Affari di Gola - maggio 2016

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Anno XVI n.4 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - â‚Ź 2,60

maggio 2016

Il birrificio Otus di Seriate raddoppia e lancia nuove etichette


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SOMMARIO

Abbon amento

MAGGIO 2016

Anno

XVI n.4

- Poste

Italiane

S.p.A.

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www.affaridigola.it

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Il birrifi cio Otu raddop di Seriates pia e la nuove cia etichentt e

4 LA GUIDA

Tutte le forme del caprino

10 L’associazione

Sette Terre cresce e diventa wine partner dei Maestri del Paesaggio

12 L’intervista

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Formaggi, il prezzo (alto) è quello giusto

14 PERSONAGGI

Alta finanza addio, meglio “La Polenteria”

17 L’EVENTO

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Lago d’Iseo, sapori in “passerella”

20 L’azienda

Otus, il birrificio raddoppia e lancia nuove etichette

22 IL LOCALE

Kanton, il cinese che non t’aspetti

26 TECNICHE

La cucina che non si dà arie

28 L’itinerario

Castelli aperti, tavola imbandita

32 IL PREZZO FISSO

Baioni 45, elogio della trattoria

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo, 137- 24125 Bergamo - tel. 035 4120322 - fax 035 231082 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Borgo Palazzo, 137- 24125 Bergamo - tel. 035 4120280 - fax 035 231082 - info@larassegna.it - N° ROC 5847 - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Giovanni Ponzoni, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Donatella Tiraboschi - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg


la guida di Laura Ceresoli

Tutte le forme del caprino Non basta dire formaggio di capra. Complice un crescente gradimento, le tipologie si moltiplicano e così i sapori. Con l’aiuto dei produttori abbiamo “catalogato” l’offerta bergamasca

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i sono caprini al naturale che conquistano per la loro semplicità; aromatizzati alle spezie che attirano per i loro colori vivaci; grana stagionati e blu di capra che colpiscono per l’odore pungente e il gusto deciso. E poi c’è la ricotta, delicata e pastosa al palato; la robiola, fresca e spalmabile; lo yogurt, dolce e digeribile. Insomma, elencarli tutti non è facile. Già, perché di prodotti realizzati con il latte di capra ne esistono almeno una trentina. Da sempre punta

di diamante dei piemontesi e dei nostri cugini d’Oltralpe, anche nel massiccio delle Orobie i formaggi di capra vantano oggi una consolidata cultura casearia. I nuovi allevamenti realizzati con le più moderne tecnologie garantiscono un alimento sicuro nel rispetto della tradizione. Inoltre, abitudini e stili di vita sempre più sani stanno orientando il mercato verso cibi di qualità a scapito della quantità. In Bergamasca non sono soltanto il Branzi o il Taleg-

gio a farla da padrone ma anche stracchini, erborinati, formaggelle a pasta molle, tutti rigorosamente di capra. Per non parlare della Roviöla della Valle Brembana realizzata con latte di capra Orobica, una specie protetta che tuttavia continua a mantenere viva una produzione autoctona di formaggi. Merito di una quarantina di allevatori di Valsassina, Valtellina e Bergamasca che da anni lavora alacremente per tutelare questa biodiversità alimentare di qualità


maggio 2016 che dal 2015 è presidio Slow Food. In generale i più gettonati, soprattutto da bambini e anziani, restano i classici caprini freschi al naturale. Le nuove tendenze in fatto di cibo spingono molto anche sugli aperitivi finger food a base di chèvre, magari aromatizzati con erbe, spezie, frutta secca e persino petali di fiori. Ecco qualche consiglio su come orientarsi tra le ormai numerose tipologie di caprini presenti sul mercato.

FRESCHI E COLORATI Per attirare la clientela molti produttori puntano su formaggi aromatizzati, gradevoli all’occhio oltre che al palato. E così sempre più spesso nelle piccole botteghe sotto casa spunta qualche caprino variopinto, con colori che vanno dal rosso al verde, passando attraverso un più sobrio nero carbone. Merito delle diverse spezie, dal peperoncino all’origano, con cui i produttori si dilettano a vestire i loro caprini freschi. Tra i più richiesti spiccano i finger food da aperitivo, gli aromatizzati con semi stagionati al carbone vegetale, oppure all’anice, alla paprika, allo zafferano o all’erba cipollina. «Il caprino è il più semplice da produrre – spiega Lorenzo Facchetti, cotitolare dell’azienda familiare Via Lattea di Brignano Gera d’Adda –, è un formaggio da spalmare sul pane, un companatico

che molti accompagnano al prosciutto. Spesso però in passato era fatto con il latte di mucca. Nel boom economico era più comodo perché le mucche rendevano di più producendo una maggiore quantità di latte rispetto alla capra. Così, la produzione di formaggi caprini avveniva solo in aree altrimenti non sfruttabili. Solo quando gli allevatori di capre si sono resi conto che il mercato si era appropriato di un nome che non gli competeva si è cominciato a produrre veri e propri caprini con latte di capra». «Al momento vanno molto i formaggi di capra freschi, colorati, raffinati e trasformati – evidenzia -. Prima mangiavamo per nutrirci, ora le persone sono più attente all’alimentazione, sono più sedentarie, necessitano di meno calorie ma di più qualità. Quindi anche un mercato di nicchia come quello della capra negli ultimi vent’anni è aumentato. Il Piemonte e la Francia hanno fatto da apripista, ma non è stato semplice. I bergamaschi sono un po’ chiusi, abitudinari, per loro il must è il Taleggio. Piano piano i palati orobici si sono affinati. Certo è ancora difficile convincerli a provare formaggi di capra decisamente puzzolenti, magari meno appaganti dal punto di vista visivo ma più gustosi, come una chèvre semi stagionata o il blu di capra. Gli aromatizzati, invece, vanno

per la maggiore perché il colore delle spezie rende i caprini invitanti spingendo anche il cliente più scettico al primo assaggio».

I SAPORITI Gusto pungente con punte piccanti, l’erborinato o blu di capra viene prodotto con lo stesso procedimento del gorgonzola. Tuttavia non è cremoso come il classico zola ma è più saporito. È ottimo accompagnato a miele di robinia o con un passito dolce e corposo. Un unico difetto: l’odore. Un dettaglio non da poco per uno zoccolo duro di bergamaschi che a questo tipo di formaggio proprio non riesce ad avvicinarsi: «La barriera più difficile da superare è il pregiudizio – spiega Chiara Cazzaniga che insieme al marito Alberto Gargani gestisce la Cascina Ombria di Caprino Bergamasco –. Tutti sono abituati al formaggio classico di mucca e quando sentono parlare di capra storcono il naso a prescindere. Si fanno influenzare anche dall’odore talvolta sgradevole che hanno questi prodotti. Quando si parla di formaggi genuini c’è ancora chi ha in mente la stalle puzzolenti di una volta. Oggi invece non è più così. Tutto viene prodotto con maggior attenzione alle regole sanitarie, ci sono più controlli e un’adeguata preparazione da parte dei produttori

Nella foto di apertura e qui sotto le creazioni della Via Lattea. A fianco Chiara Cazzaniga di Cascina Ombria

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la guida Per questa ragione non si facevano formaggi di capra puri, si mischiava il latte vaccino. È il caso del Bitto la cui ricetta originale prevede un misto di latte di capra Orobica e mucca. Una nicchia apprezza e stima il formaggio di capra più saporito anche se in passato era considerato di seconda scelta. Oggi, invece, è molto ricercato anche perché non è un mercato saturo come quello della mucca. Gli allevatori di capre producono formaggi per sé o per qualche negozietto, difficilmente per la grande distribuzione. Questo perché la resa di un ovino è di gran lunga inferiore rispetto a quella di una mucca».

I PRESÍDI

che si mantengono costantemente aggiornati attraverso i corsi. I bergamaschi dovrebbero quindi dimenticare i luoghi comuni anche perché ho notato che quando si decidono ad assaggiare il formaggio di capra ne rimangono piacevolmente colpiti e si ricredono». Molto saporito è anche il grana di capra. È un prodotto per estimatori sottoposto a una lunga stagionatura e per questo viene distribuito soprattutto nei periodi natalizi.

MISTO CAPRA-MUCCA Formaggio orobico realizzato in modo artigianale nei pascoli d’alta quota, il Bitto storico è un presidio Slow Food. È prodotto con latte di vacca appena munto a cui va aggiunta una percentuale di latte caprino (dal 10 al 20%) ottenuto dalla capra Orobica. «Oggi le capre si ali-

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mentano nelle stalle con il fieno – racconta Marco Del Bono dell’azienda agricola Prat di Büs di Ardesio –, una volta invece pascolavano nei boschi e mangiavano foglie e germogli in montagna. Così il formaggio di capra aveva un gusto troppo intenso.

I formaggi prodotti con latte di capra Orobica intero e crudo vengono suddivisi in: pasta cruda, semicotta, molle e semidura; formaggi grassi a stagionatura breve (freschi tre giorni e stracchini 15 giorni) e grassi a stagionatura medio-lunga (minimo 30 giorni per le formaggelle). Oltre al Bitto storico, che prevede l’utilizzo di latte di mucca con una percentuale di latte di capra Orobica, ci sono altri tre formaggi tipici ricavati dal latte crudo di questo animale. C’è il Formagìn della Valsassina, un caprino fresco presente anche nella variante a crosta fiorita detto "Fiorone" il cui sapore, molto più intenso e piccante, richiama l’aroma dei funghi freschi. La formaggella di capra Orobica, invece, è chiamata Matüscin ed è prodotta solo nelle province di Bergamo, Sondrio e Lecco. Si distingue dai caprini della Bergamasca realizzati con il latte di qualsiasi tipologia di capra ed è tutelata dal marchio di garanzia della Camera di Commercio “Bergamo Città dei Mille sapori”. Infine c’è la Roviöla della Valle Brembana, uno stracchino che ha forma di parallelepipedo con faccia quadrata. I ritrovamenti archeologici dimostrano che l’allevamento di capre era già praticato sulle Orobie intorno al 7000 a.C. Alla fine del Settecento,


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però, con lo sviluppo industriale si creò un conflitto tra l’allevamento di ovini e l’utilizzo di boschi per fare legna da carbonella per le aziende. Ma la capra Orobica a pelo folto e corna lunghe riuscì a sopravvivere alla cosiddetta “guerra delle capre”. Oggi di questi esemplari in via di estinzione ne sono rimasti poco più di 2.000. E proprio per tutelare questa specie, nel 2015 è nata l’associazione capra Orobica composta da una quarantina di allevatori di Valsassina, Valtellina e Bergamasca: «L'abbandono del territorio montano e la scarsa produzione di latte hanno contribuito a rendere la capra Orobica una razza in via d'estinzione – spiega il presidente Ferdinando Quarteroni, titolare dell’Agriturismo Ferdy di Lenna –. Lo scorso anno abbiamo quindi cercato di riunire all’interno di un’unica associazione i pochi allevatori di capra Orobica che fanno parte del massiccio delle Orobie. La nostra speranza è quella di far conoscere questo animale e motivare i giovani ad allevarla in modo professionale. È una produzione di nicchia che tuttavia deve destare interesse anche in un mondo globalizzato. La capra pascola, mangia l’erba in zone non contaminate, fa formaggi sani ricchi di Omega 3. La sopravvivenza di questa razza è fondamentale per le aree montane con pendii molto impervi. La sua grande capacità di pascolare nelle zone più difficili da raggiungere permette di mantenere e sfruttare ettari di pascolo tutt'oggi inutilizzati».

