la qualità del proprio lavoro, Francesco ha deciso di sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Nella sua azienda ha quindi scelto di tracciare la carne delle sue mucche grazie a un Qr Code che permette al consumatore, usando un semplice smartphone, di sapere tutto sulla vita dell’animale: dalla sua provenienza al peso alla nascita, dall’alimentazione fino alla razza. «Vorrei che il consumatore - sottolinea Francesco - si rendesse conto
di cosa sta portando a casa. La trasparenza è l’arma più efficace che noi produttori abbiamo per far capire come viene fatto il nostro prodotto». Anche questa edizione di Oscar Green ha raccontato storie di idee e lavoro, di coloro che in tempo di crisi hanno scommesso sull’agricoltura come leva per rilanciare il Paese. A livello regionale le nuove imprese agricole sono sempre più giovani: tra il primo trimestre 2014 e lo stesso periodo del 2015 quelle aperte da persone con meno di 40 anni d’età sono salite di oltre il 32%, passando da 112 a 148. Il record - spiega la Coldiretti Lombardia spetta alle province di Lecco, Como, e Sondrio, con una generale prevalenza delle aree di montagna. «L’agricoltura è un’attività che, nonostante le difficoltà, affascina le nuove generazioni - dice il delegato di Giovani Impresa Coldiretti Bergamo Daniele Filisetti -; è ormai consolidato il trend che vede sempre più giovani scegliere l’agricoltura come esperienza di lavoro per costruire il proprio futuro». Infatti oggi il 54% dei giovani - spiega un’indagine Coldiretti/Ixè – preferirebbe gestire un agriturismo piuttosto che lavorare in una multinazionale (21%) o fare l’impiegato in banca (13%). Nel primo trimestre 2015 delle 56 nuove aziende agricole avviate in provincia di Bergamo, 19 sono condotte da giovani, più del doppio rispetto agli inizi attività registrati lo scorso anno nello stesso periodo.
La mappa dell’agricoltura nel 1° trimestre 2015 Provincia Bergamo Nuove aperture 56 (39 nel 1° trimestre 2014) Giovani 19 (8) % giovani 33,9 (20,5) fonte: analisi Coldiretti Lombardia su dati Camera Commercio Milano
Francesco Marchetti
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IL PROGETTO
Le pasticcerie fanno largo ai dolci vegani Tredici le attività che hanno aderito al progetto di Capab e Lav per introdurre nell’offerta bergamasca creazioni “cruelty free”. È nato anche un semifreddo simbolo dell’iniziativa. Si chiama Estate Vegana
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n semifreddo composto da una base di crumble ai cereali e vaniglia su cui si eleva uno spesso strato di invitante mousse al latte di mandorla con un inserto di lamponi e cocco e decorato con rossi frutti di bosco e un invincibile cioccolato fondente. Una torta golosa e al tempo stesso delicata e fresca, che si adatta bene alle temperature di questa calda estate. Con un contenuto in più. È infatti un dolce vegano, realizzato cioè esclusivamente con ingredienti di origine vegetale, nel pieno rispetto dei canoni della cucina cruelty free. Si chiama “Estate Vegana” ed è il coronamento - simbolico e ma anche molto concreto - del progetto “Dolcezze Veg+” ideato dalla Lav (Lega Antivivisezione) e dal Capab, il Consorzio Pasticceri Artigiani Bergamaschi aderente a Confartigianato Bergamo. Il percorso è iniziato lo scorso marzo quan- do il Consorzio ha colto l’invito della Lav dando vita ad un corso di alta formazione vegana, tenuto alla Gta di Azzano San Paolo. Sauro Ricci, chef del ristorante Joia di Milano, tempio stellato della cucina naturale e vegana guidato da Pietro Leeman, ha introdotto i pasticceri bergamaschi al mondo della pasticceria vegan. Le pasticcerie che hanno aderito sono 13 e oltre al semifreddo hanno messo a punto altre golosità vegane, che proporranno nei loro negozi e saranno riconoscibili sui listini tramite il logo “Dolcezze Veg+”, il medesimo che apparirà nella vetrofania all’ingresso. A Bergamo proseguono perciò le iniziative per rispondere al crescente numero di consumatori che opta per la scelta vegana e, più in generale, in favore di una proposta gastronomica e alimentare più consapevole e sostenibile. Grazie ad un progetto simile nato dalla collaborazione tra Lav e Ascom è infatti già disponibile un elenco di ristoranti
Le pasticcerie aderenti al progetto “Dolcezze Veg+” Pasticceria Bellicini Ghisalba Pasticceria Chiodini Villongo Pasticceria Dolcevita Bergamo Pasticceria 2G Trescore Balneario Pasticceria Giosuè Montello Pasticceria Giove Ponte San Pietro Pasticceria Guerini Cividate al Piano Pasticceria Melograno Cisano Bergamasco Pasticceria Melograno Madone Pasticceria Oscar srl Stezzano Pasticceria Silvio Villongo Pasticceria S. Marco Urgnano Pasticceria S. Stefano Sovere
in città e in provincia che offrono nei propri menù piatti vegani approvati dall’associazione e contraddistinti dal marchio “Veg+”. Per le pasticcerie si apre quindi l’opportunità di intercettare una nuova clientela e di confrontarsi con le esigenze ed i temi più attuali. In campo, infatti, non c’è solo la ragione etica di chi ha scelto di nutrirsi – e dare soddisfazione al palato – senza provocare sofferenza per gli animali, ma anche un’attenzione in più alla salute, visto il valore di una dieta più ricca di vegatali, e non ultimo l’aspetto ambientale: l’alto impatto degli allevamenti per la produzione di latte, uova e burro, ossia gli ingredienti fondamentali della pasticceria, provoca effetti ambientali assolutamente non trascurabili e che superano in larga misura quelli dipendenti, per esempio, dai trasporti.
