Affari di gola maggio 2013

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maggio 2013

in rassegna sapori, gusti e piaceri del territorio

Supplemento al n. 20 de “La Rassegna” del 23 maggio 2013 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60

Wedding cake, le nozze dal sapore americano Il formaggio Il “Blu di Endine” è giovane ma già convince I sensi L’olfatto a tavola “interpretato” da quattro esperti Quarta gamma

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Il futuro dell’insalata è sempre più biologico

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Focus Vino, ortaggi e locali: i frutti della solidarietà



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Suppl ement via Borgo o al n. 20 de Palazz o 137, “La Rassegna” Berga mo Poste del 23 maggi Italian o e S.p.A. 2013 - Giuse Spedizione ppe Ruggi eri diretto in Abbon re ament o Posta responsabile le - D.L. Editric e: 353/20 03 (conv. La Rassegna in L. 27/02/ S.r.l. 2004 n. 46)

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PENNA ALL’ARRABBIATA Se il vino “Nuoce gravemente alla salute” preferisco comunque rischiare

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MODE Wedding cake, il sapore americano delle nozze

10 quelli del Formaggio “Blu di Endine”, giovane ma già convincente

18 FOCUS Il gusto della solidarietà

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23 I SENSI Buon olfatto non mente

29 il PRODOTTO Insalata, la busta che conquista

32 il prezzo fisso Byron, la ristorazione secondo Dorilio

35 A tavola con Paleari, “sono buono come... il pane”

36 l’iniziativa Da Comun Nuovo ad Artimino per firmare uno dei vini più antichi

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Michela Brivio, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg


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Se il vino “Nuoce gravemente alla salute” preferisco comunque rischiare di Pier Carlo Capozzi

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ravamo tranquillamente consapevoli, nella nostra colpevolissima ignoranza, che un bel panino col salame accompagnato da un paio di bicchieri di Lambrusco, ospiti di un amico all’ombra delle frasche in un inusuale pomeriggio di sole, fosse una merenda salutare. Ci hanno, da tempo, passato l’informazione che un po’ di vino rosso, bevuto, vadassè, con equilibrio, fosse uno straordinario aiuto per il nostro sistema cardiovascolare. Niente di tutto ciò. E, per quanto riguarda il salame, la faccenda si complica vieppiù. Pare, dico pare, che ogni tipo di insaccato (salame, salsiccia, wurstel, cacciatore e via lacrimando) debba essere gustato solo di tanto in tanto perché nient’affatto salutari. All’università di Zurigo, invece di fare il filo alle cheerleader che ballano prima dei campionati studenteschi di basket, hanno pubblicato di recente uno studio che rivela il rischio esponenziale di neoplasie e problemi cardiovascolari per chi consuma affettati in abbondanza. Premesso che non credo sia diffusa l’abitudine di inzuppare la mortadella nel caffèlatte, voglio sperare che si tratti di casi tanto isolati quanto irripetibili. Ma quello sui salumi non è l’unico “avviso di morte” recentemente balzato agli onori della cronaca. Il professor Gianni Testino, vicepresidente della Società italiana di alcologia, vorrebbe imporre che le etichette di vino e birra portassero la specifica “L’alcool provoca il cancro”. Da esperto oncologo, il professore giura che il legame tra causa ed effetto è indiscutibile, anche se, ad un certo punto, precisa che da combattere sia l’abuso, argomento sul quale credo trovi una vastissima platea di consensi. La voglia di parificare il vino alle sigarette, in quanto a pericolosità, non è notizia inedita. Se ne discusse ampiamente già nell’aprile 2011 quando scese in campo nientemeno che il Codacons e, qualche mese appresso, si seppe che, dopo l’Australia, anche il Canada si preparava a completare le etichette con la dicitura “Bere fa male alla salute” e, addirittura, “L’alcol può provocare il cancro”.

La preoccupazione è che la normativa abbraccerebbe (mortalmente…) tutti i produttori, nessuno escluso, da quelli che vendono vino a 50 centesimi la bottiglia alle storiche aziende che hanno regalato fama e visibilità alle loro terre d’origine. Infatti il problema della salubrità della spremuta d’uva viaggia, come in ogni comparto alimentare, di pari passo con la qualità del prodotto e la serietà del produttore. Riprendo, da un bell’articolo di Antonio Tomacelli, una storica citazione di Gino Veronelli su “Ex Vinis” di ottobre/novembre 1998: “Se i fatti denunciati sono veri - e non vedo alcuno che possa smentirmi - è necessaria e urgente, nessuna possibilità di rinvio, l’eversione e la sovversione. Cercano d’imporci - la suadenza, la musica, i comici, il cinema, quant’altro - le scelte quantitative. Tu, giovane, fai opera di eversione e di sovversione, esigendo per te e per i tuoi compagni, la qualità”. Gino aveva il dono di usare parole di pietra per difendere idee leggere come ali di farfalla. Ed era tremendamente efficace. Si capisce quindi che dove c’è qualità, difficilmente il prodotto sarà accompagnato da arsenico e benzene e il problema parrebbe risolto prima che si apra la tenzone. Altrimenti, intorno a Orio al Serio, per decine di chilometri quadrati, sarebbe il caso di mettere cartelli tipo “Chi vola avvelena anche te. Digli di smettere”, convinti come siamo che gli aeromobili non rilascino nell’aria sentore di mammola e gelsomino. Non sapremmo infine cosa andrebbe scritto, di conseguenza, sulle carene delle motociclette, considerando le centinaia di morti annuali che colpiscono gli amanti delle due ruote. E sui paracadute cosa dovremmo vergare? E ad ogni dieci metri sulle ascensioni in alta montagna? Avete presente quanti incidenti in autostrada? Forse, al posto del tutor, andrebbe meglio un pallottoliere e, invece della Polizia stradale, giusto per spaventare l’utenza, un andirivieni di carri funebri che diffondano le note di “Vieni, vieni, vieni che alla fine della strada ci siam noi qui per te…” E pensare che stavo così bene, nel dehor del mio amico Beppe, a bere Lambrusco e gustare pane e salame. Se mi dovesse ricapitare, giuro, rischierò volentieri, di nuovo, la vita.

penna all’arrabbiata

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piercapozzi@libero.it

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Mode

Opere d’arte spettacolari, le torte nuziali ispirate alla tradizione anglosassone stanno prendendo piede anche in Italia. Si mantiene la forma, ma si adattano i contenuti ai palati nostrani

di Giordana Talamona

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Wedding cake, il sapore americano delle nozze pettacolari come opere d’arte, le wedding cake americane impazzano nei matrimoni di mezzo mondo. Nel nostro Paese hanno soppiantato già da qualche anno le classiche torte nuziali, dalla Chantilly alla Saint Honoré, rubandone la scena nel momento clou del ricevimento. Una tendenza di modernità che si esprime nella personalizzazione

Le tendenze

delle cake sin nei minimi dettagli, dalla forma alla dimensione, dal colore alle decorazioni. Ma siamo proprio certi che modernità corrisponda a bontà? Figlie della tradizione anglosassone, le wedding cake americane sono generalmente preparate con metodi e ingredienti lontani, non solo dalla nostra tradizione, ma cosa più importante dal nostro

Le cupcakes – L’ultima moda vede al top della classifica le cupcakes, torte nuziali monoporzione. Montate ad arte su alzate in cristallo o in metallo, queste mini-torte sono l’ideale per essere servite in accompagnamento a creme di vario gusto. Se gli sposi non vogliono rinunciare a classico taglio della torta, possono farne fare una di media grandezza che richiama, nelle fattezze, le cupcakes servite al tavolo. Topper – I classici sposini sulla torta di nozze, anonimi e sempre uguali, hanno lasciato il posto a topper personalizzati in pasta di zucchero. La moda vuole che la riproduzione degli sposi segua la loro personalità o le passioni comuni. Un esempio? Due sposini di Bergamo hanno scelto di farsi ritrarre su un trattore!

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gusto. Se la copertura con pasta di zucchero ne rende la tessitura decorabile in ogni dettaglio, trasformando delle semplici torte in architetture pressoché perfette, la farcitura all’americana preparata con masse di cereali compatte e creme al burro, può rivelarsi una vera delusione. Preferire la forma al contenuto, per avere qualcosa di unico e

Svasata – Si tratta di cake a piani svasati o sghembi che sfidano la forza di gravità. Decorate secondo il gusto degli sposi, hanno in genere piani di colore diverso. Romantica – Un tripudio di fiori che richiamano il bouquet della sposa. L’arte del cake designer sta nel riprodurre orchidee, rose, peonie e fresie che decorano romanticamente la torta nuziale. Fiori così belli da sembrare veri! In pendant – È la torta che richiama i colori scelti dagli sposi per tutto l’evento, dalla cerimonia al ricevimento, sino alle nuance delle bomboniere. I più attenti possono addirittura scegliere lo stile della torta in pendant con le partecipazioni di nozze o con il tableau mariage.


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irripetibile, si scontra inevitabilmente con la tradizione gastronomica del Bel Paese e con il connaturato buon gusto italiano. Proprio per questo, molti pasticceri italiani hanno cercato un giusto compromesso tra la wedding cake americana e l’alta pasticceria italiana, unendo al scenografico modello statunitense il gusto della nostra tradizione. Nella farcitura, nascoste da sontuosi drappi di zucchero, si trovano le classiche torte nuziali all’italiana, con pan di spagna, crema pasticcera, chantilly e zabaglione. Un buon punto d’incontro che, se non risolve totalmente certe criticità delle cake americane, viene certamente incontro al palato italiano. Un altro nodo cruciale delle torte americane riguarda infatti la struttura, in polistirolo o legno, che spesso ne compone la base. Per le classiche cake a più piani si utilizzano dei dischi in polistirolo su cui sono poggiate torte di fattura tradizionale, il tutto ricoperto da decorazioni in pasta di zucchero. L’illusione di gustare una fetta alta 15 cm si infrange fatalmente al taglio della torta quando il coltello, affondato dagli sposini tra applausi e foto di rito, restituisce porzioni ben più classiche, alte appena 5-7 cm. Non ultimo, il prezzo. Per creare torte finemente decorate ci vogliono ottime materie prime e molte ore di lavoro. Per una wedding cake a più piani il prezzo medio può andare da 10 a 15 euro a porzione, cifra che può alzarsi vertiginosamente a seconda delle ore neccessarie per la realizzazione dei suoi elementi decorativi. De gustibus, è proprio il caso di dire.

Pasticceria Giosué / Montello

Da sinistra, in alto: Erminia Vezzoli, Nausicaa Berbenni e Elizabeth Barcella. In basso: Carmen Vargas e Alba Chiara Pasinetti

‹‹La più richiesta È la chantilly coi frutti di bosco e cioccolato›› Figlia d’arte, cresciuta tra creme e dolci nel negozio di famiglia, Nausicaa Berbenni della Pasticceria Giosuè di Montello ama le wedding cake dallo stile minimal, monocromatiche o tone sur tone. “È uno stile che apprezzo molto, ma che non va per la maggiore in questo periodo - spiega Nausicaa -. Molti sposi, infatti, preferiscono indirizzarsi verso torte moderne, come delle cupcakes dai contrasti abbastanza accesi, nero su bianco, per esempio”. Oltre allo stile moderno, la wedding cake romantica si conferma essere tra le più richieste. “La sposa desidera vedere sempre più spesso il proprio fiore preferito sulla torta di nozze - prosegue -. Il grande classico di sempre è la rosa, ma non mancano la gerbera, l’orchidea e la peonia”. Una pasticceria tutta in rosa quella di Nausicaa Berbenni, dove nascono torte nuziali dal delicato tocco femminile, con decorazioni in pasta di zucchero che

Monumentale – Si tratta di torte alte oltre cinque piani, caratterizzanti a tal punto la personalità degli sposi da descriverne spesso il lavoro o gli hobby. La struttura base fatta in legno o polistirolo, in questo caso, può essere considerevole, accogliendo parti edibili in pasta di zucchero. Minimal – Tone sur tone, sofisticata, con linee pulite. Chi sceglie lo stile minimalista per il proprio matrimonio preferisce una torta che sia in sintonia con questo mood. La minimal cake sarà rigorosamente monopiano, rettangolare o quadrata, realizzata con pan di spagna e creme.

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Mode

Pasticceria Giosué / Montello richiamano antichi pizzi preziosi o bouquet di fiori in pendant con quello della sposa. “Fino a qualche anno fa il mondo della pasticceria era ancora tutto al maschile - rileva Nausicaa - mentre oggi, con le ultime tendenze delle cake design, è molto più al femminile, sia per la cura del dettaglio che per la pazienza nella realizzazione delle decorazioni”. Il colore della torta è un altro elemento importante per gli sposi, che deve andare in coordinato con gli elementi scelti per la cerimonia così come con gli sposini sulla cake. “I topper devono essere rigorosamente personalizzati per ciascuna coppia - continua -. Sono molto carini quegli sposi che scelgono mezzi di trasporto sui generis per andare al ristorante, come la vespa

o il carretto, che ne chiedono quindi la riproduzione sui loro topper. Ultimamente abbiamo creato dei topper con gli sposini sopra a un trattore”. Wedding cake belle da vedere, ma altrettanto buone da mangiare, un connubio imprescindibile per accontentare gli sposi più esigenti. “Per la farcitura, la torta più richiesta è la chantilly coi frutti di bosco e gocce di cioccolato fondente - continua - mentre una nostra nuova creazione, che ha stupito tutti per bontà e fantasia, è la Plasmon Cake, realizzata con biscotti Plasmon, panna, montata e fragoline di bosco”.

via Mazzini, 3 Montello tel. 035 681106

Pasticceria Giovanni Pina / Trescore ‹‹Ora la parola d’ordine sembra diventa solo una: stupirE›› Fondata da Giovanni Pina nel 1920, l’omonima pasticceria di Trescore Balneario è arrivata oggi alla terza generazione. Un altro Giovanni ne è alla guida dal 2012, dopo che la storica pasticceria è passata, nei decenni, prima ai figli del fondatore, poi ai nipoti. Un luogo di delizie dove tradizione e innovazione vanno di pari passo col gusto. “Lavoro da tempo con dei wedGiovanni Pina

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ding planner di grandi città che mi fanno richieste di ogni tipo. Nelle wedding cake, infatti, stupire sembra essere diventata la parola d’ordine, tanto che i concetti di “strano e innovativo” sono stati svuotati di significato – commenta Giovanni Pina che fa parte dell’Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani -. Purtroppo alcuni programmi televisivi hanno innescato una


