Affari di Gola luglio 2017

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Anno XVII n.3 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - â‚Ź 2,60

luglio 2017

la buona tavola raccontata da

Il lato salato (e gourmet) del gelato

La versione gastronomica sfida la creativitĂ dei gelatieri e degli chef bergamaschi



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La ve gastron rsione om dei ge sfida la creati ica latieri e degli vità bergama chef schi

Anno

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SOMMARIO

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Il lato (e gousalato rm del ge et) lato

XVII n.3

LUGLIO 2017

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5 5 l’approfondimento

Ristoranti e bar, il lavoro c’è ma pochi lo vogliono. Ecco perché

10 STRUMENTI

La vendita efficace inizia dal menù

12 formaggi & territori

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16 il prodotto

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Formaggella Valseriana, interrotta la corsa alla Dop. «Ma forse è meglio così» Salato e gourmet: il gelato continua a stupire

20 L’azienda

Quattroerre Group sempre più internazionale. Anche il look si adegua

22 IL riconoscimento

Trattorie, due storie da premio

25 il punto

Lavoro, i nuovi “voucher” non convincono gli esercenti

28 tradizioni

Lurano, quella pasta condita con briciole di aristocrazia

31 FOCUS

Attenti al ghiaccio

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo, 137- 24125 Bergamo - tel. 035 4120322 - fax 035 231082 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Borgo Palazzo, 137- 24125 Bergamo - tel. 035 4120280 - fax 035 231082 - info@larassegna.it - N° ROC 5847 - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Roberta Martinelli, Fabrizio Pirola, Rosanna Scardi, Gualtiero Spotti - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

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L’APPROFONDIMENTO

luglio 2017

di Roberta Martinelli

Ristoranti e bar, il lavoro c’è ma pochi lo vogliono. Ecco perché

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Aumentano le scuole alberghiere e gli iscritti eppure i pubblici esercizi fanno fatica a trovare personale. Cosa non funziona? Lo abbiamo chiesto a dirigenti e insegnanti econdo una recente indagine della Federazione italiana dei pubblici esercizi, nel 2016 le aziende del settore hanno avuto difficoltà a trovare 4mila tra cuochi, camerieri e baristi. Pare strano, in un periodo in cui ogni giorno si legge del problema della disoccupazione giovanile eppure, a sentire i gestori, mancano candidati (per il 31,5% degli intervistati) e chi si propone non ha competenze professionali adeguate (lo sostiene il 68,5% delle imprese). Il problema è sentito anche a Bergamo. Ristoranti e bar sono costantemente alla ricerca di personale e la denuncia comune dei titolari è di una generale mancanza di motivazioni e interesse. I giovani non sono disponibili a lavorare nel weekend, alcuni mollano ancora prima di iniziare, altri spariscono dopo un

paio di servizi, c’è anche chi non si presenta ai colloqui e addirittura chi chiama il giorno prima per rinunciare all’incarico con assurde motivazioni: questi i casi più comuni raccolti tra gli addetti ai lavori. Non solo. I ragazzi sono poco preparati e le cose stanno peggiorando. «Nessuno sa più come si porta un piatto a tavola, come si accoglie un cliente che entra nel locale - è opinione concorde di chi cerca camerieri -. Ci sono troppo pochi veri professionisti e moltissimi giovani che cercano di avvicinarsi senza passione e amore». In pratica la ristorazione e la somministrazione più che attirare persone interessate e ambiziose sono l’approdo incerto di ragazzi senza alternative. I dati appaiono ancora più sorprendenti se si considera l’au-

mento delle scuole che forgiano cuochi, camerieri, baristi e pasticceri (a Bergamo l’ultima è nata a gennaio all’Isis Guido Galli) e il boom di iscrizioni agli istituti alberghieri. Il Miur parla di 204.327 iscritti nell’anno scolastico 2016/17, un piccolo esercito munito di coltelli e shaker che finisce disperso chissà dove. A creare questo trend ha giocato senza dubbio la fascinazione per il mestiere esercitata dai talent show di cucina, Masterchef in primis. Ma perché allora domanda e offerta non si incontrano? Perché gli studenti si iscrivono agli istituti alberghieri e poi, terminata la scuola, fanno altro? Abbiamo posto queste domande agli insegnanti, per capire soprattutto come si può uscire da questa impasse. Ecco cosa ci hanno risposto.

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l’approfondimento Marco Cimmino (ex docente Istituto alberghiero Nembro)

«I nuovi programmi scolastici sono un disastro»

Marco Cimmino

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arco Cimmino, docente per molti anni all’Istituto alberghiero di Nembro, punta il dito contro i nuovi programmi scolastici. «Un tempo si studiava per tre anni e anno per anno si imparavano le ricette dei primi, dei secondi, dei dolci. Gli studenti uscivano da scuola con l’ossatura della professione. Oggi negli istituti professionali non bisogna più insegnare il mestiere, ma rendere lo studente capace di imparare in modo elastico perché non è detto che chi frequenta l’alberghiero poi lavori nel settore, potrebbe fare anche l’elettricista. È una linea di tutte le scuole ma nel ramo professionale si sente ancora di più». «Negli anni questa teoria si è rivelata disastrosa, eppure si continua a seguirla – rileva -. E il risultato, nonostante la bravura di alcuni presidi, è che gli studenti non sono più elastici, solo più ignoranti. Non si può non tener conto dello sbocco professionale a cui ci si rivolge». Persa la specializzazione che avevano anni fa, le scuole ora danno una preparazione più ampia, ma nella realtà del lavoro poco concreta. «Lo stesso corpo docente, pur preparato - dice -, spesso è formato da insegnanti che non hanno alle spalle esperienze professionali. In alcuni casi, sono ex allievi, bravi sul piano teorico, ma spesso non in grado di trasferire le competenze del mestiere. Le cose che insegnano le hanno imparate nell’alberghiero vecchio stile».

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Brizio Campanelli (dirigente Ipssar San Pellegrino)

«La scuola punta a dare le basi, non può

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Ipssar di San Pellegrino Terme, quanto a incontro tra domanda e offerta di lavoro, rappresenta un modello virtuoso: tra il 48 e il 50% dei suoi diplomati lavora almeno un giorno nell’anno successivo al diploma, contro il 18% circa della percentuale regionale e il 15-18% della media nazionale. I dati di Fondazione Agnelli parlano di una coerenza altissima. «Riceviamo richieste dal mondo del catering, del franchising e dei fast food che sono più confacenti ai ragazzi; per un po’ di tempo possono andare bene, ma non sono mai scelte definitive. Abbiamo un incontro annuale con Esselunga che ogni anno fa assunzioni e quest’anno abbiamo creato un rapporto anche con Brizio Campanelli Percassi settore food. Sulla pagina Facebook degli ex alunni arrivano offerte di lavoro da parte delle aziende. Questo anche grazie alla storicità dell’Istituto e alla fama del marchio “San Pellegrino”», dice il dirigente scolastico Brizio Campanelli. «Le richieste da parte di ristoratori, baristi, albergatori e catene del food sono talmente tante che gli studenti delle scuole non sono sufficienti a coprirle. Inoltre i giovani sentono il fascino dell’estero e molti tendono a muoversi e a spostarsi a lavorare in altre zone. D’estate tantissimi

domanda e offerta si incontrano su eblink Sul web sono diversi i portali e le app che aiutano a fare incontrare domanda e offerta di lavoro nel settore della ristorazione e dei pubblici esercizi. A Bergamo, uno strumento utile è il sito www.eblink.it, creato dall’Ente Bilaterale del Commerico e del Turismo, che dà la possibilità di pubblicare annunci e candidature, mettendo in contatto le aziende del territorio con chi è alla ricerca di un impiego.


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insegnare tutto» vanno in località balneari o in centri montani. In generale, appena diplomati, i ragazzi accettano il primo lavoro che capita loro, poi cercano occasioni migliori, con uno stipendio più alto. Non tutti vanno avanti per molti anni a fare questo mestiere». Campanelli difende il ruolo della scuola. «La cucina di oggi non è quella di 20 anni fa. Non dobbiamo formare esecutori di ricette, ma addetti preparati sulla salute, sugli aspetti nutrizionali e con una cultura ampia del cibo e del lavoro. È difficile insegnare tutto in aula, si punta a dare una preparazione di base». Il profilo di chi si iscrive all’istituto alberghierio è duplice: chi ha già genitori, amici o familiari che lavorano nella ristorazione ed è cresciuto sgambettando in cucina e chi esce con voti bassi e pensa che sia una scuola facile scegliendola come ripiego rispetto a indirizzi più impegnativi (in realtà, assicurano gli insegnanti, proprio per le motivazioni illustrate sopra, le materie non sono più semplici). Chi ci crede veramente e vuole diventare uno chef stellato è raro. «In generale tutti gli studenti, non solo chi fa l’alberghiero, sono poco motivati – rileva il dirigente -. Purtroppo l’idea di impegnarsi nello studio per il lavoro non c’è. Chi è motivato difficilmente lo è per ragioni economiche. La vastità di interessi che hanno i ragazzi oggi contribuisce a renderli poco ambiziosi».

IL NODO DELLO STIPENDIO Oggi in Italia negli esercizi pubblici e negli alberghi si rimediano al massimo lavori part-time o a tempo determinato. Di media, per un primo impiego a tempo determinato (7 ore al giorno con un giorno di riposo) lo stipendio si aggira sui mille euro al mese che salgono a 1.300 quando il lavoro va “a regime”. Con i nuovi Presto - Contratti di prestazione occasionale che hanno preso il posto dei vaoucher -, il compenso netto per il lavoratore è di 9 euro netti l’ora, più o meno la stessa cifra che resta in tasca anche con i contratti a chiamata. Pochi? Tanti? La cosa certa è che il mestiere della tavola, lontano dai riflettori degli studi televisivi e al netto della fama che solo in pochissimi possono raggiungere, è tra i più faticosi e impegnativi e che nella maggior parte dei ragazzi la voglia di sacrificarsi non c’è.

Irina Cigolini (docente iSchool Bergamo)

«Il problema è anche nella qualità del lavoro offerto»

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ll’iSchool di Bergamo l’apprendimento del mestiere rimane una materia importante. Tanto che l’istituto ha addirittura creato al suo interno un ristorante didattico, un’esperienza forse unica in Italia. «I ragazzi che si iscrivono al nostro istituto alberghiero, sin dalla classe prima, sono inseriti nell’ambito lavorativo e possono rendersi conto di ciò che comporta in termini di sacrifici e soddisfazioni l’appartenere al mondo della ristorazione - dice una delle docenti, Irina Cigolini -. Il ristorante interno offre loro un’opportunità formativa professionale concreta e accresce le loro competenze permettendo di confrontarsi con la realtà operativa». Non tutti continuano il percorso, «spesso si rendendo conto di aver fatto una scelta non dettata dalla passione, ma dalla moda del momento», evidenzia. Se domanda e offerta di lavoro nella ristorazione non si incontrano il problema, secondo Cigolini, è in molti casi la qualità del lavoro che viene offerto. «Purtroppo non tutti coloro che offrono opportunità in questo campo sono professionisti del settore e spesso si incorre in situazioni di sfruttamento. Gli orari e i ritmi di lavoro sono decisamente impegnativi con turni che poco spazio lasciano ad una vita privata». Irina Cigolini

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l’approfondimento

L’alternanza scuola-lavoro? «Un’opportunità

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n uno scenario in cui scuola e lavoro fanno fatica ad incontrarsi, l’alternanza (obbligatoria per tutti gli studenti dell’ultimo triennio delle superiori, secondo quanto previsto dalla riforma “Buona Scuola”) diventa una palestra irrinunciabile. Ma è davvero così? Le opinioni sono contrastanti. Per Irina Cigolini «l’esperienza scuola-lavoro è decisamente positiva: porta la maggior parte dei ragazzi a rafforzare la convinzione della scelta fatta e dà loro la possibilità di confrontarsi con persone esperte e vivere tutte le problematiche legate alla gestione di un ristorante, di una società di catering, di una mensa e altre aziende ancora». Secondo Marco Cimmino, invece, spesso l’alternanza finisce con l’essere una «pagliacciata». «Una volta gli stage erano organizzati in maniera abbastanza seria, in strutture rinomate e selezionate dalla scuola, ora sono gli studenti che devono trovarle ma la loro scelta, nella maggior parte dei casi, è dettata dalla vicinanza e dalla comodità più che da altre considerazioni di merito». Brizio Campanelli chiama in causa le aziende: «Se gli studenti non sono preparati e l’alternanza non funziona la responsabilità è in parte dei ristoratori. Per fare alternanza scuola-lavoro - dice - ci deve essere la collaborazione dell’azienda che accoglie gli studenti. La scarsa preparazione che lamentano nei ragazzi, in buona parte si risolverebbe se facessero la loro parte del progetto formativo». Enrico Betti responsabile dell’area lavoro di Ascom Bergamo Confcommercio rafforza l’invito: «Oggi l’alternanza scuola-lavoro è fondamentale per qualificare la formazione degli studenti e prepararli all’ingresso nel lavoro - afferma -. I ragazzi dovrebbero “farsi furbi” e fare tesoro delle conoscenze che possono ricavare in queste esperienze Enrico Betti, responsabile dell’area così da potersi presentare ai datori di Lavoro dell’Ascom lavoro preparati». Perché questo si realizzi «occorre però un cambio di mentalità da parte delle aziende: l’alternanza non è, e non deve essere considerata, una modalità per “sfruttare” i ragazzi, ma un’occasione per trasmettere loro concetti che la scuola non può insegnare. I ristoratori devono assumersi un impegno sociale come formatori, senza pensare all’immediato ritorno personale. Devono aiutare gli studenti in alternanza ad apprendere il mestiere anche se poi andranno a lavorare da qualcun altro, in modo che poi tutti si possa avere un vantaggio. Certo la formazione è un costo, perché se si ha una persona che non sa fare bisogna dedicargli del tempo, ma se tutti i ristoratori facessero un pezzo di formazione tutte le aziende sul territorio avrebbero personale più professionale».