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la manifestazione di Lara Abrati
All’ex Cartiera Pigna di Alzano, l’edizione estiva del Factory Market ha dato spazio anche all’area food, con proposte intriganti come, tra gli altri, Rockit, Pasticcioni, Zero Backery e Le pappe di casa Gus
La “Fase” ideale del cibo
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a location scelta per questo evento è, da sola, significativa. Racchiude parte della recente storia industriale della provincia di Bergamo. È l’ex Cartiera Pigna ad Alzano Lombardo in cui è nato lo Spazio FASE. Proprio qui si è svolta recentemente l’edizione estiva del Factory Market, l’evento ideato da Nicoletta Brescianini e Alberto Guerrini, già titolari di Coffee N Television, il negozio di abbigliamento in via san Bernardino a Bergamo che ha appena chiuso i battenti per permettere ai due titolari di dedicarsi ad altri progetti. Tutto è partito nel 2011 con il S. Agostino Market, un piccolo ed intimo mercatino in cui trovare abiti vintage, oggetti fatti a mano, dischi in vinile, borse e accessori vari. Lo scopo era quello passare una domenica di relax all’aria aperta in compagnia di buona musica. Ma il successo è stato tale da spingere Nicoletta ed Alberto a ricercare via via una location sempre più grande, sicura e al coperto. Ecco che dopo alcuni anni e diverse edizioni, arrivano allo spazio FASE, una location con un fascino davvero unico. Ma anche il gusto vuole la sua parte e gli organizzatori lo hanno sempre saputo. Ed ecco spuntare l’area food con molte e diverse proposte, dalle birre artigianali Elav allo spazio cocktail gestito da Doma cafè fino all’Ape da street food firmato dalla Vineria Cozzi.
Per i più affamati, un buon hamburger preparato da Rookies, subito pronto! Rookies è l’hamburgeria aperta in via San Bernardino da poco più di un anno da Luca e Marco, due giovani laureati in economia che hanno deciso di unire esperienze e competenze per mettersi in gioco. Marco, dopo un’esperienza lavorativa a Londra, torna a Bergamo e con Luca decide di condividere la passione per il lavoro di cucina. Nasce la loro hamburgeria, un locale monoprodotto simile a quelli Oltreoceano con un servizio di consegna a domicilio molto efficiente. «Un’attività giovane e dinamica, che si integra e si sposa bene alla filosofia del Factory market - spiega Marco -. È la prima volta che portiamo la nostra proposta fuori dal locale». Le parole d’ordine di Rookies? Carne fresca locale, pane artigianale preparato da un panificio bergamasco, salse senza conservanti! Ma anche per gli amanti dei dolci, un banchetto colorato con una proposta davvero particolare e unica: cupcake, cookie, muffin e macaron. Tutt’altro che la pasticceria a cui siamo abituati. Pasticcioni è una piccola pasticceria con caffetteria annessa in via Borgo San Lazzaro a Bergamo. È nata da un’idea di Elisa Ferrarini: «Vivevo a Bologna e lavoravo come grafica, ma per passione con un’amica preparavamo in casa questi dolci tipici della pasticceria americana e francese. Poi io e
luglio 2015 lei abbiamo scelto strade diverse e, dopo essere giunta a Bergamo, insieme al mio ragazzo, abbiamo deciso di aprire il negozio, il 30 novembre del 2014 - spiega Elisa -. Ho scelto di preparare questa tipologia di dolci perché mi piacevano, per una questione estetica». Elisa ha imparato questa arte da autodidatta, man mano affinando tecniche e ricette, rendendole talvolta anche meno ricche, cercando di avvicinarle al gusto italiano. Da provare. Anche focacce e pizze non potevano mancare, ma non le solite pizze. Il banco con i prodotti da forno era gestito da Zero Backery, un piccolo forno aperto da soli due anni, ma che grazie alla bravura della titolare Irene ora dà lavoro a 7 dipendenti con due rivendite. «Da 10 anni lavoro nel settore - spiega Irene -. Prima facevo la commessa in un panificio che funzionava da rivendita. Poi l’ho acquistato, ma non funzionava. Mi sono rimboccata le maniche e ho iniziato a produrre il mio pane, tutto con lievito madre e con farine bergamasche e lombarde (farina Quivicino)». Questa la proposta di Zero Backery al Factory Market: pizza margherita e farcita, focacce, focaccia alla barbabietola, ma anche schiacciatine fatte a mano e i grissini. Mancavano i dolci, che si possono trovare nelle due rivendite a Bergamo insieme alle proposte di gastronomia: in via Don Luigi Palazzolo e in via Masone. Infine non poteva mancare lo spazio per i più piccoli, con una proposta food dedicata curata da “Le pappe di casa Gus”, un progetto di Luca e Norma, una giovane coppia con due bambini. Entrambi con esperienze lavorative legate alla ristorazione. «Quando abbiamo avuto bambini - spiega Luca - ci siamo appassionati a questo mondo, nello specifico alla preparazione di pappe per i bambini, cercando di rispettare la stagionalità delle materie prime e utilizzando i prodotti del territorio». Al ristorante dei bambini quindi si è potuto gustare un prelibato menù: dalla vellutata di fave con mini canederli, al filetto di branzino cotto sottovuoto con pomodorini, basilico e purè di patate, ai puntini di pasta fresca con parmigiano e olio extravergine fino ad arrivare alle proposte della merenda. Dagli yogurt alla crostata fatta in casa, fino ad arrivare al pane con formaggio delle valli orobiche o con il salame nostrano della Valle Brembana. Il prossimo appuntamento è per il 30 agosto, sempre presso lo Spazio FASE ad Alzano.
