Affari di Gola maggio 2014

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Supplemento al n. 20 de “La Rassegna” del 22 maggio 2014 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. - via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60

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Gelaterie, a Bergamo una crescita senza sosta


La scuoLa di cucina per ecceLLenza

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SOMMARIO

Supplem ento Poste Italiane al n. 20 de “La Rassegn S.p.A. Spedizion a” del e in Abbonam22 maggio 2014 - Giuseppe ento Postale - D.L. 353/2003Ruggieri direttore responsa (conv. in bile Editrice: L. 27/02/20 La 04 n. 46) art. 1, commaRassegna S.r.l. via Borgo 1, DCB Bergamo Palazzo 137, - ? 2,60 Bergamo

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PENNA ALL’ARRABBIATA Cari sindaci, prendetevi a cuore le sorti della nostra enogastronomia

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APROFONDIMENTO Aspiranti chef, uno su dieci ce la fa

10 STORIA E TRADIZIONI L’epopea del casoncello

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12 TENDENZE Salumi, se al rilancio ci pensa lo chef

18 IL PRODOTTO

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Gelato, un piacere che si rinnova

20 IL RISTORANTE Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@ larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Michela Brivio, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

Ristorante Miralago, nei piatti i profumi dell’altopiano

22 IL CASO Formaggi, i ribelli del Silter

24 SCENARI Latte, l’incertezza prende “quota”

28 FACECOOK A Singapore casoncelli protagonisti del Capodanno cinese

Gelateri a Bergame, una cresc o senza so ita sta

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Cari sindaci, prendetevi a cuore le sorti della nostra enogastronomia di Pier Carlo Capozzi

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quest’ora avranno già svuotato le urne e le schede avranno emesso le prime sentenze. Ma, elezione diretta o rimando ai ballottaggi, resta fermo il desiderio di precise richieste a chi sarà chiamato ad amministrare il capoluogo e svariati paesi per i prossimi anni. Si, ci sembra giusto buttarli giù adesso, i nostri desideri, adesso che i giochi si stanno concludendo e concretizzando e, soprattutto, adesso che gli interlocutori sono ben individuati e non possono più nascondersi nella nebbia delle promesse. Cari Sindaci, adesso non scappate più. Fino a settimana scorsa potevate incantare serpenti e imbracciare il piffero magico. Ora, dopo i brindisi di rito, siete chiamati a rispondere in prima persona e gli alibi sono terminati. Cosa si possa chiedere ai nuovi amministratori dalle pagine di questa nostra rivista è abbastanza semplice e, tra l’altro, è proprio il frutto di qualche dibattito che su queste colonne ha trovato spazio e di qualche desiderio che s’è fatto strada. La filosofia portante di tutto il discorso, crediamo, verte sull’importanza che ha assunto il comparto dell’enogastronomia in questi ultimi tempi di riconversione economica e che, se leggiamo bene il futuro, è destinato a recitare un ruolo sempre più da protagonista. E parlare di enogastronomia, attenzione, vuol dire spaziare in un terreno veramente immenso. Pensiamo agli agricoltori, ai vignaioli, agli allevatori, a tutti quanti chiedono una particolare attenzione per la terra, che non ne può più di essere mangiata dal cemento e dall’asfalto. Poche province come la nostra hanno bisogno di infrastrutture, avendone patito la mancanza per troppo tempo a causa della cecità di alcuni amministratori, anche potenti o presunti tali. Però ci sembra che si stia perdendo il senso della misura e che un po’ più di attenzione non guasterebbe, giusto per non lasciare ai nostri figli un panorama intersecato da autostrade e tangenziali, ma senza più stalle e cascine. Non possiamo permettercelo. Quindi, cari nuovi Sindaci, attenzione al vostro territorio: vanno bene altre rotatorie, ma non distribuite a pioggia. Vanno preservate le aree verdi e agricole, fino al massimo consentito. Vanno incoraggiati tutti coloro che si battono per le specifi-

cità locali, quelle che Veronelli siglava De.Co. (Denominazioni Comunali), ma che preferiva battezzare “giacimenti gastronomici”. Il suo pensiero, al proposito, era noto: “Riprendiamo a vivere, senza violenza alcuna, con la sola accettazione di concetti elementari e proprio per ciò indiscutibili. L’uomo ha solo dalla terra ciascuna delle reali possibilità. Averne rispetto, chiederle di darci l’acqua e il pane, l’olio d’oliva e il vino, quant’altro è necessario per una vita serena, è l’unica via.” Non ti rimpiangeremo mai abbastanza, caro grande Gino. E, subito dopo, vanno aiutati gli imprenditori dell’accoglienza, magari detassandoli un po’o, più semplicemente, evitando di crocifiggerli con balzelli illogici (tassa sui rifiuti, tanto per gradire). Penso a quegli impavidi che portano avanti i loro locali in paesi arrampicati sulle montagne, locali che sono molto spesso uno dei pochi centri aggreganti per giovani e anziani: bar, trattorie, alberghi con ristorante e caffè. E quando qualcuno di loro non ce la fa più, e abbassa la serranda, è un’insegna che si spegne. Ma con lei si spegne un pezzo di paese, come se in cielo ci fosse una stella di meno. Compito di un amministratore sarà anche trovare un equilibrio (che adesso pare non esserci) tra diversi ma coincidenti interessi in campo: è l’annosa questione delle sagre, con contrapposizioni antipatiche tra organizzatori ed esercenti stanziali. Un intelligente compromesso, basato su regole dalle quali sia impossibile sgarrare, potrà accontentare le esigenze di tutti. Così come non dovrebbe essere proibitivo mettere d’accordo la volontà di divertirsi fino a tardi e il legittimo diritto al riposo notturno: con un briciolo di comprensione da ambo gli schieramenti, si dovrebbe riuscire a centrare la soluzione. Non è un compito facile fare il Sindaco, soprattutto se ci si mette impegno e passione e non si vorrebbe scontentare nessuno. Ma è anche un posto di responsabilità dove si è chiamati a prendere delle decisioni, per dolorose che possano essere. Un grande in bocca al lupo a tutte le novelle fasce tricolori. Quello che avevamo da dirvi l’abbiamo scritto. Ricordatevi sempre che cinque anni passano alla svelta. piercapozzi@libero.it

PENNA ALL’ARRABBIATA

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L’APPROFONDIMENTO di Laura Bernardi Locatelli

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Aspiranti chef, uno su dieci ce la fa on ci sono più le mezze stagioni e forse nemmeno quelle intere. L’alternanza scuola-lavoro imposta durante il periodo scolastico ha minato la prassi ormai consolidata di mandare i ragazzi a “fare stagione” su e giù per l’Italia e magari anche all’estero. Molti non vogliono rinunciare alle vacanze estive, ma chi è a caccia di un’occupazione non sempre trova posto, dato che, come evidenzia un’indagine Fipe dello scorso anno, le imprese del turismo e della ristorazione avevano ritenuto di poter fare a meno di 21 mila lavoratori stagionali rispetto al 2012. A poche settimane dall’addio ai banchi di scuola i ragazzi degli Istituti Alberghieri e dei centri professionali bergamaschi si preparano all’estate tra sogni, incubi da esame e ricerca di un lavoro. I più fortunati l’hanno già trovato, altri hanno la valigia pronta davanti alla porta e mandano curriculum a destra e a manca. Ci hanno raccontato le loro esperienze collezionate durante l’anno scolastico e svelato le loro aspirazioni. I dirigenti e i professori. “La Riforma Gelmini ha rovinato tutto - spiega Raffaele Di Martino che da quarant’anni

Le scuole Alberghiere stanno terminando i corsi. Ed è tempo di bilanci. Di Martino (S. Pellegrino): “La sala non attira più. Tutti vogliono diventare cuochi, ma poi di fronte alla realtà le cose cambiano”. “Pochi i ragazzi disposti ad andare all’estero”. Maraviglia (Nembro): “Gli stage restano parte integrante del percorso curriculare” insegna Ricevimento all’Alberghiero di San Pellegrino e dagli inizi degli anni Ottanta ha accompagnato migliaia di ragazzi avviando i primi stage, ai tempi del Grand Hotel di Zingonia -. Adesso il tirocinio è ridotto a due settimane durante il periodo scolastico. Purtroppo oggi tanti vogliono fare le vacanze e solo pochi sono disposti a fare davvero sacrifici. La tv distorce la realtà: tutti vogliono fare gli chef ma quando capiscono che bisogna stare 12 ore in cucina gli passa la poesia. Non hanno poi le idee chiare: un tempo chi si iscriveva all’Alberghiero vo-

leva crearsi una professione in sala, in hotel o in cucina, ora invece i fine settimana non vogliono lavorare, il sabato c’è la discoteca, la domenica la partita allo stadio o in tv”. A peggiorare la situazione, l’introduzione dell’obbligo scolastico: “Abbiamo ragazzi nei primi due anni per cui l’unico obiettivo è perdere tempo in classe fino ad assolvere i dieci anni d’istruzione minima stabiliti dalla legge. Il risultato è un grande caos”. Il rammarico del professor Di Martino è per l’abbandono da parte di molti del sogno di lavorare come receptionist o in sala:


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“Il corso sta quasi sparendo. Riusciamo a malapena a creare una classe al terzo anno. Tutti vogliono fare lo chef, ma solo il 10% riuscirà a farlo davvero. Molti scelgono altre strade e lavori con orari ridotti. Tantissimi ragazzi optano per la grande distribuzione: li troviamo ai banchi di gastronomia e a lavorare nei supermercati”. Tramonta la voglia di fare le valigie: “Dai ragazzi ti aspetteresti tanta voglia di andare a girare il mondo e invece sono pochissimi a voler andare all’estero. Manca la passione, l’entusiasmo e la voglia di fare. Tanti figli d’arte, con l’opportunità di avere un lavoro bell’e pronto che li aspetta già dopo la scuola, non vogliono proseguire l’attività. Per fortuna non mancano le eccezioni e abbiamo allievi che faranno strada”. Il preside dell’Istituto Alberghiero Sonzogni di Nembro, Antonio Savoldelli allarga quasi ogni giorno le convenzioni con le imprese pronte ad ospitare i ragazzi, ma non tutti optano per l’inserimento in hotel, risto-

tout per il mondo del lavoro: “Quando incontro gli ex allievi la maggior parte di loro ha già un lavoro, anche se flessibile - afferma con orgoglio Savoldelli -. Solo una minoranza sta con le mani in mano”. Il professor Enzo Maraviglia che segue all’Istituto di Nembro gli stage fa il punto sulle destinazioni che superano i confini provinciali: “Per buona parte dei ragazzi la meta è l’Adriatico: le località balneari, grazie ad un’offerta spa e fitness, attirano turisti anche in inverno. Grazie a buoni contatti con le grandi catene alberghiere indirizziamo molti ragazzi negli hotel, vocati soprattutto al turismo congressuale e business, del nordest, da Vicenza a Padova, da Mestre a Verona e a Rho, polo privilegiato per chi visita la nuova Fiera. Gli aspiranti chef effettuano esperienze in tutta la Lombardia, ma anche in Veneto e in Piemonte. Non mancano ristoranti blasonati come il ristorante da Candida a Campione d’Italia, dove abbiamo mandato diversi alunni in stage. Per

ge personalmente, andando a visitare i nostri allievi nei vari locali e nelle aziende che li ospitano - spiegano Luca Bergamelli e Sergio Belotti, chef e docenti dei corsi organizzati da Abf Bergamo - . I tirocini sono parte integrante del percorso che costruiamo in base alle inclinazioni di ognuno. Qualcuno si presta meglio ad una lavorazione standard e continuativa in mensa o gastronomia, altri hanno più idee e grande manualità, altri optano per nuove formule della ristorazione. Gli stage vanno dal grande ristorante stellato alla trattoria a gestione familiare”. Diversa la prospettiva per chi cerca di reinventarsi: “I corsi serali sono multietnici e la crisi ha portato molti a cercare una chance nella ristorazione. Ma non è solo un ripiego: molti sono animati da un’autentica passione”. Le difficoltà non mancano neanche per chi aspira a diventare barman o a lavorare in sala: “La crisi ha cambiato molte cose e a ciò si aggiungono le aperture di locali da par-

ranti ed altre strutture: “Da quando lo stage non è obbligatorio 250 alunni su 700 scelgono il tirocinio curriculare nel corso dell’anno scolastico. Il vecchio ordinamento prevedeva invece 132 ore di stage obbligatorio per i ragazzi del quinto anno. Da sempre collaboriamo con le famiglie per la segnalazione di strutture che possano ospitare vicino a casa i ragazzi con l’obiettivo di costruire esperienze in grado di agevolare la ricerca del posto migliore”. Per molti ragazzi l’esperienza di stage rappresenta il passe-par-

alcuni ragazzi la scelta invece è per i nuovi tipi di ristorazione dai pub ai bar, ai piccoli locali specializzati nella preparazione di piatti tipici. Il corso di pasticceria, avviato lo scorso anno, ha permesso ai ragazzi di spaziare dalla pasticceria industriale a quella artigianale grazie a percorsi studiati ad hoc”. Gli stage sono parte integrante del percorso curriculare dei corsi di formazione professionale organizzati dall’Azienda Bergamasca Formazione che ai corsi diurni affianca il biennio intensivo serale: “Seguiamo ogni sta-

te di chi non ha una vera professione in tasca - spiega il professor Roberto Bortolotti, maitre di sala e docente dei corsi Abf di Bergamo -. Gli stage sono esperienze fondamentali per ogni allievo e portano sempre ad una crescita personale e professionale. Purtroppo se fino a qualche anno fa rappresentavano l’occasione per avviare un percorso di inserimento lavorativo ora non è più così. Siamo arrivati al punto in cui avere un contratto di 15 ore settimanali o poco più è diventato quasi un lusso”.

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L’APPROFONDIMENTO

LUCA

“Così ho imparato a gestire lo stress in cucina”

Luca Mariani, 18 anni al IV anno dell’Abf ha da poco terminato lo stage a “La Braseria” sotto la guida dello chef Luca Brasi. “Un’esperienza che mi ha dato l’occasione di vivere la professionalità e l’organizzazione di una grande cucina”. In curriculum Luca ha anche uno stage lo scorso anno alla Taverna del Colleoni oltre che a Cucina Cereda a Ponte San Pietro, nel 2011, e al bistrot Olfà di Osio Sotto: “Tutte scuole che mi hanno permesso di imparare sul campo il rispetto dei tempi e la velocità nella preparazione, la precisione nel servizio e l’uso dei coltelli. Ho sfilettato branzini a lenza, pesci spada e salmoni e ho avuto l’occasione di lavorare grandi materie prime dal tartufo bianco al foie gras. Le esperienze, molto diverse tra loro, mi hanno permesso di imparare a gestire lo stress di tanti coperti e della banchettistica e di apprendere molti segreti su lievitati e pasticceria”. Ora l’obiettivo è l’alta ristorazione, ma quest’estate Luca ha trovato lavoro in un bar a Trezzo d’Adda. “Un mese solo, anche perché prima lavoro come muratore”, alla faccia dei bamboccioni e dei “choosy” della Fornero.

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Gli allievi si raccontano ANDREA

“Il mio obiettivo? Aprire un ristorante”

Per Andrea Costa, 19 anni di Pognano, al V anno dell’Alberghiero a San Pellegrino, la destinazione estiva è la Valle Imagna: “Torno anche quest’anno all’Hotel Spa Miramonti di Rota Imagna. Lavorando a fianco della chef Adelia Gritti ho avuto modo di scoprire il lato salutista della cucina della tradizione a partire dalle tecniche di cottura, oltre ad im-

parare ricette vegane, vegetariane e a prova di intolleranza. Una bella palestra anche per le paste fatte in casa, per le focacce e per la famosa torta Quarenghi in omaggio al celebre architetto”. In curriculum Andrea ha un’esperienza al Posta di Sant’Omobono: “Una lezione per la ricerca di materie prime di qualità, dal merluzzo black-cod ai calamaretti spillo, unita ad una grande cucina gestita con passione”. La prima esperienza è stata sul Lago di Garda al Du Lac et Du Parc Grand Resort: “Un’occasione di far parte di una brigata di 25 persone e di imparare il significato di un grande lavoro di squadra, passando dalla partita del gardemanger a quella dei primi e dei dolci”. Il sogno è di aprire un ristorante: “Magari non in Italia, ma nei Paesi di nuovo sviluppo all’Est, anche se il richiamo degli Usa è sempre forte. Al momento sto organizzandomi per partire per Londra quest’autunno”.