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Pasticceria Cortinovis / Ranica ‹‹Piacciono anche le cake a piani sfalsati, sghembi e con richiami alla pop art›› Componente dell’Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani, Giancarlo Cortinovis dell’omonima pasticceria di Ranica ha coltivato la passione per quest’arte sin da bambino. Non a caso tra i regali di Natale che ricorda con più affetto c’è un Dolce Forno che, tra un gioco e un altro, l’ha fatto crescere col sogno di diventare un pasticcere. Oggi non solo il sogno di bambino è stato realizzato, ma la sua alta professionalità l’ha portato a vincere nel 2009 uno tra i Premi più ambiti della Coppa del Mondo di Pasticceria, quello per il Migliore Dessert al piatto. “Si tratta di una rivisitazione dello strudel classico - spiega - che, pur rappresentando il nostro Paese, ha ingredienti strutturati in maniera diversa e innovativa”. Ed è proprio dosando attentamente innovazione e tradizione che Giancarlo Cortinovis realizza delle wedding cake che uniscono allo scenografico modello statunitense il gusto della nostra

tradizione. “Le vere wedding cake americane hanno una farcitura molto lontana dal nostro gusto - spiega -. Per questo ci siamo orientati verso una farcitura tradizionale, fatta con pan di spagna e creme, a cui sovrapponiamo un sottilissimo strato di pasta di zucchero, impreziosito da decorazioni di vario tipo”. La tendenza più in voga dell’ultimo periodo è la wedding cake a piani sfalsati, sghembi e dai colori accesi, ammiccante richiamo alla pop art. “Ho la fortuna di avere una spiccata dote artistica - evidenzia - che mi permette di offrire ai miei clienti decorazioni esclusive e raffinate. Ultimamente, per esempio, abbiamo realizzato una wedding cake con degli elefantini in pasta di zucchero che richiamavano gli elementi decorativi delle partecipazioni”. Drappi, fiori, colori accesi o nuance delicate, al cake de-

tendenza pericolosa: si punta più al bello che al buono. Fortunatamente riesco ancora a convincere chi ordina torte monumentali, non solo per il matrimonio, a seguire i miei consigli in modo da ottenere una torta appariscente, ma buona”. Le wedding cake monumentali sono, non a caso, quelle più richieste. “Tra le torte monumentali che abbiamo realizzato, ricordo una wedding cake alta tre metri, con un diametro di base di un metro e ottanta, decorata con una cascata di 350 orchidee in zucchero, con ghiaccia e diamanti in zuc-

chero. Era posta nel chiostro di un convento e illuminata da un fascio di luce intenso, un allestimento davvero emozionante”. Se la fantasia galoppa, spinta oltremodo dal mondo mediatico, occorre però fare i conti col gusto. “Solitamente consigliamo ai clienti farciture apprezzate dalla maggioranza delle persone - spiega - come un pan di spagna inzuppato con bagna leggermente alcolica, dai toni agrumati e farcito con una crema pasticcera alla vaniglia, alleggerita da panna montata”. Le possibilità sono tante, anche se è fondamentale

signer spetta non solo la realizzazione di elementi decorativi capaci di trasformare una semplice cake in un’architettura perfetta, ma anche quella di consigliare gli sposi. “La consulenza fa parte della nostra professionalità - conclude - indirizzando gli sposi verso scelte stilistiche che, tuttavia, non snaturino la classicità della torta nuziale”. via Marconi, 109 Ranica tel. 035 363506

trovare un armonico equilibrio tra tutti gli elementi gustativi della cake. “Personalmente amo il “ buon dolce” in tutte le sue forme - continua -. Se devo immaginare la mia torta ideale, penso a una Delicata con una mistura composta da banane, fragole e kiwi disposta sulla farcitura in fette molto sottili. Il bilanciamento tra acidità e basicità conferisce sensazioni straordinarie”. via Locatelli, 14 Trescore Balneario tel. 035 940344

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quelli del Formaggio di Leo Bartoli

A poco più di un anno dal lancio, il nuovo formaggio erborinato creato da Daniele Filisetti sta incontrando sempre più consensi tra consumatori e ristoratori

“Blu di Endine”, giovane ma già convincente

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nato già da oltre un anno, ma in questi mesi sta conoscendo il suo momento di gloria: è il blu di Endine, uno degli erborinati più interessanti a livello autoctono della Bergamasca, secondo come originalità soltanto al blu di Bufala di Cologno al Serio dei fratelli Gritti, consacrato in un’edizione di Cheese da Carlin Petrini. Ma mentre il latte di bufala da noi non ha concorrenti, destreggiarsi tra la grande offerta locale di vaccini è impresa tutt’altro che semplice. Ci sta riuscendo bene il prodotto creato da

Daniele Filisetti, neo delegato provinciale dei giovani di Coldiretti, che a soli 21 anni è già una certezza nel panorama caseario locale, contitolare con il padre Dino e il fratello Michele dell’impresa di famiglia che ad Endine Gaiano possiede 80 bovini da latte (per la maggior parte Brune alpine ma anche Frisone Italiane), con annesso caseificio. Erborinato dal sangue blu (muffe a parte) quello di Endine lo è anche perché è uno dei rarissimi formaggi a latte crudo ancora fatto a due paste: non a caso, qualcuno arriva ad acco-

Val Brembana, i formaggi sono ricchi di antiossidanti “Cluster di eccellenza” è un progetto finanziato dalla Regione Lombardia, finalizzato alla sinergia tra la produzione agroalimentare e la ricerca medico scientifica, che ha visto lo snodarsi di tre anni di ricerca, formazione e animazione territoriale volte alla valorizzazione delle aree montane e del loro capitale umano e produttivo. La ricerca, condotta dall’Università di Pavia e dall’Università Statale di Milano, ha valutato le proprietà antiossidanti individuate nelle produzioni lattiero-casearie tipiche della montagna lombarda e ha avuto come obiettivo quello di determinare l’esistenza in questi prodotti di specifiche molecole in grado di distruggere i radicali liberi, con riduzione con-

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La ricerca scientifica “Cluster di eccellenza” individua prodotti sorprendenti con inaspettate proprietà salutistiche seguente dello stress ossidativo. Come effetto collaterale della ricerca, è emerso che il consumo di alcuni formaggi abbassa il livello di colesterolo nel sangue, contrariamente all’opinione comune diffusa. I risultati positivi hanno dimostrato la tesi di partenza, che riconosce al consumo di formaggi proprietà salutistiche inaspettate e di straordinaria portata. Lo studio è stato effettuato su 30 for-

maggi prodotti in Val Brembana, area tradizionalmente vocata alla produzione casearia, suddivisi in tre tipologie (caprini, stracchini e Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana Dop). Le proprietà antiossidanti, riscontrate in parte dei campioni analizzati, sono probabilmente riconducibili all’alimentazione degli animali: è noto che quanto più gli animali pascolano liberamente in alpeggio, tanto più il latte che producono


maggio 2013 starlo allo Strachitunt, con buona pace dei puristi del gioiello ormai Dop (norma transitoria) della Val Taleggio. Per arrivare a questo prodotto, che sta riscuotendo grande simpatia tra i consumatori della Val Cavallina e i tanti turisti di passaggio, la gestazione è stata lunga. “Se torno indietro con la memoria - racconta Daniele - ripenso ai tanti i tentativi, a quelle prove reiterate con tanto di correzioni, agli assaggi collettivi con gli amici, anche agli insuccessi parziali per noi che siamo dei perfezionisti e non ci accontentiamo mai, che hanno però portato all’ottimo risultato finale. Accanto alla nostra produzione di freschi, formaggelle, stracchini e primo sale, volevamo abbinare un formaggio dal gusto più deciso, in grado di reggere una maturazione lunga o medio-lunga: credo che l’obiettivo sia stato centrato”. Il blu viene proposto in due tipologie: più o meno stagionato, con forme che arrivano anche ai 4-5 mesi di affinamento, “ma sono sempre rare - precisa Daniele - perché i clienti lo richiedono continuamente e non abbiamo il tempo di stagionarle a lungo”. Le forme sono quadrate (da qui anche la somiglianza al blu di bufala, a differenza della rotondità dello Strachitunt) e raggiungono gli 8 chili di peso, con muffe spontanee, e per questo naturalmente irregolari all’interno della forma. Dopo un’iniziale diffidenza, sono arrivati anche i ristoratori della zona a reclamarlo a gran voce: “È un aspetto che forse aveva-

mo sottovalutato - racconta Daniele - fermandoci al tradizionali abbinamenti, per esempio con un risotto importante, sposato magari a un rosso ben strutturato tipo cabernet o, meglio ancora, per valorizzare il territorio, a un ottimo Valcalepio doc riserva. Invece con le richieste dei ristoratori sono arrivate anche ricette molto originali per il nostro blu”. Dai locali La Romanella e i Pescatori di Ranzanico, al ristorante da Pacio a Spinone al Lago o al Castello di Monasterolo, tutti da qualche mese hanno voluto provare il prodotto e, visto anche il gradimento della clientela, ora lo propongono con regolarità sia nel carrello dei formaggi, sia come ingrediente principe di alcuni piatti. “È bello veder valorizzato al meglio il nostro prodotto - aggiunge Daniele -: tra le ricette che mi hanno più convinto c’è quella del ristorante Pacio che ha inaugurato le barchette di blu di Endine con la polenta: un binomio che è già diventato un must per il locale”. Ora manca solo il sogno nel cassetto, che la famiglia Filisetti accarezza da tempo: “Ci piacerebbe aprire un agriturismo - conclude Daniele -: oggi lo spaccio funziona bene, la domenica facciamo anche diversi mercati a Bergamo, Sarnico e Darfo, ma per valorizzare al massimo i nostri prodotti sarebbe bello inaugurare un’offerta tutta nostra. E non parlo solo delle tante varietà di formaggi: abbiamo polli ruspanti, uova freschissime e la fantasia per tante ricette sfiziose non manca di certo: vedremo se riusciremo a coronare il nostro sogno”.

e abbassano il colesterolo è ricco di fitosteroli, molecole a cui si attribuisce la capacità di ridurre il colesterolo riscontrata nei formaggi analizzati. I formaggi su cui sono state condotte le ricerche sono prodotti d’eccellenza, ora questa analisi li ha arricchiti di un’eccellenza di tipo scientifico: i formaggi oltre ad essere buoni, infatti, fanno anche bene alla salute. A fronte degli incoraggianti risultati, che attestano la correlazione tra le condizioni ambientali di allevamento degli animali e la presenza nei prodotti lattierocasearii di composti a influenza positiva sulla salute dei consumatori, il progetto si pone ora un secondo ambizioso obiettivo, ovvero quello di divulgare e trasferire le buone pratiche produttive a tutti i

produttori del settore. In tale direzione vogliono andare una serie di attività di alta formazione, condotte su un pubblico trasversale di produttori, ristoratori, commercianti e giovani diplomati e realizzate in collaborazione con la Comunità Montana della Val Brembana, grazie alla quale si è ottenuto un forte coinvolgimento del territorio. Giunti ora nella fase conclusiva del progetto triennale, di cui l’agenzia di formazione e sviluppo Prodest è stata capofila, tutti i partner coinvolti esporranno i risultati delle ricerche medico-scientifiche in un convegno, in programma venerdì 24 maggio presso l’Istituto Giulio Natta di Bergamo. Info: www.clusterdieccellenza.it

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Posta & Risposta

Il “Treno dei Sapori” nelle nostre valli? Lanciamo un Comitato

C

aro Pier Carlo Capozzi,

ho appena finito di leggere il suo articolo sul “Treno dei Sapori”: quanta amarezza pensando all’occasione persa nelle nostre Valli! Sono pienamente d’accordo con lei: un’iniziativa come quella da lei ipotizzata, nelle nostre Valli, sarebbe di impareggiabile volano turistico per tutto il territorio. Ma qui casca l’asino. Me lo lasci dire: purtroppo dopo decenni, dovremmo aver imparato che a parole, di Turismo, dalle nostre parti, se ne chiacchiera molto. Se ne fa molto meno, invece, in quanto a fatti. È forse un caso che il declino di San Pellegrino Terme e quello di un’intera valle, in fatto di turismo, sia iniziato proprio quando avevamo addirittura un ministro brembano (di San Pellegrino Terme) proprio al Ministero del Turismo? Spiace dirlo, ma è proprio così. E, più o meno nello stesso periodo, fu sottoscritta la brillantissima idea di privarci delle due linee ferroviarie che collegavano Bergamo con Piazza Brembana l’una e Clusone l’altra. Ora, dopo decenni passati nella più disarmante apatia in fatto di promozione turistica, molti si stanno accorgendo che, forse, ora che molte manifatture sono state chiuse, l’attività turistica potrebbe rimpiazzare non poco l’industria e creare occupazione e reddito. Ma, c’è un ma: abbiamo le qualità e le attitudini per farlo? I risultati purtroppo non lo confermano più di tanto. Però, con un po’ di buona volontà, si potrebbe pure iniziare. Magari con una buona idea come quella di ripristinare e valorizzare, come da lei sognato, i trenini delle due valli. So che nelle condizioni attuali è assai difficile poterlo fare. Perché, oltre ad aver dismesso le linee ferroviarie, i nostri arguti amministratori hanno altresì consentito che in molti punti del tragitto il percorso della ferrovia fosse urbanizzato. Ciò non toglie che, se davvero si crede in una iniziativa, imprese impossibili non esistono. Il vero ostacolo, semmai, possono essere politici e amministratori pavidi e inconcludenti. Ma, per aiutarli a vincere la loro pavidità, potrebbe essere d’aiuto la costituzione di un comitato che promuova il ripristino dei mai troppo rimpianti “Trenini delle Valli”. Ci pensi, Pier Carlo. Nel caso se la sentisse, io sono pronto ad assecondarla. Un caro saluto Giuseppe Zilli

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entile signor Zilli,

grazie per averci letto e per averci scritto. Abbiamo scelto la sua lettera in rappresentanza della tante mail e telefonate che hanno confortato il nostro articolo. Abbiamo capito, una volta di più, quanto sia ancora aperta la ferita di quei trenini soppressi senza troppa resistenza. E nati, si badi bene, proprio come ferrovia turistica. Allo stato dell’arte dobbiamo metterci il cuore in pace, considerando anche la grave crisi finanziaria attuale: di treni, nelle nostre bellissime Valli, non ne vedremo più. Però la sua lettera mi suggerisce un’ipotesi, chiamiamolo uno studio di fattibilità, alla faccia di tutti i disfattisti (compresa la nostra realistica tristezza). Pensi a una famiglia milanese che arrivi in Val Brembana e parcheggi l’auto (perché a casa bisogna pur tornare e non mi sentirei di suggerire il treno, stavolta) in una qualsiasi di queste stazioni: Ponteranica-Sorisole, Petosino, Paladina, Almè e Villa d’Almè, paesi con insegne enogastronomiche d’eccellenza. Si pranza lì e poi, col trenino, via verso le montagne a respirare aria buona e riempirsi gli occhi di bellezze. Questa è solo l’ipotesi 1. Si potrebbe infatti partire da Bergamo e fermarsi più in quota, alla ricerca di una Polenta Taragna da raccontare ai nipotini al ritorno. Oppure, lungo i 41 chilometri del percorso, attrezzare un vagone ristorante come il Treno dei Sapori e servire Casoncelli e Coniglio al forno mentre si attraversa il Brembo su un ponte dalle arcate che profumano di leggenda. Mi accorgo che mi sto facendo del male da solo e quindi, caro Zilli, mi fermo qui. Ma le prometto, come disse Garibaldi a Francesco Nullo, che se torneremo a combattere, la vorrò assolutamente al mio fianco. Pier Carlo Capozzi


maggio 2013

IL PERSONAGGIO Tiziana Stefanelli, avvocato, vincitrice dell’ultima edizione di Masterchef, ha da poco pubblicato il suo primo libro di ricette. “Un mondo, quello dell’alta cucina, ancora monopolio maschile”

di Giordana Talamona

“In cucina faccio vincere fantasia e sperimentazione”