Spongada, il rilancio del dolce tipico camuno La Spongada è il dolce ambasciatore della Valle Camonica. La specialità tradizionale è al centro di un progetto dal nome Expongada che mira a valorizzarla e a farla conoscere fuori dalla Valle, soprattutto ai visitatori di Expo. L’iniziativa è frutto della collaborazione tra Comune di Piancogno, Regione Lombardia, Comunità Montana Valle Camonica, Istituto Putelli-Olivelli di Darfo Boario Terme, Pro loco di Piancogno e una trentina di panificatori e pasticceri del territorio. La storica focaccia è stata definita nelle sue caratteristiche organolettiche, alimentari e gustative, nella pezzatura e negli ingredienti, nella cottura e nella confezione sia da banco che da asporto, grazie all’iniziativa di Raffaele Amoruso e al supporto determinante di una trentina di panificatori e pasticceri camuni che ci hanno creduto e che la proporranno in una confezione souvenir. La scatola (nella foto) contiene cinque o sei pagnotte e raffigura al suo esterno 16 tra i più importanti siti di interesse camuni con relativo libretto informativo, fornendo così un utile spunto al visitatore e al turista. L’Istituto Alberghiero Olivelli-Putelli di Darfo Boario Terme, ente capofila dei progetti camuni all’interno della filiera bresciana di Expo, provvederà alla comunicazione del prodotto in Expo ma anche in altre importanti realtà turistiche da grandi numeri. Le scatole già in distribuzione sono oltre 5mila. La Spongada è una morbida pagnotta di pasta dolce lievitata, priva di farcia, diffusa da Pisogne al Tonale. Nata come dolce pasquale, si è affermata negli anni come dono tradizionale da fare agli ammalati e ai poveri in segno di salute e augurio. Oggi la si trova tutto l’anno.
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FACECOOK
alla scoperta dei social chef
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di Laura Ceresoli
Quel paiolo fumante nel cuore della Silicon Valley n un paiolo di rame a vista, adagiato su un piccolo fornelletto al centro del locale, si mesta e rimesta una fumante polenta. E i clienti, ingolositi, si avvicinano per chiederne un assaggio. Sembra quasi di cenare in una di quelle osterie tipiche di Città Alta, dove i sapori della tradizione regnano incontrastati. Invece, questa oasi golosa è nel luogo che non ci si aspetta. Il ristorante Vin Santo non è circondato dalle Orobie, bensì dalla Silicon Valley. Lo chef, manco a dirlo, è un
bergamasco doc. Nato nel 1973, Umberto Pala ha trascorso la sua infanzia nel quartiere Carnovali, in città. Quando iniziò a mettersi seriamente ai fornelli aveva solo 14 anni. Dopo il diploma all’Istituto alberghiero Sonzogni di Nembro, alternò varie esperienze culinarie: preparò pranzi per il distretto scolastico di Caravaggio e cucinò per alcuni locali orobici. Poi, nel 1996, la svolta. Mentre lavorava al Monticelli di Montello, un amico dello chef gli propose di intraprendere
un’esperienza in California. Umberto, che adorava il mare, accettò subito di buon grado. Quando partì, pensava di restare in America per soli sei mesi. E invece, non è più tornato. Sono trascorsi quasi vent’anni da allora e oggi Pala è il proprietario di “Vin Santo”, un delizioso ristorantino di 75 tavoli situato nella città di San Josè. Con passione e dedizione, offre agli statunitensi gusti e abbinamenti inconsueti, ispirati al nord Italia. Accanto ai classici della cu-
L’INTERVISTA
«Quest’anno porterò 14 clienti in visita a Bergamo» Perché ha deciso di trasferirsi all’estero? «Fin da quando ero un bambino il mio sogno era sempre stato quello di vivere vicino al mare. Quando si è presentata l’occasione, l’ho presa al volo». Quando è arrivato in California? «Nel marzo 1996. Avrei dovuto fermarmi per sei mesi e invece sono rimasto a vita». È stato facile adattarsi alle abitudini americane? «No, all’inizio mi sono trovato un po’ a disagio, visto che non parlavo inglese o spagnolo, ma poi piano piano si impara tutto. E poi ero un po’ spiazzato perché i supermercati non avevano neanche la pasta o i pomodori in scatola. Internet stava muovendo i primi passi e quello che l’americano considerava cucina italiana era proprio abominevole». Oggi riesce a far conoscere la cucina bergamasca nel mondo? Con quali piatti? «Io ho sempre cercato di promuovere la nostra grande cucina bergamasca nei miei menù. Tra i primi, non sono mai mancati i casoncelli e le foiade ai funghi. Come antipasti abbiamo un tasting di Bergamo con