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che ristoratori e ragazzi non devono sprecare»

Cosa c’è da sapere Per le imprese, Fipe ha stilato otto semplici e precise indicazioni che spiegano come accogliere al meglio gli studenti, raccordare il mondo della scuola con quello dell’impresa, organizzare percorsi ad hoc, stipulare convenzioni e mettere in opera adempimenti relativi a salute e sicurezza, valutare i percorsi e ogni altra istruzione utile per realizzare al meglio i vari percorsi formativi. Insomma tutte le domande che più frequentemente ristoratori e albergatori si pongono sul tema dell’alternanza. Eccole. CHI Lo studente in alternanza è un giovane delle scuole secondarie di II grado con un’età indicativamente compresa tra i 16 e i 19 anni. CHE COSA può fare Può entrare in contatto con tutte le diverse aree di attività dell’azienda utili alla propria crescita professionale. Le attività di alternanza non costituiscono rapporti di lavoro. QUANDO Si possono accogliere studenti in alternanza nell’ambito dell’orario scolastico oppure nei periodi di sospensione, per esempio nel periodo estivo, sulla base del progetto messo a punto dalla scuola. DOVE L’alternanza scuola-lavoro si può realizzare anche nelle piccole imprese purché abbiano adeguate capacità strutturali, tecnologiche e organizzative. PERCHÉ L’impresa ha il vantaggio di trovare le figure professionali di cui ha bisogno, lo studente acquisisce competenze professionali e trasversali spendibili nel mercato del lavoro. QUANTO La durata dell’alternanza da effettuare nel corso dell’ultimo triennio di scuola è differente per tipologia di istituto scolastico. Per i licei almeno 200 ore, per gli istituti tecnici e professionali almeno 400 ore. IN CHE MODO Ovvero come attivare percorsi di alternanza. La scuola, insieme all’azienda, progetta i percorsi di alternanza coerentemente con le competenze, abilità e conoscenze che possono essere esercitate in azienda. I percorsi di alternanza si attivano con una Convenzione stipulata tra scuola e azienda. CON QUALI MEZZI Capitolo risorse e coperture assicurative: non è prevista nessuna forma di retribuzione o rimborso spese da erogare allo studente. All’impresa sono attribuiti i costi della formazione, mentre quelli per la copertura assicurativa Inail e quelli relativi alla polizza per la responsabilità civile verso terzi competono all’istituto scolastico.

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Servizio a cura dell’Accademia del Gusto e di gp.studios

Strumenti

La “carta” racchiude grandi potenzialità di marketing e il menu engineering è la scienza che le studia. Impaginato, posizione, colori, immagini e parole indirizzano la scelta dei clienti e migliorano le performance dei locali

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La vendita efficace inizia dal menù l menù è il più efficace strumento di marketing del vostro locale, ma solo se sapete come utilizzarlo. Esiste una scienza molto interessante, chiamata Menu Engineering, che ci spiega questo ed altro. L’ingegnerizzazione del menù studia infatti le strategie più efficaci per massimizzare i profitti di un ristorante utilizzando come unico strumento il menù. Lo scopo del Menu Engineering è quello di farvi ottenere maggiori guadagni, inducendo il cliente a scegliere il piatto che crea più profitto per il locale. Non si tratta di una tecnica manipolatoria, bensì dell’ottimizzazione dei bisogni di due parti diverse. In questo modo, infatti, il bisogno del cliente - alla ricerca di un piatto che soddisfi al meglio le sue esigenze – potrà combaciare con il vostro - che volete far guadagnare l’attività. In altre parole, si vanno a creare le condizioni per far compiere al cliente una scelta consapevole, adatta e razionale. Che guarda caso è la stessa che vorreste voi!

Le tecniche per strutturare il menù Entriamo nel vivo. Una delle nozioni fondamentali suggerite dal Menu Engineering è la leggerezza, in termini di varietà e quantità di scelta. Un numero contenuto di referenze (indicativamente sei o sette per categoria) è la base per il successo della vostra carta. Affinché il menù diventi il nostro alleato nella pianificazione di una strategia di marketing, è necessario poi organizzarne al meglio i contenuti. Dal momento in cui il cliente si siede a tavola, gestisce il tempo come segue: 1. “scannerizzazione” del menù (1 minuto); 2. formulazione della scelta (30 secondi); 3. eventuale condivisione della scelta (1 minuto). Per influenzare la sua scelta, meglio agire sulle prime due fasi. Tra l’altro, secondo la legge di supremazia, la prima attenzione verso un piatto viene mantenuta risultando determinante per la scelta finale.

Per questo, la vostra missione è influenzare la scelta del cliente fin da subito. La prima domanda che dovete porvi è la seguente: Quali referenze vogliamo mettere in evidenza? A rigor di logica, i piatti su cui dovete puntare sono quelli che contribuiscono maggiormente alla costruzione del Profitto Lordo del vostro ristorante. Un’efficace strategia per evidenziarli potrebbe essere quella di estrarre virtualmente alcuni piatti dall’offerta, mettendoli in risalto attraverso colori diversi, riquadri o cornici. Infatti, le linee delimitanti una superficie chiusa si percepiscono come unità più facilmente di quelle che non si chiudono, a parità di altre condizioni. Ci sono però anche tecniche più “sottili” per guidare la scelta definitiva del vostro cliente. Una su tutte, l’impaginazione. Esistono due diverse scuole di pensiero riguardo a come strutturare il menù: secondo


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la prima, esso dovrebbe avere un ordine sequenziale. C’è chi invece predilige la tecnica dei cosiddetti “punti focali”, ovvero le aree della carta che vengono notate per prime dall’osservatore. Facciamo un po’ di esempi: se il vostro menù è distribuito su una sola pagina, il punto focale si troverà esattamente al centro del foglio. Se si tratta di un menù a libro, l’attenzione del cliente si concentrerà in alto nella prima pagina. Invece, se è a triplo foglio, il punto focale sarà al centro delle tre pagine. Oltre all’impaginazione, le modalità di persuasione sono tante. Ad esempio, è molto efficace anche la tattica sandwich: il primo piatto nel menù, o la prima bottiglia nella carta dei vini, deve avere il prezzo più basso. Spesso il cliente evita la portata più economica per timore di essere preso per uno spilorcio. Al secondo posto, è consigliabile posizionare qualcosa di conveniente per il cliente, ma che abbia un margine sostanzioso per il ristoratore. In genere la scelta si assesta su questa referenza. A seguire, andranno i piatti più costosi. Ricordatevi sempre il potere delle parole: utilizzando una descrizione che vada a stimolare i cinque sensi, saremo già a metà dell’opera. Un uso marketing-oriented delle parole tende infatti ad aumentare le vendite di circa il 20% per ciascun piatto. Se proponete un “filetto alla griglia” il vostro è un messaggio povero, asettico. Al contrario, se comunicate un “cuore di filetto di manzo argentino cotto a legna” è eccessivamente lungo, state utilizzando

Gli errori da evitare Dopo aver snocciolato alcune buone pratiche per la gestione del menù, occupiamoci ora di una serie di passi falsi da non commettere. 3 Il primo errore, molto comune, è quello di incolonnare i prezzi uno di seguito all’altro. In questo modo risulta immediato il paragone tra i costi diversi e balza all’occhio il piatto meno costoso, a discapito del vostro ristorante. 3 Un altro passo falso è utilizzare immagini altrui, specie se non corrispondono alla vostra realtà. Vale la pena fare un piccolo investimento per produrre immagini di qualità, direttamente nel vostro locale. Anche qui, prestate attenzione a quali referenze vi conviene valorizzare. Infatti, le immagini permetteranno di aumentare le vendite per i piatti illustrati del 20-25%. 3 Toglietevi dalla testa che il menù da solo possa fare i miracoli. Dovete sempre tenere a mente che il menù rappresenta il capitale del vostro ristorante e la strategia stessa del locale si riflette su di esso. Per arrivare ad essere il migliore strumento di marketing, non può prescindere da una gestione professionale. Il ruolo del cameriere in questo senso è fondamentale: formate il personale di sala alla vendita perché conosca perfettamente il menù in ogni sua sfaccettatura e perché sia in grado di proporre e suggerire al cliente abbinamenti ideali. Attraverso le tecniche di up selling e cross selling, ad esempio. Riassumendo, il menù deve soddisfare appieno le aspettative del cliente permettendo all’azienda di raggiungere il posizionamento desiderato nella sua mente. Per ogni scelta che fate, tenete a mente i tre principali obiettivi: redditività, immagine e gestione dei costi. La vostra strategia deve stare dentro questo triangolo, collocarsi laddove consenta di massimizzare la spesa del cliente e il valore da esso percepito. Buon business a tutti!

troppe parole col rischio di generare confusione nel cliente. Qual è allora il giusto? Sta nel mezzo. Utilizzate aggettivi sensoriali che vadano ad impreziosire la presentazione del piatto sulla carta, che in qualche modo riesca ad anticipare al cliente l’esperienza con quella pietanza e che crei in lui l’aspettativa. Sempre in termini di strategie, dedi-

care un menù specifico ai bambini aumenta la spesa di quel tavolo. Per l’effetto mum shared-course, infatti, ciascun commensale avrà la porzione più adatta a sé, senza doverla dividere con qualcun altro. Allo stesso modo, valorizzare dessert, vini, caffè o liquori con una carta a parte aumenta le vendite tra il 15 e il 30%.

Volete saperne di più sulla costruzione di un menù o la vostra carta ha bisogno di un restyling? L’Accademia del Gusto di Osio Sotto offre un servizio di consulenza in collaborazione con gp.studios. info@ascomformazione.it tel. 035 4185706-707

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Formaggi & territori

ph. Caseificio Paleni (Gromo)

di Leo Bartoli

Formaggella Valseriana, interrotta la corsa alla Dop. «Ma forse è meglio così» L’iter per il riconoscimento è fermo da tempo e i produttori hanno ormai archiviato l’idea, senza rimpianti. «La Denominazione ha costi alti, oggi difficili da sostenere per una realtà tutto sommato piccola come la nostra», dice la vicepresidente della cooperativa Raffaella Angelini

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lla fine va bene così. Quella che era diventata un’os- marchio e anche alcune brutte avventure a cui sono sessione per i casari della valle adesso si è declinata andate incontro alcune “consorelle” casearie (anche in una dolce consapevolezza che forse è meglio l’at- in provincia: basti pensare lo stop di un anno imposto tempo fa da Bruxelles al marchio tuale status quo rispetto a rischiodello Strachitunt per problemi legati se fughe in avanti. Così se ne sono alle misure delle forme) l’arrabbiafatta una ragione. La caccia alla La produzione va tura per il mancato traguardo è già Dop per la formaggella della Valle da Ranica a Valdondione ampiamente evaporata. Seriana è temporaneamente soe Castione. spesa, ma è obiettivamente difficile «Per noi la Dop era diventata un chioche la pratica, rimasta troppo tem- Ad identificare le forme do fisso negli anni Novanta – spiega po sugli scaffali dei vari uffici regioRaffaella Angelini, la vice presidente c’è il marchio ufficiale della Cooperativa Val Seriana che nali e ministeriali, possa riprendere il suo iter. D’altronde, in parecchi registrato in Camera raggruppa i produttori di formaggella addetti ai lavori, vedendo quanto che aspiravano al marchio –. La dodi Commercio alti sono i costi per mantenere il manda per il marchio era stata por-


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tata avanti in primis dalla Comunità montana Valle Seriana Superiore e sostenuta da noi produttori, ma poi si è persa nei meandri burocratici, con un disciplinare che i vari uffici continuavano a chiedere di correggere, ritoccare, eliminando alcuni punti. Alla fine comunque l’iter non è andato a buon fine e i motivi francamente facciamo ancora difficoltà a capirli ora. Superata la delusione iniziale, abbiamo considerato che forse il mancato approdo al marchio era il male minore, dal momento che una Dop comporta anche tanti costi da sostenere, per una realtà come la nostra, tutto sommato piccola». In sostanza, a pesare è stata la lunghezza e la complessità dell’iter, ma anche la fatica a far seguire le varie pratiche da parte delle singole aziende, poco avvezze a una burocrazia onnipresente e in certi casi soffocante. Le risorse economiche scarse, in un contesto di grande concorrenza sul fronte caseario (solo per la formaggella occorre ricordare che, oltre alla Val Seriana, sono molto note quelle brembane, della Val Cavallina e della Val di Scalve), e i problemi legati anche a una commercializzazione snella hanno fatto il resto. La formaggella Valseriana si è però consolata con il marchio ufficiale legato alla cooperativa e registrato in Camera di Commercio. Peraltro, a differenza di alcune lavorazioni analoghe, la storia della formaggella seriana si perde nella notte dei tempi e nel medioevo veniva addirittura usata come merce di scambio per il pagamento di dazi o pedaggi, sorta di “oro bianco” che garantiva sicuramente un ritorno economico importante (forse maggiore, con le dovute proporzioni, a quello odierno) per chi la produceva. Una produzione che parte dal comune più a Sud, Ranica, e risale fino a Valbondione e Castione della Presolana, passando per la Val Gandino, la Valle del Riso e tutte le altre vallate laterali. È un formaggio a pasta semicotta, preparato utilizzando il latte crudo di due mungiture, con una maturazione media di poche settimane, anche se nei casi più “felici” la stagionatura può superare anche l’anno. Ha una consistenza morbida, compatta con un’occhiatura non uniforme e un sapore dolce ma non banale, con note aromatiche che si fanno più intense col crescere dell’affinamento. Sul fronte dei numeri, la formaggella seriana è sempre stata una garanzia per chi la produceva, anche se la crisi e l’omologazione (oltre al mancato raggiungimento della Dop) ne hanno un po’ limitato il raggio d’azione. Nei tempi d’oro la produzione toccava una media di 300mila forme l’anno (circa 20mila prodotte in alpeggio), per un giro d’affari che nei primi anni Duemila arrivava a sfiorare i 2,5 milioni di euro. Cifre riviste e corrette al ribasso (ma neppure tanto) che però fanno capire l’importanza di questo cacio che nei decenni è stato tra le leve economiche per combattere lo spopolamento.