Il gelato di capra non è più magro di quello di mucca, ha solo un tasso di colesterolo più contenuto e quindi risulta migliore dal punto di vista dietetico. La base è la stessa del gelato tradizionale. Gli ingredienti

principali sono latte e panna di capra a cui si aggiungono i gusti più svariati lasciando libero spazio alla fantasia: lamponi, more, cioccolato, nocciola, insomma tutto. Il gelato di capra in generale è apprezzato.

Nella pagina di sinistra Paola Peracchi e i prodotti de Il Faggio. Qui sotto tre Presidi Slow Food della capra Orobica

IL LATO DOLCE Se trasformato in formaggio stagionato ha un gusto deciso, ma sotto forma di yogurt o gelato il latte di capra assume un’inedita dolcezza adatta anche a chi è intollerante al lattosio o è attento alla linea. «Il latte di capra è più digeribile ed è quindi un prodotto ideale per chi soffre di intolleranze – ricorda Paola Peracchi dell’azienda agricola a gestione familiare Il Faggio di Albino –.

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la guida

È molto richiesto nelle fiere soprattutto quella di Sant’Alessandro che si tiene a settembre a Bergamo oppure alla mostra zootecnica di Clusone».

IN TAVOLA I caprini freschi si possono utilizzare come ingredienti per mousse, ripieni per ravioli, torte salate, gnocchi, crespelle e salse per carni bianche o rosse. La chèvre è ottima scaldata nel forno su un crostino di pane e una spolverata di rosmarino. C’è anche chi, con il caprino fresco, realizza salse aromatiche da accostare al pesce d’acqua dolce. Se invece preferite gustare appieno il sapore rotondo e appagante di questi formaggi è bene accompagnarli con miele e confetture, come spiega Sante Roberto Tessarolo, titolare dell’azienda agricola Al Maso di Camerata Cornello: «Tanti sono gli accostamenti che si possono ipotizzare. Il caprino, per esempio, è

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ottimo con una confettura di cipolla oppure di lamponi. Una marmellata mora e menta oppure una salvia e limone sono più sgrassanti quindi meglio con prodotti leggermente più grassi. Sui formaggi più saporiti sta bene una giardiniera, oppure consiglierei confetture agrodolci come la mela passata in grappa e miele. Una confettura di pera e cannella o quella di prugna e zenzero sono invece perfette con la robiola. Infine il miele, è ottimo con il blu di capra, un formaggio molto saporito simile al gorgonzola, che però ha un odore più intenso ed è solo per estimatori. In questo caso consiglio il tarassaco oppure il miele aromatizzato con mele o castagne affumicate».

GLI ESTROSI Si chiama “Formaggio della sposa” e al suo interno contiene una moneta dorata fatta di zafferano. È l’ultima trovata in fatto di formaggi di capra partorita dal caseificio Via

Lattea e che verrà messa in vendita proprio a partire dal mese di maggio. L’idea si ispira a un’antica tradizione che, attraverso l’uso di una moneta d’oro, augurava ricchezza e prosperità alla sposa. L’allevamento di Brignano Gera d’Adda sa come stupire i propri clienti. Già a San Valentino aveva infatti dedicato a tutti gli innamorati un formaggio a pasta molle a forma di cuore con un ripieno di caprino fresco ai frutti di bosco. Per non parlare delle perle di formaggio in crosta di cioccolato bianco. Anche Paola Peracchi, nel suo agriturismo Il Faggio di Albino, ogni giorno cerca di creare nuove combinazioni, dai caprini con noci, erba cipollina e paprika al fagottino con fontanella di capra e asparagi. Particolari anche i caprini stagionati di Cascina Ombria soprattutto quelli avvolti nelle foglie di castagno, di radicchio e di porri, oppure aromatizzati alla birra, al sale e pepe o alle nocciole e uvetta.


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Riflessioni di Enrico Rota

Birre artigianali, i passi falsi da evitare

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l mercato della birra artigianale in Italia vive una situazione di profonda trasformazione, dalla fase pionieristica si è passati ad un momento di forte espansione, sia come numero di unità produttive, sia come quantità di etichette, frutto della capacità ed inventiva, riconosciuta anche fuori dai confini nazionali, dei nostri birrai artigianali. Dalla metà degli Anni 90 ad oggi, i cambiamenti in termini di dimensioni aziendali, capacità produttiva dei singoli birrifici e di offerta dei prodotti ci dipingono un comparto estremamente dinamico e creativo. Tra le caratteristiche del mercato italiano della birra artigianale si riscontra una predilezione per la produzione di birre leggere rispetto a quelle più complesse che portano pure, come tendenza, alla creazione di un’offerta caratterizzata da prodotti disponibili per tutto l’anno e in misura minore da prodotti di disponibilità stagionale. Dobbiamo fare però un distinguo fra gli oltre mille marchi presenti oggi sul nostro territorio nazionale. Logico sarebbe pensare ad una chiara scelta di un posizionamento nel mercato di qualità che punta a generare un’offerta di prodotti caratterizzati dalla capacità di regalare emozioni degustative diverse da quelle prodotte dalla grande industria. Il problema è come arrivare a questo importante obbiettivo. Troppe volte ci capita di bere birre artigianali che non hanno costanza degustativa a causa di una forte instabilità del prodotto stesso, generata solitamente da un insufficiente investimento tecnologico nelle attrezzature di produzione nonché da esperienze di alcuni birrai tutte ancora da verificare. Senza entrare nel merito della bontà, per fortuna questa è e rimane di carattere soggettivo, è doveroso tuttavia effettuare alcune considerazioni. In primo luogo ogni produttore non dovrebbe mai dimenticare che la birra è sì una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione di cereali, ma è soprattutto un genere alimentare e come tale va considerato e rispettato. Mai scordare quindi che le cure maniacali in termini igienico-sanitarie devono prevaricare sempre e in ogni caso qualsiasi altra situazione. Realizzare poi ricette “estreme”, per risultare diversi e commercialmente più appetibili, porta come dote scontata il consenso solo di una parte, piccola, di consumatori. Di riflesso, per giustificare determinate scelte, si tende a mettere su un piedistallo non la birra ma coloro che la bevono; errore imperdonabile se pensiamo all’esperienza ereditata dal mondo enoico. Fondamentale quindi coccolare e preservare un mercato in piena espansione senza mai portare il consumatore all’idea che non è in grado di capire, quindi comprare, la birra artigianale. Come sempre il buonsenso dovrebbe essere l’attore protagonista di determinate scelte; se poi vogliamo produrre solo ciò che ci piace, non serve pensare a commercializzare la propria birra né tantomeno decidere chi la può bere.

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l’associazione Sale a 8 il numero dei produttori che aderiscono all’Associazione dei Viticoltori Indipendenti nata per esaltare la terra e la qualità dei vini bergamaschi. Entrano Sassi della Luna di Cenate Sopra e Tellurit di Pontida, mentre esce Le Corne. A settembre, la partecipazione al meeting internazionale I Maestri del Paesaggio in Città Alta Da sinistra in piedi: Fabio Leoncini (Tellurit), Eligio Magri (Eligio Magri), Cristina Papetti (Sassi della Luna), Simonetta Ferrario (Caminella), Laura Micheli (Valba) e Carlo Ravasio (Sant’ Egidio). Da sinistra accovacciati: Daniel Pennacchio (Cascina Lorenzo) e Antonio Lecchi (Casa Virginia)

Sette Terre cresce e diventa wine partner dei Maestri del Paesaggio

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ette Terre” sale a otto, s’appresta a far da portabandiera dei vini bergamaschi in un grande evento internazionale in programma a Bergamo, e, soprattutto, conferma i suoi principi costituenti, in primis il profondo legame con la terra. O meglio, con le terre, la Maiolica, la Marna di Bruntino, la Volpinite, il Sass de Luna, l’Arenaria, il Flysch e le Torbiditi, quell’insieme di sedimenti che caratterizzano l’arco collinare bergamasco e che sono in grado di regalare nettari dalla forte personalità a chi sa coglierne le peculiarità. È da queste “miniere” che nascono i vini degli otto Viticoltori Indipendenti di Bergamo. L’Associazione non ha neanche due anni di vita, eppure cresce e consolida il proprio cammino esaltando il terroir e la massima espressività del vino. «Il tutto - annota il presidente Carlo Ravasio - all’insegna della sostenibilità ambientale e con l’obiettivo di rendere i consumatori bergamaschi nuovamente orgogliosi dei propri prodotti. Abbiamo del resto i mezzi e un ambiente armonioso, dobbiamo solo decidere se fare o meno qualcosa di diverso». «Non siamo in antitesi con nessuno, sia ben chiaro - puntualizza Ravasio -.L’importante è che tutti i produttori portino avanti il territorio, che si faccia distretto, crescita e valore. La terra, aggiunge il presidente - è un passato che insegna. A noi il compito di osservare e trovare la giusta armonia per produrre qualità». Una linea chiara, sintetizzata al meglio dal motto “La terra, l’ambiente, la qualità, l’anima di Bergamo nel bic-

chiere”, un insieme di valori che l’Associazione ha “sposato” nel luglio del 2014, al momento della nascita, e che si sta rivelando premiante visto che il numero dei soci è in crescita.

Tellurit, la sfida in cantina Fabio Leoncini, a capo di un gruppo energetico da 1,5 miliardi di euro, ha acquisito 5 ettari di vigneto a Pontida. Oggi produce Merlot e Riesling e ha scelto di aderire a Sette Terre

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a 50 anni, origini argentine e si dichiara innamorato della nostra terra. A Bergamo è approdato nel 1998, direttamente dal Sudamerica, con un ruolo alla TenarisDalmine. Da allora ne ha percorsa di strada Fabio Leoncini. Dagli uffici al Kilometro Rosso, oggi amministra ed è azionista di riferimento di Innowatio, un gruppo energetico paneuropeo di nuova generazione che vanta un fatturato di 1,5 miliardi di euro e più di 230 dipendenti dopo la recente acquisizione della tedesca Clens. È un economista, Leoncini, che a Bergamo ha scoperto anche il potenziale enogastronomico del territorio. E così, da cultore del mondo del vino, ha deciso di fare il grande salto: è diventato anche produttore. La svolta tre anni fa, quando gli è capitata l’occasione di rile-