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polenta e gorgonzola o il tagliere di affettati. Come secondo la scelta è tra brasato, salame, stinco di maiale, coniglio arrosto o trota in padella con Franciacorta, sempre tutto accompagnato dalla polenta. E per dolce c’è il salame di cioccolato». La polenta non manca mai, insomma… «Nel mezzo del mio ristorante ho persino messo un carrello con fornello e paiolo di rame dove cuociamo la polenta a vista e la regaliamo ai clienti, spiegando il significato della parola Umberto Pala “Polentoni”». Quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi di lavorare all’estero nel settore della ristorazione? «I clienti sono molto interessati a provare nuovi sapori
luglio 2015
Al “Vin Santo” di Umberto Pala la polenta viene cucinata a vista nel centro del locale e fatta assaggiare cina mediterranea (come la burrata o gli gnocchi alla sorrentina) e a qualche ricetta modificata anche per il palato americano (fusilli al pollo o spaghetti e polpette) trionfano i casoncelli, le foiade e, naturalmente, una montagna di polenta per accompagnare tutti i secondi. E poi dolci di ogni sorta con panna montata, creme e frutta. «Adoro questo posto. Personale fantastico e cibo ottimo e soprattutto abbondante!!! Lo consiglio a famiglie, coppie o per party. Anche solo per l’assortitissimo happy hour», commenta Hopebow di Bergamo su Tripadvisor dove il Vin Santo si piazza al 146esimo posto su 1.705 ristoranti presenti a San Josè. «La polenta è una vera chicca – scrive MHM316 di Long Beach –. Non sono un amante della polenta ma questa era assolutamente deliziosa! Gli asparagi avvolti nel prosciutto affumicato e nel formaggio erano divini! La degusta-
zione di tre ravioli e gli gnocchi fatti in casa erano fuori dal mondo. Non credo che si possa sbagliare scegliendo uno dei loro piatti. Il proprietario Umberto è persino venuto con un cesto di pieno giocattoli, carta, bambole e lavagne, da far scegliere alla mia nipotina. Siamo rimasti davvero contenti». Anche la pagina Facebook del Vin Santo, apprezzata da 1.717 persone, mette una grande acquolina solo a consultarla. È infatti un trionfo di golose fotografie di filetti al sangue, torte pannose e paste succulente. Non solo. Il social network pubblicizza anche happy hour, serate a tema e momenti di intrattenimento musicale. E, dulcis in fundo, c’è il volto simpatico e accogliente di Umberto che non manca mai di sorridere a tutti i clienti che, ogni giorno, assaggiano le sue prelibatezze. Insomma, per Pala il sogno americano si è davvero realizzato.
e sperimentare nuove ricette. Allo stesso tempo, però, qualche volta fanno richieste proprio disgustose!» Gli stranieri, secondo lei, hanno una visione stereotipata della cucina italiana? «Purtroppo sì, ma è cosi con tutte le cucine etniche all’estero. Per esempio le cucine cinesi, giapponesi, messicane o americane che assaggiamo in Italia offrono cibi diversi rispetto ai sapori autentici che troviamo nei paesi d’origine». Come sono cambiati la ristorazione e il rapporto con i clienti grazie ai nuovi media? «Negli ultimi 10 anni, con l’aiuto di internet, della televisione e dei mass media moltissimo è cambiato. Tutti sono diventati esperti e conoscitori di cucina. Io sono in San Josè, la Capitale del Silicon Valley, la mecca della tecnologia, quindi avere conoscenza dei media e dei social network è un must. Facebook, Twitter e Instagram sono i più gettonati perché sono i più semplici da usare». Qual è il suo rapporto con le recensioni di Tripadvisor? «Tripadvisor non è molto usato in California. La maggior parte della gente qui usa Open Table o Yelp». Cosa le manca di Bergamo? «Sono tornato in Italia l’anno scorso dopo 10 anni e mi sono innamorato di nuovo di Bergamo. È una bellissima città: le montagne, i laghi, i vini, il cibo… Sono tutte bellezze che dovrebbero essere conosciute molto di più dal turismo. Quest’estate ho deciso di ritornare a Bergamo con 14 dei miei clienti preferiti per renderli partecipi della nostra storia e della nostra grande cultura enogastronomica».