Valcamonica

Malghe Aperte, i produttori del Silter Dop invitano in alpeggio

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n Valcamonica il Consorzio per la tutela del Formaggio Silter invita a vedere da vicino come nascono le forme d’alpeggio, prodotte con solo latte delle vacche al pascolo, con l’iniziativa Malghe Aperte, dieci appuntamenti a luglio ed agosto in altrettante località del comprensorio della Dop, da trascorrere tra le diverse attività dell’alpe. L’obiettivo è avvicinare tutti ad un mondo antico ancora vivo e vitale. Adulti e bambini che saliranno in malga saranno accolti dagli allevatori e potranno seguire le mucche al pascolo, assistere alla mungitura e alla trasformazione del latte in Siler Dop. Ovviamente si potrà assaggiare ed acquistare il formaggio, insieme ad altri prodotti tipici come vini, biscotti, farine. Prodotto storico, il Silter ha ottenuto la Dop nel settembre del 2015, per mettersi al riparo dal moltiplicarsi delle imitazioni. È un formaggio semigrasso a pasta dura, realizzato durante tutto l’anno esclusivamente con latte crudo da vacche di razze tipiche di montagna, in particolare Bruna Alpina. È posto in commercio dopo una stagionatura, che avviene in locali tradizionali, di almeno cento giorni. La zona di produzione e stagionatura comprende tutti i comuni delle Comunità Montane di Valle Camonica e del Sebino Bresciano. Il debutto di Malghe Aperte è stato alla malga Foppella di Pisogne, lo scorso 8 luglio. Sono seguiti gli appuntamenti a Rosello (Esine) e Paglia (Gianico). Sabato 22 luglio sarà la volta della malga Arcina nel Comune di Bienno (inizio della caseificazione alle ore 9 con il casaro Stefano Bettoni) e della malga Blumone di Breno (ore 14 con Giovanni Ducoli). Il 29 luglio sarà aperta la malga Bassinale di Artogne (si fa il formaggio alle 9.30 con Girolamo Andreoli), il 5 agosto Cadino della Bacca di Breno (ore 14, con Sviser Ducoli). L’8 agosto a Ponte di Legno l’appuntamento è doppio: a Case di Viso (alle 10 con il presidente del Consorzio Andrea Bezzi) e a Sant’Appolonia (ore 14 con Oscar Baccanelli). Il tour si conclude il 17 agosto alla malga Mortirolo di Monno (ore 10 con Federico Antonioli). Info: consorziosilter@gmail.com

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Formaggi & territori

Dossena, il formaggio stagionato in miniera prende forma

Il progetto di utilizzare il vecchio sito estrattivo avanza. Una degustazione Onaf ha messo a confronto lo stesso prodotto, maturato in cantina e in grotta. Ne sono uscite interessanti differenze. «L’obiettivo è dare vita a qualcosa di effettivamente unico»

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di Lara Abrati Dossena il formaggio si stagiona in miniera, grazie al progetto portato avanti dall’Associazione Miniere di Dossena, un gruppo di giovani del paese che negli ultimi anni si è impegnato nella riqualificazione del vecchio sito estrattivo, chiuso dal 1981. Dal 2014 l’associazione sta lavorando per il ripristino e il recupero di alcuni tratti di galleria e, vista la partecipazione e l’entusiasmo, ora ci sono ben 350 metri fruibili a tutte

le tipologie di visitatori, anche disabili. I tratti sono larghi, pianeggianti e ben illuminati. Dopo un primo percorso si arriva alla galleria del Vento e poi a quella del Sospiro dove è nato un altro ambizioso progetto: la cantina del minatore. «L’idea è venuta al sindaco, Fabio Bonzi, allevatore e produttore di formaggi di capra – spiega Paolo, uno dei soci fondatori dell’Associazione – e così

A fine agosto la passeggiata tra sapori e folclore

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ta, accompagnati dalle musiche, dai canti e dai mestieri che caratterizzano la comunità. La manifestazione si apre alle 10 da via Don Pietro Rigoli, comodamente raggiungibile con un bus navetta gratuito dal campo di calcio. Il percorso è di circa tre chilometri fra sentieri sterrati e percorsi su strada e prevede più di dieci tappe dove assaggiare prodotti tipici, ascoltare i brani della tradizione folcloristica, rivivere le storie dei minatori, riscoprire la manualità dei vecchi lavori artigiani. Gli organizzatori assicurano una selezione ancor più accurata dei sapori

presenti lungo l’itinerario, così da offrire autentiche prelibatezze. «Dossena conserva intatte tradizioni centenarie che si tramandano con rigorosa osservanza di padre in figlio - spiega il sindaco Fabio Bonzi -, la manifesta-

ph. Pio Rota 2016

Non solo il formaggio in miniera. Da qualche tempo Dossena punta sul connubio tra gusto, storia e tradizioni per farsi conoscere e rilanciare la propria economia. L’appuntamento di fine estate si chiama “Dossena… Folclore & Sapori” ed è in programma domenica 27 agosto. È una camminata, giunta alla terza edizione, che permette di incontrare i produttori locali – per primi i giovani che hanno scelto di avvicendarsi nella conduzione di aziende agricole e allevamenti - e di visitare i borghi, le contrade, le antiche cascine con i dipinti sulle pareti e le cantine con i soffitti a vol-


luglio 2017 abbiamo iniziato a fare i primi test, coinvolgendo anche altri allevatori locali. Abbiamo posizionato alcune forme di formaggio sia di latte vaccino che caprino in vari punti della miniera, arrivando a capire che la galleria dei Sospiri era probabilmente il luogo migliore dove mettere a stagionare questi formaggi». Nella miniera la temperatura varia dai 7 ai 10° C e si mantiene costante per tutto l’anno, mentre l’umidità supera l’80%. Sono condizioni ambientali tali per cui si potrebbe ottenere un buono sviluppo delle muffe, grazie all’umidità, e una minore proliferazione batterica per la bassa e costante temperatura. Sono in corso alcuni studi anche con i Maestri Assaggiatori Onaf – Organizzazione nazionale assaggiatori formaggi. Proprio durante una degustazione si sono potute paragonare due identiche forme di formaggio a latte vaccino: una stagionata in miniera e l’altra nella cantina del produttore. I due formaggi si presentavano anche visivamente abbastanza diversi. La forma stagionata in cantina era più compatta, elastica, asciutta e presentava un’occhiatura media e ben distribuita, mentre il formaggio stagionato in miniera, chiamato Ol Minadur, si presentava più morbido e cremoso, deformabile, grazie alla maggiore proteolisi stimolata dallo sviluppo maggiore delle muffe per l’intensa umidità. Anche l’occhiatura è risultata decisamente minore, probabilmente per l’inibizione delle attività microbiche a causa della bassa temperatura. Non solo, il formaggio in miniera ha presentato tempi di maturazione decisamente inferiori. L’attività è in divenire e ancora in fase sperimentale, ma offre buone e interessanti prospettive. Uno degli obiettivi è creare un prodotto che possa differenziarsi per davvero, offrendo strumenti e orizzonti ai piccoli produttori agricoli locali e creando una vera e propria sinergia tra tutti gli attori del terrtitorio. Come accade ogni anno, attorno al primo maggio, con l’evento “Una miniera di gusto”, un vero e proprio tour gastronomico con tanti produttori agricoli, la visita in miniera e l’assaggio del Minadur.

zione prevede la riscoperta di elementi folcloristici e gastronomici che di certo affascinano il visitatore». «Da tempo – aggiunge Lidia Alcaini, presidente dell’Associazione Revival Gruppo Giovani Dossena - stiamo lavorando con il Comune ed i giovani del paese per promuovere una manifestazione che possa esprime le potenzialità del territorio. Trascorrendo del tempo in altri contesti urbani per motivi di studio o lavorativi, ci

siamo accorti di come la nostra comunità è ancora testimone di un passato legato alle tradizioni, ai ritmi della natura, del folclore autentico che scandisce i tempi nel corso dell’anno ed abbiamo voluto valorizzare questi aspetti». Lo stesso gruppo con le stesse finalità organizza in primavera “Una miniera di gusto” e a novembre “Ciccolandossena”, dedicata a tutte le forme del cioccolato. Fb: Gruppo Giovani Dossena

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IL PRODOTTO di Laura Bernardi Locatelli

Salato e gourmet: il gelato continua a stupire

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Sorbetti e mantecati sono uno stimolante banco di prova per la creatività di gelatieri e chef, più che da passeggio nella versione da tavola. Sottozero finiscono ortaggi, spezie, erbe e persino il pesce l gelato sposa l’alta cucina nella sua versione salata o meglio gastronomica. La “nuova” frontiera del gusto sottozero - in realtà inaugurata in Italia all’inizio degli anni Settanta a Viareggio dal Maestro Gelatiere Enzo Vannozzi che nel 1973 si aggiudicò l’Oscar della Gelateria con un gelato alle zucchine - è in continua espansione. E il confine dolce-salato è stato presto varcato nella ristorazione, che inserisce gelati gourmet dall’antipasto al pre-dessert, proponendo inediti e intriganti accostamenti che stupiscono il palato in un contrasto di consistenze e temperature. Il gelato al parmigiano è stato per anni l’entree di Ferran Adrià a “El Bulli”. Ernesto Iaccarino del Relais Don Alfonso 1890 di Sant’Agata dei due Golfi propone con successo da anni gelato di coniglio, di caviale e di asparagi con tuorlo d’uovo biologico e ha anche rielaborato il capitone, un classico della cucina campana, nel Gelato di anguilla, caviale Oscietra abbinato a fettuccine ai sentori di rosa, salsa vegetale e tuorlo d’uovo biologico. A Senigallia Moreno Cedroni alla “Madonnina del Pescarore” ha lanciato il gelato all’ostrica con panna

acida e scalogno, mentre Mauro Uliassi, nel ristorante che porta il suo nome, ha esaltato il sapore del mare nel gelato ai ricci. E l’elenco delle creazioni gelate degli chef potrebbe continuare a lungo. Non mancano poi i super ingredienti, pronti a cogliere le sfide della nutraceutica: maca peruviana, baobab, spezie come la curcuma, semi oleosi e bacche di Goji per citarne alcuni. Un altro campo di prova per estro e creatività è rappresentato da liquori e cocktail: le versioni cremose di cuba-libre, spritz, prosecco, mojito si prestano per aperitivi e dopocena a prova delle temperature record di quest’estate e non manca il gelato da meditazione al Moscato di Scanzo. La sfida gastronomica è da anni il banco di prova dei gelatieri bergamaschi, che vantano ambasciatori illustri sul territorio, da Candida Pelizzoli, presidente dei Maestri della Gelateria Italiana, a Gianni Facoetti, che insegna ogni giorno ai gelatieri ad osare di più con ricette anche “dell’altro mondo”. E la ristorazione, in particolare stellata, non sta certo a guardare, ma sperimenta nuove ricette e abbinamenti sottozero.


luglio 2017

Bosio (Gelatieri Ascom): «Un’idea in più per la pausa pranzo in gelateria»

Il tecnico

Facoetti: «Fanno tendenza materie prime selezionate e preparazioni naturali»

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ianni Facoetti da quarant’anni sperimenta nuove ricette di gelato e insegna ai gelatieri nuove tecniche di lavorazione e li aggiorna sulle nuove tendenze. Dal 1977, anno di inizio della sua attività, ha avviato e gestito gelaterie e laboratori in Italia e all’estero ed è stato formatore e consulente anche all’estero, dai paesi europei a quelli asiatici. Il gelato gastronomico per lui non ha segreti e mette a punto ricette di ogni sorta per esaltare ingredienti del territorio - come la versione salata del gusto malaga con Moscato di Scanzo e curcuma - e dell’altro mondo, come il baobab e la maca peruviana. «Una volta il gelato doveva essere dolce, poi dolce e cremoso, poi variegato e croccante ed ora solo naturale, senza additivi e coloranti e con materie prime di grande qualità, magari a denominazione - commenta il Maestro Gelatiere -. Il gelato funzionale e attento alla salute - magari anche Veg - oltre Gianni Facoetti a soddisfare una clientela attenta ai “senza” crea interesse e curiosità. Di qui la scelta di impiegare semi oleosi, quinoa, bacche ed altri super-ingredienti, anche nelle preparazioni gourmet». Il gelato gastronomico fa sempre e comunque tendenza: «Lo propongo sempre nei corsi, anche perché la sua realizzazione richiede il superamento di qualche piccolo ostacolo tecnico, a partire dal bilanciamento degli zuccheri e dall’impiego del trealosio, zucchero che esalta questo particolare gelato. È uno zucchero dalle eccellenti proprietà, ribattezzato da alcuni “zucchero della resurrezione” che allunga anche la vita del gelato e accentua i sapori». Quanto alle ricette, Facoetti ne ha testate di tutti i colori, dalla senape al salmone affumicato, dalla cipolla di Tropea alle ostriche, dalla curcuma al rafano, fino a interpretazioni estreme come il gelato al tabacco. «Rappresenta una sfida interessante e uno stimolo per i gelatieri che possono davvero osare di più e differenziare la propria produzione in un mercato sempre più competitivo - incalza Facoetti -. Se proporre al banco diversi tipi di gelato gastronomico può essere arduo anche per una gelateria affermata, si può comunque stimolare e incuriosire la clientela con preparazioni del mese particolari, nel rispetto della stagionalità dei prodotti. Diverso il discorso per i laboratori, che possono conquistare con preparazioni interessanti anche la ristorazione, mettendo a disposizione il know-how che il gelato gastronomico artigianale richiede».