S

i può dire tutto di lei, tranne che lasci indifferente. Amata e odiata dai concorrenti di Masterchef Italia, Tiziana Stefanelli ha sbaragliato tutti vincendo la seconda edizione del talent cook più famoso della televisione, conclusasi a febbraio. Avvocato dello studio legale “Stefanelli & partners” di Roma, la vincitrice di Masterchef, grinta inconfondibile, ha tenuto testa in più di un’occasione persino a Carlo Cracco ed è da poco uscita col suo primo libro di ricette, “Avvocato in cucina. Le ricette di un’avventuriera del gusto”. “Il fil rouge di questo libro sono io, con i miei viaggi, la mia cultura - spiega la mia esperienza, i ristoranti dove ho mangiato e, chiaramente in primis, la mia passione per la cucina”. Un amore per la buona tavola che, smessi il tailleur e la toga, non si esaurisce tra le quattro mura domestiche, ma che si esprime come cuoca a domicilio. “Per ora sto proponendo i piatti del mio libro - racconta - dal risotto all’astice con rose e agrumi, al riso venere con spuma di cavolfiore e porro fritto croccante, sino al trancio di salmone al tè al bergamotto con fava di tonka”. Tutti piatti complessi, certamente non da tutti i giorni, anche se la Stefanelli non ha dubbi sul fatto che si possano nobilitare ricette ben più semplici. “A volte basta pochissimo, ma occorre avere fantasia e voglia di sperimentare - evidenzia -. In una ricetta semplice come la pasta ai fiori di zucca, si può uti-

lizzare della bottarga in sostituzione del filetto d’alici, arricchendo la preparazione con zeste di limone e una dadolata di pomodori ramati a crudo. Et voilà, il gioco è fatto”. Ma nonostante il sacro fuoco della cucina bruci dentro di lei, la Stefanelli non pensa minimamente di lasciare il proprio lavoro, come aveva fatto il primo vincitore di Mastechef, Spyros Theodoridis. “Continuerò a fare l’avvocato, anche se il mondo della ristorazione mi attira molto - ammette -. Vedremo cosa succederà in futuro, ma credo che potrei conciliare entrambe le passioni”. Un’esperienza, quella di Masterchef, che l’ha assorbita totalmente per due mesi perché, dice, “per realizzare una sola puntata, le registrazione andavano avanti per tutta la settimana, senza tempi morti. Anche per questo,

quando mi hanno selezionata ho voluto parlarne con la mia famiglia e i miei collaboratori per essere certa che tutto fosse gestibile anche in mia assenza”. E sulla pressione di dover tenere il segreto per sette mesi sulla sua vittoria al programma, ironizza: “Sono un avvocato, quindi sono abituata a tenere segreti. L’ho detto soltanto alla mia famiglia e ad altre persone di fiducia”. Una sfida con se stessa, prima che con gli altri, che l’ha arricchita anche grazie al rapporto quotidiano con i tre giudici. “Da Bastianich ho imparato ad avere uno sguardo imprenditoriale quando cucino, senza mettere a tutti i costi troppi soldi nel piatto, per non renderli antieconomici in un ristorante - continua -. Dallo chef Barbieri ho imparato a impiattare, mentre dallo chef Cracco ho carpito tanti segreti, non ultimo come tagliare bene il petto d’anatra”. Un mondo, quello dell’alta cucina, ancora monopolio maschile, che lascia pochissimo tempo per la famiglia. “È per questo che ci sono poche donne tra gli chef di livello - commenta -. Questo è un lavoro che assorbe completamente, non ci sono feste comandate o tempo per sé. Per questo le donne, che generalmente cercano di avere una famiglia oltre a fare carriera, sono ancora poche”. Ma se le chiedete quale chef donna vedrebbe al posto di uno dei giudici di Masterchef, dopo una breve incertezza risponde, tra l’ironico e il divertito: “Forse potrei andar bene io, non le pare?”.

Tiziana Stefanelli

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“Campionato italiano del gusto”, l’Accademia del Gusto vince a Udine A

llo Stadio Friuli, l’Atalanta è stata beffata da una doppietta di Totò Di Natale, ma Bergamo, con l’Accademia del Gusto, ha conquistato il podio nazionale con lo chef Emanuele Poli. Dopo 13 sfide ai fornelli e ricette che hanno visto come protagonisti grandi chef di veri e propri templi della tradizione culinaria italiana, la finalissima del “Campionato italiano del gusto” ha visto lo scontro diretto tra Udinese e Atalanta. L’evento - organizzato da Turismo Friuli Venezia Giulia in collaborazione con la Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) lombarda e friulana e con il club bianconero - per l’ultimo match ha chiamato in cucina per l’Udinese il ristorante Rosenbar di Gorizia con la lady chef Michela Fabbro. La chef dell’Udinese ha proposto alla giuria un “Piatto di Primavera”, una composizione di erbe selvatiche ed altri ingredienti che in un’unica ricetta ha raccontato un intero territorio grazie alla presenza di diversi asparagi (bianchi di Savogna, verdi di Fossalon, selvatici, luppolo e pungitopo), di una polpetta di ortica e ricotta, una frittata di uova ed erbe spontanee e un soufflé di formaggio Tabor e Jamar del Carso con sclopit croccante. Alla ricetta friulana, lo chef Emanuele Poli ha risposto con la tradizione bergamasca, rivisitata in chiave moderna, cucinando una “Lombata di coniglio con farcia profumata al tartufo nero, con crema di polenta gialla e salsa Strachitunt”. Nella cucina bergamasca, tradizionalmente, il coni-

glio accompagnato dalla polenta gialla è un piatto della domenica, che in questa ricetta viene riscoperto con un’interpretazione creativa. La lombata di coniglio, adagiata su una salsa creata da una riduzione di Moscato di Scanzo, è stata abbinata ad una spuma allo Strachitunt; a decorare il piatto un gustoso casoncello fritto nello strutto ed una cialda di patata croccante. “Sono state due ore di lavoro intenso prima del calcio d’inizio del match calcistico - spiega lo chef che ha portato Bergamo a vincere il campionato -. Abbiamo cucinato per oltre quaranta persone e, in una sfida all’ultimo secondo, siamo riusciti a conquistare la giuria di esperti con il gusto della tradizione, impiegando tecniche moderne, come il sifone utilizzato per dare forma e leggerezza ad un’eterea spuma capace di esaltare il gusto dello Strachitunt”. Una vittoria che premia il nostro territorio e valorizza anche fuori provincia l’Accademia del Gusto, centro d’eccellenza di Ascom per la formazione permanente dei professionisti del settore Horeca: “Hanno vinto con noi Bergamo e la tradizione - sottolinea Daniela Nezosi, responsabile formazione dell’Associazione Commercianti e direttrice dell’Accademia -. La ricetta rivisitata in chiave moderna, che rappresenta per antonomasia la nostra cucina, dalla polenta al coniglio ai casoncelli, e i prodotti del nostro territorio, dal Moscato di Scanzo allo strachitunt, ha conquistato la giuria d’esperti”.

Il piatto di Emanuele Poli, foto di Fabrice Gallina

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NEWS DAL 30 MAGGIO AL 2 GIUGNO

Taste of Milano, 14 ristoranti in un solo evento

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aste of Milano è la manifestazione che permette di scegliere a piacere tra i piatti (in tutto 36 proposte) di 14 top ristoranti (10 milanesi e quattro scelti dalla prestigiosa associazione dei Jeunes Restaurateurs d’Europe) ad un costo per piatto di 4, 5 o 6 euro. Non ci si siede in un unico ristorante ma si visitano le postazioni componendo a piacere il proprio menù e sedendosi nelle aree relax & design. La quarta edizione è in programma dal 30 maggio al 2 giugno e, rispetto alle precedenti ambientazioni all’aperto, si propone in uno spazio indoor, Superstudio Più di via Tortona, la cittadella della creatività che produce e ospita grandi eventi di moda, design e arte contemporanea. Il programma delle giornate è davvero intenso e prevede showcooking, degustazioni, blind taste, workshop, cake design e presentazioni, capaci di rispondere ai più diversi interessi in campo enogastronomico. C’è anche una selezione di prodotti da acquistare, il tutto accompagnato da musica e DJ set. Varie le formule d’ingresso. Info: www.tasteofmilano.it

DAL 7 AL 9 GIUGNO Vini rosati in passerella a Moniga del Garda I vini rosati tornano protagonisti a Moniga del Garda, città sulla sponda bresciana patria del Chiaretto, per Italia in Rosa, manifestazione che presenta più di cento rosè selezionati in degustazione libera. L’appuntamento è da venerdì 7 a domenica 9 giugno nella seicentesca Villa Bertanzi, nel centro storico del paese. Al costo di 10 euro (sconto del 50% per i soci Onav, Ais e Fisar) si riceveranno bicchiere da degustazione e tasca portabicchiere e sarà possibile degustare tutti i vini presenti in manifestazione e accedere, su prenotazione, a degustazioni guidate tematiche. Sabato pomeriggio c’è la possibilità per gli addetti ai lavori di confrontarsi in un convegno. A tutti i visitatori sarà consegnato un breve questionario chiedendo di indicare i tre vini assaggiati più piacevoli. I più votati riceveranno un “attestato per la piacevolezza”, mentre una giuria di grafici ed esperti di comunicazione premierà le tre migliori etichette. Info: www.italiainrosa.it

Vignaioli Bergamaschi, rinnovati i vertici Marco Bernardi, dell’azienda vitivinicola La Tordela, è il nuovo presidente dei Vignaioli Bergamaschi, la cooperativa agricola che riunisce 22 aziende e si occupa prevalentemente di assistenza alla vendita in Italia e all’estero. Succede a Bonaventura Grumelli Pedrocca, presidente dell’organizzazione sin dalla fondazione, avvenuta nel 2007. Giovanni De Ferrari (Lurani Cernuschi) è il vicepresidente. Entrambi sono stati scelti all’unanimità dal nuovo Consiglio di Amministrazione, eletto dall’assemblea dei soci il 13 maggio scorso. Con il rinnovo delle cariche è stata decisa la riduzione del numero dei consiglieri, che passano da 11 a 7, con l’obiettivo di snellire la funzionalità della cooperativa. Oltre a Bernardi e De Ferrari, sono stati eletti Michela Moretti (La Rovere), Maurizio Cavalli (Faletti Cavalli), Pietro Umberto Lussana (azienda agricola Il Castelletto, in rappresentanza della Cantina Sociale Bergamasca), Diego Locatelli (Locatelli Caffi) e Marco Plebani (Il Calepino). Nella foto: il nuovo presidente Marco Bernardi è il terzo da sinistra, lo affiancano il presidente uscente Grumelli Pedrocca e il vicepresidente De Ferrari

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Focus

di Anna Facci

Il gusto della solidarietà

La crisi del lavoro sta spingendo cooperative sociali e associazioni a creare in proprio opportunità di inserimento per le persone svantaggiate. Agricoltura (biologica) e ristorazione sono considerati campi interessanti per mettersi alla prova. Vi raccontiamo qualche esperienza

Cooperativa Aeper Villa d’Almè, il locale che «In passato sono stato aiutato, oggi che ho un’esperienza e una passione da mettere in campo ho pensato di ricambiare, dando una mano a ragazzi in difficoltà come ero io». La Locanda dei Golosi, aperta dallo scorso 21 marzo a Villa d’Almè, nasce dall’incontro tra questa speciale sensibilità del giovane chef, Michele Marchesi Patera, 23 anni, e la cooperativa sociale Aeper, che si occupa di persone in situazioni di svantaggio sociale. Il locale si trova in via Ronco Basso ed è parte di un complesso che fa capo ad un’altra cooperativa sociale (vedi la scheda su Oikos), sistemato «come piaceva a noi», dagli stessi ragazzi che poi vi avrebbero lavorato, con l’aiuto di volontari. «Con Michele era già partita una collaborazione per realizzare servizi di catering – rileva la presidente dell’Aeper Judith Tasca -, questo progetto è un passo in avanti, che rispon de anche alle crescenti difficoltà di trovare spazio e potersi sperimentare nel mondo del lavoro». È pensato come «un’opportunità di inserimento lavorativo di giovani di talento» e non è solo uno slogan perché giovani lo sono per davvero, visto che l’età media è 19 anni, ed è pure assicurata loro la possibilità di mettere in gioco idee

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ed abilità. «In un mondo in cui al primo inciampo si è fuori – nota la presidente - qui ci si può permettere anche di sbagliare e imparare dai propri errori. Se il pan di Spagna