Domus Bergamo, fino a ottobre gli incontri con “I Famosi del Vino”
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lla Domus Bergamo Wine - il contenitore di iniziative in chiave Expo di piazza Dante - nei venerdì di luglio, settembre e ottobre arrivano “I Famosi del Vino”, rassegna dedicata ai grandi nomi dell’enologia italiana che raccontano le proprie esperienze e storie, fatte di territori, vitigni, calici, tradizione e percorsi familiari lungo la Penisola. Dopo l’apertura con il “re” del Sagrantino di Montefalco, Marco Caprai, il 17 luglio a presentare le sue produzioni sarà Cristian Bellei, titolare della Cantina della Volta, una delle realtà più interessanti del modenese, mentre il 24 toccherà a Mario Pojer, della cantina Pojer e Sandri, adagiata sulle colline di San Michele all’Adige. La ripresa dopo la pausa d’agosto è affidata, il 4 settembre, a Mauro Lunelli, anima delle cantine Ferrari. Il 18 sarà ospite Maurizio Zanella, volto e cuore delle cantine Ca’ del Bosco, e il 25 arriveranno Sergio Di Loreto e un mito dell’enologia italiana Marchesi de’ Frescobaldi, il più prestigioso produttore di vino della Toscana. Tre gli appuntamenti di ottobre. Il 16 con il Marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga, patron della Tenuta San Leonardo, produttore di uno dei vini italiani più premiati al mondo; il 23 con Gianluca Bisol, direttore dell’omonima cantina e il 31 con Martin Foradori, proprietario della più grande cantina dell’Alto Adige, Hoeffstaetter, padre del rinomato Pinot Nero. Tutte le presentazioni sono gratuite e saranno accompagnate da una piccola degustazione. www.domusbergamo.it
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LA NOVITÀ di Fulvio Facci
Aperto dal 18 giugno scorso, il locale nel centro storico di Alzano è un tributo al pesce e ai sapori mediterranei. A guidarlo il 29enne Luigi Arcuri
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Il Casalicchio, un angolo di Calabria nella torre del ‘300 l Casalicchio”, così ha voluto chiamare il suo ristorante ad Alzano Lombardo in via San Pietro 52, il titolare 29enne Luigi Arcuri, ricordando il nome antico del paese di origine, San Nicola Arcella, in provincia di Cosenza. Ma i legami con la terra d’origine non si esauriscono qui. Il locale è a stretta conduzione famigliare con la mamma Maria Osso in cucina (vent’anni nel ristorante di famiglia a San Nicola Arcella, appunto) ed il fratello Alessandro (24 anni) in sala con Luigi, che ha frequentato l’Istituto Alberghiero e può contare già su una decina d’anni di esperienza. La proposta, di pesce manco a dirlo, è un tributo ai sapori mediterranei. «Cuciniamo il pesce nel modo più semplice possibile – racconta Luigi - e se qualcuno ci chiede della carne facciamo anche quella nella stessa maniera. Ovviamente, con un’impostazione di questo tipo è fondamentale la scelta delle materie prime». Idee chiare, quindi, ma anche una buona dose di coraggio per un giovane che ha scelto di aprire un ristorante in un momento economico che non è certo dei migliori. «Ho fatto i miei calcoli – sottolinea -, considerando che il locale è piccolo e la conduzione è strettamente famigliare. E poi ho verificato che in zona non ci sono insegne che cucinano pesce così come lo intendiamo noi. Ce ne sono che puntano magari ad un target più alto, noi vogliamo solo che i nostri clienti mangino come se si trovassero realmente davanti al mare sulla costiera calabrese: ecco, ci manca solo il mare». Ma anche qui, pur in un contesto del tutto differente, l’ambiente non scherza. Lo spazio dove Luigi Arcuri ha iniziato la sua gestione il 18 giugno scorso, subentrando ad un’altra proprietà, è veramente molto bello, collocato nel centro storico di Alzano in una torre del 1300 con una capienza di 50 coperti distribuiti in tre salette con volte e muri in mattoni e pietra a vista. Un vero gioiellino per modo in cui è stato ristrutturato.
La carta, molto semplice, si fa apprezzare anche per una arguta notazione che apre la porta al clima familiare e di confidenza che si desidera trasmettere: «Coperto e servizio non si mangiano e quindi non si pagano». Dopo di che la lista di una ventina di piatti tra antipasti, primi e secondi, tutti con prezzi decisamente facili. I piatti di terra sono, come detto, pochi e tutti con connotazioni mediterranee: ravioli con ricotta e soppressata al pomodoro, scialatielli con verdure e pomodori secchi, spaghetti con pomodorini di Pachino e basilico, parmigiana di melanzane e, unico piatto di carne, il controfiletto di Angus alla griglia. «Abbiamo anche un menù degustazione Ristorante Il Casalicchio che comprende antipasto, primo, seconvia San Pietro, 52 Alzano Lombardo do, acqua, vino e caffè per 30 euro – evitel. 035 510201 denzia Arcuri -. I piatti che meglio ci rapFb: Il Casalicchio sempre aperto presentano? Gli antipasti del Casalicchio, tutti di pesce naturalmente con polpette di pesce, polipo, alici marinate, ciuffi di calamari e bruschette. Tra i primi consiglierei i paccheri con rana pescatrice, melanzane e mentuccia, mentre tra i secondi la frittura di calamari, gamberi e pesce azzurro è un gran bel piatto».