ELISABETTA

“Sogno di lavorare sulle navi da crociera” Elisabetta Talò, 19 anni di Boltiere si sta preparando ad affrontare l’esame di quarta all’Abf di Bergamo con una millefoglie di pesce di gamberetti e mozzarella di bufala avvolta in pasta fillo e accompagnata da empanadas de platano verde con gianchetti ai tre sapori (lime e zenzero, peperoncino piccante e pesto di semi di girasole).”Per l’estate sogno di poter lavorare per tutta la stagione o comunque di poter partire a settembre magari trovando un posto sulle navi da crociera” spiega l’aspirante chef che comunque non disdegna la sala se capita. Il tirocinio in alternanza scuolalavoro le ha permesso quest’anno di lavorare come commis nella cucina del ristorante Rosa Camuna all’interno di Villa Zoia, hotel 4

stelle e location per cerimonie, a due passi da casa: “Sto imparando tanto lavorando gomito a gomito con lo chef Pierangelo Agazzi ed è stato molto importante vedere come si gestiscono tanti coperti”.


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LUCREZIA

ELEONORA

“Pronta per un un’esperienza in Spagna”

“La valigia è pronta, destinazione Porto Cervo”

Lucrezia Caserta, 19 anni, al quarto anno dell’Abf sta mettendo a punto la ricetta per l’esame che mette d’accordo anche macrobiotici e vegani. Gli stage in questi due ultimi anni scolastici l’hanno portata all’Osteria della Brughiera d’Almè, alla corte dello chef Paolo Benigni, e all’Osteria degli Assonica di Sorisole: “Alla Brughiera ho avuto modo di vedere come sia organizzata una grande cucina, dalla professionalità all’ordine, dall’organizzazione alla pulizia, dalla scelta delle materie prime alla presentazione dei piatti. Una cucina in cui tutto, dal pane ai grissini alla pasta, viene realizzato rigorosamente in casa. All’Osteria degli Assonica ho fatto un po’ fatica all’inizio ad inserirmi dato che ero l’unica donna in una cucina dominata da sette uomini, ma alla fine sono riuscita a farmi valere e a migliorare nella preparazione del pesce”. Ora per l’estate sogna un lavoro vicino a casa, ma la valigia è sempre pronta: “Spero di trovare un lavoro appena finita la scuola: sto mandando curriculum e ho già fatto alcune prove, ma a settembre o quando potrò voglio andare all’estero. Dove? Mi piacerebbe la Spagna”.

Eleonora Scaini, 17 anni al IV anno a San Pellegrino ha già la valigia pronta per l’estate: destinazione Costa Smeralda. “A luglio sarò a Porto Cervo, all’Hotel Le Palme, dove dovrei dividermi tra sala e albergo. Spero che questa esperienza possa permettermi di crescere professionalmente “. Quest’anno lo stage l’ha portata al Breve Respiro, antica trattoria di Zogno, vicino a casa: “In sala ho imparato a rapportarmi ai clienti, a presentare i piatti in menù e le ricette della nostra cucina del territorio”. L’anno scorso invece aveva servito ai tavoli della Grotta Azzurra: “E’ stata una bella esperienza, anche se i coperti da gestire erano tanti e come primo test sul campo è stato impegnativo”.

SARA

ERIKA

MICHELA

“Immagino il mio futuro in una grande cucina”

“Bello sarebbe fare la receptionist in un hotel di lusso”

“Che emozione i primi servizi in sala”

Erika Rota, 19 anni al IV anno a San Pellegrino sogna un posto da receptionist in un grande hotel. In curriculum ha uno stage in alternanza scuola-lavoro terminato ad aprile all’Hotel Continental di Osio Sotto, 4 stelle. “In quel periodo, con il Salone del Mobile, l’hotel era al completo e mi sono divisa tra ricevimento e sala, ho seguito check-in e prenotazioni via mail. Ho avuto modo di vedere ogni aspetto della gestione di un albergo e di avere la conferma che è esattamente il lavoro che voglio fare”. Nel cassetto c’è il sogno di lavorare in un 5 stelle lusso, “se non in Italia in Spagna o in Inghilterra finita la scuola. Al momento, però, ho affidato il mio curriculum ad un’agenzia di lavoro interinale”.

Michela Farina, 16 anni, al terzo anno dell’Abf sogna un lavoro a contatto con la gente per cui la sala è stata sin da subito una scelta naturale. Quest’anno ha fatto tappa “Da Frosio”, ad Almè: cinque settimane di alternanza scuola-lavoro dal 27 gennaio al 1° marzo. “E’ stata un’esperienza straordinaria lavorare sotto la guida dei fratelli Frosio, in un clima stimolante, in un ristorante curatissimo. A scuola ci insegnano tante cose, ma la prova sul campo è diversa. Non mi sarei mai aspettata di imparare tanto addirittura in trasferta: grazie ai fratelli Frosio ho visitato cantine in Piemonte e sono stata al Vinitaly”.

La motivazione è alta anche tra i più giovani. Sara Agazzi, 17 anni al III anno a San Pellegrino, sogna un’esperienza a tutto campo in cucina, pasticceria inclusa: “Quest’anno al Ristorante Angolo di Trezzo sull’Adda ho fatto una bella esperienza in cucina, che sarebbe stato bello prolungare. Ho imparato tantissimo nella lavorazione del pesce e ho avuto modo di vedere come si organizza il lavoro quando i coperti da gestire sono molti. Ora sto cercando un lavoro per l’estate. Mi piace immaginare il mio futuro in una grande cucina”.

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STORIA E TRADIZIONI di Leonardo Bloch

L’ origine del piatto non si esaurisce nella disputa tra bresciani e bergamaschi. “Cascioncelli” e “cassatelli” si ritrovano anche nelle corti aragonese ed estense. Tra gli ingredienti del ripieno protagonista è il formaggio, la carne appare solo in tempi più recenti

L’epopea del casoncello

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ella secolare tenzone che li contrappone ai bergamaschi per rivendicare la paternità dei casoncelli, i bresciani possono chiamare a deporre a loro favore nientemeno che un sedicente teste oculare del controverso parto gastronomico. Il resoconto di Ortensio Lando, frate spretato autore del cinquecentesco Commentario delle più notabili e mostruose cose d’Italia ed altri luoghi, è lapidariamente circostanziato: la genitrice dei tanto contesi ravioli risponderebbe al nome di Melibea da Manerbio la quale, non paga dei propri conseguimenti culinari, si sarebbe vieppiù guadagnata la menzione negli annali abbattendo a nude mani un orso di grandezza mostruosa. Ad onore del vero, le pagine dell’eccentrico cronista milanese, compilatore tra l’altro di un audace Cathalogo delle più notabili meretrici del suo tempo, prestano il fianco a ben più di un sospetto di partigianeria: ancora ad una gentildonna della bassa bresciana, Marina da Offlaga, viene elargito il credito per l’invenzione dei fiadoni - pietanza affine al tortello che godette di vasta popolarità nel tardo medioevo. E in tema di vini il sagace Ortensio soggiunge che «hanno i bresciani, oltre la vernaccia di Celatica, moscatelli superiori alli bergamaschi». A riequilibrare i giochi interviene Antonio Tiraboschi, autorevole filologo

ottocentesco del nostro vernacolo, che cita la ben più antica comparsa dei casonzellorum tra le imbandigioni dei festeggiamenti tenuti in Città Alta il 13 maggio 1386 in onore di Gian Galeazzo Visconti. E Silvia Tropea Montagnosi, puntuale storiografa della cucina bergamasca, liquida indulgentemente le congetture del Lando come «fantasiose, certo, ma che ci indicano la presenza e la diffusione di questa pasta ripiena in una zona ben determinata». In realtà, più approfonditi riscontri storici consentono di reperire pietanze strettamente imparentate con i casoncelli anche in bacini gastronomici oggidì affatto impensabili, recando ulteriore scompiglio nel dibattito circa le loro origini. Un anonimo trattato del tardo Quattrocento redatto a Napoli nei circoli culinari della corte aragonese riporta infatti la ricetta dei cascioncelli - ravioli ripieni di ricotta la cui preparazione trovava compimento in frittura. Sempre in tema di tortelli farciti di formaggio, il manoscritto propone i cassatelli, che saranno ripresi a distanza di qualche decennio dallo scalco ferrarese Cristoforo di Messisbugo sotto la dizione di casatelle. Si deve del resto tener in conto che la profonda segmentazione regionale che caratterizza la gastronomia del nostro paese risale a non più di un paio di secoli fa, e che la cucina medie-

Ortensio Lando, eccentrico autore cinquecentesco, si dice testimone oculare della nascita dei casoncelli, ad opera di Melibea da Manerbio


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L’indagine vale era invece contraddistinta da relativa uniformità su base nazionale. Non sorprende dunque che agli albori dell’era moderna i fratellastri del raviolo bergamasco potessero essere in voga tanto alle pendici del Vesuvio quanto presso la corte Estense o che i fiadoni siano stati tramandati sino a noi non già tra le vivande tipiche del circondario di Brescia - come pretenderebbe Ortensio Lando - bensì tra quelle della tradizione abruzzese. Indipendentemente dalla questione delle loro ascendenze, emerge con chiarezza che tra gli ingredienti di queste preparazioni una posizione di assoluta preminenza in origine spettasse al cacio, il quale con ogni evidenza ne ha contrassegnato anche la denominazione. Da questa prospettiva gli scarpinòcc di Parre, ancorché ormai scissi dall’antico etimo, con il loro ripieno a base di formaggio sono tra le paste ripiene della nostra tradizione quella che si mantiene più strettamente aderente al modello arcaico. Non v’è peraltro da scordare che in età medievale i derivati del latte rappresentassero l’alimento per eccellenza delle classi meno abbienti se è vero che, come annota laconicamente Pantaleone da Confienza nella sua Summa lacticiniorum del 1477, «i poveri sono costretti a mangiar formaggio all’inizio, a metà e alla fine del pasto». Data la loro chiara connotazione di piatto delle feste, era dunque inevitabile che, assecondando l’evoluzione del gusto, i casoncelli fossero oggetto di plurime revisioni volte a renderne più opulenta la farcia. Ecco dunque che, con ogni verosimiglianza tra il XVI ed il XVII secolo, forse proprio in forza della loro proverbiale affinità con il cacio fanno comparsa nel ripieno le pere spadone. Una volta conquistato un posto nella lista degli ingredienti, queste ultime finiscono per acquisire un ruolo di primo piano che manterranno a lungo, come attestato dalla ricetta che ancora nel 1829 riporta Giovanni Felice Luraschi nel “Nuovo cuoco milanese economico”. Altre fonti ottocentesche – e segnatamente i glossari vernacolari del bresciano Melchiori e del bergamasco Tiraboschi – sono invece per una volta concordi nell’individuare in «erbe, uova, cacio ed altro» il contenuto dello scrigno di pasta. La farcia a base di carni cui siamo avvezzi ai nostri giorni pare dunque essere un’innovazione relativamente recente, assai probabilmente poco più che centenaria. A Melibea da Manerbio, si fosse costei figurata una siffatta piega, non sarebbe forse spiaciuto utilizzare nel ripieno la polpa dell’orso che aveva stecchito, dato che a quei tempi il plantigrado era considerato un’autentica prelibatezza. Ma alla gentildonna bresciana ed al suo pigmalione Ortensio Lando sarebbe sicuramente aggradata meno la conclusione cui ci conduce l’epopea del casoncello nelle sue cangianti declinazioni: la storia della cucina, come scrive il grande filologo Pietro Camporesi, è fondamentalmente storia della morfologia delle pietanze, e per essa è irrilevante ogni attribuzione di paternità.

Made in Italy in cucina, «le nonne sono le vere paladine»

Un italiano su tre (33%) vuole rigorosamente le ricette della tradizione mentre il 24% va alla ricerca di prodotti sani e di qualità. Solo il 17% dice di gradire sperimentare e il 20% di volere pietanze ricercate ed elaborate. E chi può soddisfare al meglio questo bisogno di tipicità e genuinità? La nonna, vera paladina del made in Italy. È quanto emerge da uno studio promosso dal Polli Cooking Lab - l’Osservatorio sulle tendenze alimentari dell’azienda toscana - in occasione del Cibus, condotto su circa 1.200 italiani tra i 20 e i 55 anni attraverso un monitoraggio online sui principali social network, blog, forum e community. La cucina della nonna è preferita dalla metà degli italiani e la motivazione principale (39%) è perché “da lei si mangia meglio”. Per il 21% degli intervistati perché ai suoi piatti non si può dire di no mentre per il 18% perché sa esaltare al massimo la qualità dei prodotti made in Italy. Un altro 18% preferisce la cucina della nonna perché incarna in pieno i sapori di una volta. Mamme, mogli e fidanzate sono invece bocciate. Per le prime la preferenza raggiunge il 17%, per le compagne e la cucina di casa propria la percentuale di gradimento è al 13%. Giù anche ristoranti rinomati (8%) e trattorie di provincia (10%). Cosa non piace della cucina della mamma? Per un italiano su due (53%) gli stessi piatti non hanno il sapore autentico di quelli fatti dalla nonna, il 27% accusa un po’ di approssimazione nella preparazione e il 21% lamenta che a volte le mamme non dosano bene i sapori. E della cucina del partner? Ben il 36% afferma che il proprio partner ha poca inventiva, il 23% lamenta l’utilizzo di troppi cibi preconfezionati mentre per il 20% trasmette addirittura ansia quando si mette ai fornelli. Anche per questo le visite dalla nonna sono frequenti. Il 35% del campione dichiara di andare a pranzo ogni domenica, il 37% almeno due domeniche al mese, il 15% almeno una volta al mese e non manca chi afferma di passare ogni volta che riesce a ricavarsi qualche ora di tempo a pranzo (11%). Merito delle nonne è anche quello di riuscire a far mangiare prodotti “poco graditi” come verdure, legumi ma anche alcuni carni meno consuete come agnello e coniglio.

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TENDENZE

Al declino di produzioni personalizzate e originali di salami e insaccati, un tempo tradizionale in tante famiglie, rispondono professionisti dei fornelli, decisi a dare nuovi stimoli all’arte della norcineria con il proprio contributo di ricerca, tecnica e gusto di Lara Abrati

Salumi, se al rilancio ci pensa lo chef

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ono molte le arti e i mestieri che man mano si stanno perdendo. Ognuno sta scomparendo per un motivo specifico e diverso ed anche la norcineria, così importante per l’economia agricola locale e famigliare dei decenni passati, non si sottrae alla tendenza. «La lavorazione delle carni in casa – dice Giuseppe Pezzotta, maestro norcino - ormai non la fa quasi più nessuno. Sono rimasti solo pochi anziani che acquistano il maiale e ce lo fanno lavorare per la produzione dei loro salumi. Il problema vero è che le cascine, con le attività agricole connesse, sono sempre meno». Che la figura del norcino sia a rischio estinzione

non è una novità. Si è mossa qualche anno fa infatti l’Associazione Norcini Bergamaschi che ha iniziato con l’organizzare corsi e iniziative per la sopravvivenza della norcineria, così come anche il maestro Pezzotta la concepisce: «per permettere a chi lo vuole di autoprodurre il proprio salame e i propri salumi, in modo esclusivo e consci che un salame non sarà mai uguale ad un altro». Non solo le associazioni legate al mondo della norcineria si sono messe in gioco, ma anche molti cuochi professionisti. Anche Slow Food Lombardia ha messo in campo un progetto «che mira – spiega Lorenzo Berlendis – a tutelare e promuovere saperi e conoscenze di grande valore, nell’ambito sia dell’allevamento suinicolo che nella lavorazione delle carni». Si chiama Tredicilune ed è un progetto che può essere sottoscritto dai vari attori della filiera: agricoltori, norcini, chef e ristoratori. L’obbiettivo è proporre un decalogo che si riferisca alle tecniche di allevamento e trasformazione, ma che stimoli anche ad un nuovo approccio complessivo all’agricoltura. I primi sottoscrittori, in data 26 febbraio 2014, sono stati gli chef Vittorio Fusari della Dispensa Pani e Vini di Adro e l’abruzzese Peppino Tinari, che da tempo praticano l’arte della norcineria per la propria attività ristorativa. Ecco nata la nuova figura, quella dello chef – norcino, ben accolta dai norcini in quanto la direzione e gli intenti sono i medesimi.