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Due i nuovi ingressi: Sassi della Luna, azienda agricola di dopo le fatiche e l’impegno per la sua migliore produzione, sia Cenate Sopra guidata da Cristina e Claudio Papetti, e Tel- premiato dalla scelta del consumatore e che lo stesso diventi lurit di Pontida, nelle mani di Fabio Leoncini, amministrato- orgoglioso di bere e promuovere la qualità della viticoltura della re delegato del Gruppo Innowatio, con sede al Kilometro terra bergamasca. Rosso e attivo nel settore energetico, che tre anni fa ha Il tempo è passato, le guerre, la mezzadria, la riforma agraria rilevato i vigneti dal farmacista Losa. È vero, nel frattempo del 1947 hanno portato a fare ai tempi delle scelte soprattutto dalla compagine è uscita l’azienda più grande, “Le Corne” di autarchia, oggi possiamo permetterci di parlare di ricerca, di di Grumello del Monte, tra i fondatori del sodalizio, ma trat- valore e soprattutto d’impegno per la migliore qualità». tasi, precisa Ravasio, «non di un disconoscimento dei no- L’Associazione Sette Terre vuole essere sempre vicina alla culstri valori ma di una scelta legata a una fase progettuale tura, al cibo ed al rispetto dell’ambiente, per questo motivo ha dell’azienda». deciso di essere wine partner al grande evento internazionale Ad oggi, pertanto, le aziende che compongono l’associa- “I Maestri del Paesaggio” in programma dal 7 al 25 settembre zione sono Caminella di Cenate Sotto, Cascina Lorenzo di prossimi in Città alta. «È un momento di eccellenza legato alle Costa Volpino, Eligio Magri di Torre de’ Roveri, Sant’Egidio tematiche del paesaggio - commenta Ravasio - che coinvolge di Sotto il Monte, Valba e Sassi della Luna di Cenate Sopra, un’intera città. Ci sentiremo orgogliosi portabandiera della quaCasa Virginia di Villa d’Almé e Tellurit di Pontida, per un lità del vino bergamasco: speriamo che tanti ristoratori ed enototale di 43 ettari vitati, 200mila bottiglie prodotte e 39 tecari facciano un sforzo, provino a credere al nostro territorio e etichette. sentano anche loro il profumo della nostra terra». Altre richieste d’ingresso da parte di produttori bergamaLe otto aziende delle “Sette Terre” schi sono al vaglio dell’AssoCaminella Cenate Sotto (Maiolica - Sass de Luna) www.caminella.it ciazione. «Tuttavia - evidenzia il Casa Virginia Villa d’Almè (Marna di Bruntino) www.cantina.tenutacasavirginia.it vicepresidente Antonio Lecchi Cascina Lorenzo Costa Volpino (Volpinite) www.cascinalorenzo.com - avanziamo con cautela perEligio Magri Torre de’ Roveri (Sass de Luna) www.eligiomagri.it ché vogliamo che all’adesione Sant’Egidio Sotto il Monte (Flysch di Bergamo) www.sant-egidio.it corrisponda anche una fedele Valba Cenate Sopra (Torbiditi sottili) www.valba.it condivisione dei nostri principi Sassi della Luna Cenate Sopra (Sass de Luna) www.sassidellaluna.it sia morali che qualitativi, voTellurit Pontida (Flysch di Pontida) www.tellurit.com gliamo che il serio viticoltore

di “mister Innowatio” vare, a Pontida, in Valmora, i vigneti del farmacista Losa. Quattro ettari e mezzo in tutto dove dimorano Merlot, Chardonnay e Riesling della Bergamasca, reimpiantati all’80%. La cantina l’ha chiamata “Tellurit” (come il minerale) e oggi - con la collaborazione dell’enologo Angelo Divittini - produce circa 6mila bottiglie: 4.500 di Bergamasca Igt Merlot e 1.500 di Bergamasca Igt Riesling. Quest’ultimo, tra l’altro, ha ricevuto l’attestato di eccellenza all’ultima edizione di Gourmarte. «La sfida è solo alle fasi iniziali - spiega Leoncini -. C’è tanto

lavoro ancora da fare, considerato che la produzione potenziale del vigneto è di 20mila bottiglie l’anno». Nei programmi c’è la ristrutturazione della cascina annessa al vigneto per poter vinificare in proprio (oggi Tellurit si appoggia alla vicina Cantina sociale) e il consolidamento del canale commerciale affidato a un uomo d’esperienza come Emilio Baldoni. “Passione per natura” c’è scritto sulle etichette. E non è un caso. «Da sempre - ammette Leoncini - ho avuto un marcato interesse per il mondo del vino, per la sua storia. Nel tempo, l’interesse è cresciuto ed è infine sfociato nella decisione di scendere in campo. Mi affascina la nuova sfida, in questo caso con la natura, che ha i suoi ritmi e ti costringe ad affrontare un nuovo modo di misurarti con il tempo».

Passione, in Leoncini, fa rima anche con visione. “Mister Innowatio” è convinto che nella Bergamasca andrebbero create le condizioni per una valorizzazione decisa dei prodotti della terra. «Viviamo in una realtà che può offrire molte opportunità - afferma - con ricadute positive anche sul turismo enogastronomico. È essenziale, però, che si punti alla qualità senza compromessi». Convinzioni che hanno reso naturale l’adesione di Tellurit a Sette Terre. «La condivisione dei valori promossi dall’Associazione dei Viticoltori Indipendenti di Bergamo è totale - afferma Leoncini -. Credo nella scelta di esaltare il terroir. Perché solo così si può raggiungere l’eccellenza e fare la differenza». www.tellurit.com - f.leoncini@yahoo.com g.r.

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L’intervista di Leo Bartoli

Roberto Rubino

Roberto Rubino (Anfosc), grande e ascoltato conoscitore del patrimonio caseario italiano, è nemico giurato dell’omologazione. «Oggi i prezzi sono tutti livellati verso il basso e questo è un grande problema per il settore e per le produzioni d’eccellenza». «L’alternativa? Dare a ogni prodotto il giusto valore di mercato, come per il vino. Ecco perché ho pensato alle sei classi di qualità per i sistemi al pascolo e alla stalla. Del resto, meglio mangia l’animale e più il latte e il formaggio saranno di livello superiore» 12

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Formaggi, il prezzo (alto) è quello giusto

volte il prezzo è caro, ma può essere quello giusto. Nel senso che, per molti addetti ai lavori, l’unica speranza di sopravvivenza futura per alcune produzioni casearie di qualità sarà adeguare certi prezzi alla media europea. Con una fascia sempre più estesa di consumatori che, pur di avere l’eccellenza sulle proprie tavole, è disposta a pagare anche qualcosa in più. Ne è un convinto assertore Roberto Rubino, dirigente e ricercatore presso l’Unità di Ricerca per la Zootecnia Estensiva di Bella (Potenza), grande conoscitore di tutto il patrimonio caseario italiano e presidente di Anfosc, l’Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo, nata nel 1995, per tutelare e valorizzare i formaggi prodotti esclusivamente con il latte di animali allevati al pascolo. Un purista dei grandi Cru, quindi, Rubino, la cui opinione è molto ascoltata sia dagli addetti ai lavori che dai consumatori, perché disinteressata e non legata a singoli interessi di bottega. Presidente Rubino, a volte i consumatori restano sorpresi per il prezzo molto elevato di alcuni formaggi d’eccellenza: ma forse questa è l’unica arma che ha la filiera per poter sopravvivere, viste le soglie minime pagate per il prezzo del latte… «Salvo rarissime eccezioni, i prezzi dei formaggi sono tutti livellati verso il basso. Possiamo trovare bottiglie di vino da un euro e da 4.000 euro. Invece nei banchi dei supermercati i prezzi dei formaggi sono quasi identici, molto vicini uno all’altro. E, secondo me, questo è il vero problema del settore…». A volte però dei prezzi anche alti, o forse è meglio dire giusti, vista la qualità, si avvantaggia solo l’ultimo tratto della filiera casearia, quella della distribuzione: c’è un modo per riequilibrare l’intero sistema? «Con i prezzi bassi non si avvantaggia nessuno. Anzi è proprio la distribuzione a risentirne perché non è in grado di offrire un’ampia gamma di prodotti a prezzi differenti». Lei conosce benissimo tutti i formaggi italiani: a livello di prezzi, ma anche sul fronte della qualità: ci può fare qualche esempio di


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formaggio sottovalutato, che meriterebbe più attenzione da parte dei consumatori e del mercato? E ci sono invece formaggi sopravvalutati? «Gran parte dei formaggi al pascolo sono sottovalutati. A volte in maniera vergognosa. Esempio classico è il Ragusano: pascolo obbligatorio, latte crudo, siero-innesto, tini di legno, locali di stagionatura naturale. Eppure gli allevatori prendono solo due centesimi in più rispetto al latte industriale. E che dire del Montasio d’alpeggio, dei Nostrani trentini o della Fresa sarda. Non credo invece che vi siano formaggi sopravvalutati, perché c’è troppo appiattimento verso il basso». In riferimento ai formaggi, lei ha anche creato un suo modello di classi di qualità: può dirci brevemente in cosa consiste? «Sappiamo che il latte non è tutto uguale e sappiamo anche che la grande differenza la fa il pascolo e i concentrati. La qualità aromatica e nutrizionale del latte dipende essenzialmente dalla quantità di erba che l’animale mangia e soprattutto dal numero di erbe diverse contenute nella razione. Perché ogni erba apporta un patrimonio di molecole diverse. I concentrati hanno lo stesso effetto dell’acqua nel vino. Ne aumentano il volume ma ne diluiscono sapore e aroma. Il settore si salva se riusciamo a dare “a ciascuno il suo” prezzo». Già, ma come? «L’ideale sarebbe utilizzare lo stesso metodo in uso nel mondo del vino: ogni bottiglia ha il suo prezzo a prescindere dal nome del vino e anche se è una Doc. Però il mondo del vino è troppo distante. Ecco perché ho pensato alle classi di qualità, un po’ come si fa con gli elettrodomestici o il baccalà. Le classi sono sei (tre per i sistemi al pascolo e tre per quelli alla stalla) e si basano essenzialmente sulla razione alimentare e sul ruolo dei concentrati. Insomma, meglio mangia l’animale è più il latte e il formaggio saranno “di classe superiore”». Lei si è sempre battuto contro l’omologazione del latte, che non può essere tutto uguale, ma va valorizzato, specie se italiano di qualità: le recenti misure varate dal

ministro bergamasco Martina vanno in questa direzione o c’è ancora molto da fare? «Non mi risulta che vi siano ancora misure che vanno nella direzione da me auspicata. Noi dobbiamo uscire dalla logica che il latte è tutto uguale, che il prezzo deve essere unico, che dobbiamo mangiare italiano. Noi produciamo molto meno di quello che consumiamo. E non tutto il latte italiano è uguale. Quindi il prezzo deve essere diverso, altrimenti chiude l’azienda che produce il miglior latte». Secondo lei quale sarà il futuro del formaggio italiano? Riuscirà a contrastare adeguatamente il mercato mondiale delle imitazioni, che a forza di tonnellate di Parmesan e affini sta minando la nostra credibilità? «Il problema non sono le imitazioni o le importazioni di latte. Insisto, il problema è l’omologazione, il prezzo unico. Fra poco compreremo formaggi a prezzi stracciati perché la produzione di latte è in eccesso e perché non si tiene conto della qualità. Dobbiamo legare il prezzo alla qualità reale, non quella che ci raccontano (grasso, proteine, cellule somatiche e carica batterica)». Fra i formaggi bergamaschi quale apprezza di più? Ci sono, secondo lei, prospettive per allargare il mercato dei formaggi orobici anche all’estero in futuro? «Il Formai de Mut è il mio preferito. A volta esprime una complessità delicata e fine che raramente si ritrova in altri formaggi. Per i formaggi bergamaschi ci potrebbero essere grandi prospettive. Dovremmo diversificare, ampliare l’offerta e esaltare al massimo la qualità con una cura maniacale dei dettagli. Ripeto: se si vendono vini a 4.000 euro, prosciutti a 1.000 euro, perché non si può vendere un formaggio a 1.000 euro? Questo è lo sforzo che dobbiamo fare: allargare la forbice fra il formaggio meno caro e quello più caro per permettere a tutti di gustare e ritrovare il proprio prodotto»