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l gelato gastronomico rappresenta un’occasione di ampliamento della gamma e offre una chance alle gelaterie per mettersi alla prova con preparazioni d’alta cucina - sottolinea Massimo Bosio, presidente dei Gelatieri Bergamaschi, l’associazione che rappresenta la categoria, aderente ad Ascom -. Cimentarsi in quest’arte richiede, oltre che fantasia e creati- Massimo Bosio vità, notevoli competenze tecniche per bilanciare le miscele e stabilizzare i preparati». Quanto agli ingredienti, non resta che sbizzarrirsi nella ricerca di nuovi abbinamenti: «I gelati più prodotti sono al sedano, alla carota, al rafano, ma non esistono limiti alla fantasia, basti pensare, ad esempio, all’abbinamento – felice e sottozero - tra gelato alla polenta e al baccalà». Se giocare con contrasti, consistenze e temperature appartiene più alla ristorazione, non mancano gelatieri che propongono saltuariamente o in occasioni particolari gelati gastronomici. «Se la proposta al banco di gelati gastronomici è difficile e sembra una sfida a livello commerciale (e probabilmente lo è), i laboratori che si specializzano nella produzione per terzi, e in particolare per la ristorazione, possono avere buoni risultati - spiega -. Di fatto però gli artigiani gelatieri si limitano a produrre gelati gourmet per celebrare eventi particolari». L’interesse per il gelato gastronomico è comunque elevato: «Incuriosisce, stupisce e appassiona la clientela, ma quando si va in gelateria a comprare coni e coppette vince la tradizione - continua Bosio -. Le gelaterie con servizio al tavolo possono però osare di più e proporre gelato in pausa pranzo, anche in versione gourmet. E con tanto di placet dei nutrizionisti che da anni salutano con favore la sostituzione di un pasto con una coppa di gelato, in particolar modo per bimbi e anziani. Nel Nord Europa è ormai un’abitudine consolidata e anche nel nostro Paese c’è chi opta, specialmente d’estate, per una pausapranzo rinfrescante e al cucchiaio».

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IL PRODOTTO

Gelateria American Bar Oasi via Treviglio, 3461 Fara Gera d’Adda

LA GELATERIA

A Fara Gera d’Adda i gusti che fanno bene alla salute Candida Pelizzoli, presidente dell’Associazione Maestri della Gelateria Italiana e fondatrice e titolare della Gelateria American Bar “Oasi” di Badalasco, frazione di Fara Gera d’Adda, da anni propone gelato gastronomico all’aperitivo e in pausa pranzo, oltre a gelati alcolici e ad altre ricette originali che nascono nel suo laboratorio. Da quattro anni a questa parte ha alzato ulteriormente l’asticella, proponendo gelati- gourmet-funzionali, con cui ha ottenuto il prestigioso premio “Gusto & Salute” del Gambero Rosso, in occasione della presentazione della nuova guida dedicata alle Gelaterie d’Italia. I gelati “della salute”, creati nel 2014 anche in vista di Expo 2015, rispettano le caratteristiche organolettiche e le proprietà degli ingredienti impiegati, nutrendo in modo sano, grazie ad un accurato bilanciamento degli zuccheri - ridotti davvero al minimo -, al controllo dei grassi e al pieno di fibre e vitamine. «Da un mese a questa parte

Candida Pelizzoli è presidente dell’Associazione Maestri della Gelateria Italiana abbiamo commissionato una ricerca di biologi e nutrizionisti per certificare il benessere che la linea di gelati “I colori della salute” può effettivamente portare all’organismo - spiega Candida Pelizzoli -. Non impiega né latte né derivati, a prova di vegani, e il carico glicemico è minimo, dato il ridotto contenuto di

IL RIStORAnte

Il Saraceno, matrimonio perfetto con crudités di mare e grandi secondi di pesce

Roberto Proto, chef de “Il Saraceno” di Cavernago, ristorante che propone esclusivamente cucina di mare, premiato dalla Michelin con una stella dal 2014, da diversi anni propone in menù gelati gourmet in abbinamento ad antipasti e secondi, ma anche come

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Roberto Proto


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zuccheri sostituito con le fibre». Un tripudio oltre che per il palato anche per gli occhi, con colori - inutile ribadire naturali al 100% - che vanno dal viola al giallo, dal verde al rosso, pronti a soddisfare anche l’arcobaleno del benessere da sempre raccomandato dal Ministero della Salute. Il gelato ricco di vitamina C, caroteni e antociani alle “carote viola e more”, utile difesa per le infiammazioni del tratto urinario, viene abbinato a pranzo all’insalata “Gustosa”, insalate verdi con tonno e verdurine a julienne. I carotenoidi della pesca

preludio a golosi dessert. Sprigiona tutto il sapore del mare il gelato ai ricci abbinato al crudo di ricciola. La granita di more con sorbetto al basilico rappresenta un interessante predessert. Un gelato alle alici di Cetara si sposa alla meraviglia con la salsa alla pizzaiola. Gli abbinamenti seguono la stagionalità e cambiano di continuo ad ogni menù. In carta a “Il Saraceno” in questi giorni al dotto - pesce di fondale - cucinato con porri e mela verde viene abbinato per amplificare il gusto un sorbetto alla mela verde. Non mancano, a seconda della stagione, gelato ai legumi o ad altri prodotti dell’orto, dagli asparagi a primavera al pomodoro e al basilico d’estate.

incontrano i flavonoidi antiossidanti dello zafferano in una quenelle gelata color giallo-arancio che accompagna una composizione di salmone e verdurine, un must per l’estate, con tanto di proprietà anti-radicali liberi. Il verde intenso di spinacini e kiwi ricchi di ferro e fibre si presta ad un contrasto cromatico interessante, accompagnando il piatto “Estiva”, una composizione di Bresaola della Valtellina con rucola e pomodorini. Il gelato rosso con pomodoro datterino e lampone, ricchi di flavonoidi salvacuore, rinfresca una bella Caprese

Gli abbinamenti seguono l’estro dello chef per esaltare al meglio i migliori prodotti del pescato del giorno, ma non troverete mai gelati gastronomici serviti con un primo piatto: “Per me un risotto o un bel piatto di pasta deve essere caldo, senza contrasti di temperatura, che trovo invece piacevoli nei secondi, perfetti con le crudités di mare e interessanti per preparare il palato a dessert o a fine pasto” precisa lo chef.

con mozzarella, pomodorini, olive e basilico (nella foto di apertura). D’inverno il pieno di salute lo si fa con il gelato alla rapa e melograno, un contrasto interessante per il gusto e pure detox. Si trova tutto l’anno il gelato al Caprino Bergamasco, realizzato con latte di capra e formaggio a km zero della “Cascina Al Casott” a fianco della Gelateria, che viene abbinato con un’insalata belga e condito con olio extravergine e un po’ di pepe nero. Da sempre l’aperitivo e la pausa pranzo all’Oasi si arricchiscono di una proposta di gelati gourmet stagionali, graditi e originali amouse-bouche della casa: «Da oltre vent’anni propongo gelato ai porcini d’autunno, al Branzi, al parmigiano o alle olive nere di Gaeta, per citarne alcuni» spiega Candida Pelizzoli. Non mancano vere e proprie dichiarazioni d’amore al territorio della numero uno dei Maestri della Gelateria italiana: «Abbiamo proposto con ottimi riscontri il gelato alla Garibalda, in omaggio al pane bergamasco ideato da Aspan - ricorda -. A Gourmarte abbiamo presentato il gelato al Moscato di Scanzo di Biava, che si presta a moltissimi abbinamenti».

Ristorante “Il Saraceno” piazza Don Luigi Verdelli, 2 Cavernago

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l’azienda

sempre più internazionale E anche il look si adegua Un nuovo logo sintetizza il dinamismo dell’azienda di Torre de’ Roveri, che punta a consolidare la presenza sui mercati asiatici e ad arrivare in Cina. Ma investe anche in vigneti, strutture e personale

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uattroerre Group, l’azienda di distribuzione di vini e bevande di Torre de’ Roveri, capitanata dai quattro fratelli Rota, si appresta ad affrontare il futuro con una serie di progetti dedicati non solo allo sviluppo interno ma anche alle molteplici opportunità che il mercato internazionale può generare. «Molto è stato fatto – spiega il presidente di Quattroerre Group, Giampietro Rota – e molto si deve ancora fare. Nati come produttori di vino, abbiamo fatto evolvere la nostra azienda integrandola con altri prodotti e servizi che ci permettono, con grande determinazione, di affrontare tutte le sfide che il mercato locale ed internazionale ci offre quotidianamente. Dopo trentacinque anni, abbiamo sentito la necessità di riaggiornare il nostro emblema, rendendolo più confacente all’attuale momento e, cogliendo l’occasione del nuovo aumento di capitale sociale varato dai soci, prettamente opportuno per consolidare un’immagine di stampo internazionale». «Altro passaggio fondamentale – prosegue Rota - è stato quello di costituire una rete d’impresa (Aidg

– Attitude for Italian distribution of gourmet), prima nel suo genere sul territorio, con altre aziende che condividono gli stessi nostri valori. Ogni mercato, da quello bergamasco a quello oltreoceano, ha bisogno prima di essere capito, poi interpretato ed infine anticipato. Per fare ciò, servono uomini, mezzi

e una cultura del lavoro assai importante». Il percorso va di pari passo con gli investimenti. «Da meno di un anno – ricorda il presidente - abbiamo terminato anche la riqualificazione delle strutture per la logistica, necessarie per tener testa alle nuove esigenze commerciali. Gli


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I fratelli Rota. Da sinistra: Luca, Giampietro, Maurizio ed Enrico

Giampietro Rota: «La partnership con il Birrificio Otus di Seriate è stata un’intuizione incredibile. La grande attenzione dedicata oggi alla birra artigianale non deve essere vista ad un livello amatoriale»

investimenti, partendo da quello fatto assieme alla Cantina Sociale Bergamasca per il vigneto a Scanzorosciate, arrivando a quello legato alle risorse umane, fondamentali per garantire all’azienda una squadra di uomini e donne di prim’ordine, ci danno la giusta serenità per programmare un futuro da protagonisti. La partnership con il Birrificio Otus di Seriate è stata un’intuizione incredibile. Il mercato cambia, evolve. Bisogna però essere in grado, come dicevo, di interpretarlo e di cogliere ogni sfumatura possibile. La grande attenzione dedicata oggi al

prodotto birra artigianale non può e non deve essere vista a livello amatoriale. La ricetta e il prodotto devono sì avere questa ispirazione, ma la produzione, il controllo qualità e un sistema a salvaguardia dell’ambiente necessitano di un processo metodico, senza attenuanti. Infine, è il consolidamento del mercato asiatico il nostro prossimo obbiettivo: già presenti a Singapore e in Corea del Sud, stiamo cercando di definire nuove operazioni commerciali partendo dall’Indonesia arrivando, perché no, al mercato cinese».