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Il maestro norcino - Giuseppe Pezzotta

«Un prodotto esclusivo dà valore alla ristorazione» Giuseppe Pezzotta è maestro norcino e insegna durante i corsi organizzati dall’Associazione Norcini Bergamaschi. La sua storia professionale ruota tutta attorno al mondo dei salumi. «Ho lavorato in importanti salumifici come operaio, praticamente faccio il norcino da quasi cinquant’anni – afferma orgoglioso -. Con l’Associazione cerchiamo di tutelare e promuovere l’arte della norcineria che si fonda sull’insegnare una certa manualità, ad esempio nel disosso o nella mondatura, ma anche una maggiore conoscenza della carne e dei tagli. La nostra attività prosegue anche dopo la lavorazione, infatti i prodotti trasformati vanno curati nella loro fase di asciugatura e stagionatura. Assolutamente da non sottovalutare è la maturità dei suini che verranno

macellati – rimarca -, che devono avere un’età superiore ai 13 mesi. Questo determina una maggiore qualità delle carni e, di conseguenza, dei salumi». Da dati sui corsi dell’Associazione emerge che molti partecipanti sono i cuochi professionisti che, nelle varie edizioni, hanno scelto di approfondire l’arte della norcineria. Molti come semplici appassionati, altri per introdurre salumi propri nell’attività ristorativa. In Bergamasca, comunque, la maggior parte dei cuochi–norcini è rappresentata da operatori di attività agrituristiche. Secondo il maestro norcino, questa tendenza è data dal fatto che i cuochi professionisti «hanno capito il valore aggiunto che può dare l’avere un prodotto esclusivo e fatto da sé alla propria attività di ristorazione».

Gli chef Vittorio Fusari - Franciacorta

Allo studio la riscoperta della “Ret” «Per quanto riguarda il mondo della cucina e della sua storia, esistono due grandi aree: quella della cucina professionale e quella della cucina domestica. La prima è sopravvissuta e sopravvive tutt’ora, si evolve, cambia e si trasforma. L’ambito della cucina domestica sta invece scomparendo, sempre meno persone cucinano in casa. Analogamente sta succedendo per il mondo della norcineria», dice Vittorio Fusari, chef della Dispensa dei Pani e dei Vini di Franciacorta, uno dei due primi sottoscrittori del progetto Tredicilune di Slow Food Lombardia. Fusari acquista i suini da allevatori che gli garantiscono l’attuazione di alcune buone pratiche orientate al benessere animale. Ulteriore attenzione è riservata all’età dei capi da macellare: «Le carni utilizzate provengono da esemplari che hanno compiuto le famose 13 lune ad agosto. Questo vuol dire che se vengono macellati a novembre, avranno sicuramente almeno 16 lune, quindi 16 mesi», evidenzia. La scelta di dedicarsi alla norcineria è data dall’esigenza di salvaguardare questa professione, con lo stimolo di incentivarla. Secondo lo chef infatti «il cuoco, alla sapienza del norcino, può aggiungere la scienza e la tecnica di cucina». Fusari produce i classici salumi

Vittorio Fusari

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TENDENZE

della tradizione bresciana, come salami, coppe, pancette e i cotechini, senza l’utilizzo di conservanti e riponendo una particolare attenzione all’utilizzo del sale, in linea anche con le esigenze del consumatore attuale. Rispetto a decenni passati infatti la produzione salumiera ha subito una notevole evoluzione in termini di quantità di sale utilizzato, abbassandone le dosi. Il salame, principe delle tavole dei bresciani, è prodotto utilizzando le parti nobili e pregiate. La parte magra viene tagliata a punta di coltello, l’aglio non viene aggiunto direttamente, ma lasciato in infusione. Attualmente Fusari sta sperimentando il recupero di un prodotto locale, la Ret. Si prepara a partire dai ritagli più importanti e le carni vengono aromatizzate con salvia, rosmarino, buccia d’arancia e di limone, vino, in questo caso Franciacorta Docg. Il preparato viene poi insaccato nella vescica di maiale. Era un salume molto grosso che veniva consumato nelle feste o durante la mietitura o la vendemmia, periodo in cui le famiglie contadine si attorniavano di tante “braccia” per l’aiuto nei campi. È in progetto di crearne un Presidio Slow Food.

Stefano Masanti - Valchiavenna

«La sfida è ridurre il contenuto di sale per esaltare le carni» «Nasco da una famiglia di albergatori che precedentemente avevano un’osteria sul lago di Como. Mio nonno lavorava le carni di maiale per produrre i salumi da servire in albergo e al ristorante», racconta Stefano Masanti, chef chiavennasco d’adozione, prulipremiato e multifuzionale. Cosa l’ha portato ad entrare al mondo della norcineria? Il fatto che il suo approccio alla cucina nel corso degli anni si è sviluppato in molte direzioni, dalla pasticceria alla cioccolateria fino, appunto, ai salumi. «Se vuoi migliorare qualcosa – afferma – devi averne il controllo. Mi sono avvicinato all’arte della norcineria anche per passione. Per anni la produzione era limitata al consumo del ristorante, ma poi ha preso un’altra strada e ora è attività a sé. Alle produzioni che faceva mio nonno, ho aggiunto la bresaola, anzi brisaola, come viene chiamata in Val Chiavenna». Masanti collabora con molti altri ristoratori per la produzione dei salumi. Per quanto riguarda le brisaole, si deve sapere che tradizionalmente si impiegavano carni provenienti da bovini vecchi, non per scelta, ma per necessità. Il bovino produce lat-

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te e lavora, trarre nutrimento dalle sue carni era l’ultimo utilizzo. Le carni bovine venivano conservate con l’ausilio del sale. Anche per Masanti, «l’apporto dato dagli chef professionisti al mondo della norcineria potrebbe consistere nel dare un taglio moderno ad alcune lavorazioni, attraverso l’utilizzo di tecniche di cucina innovative, rimanendo comunque rigidi e ferrei nelle lavorazioni». Come per gli altri, una delle battaglie è quella contro il sale, per questo sta facendo delle prove applicando il sottovuoto, precisando in ogni caso che «le carni già sono molto poco salate, ma vorremmo salarle ancora meno, in modo da snaturare il meno possibile la carne in lavorazione». Vogliamo sfatare una credenza? Masanti rivela che «non necessariamente le razze italiane, come la Piemontese, sono tra le più adatte per la produzione delle brisaole, a causa delle scarse infiltrazioni di grasso. Una razza molto adatta è invece ad esempio la bavarese, di origine tedesca e che sviluppa carni molto più marezzate. La convinzione che la bresaola sia magra rimane quindi un mito!».


NEWS

maggio 2014

Appuntamento il 25 giugno all’Osteria del Vino Buono, in Città Alta, con l’iniziativa di Alessandro Bottelli. I brani musicali calibrati sul menù

di Lelia Parisi

CibArs, a Bergamo debutta la musica da tavola

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n tempo si chiamava Tafelmusik (musica da tavola), quando Telemann deliziava i convitati con la sua ritmica vivace e spigliata, con i suoi aggraziati “fingerfood” musicali da afferrare a suon di timpano, leggeri e fugaci. Ed è proprio a questo genere che si è ispirato il bergamasco Alessandro Bottelli, già autore di performance che incrociano poesia, arte e musica (tra cui l’operina musical-gastronomica “Pasticcio al Museo” allestita nella scorsa edizione di BergamoScienza), con il suo CibArs, il progetto che ripropone in chiave moderna l’idea della musica composta appositamente per i banchetti, declinandola nella forma di serate gastronomiche con musica e lettura di testi inediti di natura alimentare, “serviti” in abbinamento con il cibo. Una decina di brani per pianoforte, flauto e clarinetto affidati a una compositrice d’eccezione nel panorama della musica classica italiana, Teresa Procaccini. Un organico minimo, concepito per essere facilmente esportabile in ristoranti e case private. Rispetto alla Tafelmusik, Bottelli ha introdotto degli elementi di novità per stimolare l’ospite, un po’ come lo stuzzichino che vuole titillare le papille. In CibArs, alla musica da tavola si affianca la lettura di poesie e prose in versi sul tema del cibo e del vino, piacevoli intermezzi tra una portata e l’altra che si alternano alle composizioni musicali, talora ironici e scherzosi, come leggeri sorbetti di metà pasto, talaltra nostalgici, come vini da meditazione. Autori, Maurizio Cucchi, poeta e critico di poesia della Stampa, Maria Luisa Spaziani, decana dei poeti contemporanei e amica di Montale, il poeta Valerio Magrelli, solo per citarne alcuni. Ad ospitare in anteprima l’iniziativa, che punta all’Expo 2015, l’Osteria del Vino Buono in piazza Mercato delle Scarpe in Città Alta, dove il 25 giugno, alle 20, al costo di 45 euro tutto incluso, si svolgerà la “prima” di CibArs (prenotazione obbligatoria entro il 18 giugno allo 035.247993 / 348.5112090). «Tutte le musiche da tavola e i testi sono inediti - precisa Bottelli -, composti per l’occasione da poeti e narratori che hanno aderito alla nostra iniziativa, accettando di rendere fruibili le loro composizioni in un contesto diverso da quello canonico del teatro o dell’auditorium».

Il menù viene studiato in base alle poesie disponibili, selezionate da un paniere in costante lievitazione, per l’adesione via via al progetto di nuovi autori. I brani musicali sono a loro volta calibrati sul tipo di menù. «Una componente essenziale di CibArs - spiega Bottelli - è dar risalto all’idea di convivialità e di complicità intorno al cibo. A tale scopo abbiamo anche ideato la vendita, per chi lo desidera, di simpatici copricapo artigianali ispirati a frutti e ortaggi da indossare durante la serata». Come negli antichi convivi piacere della tavola, della musica e della poesia si fondevano all’interno di un’unica cornice, anche questo progetto si propone di coinvolgere tutti i sensi, palato, vista e udito, «suscitando un godimento che avvicini la gente a un “cibo” non troppo frequentato come è quello della poesia e della musica classica». CibArs è una produzione di “Come un fior di loto”. I testi sono recitati dalla lettrice-attrice Federica Cavalli.

Alessandro Bottelli

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L’ELEZIONE

Parla il nuovo presidente del Consorzio Tutela Valcalepio

Medolago Albani: «Ecco i tre pilastri del mio mandato»

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l nuovo presidente del Consorzio Tutela Valcalepio è Emanuele Medolago Albani, produttore storico di Trescore, proprietario dell’omonima azienda di 55 ettari, di cui 25 di vigneto, che appartiene alla storia del Valcalepio sin dalle sue origini e che rappresenta pienamente l’intera filiera produttiva. Ad eleggerlo, all’unanimità, è stato il nuovo Cda, riunitosi lo scorso 13 maggio dopo aver preso atto della rinuncia del presidente uscente, Enrico Rota. “Mi dispiace dover declinare la mia ricandidatura” - ha dichiarato l’ex presidente - ma motivi personali mi hanno portato a questa non facile decisione. Tuttavia, ciò non mi impedirà di continuare ad essere parte attiva del Consorzio, una realtà nella quale credo molto e per la quale spero di poter fare ancora tanto in futuro”. Nel corso della riunione, il Cda ha rinnovato l’incarico al vicepresidente uscente, Giovanni De Ferrari che si è detto ben disposto a continuare nel suo compito di affiancamento al ruolo presidenziale. La prima proposta ufficiale del nuovo presidente è poi stata quella di nominare il Comitato esecutivo, il braccio operativo del Consorzio e del Consiglio di Amministrazione. I due nomi proposti da Medolago Albani per affiancarlo in questo incarico decisionale e dirigenziale sono stati Enrico Rota e Giovanni De Ferrari; nomi che il cda ha ratificato. Medolago Albani si è detto pronto a farsi carico “di

un ruolo così importante”. “Sono consapevole - ha aggiunto - del bagaglio di responsabilità che questa carica porta con sé. Sono certo che proseguiremo con forza e convinzione sul percorso tracciato dal precedente consiglio nel corso del triennio appena conclusosi. Lavoreremo insieme per un bene comune che è quello del nostro vino, il Valcalepio, e del nostro territorio in un’ottica di grande collaborazione con le istituzioni e gli enti di Bergamo e provincia”. Medolago Albani ha ringraziato il presidente uscente “per il prezioso lavoro svolto nel corso dei suoi tre anni di governo del Consorzio” e ha dato il “benvenuto ai 4 nuovi consiglieri, persone giovani e attive che simboleggiano la volontà e l’impegno del Consorzio di muoversi verso il futuro nell’ottica di un rinnovamento generazionale”. “Nei prossimi tre anni - ha poi cocnluso - continueremo con entusiasmo a lavorare sul percorso già intrapreso dal precedente consiglio di amministrazione. Con la presidenza precedente condividiamo i valori fondamentali alla base del nostro lavoro di tutela e promozione del vino di Bergamo, il Valcalepio. Tre saranno i pilastri fondamentali del nostro lavoro nel prossimo triennio di governo: l’importanza della comunicazione e dei nuovi media, la collaborazione e la sinergia con gli enti e le istituzioni del territorio e la messa in pratica dell’Erga Omnes”.

Il nuovo presidente del Consorzio Tutela Valcalepio, Emanuele Medolago Albani (a destra) con Enrico Rota

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IL PRODOTTO

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Gelato, un piacere che si rinnova di Anna Facci

A Bergamo le gelaterie sono in crescita trainate dalla città. Non è un settore immune dalla crisi, che si fa sentire accelerando il ricambio delle gestioni ed alzando il livello della competizione. Il prodotto è però versatile e si presta a nuove ricette, comprese quelle per i cani

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are che di gelato non ce ne sia mai abbastanza. I dati della Camera di commercio confermano la tendenza intuibile passando mentalmente in rassegna le nuove aperture in centro città: il numero delle gelaterie è in costante crescita. Nel giro di poco più di due anni, dalla fine del 2011 al marzo 2014, se ne contano ben dieci in più. Sono passate da 33 a 43, con un aumento del 30%, e solo nel primo scorcio d’anno il saldo è salito di due unità. Il capoluogo è il principale artefice dell’incremento delle attività in Berga-

masca, passate da 242 a 264 (+22, pari al 9%, che significa 12 insegne in più in provincia). La gelateria è quindi un settore capace di resistere alla crisi? Il presidente del Comitato Gelatieri dell’Ascom Massimo Bosio preferisce andare più in là dei numeri, evidenziando accanto alla crescita l’alto turn over delle imprese, «che non è mai stato così rapido come in questi tempi». «La gelateria è vista come un’attività semplice da avviare e gestire – rileva – complici anche soggetti del mercato che promettono un locale chiavi

in mano senza grossi investimenti iniziali, nemmeno in formazione! In realtà non è così e anzi, proprio la crisi ha alzato il livello della competizione rendendo ancor più importante fare bene il proprio mestiere». Sgombrato il campo dall’improvvisazione, «che però danneggia tutto il settore», il gelato può continuare ad essere fonte di ispirazione per i gelatieri e regalare nuove suggestioni ai golosi di tutte le età, come dimostrano le tre esperienze che vi raccontiamo, tutte tra l’altro caratterizzate da un tocco femminile

Da Giò - Chiuduno

A tutte le intolleranze ci ha pensato il farmacista Non poteva che avere un taglio squisitamente salutistico la gelateria aperta a Chiuduno da Giorgio Brunelli, farmacista da oltre vent’anni, che accanto alla passione per le preparazioni galeniche coltiva il piacere per l’enogastronomia e del fare dolci. Al resto ci ha pensato la compagna - e socia nell’attività - Francesca Gelmi, esperta in marketing e comunicazione, che ha avvalorato con le proprie competenze l’impostazione del locale, con l’aggiunta della personale attenzione al bioloFrancesca Gelmi

gico e agli animali. Inaugurato il primo giorno di primavera di quest’anno, “Da Giò”, piccolo locale solo per l’asporto sulla strada provinciale, si presenta come “il gelato che fa bene” per l’attenta selezione delle materie prime, la messa al bando di ogni additivo e l’offerta di prodotti per chi ha precise esigenze alimentari. Tra i 22 gusti sono infatti sempre presenti 6/7 opzioni, tra quelle a base di riso o soia, pensate per chi è intollerante al lattosio, dolcificate con stevia per i diabetici e sorbetti con il