«Ho una spiccata preferenza per il Formai de Mut. Ma, in generale, per i formaggi bergamaschi ci potrebbero essere grandi prospettive. A patto di diversificare, ampliare l’offerta ed esaltare al massimo la qualità con una cura maniacale dei dettagli» 13


Personaggi di Giovanni Ponzoni

Alta finanza addio, me Laurea alla Bocconi, anni in un grande gruppo bancario londinese, Gabriele Vitali, di Pizzino, ha mollato tutto e ha aperto il suo locale a Soho. Ed è stato subito un successo. Le farine? Arrivano dal molino Nicoli Silvio Vangelisti e Gabriele Vitali

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a un paio di anni, chi capita nelle strade affollate del quartiere di Soho, a Londra, può vivere l’esperienza di ritrovare i sapori di casa e il gusto tipico bergamasco in un piccolo ristorante chiamato La Polenteria, che, come dice bene il nome, mette in primo piano (e perfino in vetrina) proprio la polenta, e in particolar modo quella tutta orobica di Nicoli. L’idea è venuta a Gabriele Vitali, originario di Pizzino in Val Taleggio, laurea alla Bocconi, il quale, dopo diversi anni trascorsi nella capitale britannica occupandosi di investi-

menti finanziari in un grande gruppo bancario, insieme all’amico (bresciano) Silvio Vangelisti, che invece era odontotecnico, ha deciso di fare il grande salto nella ristorazione. Ed è subito stato un successo. Prima di tutto per la filosofia totalmente “gluten-free” del menù (ed è stato il primo ristorante italiano a proporlo a Londra), poi per l’ambiente raccolto e intimo, da trattoria moderna, e infine per la cucina generosa e ricca, che mette in campo anche altri classici regionali italiani e non solo la polenta. Anche se quest’ultima rimane la vera protagonista del

di Rosanna Scardi

Semifinalista alla Prova del cuoco. «Ma non sono un cuoco» Giuseppe Previtera, titolare della gastronomia “Fior di Sicilia”, in via Pignolo a Bergamo, un passato nei cantieri e da fruttivendolo, ha coronato il suo sogno. «Devo tutto a mia nonna»

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a sua filosofia è che per essere un ottimo chef non occorra essere uno chef. Giuseppe Previtera, 35 anni, titolare della gastronomia “Fior di Sicilia”, in via Pignolo a Bergamo, ha conquistato la giuria della “Prova del cuoco”, il programma condotto da Antonella Clerici su Raiuno, diventando il primo semifinalista nel torneo dei campioni. Giuseppe Previtera con la chef bergamasca Francesca Marsetti

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eglio “La Polenteria” menù, visto che viene proposta negli antipasti con asparagi, scamorza e uova, o nella versione più esotica con una vellutata di menta e la crema di soia. E poi nei piatti principali, con gli Gnocchi di polenta, tartufo e formaggio, e in preparazioni decisamente più azzardate come nel caso degli Gnocchi di polenta con salmo-

ne affumicato e crema di avocado o nel Filetto di maiale con salsa di liquerizia e polenta grigliata. E c’è perfino, a fianco della Panna cotta e del Tiramisù, una “Polenta cheesecake” per chi vuole completare il pasto tematico con un dolce. La polenta rappresenta il 50% del menù, ma non mancano pasta e ravioli fatti in casa con sapori che virano spesso verso un gusto internazionale, anche perché a La Polenteria la clientela italiana rappresenta solo un quinto degli ospiti che si siedono nei 32 coperti del ristorante. I vini in carta sono esclusivamente italiani, con un’attenzione particolare per quelli bresciani (Benaco e Lugana), ma la filosofia vegana e gluten-free che ispira tutto il menù consiglia anche di sperimentare in accompagnamento i succhi di frutta freschi o, come sembra essere di tendenza negli ultimi tempi, qualche cocktail.

«In cucina vincono i sapori caserecci, la semplicità, la manualità della massaia, che non comprende termini come imbiondire la cipolla, sbollentare le patate o il saper trovare il punto di fumo nell’olio - spiega Previtera, che sull’avambraccio destro ha tatuato la scritta “I’m not a chef” -. Devo tanto a mia nonna Angela. Non mi ha cresciuto con le merendine classiche, ma con le bruschette e con le sue pennette alla carrettera a base di pomodoro fresco schiacciato in padella, aglio e basilico, per me la fine del mondo». Il concorrente ai fornelli vive ad Albano Sant’Alessandro e non ha mai frequentato un corso per cucinare. Vent’anni fa è arrivato nella provincia orobica da Giarre, nel Catanese, insieme ai genitori. Il primo lavoretto per garantirsi un po’ d’indipendenza è stato, a 16 anni, in una pizzeria d’asporto vicino allo stadio, poi ha macinato esperienza come aiutante nei ristoranti. Una volta conseguito il diploma di geometra, è stato occupato nei cantieri per quindici anni. «Avevo grandi responsabilità, ero sempre in viaggio, ma sono sempre stato combattuto - racconta Previtera -: ho avuto un negozio di fruttivendolo insieme a mio papà,

«La scommessa della Polenteria è stata vinta», racconta Gabriele Vitali, «e siamo molto soddisfatti di come sta andando il ristorante. Al punto che potremmo quasi decidere di aprirne un altro in futuro. Gli inglesi, quando siamo arrivati, non conoscevano la polenta ma hanno iniziato ad apprezzarla e ora la richiedono con continuità. All’inizio avevamo solo quella in carta, con pochi riferimenti, ma abbiamo deciso strada facendo di offrire una scelta un po’ più ampia alla nostra clientela, così sono arrivati altri piatti come le Lasagne vegane, la Burrata con rucola, la parmigiana e le Tagliatelle al pesto rosso. Per dare anche qualche tocco della cucina italiana mantenendo fede alla scelta di soddisfare vegani, vegetariani e amanti del senza-glutine».

finché sette mesi fa, quando ho aperto la gastronomia, ho coronato il sogno di una vita». Sul suo bancone si ritrovano i sapori della sua terra, rustici, fagottini, pitoni fritti, cartocciate, cous cous a base di pesce, pizze e calzoni impastati a mano, timballi e arancini di riso, pasta al forno e cannoli. In tv è affiancato da chef già affermati come Paolo Zoppolatti, Martino Scarpa, Luigi Gandola, Federico Beretta e la bergamasca Francesca Marsetti. La sfida consiste nel realizzare un piatto da leccarsi i baffi con un budget di 12 euro e in un tempo record, appena 20 minuti. «La fantasia non mi manca, ho preparato una cassatina scomposta, la pasta con le sarde, ravioli di pasta frolla con crema all’arancia e sopra una fonduta al gianduia, insalata di agretti e baccalà – racconta -. Anche se il mio cavallo di battaglia, per fare breccia in una donna, è la pasta e ceci». L’abilità del siculo-bergamasco è come quella della casalinga che si ritrova a dover soddisfare il palato di ospiti inaspettati per cena. «Basta una latta di pomodoro, una cipolla, aglio e pennette e ho risolto ogni problema», sorride Giuseppe.

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NEWS

Ponteranica, lo street food dei ristoratori fa il bis Sei insegne, ora riunite in associazione, tornano al Santuario di Rosciano con i loro piatti in versione “da strada”. In programma anche uno spettacolo di danza in prima nazionale

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etti un bel sagrato erboso, da cui godere una vista splendida sui colli e sulla pianura, un’associazione di ristoratori uniti dalla voglia di fare e un’amministrazione che pensa all’attrattività territoriale ed ecco Orobic Street Food, manifestazione che coniuga buona cucina, convivialità, natura e intrattenimento. Sabato 25 giugno a Ponteranica fa il bis la fortunata iniziativa nata lo scorso anno in occasione dell’Expo e dei bandi regionali a favore dei distretti del commercio. Comune e ristoratori si sono “alleati” ed hanno scelto di differenziarsi tra gli eventi gastronomici puntando sul cibo del territorio distribuito nella

formula più easy, da strada, un luogo ameno come il Santuario di Rosciano sulla via della Maresana e una proposta culturale di alto livello. La ricetta viene confermata quest’anno nello scenario di Rosciano, grazie alla disponibilità della Parrocchia della Trasfigurazione. Per lo spettacolo clou sono stati coinvolti gli artisti catalani Cie Daraomaï che propongono Tiravol nell’ambito del circuito Festival Danza Estate: una performance di danza e acrobazia in prima nazionale. In programma altri momenti di intrattenimento, ma il pezzo forte dell’Orobic Street Food sono naturalmente i piatti dei ristoratori, recentemente riuniti nell’Associazione Ristoratori Ponteranica. In campo ci saranno Civico 17, La Maresana, Locanda La Ramera, Papa Joe’s, Parco dei Colli e Trattoria del Moro. Ogni ristorante una ricetta. Il riferimento all’orobicità, nel nome stesso della manifestazione, si ottiene reinventando la tradizione, personalizzandola o utilizzando in modo creativo materie prime del territorio e della Valle Brembana, di cui Ponteranica segna l’ingresso. Novità di quest’anno: tutti piatti sono un’assoluta sorpresa. La giornata rappresenta l’occasione per conoscere le diverse proposte dei locali fuoriporta e la volontà del paese di contrastare orgogliosamente il destino, quasi inevitabile data la prossimità, di divenire residenza nel verde per i cittadini. Lo fa mantenendo le sue solide tradizioni e con una partecipazione attiva alle iniziative. www.orobicstreetfood.it

Le bontà dei laghi italiani riunite a Iseo È in programma dal 27 maggio al 2 giugno a Iseo la settima edizione del Festival dei Laghi, la manifestazione nata con il preciso obiettivo di valorizzare l’ambiente lacustre esplorando e facendo conoscere le sue peculiarità. In programma concerti, convegni, mostre, conferenze, attività culturali e manifestazioni sportive. Il 28 e il 29 maggio il capitolo dedicato a cibi e vini con “Bontàlago”: per il week end i vicoli del borgo storico

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di Iseo, le piazze e le vie si animeranno in una kermesse che mette in vetrina l’eccellenza della produzione enogastronomica dei centri che si affacciano sui laghi, con esposizioni, degustazioni e corsi. Una trentina gli specchi d’acqua ospiti, grandi e piccoli, dal Sud al Nord. www.festivaldeilaghi.it È possibile raggiungere il Festival anche con un mezzo insolito come il treno a vapore. Domenica 29 maggio

per il 140esimo anniversario della ferrovia Palazzolo sull’Oglio-Paratico Sarnico è infatti organizzato uno dei viaggi con convogli d’epoca di Trenoblù. La partenza è da Bergamo con destinazione Paratico-Sarnico. È poi possibile salire sul battello e raggiungere Iseo per la manifestazione. Il costo del pacchetto treno, battello e pranzo è di 58 euro (33 per i bambini). www.ferrovieturistiche.it


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L’evento

di Roberta Martinelli

Lago d’Iseo, sapori in “passerella” L’installazione dell’artista Christo, che dal 18 giugno al 3 luglio permetterà di raggiungere Montisola a piedi, sta richiamando l’attenzione del mondo. Ecco le soste gastronomiche da non perdere

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scattato il conto alla rovescia per l’evento più atteso dell’anno nella nostra provincia. Il 18 giugno inaugurerà The Floating Piers, la passerella creata sul Lago d'Iseo dall’archistar bulgara Christo. L’evento è considerato tra gli appuntamenti più importanti del 2016 a livello mondiale. Secondo le previsioni, nei sedici giorni dell’installazione centinaia di migliaia di turisti visiteranno il Sebino per "camminare sulle acque" e raggiungere Montisola dalla terraferma. Ovvio che chi, come noi, abita a pochi chilometri di distanza, non potrà perdere questo appuntamento unico. Per molti i paesi del Lago d’Iseo saranno una bella sorpresa. Le occasioni di

vedere scorci naturali incantevoli non mancheranno. Noi vi consigliamo di approfittarne per fare qualche sosta all'insegna del gusto e, per aiutarvi, abbiamo creato una mappa con gli indirizzi da non perdere. Sono davvero tanti, per tutti i gusti e le esigenze. Prendete carta e penna, quindi, e segnate quelli che vi ispirano di più.