Quattoerre Group via Marconi, 1 Torre de’ Roveri tel. 035 580701 info@quattroerre.com www.quattroerre.com

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IL RICONOSCIMENTO di Laura Ceresoli

Da Tite di Valsecca e Bolognini di Mapello new entry nel Registro regionale dei Negozi Storici. Abbiamo cercato di scoprire le loro ricette di longevità

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Trattorie, due storie da premio i sono delle piccole oasi incontaminate dove il tempo sembra essersi cristallizzato. Si tratta di ristorantini immersi nella natura dove le antiche ricette della tradizione vengono tramandate di generazione in generazione. Sulle tavole di questi locali a conduzione familiare regna la genuinità di vini, carni e formaggi a chilometro zero provenienti dalle aziende agricole adiacenti. In Bergamasca esistono ancora posti come questi. È il caso della “Trattoria Bolognini” di Mapello e della “Piccola Trattoria da Tite” di Valsecca che lo scorso giugno si sono aggiudicate il riconoscimento di “Storica Attività” dalla Regione Lombardia. Il titolo viene assegnato a chi può vantare almeno 50 anni di storia, mantenendo inalterati i propri prodotti, l’insegna e possibilmente la gestione e la sede fisica. Così ora anche questi due ristoranti sono entrati a far parte del Registro regionale dei luoghi storici del commercio, istituito per la tutela e la valorizzazione delle tipicità locali, delle caratteristiche merceologiche, della presenza commerciale all’interno dei centri urbani. Una grande soddisfazione per due realtà che in fatto di tradizione gastronomica la sanno davvero lunga. Ad accomunarle è una grande coesione familiare, un forte rispetto per le proprie radici e un menù ricco di specialità rigorosamente fatte in casa con prodotti di stagione. Il tutto strizzando l’occhio all’innovazione, per tenersi sempre e comunque al passo coi tempi.

Silvia Invernizzi con il marito Luca Peroni e i figli Marco e Andrea

Come ottenere il “titolo” In Bergamasca sono 104 i negozi e i pubblici esercizi riconosciuti come “storici” dalla Regione Lombardia ed inseriti nell’apposito Registro per la tutela e valorizzazione. Nel settore della ristorazione, in particolare, 24 insegne hanno sinora ottenuto il titolo di “storica attività”, mentre sei quello di “locale storico” per il pregio della collocazione e la conservazione degli arredi. Requisito indispensabile per presentare la richiesta sono cinquant’anni di attività. La partecipazione è sempre aperta e la Regione valuta periodicamente le domande. Ascom Bergamo Confcommercio offre un servizio di consulenza e assistenza per la predisposizione della pratica. Per informazioni: pietro.bresciani@ascombg.it


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La Piccola Trattoria da Tite

Cucina tipica e tanti servizi, così si resiste in montagna

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uasi un secolo fa, tra i verdi boschi dell’Alta Valle Imagna, Noè ed Elvira Vanoli conducevano la loro piccola trattoria con negozio attiguo. Erano i tempi in cui le botteghe alimentari offrivano un servizio completo per l’intera comunità. Nel borgo montano di Valsecca, dal 2014 entrato a far parte del Comune di Sant’Omobono Terme, si produceva pane con il forno a legna, si macellava la carne per lo spaccio interno, si selezionavano i formaggi migliori della valle per i propri clienti. La Piccola Trattoria da Tite era un punto di ristoro sicuro durante la salita, capace di offrire un pasto caldo a ogni ora. Ma era anche il luogo ideale per celebrare le grandi occasioni di un tempo, dai matrimoni alle feste familiari. Oggi le carovane di muli che trasportavano le merci hanno ceduto il passo a furgoni e motociclette, ma l’atmosfera, i sapori e gli odori di una volta sono rimasti gli stessi. Basta varcare la soglia della trattoria per rendersene conto. La titolare adesso è Silvia Invernizzi che ha raccolto il testimone dei nonni reinventando ogni giorno con passione quel servizio completo per le esigenze dei clienti moderni. Questa cuoca tuttofare, che si alterna sorridendo tra i fornelli e la sala, ama elencare a voce alcune delle sue specialità fatte in casa per solleticare il palato dei clienti, dando qualche preziosa dritta ai più indecisi. Accanto al locale c’è poi un negozietto in cui si può trovare tutto ciò che un punto vendita di montagna deve offrire ai residenti e ai visitatori: giornali, riviste, marmellate, salumi, formaggi e persino un souvenir gastronomico, i biscotti di Valsecca, gustose frolle con pepite di cioccolato ideate da Silvia stessa. E ancora un corner informativo con cartine e brochure per la promozione turistica del territorio e una postazione internet gratuita. Sono compresi anche un capillare servizio di consegna a domicilio e l’estrema flessibilità degli orari di apertura. «Anni fa la trattoria è rimasta chiusa per un lungo periodo – ricorda Silvia Invernizzi –. Facevamo solo servizio bar perché mia madre stava poco bene e io mi dovevo sposare. Quando sono nati i miei figli ho deciso di riattivarla. L’ho chiamata Tite in onore di mia mamma che è scomparsa poco dopo il mio matrimonio. Lei si chiamava Adoratrice ed era una discendente della famiglia Vanoli, tutti la conoscevano come Tite. Ho due figli che stanno frequentando la scuola alberghiera e spero che in futuro continuino la tradizione. Anche mio marito è il mio punto di forza: ha lasciato il suo precedente lavoro a Milano per aiutarmi a tempo pieno nella trattoria. Nel 2009 siamo diventati negozio multiservizio tramite un bando della Camera di Commercio di Bergamo. Ci dividiamo tra il bar, la cucina, la sala, la rivendita. Al premio di negozio

storico della Regione Lombardia tenevo. Era un modo per rendere omaggio a mia mamma e ai miei familiari. Ho fornito parecchi documenti storici che ho reperito personalmente perché molti di quelli ufficiali sono bruciati in un incendio avvenuto nel nostro Comune. Per fortuna ho trovato licenze antiche risalenti all’epoca della seconda guerra mondiale. Ho anche cercato in paese persone che avevano festeggiato il loro matrimonio alla trattoria di mia mamma, ho preso foto dai loro album di nozze e le ho spedite alla Regione come testimonianza storica della nostra lunga attività». Già, ma qual è l’elisir di lunga vita della Piccola Trattoria da Tite? «Cucino tutto al momento, io punto molto sulla genuinità – esclama Silvia –. Ho frequentato diversi corsi per aggiornarmi e perfezionarmi. Ho mantenuto una cucina casalinga coi prodotti della valle cercando di offrire accoglienza e un servizio di bottega con le 14 “tabelle” di una volta. Certo, il nostro negozietto di prima necessità non può competere con la grande distribuzione. Tuttavia in paese siamo un punto di riferimento, quando chiudiamo due giorni la gente del posto è spiazzata perché non si trova più nulla qui nei dintorni». «E poi – aggiunge - mi piace mantenere le ricette classiche: preparo casoncelli, brasato, stinco, nidi di rondine (gli uccelli “scappati”), coniglio con la polenta come la faceva mia nonna. I milanesi che vengono da noi, caldo o no, chiedono sempre un bel piatto di polenta concia, contadina o taragna. Magari gli appassionati di nouvelle cuisine ci snobbano ma a forza di rivisitare i piatti della tradizione stiamo perdendo le ricette originali e, di conseguenvia Cascutelli, 23 za, le nostre radici». Sant’Omobono Terme Valsecca tel. 035 852976

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IL RICONOSCIMENTO via Divisione Tridentina, 11 Mapello tel. 035 908173

Trattoria Bolognini

Punto di forza i prodotti dell’azienda agricola, «ma in menù più leggeri e ricercati»

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Mapello, a pochi passi da Sotto il Monte, paese natale di Papa Giovanni XXIII, c’è un locale che dal secondo dopoguerra rappresenta un vero e proprio punto di riferimento culinario per l’Isola bergamasca. La Trattoria Bolognini, così come la conosciamo oggi, venne aperta dal 1963 ma le sue origini risalgono a parecchi anni prima. «Era il 1947 quando i miei bisnonni Pietro Bolognini e Caterina Donadoni aprirono la “Frosca” in località Piana di Sotto dove producevano vini. Poi dal 1951 l’attività diventò Circolo Arci Enal», racconta Romina Bolognini che insieme al padre Giambattista, al fratello Cristian e alla mamma Maria Grazia Panzeri è oggi al timone di questa storica attività che si tramanda da decenni. Dal 1963 il locale cambiò insegna in “Trattoria” con nonno Natale e la moglie Felicità Roncalli e, nel 1970, venne spostata nell’attuale location in via Divisione Alpina Tridentina. Dal 1975 Gianbattista, dopo anni di lavoro a fianco di Felicità, prese le redini del Bar Trattoria insieme alla moglie Maria

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La famiglia Bolognini

Grazia. Ora il locale, che dal 1995 conta anche sul prezioso aiuto della figlia Romina, guarda al futuro senza perdere di vista le tradizioni che lo ancorano al territorio. «Ho sempre cercato di tenermi al passo coi tempi unendo tradizione e innovazione e frequentando corsi di aggiornamento e di cucina – spiega Romina – . Abbiamo anche una fattoria portata avanti da mio fratello Cristian. Grazie alla passione per la tradizione contadina che si tramanda da generazioni, il raccolto delle nostre terre e l’allevamento dei nostri animali riusciamo ancora a offrire cibi genuini e a chilometro zero. Produciamo anche tre varietà di vini: rosso, bianco Incrocio Manzoni e filtrato dolce». Tra gli antipasti il salame nostrano non manca mai, abbinato ad altre gustose specialità, come la pancetta o la testina, che provengono direttamente dall’azienda agricola. E ancora: cascata di crudo e pere; involtini di bresaola e caprino; pizzette e sfogliatine; taglieri di formaggi misti con confetture; crostino con pancetta e castagne in agrodolce; vol au vent con salsa sfiziosa. Tra i primi, oltre ai classici casoncelli,

ci sono vari tipi di pasta fatta in casa il cui ripieno varia a seconda delle stagioni con asparagi, canapa, speck, scamorza. C’è poi il risotto con mirtilli e porcini, un abbinamento che, assicura Romina, «ai clienti piace tantissimo». I secondi vengono preparati con carne di vitellone di provenienza della fattoria Bolognini: da provare i bocconcini con la polenta. Infine le crostate, tutte rigorosamente fatte in casa con frutta di stagione. «Nel corso degli anni – prosegue Romina – il nostro menu si è evoluto per andare incontro alle esigenze della clientela. Se prima ci chiedevano solo salame, casoncelli e formaggi, oggi la scelta cade su cibi più ricercati. La gente è più attenta a ciò che consuma e soprattutto rispetto a un tempo si mangia meno, le grandi abbuffate dall’antipasto al dolce non si usano più. Tutte le domeniche proponiamo un piatto unico che varia a seconda delle stagioni più un tris di dolci. Per i più golosi c’è anche un menù degustazione con antipasto, casoncelli, carne coi funghi e dolci. Ci stiamo adattando anche ai vegani con pietanze naturali e integrali».


il punto

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Al posto dei ticket, dal 10 luglio, è in vigore “Presto”, un contratto interamente gestito on line, che però può essere utilizzato solo da imprese fino a cinque dipendenti. L’Ascom: «Così si creano disparità immotivate»

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Lavoro, i nuovi “voucher” non convincono gli esercenti opo l’abolizione dei voucher, nel marzo scorso, il nuovo strumento che regola il lavoro occasionale - alle dipendenze di imprese e professionisti - si chiama “Presto”. Non più un ticket ma un vero e proprio contratto (CpoContratto di prestazione occasionale) che si attiva entro un’ora prima dell’inizio del servizio attraverso l’apposita piattaforma on line dell’Inps. La novità è diventata operativa lo scorso 10 luglio e, se è vero che il mondo del commercio e, soprattutto, dei pubblici esercizi, chiedeva con una certa urgenza una soluzione che permettesse di gestire in maniera semplice i picchi di lavoro, la tempestività della risposta non sembra essere andata di pari passo con l’efficacia. La criticità maggiore è rappresentata dal fatto che “Presto” può essere utilizzato solo da aziende o professionisti con al massimo cinque lavoratori a tempo indeterminato. «Ne risulta una grave disparità tra realtà anche molto simili», commenta Enrico Betti, responsabile dell’area Politiche del Lavoro e Relazioni sindacali di Ascom Bergamo Confcommercio. «Una pizzeria con sei dipendenti non può utilizzare la nuova modalità e deve sostenere costi maggiori rispetto ad una che ha solo cinque addetti. La discriminante sarebbe dovuta essere l’effettiva discontinuità del lavoro, non la dimensione dell’impresa», precisa. «Anche il tetto di 280 ore all’anno appare troppo basso per le reali esigenze aziendali - fa notare Betti -. Ora l’auspicio è che la normativa venga modificata, se non altro allargando la platea a tutte le imprese».