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IL PRODOTTO

60% di frutta biologica, ideali per i vegani, oltre ai coni senza glutine confezionati singolarmente, per i celiaci. «È il punto di vista del farmacista – racconta Francesca Gelmi – che ci ha portato ad individuare questo target, di certo una nicchia, ma in crescita e soprattutto non ancora sufficientemente preso in considerazione dall’industria dolciaria». La gelateria vuole così offrire la possibilità anche a chi ha problemi di salute di godersi un goloso momento di relax, ma pure chi non deve fare i conti con particolari prescrizioni dietetiche potrà trovare attenzione alla salubrità del prodotto. «Tutto il nostro gelato – spiega – è privo di emulsionanti, stabilizzanti di sintesi, grassi vegetali idrogenati, aromi artificiali e coloranti. Ciò è possibile grazie all’utilizzo di uno speciale micronizzatore e di un sistema di refrigerazione ad hoc che consente di esaltare la naturalità senza rinunciare alla cremosità tipica del gelato. E poi c’è la scelta degli ingredienti. Usiamo, ad esempio, solo zucchero di canna e zucchero d’uva e andiamo alla ricerca di materie prime di eccel-

lenza come i grandi cru di cacao, la frutta fresca biologica, le nocciole del Piemonte e i pistacchi siciliani. Le ricette sono messe a punto con la collaborazione di un maestro gelatiere e realizzate dal nostro personale». Insomma, attenzione alla salute non vuole dire meno gusto, anzi, «semmai sapori più nitidi e minore pesantezza – sottolinea Francesca -, senza trascurare il lato gourmand, con creazioni golose, né l’aspetto divertente e colorato di coni e coppette». I bambini possono stare tranquilli, quindi, troveranno il gelato di Peppa Pig, rosa per l’impiego di fragole bio. Da Giò ha pensato anche alla salute dei cani creando la speciale dog cup con un gelato senza zucchero e altamente digeribile a base di latte di riso. «Una proposta che qualcuno potrà considerare eccessiva – ammette la titolare -, ma i dati di fatto sono due, che il gelato tradizionale è dannoso per i cani, soprattutto perché provoca la carie, e che la spesa per gli animali da compagnia, insieme a quella per la cura di sé, è l’unica in aumento in un periodo di crisi generale come questo. Si potrà anche non essere d’accordo ma è un segno inequivocabile dei cambiamenti sociali in atto». Sono del resto gli stessi amici a quattro zampe a confermare il gradimento. Alcuni di loro, infatti, hanno imparato la strada e durante le passeggiate tirano con decisione verso la porta della gelateria. Via Cesare Battisti 55

Latteria igienica La Vaniglia - Bergamo

Ogni cliente può creare il suo gusto. Anche con latte di asina Un locale dedicato alle tante forme del latte. Vaccino, di bufala, di capra e persino di asina, in veste di gelato artigianale, ma anche di latte sfuso, panna, yogurt, burro, ricotta. Questo è la “Latteria igienica La Vaniglia”, l’insegna con cui fanno il bis Giuseppe Arcifa e la moglie Valbona Collaku, che tre anni fa hanno aperto in via Pignolo a Bergamo la caffetteria torrefazione “La Chicca”. Il nuovo progetto vede la luce proprio in questi giorni nella stessa via, poco distante, al numero 50, al termine di una fase di studio e messa in opera durato più di un anno e mezzo, che per il nome e l’idea di fondo ha tratto ispirazione da un’insegna storica genovese, città d’origine di Arcifa. «Il gelato preparato nel laboratorio a vista è il cuore dell’attività – racconta Sonia Rota, la gelatiera -, ma nel punto vendita mettiamo a disposizione anche i prodotti dei nostri fornitori, come la gamma dei latticini freschi e le uova da galline allevate a terra, sottolineando la nostra scelta locale e

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Sonia Rota

di qualità». Mentre il mondo del gelato si arrovella alla ricerca di ingredienti insoliti e abbinamenti innovativi, qui la differenza è fatta dal latte stesso. Bufala, capra ed asina, oltre ad essere più digeribili e quindi più interessanti per chi ha problemi con il latte vaccino, aprono nuovi orizzonti al palato. «La particolarità della proposta ci impone di limitare i gusti, in modo da offrire prodotti sempre freschi – sottolinea Sonia Rota -. A disposizione ce n’è una decina, ma la rotazione è continua e poi ci sono granite siciliane, yogurt e panna». Solo il gelato con latte di asina viene preparato esclusivamente su prenotazione, visto l’alto costo del latte, che è possibile anche acquistare sfuso. «Più che sul passaggio – spiega – puntiamo a stringere un rapporto diretto con i clienti offrendo la possibilità di creare per ciascuno il gelato su misura. Prontissimi, ad esempio, a preparare un gelato con la cassetta di frutta raccolta dal cliente delle piante del proprio giardino o a realizzare


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un gusto su sua indicazione. Non ci avvaliamo di semilavorati industriali, facciamo tutto in proprio e questo ci dà la possibilità di spaziare ampiamente. Il gelato, infatti, si può fare con qualsiasi cosa se si hanno le competenze adeguate», rimarca la gelatiera, diplomata alla Scuola italiana di gelateria di Perugia. Per il latte d’asina, ricercato perché il più simile a quello materno e con notevoli proprietà nutritive, ma difficilissimo da ottenere, La Vaniglia fa riferimento a Mario Pucci, veterinario e vero esperto in materia, che ha un allevamento ad Albino. Anche per le altre materie prime la priorità è per prodotti vicini, stagionali e di qualità, con “nomi e cognomi” delle aziende che, all’insegna della trasparenza, saranno segnalati nel locale. Via Pignolo 50

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Fonte: Camera di Commercio di Bergamo * dati al 30 marzo

Il Bianconiglio – Bergamo

Stupire gli ospiti con i gelati gastronomici in vasetto Le idee non mancano a Silvia Lombardoni, 29 anni, laureata in Beni culturali e guida turistica che di fronte alle prospettive poco stabili della professione ha scelto di dedicarsi «a qualcosa di più concreto». Al Villaggio degli Sposi, a Bergamo, ha aperto tre anni fa la gelateria Il Bianconiglio, dove lei – dopo l’Università del gelato della Carpigiani e la gavetta in un laboratorio - è l’addetta alla produzione e il papà, in un curioso scambio di ruoli rispetto alla consuetudine, si occupa della vendita. Lo scorso autunno, per vivacizzare la stagione invernale, ha lanciato dei gelati gastronomici racchiusi in vasetti di vetro a mo’ di conserva: “ceci e olio di oliva aromatizzato al rosmarino” e “robiola e pepe rosa” le due ricette. Con l’estate rinnova la curiosità proponendo “taleggio variegato con salsa alle pere” e “zafferano con pistacchi tritati”. «Sono pensati per portare un tocco di novità in tavola – afferma -, per l’aperitivo o in accompagnamento ad un antipasto di salumi, ad esempio. Ne può bastare qualche cucchiaino per

stupire gli ospiti». «Li abbiamo presentati nel corso di un evento e sono piaciuti – ricorda –, nella scelta del gelato però prevalgono sempre e comunque i sapori classici e i gelati gastronomici restano per pochi». Più successo hanno i gusti che, pur innovando, si discostano poco da quelli tradizionali, come quello che ha chiamato Winnie the Pooh, una stracciatella ma con gelato

al caramello, o Sweet Vanilla con biscottini speziati sciolti nella miscela. Con la bella stagione riprende anche la produzione del gelato per i cani, al riso, con pochi grassi e solo fruttosio, collegata ad un’iniziativa a sostegno

degli animali: parte del ricavato della vendita della coppette viene infatti destinato all’associazione “Io cammino con fido”. Di “fresca” introduzione il caffè shakerato, ossia un frappè di gelato alla nocciola ed espresso lungo guarnito con cacao in polvere e topping al cioccolato, e le brioches che arrivano direttamente da Catania da farcire con il gelato. «Non sono per la novità a tutti i costi, oltre all’idea deve sempre esserci la sostanza di un prodotto fatto con gli ingredienti migliori – precisa Silvia -. Inserire un gusto o una proposta diversa dal solito serve però ad incuriosire, è uno spunto per raccontare ciò che facciamo». E con realismo traccia un bilancio della svolta che ha dato alla sua carriera. Non è la favola imprenditoriale che spesso ci si immagina, in cui bastano buone idee, competenze e voglia di fare per afferrare il successo. «Le soddisfazioni non mancano – dice -, ma anche fatica, sacrifici e problemi, dal far quadrare i conti alla burocrazia, alla sicurezza». Via alle Cave, 3/5

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IL RISTORANTE di Lelia Parisi

Il locale di Bossico, guidato da Bruno Arrighetti e dalla sorella Federica, punta sulla tradizione grazie agli ingredienti originari della zona, dalla patata bianca alle erbe selvatiche

Bruno Arrighetti con la figlia Chiara e la nipote Ornella (a destra), figlia della sorella Federica

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Ristorante Miralago, nei piatti i profumi dell’altopiano

ossico è così. Ti prende o non ti prende. Si impone, lo subisci, con la sua ruvidezza parlata, le sue rozze aspirate, gli altipiani che ti catapultano a bruciapelo in vertiginose vedute aeree sul lago, le pinete che ti risucchiano nel silenzio immobile dei suoi colli. Paese ritroso e introverso, ma al tempo stesso generoso, di quella generosità un po’ tiranna dei bambini che nega e concede, Bossico conserva un non so che di arcaico, un margine d’ombra che resiste alle parole. È come se l’esprimerlo lo violasse, allo stesso modo in cui il portar fuori i prodotti dal recinto in cui son nati equivale per

un bossichese a toglier loro l’anima. Da qui una certa naturale reticenza, che ha fatto sì che i giacimenti gastronomici di Bossico siano rimasti a lungo al riparo da occhi (e palati) estranei. Forse anche perché mai effettivamente considerati come merce di scambio, ma cose dotate di vita propria, “sedi distaccate” di chi vi ha lasciato dentro parte di sé, la fatica delle braccia, le ore rubate al sonno. Oggi a sgretolare questa reticenza ci ha pensato la Pro loco del paese con iniziative come il Borgo turistico diffuso, nate per valorizzare i prodotti del territorio. Ma ancor prima, ci ha pensato uno dei

IL GIUDIZIO AMBIENTE Il Miralago nasce sulle fondamenta dell’iniziativa di papà Angelo, che all’attività di affittacamere, avviata nel 1948, affianca in seguito la ristorazione. Nei primi anni Ottanta il testimone passa ai figli Bruno e Federica, che avviano una serie di ristrutturazioni dotando l’hotel di comfort degni di un centro turistico altoatesino: 25 camere molto curate e un ultimo piano multifunzionale dedicato a tutti gli ospiti, provvisto di solarium, con vista aerea mozzafiato sul lago d’Iseo, uno specchio obliquo che si incunea tra le montagne, circumnavigando Montisola e puntando a sud. Racconta Bruno: «Il circuito di internet con Trip Advisor ci ha portato molti

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clienti. Mantenere elevati standard di qualità a prezzi concorrenziali ci ha consentito di attrarre i turisti, anche in una località periferica come la nostra, facendo conoscere il nostro territorio e i suoi prodotti». Nella bella stagione, in alternativa alla grande sala ristorante interna, si può pranzare e cenare all’aperto, circondati dal bel giardino fiorito con fontana, dove vengono allestiti anche banchetti, per un totale di 120 coperti. CUCINA La cucina del Miralago è uno specchio del paesaggio che la circonda. Un paesaggio caratterizzato da una forte insolazione che ne esalta i prodotti e da una tradizione di alleva-

mento bovino e ovino favorita dall’isolamento geografico a cui il paese è stato soggetto fino a non molti decenni fa, con produzioni casearie e carni (soprattutto agnello) di ottimo livello e con una loro particolare fisionomia. A dare al Miralago la sua impronta sono anche i prodotti spontanei del territorio, come porcini ed erbe selvatiche, le colture agricole e orticole, come il mais della vicina Cerete, la rinomata patata di Bossico utilizzata per impastare l’ottimo pane casereccio o servita come contorno di carni e salumi bolliti, o il paruk, la santoreggia (usata nel risotto) e il timo selvatico, erbe che Bruno raccoglie sugli altipiani o coltiva nell’orto. Non mancano, a intervallare le spe-


maggio 2014 suoi abitanti più intraprendenti, Bruno Arrighetti dell’Hotel Ristorante Miralago insieme con la sorella Federica, sfruttando come viatico per promuovere le specialità “a diffusione geografica limitata” di Bossico anche le potenzialità di internet (tra cui il portale Trip Advisor). Chef di esperienza solida (racimolata all’Alberghiera di Bellagio, all’Hotel Zingonia e al Ristorante Moro di Bergamo), norcino per passione e tradizione familiare, è riuscito nella non facile impresa di conciliare il vecchio che resiste e il nuovo che avanza. Basta entrare nella cucina del Miralago per vedere come gli ingredienti base della sua tavola originino dagli altipiani di Bossico e ne mantengano integra tutta l’alchimia, potenziata dall’arte maturata da Bruno nei lunghi anni ai fornelli e nel costante confronto con gli altri chef. Patata bianca di Bossico (usata nell’impasto del pane casereccio cotto nel forno a legna), erbe selvatiche, rape di Bossico, porcini di castagno, tartufo scorzone, carni d’agnello di razza gigante bergamasca, l’introvabile salame (inutile qualsiasi voto di scambio con i locali per cercare di entrarne subdolamente in possesso), lardo, soppressa, salsicce, formaggelle e ricotte vaccine nostrane. «La forte insolazione dovuta all’esposizione a sud degli altipiani di Bossico - spiega Bruno - favorisce la crescita di una straordinaria varietà di specie vegetali che spiegano la ricchezza di aromi del latte delle nostre mucche di razza bruna alpina e quindi dei prodotti caseari». Tradotto nel linguaggio mangereccio, primi che ti guardano dritti negli occhi con i loro sapori pieni e senza compromessi. Risotto con formaggella di Bossico e porcini, tortelli con ripieno di spinaci selvatici e ricotta vaccina, la tipica pasta con formaggella e salsiccia, il raviolo aperto con porcini e crema al parmigiano, i casoncelli nella

cialità locali, piatti meno “ortodossi”, come le tagliate di fiorentina o la paella. CANTINA Sono una sessantina le etichette in carta, concentrate perlopiù nelle regioni del centro-nord, dal Piemonte alla Valtellina, dalla Toscana al Friuli con discreta offerta di Valcalepio e Franciacorta. Buoni i ricarichi. SERVIZIO Quella del Miralago è un’attività a conduzione familiare, con Bruno ai fornelli e la sorella Federica a dirigere la sala, ottimamente coadiuvata dalla nipote Chiara, figlia di Bruno, e dalla figlia Ornella, entrambe gio-

versione locale epurata dalle note dolci, con ripieno di carne e pasta di salame. Mentre tra gli antipasti da gustare è il celebre salame bossichese, che Bruno, figlio e nipote di norcini, continua a produrre, insieme a pancetta, soppressa e musetti, grazie alla staffetta generazionale. Speziato con pepe, chiodi di garofano e cannella e aglio macerato nel vino come faceva il nonno paterno, si presenta molto profumato all’olfatto e dolce al gusto, servito con funghi e polenta di farina integrale della confinante Cerete. Un’antica specialità bossichese da non perdere per chi vuole avventurarsi in gusti d’antan è la bergna, la carne di pecora stesa sui ballatoi di legno ad essiccare al sole che qui non tramonta mai (solo su ordinazione e secondo disponibilità). Tagliata sottile, viene condita con aceto aromatico per smussare il lieve gusto selvatico. Altre specialità sono il coniglio alla bergamasca, fatto macerare nel vino rosso con porri e cipolle, il tenerissimo agnello nostrano al forno con aromi misti dell’orto, la soppressa che Bruno prepara con impasto di salame e lingua e guanciale nella parte centrale, servita bollita con patate di Bossico, la guancia di vitello al Valcalepio, la porchetta e il cosciotto di vitello arrosto, musetto con spinaci e polenta. Il capitolo dolci si apre su tentazioni tutte fatte in casa, come le millefoglie di fragole con crema chantilly (consigliata all’intera tavolata per non doverla poi condividere con gli altri commensali), torte di mele, crostate di frutta, crème brûlée al pistacchio e una curiosa zuppetta di frutta e verdura con gelato. Onesti i prezzi, alla carta 30-35 euro, 20 euro il menù del pranzo domenicale, vini esclusi.