Pesce di lago al top Visitare "la passerella" sarà l’occasione per farsi una scorpacciata di pesce di lago: dalle arborelle fritte o in carpione, a coregone, salmerino e lavarello alla griglia, dal filetto di persico dorato alla tinca al forno. Le trattorie

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L’evento

I ristoranti Nò-Do (a sinistra) e l’Approdo, entrambi a Paratico

e i ristoranti che li propongono sono disseminati un po’ ovunque. Sulla sponda bergamasca, vi consigliamo a Castro il ristorante Vulcano (chiedete di mangiare nella piazzola esterna con gli ulivi e vista sul lago e sul Monte Trenta Passi) e il ristorante Al Guelfo Negher a Riva di Solto. Chi vuole unire alla buona cucina un ambiente di atmosfera ed è disposto a spendere un po’ di più, non può perdersi il ristorante Gabbiano a Predore (incantevole il terrazzino a picco sul lago), il ristorante Zù a Riva di Solto (anche qui con vista sul lago e un bel giardino) e l’Osteria Spirito di vino, affacciata sul porto turistico di Lovere. Alcuni ristoranti, in omaggio all’evento, porteranno in tavola piatti dedicati. Ad esempio, il Chiostro dell’Hotel Sebino, in piazza Besenzoni a Sarnico, avrà in carta la “pasta calamarata di Christo”, un primo piatto dal sapore mediterraneo con vongole veraci, calamari, crema di tartufo e una originale pasta ad anelli. Mentre il ristorante Panoramico, a Fonteno, dedicherà al grande artista "Christo incontra il lago", un piatto a chilometro zero a base di salmerino (che rappresenta l'isola), camomilla (a richiamare la calma del lago) e mais croccante (il floating pier). Chi ama il pesce di lago o desidera fare un tuffo nella tipicità non può non fare una tappa a Clusane per assaggiare la tinca al forno, il succulento fiore all’occhiello della cucina locale. Lo propongono un po’ tutte le trattorie del paese. La ricetta è tramandata da tre generazioni. Più di Amatrice con l’amatriciana o di San Daniele o Sauris col prosciutto, Clusane ha legato il suo nome a questo piatto già dalla fine dell’800, arrivando ad avere negli anni quasi trenta ristoranti con la tinca al centro della loro proposta. Non sarà difficile trovarli: in omaggio all’evento, i ristoratori coloreranno i balconi e le verande con fiori gialli. Noi vi

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consigliano la trattoria Al Porto, il ristorante Da Sandro, l’antica trattoria del Gallo e la Trattoria del Muliner, anche per i prezzi contenuti. A Monteisola, in località Carzano, merita La Locanda al lago: il papà del titolare è pescatore e il pesce è pescato in giornata. Buonissimi il carpaccio di trota, la millefoglie di sardina, la zuppa di pesce con pescato di lago e le fritture. Per una sosta familiare, consigliamo anche La Spiaggetta, in località Sensole, una piccola trattoria con pergolato sul lago e in menù sempre un piatto con il pescato del giorno. Mentre, in località Peschiera Maraglio, La Foresta, il ristorante più noto dell’isola, offre una sosta raffinata.

Le alternative Chi preferisce il pesce di mare, potrà optare per una sosta al ristorante Nò-Do a Paratico, dove troverà un ambiente elegante, un giardino mozzafiato sul lago e piatti molto curati, al ristorante l'Approdo sempre a Paratico o al ristorante Le Tentazioni a Pisogne. Per gli amanti della pizza, la Pizzeria Bocconcino a Sarnico, Art a Lovere, il ristorante pizzeria San Martino a Iseo e il Ghiottone di Clusane (da provare la pizza al tagliere). Per assaggiare i tipici casoncelli preparati in ogni stagione con ripieni diversi, la Trattoria Cacciatore a Sulzano (buone anche la selvaggina e la specialità: i tagliolini all'oca). Per una sosta in agriturismo, infine, meritano La Cascina dei Prati a Credaro, la Cascina Oglio a Sarnico e El Dos del Bec a Toline.

Un giro tra le sagre Un’occasione meno formale per conoscere i piatti del lago è offerta dalle sagre. Nel periodo della passerella ce ne saranno due molto caratteristiche, a pochi giorni di distanza l’una dall’altra. Dal 29 giugno al 3 luglio a Castro, alla rassegna gastronomica di Legambiente Alto Sebino, si potranno gustare piatti gourmet realizzati con prodotti di altissima qualità come le sarde alla griglia, l’anguilla gratinata e la ricetta dedicata all’evento: il "filetto di coregone in passerella", coregone di lago, zucca


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"di Sale Marasino" e olio di oliva extravergine di Marone, ma anche piatti vegetariani e vegani. Con il plus dello scenario del lago e della montagna Trenta Passi e, se si è fortunati, con la compagnia di qualche cigno curioso. Se avete tempo e voglia di abbinare una piccola camminata nella natura, fatevi spiegare come raggiungere il Parco della Gola del Tinazzo, un’area protetta dove potrete ammirare la forra, un canyon naturale incredibile, risultato di fenomeni erosivi millenari, con la sua tipica flora e fauna. L’1, 2 e 3 luglio, la storica Sagra del pesce di Riva di Solto proporrà menù dedicati al 100 per cento al pesce di lago, cucinati secondo le ricette della zona e serviti in una bella piazza a bordo lago. Noi consigliamo di cominciare con la bruschetta con il pregiatissimo olio extravergine locale e di proseguire con il “Menù del Pescatore”, composto da alborelle in carpione, bocconcini di tinca fritta, trota marinata, sardine fresche alla griglia e pesce sott’olio alla griglia con polenta. Da non perdere, la sardina con la polenta.

Dal caffè all’aperitivo Anche le occasioni per una buona colazione o merenda sul Lago non mancano. A Lovere sosta obbligata al Bar Centrale, affacciato sulla piazza e indirizzo cult dei loveresi (provate le coppe di gelato, c’è una lista infinita) o al Bar Ricci, centro della movida locale, nell’elegante spazio esterno tra gli ulivi e lo sfondo del lago e con un comodo parcheggio vicino, prezioso soprattutto per i motociclisti. A Sarnico fermatevi allo storico Bar Centrale in piazza XX Settembre oppure allo Swing Cafè per osservare lo "struscio" sul lungolago. Poco distante, oltre il ponte, a Paratico, il Belleville Rendezvous, ricavato da un magazzino, è un locale diverso dal solito, dallo stile industriale e urbano: buoni gli aperitivi e gli hamburger. La sera potrebbe capitare di assistere a un concerto (apre alle 18). Per i più golosi gli indirizzi da non perdere

sono tanti: a Lovere, la storica Pasticceria Wender, per i pasticcini e le brioche, e la Pasticceria Bardoni per i cioccolatini e le torte; a Sarnico, di fronte alla Chiesa, la Le delizie di Rebecca, per i biscotti e i macaron. E ancora, a Iseo, in piazza Garibaldi, la Patisserie Chocolaterie Nazzari propone buonissimi cannoncini e bignè, ma anche macaron, muffin e donut. Il top qui è prendere un caffè americano aromatizzato nella classica tazza e il krapfen alla marmellata e passeggiare in riva al lago. Gli appassionati di gelato trovano sul Lago d'Iseo alcuni dei migliori indirizzi delle due province: da non perdere, il gelato da passeggio della Gelateria Mei o della attigua Gelateria La Gatta. Su quale sia il più buono è in corso da decenni una disputa tra i frequentatori abituali. La Mei proporrà anche un gelato dedicato all’evento. Altre soste imperdibili per i cultori sono la Gelateria Mongolfiera a Iseo e la storica Gelateria Biffi di Credaro: la riconoscerete dalla coda di persone in attesa che arriva fino sulla strada.

Per salutisti e vegetariani Chi segue una dieta vegetariana o vegana troverà sul lago diverse occasioni di soste salutiste. A Sarnico, non perdete le centrifughe di frutta e verdura della bottega Dicottedicrude, nell'incantevole contrada Lantieri in centro storico. Fate tappa anche al Soul Fruit, in piazza XX Settembre, per uno spuntino veloce a base di piatti di bio-gastronomia e vegani, succhi e muffin di frutta. A Vello di Marone, la Trattoria Glisenti utilizza solo materie prime biologiche e certificate italiane e prodotti freschi del territorio, il tutto assolutamente vegetale (ma si possono trovare anche piatti della tradizione culinaria lacustre preparati con il pescato del giorno dei pescatori locali). A cornice della buona cucina c’è una terrazza con vista mozzafiato su Montisola. In alternativa, l'Osteria Pane Al Sale di Clusane, con una bella vetrata sul lago, cibo buono e ottimi vini.

Le aole fritte; le sardine del ristorante Zù; il piatto dedicato alla passerella del Panoramico di Fonteno

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L’AZIENDA

Otus, il birrificio raddoppia e lancia nuove etichette

Otus via Rumi, 7 Seriate (Bg) tel. 035 296473 www.birrificiootus.com

Cresce il potenziale del produttore artigianale di Seriate. In arrivo una lager chiara, una birra bianca e una Saison. Il consigliere delegato Agazzi: «Costante ricerca della qualità»

75cl

ALC. 5,2% VOL.