Detto del limite di cinque dipendenti fissi, i “nuovi voucher” possono essere utilizzati in tutti i settori ad esclusione di quello edile e nell’esecuzione di appalti. Il compenso per le prestazioni del singolo lavoratore non deve oltrepassare i 2.500 euro all’anno, mentre la cifra complessiva “spesa” dall’azienda con Presto non deve superare i 5.000 euro annui (il

il quale pagare compenso, contribuiti e oneri. Dovrà poi attivare la prestazione inserendo un’apposita comunicazione. Il lavoratore riceverà la notifica dell’attivazione tramite sms o posta elettronica e vedrà accreditato il compenso entro il 15 del mese successivo alla prestazione, direttamente dall’Inps sul proprio conto corrente.

tetto sale a 6.250 euro se si impiegano alcune categorie di lavoratori). Il compenso netto per il lavoratore è di 9 euro l’ora. La singola prestazione non deve essere superiore a quattro ore continuative e il compenso non deve comunque essere inferiore a 36 euro netti. Il rapporto è interamente gestito dall’Inps in modalità telematica. Il datore di lavoro, dopo essersi registrato sul portale, dovrà creare il proprio portafoglio elettronico con

La registrazione e l’attivazione delle prestazioni possono essere effettuate anche da intermediari, l’Ascom offre quindi ai propri associati questi nuovi servizi insieme alle informazioni e alla consulenza su Presto e su tutte le altre forme contrattuali, come lavoro a chiamata e part time, «forse meno efficaci per gestire carichi di lavoro discontinui, ma comunque utili all’organizzazione aziendale», conclude Betti. Per informazioni: tel. 035 4120140

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appuntamenti 5 E 6 AGOSTO

Ardesio DiVino, incontri ravvicinati con vignaioli e artigiani del gusto

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er il 13esimo anno consecutivo, il primo week-end di agosto, sabato 5 e domenica 6, Ardesio ospita la rassegna enogastronomica Ardesio DiVino, un viaggio attraverso i sapori della penisola, con selezionati vignaioli e artigiani del gusto italiani e stranieri che racconteranno la storia, le qualità e le peculiarità dei loro prodotti, disponibili in assaggio e in vendita. La mostra mercato all’aperto è organiz-

zata e dalla Pro Loco Ardesio con il sostegno dell’amministrazione comunale e la collaborazione di Paolo Tegoni/Gourmet Events & Consulting. Tra i produttori della nuova edizione molte conferme e interessanti novità: oltre ai viticoltori della penisola, dal Trentino Alto Adige fino alla Sicilia, dal Piemonte alle Marche, dal Friuli Venezia Giulia alla Toscana, è ormai ospite fisso un vignaiolo dalla Slovenia mentre c’è grande attesa per il nuovo in-

DALL’8 AL 10 SETTEMBRE

parre e rovetta

Castello di Malpaga, l’assedio dei food truck

Valseriana, paste ripiene in sagra

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ra i tanti eventi dedicati allo street food, un format particolare è quello di Castle Street Food - Merenda Italiana, nato nel 2015 da una tesi di laurea in Scienze Gastronomiche e pensato per location come borghi e castelli dove le tipicità dei cibi da strada possono diventare momento di attrazione e valorizzazione. Tra le tappe del circuito c’è anche il Castello di Malpaga dove l’evento vivrà la sua seconda edizione da venerdì 8 a domenica 10 settembre. Ai piedi del Castello si posizionerà una rinnovata selezione di food truck in un goloso assedio portato dalle specialità tipiche delle regioni italiane da nord a sud, dal salato al dolce, da bibite selezionate a vini e birre artigianali. Il format è completato da una proposta di animazione originale, per grandi e bambini. www.castlestreetfood.it

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gresso dei vini dall’Argentina. Per il secondo anno la manifestazione porterà alla scoperta di angoli nascosti del piccolo borgo: le corti del centro storico accoglieranno infatti i viticoltori e i visitatori che lungo il percorso troveranno anche artigiani ed artisti. Anticipa la kermesse, venerdì sera, la cena gourmet “Cena DiVina” all’Albergo Bigoni (40 posti disponibili, su prenotazione). Sabato e domenica, oltre alle degustazioni negli stand enogastronomici, l’organizzazione propone un ricco programma di eventi: tra questi i laboratori di degustazione, la mostra “Ardesio DiVino nel Mondo” allestita nelle vie e nei vicoli del centro storico, il laboratorio artistico creativo per bambini. Da non perdere le cene nelle vie e piazze del centro storico a base di prodotti tipici e i numerosi concerti. Sono in programma inoltre visite guidate gratuite. www.ardesiodivino.it

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e siete incuriositi dalle diverse alchimie dei ripieni, la Valle Seriana quest’estate fa per voi. A Parre, terra di piatti tipici e sagre storiche, da venerdì 4 a domenica 6 agosto è in programma quella dei capù, le polpette avvolte nelle foglie di verza presenti nella tradizione bergamasca, che nella ricetta del paese sono però di magro, a base di formaggio, pangrattato ed erbe aromatiche. Giunta alla 23esima edizione, è organizzata dal gruppo Lampiusa e dedicata anche al folclore, con la presenza di diversi gruppi. Ogni sera sarà allestito l’angolo antico con figuranti in costume seicentesco tipico che prepareranno i capù e proporranno antichi lavori, la costruzione di gerline e delle scarpe di pezza da cui prendono il nome gli “Scarpinocc”, i famosi ravioli. La loro sagra si terrà dal 18 al 20 agosto e, in voga da ben 52 anni, rappresenta la festa più attesa dell’estate parrese e un richiamo per migliaia di persone provenienti da tutta la Lombardia e dal nord Italia. La cucina aprirà alle ore 19 ed avrà come protagonisti gli scrigni di pasta locali che, come i capù, hanno ripieno di formaggio, pane grattugiato, spezie ma soprattutto – sottolineano gli organizzatori - l’amore delle donne di Parre che li preparano uno ad uno. www.prolocoparre.it


maggio 2017 Dal 28 al 30 luglio

Dal 7 al 10 settembre

Cerete, mulini aperti e focus sui cereali di montagna

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Cerete, l’antica tradizione dei mulini che, sfruttando la forza torrentizia delle acque, hanno da sempre caratterizzato l’economia e il paesaggio resiste in due strutture ancora attive. A loro è dedicata la festa dell’associazione La Sorgente, impegnata nella tutela dei beni artistici, storici e ambientali del paese. La 12esima edizione si terrà a Cerete Basso da venerdì 28 a domenica 30 luglio, con un prologo mercoledì 26. Fulcro del programma sono l’apertura dei mulini (dalle 21) e le operazioni di trebbiatura e sgranatura, insieme allo stand ga-

stronomico e all’esposione e alla vendita di prodotti tipici della Val Borlezza e dell’Alta Val Seriana. Quest’anno il tema che fa da filo conduttore è “I cereali di montagna, un cuore antico per una storia moderna” e sarà sviluppato in una tavola rotonda, nella serata del 26 luglio, dedicata alla coltivazione dei cereali sulle montagne bergamasche e in Valle Camonica, che metterà a confronto diverse esperienze tra aspetti produttivi, nutrizionali e culinari; e nella mostra culturale “I cereali di montagna” (in tutti i giorni di apertura della festa) che racconta i progetti di coltivazione e di valorizzazione in corso. Le serate saranno accompagnate da concerti e spettacoli. Con il “Laboratorio del pane”, inoltre, si potrà provare a panificare utilizzando un forno a legna in terra cruda costruito con un metodo millenario. www.lasorgenteonlus.net

e non solo A Rovetta, invece, i ravioli tipici sono i bertù, variante dei casoncelli con un saporito ripieno preparato con cotechino bergamasco di produzione artigianale. Anche la forma è diversa. Più elaborata, si vuole che rappresenti le orecchie di un asino, dette bertole. La storia narra che questo piatto venisse cucinato in occasione della Festa de “La Mare”, di San Lorenzo di Rovetta, il 7 ottobre, per festeggiare il ritorno dei cristiani dalla battaglia di Lepanto nel 1571. La sagra che li celebra è arrivata alla sesta edizione e si terrà venerdì 11 agosto nel centro storico, che si trasformerà in una locanda all’aperto, con tavoli e panche e con l’intrattenimento musicale di gruppi folcloristici. A fare da contorno gli stand di artigiani, produttori tipici ed hobbisti. La riscoperta dei prodotti locali non si ferma però qui. Dopo cinque anni di stop, a settembre, sabato 16 e domenica 17, tornerà la Festa della patata, della pregiata varietà locale, insieme ad un altro prodotto autoctono, il mais rostrato Rosso in una manifestazione che propone il ritorno alle origini contadine. www.prolocorovetta.org

Moscato di Scanzo in festa con i sapori locali

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i terrà dal 7 al 10 settembre la 12esima edizione della Festa del Moscato di Scanzo, la manifestazione dedicata al pregiato passito a Denominazione di Origine Controllata e Garantita e agli altri prodotti tipici del territorio. Attraverso un percorso tra casette in legno nel borgo storico di Rosciate i visitatori potranno fare tappa tra i produttori associati alla Strada del Moscato che proporranno in degustazione il proprio passito insieme agli altri vini delle loro cantine. Si potranno trovare anche olio, formaggi, prodotti da forno, tutti provenienti dalle colline scanzesi. Ogni anno la manifestazione ospita inoltre personaggi importanti dello spettacolo, della tv e dello sport ed offre un ampio programma di musica dal vivo di qualità. Non mancano gli appuntamenti con la cucina, le escursioni e naturalmente i punti ristoro. “Sorsi di magia” è lo slogan scelto quest’anno come tema del concorso per realizzate una t-shirt d’autore dedicata al vino, che ha visto la presentazione di ben 63 progetti e il successo dell’immagine realizzata da Ilaria Barcella. www.stradamoscatodiscanzo.it

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Tradizioni di Leonardo Bloch

Lurano, quella pasta condita con briciole di aristocrazia Nel borgo della Bassa è tradizione insaporire il piatto con una singolare miscela a base di burro, parmigiano e polvere di amaretti. Una nota dolce che svela il legame con la cucina di palazzo

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indiscutibile che la linea di demarcazione tra cibo del ricco e cibo del povero appaia oggi assai meno nitida di quanto lo fosse alcuni secoli fa. Ai nostri giorni può infatti capitare che delle trenette al pesto vengano indifferentemente servite ad un pranzo di gala di capi di stato - magari alleviate di quell’aglio che, per singolare combinazione, nel medioevo aveva la nomea di condimento degli zotici quanto alla mensa dei mendicanti. Certo, non ci si può attendere che dai piatti dei clochard promanino i sopraffini sentori del basilico di Prà. Ma in gastronomia le gerarchie sociali, più che nella morfologia della pietanze, trovano ormai prevalente riflesso nella qualità degli ingredienti. In passato le cose non stavano affatto così. Da un canto, ai ceti altolocati erano riservate vivande del tutto precluse a quelli più umili. Non solo gran parte delle materie prime utilizzate per ammannirle erano del tutto fuori portata per le tasche dei meno abbienti, ma le attrezzature di cucina che questi ultimi avevano a disposizione raramente eccedevano il proverbiale paiolo appeso sul focolare. E la gamma delle preparazioni ottenibili, stanti tali costrizioni, risultava inevitabilmente ridotta. Dall’altro, il cibo finì presto per acquisire la valenza di autentico status symbol. Plurime testimonianze attestano che i manicaretti serviti sulle tavole degli aristocratici venivano addirittura ostentati alla maniera di una fuoriserie dei nostri tempi. Il cronista cinquecentesco Cherubino Gherardacci, nel descrivere il fastoso banchetto tenutosi a Bologna il 29 gennaio 1487 per celebrare le nozze di Annibale II Bentivoglio e Lucrezia d’Este, narra ad esempio che le leccornie offerte nell’epula, prima di giungere sulle mense, furono “portate con grandissimo onore intorno la piazza… per farne mostra al popolo, acciocché egli vedesse tanta magnificenza”. Poco doveva importare che le vivande, tra i rigori della stagione invernale e le lordure della pubblica via, fossero destinate a rientrare a palazzo raggelate ed inzaccherate. Più che di alimenti da mettere sotto i denti, si trattava ad ogni evidenza di sciccherie da esibire alla collettività.

Ciò non significa che in epoche remote non vi siano affatto stati punti di contatto tra la cucina patrizia e quella del volgo. V’è anzitutto da rilevare che, per quanto elevati fossero gli sbarramenti tra i diversi ceti, un certo grado di mobilità sociale non è mai venuto meno. Ed i ricettari nobiliari non potevano ignorare l’inconfessabile nostalgia dei nouveaux riches per i sapori dei loro più o