Luigi Arcuri, con la mamma Maria e il fratello Alessandro
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NEWS L’1 e 2 agosto
Ardesio DiVino, incontri ravvicinati con vignaioli e artigiani del gusto G li appassionati di vini, cibi e territorio ormai lo sanno che nel bel mezzo dell’estate possono trovare la rassegna che fa per loro. È Ardesio DiVino, che per due giorni, il primo e il 2 agosto, trasforma il centro storico di Ardesio, in Val Seriana, in una cantina a cielo aperto, dove selezionati vignaioli e artigiani del gusto propongono in assaggio e in vendita i loro prodotti. Nell’anno di Expo il Comitato Organizzatore, in continuità con le passate edizioni e con la finalità di promuovere non solo il territorio di Ardesio e della Val Seriana ma la cultura enogastronomica, non poteva che confermare l’attenzione per la qualità e la varietà e soprattutto per la possibilità di conoscere insieme ai prodotti, anche chi, con passione e dedizione, li produce. Tra le iniziative dell’11esima edizione ci
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sono degustazioni e incontri con i produttori, la cena DiVina del venerdì (su prenotazione), le cene eco-sostenibili all’aperto (sabato e domenica) a base di prodotti tipici selezionati e preparati con cura, laboratori di degustazione, laboratori ludico-creativi e imperdibili concerti che rappresentano un vero e proprio evento nell’evento. Dopo aver approfondito, nel 2014, il terroir del Collio, tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia, quest’anno Ardesio Divino ospiterà “Finché monte non ci separi. Valtellina: agricoltura e gastronomia d’eccellenza… oltre le Orobie”, incontri e assaggi a cura del Seminario permanente Luigi Veronelli. La manifestazione è organizzata e promossa dalla Pro Loco Ardesio con il sostegno dell’amministrazione comunale. www.ardesiodivino.it
Moscato di Scanzo, nuovo “salotto” e festa a settembre
on a caso è stato chiamato “Salotto del Moscato di Scanzo” lo spazio ristrutturato nella villa Galimberti, nel centro storico di Scanzo, sede sia del Consorzio Tutela del Moscato di Scanzo sia dell’Associazione Strada del Moscato di Scanzo e dei sapori scanzesi. Realizzato su due piani, all’interno di un palazzo antico, vuole infatti essere un luogo di incontro, promozione e racconto del territorio, capace di trasmettere la cultura del vino anche attraverso la suggestione dei materiali, dei colori e degli allestimenti ecofriendly. È stato inaugurato a fine giugno e la sala istituzionale è stata dedicata a Paolo Bendinelli e Corrado Fumagalli, per l’impegno e la dedizione verso il Moscato di Scanzo, mentre la cantina, con un antico soffitto a volte, è stata dedicata a Luigi Veronelli. «Il salotto e la cantina del Moscato – ha affermato la
presidente del Consorzio, Angelica Cuni – è un’ulteriore tappa della nostra continua ricerca dell’eccellenza, non solo orientata sul nostro lavoro in vigna e in cantina, ma anche sull’insieme del mondo vitivinicolo». La sede è concepita come una porta turistico-culturale di Bergamo, stazione ecomuseale del nascente eco-museo del vino e dei prodotti tipici delle Terre bergamasche. Nel frattempo la piccola Docg si prepara all’appuntamento più importante dell’anno, quello con la Festa del Moscato di Scanzo, in programma dal 2 al 6 settembre. Nel borgo di Rosciate saranno allestite le casette che ospiteranno i produttori del pregiato passito e delle altre tipicità del territorio con un contorno di eventi, tra cui il Palio, gara di velocità e di pigiatura nei tinelli delle quattro contrade. www.stradamoscatodiscanzo.it
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© Fabrizio Donati
LA SERATA
Cantalupa, lo Street food è proprio “stellare”
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ra una serata particolarmente ambita, tanto che dai 350 ingressi programmati inizialmente, la tristellata famiglia Cerea ha dovuto alzare l’asticella a 500 e, a malincuore, dire ancora tanti “no” alle richieste dell’ultim’ora. L’attesa non è stata delusa. I migliori “cuochi di strada” arrivati da tutta Italia alla Residenza Cantalupa, a Brusaporto, per dar vita alla seconda edizione degli “Artisti dello Street food” hanno pienamente convinto permettendo alla famiglia Cerea di bissare il successo della precedente edizione. Tra le 25 postazioni allestite a bordo piscina s’è cucinato in diretta, con proposte intriganti e messe in “competizione” dai padroni di casa, che hanno inviato gli ospiti a votare i migliori artisti: la preferenza è andata alla pizza fritta proposta dall’Antica Friggitoria Masardona.