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Oikos Fiore all’occhiello è il vino biologico La cooperativa sociale Oikos è l’ultima nata – nel 2000 – all’interno di un’esperienza di cooperazione partita alla fine degli anni Ottanta nell’area di Almé e Villa d’Almè ed è andata ad integrare con l’agricoltura le attività delle altre strutture, impegnate nella gestione di comunità di accoglienza, esperienze di convivenza, lavoro di persone disabili o disagiate. Si è dedicata, in particolare, al vigneto sulla collina dietro la sede, in via Ronco Basso a Villa d’Almè, un complesso che oltre alle case di accoglienza comprende un ristorante, da poco affidato in gestione alla cooperativa Aeper (vedi scheda sotto). «Abbiamo cominciato con meno di un ettaro di vigna – ricorda il vicepresidente Enrico Gotti –, oggi sono diventati 2 ettari e mezzo ai quali si aggiunge quasi un altro ettaro in territorio di Brembate. La produzione sta cominciando ad essere interessante e ci viene riconosciuta anche una certa qualità». Sin dall’inizio si è scelta la strada del biologico. Vengono coltivate uve Merlot e Cabernet e prodotti, sotto le direttive dell’enologo Angelo Divittini, nella propria can-

tina due Valcalepio Doc, “Del Ronco” e una speciale selezione denominata “Cuore”, e un Merlot della Bergamasca Igt sempre biologico, che viene venduto sfuso e in bag. L’ultima produzione si attesta sulle 8mila bottiglie alle quali si aggiungono circa 3mila litri di vino sfuso. La rete di vendita si è creata spontaneamente tra i negozi del commercio equo e solidale, i Gas e i locali che fanno attenzione ad aspetti come il biologico e il chilometro zero. Per offrire altre opportunità di lavoro (sul vino è impegnata una persona più due inserimenti), la cooperativa, che impiega nel complesso una ventina di persone, ha esteso l’attività alla cura del verde e più recentemente alle pulizie. «La diversificazione – spiega Gotti – è fondamentale perché amplia le occasioni di inserimento in funzione del disagio, il lavoro in vigna, libero e all’aperto, ha però per noi un valore specifico, perché ci dà la possibilità di valutare meglio le attitudini e le potenzialità delle persone». Il vino resta il biglietto da visita della Oikos e lo sviluppo prosegue. La cooperativa si è infatti aggiudicata recentemente il bando del Comune di Mozzo per la gestione di un vigneto

dà lavoro a giovani DI talentO è bruciato, semplicemente si rifà». Nel locale sono impegnate nove persone, tra cucina, sala e il laboratorio in cui si realizzano in proprio paste fresche, pane, cracker, grissini e dolci, che oltre a dare una marcia in più alla proposta gastronomica rappresenta un ulteriore banco di prova per saggiare le inclinazioni. La Locanda offre 120 coperti, una speciale attenzione alle famiglie con bambini - grazie ad una sala dedicata e ad uno spazio all’aperto - e ai prodotti a filiera corta e solidali. A mezzogiorno c’è il menù a prezzo fisso. Lo chef Marchesi Patera ha già collezionato una serie di esperienze di livello e continua a collaborare come assistente tecnico ai corsi dell’Abf. «Abbiamo scelto di puntare su una proposta semplice ma di sostanza – spiega -, piatti curati, con le giuste cotture, puliti e comprensibili, senza azzardare negli abbinamenti o nelle lavorazioni, in modo che chi legge la carta sappia già cosa aspettarsi». Si va dalla carne al pesce, ai piatti vegetariani e per celiaci, senza dimenticare la tradizione bergamasca. I dolci, e non poteva essere diversamente visto il “golosi” dell’insegna, godono di una particolare

attenzione. Caratteristico è infatti il buffet che può arrivare ad ospitare fino a 32 varietà diverse di dessert al quale si può attingere liberamente, al costo di 5 euro, che si affianca alle proposte al tavolo come la crème brûlée al cioccolato bianco, la crepe suzette ai lamponi o il flan di cioccolato. «Dopo aver appreso le basi e fatto esperienza – dice lo chef -, sentivo il bisogno di cavarmela da solo, di mettere in gioco le mie capacità e la mia inventiva, ma anche di crescere con gli altri, scambiando idee e gusti. Mi interessano tutti gli aspetti dell’attività, anche la sala e l’arredamento, sono pignolo, l’obiettivo è migliorare sempre». «Nei confronti dell’esterno – aggiunge Judith Tasca – vogliamo semplicemente offrire buoni piatti e un buon servizio. Se poi qualcuno ci chiede della nostra storia e la giudica un valore in più non può che essere positivo». via Ronco Basso, 13 Villa d’Almè tel. 035 19911082 www.cooperativaaeper.it

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focus

Oikos di oltre cinque ettari in un’area che diventerà la porta Ovest del Parco dei Colli. La gara è stata vinta in associazione con altre due cooperative che cureranno invece il ristoro, l’accoglienza e l’animazione. «Per la conversione al biologico serviranno tre anni – nota il vicepresidente – ci vorrà quindi ancora del tempo. Dobbiamo ammettere che fino ad ora l’attività vitivinicola ha avuto più costi che ricavi, l’auspicio è ovviamente che con l’aumento della produzione diventi una realtà capace di sostenersi da sola». La cooperativa è anche Fattoria Didattica e cura con particolare attenzione le relazioni con il territorio. Quest’anno ha anche concluso un percorso didattico tra vigna e bosco accessibile anche ai disabili.

via Ronco Basso, 13 Villa d’Almè tel. 035.635029 www.oikoscoop.it

Opera Bonomelli

La cooperativa Ca’ Al del Mans, in località Valle del Manzo, tra Serina e Lepreno, nasce negli anni Novanta da un gruppo spontaneo di persone che vogliono realizzare gesti concreti di solidarietà e che ancora oggi si ritrovano in azienda ogni prima domenica del mese per lavorare insieme. Diventata cooperativa sociale nel ’97 e successivamente riorganizzata, continua ad occuparsi di agricoltura biologica, considerata un settore che consente a soci, volontari e persone con disagio di misurarsi con se stessi e con la natura, oltre che una pratica rispettosa della salute e dell’ambiente. Attua inserimenti lavorativi e attività di ospitalità e formazione, è anche Fattoria Didattica. Nei due ettari di terreno in campo aperto e nei 5mila metri quadrati di serre produce numerose varietà di ortaggi - patate, carote, pomodori, zucchine, melanzane, peperoni – che hanno trovato spazio in alcuni dei punti di riferimento per

Al Villaggio degli Sposi la

È pensato come un’occasione di incontro con il territorio oltre che come opportunità di lavoro il BiOrto creato dal Nuovo albergo popolare, la struttura di accoglienza e reinserimento dell’Associazione Opera Bonomelli, che si occupa di persone in strada, sfrattate, sole, senza lavoro, con problemi di dipendenza. I canali di vendita della produzione biologica realizzata nei due ettari di terreno al Villaggio degli Sposi, a Bergamo, vogliono infatti essere i più diretti possibile, al punto che si può persino riempire la borsa della spesa sul campo, raccogliendo da sé gli ortaggi, che, quindi, più freschi di così non potrebbero essere. «Il progetto è partito nel 2011 – racconta il direttore del Nap Giacomo Invernizzi – con l’obiettivo di dare opportunità ai nostri ospiti, anche in considerazione delle maggiori difficoltà di collocamento dovute alla crisi». La scelta del settore agricolo ha diverse motivazioni. «Intanto è un comparto che, rispetto ad altri, tiene, che offre perciò maggiori chance anche in prospettiva a chi fa esperienza nell’orto – rileva –, ma soprattutto è funzionale trasmettere all’estero alcuni valori che la struttura ha fatto propri, come l’attenzione alla sostenibilità e all’accesso alle risorse. In più lo fa in città, in

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Dopo gli ortaggi

un contesto che fino ad oggi si pensava destinato solo a capannoni e ad immobili residenziali, un’area dismessa che viene recuperata e dà frutti, diventando così anche una metafora di svolta e rinascita». Sul campo, concesso in comodato da un agricoltore che ha cessato l’attività, i lavori sono coordinati da un agronomo


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Ca’ Al del Mans anche mele e noci l’alimentazione biologica e salutistica, come le cooperative Il Sole e la Terra di Bergamo, Aretè di Torre Boldone e alcuni i ristoranti e punti vendita Un Punto Macrobiotico. La cooperativa ha anche un proprio negozio a Serina, aperto tutti i giorni, in cui oltre alla propria produzione vende altri prodotti bio e del commercio equo e solidale. La produzione si aggira sugli ottocento quintali l’anno di ortaggi, con una segnalazione speciale per le carote, che possono contare su un terreno ideale. «I campi danno lavoro ad una persona fissa – racconta Adriano Carrara responsabile della produzione biologica – e a due stagionali da maggio ad ottobre. Abbiamo inoltre una socia che lavora part time nel negozio e una segretaria, anch’essa part time, il resto è soprattutto volontariato. Attualmente stiamo fornendo un tirocinio formativo ad un rifugiato politico, collaboriamo inoltre con una comunità di malati psichici e riceviamo le persone proposte da enti, associazioni e Asl». «Per quanto riguarda la produzione, stiamo

cercando di diversificare – aggiunge –, in modo da aumentare le varietà a disposizione e ridurre i rischi se una stagione va male per qualche coltura. Abbiamo un frutteto con 600 piante di mela ed impiantato un centinaio di noci che entreranno in produzione tra quattro o cinque anni. Quest’ultima scelta deriva dal fatto che la maggior parte delle noci arriva oggi dalla Francia ed abbiamo constato la richiesta di produzioni biologiche italiane»

località Valle del Manzo Serina tel. 0345 66152 www.caaldelmans.com

spesa si raccoglie sul campo e da un educatore e sono impegnate part-time quattro persone. In questi due anni di attività sono stati coinvolti anche volontari e attraverso i buoni lavoro sono state offerte possibilità di reddito ad alcune persone fragili segnalate dalla parrocchia del Villaggio, con cui si è realizzata una stretta collaborazione. La coltivazione - 2.500 mq di serra, il resto in campo aperto - è biologica e segue strettamente le stagioni. «In questi giorni – spiega Invernizzi - sono pronte le prime zucchine, poi toccherà alle insalate, ai pomodori, mentre nei mesi invernali la produzione è naturalmente più limitata, spinaci, erbette, cavoli, verze, porri». Tra le altre modalità innovative di vendita, c’è quella della cassetta “cieca”. Il cliente può cioè scegliere la “taglia” della spesa, 8 o 12 euro, e ricevere ogni settimana una selezione delle varietà a disposizione nel periodo, una formula che ha raggiunto le famiglie anche grazie alla collaborazione con alcune scuole. Ci sono poi le forniture ai Gruppi di acquisto solidale, ad un gruppo della Cgil, la bancarella tutti i sabati davanti al chiesa di San Giuseppe del Villaggio degli Sposi e in centro città, al piazzale Alpini, un sabato al mese per l’appuntamento organizzato da Mercato&Cittadinanza. La vendita sul campo,

in via Guerrazzi angolo via delle Cave, cogliendo da soli le verdure o facendosi, più tradizionalmente, servire avviene tutte le mattine. «È l’aspetto su cui puntiamo di più – fa notare il direttore del Nap – perché favorisce i rapporti e la comunicazione e questo, per persone che vengono da esperienze di marginalità, è un valore aggiunto. In più la raccolta diretta ci fa risparmiare tempo, migliorando la sostenibilità economica dell’attività». Proprio per rendere più accogliente e funzionale gli spazi di vendita sarà presto realizzata una casetta, mentre il passo successivo potrebbe essere una cella per gestire meglio i raccolti. Per l’avvio, il progetto ha potuto contare su dei finanziamenti da parte della Fondazione Mia e della Fondazione della Comunità bergamasca. «L’obiettivo – dice Invernizzi – è lavorare bene per fare in modo che l’attività sia sostenibile, di aumentare la produzione e le possibilità di inserimento».

via Guerrazzi, angolo via della Cave Bergamo tel. 035 319800 www.operabonomelli.it

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news

A ritirare il riconoscimento in memoria del giornalista bergamasco è stato don Luigi Ciotti

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A “Libera Terra” il Premio Arrigoni stato don Luigi Ciotti a ritirare a nome di Libera Terra il premio in memoria del giornalista bergamasco Francesco Arrigoni, scomparso a 51 anni il 2 agosto del 2011. La consegna è avvenuta il 4 maggio scorso, giorno del compleanno di Francesco, in Franciacorta, nel monastero di San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo. Il riconoscimento si prefigge ogni anno di valorizzare un’iniziativa contraddistinta da una forte valenza etica nell’ambito dell’enogastronomia. Per la prima edizione la giuria, presieduta da Antonella Colleoni, moglie di Francesco, e composta dal suo primogenito Dante e da alcuni amici di Arrigoni, tra i quali il giornalista Gianni Mura, ha scelto un’impresa che rappresenta precisamente quella che fu la sua visione etica di giornalista strenuamente legato alla terra. L’intento è di premiare l’attività di Libera Terra, associazione nata con l’obiettivo di valorizzare territori stupendi, ma difficili, partendo dal recupero sociale e

produttivo dei beni confiscati alla criminalità organizzata, con lo scopo di ottenere prodotti di alta qualità rispettando l’ambiente e la dignità della persona (www.liberaterra.it) Il premio consiste in 5mila euro e in un oggetto artistico realizzato dalla Scuola d’Arti e Mestieri F. Ricchino di Rovato, ogni anno diverso ma con tre caratteristiche fisse: un pezzo di roccia, a ricordare la passione di Francesco per la montagna e le arrampicate, un cuore a ricordare la sua generosità (fino all’espianto degli organi) e la sua passione civile. E qualcosa che spunta dalla roccia, forse una vite, perché gli uomini possono morire, le idee no, sono come semi, portati dal vento o dagli uomini di buona volontà. Il Premio 2013 è opera della giovane artista Carolina Garoffoli, 17enne rovatese, allieva della Ricchino, vincitrice del concorso regionale aperto agli allievi dei principali istituti artistici lombardi.

Francesco Arrigoni, giornalista bergamasco di schiena dritta, ha avuto una vita breve ma ha saputo riempirla di cose buone e giuste. Allievo di Luigi Veronelli, fondatore e direttore del Seminario Veronelli, è passato alle pagine del Gambero Rosso e poi, negli ultimi dieci anni, a quelle del Corriere della Sera. Ha scritto di vini e cibi non per hobby, ma per profonda passione e competenza: è stato cuoco, ha lavorato le vigne. Come molti di quelli che amano la terra, ha coltivato una visione etica. Lo accompagnava la fama di avere un brutto carattere, condivisa con quelli che hanno un carattere che brutto non è, ma forte, serio, allergico a lusinghe e tentazioni, contrario a mode, sguaiataggini e violazioni, assai frequenti nel mondo del mangiare e bere. Non gli piaceva stare in prima fila sotto i riflettori, piuttosto in un angolo, ma illuminato dalla sua competenza e coerenza, oltre che dalla stima degli addetti ai lavori.


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I sensi

di Laura Bernardi Locatelli

Buon olfatto non mente

L

Mentre la vista inganna, di fronte a un piatto, un vino, un salume o un formaggio il naso non tradisce e permette di cogliere le sfumature più complesse e di riconoscere difetti e imperfezioni a vista domina anche in cucina e gastronomia, con piatti sempre più scenografici ed estetici, formaggi e salumi sempre più perfetti e vini dalle bottiglie scultoree. Eppure è il senso più effimero, ingannevole ed

illusorio, non a caso spesso escluso per sfidare la propria abilità nella degustazione. L’olfatto invece non mente e permette di cogliere sfumature complesse, oltre che riconoscere difetti e imperfezioni. Ma

anche in questo campo l’industria si ingegna, instillando profumi e aromi nelle vaschette di salumi e rendendo meno caratteristici i sentori ircini dei caprini e i profumi intensi del pecorino.