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meno recenti trascorsi plebei. Ecco dunque che il Liber de Coquina, capostipite trecentesco dei testi aristocratici di gastronomia del nostro paese, si apriva con diversi paragrafi dedicati alla preparazione del più zotico tra i vegetali dell’età di mezzo - ovverosia il cavolo. E nelle altre compilazioni tardo medievali di arte culinaria mai mancavano le istruzioni per accomodare la rapa armata, il cui ingrediente principe non godeva parimenti di una collocazione privilegiata nella classificazione per caste dei generi ortofrutticoli. Sul versante opposto, la cultura alimentare dei villici è da sempre stata ineluttabilmente esposta al magnetico richiamo di quella delle classi più altolocate, specie nel dominio del cibo per le festività. Se nell’assimilazione gentilizia di vivande di umili natali la parola d’ordine era arricchire, abitualmente tramite l’aggiunta di spezie e di altri condimenti costosi, nell’emulazione popolare della cucina nobiliare l’imperativo è perennemente stato quello di sfrondare, semplificare. Ancorché tutt’altro che occasionali, le rielaborazioni campagnole di vivande aristocratiche hanno in realtà lasciato tracce piuttosto labili,

in quanto impresse in consuetudini tramandate per lo più oralmente. Ma quasi sempre, dietro queste contaminazioni, si celano storie di non comune interesse. In uno dei più sorprendenti casi di riformulazione in chiave volgare della cucina di palazzo mi è capitato di imbattermi appena varcata la soglia di casa. Lurano è un piccolo borgo della bassa bergamasca, raccolto intorno all’antica residenza di campagna dei conti Secco Suardo. Qui ho trascorso i primi anni della mia esistenza. E qui è tradizione che la pasta sia preparata con un singolare condimento a base di burro, parmigiano e polvere di amaretti. Di primo acchito, non fosse che per la dissonanza – piuttosto stridente al gusto contemporaneo - di una minestra asciutta dalla spiccata tendenza dolce, la ricetta potrebbe apparire di semplicità finanche infantile. Ma è appunto la nota suadente a segnalare che le origini della vivanda sono da tracciarsi nella raffinata cucina patrizia del cinque/seicento, incline a zuccherare qualsiasi piatto. Ed in effetti, nei principali ricettari pubblicati agli albori dell’era moderna, la polvere di biscotti riscontrava esteso impiego nell’insaporire ogni genere di portata. Il sommo Bartolomeo Scappi la raccomandava quale legante per conferire corpo alle salse, mentre il marchigiano Antonio Latini sembrava apprezzarla al punto da cospargerne addirittura il pesce d’acqua dolce. Non si trattava ancora degli amaretti, la cui diffusione ebbe inizio a partire dal XVIII secolo, bensì dei morselletti speziati che dall’antichità romana sino a pochi secoli fa conobbero ininterrotta fortuna sotto la denominazione di mostaccioli (nel Cremasco ne sopravvive una variante – i mostaccini – che ancor oggi rappresenta la base per il ripieno dei tortelli locali). Nel più celebre testo di cucina dell’epoca barocca - L’Arte del Ben Cucinare, pubblicato a Mantova nel 1662 dal capocuoco gonzaghesco Bartolomeo Stefani - compare un iperbolico manicaretto nel quale dei capponi salpamentati - ovverosia conditi di sale e pepe - venivano coperti con tagliolini di zuccaro. Questi ultimi, dopo esser stati profumati di muschio & ambra, erano rifiniti con polvere di mostaccioli. La ricetta è distante anni luce dal gusto contemporaneo: non solo la sfoglia - uso tutt’altro che inconsueto al tempo - era tirata con l’abbondante aggiunta di zucchero, ma le fettuccine venivano addirittura servite a guisa di contorno, come oggi ancora avviene nelle lande di lingua tedesca. Ciò che tuttavia rileva è la prassi seicentesca di cospargere la pasta con la polvere di biscotti che, sgattaiolata dalle cucine del maniero di Lurano, si è insediata sulle mense dei villici del borgo e qui si è conservata, senza quasi subire modifiche, sino al giorno d’oggi.

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focus

luglio 2017

di Anna Facci

I cubetti che rinfrescano bevande e cocktail possono nascondere insidie per la salute, come ha mostrato anche una recente inchiesta nei locali condotta dalla Bbc e rimbalzata sui media. Andrea Comotti, area Gestionale Ascom, ci illustra le criticità del prodotto e gli accorgimenti da mettere in atto per servire ghiaccio sicuro

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Attenti al ghiaccio la nascita di numerose realtà indunche il locale più attento può scivostriali che si occupano esclusivalare... sul ghiaccio. Trasparenti alla mente di produzione e distribuzione vista e neutri nel sapore, i tintinnandi ghiaccio alimentare, l’Inga - Istituti cubetti che rinfrescano bibite e to nazionale del ghiaccio alimentare drink - e che sciogliendosi vengono ha realizzato, nel 2015, il “Manuaingeriti - non sono esenti da rischi le di corretta prassi igienica per la di carattere sanitario. Lo ha recenproduzione di ghiaccio temente evidenziato alimentare”. Approvala trasmissione della to dal Ministero della Bbc Watchdog, che ha Salute, contiene ananalizzato il ghiaccio di che un’utile sezione alcune catene internadedicata all’autoprozionali come Starbucks, duzione negli esercizi Costa o Caffè Nero, trodi somministrazione. vando tracce di batteri In Sicilia, patria delcoliformi fecali dal 30 al 70% dei campioni, a Andrea Comotti le granite, invece, la Regione ha scelto di seconda dell’insegna. creare nell’ambito dei Qualche anno fa ci aveservizi di sicurezza alimentare una va già pensato Valerio Staffelli di speciale sottosezione dedicata al Striscia la Notizia, con prelievi in ghiaccio. incognito in bar, fast food e discoNoi ci siamo rivolti ad Andrea Coteche, a portare alla luce contamimotti, responsabile dell’area Genazioni da batteri patogeni in alte stionale dell’Ascom di Bergamo, concentrazioni. per saperne di più e conoscere tutti Le indagini sino ad ora non sono i comportamenti corretti per servire state numericamente ampie, ma i un ghiaccio sicuro. risultati sono concordi nell’evidenQuindi il ghiaccio non è un alimenziare una criticità, non certo una voto sterile? lontà fraudolenta, ma una sottovalu«Il congelamento dell’acqua evita lo tazione del tema sì. L’attenzione in sviluppo microbico, il ghiaccio però ogni caso sta crescendo. Complice

non possiede azione microbicida, i microrganismi presenti sono eliminati solo parzialmente e con tempi di congelamento lunghi». Eppure l’acqua è potabile... «La responsabilità dell’ente gestore della distribuzione dell’acqua termina nel punto di presa dell’utente, da lì in poi è in carico al gestore del locale. Per quest’ultimo, una buona prassi potrebbe cominciare dal prevedere un’analisi periodica della potabilità dell’acqua, dopodiché è fondamentale assicurare un’accurata pulizia e manutenzione della macchina per la produzione del ghiaccio. Se il ghiaccio è prodotto in buone condizioni igieniche e da acqua potabile non presenta rischi per la salute del consumatore sotto il profilo microbiologico». Cosa può succedere dopo? «La fasi critiche sono la manipolazione e conservazione. Il ghiaccio deve essere raccolto in contenitori per alimenti, che devono essere mantenuti puliti e sanificati, utilizzando attrezzi dedicati come palette, cucchiai e pinze per evitare contaminazioni crociate con altri alimenti contenenti allergeni o sviluppi microbici. Non è sicuro, ad

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focus

esempio, prelevare il ghiaccio direttamente con il bicchiere perché l’esterno viene toccato con le mani e quindi non è mai abbastanza pulito. Ovviamente vanno rispettate tutte le regole per la manipolazione degli alimenti, ossia l’igiene delle mani, degli abiti, della postazione. Durante l’utilizzo, inoltre, il ghiaccio deve essere conservato in contenitori isolati termicamente e richiusi dopo ogni prelievo, consiglia il Manuale». Quali altre insidie può nascondere un cubetto di ghiaccio? «Potrebbe contenere corpi estranei, dannosi se ingeriti, oppure essere contaminato da sostanze chimiche». Insomma gli esercenti devono occuparsi anche della sicurezza del ghiaccio... «In realtà non si tratta di adempimenti troppo gravosi. Ciò che manca è probabilmente una consapevolezza diffusa dell’importanza di trattare il ghiaccio come si fa con gli altri alimenti. Dal canto nostro, come Ascom, stiamo integrando nel manuale di autocontrollo Haccp anche questo capitolo, così da rendere più semplici una produzione e un utilizzo corretto».

IL BARMAN

«La buona riuscita di un drink dipende anche

L’

Gabriele Aresi

interesse attorno al ghiaccio non riguarda solo la sicurezza alimentare. Il mondo del bartending si è reso conto che l’estetica dei cubetti può contribuire a rendere speciale un drink. Complici le spinte dell’industria del ghiaccio alimentare che lancia prodotti originali, gli anonimi e talvolta sgangherati ghiaccioli che se ne stavano tranquilli sul fondo del bicchiere oggi sono sempre più spesso soppiantati da esemplari in gran forma. Maxi cubi o sfere perfette vanno per la maggiore, ma si possono trovare anche ghiacci firmati con il logo del locale. I ghiacci di nuova generazione si acquistano già fatti oppure li si prepara da sé

LE ANALISI DELL’ATS

Promosse acqua e igiene dei locali A

nalisi specifiche sul ghiaccio nei pubblici esercizi l’Ats di Bergamo, ex Asl, non ne ha effettuate, ma il quadro che emerge dai controlli sulla potabilità delle acque e sul generale rispetto delle norme igieniche da parte dei locali è rassicurante. Nel 2016 l’Agenzia di tutela della salute, nell’ambito del proprio piano annuale di verifica sulle attività commerciali e produttive, ha ispezionato 578 bar (il 18% dei circa 3.220 totali in provincia di Bergamo) e 603 ristoranti su 2.280 (pari al 26%). «L’89% dei controlli nei bar e il 78% dei controlli nei ristoranti ha dato esito favorevole – illustra la dottoressa Elena Rota, tecnico della prevenzione dell’Uoc Igiene Alimenti Nutrizione -. Nei casi in cui il controllo ha evidenziato irregolarità, ciò è stato principalmente da attribuire al mancato rispetto dei requisiti igienici generali (insufficiente pulizia dei locali e delle attrezzature) e in misura minore alla mancata adozione, o al mancato rispetto, delle procedure di autocontrollo, o ancora ad aspetti legati all’informazione al consumatore quali ad esempio l’etichettatura o le informazioni in materia di allergeni». «I controlli effettuati sulle attrezzature, sia del banco di somministrazione che dei locali di preparazione degli alimenti e dei depositi - spiega -, sono principalmente di carattere visivo e comprendono la valutazione del loro stato igienico interno ed esterno. Qualora sia necessario, come ad esempio nel caso di attrezzature refrigerate, vengono effettuate valutazioni strumentali per la verifica del loro corretto funzionamento mediante termometri certificati. Gli alimenti vengono sottoposti ad analisi nel caso in cui sia necessaria una specifica valutazione della loro sicurezza microbiologica o chimica».

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dal ghiaccio». E le forme sono sempre più trendy con le apposite formine, spaziando dall’iceberg al diamante, dal pallone da calcio al piccolo polpo. «È una tendenza in linea con il desiderio dei locali di differenziarsi – spiega Gabriele Aresi, docente dei corsi di barman dell’Accademia del Gusto e titolare del 30 & lode Cafè di via dei Caniana a Bergamo –. Per offrire un buon prodotto è tutto molto importante: la preparazione, il bicchiere e la decorazione. Ora ci si è resi conto che anche il ghiaccio può dare qualcosa in più. Certo occorre valutare con attenzione vantaggi e svantaggi. Va bene la novità, ma se mettiamo un maxi cubo di ghiaccio in un bicchiere quadrato il rischio che durante il sorso vada a sbattere sul naso del povero cliente è elevato». Sul ruolo del ghiaccio invece Aresi non ha dubbi: influisce sulla buona

riuscita di un drink. «Soprattutto nel servizio di distillati e liquori è da sfatare l’idea che il barista ci voglia imbrogliare se mette molto ghiaccio nel bicchiere – spiega -. In realtà è vero il contrario, se il ghiaccio è poco, il drink si diluisce più in fretta, mentre più ghiaccio c’è maggiore è il potere refrigerante e il piacere della bevuta, perché il freddo abbassa la percezione dell’alcolicità». Quanto alla produzione dei cubetti, è preferibile un’acqua con poco calcare. «Nei cocktail shakerati entra in gioco il potere diluente del ghiaccio, quindi la qualità dell’acqua ha la sua importanza. Un desalinizzatore può essere utile per produrre un buon ghiaccio e poi fa lavorare meglio la macchina – consiglia -, che deve essere pulita e sanificata con regolarità, per ragioni igieniche

Trattandosi di una materia prima ampiamente utilizzata nella ristorazione, l’acqua potabile viene sottoposta ad una capillare serie di controlli ancor prima di giungere nei locali di somministrazione. «L’acqua viene controllata in primo luogo dall’ente gestore della rete – ricorda Rota -, che effettua i cosiddetti “controlli interni” e ne garantisce in questo modo la potabilità. L’acqua è inoltre soggetta a controlli periodici da parte di Ats, che può in questo modo verificare le corrette modalità operative del gestore attraverso i cosiddetti “controlli esterni”, sia analitici che ispettivi. I controlli analitici sono di carattere microbiologico e chimico e consentono di verificare l’assenza di microrganismi patogeni e contaminanti chimici, garantendo quindi la qualità dell’acqua per tutti gli usi alimentari: lavaggio e preparazione di alimenti, bevande e ghiaccio alimentare». «Nel rarissimi casi – precisa - in cui l’acqua utilizzata non proviene da una distribuzione controllata, ad esempio da pozzi o sorgenti private in zone non servite dal pubblico acquedotto, o nei casi in cui presso l’esercizio vengono installate attrezzature destinate a trattamenti ulteriori dell’acqua potabile, ad esempio unità di gasatori con raffreddamento, è responsabilità dell’operatore commerciale effettuare controlli periodici dell’acqua per garantirne la costante potabilità». Nel 2016 l’Ats ha effettuato sul territorio provincia-

e di sicurezza ma anche per il buon funzionamento». Le corrette prassi si spostano poi sul bancone. «Ovviamente non si lavora in un ambiente asettico – fa notare – ma si utilizzano contenitori e palette lavati in lavastoviglie». Alle potenzialità del ghiaccio, poi, non pone limiti. «Partendo da acque aromatizzate? Perché no».

le 3.638 campioni di acqua potabile, prelevata presso postazioni codificate e rappresentative della distribuzione, suddivisi tra ricerche di tipo batteriologico e di tipo chimico. «Le non conformità evidenziate, pari al 2% sul totale dei campioni – informa - hanno evidenziato contaminazioni di carattere microbiologico di lieve entità, dovute principalmente alla vulnerabilità di alcune fonti di approvvigionamento idrico montano o causate da eventi atmosferici di particolare intensità, che sono state prontamente segnalate e poi risolte dagli enti gestori».