CAMPARI GROUP-TASI Aperol Spritz / Prosecco Doc Biologico
VINERIA COZZI Patata alla cenere
LAVAZZA Caffè
COOL GELATERIA NAZIONALE Gelato Cool
MC MAIER’S BRASSERIE Fingerspiedini LA BANCARELLA DEI BERGAMASCHI Zucchero filato e Crespelle alla Nutella
CAMPARI GROUP Rum Julep
LÙBAR Granite, cannolicchi e arancini ALLEGRINI Vini
MANUELINA Focaccia al formaggio
LA STANZA DEL GUSTO O Bror e Purp & Mpepata ‘e Cozze
LATTERIA DI BRANZI Polenta taragna “Street”
PHIL’S SLOW SMOKED AMERICAN BARBEQUE American Barbeque
ANTICA CORTE PALLAVICINA Uovo a guscio bianco
RISTORANTE ULIASSI Ali di pollo
MIABY RESTAURANT Temaki MACELLERIA MAGRI Battuta Priola I PUPI BAGHERIA Il pane con la “Meusa” I PUPI BAGHERIA Il pane con le panelle ROSCIOLI Coppa di testa cotta CANTINE FERRARI Bollicine PASTICCERIA CAPPARELLI Babà VENDITTI PORCHETTA Porchetta Campione d’Italia ANTICA FRIGGITORIA MASARDONA Battillocchio (pizza fritta) AZ. AG. PETRONIO Arrosticini DA VITTORIO Pa’ e Strinù CLUB DELLE ORECCHIETTE Orecchiette POMMERY Champagne FRANCO PEPE Pizza a libretto
MIGNON ECCELLENZE NAPOLETANE Sfogliatelle napoletane FARINEL ON THE ROAD La Miasse ANTICA HOSTARIA “TRE VILLE” PARMA Spalla cotta con la torta fritta MARCO I’ TRIPPAIO DI FIRENZE Lampredotto in brodo DA VITTORIO Frittelle e Krapfen BIRRIFICIO CASTAGNERO Birra & Hot Dog Gourmet DA VITTORIO Focaccia con mortadella e rafano DA VITTORIO Anguria e melone profumato Servizio fotografico di WebMarketingPlanners
© Fabrizio Donati
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Ecco gli artisti dello Street Food 2015
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Le aziende informano
“Pizzeria”, il tratto semplice della qualità
Pizzeria via S. Giovanni Bosco, 25/A Bergamo aperto dalle 18 alle 22 chiuso il lunedì
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i chiama “Pizzeria” e basta, senza tanti giri di parole. Perché alla fine quel che conta è il prodotto. È lì che bisogna essere convincenti e vincenti. Matteo Negrini l’idea di pizzeria ce l’ha sempre avuta ben chiara in testa. Quando lo scorso 13 gennaio ha aperto il suo locale in via San Giovanni Bosco, a Bergamo, ha rubricato il tutto come “un passaggio naturale”. «Nella mia bottega - spiega - ho messo tutto quello che ho sempre cercato: pizza buona, veloce, ma soprattutto realmente genuina, senza tanti fronzoli. Avrei voluto che qualcuno la creasse prima di me aggiunge con un po’ di ironia -. Così non è stato ed eccomi qui». Insomma, un trancio di pizza alta che soddisfi anche i più esigenti, grazie al connubio tra semplicità e freschezza, l’unione di sapori e di colori di stagione. Con questi punti fermi Negrini racconta la sua “Pizzeria”: «Un ritorno alle origini dove la cucina può trasformarsi in un laboratorio, dove il cuoco prepara, taglia, cuoce ed infine riordina e pulisce sotto gli occhi del cliente, scambia due chiacchiere e perché no… dà dei consigli».
Nel locale alla Malpensata si preparano teglie di pizza “alta” - con l’impasto che lievita per moltissime ore - che viene poi cotta su un letto di brace dentro il forno a legna. «La pizza - annota Negrini - fa da supporto ad una serie di ingredienti naturali, scelti e cucinati nella maniera più semplice. Dalle verdure tagliate a mano e cotte nel forno a legna fino alla selezione di formaggi e salumi. Ogni giorno rispetto le tappe fisse, ovvero un passaggio dal macellaio e dal fruttivendolo di fiducia, quelli di sempre, che conoscono le mie esigenze e le soddisfano. I peperoni rossi, le zucchine, le melanzane, le patate devono essere tutte della migliore qualità e le cipolle dure al punto giusto per essere affettate fini a coltello. La carne di manzo scelta per gli hamburger è sempre magra e gustosa, come quella che si consuma a casa». Negrini prepara le sue particolarissime patate alla brace, dove il costo più importante è costituito dal tempo impiegato per la pelatura e il taglio. Tempo e passione hanno
Matteo Negrini un prezzo, ma spesso ripagato con i complimenti da parte dei clienti che affermano e confermano l’importanza di questa semplicità per garantire un risultato tutto da assaporare. «Siamo di fronte ad una pizza di qualità servita ad un prezzo realmente competitivo - afferma Negrini -. I costi? Quattro euro la Margherita e 5 euro tutte le altre. La lista dalla quale scegliere le farciture preferite varia a seconda della stagionalità di alcuni prodotti. La specialità sono le verdure alla brace, tagliate a mano e cotte ogni giorno e abbinate ad una selezione di mozzarella che fila al taglio su di una polpa densa di pomodoro italiano. Nessuna ricetta particolare, ma semplice e buona cucina», conclude Negrini.