Il critico Raspelli: ‹‹Nella cucina di oggi profumi meno rilevanti di un tempo›› Il suo olfatto e gusto valgono un miliardo delle vecchie lire, cifra fissata in caso di risarcimento dalla Reale Mutua Assicurazioni con cui ha stipulato diversi anni fa la singolare polizza. Eppure Edoardo Raspelli ha vissuto gran parte della sua infanzia al riparo dai profumi più caratteristici della cucina, dal soffritto all’aglio, dal prezzemolo al pomodoro, dal finocchio al basilico, che suo padre Giuseppe, dirigente all’Ospedale Maggiore di Milano, non sopportava. “Abitavamo nel quartiere popolare tra l’Ortica e Città Studi, in un palazzo di dieci piani e mio padre rientrava a casa col fazzoletto intorno al naso per sopravvivere ai profumi delle cucine che si riversavano nelle scale e nei corridoi, che gli davaEdoardo Raspelli no letteralmente il voltastomaco”. Ad aprire le narici con tutte le sfumature e i profumi della cucina è stata la zia Fania, che aveva trasformato la sua villa sul lago di Garda, a Gargnano, in un ristorante relais, dove si rifugiava con la mamma e il fratellino per sfuggire all’isolazionismo olfattivo che regnava nell’appartamento milanese. “Vista e gusto sono importanti, ma l’olfatto vale l’80% della degustazione. Ricordo mia nonna Carmela che mi tappava il naso da bambino per non farmi sentire l’odore ripugnante dell’olio di ricino che mi costringeva a trangugiare. Per giudicare la bontà

di un olio extravergine la vista non conta, ma l’olfatto è fondamentale, mentre cibo e vino prima si guardano e poi si annusano. Le nuove tecniche di cottura regalano piatti più raffinati, ma nella cucina di oggi i profumi sono meno rilevanti di un tempo”. I profumi sono svaniti non solo nel piatto: “Riconosco a naso il porto di Palermo, sono invaso dal profumo della macchia quando scendo i primi scalini all’aeroporto di Cagliari, mentre il nostro di Linate non sa davvero di niente. Ormai è rarissimo anche sentire il soffritto d’aglio, che non fa più nessuno. Abbiamo talmente perso i profumi e gli odori della campagna che nelle mie incursioni con Mela Verde perfino l’odore dello stallatico diventa buono. Poi certo in natura ci sono odori terribili: non dimentico quello della lana succida”. Gli errori in cucina non mancano: “I piatti decorati con il pepe o già conditi con il grana violentano il piatto e ne falsano i profumi. Si è perso poi il gusto della mozzarella di bufala, per non parlare del pesce che non sa più di pesce. Adoro i gamberi rossi di Sicilia crudi quanto non amo le mazzancolle”. Raspelli non sopporta in assoluto la tendenza a soffocare e cercare di coprire con profumi gli odori: “Come dicono in Veneto, l’è pèso el tacòn del buso (è peggio la toppa del buco).

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I SENSI

L’esperto Onas

Marchetti: ‹‹Nei salumi solo grazie al

Il critico Detesto i deodoranti chimici usati nei bagni dei ristoranti, come le bustine profumate al limone artificiale portate a tavola. Per non parlare dei profumi artificiali troppo forti e del personale in sala che lascia la scia”. Due piatti su tutti conquistano il suo naso: “Il profumo di mare unico del gambero rosso di Sicilia nudo e crudo e quello di verza, maiale - dal musetto al piedino, all’orecchio - tradizione della casola”. Da bravo giornalista, nato come cronista di nera, semplifica le migliaia di note e sfumature indicate nei manuali, gli stessi che ha studiato per il diploma Ais: “Io sono per la concretezza: non bisogna incartarsi con sofismi inutili. Mi viene sempre da sorridere quanto sento i sommelier trovare chissà quali sfumature. Mi ricordano molto gli sketch di Antonio Albanese”. Altrettanto tranchant sulla cucina tutta estetica e niente sostanza: “Sono troppi i cuochi che cazzeggiano scopiazzando ricette e piatti qua e là, senza averne spesso la statura culinaria”.

Il delegato Onaf

Sommelier Ais, maestro assaggiatore Onaf ed esperto di salumi Onas, Marco Marchetti - erede di una tradizione nel commercio di alimentari e gastronomia, con un’esperienza alle spalle nel settore del catering, oggi gestisce la storica tabaccheria di Calcinate - invita chi si approccia alla degustazione ad aprire le narici e a non farsi abbindolare dalla vista: “Il degustatore neofita si sofferma sul maggior senso che è la vista, trascurando l’olfatto, che è fondamentale, anche se richiede un allenamento maggiore per cogliere appieno ogni sfumatura di un salume. Si spazia dalle sensazioni olfattive principali, maggiormente legate alla carne, al ventaglio di spezie ed erbe per arri-

vare a cogliere le caratteristiche del luogo di stagionatura e i sentori secondari sviluppati in seguito al processo di fermentazione”. Una sensazione comune nei salumi, non piacevole, è quella di rancido: “È segno di una stagionatura prolungata e rappresenta quasi sempre un difetto negli insaccati, anche se, ad esempio, ci può stare sulla cotenna di una pancetta non affumicata. È una caratteristica del Pata Negra, che pure costa 20 euro all’etto”. La stagionatura sprigiona le sensazioni olfattive: “Il prosciutto crudo di Parma o il culatello all’apice della loro bontà arrivano a regalare sentori di frutta secca, segno di un’ottima stagionatura che ha consentito di ultimare nel migliore dei modi la trasformazione degli acidi grassi. Un lardo eccezionale arriva a ricordare la nocciola tostata”. Quanto ai profumi di casa nostra, il salame bergamasco ha tratti ben definiti: “Ha un profumo animale e sentori che, in equilibrio, ricordano il vino e l’aglio, che non deve mai essere dominante, eccezion fat-

Signorelli: ‹‹A ogni formaggio il suo odore, ma occhio

Giulio Signorelli, guru dei formaggi, delegato Onaf oltre che docente all’Accademia del Gusto, sottolinea l’importanza dell’olfatto nel comparto alimentare che regala i profumi e gli odori più intensi: “I francesi hanno la puzza sotto il naso, eppure dicono che quello del formaggio è solo profumo. Gli affinatori e i casari vengono interpellati ad ogni legge, a differenza che in Italia, e i Camembert si vendono anche oltre cinquanta giorni dalla produzione perché è proprio in questa fase che si esprimono al meglio”. Profumi e odori non sono più quelli di un tempo, eccezion fatta per quelli d’alpeggio: “I caprini - rileva - hanno oggi un odore molto più neutro e conservano solo un lieve sentore ircino, altrimenti venderli sarebbe davvero difficile. Per neutralizzare l’odore caratteristico del pecorino sin dalla crosta vengono impiegate la pimaricina o altre sostanze e resine, tutta un’altra cosa è il pecorino avvolto in grasso di pecora che seleziono da piccoli produttori di Gavoi, dall’odore estremamente marcato”. L’era della plastica non aiuta: “I formaggi avvolti nel cellophane o sottovuoto sanno di Giulio Signorelli

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plastica. Una sensazione che ritrovo non appena taglio la prima fetta di una forma di Branzi prima di lasciarla finalmente respirare”. Eppure Signorelli, che aiutava il padre a scaricare e raschiare il taleggio sin da quando era poco più che un bambino, ha ritrovato gli stessi profumi: “Un mio fornitore ha cambiato negli anni tre magazzini di stagionatura, ma si è portato ogni volta dietro le sue muffe, mantenendo una costanza nella produzione che rappresenta il suo marchio di fabbrica. Il Formai de Mut d’alpeggio riporta ancora con l’olfatto in quota”. Le sensazioni olfattive sorprendono per la complessità, dalle note erbacee e lattiche a quelle di frutta e verdura: “Lo Strachitunt qualche volta sa di banana, il Salva cremasco stagionato cinque mesi - anziché i 75 giorni del disciplinare - sprigiona sentori di sottobosco unici. La mozzarella deve sapere di latte e specialmente quella di bufala, che deve sapere di muschio, dal colore porcellanato. Un gorgonzola eccelso arriva a sprigionare profumi che richiamano i funghi porcini. Le tome piemontesi, poco apprezzate dai bergamaschi, sviluppano nella stagionatura, grazie all’acaro che


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naso si smascherano i furbetti›› ta per il salame cremasco”. Se la vista rappresenta un senso spesso ingannevole, l’industria alimentare cerca di ingannare l’olfatto: “Nei salumi pre-incartati take-away che si acquistano al supermercato oltre ai soliti additivi, sono stati imprigionati nelle vaschette di plastica aromi artificiali per richiamare il profumo dei salumi affettati al momento”. E non finisce qui: “Nella maggior parte delle pancette tagliate a cubetti e pronte all’uso in comode vaschette finiscono i verri (suini da riproduzione, utilizzati principalmente per realizzare wurstel) i cui grassi conservano un sentore acre, che ricorda l’urina. È sempre e comunque - nel bene e nel male- la parte grassa di ogni carne che viene lavorata a conservare le caratteristiche olfattive e coi salumi sempre più magri si perde una buona fetta di gusto, per

non parlare dei profumi”. Per rendere l’idea di quanto la vista sia ingannevole, bastano alcuni esempi: “I nitrati danno una colorazione rosso brillante nei crudi e rosa nei cotti, la fetta di un salame industriale ha una tenuta eccelsa e non si frantuma come quella realizzata dal norcino, oltre ad avere una distribuzione del grasso quasi scientifica, davvero a pois, a differenza di quella artigianale. La vera bresaola ha una marezzatura della carne totalmente diversa, la stessa carne è più dura e meno dolce”. Di contro l’olfatto non solo non mente, ma smaschera i furbetti: “Mi è capitato di accorgermi di un salame stagionato assieme ai formaggi e di rilevare l’odore di fumo del camino in salami fatti asciugare di fronte alle braci accese. Ho infine beccato chi aveva ficcato nel salame la carne di verro”.

alla plastica›› “lavora” sulla crosta una sensazione che richiama la liquirizia. L’emmenthal invece sviluppa sentori agliacei conferiti dal fermento, cui deve l’occhiatura caratteristica (i “buchi”)”. E, ancora: “Le formaggelle e a volte lo stesso Branzi hanno un profumo acido che ricorda lo yogurt, mentre i formaggi freschi, come il primo sale, richiamano la panna e il latte. I formaggi a pasta semi-cotta dell’arco alpino, dalla Fontina al Branzi al Montasio, hanno sentori vegetali che vanno dalle note erbacee a quelle che richiamano verdure lesse, in particolare cavolfiore e piselli”. L’olfatto annusa in modo infallibile i difetti: “L’odore di ammoniaca sulla crosta è una caratteristica legata alla fermentazione degli enzimi del caglio dei formaggi a pasta cruda come taleggio e gorgonzola, ma se è troppo forte il risultato è un gusto troppo piccante. I formaggi della Val Camonica a volte hanno un odore marcescente, dovuto all’acaro che sotto la crosta forma delle bolle grosse e scure, segno di una stagionatura andata troppo oltre. Un sentore amaro è inoltre spesso indice di contaminazioni fecali, come lo stesso odore di stallatico”. Quanto alla moda di passare il formaggio nelle vinacce, Signorelli è categorico: “Non rispetta l’etica del lavoro del casaro e falsa gusto e olfatto, anche se appaga la vista, che è il senso più ingannevole. Basta provare a lasciare i formaggi, che non vanno mai gustati freddi, fuori dal frigo: il colore non sarà certo il massimo, ma il gusto è tutta un’altra cosa”.

La sommelier

Cesari: ‹‹Per capire un vino bisogna annusare il mondo che ci circonda››

L’olfatto è forse il senso più importante per la degustazione, ma negli ultimi anni si è persa l’abitudine a riconoscere profumi e odori: “È difficile ritrovare nel bicchiere il biancospino per chi non l’ha mai sentito o cogliere il profumo del giglio ed ancora individuare una delNives Cesari le molteplici note erbacee. Si è perso un contatto con la natura e con il territorio. Allenare il naso annusando il mondo che ci circonda e cambia di stagione in stagione è fondamentale per chi si avvicina alla degustazione di vini, in cui olfatto e retrolfatto giocano un ruolo cruciale - sottolinea Nives Cesari, delegata Ais Bergamo, tra le prime donne sommelier italiane -. Bisogna aprire di più le narici e memorizzare tutto per far riaffiorare poi ricordi e sensazioni”. Le tendenze del mercato evidenziano una propensione per i vini dal bouquet più profumato: “Conquistano i vini aromatici, fruttati, floreali e di facile beva. Più difficili da comprendere vini dalla struttura più complessa, passati in legno. Una tendenza confermata in larga misura dalla produzione di vini dall’impatto olfattivo accattivante”. Un naso allenato arriva a cogliere sfumature gradevoli e sgradevoli: “Cuoio, idrocarburi, ambra grigia, ceralacca, plastica ed un’ampia gamma di odori animali caratterizzano vini maturi e strutturati, liberati dal passaggio in legno e dall’ossidoriduzione in botte e in bottiglia. Una complessità di sensazioni olfattive, oltre che di gusto, che rappresentano una sfida anche per il naso più allenato, che riesce a distinguere sfumature diverse da un’annata all’altra. Ai meno esperti possono sembrare odori sgradevoli, per questo va ricreata un’associazione piacevole con il vino, attraverso le sensazioni e le emozioni che l’assaggio regala”. La sensibilità femminile aiuta a decifrare i vini più criptici: “Le donne sono più abituate a riconoscere profumi ed odori ed hanno una maggiore sensibilità olfattiva. Ma la vera differenza la fa l’allenamento”. Il tappo, in compenso, lo riconoscono tutti: “È il difetto che si riconosce più frequentemente, anche se può essere confuso talvolta con la caratteristica del legno di un vino barricato. E su questo punto scattano puntualmente vere e proprie diatribe”. In commercio tra le essenze “nez du vin” vi sono ormai anche i difetti più frequenti riscontrabili nel vino per una valutazione in negativo: “Le essenze ricordano la maggior parte delle note che si possono ritrovare in un vino. Sono utili per ripescare informazioni olfattive dall’archivio della nostra memoria e per arricchirlo. Ma nulla è più efficace della realtà e della natura che ci circonda, una biblioteca a disposizione di tutti, tutta da sfogliare”.