ALBERGO RISTORANTE MIRALAGO via 4 Novembre 12 - Bossico (Bg) tel. 035.968008 chiuso: lunedì sera e martedì; in estate sempre aperto

vanissime. Cortese ed efficiente il servizio. ESPERIENZA Dopo l’alberghiera a Bellagio, Bruno colleziona alcune esperienze in ristoranti vari, ma ben presto il richiamo delle origini lo riporta a Bossico, dove i tempi son maturi per rilevare, insieme a Federica, l’attività di ristorazione e accoglienza avviata a suo tempo dal padre. Benché la cucina del Miralago sia prevalentemente incentrata sui piatti della tradizione locale, Bruno ama anche il confronto con altre scuole di pensiero, aprendo alla rivisitazione e alleggerimento di molti piatti che nella loro versione originale faticherebbero a trovare

oggi il favore di ogni stomaco. E quindi bando all’uso di grassi, impiego di solo olio di oliva biologico, cotture lente e rosolature delle carni per eliminare i grassi in eccesso, ampio uso di ortaggi. Pane di patate, pasta fresca e dolci fatti in casa completano l’impronta casereccia del Miralago. RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO Buono il rapporto qualità/prezzo sia alla carta sia, in particolare, nel menù del pranzo domenicale, a 20 euro, bevande escluse, che prevede un primo a scelta tra due proposte della carta, un secondo, dolce e caffè. Gradita la prenotazione.

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IL CASO di Leo Bartoli

Diversi produttori bergamaschi chiedevano l’inclusione nella Dop, istituita nel marzo scorso, che resta un “affare camuno”. Ai bresciani non è piaciuto il “coup de théâtre” orobico. Ma in Val di Scalve non si arrendono

FOTO ANDREA BESANA

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Formaggi, i ribelli del Silter on si arrendono. Non ne hanno nessuna intenzione i produttori bergamaschi, anche se i cugini bresciani hanno chiuso loro le porte in faccia. La Dop, per chi conosce il Silter, particolarissimo formaggio a pasta semicotta, semigrasso, generalmente ottenuto miscelando il latte parzialmente scremato delle due mungiture giornaliere, per ora resta solo un “affare camuno”. Così ha deciso il consorzio di Tutela, rigettando la domanda di alcuni produttori orobici della Val di Scalve e di alcuni Co-

muni del Sebino (Rogno, Costa Volpino, Songavazzo), fino a Castione della Presolana, aiutati nell’iter dalla Provincia di Bergamo. E così si legge nella Gazzetta Ufficiale del 14 marzo, che dava il via libera al marchio. “Nessun problema, noi continueremo a fare il nostro prodotto, come abbiamo sempre fatto, chiamandolo Nostrano”, spiegano i produttori bergamaschi, che ad oggi vedono svanire per la Bergamasca la “Decima”, ovvero la Dop numero 10 sul fronte caseario,

che avrebbe rafforzato il primato nazionale che già detengono (sono a quota 9, con l’ingresso appena ufficializzato anche a livello europeo, dello Strachitunt). Al di là della produzione casearia similare tra territori confinanti, in via Tasso avevano anche pensato al ricorso perché alcune superfici foraggere o anche molti pascoli del territorio scalvino vengono condotte e gestite da allevatori camuni risiedenti nei comuni confinanti, “pertanto parte del foraggio che entra nell’alimentazione del be-

stiame per destinare il latte al Silter è di provenienza della valle di Scalve”. Oltre a questa componente non trascurabile, c’è tutta una storia che accomuna i due territori, se si pensa che anche nel dialetto scalvino il termine “silter” abbia lo stesso significato di quello camuno, ovvero “cantina di stagionatura”. Ma c’è di più. A Schilpario opera un’azienda agricola, quella dei Fratelli Spada, che nel suo caseificio produce un formaggio con le stesse caratteristiche del Silter (unica differen-


maggio 2014 za: crea le sue forme grandi circa la metà rispetto a quelle camune (anche se in anni passati si realizzavano forme dalle dimensioni previste oggi dal disciplinare del Silter). E’ poi fondamentale segnalare come la lavorazione casearia di latte totalmente spannato per affioramento sia la caratteristica distintiva della produzione degli Spada: esattamente come quella che caratterizza ed identifica la produzione di “Silter”. Evidentemente al Consorzio bresciano capitanato da Andrea Bezzi non è piaciuto il “coup de théâtre”, con cui i produttori bergamaschi si sono presentati, proprio in zona Cesarini, all’audizione di Breno per la presentazione pubblica del Disciplinare, un po’ come era avvenuto con il blitz (anch’esso respinto con perdite) dei produttori della Valsassina quando tre anni fa a Taleg-

continuare a fare il Nostrano, anziché chiamarlo Silter, non cambia un granché - afferma Fiorino Spada, che con il fratello Tomaso è titolare dell’azienda di Schilpario -: però se si ragiona sulle modalità di produzione, sui foraggi utilizzati, sulla tradizione che risale ai miei nonni e persino sull’affinamento, vorrei proprio sapere perché il nostro formaggio non ha le carte in regola per entrare nella zona prevista dal Disciplinare”. Forse in questa fase, ai fratelli Spada, per poter presentare il ricorso è mancato l’appoggio della Latteria Sociale della Val di Scalve, già nota per la sua formaggella che vinse anni fa la medaglia alle Olimpiadi internazionali del Formaggio e che per il momento in questa vicenda, preferisce restare alla finestra. Luciano Bettoni, figura storica della cooperativa scalvina, non esclu-

Da sinistra: i fratelli Fiorino e Tommaso Spada

gio venne presentato l’atto pubblico dello Strachitunt. Di sicuro, alla vigilia dell’Expo, il malcostume delle disfide casearie intestine è un leit motiv sempre di moda tra Bergamasca e province confinanti: non solo per lo Strachitunt tra produttori di montagna (che poi hanno incassato la Dop) e quelli di pianura, ma anche per il doppio marchio del Bitto, o ancora per il doppio consorzio del Branzi. “Per noi

de però nulla per il futuro: “Sappiamo tutti che i pascoli e i foraggi della Val di Scalve sono legati a doppio filo con il Silter. Vedremo cosa accadrà in futuro. Magari una Dop piccola avrà bisogno del sostegno anche dei territori confinanti per fare massa critica, per cui nei prossimi anni non si può escludere che la zona di produzione, prevista oggi dal Disciplinare, possa anche venire allargata”.

DAL 24 MAGGIO ALL’8 GIUGNO

Torna “Erbe del casaro”, testimonial Raspelli È giunta ormai alla sua quinta edizione la rassegna gastronomica e culturale Erbe del Casaro che anima gli undici paesi di Altobrembo: Averara, Cassiglio, Cusio, Mezzoldo, Olmo al Brembo, Ornica, Piazza Brembana, Piazzatorre, Piazzolo, Santa Brigida e Valtorta. Tre weekend consecutivi, dal 24 maggio all’8 giugno, saranno dedicati ai prodotti e alle tradizioni gastronomiche della Valle Brembana con un programma di iniziative e appuntamenti culinari mirati alla valorizzazione di erbe spontanee, formaggi brembani e vini della Bergamasca. Ristoranti, aziende agricole e vari operatori di Altobrembo metteranno in mostra le ricchezze gastronomiche della Valle, frutto di cultura, saperi e tradizioni del territorio e delle sue genti. Il primo fine settimana presenta uno degli eventi di punta di Erbe del Casaro: il 24 maggio, ad Averara, si terrà “Formaggi di…vini”, un percorso di altissima qualità che permetterà ai visitatori di scoprire e degustare le eccellenze casearie della Valle Brembana in abbinamento ai vini della bergamasca, con la presenza di aziende agricole e consorzi di produzione, il tutto in una location di grande fascino lungo la via Mercatorum. Il 31 maggio e il 1° giugno, a Piazzolo, sarà di scena “Erbolandia…e la Mostra di piante e erbe spontanee della Valle Brembana”, mentre il giorno successivo toccherà ad “Abbinamenti in natura”, degustazione di formaggi e birra alla Località Ponte dell’acqua di Mezzoldo. L’ultimo weekend ospiterà il testimonial ufficiale, Edoardo Raspelli, critico gastronomico e conduttore di Melaverde. Il 7 giugno sarà presente a Piazza Brembana in occasione della presentazione del libro di ricette “Altobrembo emozioni di sapori” e del percorso gastronomico “Alla scoperta degli antichi sapori”, un itinerario di degustazione di ricette e prodotti tradizionali lungo la via storica del paese. La sera dello stesso giorno, a Piazzatorre, Raspelli presenterà il film “La mia Terra, la mia Gente” di Baldovino Midali, lavoro che valorizza il territorio locale, la sua gente e le sue risorse. L’8 giugno presenzierà al “Salone dei Formaggi Brembani e dei Vini della Bergamasca” in cui la qualità dei formaggi D.O.P. e i Presidi Slow Food della Valle Brembana incontra la pregevolezza dei vini della bergamasca: un’occasione esclusiva in cui scoprire i consorzi, le aziende di produzione e le squisitezze della terra di Bergamo e partecipare all’appuntamento “Esperienze di vita e lavoro in montagna”. In occasione di Erbe del Casaro sarà anche allestita una mostra fotografica “La vegetazione spontanea nella Bergamasca”, dal 31 maggio all’8 giugno, all’Infopoint di Olmo al Brembo. Inoltre, i ristoranti di Altobrembo proporranno menu a tema a base di erbe spontanee e formaggi per esaltare i gusti e i sapori protagonisti di questa rassegna.

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SCENARI di Giordana Talamona

Latte, l’incertezza prende “quota”

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Il primo aprile del 2015 cadranno le controverse soglie che hanno regolato il mercato europeo negli ultimi trent’anni. Difficile per gli operatori del comparto lattiero caseario fare previsioni, tra il timore che il made in Italy soffra per l’arrivo di prodotti a prezzi più bassi e le maggiori opportunità offerte dall’export on solo non hanno accontentato nessuno, ma hanno anche fallito nell’obiettivo di tenere stabile il prezzo del latte in Europa. Col primo aprile 2015 le quote latte andranno definitivamente in pensione, ma l’incerta reazione dei mercati a questo cambiamento sta facendo tremare i polsi a più di un produttore. Molto rumore per nulla, secondo Assolatte, l’associazione che rappresenta le industrie attive in Italia: con l’abolizione delle quote latte ci sarà un leggero aumento della produzione media europea che non dovrebbe sconvolgere gli equilibri esistenti. «I Paesi che aumenteranno la produzione di latte saranno Polonia e Ungheria, mentre negli altri Stati europei non si registreranno degli incrementi considerevoli rispetto alla situazione attuale – ci fanno sapere da Assolatte -. Sarà il mercato a regolare il prezzo, come di fatto è avvenuto in questi anni. Nonostante la regola-

mentazione delle quote latte, infatti, il prezzo ha continuato a oscillare, condizionato spesso da necessità contingenti di altri Continenti». Secondo le previsioni, in Italia la produzione salirà leggermente, ma senza alcuno stravolgimento per le aziende e il mercato interno. «Al momento l’Italia copre il 54% del fabbisogno lattiero interno. Con l’abolizione delle quote latte riusciremo a salire, forse, al 56-58%, ma non oltre perché ci sono degli oggettivi limiti territoriali ed economici». I già numerosi allevamenti intensivi e la Direttiva Nitrati (91/676/CEE), che regolamenta l’utilizzo agronomico dei reflui degli allevamenti limitandone le aree, faranno il resto. «Non si può dire che tutto cambierà dal primo aprile 2015, né tantomeno come. La fluttuazione del prezzo sarà condizionata dal mercato globale, com’è già avvenuto in questi anni», conclude Assolatte.

LE QUOTE LATTE Sono state introdotte nel 1984 per evitare che l’eccessiva produzione di latte provocasse un conseguente crollo dei prezzi, attraverso una regolamentazione annua di soglie non superabili, pena multe salatissime. Il nostro Paese in questi anni ha pagato multe per oltre 4 miliardi di euro. Nei primi anni della normativa l’Italia si è accollata sanzioni per 1,8 miliardi di euro, cancellando il corrispettivo ai produttori di latte. Nel 1996-97 a fronte di nuove multe, ri-

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chieste questa volta direttamente ai produttori, sono nati i Cobas del Latte che per protesta sono arrivati a bloccare le strade di accesso all’aeroporto di Linate per una settimana. Col primo aprile 2015 il regime delle quote latte lascerà il posto al “Pacchetto Latte”, approvato nel marzo scorso, con il Reg. 261/2012, dopo tre anni di discussione. Le novità introdotte dal pacchetto latte sono le relazioni contrattuali con contratti scritti tra produttori di latte e tra-

sformatori, la possibilità di negoziare collettivamente le condizioni contrattuali attraverso le organizzazioni dei produttori, le norme specifiche per la costituzione e il funzionamento delle organizzazioni interprofessionali e la programmazione dell’offerta dei formaggi Dop e Igp. Queste misure rimarranno in vigore fino al 2020 per permettere ai produttori lattieri di prepararsi all’abolizione delle quote e migliorare la loro organizzazione.


maggio 2014 Confagricoltura Bergamo

«LE DOP CASEARIE POSSONO SALVARE I NOSTRI ALLEVATORI» È pressoché impossibile sapere con certezza come reagirà il mercato dopo l’abolizione delle quote latte. Gli analisti si sperticano in previsioni che, di fatto, dopo due giorni entrano in conflitto con nuove ipotesi. Tutto è vero, come il contrario. D’altra parte la complessità del mercato globale non può che aprire decine di finestre sul futuro del comparto lattiero caseario italiano ed europeo. La dipendenza sensibile alle condizioni iniziali rende vera l’ipotesi che «se una farfalla batte le ali» in Australia, gli effetti si sentiranno anche in Italia. «Il rischio è che, in assenza di un regime come quello delle quote latte, la produzione europea aumenti sensibilmente portando a una contrazione del prezzo del latte al litro – spiega Dario Vitali, vicepresidente di Confagricoltura Bergamo e responsabile del comparto latte –. D’altra parte altri fattori contrasterebbero con questa ipotesi, aprendo scenari diversi. In Italia e nel resto d’Europa, soprattutto nelle regioni a classica vocazione lattiera come Germania, Francia e Olanda, il fattore ambientale gioca un ruolo determinante che contrasta sensibilmente con l’ipotesi di un aumento significativo della produzione, per lo meno nel breve periodo». La Direttiva Nitrati (91/676/ CEE), che regolamenta l’utilizzo agronomico dei reflui zootecnici, limita di fatto i progetti di incremento produttivo. «Questi limiti farebbero pensare che non sia poi così facile aumentare la produzione in modo indiscriminato, senza contare che occorrerebbero importanti investimenti per poterlo fare – prosegue Vitali –. A livello italiano ed europeo, dunque, il fattore economico inciderà enormemente, tenuto conto che negli ultimi anni il prezzo del latte è andato decisamente al ribasso, salvo l’ultimo anno. In Italia e in Europa siamo su prezzi che, facendo una media per periodi di sei mesi o un anno, sono equiparabili a quelli di dieci, quindici anni fa». Anche per questo, a fronte di un’oscillazione negativa del prezzo del latte, le aziende che avrebbero potuto investire capitali per aumentare la produzione non l’hanno fatto. I dati inquadrano un’Europa che negli ultimi anni, salvo alcuni Paesi in modo saltuario, non ha mai raggiunto l’effettiva produzione totale prevista dalle quote. Lo stesso vale per l’Italia, che negli ultimi tre anni non è mai arrivata alla quota nazionale. L’unica cosa certa, dunque, è che con la liberalizzazione il mercato lattiero diventerà indubbiamente più competitivo. Ma dal momento che una buona parte delle aziende lattiere italiane sono realtà medio-piccole, spesso a carattere famigliare, costrette a produrre con costi mediamente più alti di quelli europei, vien da chiedersi come impatterà la liberalizzazione su di loro. «La salvezza dei produttori di latte italiano sarà garantita, con ogni probabilità, dalla tutela delle produzioni casearie. Se non ci fossero le Dop il contraccolpo in Italia sarebbe pesantissimo. Sono convinto, infatti, che l’industria casearia stia facendo i conti meglio di chiunque altro. Il latte italiano viene riassorbito quasi completamente nei grandi bacini del Grana, del Parmigiano e delle Dop locali, quindi se l’industria casearia vorrà continuare