O

rmai appare chiaro quanto il panorama del settore inerente alla produzione di birra sia mutato nel giro di un decennio e del peso che hanno assunto i birrifici artigianali nel contesto italiano, pur non minacciando in maniera concorrenziale il terreno della produzione industriale, per differenze rilevanti a livello quantitativo e qualitativo, commerciale e distributivo. La produzione artigianale ha però di fatto conferito un fascino particolare al mondo della birra, apportando creatività e innovazione. Su questo terreno il Birrificio Otus di Seriate si è instradato a partire dal 2015, anno di inizio della produzione, con la chiara scelta di posizionarsi nel mercato di rilievo. «Nell’ambito dei

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prodotti brassicoli artigianali - afferma Ruben Agazzi, consigliere delegato del birrificio - oggi si incontra un mondo molto variegato, che spesso genera anche confusione. Per il consumatore medio non è certamente semplice riuscire a comprendere e, di conseguenza, a scegliere. Spesso, inoltre, si incorre in prodotti che subiscono variazioni significative. La ricerca della qualità di Otus è invece costante in tutto il processo produttivo, a partire dalle materie prime e dall’uso dell’acqua. La qualità autentica nasce infatti dalle migliori materie prime e dall’artigianalità, che significa tecniche antiche, gesti misurati e un’infinita passione per la creazione di prodotti unici, con ingredienti e procedure naturali». «Da qui la scelta di collocare il birrificio a Seriate, per riprendere la tradizione della produzione di birra sul territorio, che risale al XIX secolo - aggiunge Anna Cremonesi, vice presidente Otus -. Qui l’acqua, vista la leggerezza, è ideale per la produzione del “pane liquido”. Grazie, poi, alle alleanze strategiche, prendiamo il meglio degli ingredienti per trasformarli in birra artigianale d’eccellenza. La maestria, che l’immagine del gufo sapiente


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Da sinistra Anna Cremonesi, Ruben Agazzi, Alessandro Reali e Ivano Magri

ha fin da subito richiamato, è infine sintetizzata nel lavoro preciso e competente del birraio, Alessandro Reali». Laureato all’Università di Agraria di Milano, Reali è oggi il cuore pulsante della produzione Otus: «Ho lavorato diversi anni all’estero, potendo provare sul campo la preparazione teorica universitaria e acquisire ulteriormente le competenze specifiche che solo l’esperienza diretta può insegnare. L’intenzione è di creare birre diverse, con forte personalità ma uguali a se stesse in modo da guidare il consumatore verso una maggiore consapevolezza e conoscenza della varietà sensoriale e gustativa che il modo della birra offre». Per Otus il 2016 è un anno laborioso dal punto di vista degli investimenti produttivi: entro la fine del mese la capacità di produzio-

ne verrà più che raddoppiata e verranno prodotte tre nuove tipologie. La prima ad essere immessa sul mercato è una lager chiara, mentre a giugno vedrà la luce una birra bianca “Side B” Blanche. Poi la gamma sarà arricchita con una Saison. «Pils al quadrato, questo è il nome che abbiamo voluto dare alla nostra Pilsner. È una birra a bassa fermentazione - continua Cremonesi - ad ispirazione tedesco-ceca, fatta come sempre a modo nostro con luppoli continentali ed oceanici. I profumi floreali, speziati dei luppoli e i toni dolci dei malti ci preparano a una birra di estrema scorrevolezza e aromaticità. L’acqua povera in sali, il suo taglio secco e una punta di amaro, ne fanno una birra per tutte le occasioni e per tutti i gusti. La Blanche invece abbiamo deciso di chiamarla Side B e sarà la nostra interpretazione di uno stile nato in Belgio: il frumento coltivato a Km 0 dona pienezza e una nota acidula mentre le spezie utilizzate donano note floreali, agrumate e fruttate. Il lievito utilizzato completa il bouquet con richiami di vaniglia e frutta. Nonostante la complessità aromatica, la birra che ne deriva è rinfrescante e facilissima da bere. Una birra proprio per la stagione estiva alle porte!».

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Il locale di Giovanni Ponzoni

Kanton Chinese Restaurant via Gramsci, 17 Capriate San Gervasio tel. 02 90962671 chiuso il lunedì www.kantonrestaurant.it

Kanton, il cinese che non t’aspetti Weikun e la moglie Meiling

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ra i tanti ristoranti orientali che ormai propongono una cucina standardizzata, iperscontata (con la formula dell’All You Can Eat) e con l’utilizzo di materie prime non sempre ineccepibili sotto il profilo qualitativo, capita anche di incontrare degli indirizzi che, invece, è bene segnare sul proprio taccuino. Ed è il caso del Kanton a Capriate San Gervasio (al civico 17 di Via Gramsci), a due passi dalla

Il ristorante di Capriate San Gervasio vale una tappa. È una scoperta per il palato, un mondo di nuovi sapori legati alla vera cucina del grande Paese orientale provincia milanese e inaugurato un paio di anni fa sulle ceneri di una pizzeria che aveva lo stesso nome e che a sua volta aveva rimpiazzato un altro ristorante anche esso orientale, chiamato Il Giardino di Giada. La proprietà, ai tempi, era della famiglia Zhu, originaria della Cina, e lo è ancora oggi, ma vede farsi avanti prepotentemente la nuova generazione di giovani ristoratori,

con il trentenne Weikun e la moglie Meiling a gestire un team affabile e ben preparato, capace di dare una svolta definitiva sia all’ambiente che alla cucina. Il locale ha subito un restyling e il Kanton gode ora di una sala moderna e di un arredo che unisce intuizioni zen a un design contemporaneo, ma è soprattutto la proposta al tavolo ad aver spiccato il volo.


maggio 2016 Scordatevi sushi e sashimi o piatti che ormai figurano in ogni rappresentazione gastronomica dell’Oriente, (vedi gli onnipresenti involtini primavera), perché qui si entra a contatto con la cucina cinese più autentica, che pesca nella tradizione cantonese con qualche deriva nella regione del Sichuan (e le differenze non mancano, visto che nel Sichuan i sapori sono più decisi e speziati), ma sempre attualizzata e vicina allo stile e alle indicazioni della cucina contemporanea. Marinature, affumicature, preparazioni al vapore, l’utilizzo dell’aceto di riso, le acidità che si mescolano a dolcezze. La cucina del Kanton è una scoperta e una sfida del palato, perché presuppone un impegno da parte dell’ospite che vuole entrare in contatto con un mondo forse in buona parte ancora sconosciuto. Per fortuna ci pensa il titolare Weikun, che si divide tra sala e cucina (dove i cuochi arrivano tutti dalla Cina) e spiega con dovizia di particolari e in un italiano perfetto (lui è arrivato a Capriate quando aveva 14 anni e non si è più mosso) la filosofia di ogni piatto, i richiami alla tradizione, il giusto abbinamento con un tè o con un vino e indirizza verso i sapori che si stanno per sperimentare in bocca. «All’inizio non è stato semplice - dice Weikun - perché la clientela italiana non era abituata a spingersi verso nuove esplorazioni gustative, ma dopo poco tempo ha prevalso la curiosità, la voglia di conoscere meglio la millenaria tradizione della cucina cinese e così al Kanton si vedono soprattutto italiani, oltre a qualche orientale di passaggio che vuole sentirsi a casa». Il menù prevede, tra gli altri, curiosità come la Medusa (proveniente dalla Malesia) con funghi Jinzen e salsa Saoxin, la Mazzancolla scottata e all’aroma fiorito (con una salsa di menta e pugne cinesi), i classici Dim Sum con la Polpetta in crosta di patate e funghi o i Cannelloni sbagliati (preparati con la sfoglia di riso), ma anche il Ramen in brodo di manzo, il Filetto di branzino affumicato, l’Ombrina (arriva dalla Cina, è essicata e poi viene reidratata come per lo stoccafisso), l’Anatra laccata e il delizioso Pollo croccante con basilico d’Oriente, aceto di Xi-an e olio di sesamo. Nel futuro, secondo i progetti a lunga scadenza di Weikun, c’è anche l’idea di aprire un secondo indirizzo sul capoluogo lombardo, ma prima ancora la volontà è quella di rendere il menù del ristorante a Capriate sempre più dinamico e vario.

Polpenazze, un weekend di festa con i sapori del Garda

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partito il conto alla rovescia per uno dei più popolari eventi enogastronomici del lago di Garda: dal 27 al 30 maggio torna la Fiera del vino Valtènesi-Garda Classico Doc di Polpenazze del Garda, nel Bresciano, storica manifestazione nata nell’immediato Dopoguerra che taglia quest’anno il traguardo della 67esima edizione. Dopo il successo record del 2015, quando si sono conteggiati oltre 30mila visitatori nel ponte del 2 giugno, la Fiera torna in scena mantenendosi fedele ad una formula di successo, legata alle finalità originarie di promozione del territorio attraverso i suoi vini ed i suoi sapori.

In primo piano, come sempre, il concorso enologico ufficiale istituito nel 2006 dal ministero per le Politiche Agricole per le Doc Garda Classico e Valtènesi: le commissioni di assaggio assegneranno la qualifica di Vino Eccellente ai vini che abbiano raggiunto almeno il punteggio di 85/100. Saranno inoltre assegnati dei premi speciali al miglior Valtènesi e Valtènesi Chiaretto, attribuiti dall’amministrazione comunale, ed al miglior Garda Classico. A far da cornice alla fiera sarà il centro storico medievale di Polpenazze, dalla cui piazza si gode di una delle più spettacolari visuali sul lago di Garda e la Valtènesi: qui saranno collocati gli stand delle 22 cantine ospiti, oltre al Borgo Bio, l’angolo dedicato alle aziende che praticano l’agricoltura biologica. I visitatori potranno degustare i vini del territorio muniti di sacca e bicchiere acquistati all’ingresso. Non mancherà la Corte degli Assaggi, dove sarà possibile effettuare degustazioni guidate e comparate di tutti i vini premiati al concorso abbinati ai migliori formaggi della zona. Alla Dispensa del Gusto infine si servirà l’immancabile spiedo gardesano, da sempre un must della Fiera di Polpenazze. Ad arricchire la quattro giorni sono previsti inoltre spettacoli, mostre, musica dal vivo tutte le sere e, in chiusura, un grande spettacolo pirotecnico.

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Tradizioni di Leonardo Bloch

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Ebbene sì, siamo polentoni ma anche mangiamaccheroni apita sovente che lungo i secoli una vivanda, pur mantenendosi pressoché inalterata nella sua morfologia, finisca per variare di denominazione, o che altresì la medesima voce culinaria passi di epoca in epoca a designare pietanze differenti. La pizza napoletana di cui nel cinquecento Bartolomeo Scappi forniva la ricetta ha per esempio ben poco a che vedere con il disco di pasta di pane spennellato di salsa di pomodoro - ai tempi dell’impareggiabile cuciniere pontificio peraltro ancora sconosciuta - che negli ultimi cento anni ha conquistato un successo planetario. Si trattava piuttosto di una torta - invero piuttosto greve ai palati contemporanei - a base di frutta passa, mandorle e pinoli. La più emblematica tra tutte queste trasmigrazioni gastronomico-lessicali è forse quella che ha interessato il maccherone. È ben noto che il vocabolo sia da un paio di secoli associato ad un celebre cannello di pasta, eletto a vessillo della cucina partenopea. Ma nei trattati di cucina del quattro/cinquecento, redatti entro gli elitari confini della gastronomia aristocratica, il termine individuava invece i formati che oggi si definirebbero spaghetti o fettuccine. E non sussiste dubbio che la denominazione dell’alimento e l’ispirazione che ne dettò l’ideazione fossero stati attinti da un’ancor più antica minestra asciutta della cucina popolaresca. Ad attestarlo è la testimonianza di una vera e propria autorità in materia - ed altrimenti non potrebbe essere, dato che si parla del massimo esponen-