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I SENSI

Santori, presidente di “De Gustibus Carnis”, spiega come riconoscere la bontà e la freschezza dei tagli bovini

Luigi Santori

di Rosanna Scardi

“Ma anche con la carne è bene affinare occhio e olfatto”

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on ci sono solo le degustazioni di vino, olio e caffè. Esiste oggi anche un metodo unico e oggettivo per giudicare la qualità e le caratteristiche organolettiche della carne attraverso l’analisi sensoriale. A idearlo e sperimentarlo sulla carne bovina sono gli esperti di “De gustibus carnis” che lo scorso mese si sono presentati all’incontro con i professionisti del settore promosso da Agripromo all’auditorium della Cassa Rurale a Treviglio. L’Istituto italiano assaggiatori carne è nato a Verona nel marzo del 2011 e ha sede a Torri del Benaco. A presiederlo, Luigi Santori, che da 35 anni gestisce la macelleria di famiglia a Brenzone. Qual è il primo accorgimento per valutare la carne? “La parola d’ordine è affidarsi ai sensi. La prima analisi avviene con la vista. La frollatura porta a un colore scuro, ma se il prodotto è fresco e la temperatura di conservazione è costante, rimane omogeneo. Se l’aspetto è quasi nero è indice di ossidazione. Significa che il pezzo è stato esposto

troppo all’aria, quindi non è fresco. Osservando si può controllare la fibra che costituisce la carne. Se è grossa mangerai una bistecca dura, se sottile sarà tenera. Vale il paragone con il culturista. Più l’animale è stato al pascolo, più avrà muscoli forti e carne dura. Meglio un bovino che ha vissuto anche nella stalla”. L’olfatto cosa permette di capire? “Odori sospetti, quali di farmaci, sostanze chimiche o di sotto vuoto, possono far pensare a una carne malata, malconservata o che abbia subito sbalzi di temperatura. Al contrario, si possono percepire profumi gradevoli, aromi di freschezza, vegetali, prova che l’animale ha brucato erba o fieno”. La ricerca scientifica sul sapore a cosa porta? “Insieme alle altre analisi, permette a un buon intenditore di arrivare a capire la provenienza dell’allevamento. Per esempio, la carne che viene dalla Germania, ha un colore più scuro, fibra più grossa, è più dura e molto

saporita. Quella spagnola ha un sapore delicato ed è apprezzata dai giovani. La carne irlandese è molto buona, ha un gusto particolare, ferroso, dovuto all’alimentazione di animali che spesso vivono allo stato brado, con una buona circolazione del sangue. Anche i capi italiani producono carne eccellente, basti pensare alla razza chianina, che fornisce la pregiata fiorentina, alta e di peso superiore al chilo, dal colore rosato, fibra sottile e sapidità unica”. Quali sono i parametri per valutare la carne cruda? “Se per la carne cotta prendiamo in esame un pezzo di girello, di uguale spessore e cucinato alla stessa temperatura, per la cruda analizziamo un carpaccio di fesa. Anche in questo caso, si comincia dall’intensità del colore, omogeneità, lucentezza, finezza della fibra”. C’è conoscenza del prodotto in Italia? “Assolutamente no. Ci si limita alla consistenza. Non si sa neppure distinguere tra nervature di grasso e tes-


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suto connettivo. Il grasso, chiamato marezzatura, deve essere bianco, se giallognolo è indice di un’alimentazione ricca di fieno. Si scioglie con la cottura, lasciando la giusta quantità di acqua nella carne, mantenendo la morbidezza e garantendone la succulenza. Al contrario, il tessuto connettivo diventa elastico e porterà a mangiare una bistecca stopposa come una suola di scarpe”. Un prezzo basso deve mettere in guardia il consumatore? “Il prezzo è importante. Un allevamento veloce con un’alimentazione forzata porta a una sovraproduzione di carne, che avrà un costo inferiore, ma anche una qualità minore, e spesso sarà insipida. È fondamentale rispettare il ciclo naturale dell’animale”. Alcune parti dell’animale sono rinomate, altre no, perché? “Esiste la qualità in qualunque taglio, non solo nel filetto. La differenza sta nella cottura. Anche il biancostato può essere ottimo, ma avendo una fibra grossa, va bollito a lungo come il brasato. Se si vuole una cottura veloce occorre acquistare una parte del muscolo o della coscia”. “De gustibus carnis” ha sede in Veneto, è possibile la creazione di una condotta lombarda? “Lo auspichiamo. Occorre convogliare la volontà di almeno una ventina di addetti ai lavori. In questo caso, visto il largo consumo, vorremmo standardizzare un procedimento per l’analisi della carne equina”. Come vede il futuro del macellaio? “Ho appreso le arti del mestiere da mio papà. Non aveva nessun metodo. A tredici anni mi portava nella stalla a osservare le forme dell’animale. E poi mi parlava delle razze, dell’importanza dell’alimentazione. Oggi mio figlio Carlo, che studia ingegneria alimentare, porta avanti con me la tradizione di famiglia. Una volta diffuse le nostre tecniche saremo capaci di dare spiegazioni in un linguaggio rinnovato e saremo una categopria più professionale. Ma l’età media dei macellai resta troppo alta. Vorrei che, oggi, un bambino di sei anni sognasse di fare questa professione, proprio come è successo a me”.

L’evento Tutti a Zanica per mettere alla prova le narici Il distretto del commercio Morus Alba celebra i cinque sensi nei comuni partner (Stezzano, Zanica, Orio al Serio, Grassobbio e Azzano), tra cui l’olfatto, protagonista martedì 18 giugno nelle piazze e nelle vie del centro storico di Zanica. Sarà ricreato un olfattorio con bancarelle tematiche con profumi ed essenze con tanto di nasotecnologie. La mostra di funghi “Fungomania” grazie agli esperti di micologia porterà i visitatori a sentire tutte le sfumature dei nostri boschi, mentre grazie alla “Signora delle erbe” la magia delle erbe aromatiche si avrà la sensazione di passeggiare per viottoli di campagna. L’evento offre anche momenti di spettacolo, dalla sensualità di passi di tango con l’immancabile rosa tra i denti al teatro con in scena “Profumo”, tratto dal romanzo di Patrick Suskind. Accompagneranno la giornata diverse iniziative tematiche: i “Bar Portici” e “Bar Pelis” offriranno degustazioni di diverse miscele di caffè; la “Caffetteria del Centro” si concentrerà sulla cantina con degustazioni enologiche; la “Pasticceria Morlacchi” aiuterà a riconoscere gli aromi naturali; “Il salumiere” grazie alla campagna “Comprannusamangia” darà ai clienti la possibilità di indovinare il peso di una mortadella e di portarla a casa; il “Panificio Stea” farà annusare - ma anche addentare - la fragranza del pane con il laboratorio ”Le mani in pasta”; La pizzeria “La voglia matta” sfiderà il naso dei clienti nell’indovinare il gusto di pizze e gelati con in palio tantissimi premi; la gelateria “Il Gioppino” illustrerà le sfumature di ogni ingrediente con l’iniziativa “Senti il profumo, assaggia il gelato”; il negozio di ortofrutta di Elena Valietti guiderà ai profumi delle aromatiche dentro e fuori dal piatto. Non mancano iniziative e proposte a sorpresa, al momento “top secret”. Per mettere alla prova davvero il proprio fiuto presso i ristoranti aderenti sono in palio moltissimi premi: non resta che annusare gli ingredienti. Raccogliendo inoltre gli scontrini in otto diversi negozi sarà possibile vincere buoni spesa da 50 euro.

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ENOnews

Il Cipresso, premiati due vini al concorso di Pramaggiore I

l Moscato di Scanzo Docg “Serafino” 2009 e il Valcalepio rosso riserva Doc “Bartolomeo” 2008 dell’azienda agricola Il Cipresso di Scanzorosciate hanno ottenuto il diploma di “Medaglia d’oro 2013” al 52esimo Concorso nazionale dei vini Docg, Doc e Igt di Pramaggiore (Ve), evento che si è svolto il 14 e 15 marzo scorsi. Una conferma per i vini dell’azienda

guida da Angelica Cuni che s’è affermata anche nelle passate edizioni. La mostra di Pramaggiore, la cui giuria è presieduta dall’enologo Giuseppe Martelli, è una delle più importanti del settore e rilascia distinzioni riconosciute nell’Unione europea. La cantina di Scanzo ha una produzione che attualmente si aggira sulle 20mila bottiglie tra Valcalepio bianco, Valcale-

pio rosso, Valcalepio rosso riserva, Moscato di Scanzo e Spumante rosso dolce. “Produciamo poche bottiglie - spiega Cuni, tra l’altro presidente del Consorzio di Tutela del Moscato di Scanzo - ma le facciamo puntando al massimo della qualità. E i diversi premi che ci vengono assegnati nei vari concorsi a cui partecipiamo, da Pramaggiore ad Ancona per arrivare al Vinitaly, ne sono una conferma”.

Villa Satèn, il 2004 l’annata più apprezzata

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o scorso 13 maggio s’è tenuta la XIX edizione di “Villa in Verticale”, l’immancabile appuntamento con i Franciacorta della maison Villa. In questa edizione, la tradizionale degustazione tecnica che ormai da un ventennio la Cantina organizza in via esclusiva per la stampa specializzata, la rete di vendita e i migliori clienti dell’azienda, ha visto come protagonista il raffinato Franciacorta Satèn Millesimato. In degustazione ben dieci annate, tra il 1996 e il 2009. Il Satèn è, senza dubbio, uno dei prodotti simbolo dell’azienda di Monticelli Brusati ed è quello che maggiormente rappresenta questa tipologia in tutto il panorama franciacortino. Ottenuto da uve Chardonnay 100% attraverso una vendemmia piuttosto anticipata che permette di ottenere un prodotto di giusta gradazione e acidità, preservandone al massimo i profumi floreali e fruttati, il Satèn Villa al palato si presenta avvolgente, suadente e setoso grazie al sapiente equilibrio tra il perlage di rara finezza, corpo e aromaticità tali da esaltare l’elegante struttura. Il finale ampio, intrigante e persistente evidenzia un’ottima corrispondenza olfattiva.

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Corrado Cugnasco ed Ermes Vianelli, rispettivamente enologo e responsabile della produzione, a cui è affidata la cura dell’intera filiera produttiva, dal vigneto alla cantina, hanno illustrato il percorso evolutivo che ha caratterizzato le diverse vendemmie negli anni di riferimento. La degustazione tecnica è stata invece guidata, come lo scorso, anno da Nicola Bonera, miglior sommelier d’Italia nel 2010, esperto conoscitore del territorio franciacortino, e da Dennis Metz miglior sommelier d’Italia in carica e vincitore dell’ultimo Premio Franciacorta, dopo una combattuta finale, svoltasi a dicembre a Milano. Durante la verticale, i partecipanti sono stati chiamati a valutare le diverse annate proposte esprimendo un punteggio in centesimi. Il millesimo che ha entusiasmato maggiormente è stato il 2004, una delle migliori annate del decennio, seguito dal 1996 e dal 2001. “La gioia più grande - commenta Roberta Bianchi, alla guida dell’azienda con il marito Paolo Pizziol - viene dalle parole che maggiormente ricorrono durante la degustazione: parole come emozione, eleganza, eccellenza. Sostantivi che si sono accentuati specialmente al termine della degustazione quando, all’insaputa degli ospiti, è stata servita una Selezione Satèn 2001”.


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IL PRODOTTO di Lara Abrati

Insalata, la busta che conquista La praticità dei prodotti di quarta gamma vince sull’attenzione al portafoglio, anche di questi tempi. Bergamo resta una capitale della produzione e, di fronte ad un mercato nazionale in contrazione e competitivo, guarda con sempre più attenzione all’export

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n questi ultimissimi anni, si sente molto parlare di agricoltura biologica, coltivazione estensiva, attenzione per il territorio e l’ambiente. Si sente anche l’esigenza di un apporto nutritivo più sano e leggero, in un mondo in cui la sedentarietà predomina e l’obesità è una patologia che inizia a fare paura già nei bambini. Il tempo libero è sempre meno, non tanto perché sia diminuito, quanto perché negli ultimi decenni lo svago ha assunto maggiore importanza rispetto a prima e sono aumentati gli stimoli a cui si è soggetti in ogni momento della giornata.

È in questo contesto che il consumatore esprime un bisogno che ad ora supera di gran lunga l’esigenza di un’alimentazione sana, slow, con un’attenzione particolare alla sostenibilità e al territorio: la velocità. Le verdure di quarta gamma hanno ormai preso il sopravvento. In tutte le catene della grande distribuzione si trovano insalate lavate, porzionate o spezzettate. Allo stesso modo sono reperibili nella distribuzione al dettaglio e sono molto utilizzate nella ristorazione, soprattutto in tavole calde e bar, per la preparazione delle sempre più richieste insalatone, ma non solo.

Il settore e i consumi Il mercato dei prodotti di IV gamma in dieci anni è cresciuto del 376%, attuando dei prezzi al consumatore finale 4 o 5 volte superiori rispetto alla I gamma (prodotto fresco tal quale). Se il prezzo al chilo di un’insalata fresca non lavorata si aggira tra 1 e 2 euro, quello dell’insalata di quarta gamma si attesta attorno ai 10 euro. Le private label della grande distribuzione detengono quote di mercato maggiori al 60% del totale prodotto. La superficie coltivata per i prodotti di IV gamma è di circa 6.500 ettari, la metà di questi sono ricoperti da serre dove si susseguono 5 o 6 cicli produttivi annuali. Gli occupati sono all’incirca 1.500, an-

che se questo dato rappresenta una sottostima certa. (Fonte: AopunoLombardia – Databank) Sul versante del consumo, il target di riferimento è giovane, medio-alto, con buona capacità di spesa. Per ovviare alla contrazione dei consumi e andare incontro alle nuove esigenze, si è assistito a rinnovate promozioni nella Gdo, anche per il lancio di nuove referenze e format. Accanto alle buste nei formati più tradizionali da 150 e 200 grammi, c’è anche il formato monodose da 50/80 grammi per un consumo personale o da complemento per altre verdure. La grande divisione fra le tipologie di buste si gioca fra

il monogusto (un’unica tipologia di insalata) e il mix. La seconda differenziazione in base alle caratteristiche: le insalate croccanti (come scarola, iceberg, lattuga) che restano le più diffuse e le tenere o baby leaf (rucola, valeriana, misticanza), vissute come più ricercate e sfiziose. Sono comparse anche grandi buste in formato famiglia da 250 grammi. Le buste mix tengono conto anche dei cromatismi e quindi radicchio rosso, pan di zucchero, indivia, rucola per comporre insalate gradevoli, oltre che al gusto, anche alla vista. Il prodotto di IV gamma non rappresenta un acquisto d’impulso: per l’80% degli acquirenti è infatti programmato.