a produrli, sarà costretta a garantire un prezzo che permetta ai conferenti di restare vivi». Senza contare che la produzione delle Dop dà all’industria casearia una redditività più consistente rispetto ad altre produzione indistinte, siano essi formaggi, yogurt o altri prodotti per i quali è possibile utilizzare latte proveniente dall’estero. Come a dire che produrre il Gorgongola Dop è meglio per l’industria che produrre gli yogurt. Sul fronte delle piccole produzioni casearie di nicchia, tuttavia, gli equilibri cambiano e diventano ancor più delicati. È questo il caso delle Dop bergamasche. «Secondo le stime dovrebbe aumentare la quantità di latte destinata a queste produzioni di nicchia, ma molto dipenderà dalla capacità dei Consorzi di saper stare sul mercato, trovando nuovi canali di vendita», fa notare Vitali. Si stima che la produzione di latte nel territorio bergamasco crescerà dell’1% nei prossimi cinque anni, passando da 3,5 milioni circa a poco più di 3,7 milioni (dati Confai Academy). A parte le grandi produzioni casearie che, secondo le ipotesi, saranno costrette a garantire prezzi sostenibili per i conferenti, il mondo dei piccoli produttori ha qualche preoccupazione in più, costretti a rimanere in bilico tra la necessità di espandersi, trovare nuovi mercati e contenere i costi. Ma l’effetto farfalla, non lo dimentichiamo, apre nuovi scenari sia in Italia, che in Europa. Tra le poche certezze del settore c’è la consapevolezza che in questi anni il regime delle quote latte abbia fatto perdere il treno asiatico all’Europa. Oggi l’Oriente, e la Cina in particolare, sono tra i maggiori importatori di polvere di latte australiano e neozelandese. E la domanda è in continua espansione, tanto che in passato l’Asia si è già dovuta rivolgere all’Europa per garantire il proprio fabbisogno interno, a causa di problemi produttivi del continente australiano. La nuova corsa all’oro asiatico, quindi, è cominciata. «L’Europa si sta attrezzando per intercettare questi mercati. Le aziende tedesche e olandesi viaggiano a doppi, se non tripli, turni di lavoro per produrre grosse quantità di polvere per i mercati asiatici. Delle indiscrezioni indicano addirittura la costruzione di nuovi impianti di polverizzazione in Francia, da imprese a capitale cinese». L’apertura di quote europee verso destinazioni asiatiche non è di poco conto, perché garantirebbe una maggiore stabilità del prezzo del latte. «Le eventuali produzioni in aumento che non uscissero dall’Europa rischierebbero di creare pressione sul mercato italiano. La verità è che l’Europa si salva nella misura in cui riesce a mandare all’estero le produzione del latte in aumento», conclude Vitali.

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SCENARI

Consorzio del Taleggio

TADDEI: «PER TUTELARE LATTE E FORMAGGI ITALIANI SERVIRÀ UN’INFORMAZIONE PIÙ MIRATA» Soli non ci si salva. È questo, in una battuta, il senso delle parole di Massimo Taddei, presidente del Consorzio del Taleggio. «Con l’abolizione delle quote latte occorrerà aprire un tavolo tra produttori di latte e trasformatori di formaggio che non si risolva solo in uno scontro annuale sul prezzo, ma che tenti un dialogo continuo per promuovere il made in Italy», afferma. Nell’ottica di un aumento della produzione di latte proveniente dall’Europa, il contraccolpo potrebbe sentirsi pesantemente anche sui produttori di formaggio Dop. Tutta la filiera è allertata, perché l’ipotetico aumento di latte importato dal nord Europa, prodotto a costi più bassi, potrebbe con-

trarre non solo il valore di quello italiano, ma ripercuotersi anche sui trasformatori. I formaggi Dop, ancorati per disciplinare e tradizione al latte italiano, rischiano quindi un contraccolpo economico e una competizione selvaggia da parte di prodotti similari venduti a basso prezzo. «Dovremo tutelare maggiormente il formaggio e il latte italiano, attraverso un’informazione più mirata sui consumatori – continua Taddei –. È già presente sul mercato tutta una serie di formaggi che strizzano l’occhio al Taleggio Dop per nome, forma e marchi similari. Da questo punto di vista dovremo lavorare anche con le Istituzioni, in primis con la Forestale e

la Repressione Frodi, per vigilare con maggiore rigore sulle Dop, difendendole dai tentativi di attacchi». C’è il rischio, dunque, che si assista a un’invasione di formaggi a basso prezzo (più di quelli a cui siamo abituati!), prodotti dall’industria dei trasformatori, spesso proprio italiani, con latte proveniente dall’estero. La confusione è in agguato e i consumatori sono avvisati. Vero è che con la crisi che stiamo vivendo, la possibilità che una famiglia italiana si indirizzi verso prodotti a basso costo esiste, eccome.

Alti Formaggi

«CINA E RUSSIA RESTANO MERCATI COMPLESSI» Anche Alti Formaggi, l’associazione che unisce il Consorzio del Taleggio, del Provolone Valpadana e del Salva Cremasco, mette in guardia il consumatore dalla confusione che potrà nascere nel periodo post quote latte. «Il pericolo maggiore potrebbe correrlo il Taleggio perché le Dop minori della provincia bergamasca hanno quantità talmente basse che continueranno nella loro produzione senza troppi stravolgimenti – spiega Vittorio Emanuele Pisani, segretario di Alti

Vittorio Emanuele Pisani

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Formaggi –. Per quanto riguarda i formaggi che, come il Taleggio, hanno storicità, qualità e quantità di rilievo, seppur venduti a un prezzo non eccessivo, il problema potrà essere la competizione con gli altri formaggi generici che, immagino, aumenteranno la produzione a fronte di una crescita del latte proveniente dall’estero». L’ipotetica compressione del prezzo del latte verso il basso potrebbe pesare sui trasformatori di formaggio, quegli stessi che negli anni si sono battuti per preservare la qualità, le tradizioni e la storicità dei prodotti italiani. «Stiamo già lavorando da un paio d’anni per sensibilizzare i consumatori sull’importanza di conoscere e valorizzare le Dop italiane, che rappresentano i nostri territori, le tradizioni e le professionalità più alte di ogni comparto», ricorda Pisani. Mentre sull’importanza di trovare altri mercati per l’export del made in Italy, mette in guardia dai miraggi dei mercati orientali. «Si parla spesso di Cina e Russia come mercati potenzialmente interessanti per i nostri prodotti, perché hanno dimostrato espansione economica e grandi capacità ricettive. Questo aspetto rilevante non deve far trascurare la complessità di quei mercati e il tipo di politica commerciale che stanno attuando. Ritengo che puntare con troppe speranze su quei mercati potrebbe essere rischioso. La Cina, in particolare, sta adottando una serie di misure antidumping che stanno sfavorendo i prodotti europei. Molto meglio consolidare l’export verso Paesi dal mercato meno complesso, come gli Stati Uniti».


maggio 2014

L’EVENTO

Alta Qualità, a Vaprio d’Adda la rassegna del buongusto Visionari, artisti e food lovers: al via il mercato delle eccellenze “Posso resistere a tutto, tranne che alle tentazioni”, diceva Oscar Wilde. Chissà, dunque, cosa avrebbe pensato lo scrittore irlandese di fronte alle primizie esposte da grandi chef ed

esperti del settore culinario a Villa Castelbarco, la splendida dimora settecentesca a pochi passi dal sito Unesco di Crespi D’Adda. L’occasione per palati fini è quella offerta da Alta Qualità, la

kermesse di eccellenze enogastronomiche italiane ideata dall’Associazione Culturale Signum di Bergamo che, dal 30 maggio al 2 giugno, richiamerà a Vaprio d’Adda appassionati, food lovers e artisti del cibo. Passeggiare tra gli oltre 10mila mq dedicati agli stand di produttori e coltivatori, veri creatori di un’alimentazione riconosciuta come unica in tutto il mondo, sarà come partecipare a un racconto collettivo fatto di cultura, sapori e tradizioni locali. Avranno modo di divertirsi (e imparare) anche i più piccoli a cui Alta Qualità dedica un villaggio di yurte (il primo in Europa) con mini abitazioni eco-compatibili disseminate nel giardino della Villa. Perché le future generazioni sposino gusto, leggerezza e sostenibilità in modo sempre più convinto. I visitatori saranno accompagnati tra le bancarelle

espositrici con show cooking, seminari, workshop, ma anche degustazioni, laboratori e incontri B2B. Alta Qualità si propone, inoltre, come spazio di crescita culturale e di solidarietà. Una parte del costo del biglietto sarà, infatti, donata ai progetti di sviluppo del Cesvi e all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo di Slow Food Italia e alle condotte locali di Slow Food che collaborano alla manifestazione. Madrina dell’evento sarà la giornalista Cristina Parodi, numerosissimi gli ospiti attesi: dal ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina, al professor Klaus Smidth, riconosciuto come il più importante archeologo vivente, passando per il fondatore di Slow Food Carlo Petrini, fino al maestro biellese dell’Arte Povera, Michelangelo Pistoletto.

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FACECOOK

Alla scoperta dei social chef di Laura Ceresoli

A Singapore casoncelli protagonisti del Capodanno cinese Da 19 anni in Cina, Carlo Marengoni dal 2012 è chef e co-proprietario della Trattoria Gallo d’Oro, dove trionfano i piatti rustici e caserecci della cucina italiana. «Ho puntato sempre più sulla tradizione bergamasca, con risultati soddisfacenti»

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uando nel 1995 giunse per la prima volta a Singapore, Carlo Marengoni non parlava nemmeno una parola di inglese. Ma il linguaggio universale del cibo lo conosceva bene. Il suo curriculum era già abbastanza lungo, ai tempi, per potersi permettere lo sfizio di intraprendere una fulgida carriera nel sud est asiatico. Allievo dell’Istituto professionale alberghiero di San Pellegrino, iniziò molto presto a lavorare in alcuni dei più rinomati ristoranti orobici, da Lio Pellegrini alla Fontana di Città Alta. Ma quando conobbe le atmosfere d’oriente, non se ne staccò più. A Singapore, Marengoni ha trascorso gli ultimi 19 anni della sua vita, alternando ruoli in strutture di prim’ordine, come il Domvs (all’interno del Sheraton Towers), il Bacco Restaurant (Cluny Court) e il Ristorante Bologna (Marina Mandarin), e ricevendo riconoscimenti da rinomati marchi di qualità, dall’Accademia Barilla all’Hospitality Asia Platinum Awards. Nel 2012 è diventato lo chef della Trattoria Gallo d’Oro (“The Golden Rooster”), il primo locale che gestisce da co-proprietario. A trionfare nella cucina di Marengoni sono piatti rustici come l’osso buco, lo stinco di vitello, le pappardelle di pasta fresca con salsiccia di maiale e spinaci in salsa di prezzemolo. Celebri sono anche i tortelli di erbette fatti in casa con parmi-

giano e le sue sfogliatine calde con crema di funghi porcini e aragosta. Per non parlare dei dolci caserecci: il tiramisù e la torta con crema al limone e mandorle sono una vera delizia per il palato. «La miglior ricompensa è vedere i miei ospiti con un sorriso sul volto alla fine di un pasto. Questo mi motiva a lottare ancora di più per eccellere nel mio mestiere», dice lo chef, che ha sempre portato un tocco di Orobie nelle sue ricette, dalle Foiade alla bergamasca ai Casoncelli. I tipici ravioli al burro e salvia ripieni di carne sono stati tra l’altro scelti da Marengoni come specialità di punta del menù ideato in occasione dell’ultimo Capodanno cinese, come testimoniano le recenti foto posta-

te sulla pagina Facebook dedicata al Gallo d’Oro. Al momento sono 1.264 le persone che hanno accordato la loro preferenza alla trattoria cliccando “Mi piace” sul social network e ammontano a 41 le valutazioni positive. Su Facebook, infatti, i clienti affezionati sembrano molto attivi e non mancano di esprimere le loro opinioni sui piatti che Marengoni posta quotidianamente per invogliare i suoi commensali. «Cinque stelle per tutto il cibo e staff molto amichevole», scrive Ke Shuiming Raven di Singapore. «Delizie all’italiana preparate con amore e cura. Lo raccomando!», è il commento di William Chong. Meno gettonato è invece Tripadvisor. Qui sono soltanto 6 le recensioni dedicate al Gallo d’oro (al 963esimo posto in classifica su 6.978 ristoranti a Singapore) con voti che oscillano tra “eccellente” e “nella media”.


maggio 2014

L’intervista

«I nuovi media impongono un’evoluzione, ma ciò che non cambia è l’arte dell’ospitalità»

Carlo Marengoni

Come riesce a far apprezzare la cucina bergamasca nel mondo? «Nei miei menù ho sempre messo i Casonsei come specialità tipica. Con il passare degli anni mi sono sempre più avvicinato alla cucina tradizionale bergamasca, con risultati soddisfacenti». È vero che gli stranieri hanno una visione stereotipata della cucina italiana? «Fino a 15 anni fa sì, ora invece gli stranieri viaggiano e conoscono molto di più la cucina e il vino italiano. Gli stessi ristoratori italiani all’estero non sono più degli emigranti improvvisati, ci sono molti professionisti del settore e il cambiamento in positivo si nota». Quanto è importante Internet per promuovere la sua attività? «A Singapore Internet è essenziale al giorno d’oggi. Il marketing tradizionale composto da riviste e giornali, invece, sta piano piano decadendo». Ha una pagina Facebook per sponsorizzare la sua offerta? «Certo, ho una pagina su Facebook che serve molto per il business». Qual è il suo rapporto con le recensioni di Tripadvisor? «Qui a Singapore di blogger e compagnie come Tripadvisor ce ne sono molti. Sono certamente utili, ma sono da prendere con le dovute cautele. Le recensioni presenti su questi siti, infatti, sono indicative ma sempre opinabili». Com’è cambiata la ristorazione e il rapporto con i clienti grazie ai nuovi media? «Di sicuro la ristorazione cerca di stare al passo con i tempi, pertanto è soggetta a cambiamenti in continua evoluzione. L’unica cosa che non si può cambiare è l’arte individuale dell’ospitalità».