Analisi dell’acqua, in Ascom il servizio Bar, ristoranti, negozi e alberghi possono verificare la qualità dell’acqua che utilizzano e che forniscono ai clienti grazie all’apposito servizio di analisi promosso dall’Ascom. Dei tecnici preleveranno dei campioni e restituiranno i dati sulla sicurezza di quanto sgorga da rubinetti, macchine di depurazione, gasatori e refrigeranti, ma anche sulle caratteristiche fisiche e chimiche dell’acqua. Ascom Bergamo Confcommercio | Area Gestionale tel. 035 4120181-129 gestionale@ascombg.it

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l’incontro

luglio 2017

Operatori a confronto con TheFork. Frosio: «No alle contrapposizioni, affrontare il tema è fondamentale per le nostre attività»

Petronilla Frosio e il direttore commerciale di TheFork Andrea Arizzi

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Prenotazioni on line, i ristoratori accettano la sfida er prenotare un tavolo al ristorante si sceglierà sempre più spesso un sito o una app che un telefono. Lo dicono i sondaggi e lo si percepisce pure. Per questo il gruppo Ristoratori dell’Ascom ha scelto di confrontarsi con The Fork, il portale che fa capo a TripAdvisor e che sta guadagnando sempre più consensi tra i consumatori. Lo ha fatto in un incontro con il direttore commerciale Andrea Arizzi nel corso del quale gli operatori non hanno mancato di sollevare dubbi e criticità. A cominciare dal problema delle recensioni e delle classifiche, che spesso e volentieri non fotografano esattamente la realtà dei locali, anche a causa dei falsi giudizi e della compravendita di commenti. «Deve però finire la contrapposizione, ristoratori da una parte, TripAdvisor dall’altra – ha affermato il direttore dell’Ascom Oscar Fusini -, la migrazione dal telefono alle app è in atto e queste piattaforme sono in grado di interpretarla al meglio». «Affrontare il tema delle prenotazioni on line è una questione di sopravvivenza – ha ribadito la presidente del Gruppo Petronilla Frosio – e il primo passo è conoscere la realtà, gli strumenti, solo così si possono fare valutazioni e prendere decisioni. È incontrandosi, mettendo a confronto

idee ed esperienze che arrivano risultati nuovi». Dal canto suo, TheFork, che attualmente conta 8.500 ristoranti iscritti in Italia, una settantina in Bergamasca, offre visibilità, opportunità di trovare nuovi clienti e strumenti per la gestione che mandano in soffitta il vecchio libro dove annotare le prenotazioni telefoniche. C’è la possibilità di avere sempre sotto controllo la sala, organizzare i turni del servizio, effettuare promozioni per le serate che “girano” meno e dare vita ad una banca dati dei propri clienti che raccoglie esigenze e preferenze di ognuno per offrire un’accoglienza su misura e impostare strategie di fidelizzazione. Ha anche corretto alcune storture della rete. Le recensioni, ad esempio, possono essere inserite solo da chi ha prenotato e si è presentato al ristorante, è inoltre obbligatorio per il ristoratore indica-

re il costo medio e il costo di almeno nove portate, così che si possa più facilmente individuare la categoria della proposta. Per la sola fascia dei ristoranti stellati è poi partita la prenotazione con carta di credito che permette di “congelare” una certa cifra e di trattenerla nel caso il cliente non si presenti, il cosiddetto no-show. La società offre tre livelli adesione, quello base non prevede costi fissi ma una commissione per ogni coperto prenotato e consumato che va da 2 a 4 euro (più Iva) per la cena e da 1,5 a 2,5 euro per il pranzo. Comprende la pubblicazione del ristorante sul portale TheFork, la possibilità di inserire il pulsante di prenotazione sul proprio sito (senza commissioni) e su TripAdvisor. Le altre due formule, Pro e Pro+, comprendono software gestionali e hardware. Grazie alla convenzione nazionale con Fipe, gli associati Ascom Bergamo Confcommercio possono usufruire di uno sconto su entrambi i pacchetti, per Pro un canone mensile di 24 euro anziché 30 e per Pro+ di 75 anziché 89. Per poter accedere alla tariffe scontate è necessario richiedere l’attestazione dell’iscrizione alla Area accoglienza dell’Associazione (tel. 035 4120133).

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news

Macellai, alla Fiera di Sant’Alessandro in mostra tutto il buono della carne

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er ricordare ai consumatori il valore delle botteghe e il piacere di un buon piatto di carne, il gruppo Macellai dell’Ascom torna, dopo il successo dello scorso anno, alla Fiera di Sant’Alessandro con una dimostrazione della lavorazione dei diversi tagli e i consigli per cucinarli al meglio. All’interno della storica rassegna dedicata all’allevamento, all’agricoltura e ai prodotti tipici, organizzata dalla Promoberg al polo espositivo di via Lunga a Bergamo dal primo al 3 settembre prossimi, daranno prova al pubblico della propria maestria nel sezionare,

disossare, affettare e farcire carni bovine e pollame, illustreranno le caratteristiche di ciascun prodotto e con l’aiuto di uno chef suggeranno ricette, abbinamenti e metodi di cottura. In tempi in cui la carne è sempre meno presente in tavola - per via di nuove scelte alimentari, ma anche perché si ha meno tempo per cucinare e si mangia più spesso fuori casa - i macellai accendono l’attenzione sul fatto che si tratta di prodotti controllati, sani e capaci di contribuire ad una dieta equilibrata. Ma anche molto golosi e facili da preparare.

LA SERATA

Ponte di Briolo, omaggio all’estate con champagne e piatti di mare

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e serate a tema sono un bel modo che i ristoratori hanno per raccontarsi. Come fa Augusto Assolari, patron del Ponte di Briolo a Valbrembo, che, di stagione in stagione, propone iniziative speciali per celebrare prodotti e vini. Si tratta prima di tutto di un omaggio ai clienti più affezionati, che per una sera non devono fare altro che accomodarsi a tavola e lasciarsi trasportare nel percorso messo a punto per loro. Per brindare all’arrivo dell’estate non poteva mancare la Serata Champagne. Tre etichette selezionate in collaborazione con Enotop di Brembate Sopra, espressione di altrettante zone e vitigni della regione, hanno accompagnato un menù di mare che ha valorizzato con eleganza la qualità della materia prima: la ricciola da otto chili proposta in carpaccio con zenzero, lime e olio extravergine di oliva; gli scampi di San Benedetto del Tronto in acqua di pomodoro e basilico; le mazzancolle con agrumi, finocchietto e stracciatella di burrata; i calamaretti di Chioggia gentilmente accolti, insieme ai gamberi rosa, da un risotto con plancton; i mezzi paccheri di Gragnano con astice. A chiudere in dolcezza il gelato alla cannella con ciliegie fresche sciroppate. Le portate sono state scandite, in un’evoluzione di sensazioni, dagli Champagne Louis Barthelemy Amethiste, della zona di Ay, J. deTelmont L.D. 2006 (Epernay) e Paul Clouet Prestige (Bouzy), presentati da Fabio Ravasio, appassionato titolare di Enotop, che ha nel proprio carnet prestigiose aziende e piccole chicche. In cucina Paolo Riva, in forza da vent’anni, e Fabio Locatelli, da dieci, portano avanti la lunga tradizione dal locale (la famiglia Assolari è alla guida dal 1919, ma la prima testimonianza

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Da sinistra: Fabio Ravasio, Paolo Riva, Augusto Assolari, Fabio Locatelli, Nicole Gamba e Giulia Mazzoleni dell’attività risale addirittura al 1876) confermandolo un indirizzo sicuro per i gourmet. Tra le altre cene a tema, quella dedicata al tartufo, alle carni (come l’anatra o l’agnello presalè), ai formaggi, in abbinamento ai vini.


luglio 2017

La curiosità

Bar, lo spreco si annida anche nelle bustine di zucchero

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a sostenibilità ambientale e la lotta agli sprechi passano anche da una bustina zucchero. La Fipe ha comparato i consumi di zucchero in bustina con quelli che al bar genererebbe l’utilizzo della zuccheriera e il confronto lascia sorpresi: 46,3 milioni di kg contro 32,4 milioni, pari ad un costo di 92,6 milioni di euro delle dolci confezioni contro i 29,2 milioni di euro delle zuccheriere che permettono di dosare esattamente le quantità. La disparità di consumi (+13,9% utilizzando le bustine) e costi (+63,5%), insieme all’incremento dei rifiuti (14mila tonnellate in più), si deve soprattutto al fatto che i clienti al bar spesso non usano tutto lo zucchero contenuto nelle bustine e che questo non viene riutilizzato. L’utilizzo dello zucchero in bustina al bar si deve ad un decreto legislativo del 2004 in attuazione di una Direttiva Europea del 2001 secondo cui “lo zucchero di fabbrica e lo zucchero bianco possono essere posti in vendita o somministrati solo se preconfezionati”. La violazione di tale regola comporta una sanzione di natura amministrativa di diverse migliaia di euro. Sul tema tuttavia il Ministero delle Attività Produttive con la nota 769422 del 28 maggio 2004 ha precisato che la legge “ha vietato l’uso delle zuccheriere con coperchio apribile”, mentre le zuccheriere dosatrici con beccuccio risultano conformi.

CONSUMI

Al ristorante si ordina meno carne e più verdure. Ma a primi e dessert non si rinuncia

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i mangia sempre più spesso fuori casa e il pranzo vede assottigliarsi il primato di pasto principale della giornata (nel 1995 era considerato tale dal 76,6% della popolazione, nel 2015 la percentuale è scesa al 67,2%) in favore di cena e colazione. Ma cambia anche ciò che si mangia. Un recente studio della Fipe sugli italiani e il cibo visti nell’arco temporale di vent’anni indica nella “polarizzazione” dei comportamenti alimentari il tratto distintivo di questa epoca. Esiste cioè una parte minoritaria della popolazione che vive il rapporto con il cibo all’insegna del salutismo e un’altra, maggioritaria, che al contrario mangia con sempre minore attenzione al concetto tradizionale di cibo come fonte di benessere. Sul piano pratico questi trend si traducono da un lato in un calo della quota di popolazione che consuma quotidianamente carboidrati e proteine e in un aumento di coloro che prediligono ortaggi e di chi presta attenzione al consumo di sale. Dall’altro lato, cala la quota di popolazione che consuma la frutta almeno una volta al giorno e quella di chi utilizza olio di oliva e grassi vegetali per la cottura e soprattutto per il condimento a crudo. Il risultato di questi due comportamenti opposti sono una riduzione della spesa per pane e cereali (-7,5% a prezzi costanti nel periodo 2000-2015), per la carne, principalmente rossa (-8,1%), per vegetali (-11%) e frutta (-11,4%) e, sull’altro versante, l’aumento del tasso di popolazione in sovrappeso o addirittura in condizioni di obesità. Anche nei consumi al ristorante si trovano le conferme del cambiamento dei modelli alimentari: la carne viene segnalata in forte calo, così come l’uso del sale e del burro. Cresce significativamente il consumo di verdura, mentre viene confermata una scarsa attenzione alla frutta. In controtendenza al ristorante il consumo di primi piatti (soprattutto della pasta che resta un pilastro del modello alimentare italiano) e dei dessert, legati al piacere della convivialità.

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Pagine di

Gola

Che cosa c’è di meglio di leggere un buon libro sotto il sole? Leggere un bel libro che parli di cibo. Per le vacanze abbiamo compilato una top five dei romanzi più belli, che parlano di cibo, alcuni divertenti, altri intensi. Tutti, assolutamente, da leggere.

a cura del Gruppo Librai Ascom

Romanzi di cucina, le più belle letture per le vacanze Una storia di magico realismo, ambientata negli anni della rivoluzione messicana. Dodici capitoli “piccanti” che si dipanano tra piatti, amori e rimedi casalinghi per dodici mesi. Lunghi non un anno ma il tempo di una vita, quella di Tita. Laura Esquivez

Dolce come il cioccolato 179 pagine - Garzanti Libri

Per salvare la pasticceria dove lavorano, tre ragazze si trovano a dover partecipare e vincere un concorso. Ricette da decifrare, gelosie, segreti. Un libro ironico, divertente e un po’ strampalato, da leggere per trascorrere qualche ora all’insegna della leggerezza. Stefania Bertola

A neve ferma 234 pagine - Salani

La protagonista Wyn si risolleva da un periodo di sconforto grazie a un alimento essenziale e semplice, il pane. Una storia attuale e coinvolgente che infonde fiducia nel futuro, scritta benissimo. Judi Hendricks

Solo pane 340 pagine - Salani

Nato in piena rivoluzione da famiglia numerosa e poverissima, Carême diventa uno dei cuochi più illustri dei primi dell’Ottocento. Libro che si legge d’un fiato. La parte migliore sono le pagine che descrivono l’amicizia con Gioacchino Rossini. Edgarda Ferri

Il cuoco e i suoi re 144 pagine - Skira

Al termine del suo ultimo giorno di vita, l’arrogante e implacabile critico gastronomico Arthens riscopre la semplicità, il sapore che, da bambino, gli donava momenti indimenticabili. Il libro è piacevole e raffinato. L’autrice ha scritto “L’eleganza del riccio”. Muriel Barbery

Estasi culinarie 145 pagine - E/O Editore

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