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IL PRODOTTO Ratatouille

Le verdure, se acquistate tal quali, necessitano di pulizia, lavaggio e asciugatura. Operazioni che richiedono dispendio di tempo, appunto, libero. Ecco che per i consumatori le verdure già pronte all’uso hanno significati in linea con le esigenze del modo odierno di vivere e mangiare. Scegliendo un sacchetto di insalata lavata e conservata in atmosfera modificata si acquista “velocità”, “praticità”, “salute”, “benessere” e, di conseguenza, il tanto apprezzato “tempo libero”. La provincia di Bergamo, insieme a parte della provincia di Brescia e di Salerno, è diventata il punto maggiormente importante per la produzione di questa tipologia ortofrutticola. Si potrebbe osare di più, infatti negli ultimi venti anni il territorio pianeggiante bergamasco è stato in parte ricoperto dalle serre sotto cui vengono coltivate e re-impiantate di continuo le colture che poi verranno subito lavorate e confezionate per essere distribuite in tutta Italia e in molte zone europee. Che sia una delle produzioni agricole che caratterizzano il territorio bergamasco, ormai, è fuori dubbio. Basta recarsi sulle colline nelle zone di Carobbio degli Angeli, Chiuduno o Grumello del Monte e osservare la distesa pianeggiante che, nelle giornate soleggiate, si trasforma in uno specchio riflettente per via delle serre. La richiesta da parte dei consumatori resta alta e rimane un settore in salute, come del resto l’intero comparto dell’industria agroalimentare, che continua a registrare incrementi di fatturato soprattutto grazie alle esportazioni verso i paesi europei ed extraeuropei. Molte le realtà in provincia di Bergamo, molte anche quelle che, nel corso degli anni, si sono susseguite. In generale, grandi società si vedono confluire i prodotti coltivati dalle molteplici attività agricole, di impostazione sempre più industriale, vere e proprie “fabbriche di insalata”. Forte im-

pulso è stato dato da Bonduelle, multinazionale francese che nel 2001 ha acquisito Ortobell, impresa leader del settore. In questo modo lo stabilimento di San Paolo d’Argon è passato sotto il suo controllo. Molte altre le aziende bergamasche del comparto, i cui prodotti sono reperibili in molte zone d’Europa. Per citarne alcune, “Sab Ortofrutta”, che ha sede a Telgate, “Mioorto”, che ha sede a Carobbio degli Angeli, “Orto Bellina”, con sede a Gorlago, nata nel 2001 da uno dei due fratelli fondatori di Ortobell, e ancora, “Belgravia”, con sede ad Azzano San Paolo, e molte altre. Indubbiamente rappresentano in termini economici e occupazionali una grande potenzialità, sono infatti molte le persone impiegate nel settore e le piccole e medie aziende coinvolte nel processo. Decisiva per il successo di questo settore dell’industria agroalimentare è la Gdo, che con le sue private label domina incontrastata il mercato. Come in tutti i settori industriali, una delle nuove sfide delle imprese che producono o trasformano i prodotti classificati come IV gamma riguarda la sostenibilità. Infatti, ad esempio, sempre più aziende stanno dotando la propria gamma prodotti di speciali linee con la certificazione biologica. Oppure, stanno prestando una maggiore attenzione alla questione legata al packaging, a causa del quale vengono prodotte notevoli quantità di rifiuti plastici. A parte la sostenibilità, si cerca di offrire dei prodotti sempre più “user-friendly” e che permettano un veloce utilizzo. Si possono acquistare ad esempio monoporzioni di insalate con forchettine e condimenti da utilizzare a piacimento, come nel caso di Bonduelle che ha messo in commercio “Agita & Gusta”, linea di insalate in ben sette diverse tipologie, da gustare ovunque e in ogni momento della giornata.

Tutte le “gamme” dell’ortofrutta I prodotti di IV gamma sono prodotti freschi che hanno subito una minima lavorazione che ne ha lasciate intatte le sue qualità sensoriali e organolettiche. Infatti i prodotti vengono mondati, lavati e confezionati in atmosfera controllata. È molto importante, per la conservazione di questi prodotti, che venga mantenuta la catena del freddo e quindi che non siano sottoposti a sbalzi di temperatura. La permanenza in atmosfera controllata ne aumenta il tempo di conservazione, parametro indispensabile per un prodotto con caratteri e aspirazioni globali. I gamma: sono prodotti freschi, frutta o verdura, tal quali, che necessitano di essere puliti, lavati e mondati; II gamma: sono in genere i prodotti in scatola, come i pomodori pelati, i piselli in scatola o i fagioli; III gamma: è rappresentata dai prodotti surgelati; IV gamma: prodotti ortofrutticoli freschi e pronti all’uso; V gamma: prodotti freschi, non surgelati, che oltre ad essere stati puliti, lavati e mondati, sono stati precotti.

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Le aziende

Parlano Orto Bellina e Belgravia

‹‹Le nuove frontiere sono il biologico e l’export›› La corsa del settore registrata dal debutto in poi oggi si confronta, per forza di cose, con il generale calo dei consumi e una concorrenza che si fa più serrata. La Orto Bellina di Gorlago, con a capo Fulvio Bellina, uno dei due fondatori della conosciuta Ortobell, è una società famigliare nata nel 2001 che commercializza sia prodotti di I gamma che di IV. «Vendiamo il nostro prodotto tramite la grande distribuzione soprattutto in Italia, ma non manca l’estero – racconta Davide Barcella per l’azienda –. I dati relativi alle vendite rispetto all’anno scorso non hanno subito variazioni e questo ci permette di essere ottimisti nelle previsioni per il futuro». L’azienda si è specializzata nel biologico certificato. «Il biologico rappresenta il futuro – spiega ancora Barcella – garantendo al consumatore un prodotto rispettoso dell’ambiente e più sicuro per la salute visto che non si utilizzano sostanze chimiche di sintesi». Ecco quindi ben delineata la strategia, il rispondere al bisogno della popolazione di impostare un’alimentazione improntata al benessere, a base quindi di verdura fresca, e l’attenzione alla sostenibilità, sempre più in voga e importante, permettendo così alla propria clientela di mettere in tavola un prodotto fresco e biologico, ma anche comodo perché pronto da condire e assaporare. Il fatturato dell’industria alimentare è in positivo in Italia, grazie soprattutto alle esportazioni, lo conferma Omar Camozzi, uno dei titolari dell’azienda Belgravia di Azzano San Paolo, che riguardo alla distribuzione dei loro prodotti evidenzia: «Noi per fortuna lavoriamo molto con l’estero, in Italia la concorrenza è molto alta. Esportiamo principalmente in Inghilterra e in Germania». Si pone l’accento quindi su un altro aspetto, l’alta offerta da parte dei produttori che porta di conseguenza ad abbassamenti di prezzo, coniugata al ruolo di primo piano svolto della grande distribuzione, che agendo secondo proprie logiche di business fa il prezzo e decide il mercato.

Le principali aziende di trasformazione IV gamma a Bergamo SAB Ortofrutta via Cesare Battisti – Telgate Mioorto via Tiraboschi – Carobbio degli Angeli Bonduelle via Trento – San Paolo d’Argon Agronomia via Puccini – San Paolo d’Argon Orto Bellina via Virgilio – Gorlago Belgravia via per Grassobbio – Azzano San Paolo

La riflessione

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iassumendo, la richiesta da parte del consumatore del prodotto pronto all’utilizzo c’è, risponde ad un grande bisogno, forse uno dei più sentiti e condivisi di questo periodo storico, il bisogno di tempo libero. A questo si unisce il fatto che le attenzioni orientate alla salute e al benessere hanno contribuito a direzionare le scelte alimentari, in parte, verso un consumo maggiore di frutta e verdura. Lo scoglio, potrebbe essere quello riguardante l’attenzione alla sostenibilità, sempre più richiesta da particolari nicchie di consumatori, ma in forte espansione. In vista del futuro, perché non considerare la possibilità di rispondere a questi tre bisogni attraverso un’offerta equilibrata, in cui le regole non sono quelle dettate dalla grande distribuzione, ma dalle esigenze reali del consumatore del XXI secolo?

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IL PREZZO FISSO Ratatouille

Da bambino preparava cocktail con la neve ed ha capito la sua vocazione. Dal ’97 il locale di via Palma il Vecchio racconta il suo stile: un ambiente “tropicale” in pieno centro, cucina mediterranea e la volontà di mettere a proprio agio i clienti Dorilio Maringoni

Byron, la ristorazione secondo Dorilio di Fulvio Facci

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l ristorante pizzeria Byron di via Palma il Vecchio 33 a Bergamo avrebbe potuto avere un altro nome, forse più accattivante ma meno internazionale. Si sarebbe infatti dovuto chiamare “La Perla” e la perla era lei, Franca Cattaneo, moglie di Dorilio Maringoni, con lui titolare dell’attività. Questo secondo l’opinione della già anziana zia Celina di Riso di Gorno, dove è nato anche Dorilio. La coppia regge bene da 34 anni e se Franca è pronta per tutte le evenienze, dalla cucina alla sala, il frontman, l’uomo immagine con cui si identifica il locale, è senz’altro lui: il Dorilio, che oltretutto ha alle spalle anche una buona carriera giornalistica pubblicistica con interventi qualificati su testate specializzate come Barman, Bar giornale, Mixer, oltre ad essere stato addetto stampa Iba, International Bartenders Association. La passione per l’attività gli è nata da bambino, quando preparava i primi cocktail con la neve, scegliendo la più pulita, aggiungendo vino, zucchero e a volte frutta. Un predestinato quindi. «Sì – ammette -, la scintilla è scattata sin da piccolo, vorrei quasi chiamarla una vocazione. Ho frequentato l’Istituto alberghiero a San Pellegrino, poi ho girato un po’ tutto il mondo. Dall’82 ho fatto il bar-

LA PROVA

Formule per tutti gli appetiti e le tasche Al Byron le proposte per il menù fisso di mezzogiorno sono articolate anche sotto il profilo del prezzo. Coperto e bevanda sono sempre compresi. Il ricco buffet costa sette euro, ne servono nove per la pizza, 13 per la pizza ed il buffet, 8.50 euro per primo o secondo e buffet, dieci euro per il menù completo. Ci si può quindi ben destreggiare anche per quanto riguarda la spesa e forse anche per questo, oltre che per la buona qualità, le presenze sono numerose. Le pizze tra le quali scegliere sono una ventina. Tra i primi invece abbiamo trovato: pasta al pomodoro, ravioli ai funghi tartufati al burro e salvia, maccheroni ai formaggi e fusilli al tonno, olive e capperi. La proposta per i secondi piatti era invece costituita da: straccetti di manzo e funghi, merluzzo pomodoro e olive, carpaccio di manzo, scaloppine al limone e manzo alla griglia. Un buon assortimento, che tra l’altro ruota con frequenza visto che ci sono diversi clienti abituali. Ravioli ai funghi tartufati per primo e carpaccio di manzo per secondo con un sontuoso contorno la nostra scelta. Tenendo conto anche del servizio, il rapporto tra qualità e prezzo è ottimo.


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Lo staff

man al Bobadilla, nel ’95 ho aperto un discobar che confina con l’attuale Byron, che abbiamo aperto nel ’97, passando poi esclusivamente all’attività di ristorante pizzeria». Sulla cucina, con proposte veramente articolate, c’è molto da raccontare, ma due aspetti vanno oltre il lato prettamente culinario e sono, si può dire, indicazioni di “stile”. Innanzitutto il Byron è stato il primo locale a introdurre a Bergamo il piatto unico, rompendo gli schemi delle portate classiche per andare incontro all’esigenza di coniugare gusto, velocità e leggerezza. In secondo luogo, al Byron i camerieri hanno la direttiva di non chiedere ai clienti se desiderano altro. «Sono convinto che le persone debbano mangiar bene con una ristorazione professionale – spiega il titolare - ma che non debba trattarsi di una questione di quantità. Il locale è fatto perché la gente mangi solo quello che vuole». La fontana con i pesci, le gabbie con gli uccellini, paesaggi tropicali alle pareti rendono l’ambiente per certi versi strano, almeno al primo impatto, ma accattivante, anche perché frutto di un’accurata ricerca e di buon gusto. Quanto ai piatti, «la base – dice Maringoni - è la cucina italiana, soprattutto mediterranea, ma abbiamo sempre nella carta anche dei piatti internazionali. La paella da noi ormai è una tradizione, poi abbiamo piatti dello Sry Lanka e qualcosa di brasiliano, la picanha arrabbiata ad esempio. Non mancano riferimenti alla cucina delle nostre zone come le foiade integrali con carciofi freschi o, per abbracciare anche il mediterraneo, i tagliolini con gamberi, porcini e pomodori. Pasta e casoncelli sono fatti in casa, le verdure sono sempre fresche e la mozzarella arriva due volte alla settimana direttamente da Eboli». La mozzarella richiama immediatamente l’attenzione sulla pizza. A parte la varietà delle farciture, viene proposta stirata, e quindi molto grande, oppure normale o alta, perciò più soffice. Vengono usate diverse farine: l’integrale macinata a pietra, la multicereali e quella senza glutine. Il locale ha vinto il concorso pizzeria italiana dell’anno nel 2003. Il Byron è molto ben frequentato ed ha decisamente dei prezzi accessibili. Clienti abituali sono anche gli sportivi, tra i quali alcuni giocatori dell’Atalanta, dell’Albinoleffe e le giocatrici della Foppa Pedretti. Byron ristorante pizzeria via Palma il Vecchio, 33 Bergamo tel. 035 233477 chiuso solo sabato e domenica a pranzo

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AbbAttitore 5 teglie

€ 1800,00

ArmADio frigor tN 700

€ 1100,00

lAvApiAtti cesto 50 x 50

€ 1350,00

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€ 2450,00

cellA frigoriferA completA 1400x1400

€ 2900,00


L’ANNIVERSARIO

1938 - 2013

Da 75 anni al servizio della qualità del gelato artigianale italiano

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el 1938 Franco Minetti creò l'Ostificio Prealpino, la fabbrica bergamasca di coni e cialde che ha contribuito a fare la storia del gelato artigianale in Italia e nel mondo. Nella seconda metà del secolo scorso, attraverso la partecipazione al Comitato per la difesa e la diffusione del gelato artigianale e attraverso i primi corsi di formazione per gelatieri sulle tematiche igienico-sanitarie e su quelle produttive, Ostificio Prealpino diventò anche un punto di riferimento per la crescita del settore: la fabbrica realizzò importanti investimenti in tecnologia per rendere gli impasti sempre più evoluti e qualitativamente elevati e per realizzare cotture funzionali alla creazione di coni robusti, croccanti e fragranti capaci di valorizzare il gelato artigianale. Il successo di questi 75 anni deriva dall'aver coniugato la tradizione della produArnaldo Minetti zione artigianale con l'innovazione di continue proposte migliorative, nella tecnologia, nell'ingredientistica, nella creatività dei coni proposti: sono così nati i formati di dimensioni differenziate, più lunghi e impugnabili, le ghiere importanti per agevolare la lavorazione a spatola, le forme differenziate per caratterizzare le singole gelaterie. “Non troppo dolci, non troppo aromatizzati”: queste sono le due regole auree che ci ricorda Arnaldo Minetti, che è alla guida dell'azienda dal 1983, anno della scomparsa del padre: il cono non deve prevaricare con il suo sapore specifico quello dei singoli gusti del gelato; deve svolgere la sua funzione di gradevole e comodo supporto, lasciando al gelato il ruolo di protagonista, ma valorizzando la degustazione con il piacere sensoriale della croccantezza, con il piacere tattile dell'impugnatura, con la comodità del gustare passeggiando.