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APPUNTAMENTI DAL 30 MAGGIO AL 2 GIUGNO

BIRRIFICI BERGAMASCHI IN PASSERELLA A SAN PELLEGRINO Il vivace mondo della birra artigianale bergamasca ha la sua vetrina in Beerghèm, la rassegna nata quattro anni fa per iniziativa del birrificio Via Priula di San Pellegrino e della Compagnia del Luppolo per far conoscere i protagonisti della produzione locale. Dopo la trasferta al Castello di Clanezzo dello scorso anno, la manifestazione torna a San Pellegrino nel lungo ponte che va dal 30 maggio al 2 giugno. Per l’occasione lungo strada principale del paese sarà posizionata una tensostruttura trasparente a creare una piazza coperta che ospiterà i banchi della mescita, mentre nei saloni del ristorante Bigio troverà posto la ristorazione, curata dallo chef Pier Milesi affiancato dagli studenti dell’Istituto Alberghie-

ro. Il numero dei birrifici artigianali in Bergamasca è in crescita costante. Le recenti aperture hanno portato a 11 le attività, tutte presenti alla manifestazione, che quindi permetterà di apprezzare anche le new entry del settore. Saranno perciò di scena Birrificio del Lago, Indipendente Elav, Endorama, Hopskin, Maivisto, Maspy, Kaos, Birra Orobia, Sguaraunda, Valcavallina e i padroni di casa di Via Priula, per un totale di oltre 40 birre alla spina disponibili per la degustazione. La formula prevede l’acquisto del bicchiere (3 euro) e di gettoni per gli assaggi (2 euro). Sarà anche allestito un beershop per l’acquisto delle birre in bottiglia da portarsi a casa. Per informazioni www.birrificioviapriula.it

GARDA BRESCIANO, DUE WEEK END ALL’INSEGNA DEI VINI Sulla sponda bresciana del lago di Garda è tempo di manifestazioni enologiche. Dal 30 maggio al 2 giugno a Polpenazze torna la Fiera del vino Garda Classico Doc, la più antica (siamo alla 65esima edizione) e conosciuta vetrina della produzione vitivinicola della Valtènesi. La manifestazione si compone delle “piazze” del Garda Classico, Doc Valtènesi e dei Sapori nostrani, di un “borgo” del bio, di una “corte” degli assaggi, che propone la degustazione comparata dei formaggi bresciani e dei vini presenti in fiera, e del ristorante “La dispensa del gusto” dove vengono preparati lo spiedo bresciano e piatti tipici locali. Domenica primo giugno è in programma la premiazione del nono “Concorso enologico nazionale Valtènesi – Garda Classico” e l’assegnazione dei premi speciali Palio Valtènesi e Valtènesi Chiaretto, Rosso Superiore e Garda Classico Groppello, oltre alla selezione del salame Doc. In calendario anche degustazioni guidate a cura

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dell’Onav e dell’olio del Garda. Da venerdì 6 a domenica 8 giugno a Moniga del Garda tocca invece alla settima edizione di Italia in Rosa, un vero e proprio giro d’Italia tra i vini rosati, presentati secondo le zone geografiche di produzione nei padiglioni allestiti nei giardini vista lago. La manifestazione si tiene a Villa Bertanzi, un luogo significativo perché nel 1896, nelle cantine del palazzo, si ritiene sia stato “codificato” il Chiaretto, dal senatore del Regno d’Italia Pompeo Molmenti di Salò. Come nelle passate edizioni saranno ospitati vini francesi, precisamente della Provenza, ci sarà inoltre spazio per degustazioni guidate, happy rosé hour, un’area food e un convegno tecnico/divulgativo. A tutti i visitatori sarà chiesto di indicare i tre vini assaggiati più piacevoli, voti che saranno utilizzati per attribuire gli “attestati per la piacevolezza”, mentre una giuria di grafici ed esperti di comunicazione premierà le tre migliori etichette. Info: www.italiainrosa.it


maggio 2014 DOMENICA 8 GIUGNO

ALBINO, I RISTORANTI CUCINANO IN PIAZZA Albino chiude un intenso programma di eventi che ha animato il centro storico seguendo il filo conduttore della “passione” con un’inedita iniziativa che coinvolge cinque ristoranti del paese. Sotto la comune insegna “Gusto... che passione!” domenica 8 giugno, dalle 9 alle 16, si ritroveranno a lavorare fianco a fianco in una cucina allestita nella piazza della chiesa i locali Osteria Ciacco, Angelo Bianco, Al Ponte, Alla Corte e Come una volta. Ognuno pre-

DAL 30 MAGGIO AL PRIMO GIUGNO

MILANO, LO STREET FOOD SU RUOTE HA UN EVENTO TUTTO SUO Apparsi per la prima volta nel 1872 sotto forma di camioncino per il trasporto di cavalli convertito alla vendita di salsicce, i Food Truck sono oggi la più vivace e originale espressione dello street food. A riunire in un evento per le prima volta in Italia questi mezzi colorati e pieni di prodotti golosi sarà la manifestazione Streeat, organizzata dall’agenzia Barley Arts - con il patrocinio di Expo 2015 dal 30 maggio al primo giugno alla Fabbrica del Vapore di Milano. L’appuntamento, a ingresso gratuito, vuole offrire ai visitatori tre giorni di ottimo cibo, intrattenimento e musica. Sono previsti laboratori in collaborazione con Slow Food e una serie di eventi come l’esibizione di Don Pasta e la partecipazione di Gabriele Rubini, in arte chef Rubio, che sfiderà i truck presenti. Al centro c’è la volontà di dimostrare come la tradizione possa incontrare la creatività e la personalità di giovani appassionati che scelgono di muoversi su quattro ruote piuttosto che stabilirsi in una cucina fissa, coniugando le voci “veloce”, “economico” e “gourmet”. Si potrà spaziare tra Pizza e Mortazza, caffè e mousse, gelateria naturale, piadine, burger e pasta, olive all’ascolana, pizza napoletana, piatti della tradizione romagnola, gli hot dog di POPdog, miasse di mais oltre alle specialità dei truck europei invitati. Gli aggiornamenti sulla pagina Facebook StreeatFood Truck

parerà un piatto freddo, due piatti caldi ed un dolce, componendo un ricco menù che permetterà al pubblico di spaziare tra gli stili e le specialità di ciascuno. La gestione e gli incassi saranno equamente divisi. La manifestazione, promossa dall’associazione Per Albino, ha l’ambizione di avviare una collaborazione tra le insegne che prosegua nel tempo, offrendo occasioni per far conoscere le diverse proposte dei locali.

SABATO 7 GIUGNO

SOMMELIER, CAMMINATA CON DEGUSTAZIONI IN VAL VERTOVA Le fresche acque della Val Vertova fanno da scenario ad un appuntamento dedicato al vino. Sabato 7 giugno è in programma la 18esima edizione di “Un sorso in marcia”, tradizionale ritrovo all’aria aperta della delegazione di Bergamo dell’Associazione italiana sommelier, organizzato in collaborazione con il Circolo della Valle e l’Associazione degustatori italiani grappa e distillati. La giornata si apre alle 15 con una camminata aperta a tutti lungo la valle, accompagnata alla degustazione di un vino spumante, un vino bianco e uno rosso, mentre al rientro si assaggeranno le grappe messe a disposizione dall’Adid. I partecipanti sono chiamati a mettersi in gioco compilando una scheda di degustazione a punti e chi si avvicinerà maggiormente alla scheda campione sarà premiato nel corso della cena (con prenotazione, costo 30 euro). Alla giornata si lega anche un concorso fotografico che ha per tema “Il vino, la vite, l’uva”. La partecipazione è gratuita. Si può concorrere con un massimo di quattro fotografie (formato 20x30) da consegnare esclusivamente a mano entro le 14.30 di sabato 7 giugno al Circolo della Valle (località Lacnì Basso, tel. 035 710605).

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IL PREZZO FISSO

Aperto nel 1928, il locale di Treviglio ha nel proprio Dna tradizione e territorio. Oggi Settimo Ravasi, nipote del fondatore, punta sempre di più sulle eccellenze orobiche, mentre papà Renato, 82 anni, coltiva tutte le verdure che arrivano in tavola Sabrina Asperti, Renato e Settimo Ravasi

Osteria dell’Angelo, la cucina bergamasca lungo tre generazioni di Fulvio Facci

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rnesta, cosa ci prepari oggi?» Questa era la domanda che rivolgevano i rappresentati di commercio che in bicicletta scendevano da Bergamo e Treviglio. Si informavano prima di iniziare il lavoro, certi che sulla via del ritorno avrebbero trovato la polenta d’inverno, poi salamini, costine, la cassoeula, i casoncelli e comunque quello che poteva offrire la campagna in stagione. Siamo nel 1928, all’Osteria dell’Angelo, a Treviglio, alla periferia della città sulla strada che collega con Bergamo. L’Ernesta è Ernesta Marta che con il marito Settimo Ravasi aveva preso in affitto un cascinale che è stato via via ristrutturato sino all’attuale e accogliente versione che può ospitare 80-100 posti. Ora siamo arrivati alla terza generazione. A raccontarlo è Renato Ravasi, la generazione di mezzo, 82 anni a luglio, dal 1958 subentrato nella gestione dell’Osteria. «Mio papà è morto che avevo 15 anni e non c’era molta scelta – dice -. Mi sono messo subito ad aiutare la mamma nel locale e ogni tanto veniva qualche ragazza a darci una mano. Poi mi sono sposato (con Francesca Finardi, che adesso cucina solo in casi eccezionali, ndr) e siamo andati avanti fino a quando non abbiamo passato il

testimone a nostro figlio». I cambiamenti non sono mancati. «Abbiamo acquistato il cascinale, lo abbiamo ampliato e ristrutturato – ricorda -, peccato che abbiamo dovuto fare le cose in economia e che ai tempi non ci fossa molta attenzione per le testimonianze del passato, altrimenti ne sarebbe

LA PROVA Almeno ufficialmente il prezzo è unico: 11 euro per primo, secondo, contorno, acqua, vino e caffè. Tenuto conto che la clientela è tradizionale, è possibile che ci siano degli accordi per chi mangia un piatto in meno, ma l’impressione prevalente è che si tratti sostanzialmente di “buone forchette”. La carta del giorno è stampata e disponibile su tutti i tavoli. Pizzoccheri alla valtellinese, penne all’arrabbiata, penne al pomodoro, penne al ragù e casoncelli alla bergamasca, le proposte per quanto riguarda i primi. Grigliata mista, petto di pollo impanato, petto di pollo alla griglia, petto di pollo alla diavola, insalatona, arrosto di manzo, cotoletta e braciola la lista per i secondi piatti. Erbette al vapore, patate al forno o al vapore e insalata mista i contorni. C’è di che scegliere, considerando anche che la presenza di clienti abituali impone una notevole rotazione delle proposte. Puntiamo sui pizzoccheri e su una buona cotoletta alla milanese con il contorno di erbette al vapore, che come tutti gli ortaggi sono prodotti in proprio. Tenuto conto anche del tovagliato e dell’ottimo servizio il rapporto qualità/prezzo è senz’altro soddisfacente.


maggio 2014 uscito un gioiellino valorizzando le volte in mattone ed i pavimenti in cotto. All’inizio degli anni Sessanta abbiamo avuto un buono sviluppo anche per la presenza della Bianchi per la quale abbiamo fatto da mensa un paio d’anni. La cucina non è mai cambiata, sempre tradizionale bergamasca. Facevamo tanti bolliti per avere il brodo per fare ottimi risotti, che sono la nostra specialità». Dopo tanti anni nel locale, il suo impegno non si è però ancora concluso. «Mi definisco un jolly – spiega Renato Ravasi – perché do una mano dove serve. Ma il mio incarico ufficiale è quello di curare l’orto. Ne abbiamo uno grande e io ho una grande passione. Tutta la verdura e gli ortaggi che serviamo sono di nostra produzione. È un lavoro che richiede impegno ma che dà anche soddisfazione: è il vero chilometro zero!”

Nel ’97 torna al timone del locale un altro Settimo Ravasi, nipote del fondatore, al quale poi si aggiungerà la moglie Sabrina Asperti. La prima novità è che la trattoria riprende il suo nome originale di Osteria dell’Angelo, durante il periodo della gestione paterna si era chiamata Ariston. «Questa è una delle poche novità che ho portato – racconta Settimo Ravasi –, mentre per il resto abbiamo tenuto tutte le basi del nonno: casoncelli, arrosti, risotti. Certo progressivamente la visione è mutata, in accordo anche con l’evoluzione dei tempi, ed abbiamo scelto di privilegiare sempre più le eccellenze bergamasche. Ad ottobre, ad esempio, inseriremo la pecora Bergamasca, mentre per la carne bovina, se prima puntavamo sulla Chianina, ora abbiamo scoperto degli ottimi allevamenti in provincia». La selezione è locale anche per salumi e formaggi. «Fino a qualche anno fa producevamo noi i salumi – evidenzia - poi abbiamo trovato in zona degli ottimi artigiani che lavorano ancora con mezzi tradizionali e sempre qui vicino acquistiamo degli ottimi formaggi di capra». I risotti, già apprezzati con il nonno e il padre, sono diventati il campo in cui sbizzarrirsi di più: alla liquirizia, al branzi e ortiche, alla caprese, nero zucchine e brut, mele e formaggio di capra, solo per citarne alcuni. «Il riso lo compriamo da Salera – prosegue – e per dare un’ulteriore idea di cosa intendiamo per eccellenze bergamasche mi piace ricordare che abbiamo scelto con cura anche i grissini, quelli dello storico panificio Corticelli in Valtaleggio». I prezzi sono decisamente accessibili e nei fine settimana vengono proposti dei menù guidati a 30 euro se a base di pesce e 25 se di carne, OSTERIA DELL’ANGELO via Bergamo, 94 - Treviglio tel. 0363 49323 chiuso il martedì sera

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NEWS

Le esperienze al “Collina” saranno messe al servizio del “Laboratorio” dell’istituto alberghiero iSchool di Bergamo

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Lo chef Mario Cornali sale in cattedra lo chef scrittore, l’artista del mangiare bene, sano e… local, l’amante delle tradizioni per eccellenza. Mario Cornali, dal suo “Collina”, il celebre ristorante di Almenno San Bartolomeo, arriva alla guida del “Laboratorio per i servizi enogastronomici” dell’istituto alberghiero iSchool. “Ragazzi di 4° e 5° superiore avranno modo di apprendere il gusto della genuinità da chi ne ha fatto un principio ispiratore - spiega Valentina Fibbi, titolare di iSchool - per questo siamo molto contenti di averlo nella nostra squadra!” Nella cucina di Cornali rivive il gusto dei piatti delle nonne, attente alla bontà di ingredienti (realmente e interamente) doc, curati con passione, dall’orto alla pentola. “Siamo abituati a pensare che l’eccezionalità sia lontana, mentre basta guardarsi intorno per scoprire che non serve essere esotici per fare un piatto di qualità - spiega lo chef nel libro “Orizzonti vicini, racconti cucinati”. Perché Cornali, è un’artista a tutto tondo: nato e cresciuto tra i fornelli (figlio d’arte, il ristorante che oggi guida con successo era di famiglia), si è dilettato con poesie e racconti, arrivando oggi alla docenza, attività che è stata formalizzata lo scorso

Mario Cornali

16 maggio in occasione dell’anniversario dell’istituto bergamasco, festeggiato presso la sede in via Ghislandi. “È un modo per creare un rapporto diretto con gli chef di domani, per dare ai giovani consigli che spero possano trovare utili. Sono in un momento importante delle loro vite, fatto di crescite ed evoluzioni costanti, nella personalità e nella cucina - continua Cornali -. Per questo devono capire che un piatto è qualcosa in più di sugo saporito o di un buon taglio di carne: ogni composizione racconta una storia, ogni ingrediente è frutto di chi lo ha coltivato, nutrito, raccolto”. Un mondo legato alla natura, quello dello chef bergamasco, fatto di materie prime locali, di allevamenti, pascoli e pesci rigorosamente d’acqua dolce, per rispecchiare in toto la vocazione del territorio lombardo. “Un modo di cucinare che speriamo possa servire da esempio ai nostri studenti - ha concluso Francesco Malcangi di iSchool - perché la cucina è sì tecnica, ma anche attenzione alle tipicità, specie in questo periodo, quando un dettaglio può fare la differenza e decretare il successo economico e professionale di un’attività”.

VINO, LO SCORSO ANNO EXPORT CRESCIUTO DEL 7% È il vino la freccia dell’export alimentare italiano. Anche nel 2013, secondo i dati Istat elaborati da Vinitaly-Assoenologi, va a bersaglio centrando un +7,3% sull’anno precedente, che vale il primato tra le produzioni alimentari più vendute oltre confine. Un record doppio dal momento che per la prima volta supera anche la soglia dei 5 miliardi di euro in valore e si conferma driver fondamentale per l’economia del Paese. Dato ancor più rilevante se si considera la diminuzione di quasi 1 milione di ettolitri dei volumi esportati (il totale è sceso a 20,4 milioni contro i 21,3 del 2012) e il contestuale incremento del valore medio unitario,

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passato da 2,20 euro a 2,47 euro al litro (+12,3%). Due i mercati di riferimento che insieme assorbono oltre il 41% del totale esportato: Stati Uniti e Germania, entrambi con un valore di oltre 1 miliardo di euro. In molti dei principali mercati di sbocco del vino italiano si incontrano incrementi in valore a due cifre. È il caso del Regno Unito che registra un balzo del +15,4% passando da 535 a 618 milioni di euro, grazie a una sensazionale crescita dell’import di spumante, così come interessante è il deciso recupero della Russia: +14,4% per 114 milioni di euro in valore. Di particolare valenza l’exploit della Svezia, con un +15,2% che

consente di toccare la soglia mai raggiunta prima di 141 milioni di euro. Molto positivo è l’andamento del mercato norvegese, +12%, con una variazione in un solo anno di 10 milioni di euro, da 77 a 87 milioni di euro. Nel Nord America, gli Usa registrano un’interessante ripresa delle importazioni da 1.006 a 1.078 milioni di euro, +7,1%; il Canada, grazie a un recupero della flessione della parte iniziale dell’anno, chiude il 2013 a 280 milioni di euro, -1% rispetto al 2012. In Estremo Oriente la Cina mostra una decelerazione dei valori pari al -3%, mentre il Giappone pareggia con lo stesso valore del 2012: 154 milioni di euro.