te del movimento poetico maccheronico del XVI secolo. Chiosando Teofilo Folengo, il maccherone nelle sue vesti primitive era infatti uno gnocco impastato con sole farina ed acqua, con l’opzionale aggiunta di pangrattato. A rimarcarne i natali plebei, il letterato precisava si trattasse di un cibo grassum - in quanto grondante di burro fuso e generosamente asperso di cacio grattato -, rude et rusticanum. Della pietanza il Merlin Cocai ha persino consegnato ai posteri un’eloquente raffigurazione: una xilografia a corredo delle edizioni cinquecentesche delle Maccheronee ritrae invero il poeta nell’atto di essere imboccato da Zana - una delle strampalate muse dell’opera - con un panciuto boccone di pasta infilzato su uno stecco. Fu sempre l’eccentrico cantore mantovano a certificare l’identità padana della vivanda, evidenziando gli stretti vincoli che la legavano al più iconico dei cibi del settentrione. Nel trattare del maccus, che dell’arcaico gnocco rappresentava tanto l’irrefutabile radice lessicale quanto la materia prima originaria, Folengo constatava che ai suoi giorni questo fosse ormai una farinata di semola di cereali, e chiaramente non più una pappa a base di fave alla moda degli antichi romani. Tra polenta tardo medievale e maccherone dei primordi corre dunque un distinguibile fil rouge. Non sorprende che l’antico formato di pasta abbia lasciato profonde tracce nella tradizione culinaria bergamasca, sempre restia a dismettere gli usi del passato remoto. Nella media e nell’alta valle Seriana si preparano ancor oggi gli gnoch in còla, attenendosi pressoché letteralmente al procedimento codificato dal Merlin Cocai. Una singolare reinterpretazione dell’alimento figura inol-


maggio 2016

tre all’alba dell’ottocento ne La nuovissima cucina economica di Vincenzo Agnoletti, celebre per aver ricoperto il ruolo di personal chef di Maria Luigia di Parma. È pur vero che i mondiotti alla bergamasca dell’illustre cuoco romano rechino chiaramente impresso, prevedendo l’utilizzo della pâte à choux nell’impasto e della besciamella nel condimento, l’inconfondibile marchio della cucina borghese d’oltralpe - ed oggi verrebbero più propriamente chiamati gnocchi alla parigina. Ciò nondimeno la ricetta non manca di segnalare quanto profondamente radicato fosse nel circondario orobico questo genere di pietanza. Preme infine ripercorrere i rimbalzi tra differenti genie compiuti attraverso i secoli dall’epiteto di mangiamaccheroni, della cui ricostruzione siamo debitori al grande Emilio Sereni. È anzitutto assodato che, a partire dal XVIII secolo, il nomignolo sia di esclusiva spettanza dei napoletani. Ma in una commedia del cinquecento - La vedova (1569) di Giambattista Cini - è altresì un gentiluomo partenopeo a dare del manciamaccaroni ad un soldato siciliano, venendo da quest’ultimo contraccambiato con il titolo di manciafogghia. Ed in effetti proprio in Trinacria ebbe inizio, all’alba del basso medioevo, la produzione industriale di paste alimentari, quando invece Napoli andava famosa per le sue verdure. Grazie a Teofilo Folengo sappiamo comunque che le prime orme di un divoratore di maccheroni siano state quelle lasciate, ancor più anticamente che in Sicilia, da qualche nostro avo sul ferace suolo della valle Padana. Polentoni, certo, ma al tempo stesso pure mangiamaccheroni.

“Premio Qualità Italia” torna il concorso enologico

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orna il Concorso enologico nazionale “Premio Qualità Italia 2016” organizzato dalla Scuola di Alta Formazione e Perfezionamento Leonardo di Città Sant’Angelo, in Abruzzo. Il concorso - approvato dal ministero delle Politiche Agricole e reduce da un’edizione, quella dello scorso anno, con cantine di tutte le regioni d’Italia e con numerosi riconoscimenti agli organizzatori - si appresta a registrare una partecipazione ancora più significativa, dal momento che le adesioni stanno arrivando in numero maggiore da molte regioni. Anche quest’anno l’organizzazione si propone di mettere in evidenza la migliore produzione italiana per le categorie dei vini ammessi al concorso. Il tutto per valorizzare le tipicità italiane e regionali, premiare lo sforzo delle aziende produttrici e stimolare il continuo miglioramento qualitativo dei prodotti contribuendo così alla divulgazione del brand Italia nel mondo. Chi fosse interessato a partecipare, deve far pervenire i campioni alla Scuola di Alta Formazione e Perfezionamento Leonardo entro il 3 giugno prossimo. Le degustazioni inizieranno il 15 giugno e la premiazione avrà luogo il giorno 9 luglio. Il regolamento, la scheda d’iscrizione e il verbale di prelievo sono consultabili sul sito ufficiale www.premioqualitaitalia.it e la mail di riferimento è: concorso@premioqualitaitalia.it, tel. 085.21963. I vini premiati saranno oggetto per l’intero 2016 di particolari azioni promozionali da parte della Scuola. Le categorie di vino a concorso sono: • IGT (Indicazione Geografica Tipica: Rossi, Bianchi e Rosati) • DOC (Denominazione di Origine Controllata: Rossi annate 2015, 2014, 2013, 2012, 2011 e precedenti, Bianchi annate 2015, 2014 e precedenti, Rosati) • DOCG (Denominazione di Origine Controllata Garantita: Rossi e Bianchi e Rosati) • Vini Frizzanti (Rossi DOC e IGT, Bianchi DOC e IGT, Rosati DOC e IGT) • Vini spumanti (Rossi VSQ, DOC VSQ e IGT VSQ, Bianchi VSQ, DOC VSQ e IGT VSQ, Rosati VSQ, DOC VSQ e IGT VSQ) • Vini passiti (DOC, IGT)

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TECNICHE di Anna Facci

La cucina che non si dà arie Vissani l’ha stroncata, per altri è una delle più importanti innovazioni in campo culinario. Abbiamo approfittato di un corso all’Accademia del Gusto per conoscere da vicino la cottura sottovuoto a bassa temperatura

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ucina innovativa o “barbarie gastronomica” come l’ha definita Gianfranco Vissani, ritenendola lontana da ciò che fa grande l’Italia a tavola? La verità sulla cottura sottovuoto a bassa temperatura (che si effettua in un bagno di acqua calda o in un forno a vapore), la si può trovare con più facilità al netto delle forzature modaiole e mediatiche. È infatti una tecnica e come tale va conosciuta e considerata, valutandone i vantaggi e quanto può dare alla propria proposta. Per saperne di più abbiamo fatto un salto al corso “Il sottovuoto e l’organizzazione in cucina”, all’Accademia del Gusto di Osio Sotto. In “cattedra” Angelo Koyfalas, 35enne chef bergamasco (il papà è greco) che ha curato l’avvio del ristorante Del Vuoto a Milano, concept costruito sul sottovuoto e sulla cottura a bassa temperatura. Primi approcci al metodo a Stoccolma, quando non era ancora così diffuso, in Italia Koyfalas ha lavorato con Bartolini ed ora sviluppa macchine e tecniche per Valko, azienda di Bottanuco specializzata nelle attrezzature per la cottura sottovuoto. In cosa consiste la tecnica del sottovuoto? «Nel mettere un alimento in un sacchetto e nel togliere l’aria. Nella cottura la differenza fondamentale è che si passa dal concetto di tempo a quello di temperatura. Nelle ricette si trova solitamente scritto “cuocere per mezz’ora, un’ora...”, in questo caso invece l’indicazione non la dà il timer ma la sonda che misura la temperatura al cuore del prodotto». Quali sono i vantaggi? «Sono di tipo nutrizionale, di gusto ed economici. Il sottovuoto evita dispersioni di vitamine e sali minerali e questo conferisce un gusto più marcato. I vantaggi economici sono invece dati dal fatto che i prodotti si conservano più a lungo, togliendo l’aria infatti si elimina il fattore contaminazioni, mentre con le lunghe cotture si

pastorizzano gli alimenti, eliminando la maggior parte degli organismi patogeni». Significa modificare il proprio modo di cucinare? «È un metodo di cottura preciso, non ci si improvvisa, ma basta un corso per imparare. Ciò che viene rivoluzionata è l’organizzazione del lavoro. Lo stoccaggio, ad esempio, è semplificato perché si possono inserire nel medesimo frigo prodotti diversi, come carne, verdura o pesce senza che si contaminio. Si possono inoltre fare acquisti scaglionati e programmare di conseguenza le preparazioni. Un giorno ci si può dedicare al pesce, un

I cuochi

«Un aiuto per migliorare l’organizzazione»

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ottovuoto e cottura a bassa temperatura non sembrano più una pre-

Pierangelo Ghezzi

rogativa della ristorazione più raffinata (e magari un po’ pretenziosa), quanto


maggio 2016 un passo successivo di chi la ritiene altro alla carne. Si può approopportuna. È una scelta. Ad un ristofittare di offerte o fare scorta ratore siciliano che faceva cucina di certi prodotti, una volta cotti tradizionale, ad esempio, abbiamo gli alimenti potranno poi essere consegnato il macchina per il sottoutilizzati a seconda delle necesvuoto, ma non ci siamo sognati di sità». suggerigli anche l’attrezzatura per la Che effetto ha sui cibi la cottucottura, la sua cucina era già perfetta ra a bassa temperatura? così». «È più gentile e gli alimenti si Visto che i vantaggi sono così nudegradano meno. Si ottengono merosi, che cosa ostacola un magconsistenze e risultati qualitagiore utilizzo del sottovuoto? tivi inusuali, morbidezze e suc«Penso che sia più che altro una cosità alle quali non siamo abiquestione di mentalità o meglio di tuati, che non si raggiungono in pregiudizio. Si crede che gli alimenti altro modo. Da materie prime sottovuoto siano dei “semilavorati”, povere o banali, come il pollo, qualcosa di manipolato, ma basta il salmone, la punta di vitello conoscere la tecnica per sfatare quepossono nascere grandi piatti». sta credenza. C’è chi dice di non esPer quali piatti si presta di più? sere interessato perché lavora con il «Le verdure spesso regalano Il docente Angelo Koyfalas fresco, ma per un’ efficace conservaautentiche sorprese, ma anche zione una macchina per il sottovuoto le carni a lunga cottura e i pee un abbattitore dovrebbero esserci in ogni cucina». sci. Il brasato è un tipico esempio di come la cottura sotE in casa? Macchine per il sottovuoto e la cottura a bastovuoto possa fare la differenza. Nella cucina tradizionale sa temperatura stanno prendendo piede? si lavora ad alta temperatura e se non ci fosse la salsa la «Lo scoglio maggiore è che in Italia non si è così abituati carne si seccherebbe al punto da non poterla mangiare. ad utilizzare il termometro al cuore, mentre all’estero è Con la bassa temperatura, invece, la carne mantiene il suo una prassi più diffusa. Ma anche da noi si stanno vendenpregio, è succulenta di per sé. Si può preparare a parte do attrezzature per il sottovuoto e la previsione è che si una salsa come accompagnamento per rendere il piatto diffonderanno sempre più. Del resto la praticità è notevole, più gradevole». un aiuto per semplificare vite sempre di corsa. Si prepaA che punto è la diffusione di queste tecniche? rano diverse porzioni e basta rigenerarle al momento del «Come metodo di conservazione, il sottovuoto non è difconsumo». fuso su larga scala come dovrebbe essere. La cottura è

un’occasione per migliorare innanzitutto l’organizzazione in cucina, come confermano alcuni dei partecipanti al corso organizzato dall’Accademia del Gusto. «Uso già il sottovuoto per la conservazione dei prodotti cotti, in abbinamento all’abbattitore, come del resto prevedono le linee guida dell’Haccp», racconta Pierangelo Ghezzi, cuoco del ristorante Il Casale di Cologno al Serio, che propone cucina tradizionale. «È un sistema che offre tantissimi vantaggi: gusto, colore e proprietà dei cibi si mantengono meglio ed è un grande aiuto soprattutto se in cucina si è in pochi. Grazie a queste tecnologie posso preparare la linea e consumare i prodotti abbattuti e

stoccati». «Il corso lo frequento per saperne di più – afferma -, scoprire nuovi usi e possibilità. Al momento non ho il roner (la macchina che permette di cuocere a temperatura controllata ndr.), ma la previsione è di dedicarmi anche alle cotture a bassa temperatura». Anche Corrado Lanzeni e Rosa Marta, rispettivamente cuoco e patronne della trattoria pizzeria Officina 43 di Castel Rozzone, sono curiosi e attenti alle novità. «Credo che siano conoscenze utili per il proprio bagaglio professionale – dichiara Lanzeni -, mi piace tenermi aggiornato ed ho avuto modo di provare in alcune occasioni il sottovuoto e la cottura a bassa temperatura. Offre vantaggi

Corrado Lanzeni e Rosa Marta nell’organizzazione, può essere utile nei banchetti, per certe linee e poi i cibi vengono morbidi e tutti uguali nella cottura».