Ogni gelateria deve essere orgogliosa dei coni che propone e del “piacere in più” che possono dare al consumatore competente. La squadra italiana che ha vinto la prestigiosa Coppa del Mondo della Gelateria ha utilizzato per le sue performance i coni di Ostificio Prealpino, confermando anche così che un buon cono valorizza ancor di più il buon gelato artigianale. In piena sinergia con la fabbrica di coni si muove Puntogel srl, l’azienda leader della distribuzione specializzata, che propone oltre 4.200 articoli per gelateria e garantisce non solo un effi-

ciente servizio di consegne, ma anche una preziosa attività di consulenza e di formazione per accrescere la professionalità dei gelatieri e garantire così una alta qualità del gelato offerto ai consumatori competenti. La provincia di Bergamo ha il privilegio e l’orgoglio di essere diventata in questi decenni un riconosciuto punto di riferimento per la qualità del gelato artigianale e per la rete di aziende qualificate che operano per il successo di questo settore: una eccellenza di cui andare fieri e che garantisce anche sviluppo economico e occupazione.

Insieme per la qualità e l’eccellenza del gelato artigianale italiano Dal 1938 i coni che valorizzano il gelato artigianale Bergamo - via orelli, 6 tel. 035.255275 - fax 035.401052 www.ostificioprealpino.com - info@ostificioprealpino.com

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A tavola con... di Filippo Grossi

Il rettore dell’Università di Bergamo

Stefano Paleari

Paleari, “sono buono come... il pane”

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ma i sapori semplici e genuini, come il pane. Dal 2009 rettore dell’Università degli Studi di Bergamo, Stefano Paleari ci ha raccontato i suoi gusti in fatto di cucina ricordando che dopo un successo universitario fa un brindisi a quello successivo. E l’Università cittadina, sotto il suo Rettorato, di bei risultati ne ha conseguiti, primi fra tutti il fatto che il 40% delle matricole viene da fuori Bergamo e la stipula di nuovi accordi internazionali, come quello recente con la Graduate School of Design di Harvard. Non mancano i successi personali, come l’elezione, fino al 2017, nel board dell’EUA (l’European University Association) composta da otto rettori in rappresentanza di 800 università europee.

Il suo piatto preferito? “Le tagliatelle fatte in casa”. Le piace cucinare? “La cucina è un’arte. Cucinare fa parte dei desideri che non riesco a soddisfare”. Il piatto che Le riesce meglio? “La prego sia clemente..” La specialità bergamasca che preferisce? “I casonsei”. Qual è il cibo che, invece, non Le piace? “Quello troppo speziato”. La cucina regionale italiana che più apprezza? “Con una moglie romagnola è difficile fare altre scelte”. Il suo menù ideale? “Carpaccio di pesce crudo, trenette al pesto, pesce e frutti di bosco con gelato”. Vino o birra? “Dipende da piatti e stagioni. In estate più birra”. Carne o pesce? “Purtroppo apprezzo entrambi”.

La cucina straniera che più Le piace? “Quella francese”. La sua pizza preferita? “La pizza ai quattro formaggi”. Che alimentazione deve seguire un rettore? È attento alla linea? “Dovrebbe, vista l’intensità della giornata. Non per la linea, ma per esigenze di servizio”. Come festeggia un successo legato alla sua Università? “Con un dolce e un brindisi al successivo”. Un piatto che Le mette allegria? “Dipende dalle stagioni e dalla compagnia”. Qual è stata la cena più emozionante della sua vita? “Quella con il Presidente della Repubblica in visita a Bergamo”. Come si immagina una cenetta romantica? “In un ristorante poco rumoroso, vista mare”. Un cibo che rappresenta il suo carattere? “Il pane…”. E uno che raffigura il suo stato d’animo attuale? “La macedonia”.

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L’iniziativa di Lelia Parisi

La famiglia Olmo, titolare dell’omonima azienda leader nel settore del poliuretano espanso, in Toscana produce, tra gli altri, il Carmignano Docg, di cui si hanno le prime notizie a partire dal 1300

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Da Comun Nuovo ad Artimino per firmare uno dei vini più antichi he cos’hanno in comune - con tutto il rispetto - il poliuretano espanso (una schiuma per imbottire materassi e sedili d’auto, facile a un’infinità di altri usi) e un Super Tuscan per palati fini come l’antico e blasonato Carmignano? Probabilmente nulla, se non il fatto che la famiglia Olmo, titolare dell’omonima azienda di Comun Nuovo, leader appunto nel settore del poliuretano espanso, è riuscita a farli convivere pacificamente all’interno di una stessa società, il Gruppo Olmo, fondato mezzo secolo fa dal ciclista e primatista Giuseppe Olmo e oggi gestito dai figli e nipoti. Se nei secoli passati era uso

della borghesia investire nella terra nel (vano) tentativo di dismettere la propria aria bourgeois (dopotutto non diceva il duca di La Rochefoucauld che l’aria borghese si può perdere talvolta in battaglia, ma mai a corte?), oggi il richiamo alla terra e alle attività agricole raccoglie un numero crescente di adepti tra imprenditori e industriali, anche bergamaschi, che, centrati i propri primari obiettivi, virano di 180° puntando su attività di segno opposto, nel settore vitivinicolo e della ricezione e ospitalità, finalmente senza l’ossessione del profitto a tutti i costi, ma con il celato intento di goderne in prima

persona. E tra le terre più gettonate, primeggia, inutile dirlo, la Toscana. Del borgo di Artimino in Carmignano (Prato) e relativa villa medicea La Ferdinanda, acquisita circa 20 anni fa dalla famiglia Olmo insieme a 730 ettari di splendidi vigneti e oliveti, si gode, in verità, solo a guardarli. La Ferdinanda è una sontuosa villa di campagna, nonché dimora di caccia, voluta dal granduca di Toscana Ferdinando I, realizzata nel 1594 su progetto dell’architetto Buontalenti, dal tipico impianto rinascimentale di villa-fortezza. Arroccata su un’altura dove sorgeva un’acropoli di epoca pre-romana, poggia

La proposta

E ai “Ginepri” si gusta la vera Per chi avesse la fortuna di trovarsi in questi luoghi, un itinerario cultural-gastronomico consigliato è quello sul non troppo distante Tirreno (circa un centinaio di km) a Marina di Castagneto Carducci, nella Maremma livornese, uno dei tratti più belli e incontaminati della costa toscana e dall’entroterra ricchissimo di siti di interesse storico-naturalistico-archeologico (basti citare i borghi di Castagneto Carducci, così chiamato in onore di Giosuè Carducci che vi abitò da bambino, e Bolgheri). Qui, affacciato sulla Riviera degli Etruschi, troviamo l’Hotel I Ginepri, il cui ristorante è nel circu-

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ito dei “Ristoranti Regionali - Cucina Doc” di Marinella Argentieri. Nato per iniziativa dei conti della Gherardesca, che nel primo dopoguerra vi alloggiavano gli ospiti per le battute di caccia nelle vicine tenute, lo stabile venne rilevato nei primi anni Cinquanta dalla famiglia Dughera, che tuttora lo gestisce, dopo una sapiente ristrutturazione che l’ha dotato di tutti i comfort, incluse le suite dotate di vasca idromassaggio con vista mare sul terrazzo privato, e una grande piscina all’ombra dei ginepri. Il fascino dell’hotel sta infatti, oltre che nella spettacolare posizione, direttamente sulla spiag-


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su bastioni etruschi. Oggi, come ci mostra Giorgio Segantini, genero di Giuseppe Olmo e Ad dell’Artimino Resort, brand che ingloba tutte le proprietà degli Olmo a Carmignano, la Ferdinanda è adibita a matrimoni, banchetti e convegni. Il tutto in una cornice a dir poco fiabesca: la villa biancheggia con le sue forme nitide e i suoi 67 pittoreschi comignoli tutti diversi sulle distese ondulate dei vigneti, vigilando sull’antico borgo di Artimino fasciato nella sua cinta muraria. Sembra di esser dentro una lunetta di Giusto Utens con le sue celebri vedute aeree delle ville medicee. La Paggeria (la dimora dei paggi della famiglia de’ Medici) annessa alla villa, anch’essa opera del Buontalenti, è stata trasformata in hotel a quattro stelle e corredata di un ristorante di cucina toscana (Bor-

go Pignatta), mentre all’interno del borgo medievale, ma di origine etrusca, di Artimino gli Olmo hanno destinato all’accoglienza alcuni appartamenti in stile rustico e ricavato dalle mura dell’antico castello un’enoteca con cucina (Cantina del Redi). Negli 84 ettari adibiti a vigneto si contano una varietà di vitigni legati al territorio: Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Canaiolo, Mammolo, Occhio di Pernice, Trebbiano. Dai primi quattro nasce il Carmignano Artimino Resort viale Papa Giovanni XXIII Artimino-Carmignano (Prato) tel. 055 875141 www.artimino.com

(stranamente noto più all’estero che in Italia), prodotto simbolo di un territorio in cui la coltivazione della vite ha una tradizione risalente agli Etruschi, testimoniata da ritrovamenti di otri di vino nelle tombe. Il Carmignano è uno dei rossi più antichi d’Italia: esistono testimonianze scritte già a partire dal 1300, a dimostrazione della naturale vocazione per la coltura della vite di questo territorio, dove soffia costantemente un vento fresco che dal mare si incanala nella valle, creando un microclima particolarmente favorevole. La zona di produzione del Carmignano è stata definita nel 1716 con un editto del Granduca Cosimo III de’ Medici che specificava i confini di questo e altri tre vini toscani, primo esempio di Denominazione di Origine. Altro primato, il Carmignano fu anche la prima Doc in Toscana a usare il blend Cabernet Sauvignon e Sangiovese: di fatto già dal 1600 per la sua produzione si usava aggiungere al “Sangioveto” il Sauvignon, vitigno importato dalla Francia dai Medici. Il fiore all’occhiello di Villa Artimino è il Carmignano Docg Vigna Grumarello Riserva, prodotto con uve Sangiovese, Cabernet Sauvignon e altre a bacca rossa. Un vino asciutto, morbido e rotondo, con sentori di sottobosco e viola mammola: in parole semplici, un ottimo rosso. La produzione annua totale è di 500.000 bottiglie, di cui 150.000 Carmignano rosso e una piccola quota di bianco (13.000). Di ottima qualità anche la produzione olivicola, con 23.000 ulivi sparsi su 230 ettari di terreno collinare.

cucina di mare gia, lunghissima e delimitata da dune a fitta vegetazione, nel giardino di profumati ginepri secolari, che intrecciano i loro rami nodosi formando un ombroso pergolato naturale tra il mare e l’albergo che cattura la brezza marina, mitigando il caldo estivo. Il ristorante, all’aperto con vista mare, è affidato alle cure dello chef Marco Paperini. La cucina, di mare, fa ampio uso del pescato freschissimo (pesce, crostacei e molluschi) del Tirreno e, in particolare, di specie, come le cozze pelose, dall’habitat delimitato e quindi introvabili in altre località. Una cucina che punta sulla qualità delle materie prime accuratamente lavorate, con ampio uso di ortaggi e verdure del territorio e dell’olio d’oliva prodotto (e venduto anche al pubblico) direttamente dalla famiglia Dughera.

Hotel Ristorante I Ginepri viale Italia, 13 Marina di Castagneto Carducci (Livorno) tel. 0565 744029

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L’angolo

del single di Marco Bergamaschi

Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina

Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.

Carpaccio di vitello con zucchine Ingredienti per 1 persona 80 g di carpaccio di vitello 40 g di zucchine alla julienne 1 cucchiaio di maionese

2 cucchiai di sottaceti olio extra vergine quanto basta limone, sale e pepe a piacere

Preparazione Spennellate con olio d’oliva extravergine un piatto, spolverizzatelo di sale e adagiatevi sopra le fette di carne. In una terrina mescolate la maionese con i sottaceti, che avrete precedentemente tritato e diluite il tutto con 1 cucchiaio d’acqua per rendere più fluida la salsa. Tagliate le zucchine a julienne, conditele con sale, succo di limone e l’olio d’oliva. Disponete l’insalata di zucchine sulla carne e insaporite il tutto con la salsa di sottaceti appena preparata. Sedetevi comodi e gustatevi un piatto buono, leggero e che soprattutto vi è costato il minimo di fatica. Curiosità “Le buone ricette non devono essere necessariamente anche le più difficili”: è sulla base di questo assunto, che questo mese presentiamo un piatto veloce e facilissimo nella preparazione, ma non per questo poco gustoso. Amo da sempre la carne di manzo che trovo saporita, nutriente e digeribile, anche se consumata alla sera tardi; si sposa bene con tutti i tipi di verdura e i vari condimenti e pertanto può essere considerata senza dubbio un ingrediente “salva ricetta”, soprattutto se da preparare all’ultimo secondo. Unico neo è che trattandosi di un piatto da servire crudo, la carne deve essere freschissima e mai decongelata. So anche che qualcuno non sarà d’accordo, considerato che ultimamente ho sentito di gente che congela anche il prosciutto, ma siamo dell’idea che il carpaccio decongelato abbia un altro gusto. La ricetta di oggi è proposta in una delle sue versioni più classiche, cioè con le zucchine, ma volendo ci si può sbizzarrire abbinandovi altri ingredienti come olive, formaggio e salse marinate. La zucchina è un ortaggio versatile da avere sempre in casa, perché si accosta bene a pesce, carne e pasta, cucinato al vapore, al forno, fritto o mangiato crudo. È ricca di acqua, digeribile e contiene potassio, vitamina E, C e acido folico; ha un

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effetto disintossicante ed antiinfiammatorio e se mangiata in abbondanza, anche lassativo, quindi se ne siete ghiotti, ricordatevi di non eccedere mai per non incorrere in spiacevoli situazioni. Infine una curiosità che forse non tutti sanno, ma che vale la pena raccontare: il carpaccio fu ideato da Giuseppe Cipriani, il fondatore del celebre Harry’s Bar a Venezia che nel 1950 preparò per la prima volta questa pietanza ad un’amica, la contessa Amalia Nani Mocenigo, quando seppe che i medici le avevano vietato la carne cotta. Il nome venne dato in onore del pittore Vittore Carpaccio perché a Cipriani la nuance della carne cruda ricordava i colori intensi dei quadri del celebre pittore, in quel momento esposti a Venezia in una mostra. Che dire, oltre a inventare un piatto famoso in tutto il mondo, ha celebrato il valore dell’amicizia come poche persone nella vita. Non mi resta che auguravi buon appetito.


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