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NEWS
Un nuovo frantoio a Predore
E si pensa anche a una “Via dell’olio”
È
una piccola produzione di nicchia, ma è improntata alla qualità ed è fortemente legata al territorio. L’olivicoltura bergamasca interessa una superficie di circa 200 ettari e sta appassionando diversi giovani, che con nuove idee e nuovi progetti stanno contribuendo a far crescere il comparto, nonostante le difficoltà legate alle bizze del tempo. Dopo il drastico calo produttivo dello scorso anno, anche per questa stagione la strada si prospetta non priva di ostacoli. Un recente monitoraggio effettuato dagli uffici di Coldiretti Bergamo ha infatti evidenziato che si è verificata una scarsa fioritura del Leccino, la varietà più diffusa. Come andrà la stagione si vedrà però solo nei prossimi mesi. Tutto dipenderà dall’andamento delle condizioni meteorologiche, che potranno contrastare o favorire la comparsa di malattie e parassiti. Al momento si ipotizza un calo produttivo fra il 25 e il 30 per cento rispetto alla media, ma in ogni caso un miglioramento anche del 50 per cento rispetto allo scorso anno. La dimensione media di un oliveto in provincia di Bergamo è di circa 3mila metri. La maggior parte degli oliveti è condotta da hobbisti, che destinano l’olio prodotto all’autoconsumo familiare. Ci sono però una ventina di aziende olivicole che producono e vendono olio extravergine di oliva. Sono prevalentemente concentrate nei comuni limitrofi al lago di Iseo, solo alcune sono situate
nella zona collinare attorno alla città di Bergamo. Il 50% di queste aziende professionali è iscritta al circuito Dop Laghi Lombardi. Il comparto olivicolo nostrano deve anche fare i conti con l’invasione dell’olio d’oliva tunisino, con le importazioni dal Paese africano che sono aumentate del 681 per cento nei primo trimestre del 2015. La Tunisia è ormai diventata per il nostro Paese il terzo fornitore dopo Grecia e Spagna. Il risultato è che nel 2015 si è registrato il massimo storico nelle importazioni di olio di oliva straniero dopo che nello scorso anno erano già giunte dall’estero ben 666mila tonnellate di olio di oliva e sansa come mai era avvenuto in passato. Poiché un’altra delle problematiche sentite dall’olivicoltura bergamasca è la mancanza di un frantoio sulla sponda bergamasca del lago di Iseo (a livello provinciale ne esiste uno solo), il comune di Predore, in collaborazione con il Gal 4 Comunità delle valli e dei laghi, ha recentemente presentato un progetto per la costruzione di un nuovo frantoio e di un punto vendita, che prevede anche lo sviluppo di alcuni investimenti con una decina di aziende agricole olivicole della zona. Sul fronte della promozione invece il comune di Tavernola Bergamasca, sempre in collaborazione con il Gal delle 4 Comunità delle valli e dei laghi, sta invece valutando la possibilità di realizzare una “Via dell’olio”.
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Pasta fredda al salmone e sedano Ingredienti per 1 persona 80 g di pasta tipo penne o mezzemaniche 100 g di salmone affumicato mezzo limone 4 gambi di sedano olio extra-vergine sale e pepe q.b.
Preparazione Fate cuocere la pasta e una volta pronta scolatela e fatela raffreddare. In una terrina mettete il salmone affumicato tagliato a striscioline, il sedano a tocchetti e la buccia di mezzo limone grattugiato. Se vi piace, potete anche aggiungerci il succo di mezzo limone. Amalgamate bene il tutto e aggiungete il pepe a piacere. Versate nella terrina la pasta raffreddata, aggiungete un cucchiaio abbondante di olio di oliva e mescolate dal basso verso l’alto. Mettetevi comodi e gustate questo piatto che stupirà anche il palato più difficile.
CURIOSITà Sarò forse scontato, ma con l’arrivo dell’estate, la pasta fredda rappresenta uno dei “salva cena” che preferisco: veloce e semplice da cucinare, diventa un piccolo capolavoro con l’aggiunta di ingredienti che ne esaltano il sapore. Se pensiamo poi che si può consumare anche qualche ora dopo la sua preparazione, è davvero difficile trovarvi dei difetti. La ricetta di oggi l’ho assaggiata per la prima volta a casa di un’amica con un figlio adolescente che odia il pesce e che mangerebbe solo pasta: devo dire che l’escamotage ha centrato l’obiettivo, perché ha portato in tavola un piatto squisito che grazie al connubio del salmone con il sedano, è risultato molto gradevole. Io da sempre preferisco il salmone affumicato a quello fresco perché è più digeribile, ma è vero che sia che venga consumato fresco, o affumicato, ha sempre molte proprietà benefiche: è infatti ricco di omega 3, una categoria di acidi grassi essenziali che possono essere considerati veri e propri alleati per la salute in grado di abbassare il livello del colesterolo, incidere positivamente sul rallentamento dell’invecchiamento, prevenire i tumori e aiutare a combat-
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tere l’osteoporosi. Ma il salmone è anche ricco di proteine, di vitamine, come la B6 e la B12 e di alcuni sali minerali, due su tutti, fosforo e selenio. E poi c’è il sedano, uno tra gli ortaggi più sfruttati in cucina per il suo particolare aroma, consumato crudo, in pinzimonio e nelle insalate o utilizzato per insaporire primi e secondi piatti; come il salmone non è solo buono, ma fa anche bene: ha proprietà depurative e svolge un’attività calmante e antidepressiva sul sistema nervoso; la presenza di vitamina K è in grado di apportare benefici alla coagulazione del sangue che influisce sulla pressione arteriosa, mentre il suo succo è un ottimo tonificante per la pelle e, se bevuto regolarmente per una ventina di giorni, può essere utile in caso di reumatismi. Considerato poi che siamo in estate e che una capatina al mare o in piscina la facciamo tutti, in caso di scottature o contusioni, ricordatevi che un cataplasma di foglie fresche di sedano apporta ottimi benefici alla zona “offesa”. Io continuo a preferire la classica crema da farmacia, anche solo per la sua praticità, ma se qualcuno ci prova, me lo faccia sapere perché sono curioso. Non mi resta che auguravi buona estate.
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