FUORI PORTA

maggio 2014

È da poche settimane ai fornelli del ristorante di Valbrona. Eppure lo chef Nogara ha già conquistato i palati più esigenti

“Il Ceppo”, emozioni sul lago

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iacomo Nogara, 47 anni, chef lecchese cresciuto con Gualtiero Marchesi, è ai fornelli de “Il Ceppo” di Valbrona solo dal primo marzo. Eppure ha già suscitato un interesse che si è rincorso come tam tam attraverso le antenne sempre ben piazzate dei buongustai. “Il Ceppo”, oltre che di una cucina d’eccellenza, gode di un panorama incantevole: dai suoi 500 metri d’altitudine s’affaccia sulla parte meridionale del ramo di Lecco, specchiandosi nel lago, nelle montagne e nell’abitato dirimpettaio di Mandello del Lario. Da Bergamo ci si arriva passando da Lecco e prendendo poi le indicazioni per Bellagio; arrivati ad Onno, si sterza a sinistra, salendo per Valbrona: il ristorante lo trovate dopo tre chilometri di tornanti, sulla vostra sinistra. Andateci, se potete, in una giornata di bel tempo. E resistete alla brezza proveniente dal lago: ci sono belle sale interne, in pietra a vista, per 80 coperti, ma sono le terrazze sospese a strapiombo l’esperienza da vivere. Il servizio è altamente professionale e Nogara, oltre a pensare alla sostanza dei suoi piatti, non manca mai di decorarli con fiori ed erbe spontanee, favorendo l’arrivo in tavola di autentiche opere d’arte. A pranzo sono previste proposte a 25 e 30 euro (menù Business e Degustazione Lago) oppure ci si fa tentare dalle splendide proposte in carta. Vi costerà parecchio di più, ma ne varrà la pena. Siamo partiti col “Tris di lago” (Missoltino e crostone di polenta, Alborelle in carpione e Mousse di luccio in foglia di lattuga), un antipasto classico, ma elaborato con un equilibrio da maestro. Da segnalare anche la “Gran selezione di prosciutti di cacciagione con giardiniera” e le “Capesante profumate allo zenzero in crosta di tagliatelle croccanti”. Quasi obbligatorio, poi, il “Risotto con pesce persico, mantecato al burro di malga”, piatto tipico della zona, ma proposto con

di Pier Carlo Capozzi

mano esperta per la cottura e la doratura. Nei secondi la scelta è caduta sul “Lavarello spinato profumato all’aneto con misticanza all’aceto di lamponi”, ma la “Quaglia farcita al fois gras con tortino di patate” sarà la nostra prossima tentazione. Perché qui, ragazzi, chi ci capita, poi torna. La carta dei formaggi promette mirabilie (segnaliamo una “Verticale di Bitto” da urlo), mentre i dessert sono un’ulteriore sorpresa: molto buona la “Piramide di semifreddo al croccante, cioccolato bianco e salsa al caffè”, ma letteralmente strepitosa l’ “Isola galleggiante con crema alla vaniglia polinesiana”, una botta tremenda alla glicemia, che ignoreremo distraendoci col panorama. Carta dei vini di spessore. Salite fin quassù per un lieto evento o per conquistare un cuore che frappone resistenza. Se non riuscirete qui, datemi ascolto, meglio lasciar perdere.

RISTORANTE “IL CEPPO” via Milano 30 - Valbrona (Como) Tel. 031 662343

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NEWS

Il concorso BERLUCCHI NELLA SELEZIONE DI “MAJESTIC WINE” Cuvée Imperiale Brut primo Franciacorta nella lista del top retailer Guido Berlucchi è il primo Franciacorta ammesso nel prestigioso assortimento di Majestic Wine, top wine retailer del Regno Unito con oltre 200 punti vendita in tutto il paese. Il Franciacorta selezionato dall’esigente giuria di Majestic è Cuvée Imperiale Brut, vino-icona della casa di Borgonato, discendente diretto di quel Pinot di Franciacorta che nel 1961 diede l’avvio al “miracolo enologico” franciacortino. Cuvée Imperiale Brut nasce da uve Chardonnay (90%) e Pinot Nero (10%), spremute delicatamente aggiunin presse a piatto inclinato. Ai vini base dell’annata sono aggiun agte riserve di annate precedenti, dopo l’imbottigliamento con ag giunta di sciroppo di zucchero e lieviti, l’affinamento sui sedimen sedimenti perdura almeno 18 mesi prima della sboccatura. “L’essere scelti da una catena prestigiosa come Majestic, cinque volte “Best Wine Merchant” per i lettori di Decanter, è un privilegio per la Guido Berlucchi e per la Franciacorta” - dice Paolo Zi Ziliani, consigliere delegato al commerciale e al marketing -. La partneship rafforza ulteriormente il nostro settore export in un paese che ha visto aumentare le importazioni di Franciacorta del 27,7% lo scorso anno. È segno di un interesse crescente per il nostro territorio, la conferma del gradimento per una tipologia che si esprime a livelli complessivi elevati, e in costante crescita. Siamo certi che i consumatori inglesi, notoriamente estimatori degli sparkling più pregiati, sapranno apprezzare l’eleganza e la complessità del nostro Franciacorta”.

A PRAMAGGIORE TRE MEDAGLIE D’ORO AL CIPRESSO Nuovi riconoscimenti per l’azienda vitivinicola “Il Cipresso” di Scanzorosciate. Al 53esimo concorso enologico nazionale, tenutosi lo scor scorso aprile a Pramaggiore, ben tre vini della cancan tina guidata da Angelica Cuni hanno ottenuto il diploma di “Medaglia d’oro 2014”. Si tratta del Valcalepio bianco Doc “Melardo” 2012, del Moscato di Scanzo Docg “Serafino” 2010 e del Valcalepio rosso Doc “Dionisio” 2011. La medaglia d’oro viene assegnata a quei vini che, in sede di degustazione, raggiungono o superano gli 80/100 sulla base della scheda ufficiale di degustazione compilata da una serie di commissioni di esperti. Quello che si svolge a Pramaggiore (Ve), è il concorso enologico più antico del nostro Paese. Autorizzato dal ministero per le Politiche agricole e forestali, viene organizzato ogni anno dalla Mostra Nazionale Vini di Pramaggiore, ed è affidato per la parte tecnica (esecuzione operativa delle selezioni) alla competenza e professionalità dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani. I premi conferiti al Cipresso, confermano il percorso di qualità che l’azienda bergamasca ha intrapreso già da anni, con una attenta gestione della vigna e pratiche virtuose in cantina.

Il vitigno LA NUOVA STAGIONE DELL’ERBALUCE DOCG In passato c’era la tradizione di consumare questo vino bianco Docg al pomeriggio, nei caffè e nelle pasticcerie. Una tradizione che si sta riscoprendo grazie anche a cantine come “Orsolani” di San Giorgio Canavese Il Piemonte dei vini è, per antonomasia, quello legato in primis alle Langhe e Roero albesi. Ma altri territori hanno un’altrettanto significativa e lunga storia. Ci riferiamo, ad esempio, al Canavese, le colline situate a nord-est di Torino che hanno legato il loro nome soprattutto all’Erbaluce Docg, quello che un tempo era considerato - e lo è ancora oggi in parte - il vino bianco per eccellenza del capoluogo piemontese. Le “madame” e i “monsù” torinesi avevano l’abitudine di consumarlo nel pomeriggio insieme ad un biscot-

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to nei rinomati caffè e pasticcerie del centro città ed è una tradizione che si sta riscoprendo. Parlare di Erbaluce vuol dire parlare della più storica cantina che è quella della famiglia Orsolani di San Giorgio Canavese. Da oltre un secolo coltiva la vite e ne vinifica i frutti. L’inizio fu nel 1894 ed all’epoca la cantina era molto piccola. Giovanni Orsolani produceva i vini per la locanda gestita dalla moglie, ben presto però la “Locanda Aurora” divenne un vero e proprio ritrovo per gli amanti del buon vino. La generazione che seguì

profuse molti sforzi nell’ampliamento dell’azienda e nell’accrescere la notorietà dei vini. Sono di questi anni i numerosi riconoscimenti ottenuti. Purtroppo la Guerra Mondiale fece sentire il proprio peso ed in qualche modo limitò per anni l’attività, solo dopo la fine del conflitto gli Orsolani, ritiratisi a San Giorgio Canavese ritornarono a lavorare alacremente. Con la terza generazione guidata da Gian Francesco Orsolani inaugurarono la nuova Cantina di San Giorgio Canavese, ampliarono la superficie vitata e specializzaro-


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FRANCIACORTANDO, LO STREET FOOD FARÀ DA FILO CONDUTTORE Il 14 e il 15 giugno sette chef stellati saranno ospiti di altrettanti cuochi franciacortini Sette sarà il numero magico e lo Street Food il filo conduttore dell’edizione 2014 di Franciacortando, l’ormai tradizionale appuntamento primaverile organizzato dalla Strada del Franciacorta, che si svolgerà il 14 e 15 giugno prossimi. Uno Street Food d’autore, però, ideato ed elaborato da sette noti chef stellati italiani, ospiti di altrettanti chef franciacortini. Da fuori arriveranno in Franciacorta Davide Scabin del Combal.zero di Rivoli, Emanuele Scarello di Agli Amici di Godia, Igles Corelli dell’Atman di Pescia, Christian e Manuel Costardi del Cinzia da Christian e Manuel di Vercelli, Giuseppe Iannotti di Kresios di Telese, Marco Stabile dell’Ora d’aria di Firenze e Aurora Mazzucchelli del Marconi di Sasso Marconi. Ad ospitarli saranno i ristoranti Due Colombe al Borgo Antico di Borgonato di Corte Franca, Araba Fenice di Iseo, Dispensa Pani e Vini di Torbiato d’Adro, Locanda Quattro Terre di Corte Franca, Villa Calini di Coccaglio, Cappuccini Resort di Cologne e Lanzani Bottega & Bistrot di Brescia. Le coppie che si verranno a creare presenteranno sabato 14 giugno le loro personali e creative reinterpretazioni di piatti tipici della Franciacorta in chiave “Cibo di Strada” o utilizzeranno per prepararlo prodotti del territorio da riscoprire e valorizzare. Sette, inusuali e sugge-

stive, le location che li ospiteranno e che saranno dedicate ciascuna a un tema (sport, kitchen, junior, books, social, music, green). Ad animarle, una serie di eventi, dai caffè letterari ai laboratori gastronomici, dai contest alle mostre. Un servizio di bus navetta accompagnerà i visitatori nei punti dedicati allo Street Food, nelle cantine e nelle aziende di prodotti tipici (dalle grappe ai dolci, dai salumi ai formaggi), che organizzeranno percorsi di visita e di degustazione. Sabato sera saranno inoltre organizzate nei sette ristoranti della Franciacorta le “Cene d’autore a quattro mani” (appuntamenti dedicati ai gourmet in cui gli chef ospiti e quelli franciacortini creeranno insieme inediti menù ideati per l’occasione), che saranno affiancate da menù a tema dedicati a Franciacortando in trattorie e agriturismo. Domenica 15 giugno un grande e animatissimo evento, di cui sarà protagonista sempre lo Street Food in abbinamento ai Franciacorta, riunirà in un’unica location a sorpresa tutti gli chef. A fare da corollario, una serie di altri appuntamenti (dai tour in bicicletta al nordic walking fra le vigne, dalle passeggiate in carrozza agli workshop e all’animazione per i bambini): ricchissimo il programma, i cui dettagli saranno via via pubblicati su www.franciacortando.it

no la produzione nel vitigno autoctono Erbaluce. Oggi Gian Luigi Orsolani, che continua l’attività del papà Gian Francesco, coltiva circa 16 ettari a vigneto con esposizioni perfette nella zona classica dell’Erbaluce e distribuiti nei comuni di Caluso, San Giorgio Canavese e Mazzè e la produzione annua è di circa 160mila bottiglie. La filosofia della Cantina è quella di lavorare i vini nel rispetto del terreno e del vitigno, pertanto tutte le fasi della lavorazione sono eseguite da mani esperte. “I riconoscimenti ottenuti negli ultimi anni sono stati diversi - spiega Gian Luigi Orsolani -. Tra i più emozionanti, il nostro vino bianco scelto per accompagnare il Viaggio Apostolico di Giovanni Paolo II a Toronto, nel 2002, e il nostro

vino passito selezionato dal sommelier di Palazzo Chigi per la colazione offerta dal Presidente del Consiglio al presidente degli Stati Uniti d’America nel 2007. Non da meno è stata l’emozione per la nomination ottenuta come miglior vino dolce italiano nella finale del Premio Internazionale Oscar del Vino 2007”. Nel 2005 Gian Luigi Orsolani ha fondato Anima, una associazione estesa su tutto il territorio italiano, volta a valorizzare la produzione di bollicine a metodo classico ottenuta con vitigni autoctoni e nel 2006 la Cantina è entrata a far parte dei “Grandi Cru d’Italia”, associazione che raduna tutte quelle realtà che valorizzano le proprie produzioni ed i territori di coltivazione. Info: www.orsolani.it

Gian Luigi Orsolani

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L’ANGOLO

DEL SINGLE di Marco Bergamaschi

Pennette rigate con zucchine e bacon INGREDIENTI PER 1 PERSONA 100 g di pennette rigate 1 zucchina 50 g di pancetta affumicata (bacon)

pecorino romano grattugiato mezzo scalogno olio extravergine q.b. 1 bicchiere di vino bianco

PREPARAZIONE Tagliate lo scalogno a fettine piccole e cuocetelo in poco olio a fuoco basso; mescolate in continuazione, aggiungendo al bisogno un goccio d’acqua calda. Non appena lo scalogno sarà ben rosolato, aggiungete le zucchine tagliate a rondelle fini, mezzo bicchiere di vino bianco e un pizzico di sale. Quando le zucchine saranno ben cotte, aggiungete la pancetta a cubetti e lasciate insaporire il tutto per circa 10 minuti a fuoco basso. Quindi togliete la padella dal fuoco. Nel frattempo fate lessare le penne in abbondante acqua bollente salata, scolatele e fatele saltare in padella insieme al sugo precedentemente preparato. Spolverate con abbondante pecorino romano, mischiate per circa un minuto e assaggiate un piatto gustosissimo CURIOSITÀ La ricetta presentata l’ho conosciuta grazie ad un amico, vero “cultore della pancetta”, che è capace di lavorarla e cucinarla nei modi più svariati; in realtà questa ricetta, seppur con diverse varianti, è conosciuta e diffusa in tutta Italia proprio per il suo sapore unico: l’incontro delle zucchine con il bacon rende questa pasta squisita ed è davvero raro che all’interno del medesimo piatto ci sia un connubio così perfetto. E poi è una ricetta semplice, economica e veloce da realizzare, che rappresenta un’alternativa al pranzo dell’ultimo minuto e una buona scelta per una cena informale tra amici. Per la sua preparazione mi piace utilizzare le penne o pennette rigate, che permettono una migliore aderenza di sughi e creme, a differenza della pasta di tipo liscio, che lascia scorrere via il condimento. La ricetta originale prevedeva poi l’utilizzo della cipolla bianca, ma io ho optato per lo scalogno, perché ha un sapore più delicato e perché è in grado di donare a questo piatto quel valore aggiunto che fa la differenza; quando lo acquistate, deve essere ben sodo e la buccia deve presentarsi liscia e priva di macchie; evitate scalogni che presentano germogli, quelli molli al tatto e con la buccia rovinata. Lo scalogno va preferibilmente conservato fuori dal frigorifero, in un ambiente buio, fresco e asciutto e in queste

condizioni si mantiene anche per un mese. Una volta tagliato, può essere conservato in frigorifero, avvolto nella pellicola per alimenti, dove può rimanere al massimo per una settimana. Per le zucchine vi consiglio di scegliere quelle più piccole, che, prive di semi, hanno un sapore decisamente migliore: anche qui preferite quelle sode al tatto, senza ammaccature e dalla buccia di colore brillante. Per la loro conservazione, ricordatevi che sono ortaggi delicati e, se sottoposti a luce e calore, tendono a perdere rapidamente la freschezza e le proprietà nutritive originali; è bene quindi conservarle in frigorifero nel cassetto della frutta e verdura, per non più di 2-3 giorni. Ma le zucchine non sono solo buone, ma fanno bene alla salute: altamente digeribili, sono ricche di sali minerali, vitamina A e C e contengono acido folico. Unica accortezza: consumatele con moderazione: oltre ad apportare una preziosa proprietà disintossicante, per qualcuno possono essere molto lassative. Non mi resta che auguravi buon appetito.

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