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L’itinerario di Lara Abrati

Castelli aperti, tavola imbandita Nella Bassa Bergamasca, otto palazzi e borghi storici spalancano le porte ai visitatori la prima domenica del mese. Per rendere la giornata più golosa abbiamo selezionato per voi i locali lungo il tracciato che meritano una sosta

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un’iniziativa di successo quella organizzata dallo Iat Bassa Bergamasca con l’aiuto delle Pro Loco. Una giornata al mese in cui otto castelli, palazzi e borghi - Brignano Gera d’Adda, Cologno al Serio, Malpaga, Martinengo, Pagazzano, Romano di Lombardia, Torre Pallavicina e Urgnano - aprono i battenti al pubblico, che si può facilmente immergere in epoche passate e apprezzare una programmazione ricca e variegata, con molti eventi collaterali. L’ultima data del calendario primaverile è fissata domenica 5

giugno, una bella occasione per passare una giornata diversa con gli amici o la famiglia, senza tralasciare il piacere di sedersi attorno a una buona tavola. Si può partire con Malpaga, nel comune di Cavernago, facilmente raggiungibile da Bergamo. Un bellissimo borgo antico, un luogo bucolico immerso nelle fertili campagne, diversamente da molti altri castelli e fortezze, costruite sulla cima delle colline. La figura che ha reso grande la struttura è quella di Bartolo-

meo Colleoni, che il 29 aprile 1456 acquistò il castello ormai in stato di abbandono dal Comune di Bergamo. Il condottiero vi si stabilì con la moglie, ospitando personaggi di grande calibro e importanza. Ora è di proprietà della Malpaga spa e l’obbiettivo è quello del far rivivere il borgo medievale, con attività economiche artigianali. Ecco che nel luglio del 2013 apre la “Locanda dei Nobili Viaggiatori”, il nome subito celebra gli importanti ospiti che Bartolomeo Colleoni accolse al castello. «Il ristorante è stato rica-


maggio 2016 vato in una struttura del 1400, nei locali adiacenti il castello - racconta Alice che, con il papà Bruno, gestisce il ristorante –. Lo stile è moderno, nordico, con la cucina a vista ed è proprio questo che crea un contrasto di gusto con la struttura antica, bello da vedere e da vivere». Alice lavora in sala e si occupa dell’accoglienza e dei servizi di banqueting, mentre Bruno è lo chef. «Tutte le nostre paste sono preparate in casa – continua Alice –, la nostra cucina è un mix tra la creatività di mio padre e la cucina tradizionale bergamasca. Mia nonna aveva un hotel a Castione della Presolana». Il consiglio è di assaggiare i piatti preparati a partire dalle materie prime locali: la polenta di Malpaga, preparata con la farina di mais prodotta dall’azienda agricola Malpaga, nei terreni del borgo, e i cappellacci dello chef ripieni di ricotta e Surfin dei Quattro Portoni con carciofi e ristretto di birra Orobia. I giorni di chiusura sono il lunedì e la domenica sera. Il ristorante è aperto in pausa pranzo. Il prezzo per una cena va dai 30 ai 45 euro. La Locanda dispone anche di cinque stanze, chiamate con i nomi dei nobili e in passato ospiti del castello. Se ci si sposta verso sud, lungo il corso del fiume Serio, si arriva a Martinengo, altro comune con un borgo storico fortificato che è stato denominato “castello”. Anche in questo caso Bartolomeo Colleoni fu un personaggio importante, infatti è attribuita a lui la paternità della grande torre a pianta quadrata. L’interno della torre è praticamente vuoto, fatta eccezione della parte basale di forma ovoidale che ospitava una ghiacciaia. La sosta golosa consigliata al ristorante “Tre Lanterne”, nato nel 1962 da Vincenzo Nozza e Anita Vecchiarelli. «Poi nel 1974 – ricorda Gianpietro Nozza, nipote di Vincenzo e attuale gestore – continuarono lo zio Giuseppe e la zia Marisa, con mio padre Angelo e mia madre Rita e poi sono arrivato io: la terza generazione. Il fascino del mondo culinario mi ha spinto a continuare con passione e dedizione questo mestiere proponendo nel mio ristorante una cucina mediterranea raffinata,

con l’aggiunta di prodotti bergamaschi. Serviamo inoltre pizze rigorosamente schiacciate preparate a partire da lievito madre, con la possibilità di scegliere tra un impasto classico, kamut e di avena con germe di grano». Il ristorante possiede un grande spazio esterno. «La portata per cui molti vengono nel

caratterizzata dalla rocca viscontea in centro al paese, composta da quattro torri e un cortile interno. Prima utilizzata solo come struttura di difesa, poi adibita a scopo abitativo, è molto suggestiva, soprattutto di sera, grazie all’illuminazione esterna. Nel cortile invece riemergono alcuni affreschi, mentre la

malpaga Locanda dei Nobili Viaggiatori

Alice e Bruno Ferrari

martinengo Tre Lanterne

Giampietro Nozza

nostro ristorante – svela Nozza – è il nostro piatto unico: gli spaghetti allo scoglio. Buoni e golosi!». La proposta è ben descritta nel vasto menù alla carta, in cui è possibile scegliere tra piatti ricercati a base di pesce oppure carne. Il prezzo medio, bevande escluse, si aggira attorno ai 35-40 euro. Proseguendo lungo la sponda est del fiume, si incontra Romano di Lombardia,

torre di sud-est porta la testimonianza del passaggio del Colleoni, che vi fece aprire una loggetta che conserva delle decorazioni geometriche realizzate ad affresco. Dopo la visita alla rocca, una tappa all’Hotel “Mariet” è d’obbligo. L’hotel e il ristorante si trovano nel centro storico di Romano di Lombardia. «L’insegna deriva dal soprannome della mia bisnonna,

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L’itinerario

la signora Mariet - spiega Andrea Giassi, attuale gestore – perché aveva vissuto come emigrante in Francia. Io sono arrivato qui dopo aver studiato alla scuola alberghiera e dopo alcuni anni di esperienza in giro per il mondo, lavorando come barman, poi in sala e in cucina. Per questo motivo, conoscendo bene tutto ciò che ruota attorno alla realtà ristorativa, coordino il ristorante dalla cucina alla sala». Il menù è basato sulla stagionalità delle materie prime e sull’utilizzo di alcuni prodotti considerati “fusion” come il miso, le alghe kombu, il mirin o il sake, senza però stravolgere

la grande tradizione culinaria Italiana. Molti i piatti in carta, tutti da assaggiare, ma il consiglio di Andrea è di non perdere la tartare di ricciola con avogado, cipolla rossa e pomodoro e, successivamente, l’insalata di astice al vapore e salsa citronette. È possibile farsi guidare dal menù degustazione di carne oppure pesce a 35 euro, compresi i vini in abbinamento. Mentre il prezzo medio di una cena alla carta è di 65-70 euro. Ora ci si sposta ai confini della provincia di Bergamo, per arrivare a Torre Pallavicina, una zona

romano di lombardia

Hotel Mariet

torre pallavicina

Trattoria dell’Angelo

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agricola limitrofa alla sponda ovest del fiume Oglio. Il paese possiede un piccolo gioiello architettonico: il Palazzo Barbò, tutt’ora di proprietà dei Conti Barbò, costruito in seguito alla Pace di Lodi del 1453 tra il Ducato di Milano e la Repubblica Veneta. Il Palazzo è inserito in un parco immenso costellato da alberi secolari, silenziosi testimoni della storia di questi posti. Visitando il palazzo è facile lasciarsi affascinare dai bellissimi soffitti a cassettoni, dai preziosi affreschi e dai camini in marmo sparsi nelle numerose stanze e nei saloni. La storia e la tradizione di questa zona è facile percepirla anche alla “Trattoria dell’Angelo”, aperta da prima del 1865 e sempre gestita dalla famiglia di Simonetta Consolandi, che oggi porta avanti l’attività con l’aiuto del marito Andrea Bonetti e del figlio Claudio, entrambi al lavoro in cucina. «Qui cucinavano i piatti caserecci della tradizione rurale come i ravioli, preparati abitualmente a Ferragosto - afferma Simonetta – oppure il lesso o la gallina bollita. È possibile assaggiare dei salumi nostrani locali, prodotti e selezionati da noi, così come i formaggi». Un posto sincero, una vera trattoria, in cui ritrovare i sapori di casa, con i bolliti e gli stufati che, nel periodo estivo, lasciano il posto a piatti come le carni alla brace. Simona consiglia di non perdere i ravioli, preparati rigorosamente in casa con il ripieno di stufato. Nulla a che vedere con i classici casoncelli. È una ricetta tramandata di generazione in generazione, più simile al raviolo mantovano. Il prezzo per un pasto va da 25 a 40 euro, in relazione alla scelta del vino. Ritornando verso il fiume Serio, oltrepassandolo e risalendo verso la città, si raggiunge Cologno al Serio, con il suo borgo antico ricco di fascino. Stradine strette da percorrere a piedi, vicoli e scorci. La fortezza è stata ricostruita nel 1200


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e attualmente è stata oggetto di un restauro conservativo. Il borgo antico è circondato dal fossato e dalle mura, dalle quattro torri e dalla rocca. Tutt’ora l’accesso avviene attraverso i quattro portoni, non più muniti com’è ovvio che sia dal ponte levatoio. Internamente il castello ha perso le caratteristiche originarie, convertito attualmente in una struttura residenziale. Cologno dista pochi chilometri dai castelli di Brignano Gera d’Adda e di Pagazzano, anch’essi tappe del circuito delle “giornate aperte”. Dopo le visite a questi siti, una tappa consigliata è il “Convento dei Neveri” di Bariano, un’altra struttura storica che da poco più di sei anni è diventata un ristorante molto particolare. «I tavoli – chiarisce la signora Antonella, proprietaria e gestrice – sono disposti nelle vecchie cellette dei frati, abbiamo celle da 2 a 8 posti. Inoltre, c’è un soppalco e vi sono altre sale per l’accoglienza dei nostri ospiti». L’offerta del ristorante è di due tipologie: “Il Braciere”, in cui vengono servite principalmente carni alla brace, ma anche bruschette, taglieri e piatti della tradizione, preparati con cura e ricercatezza. «Nel convento – dice Antonella - diversi decenni fa c’era una signora che si chiamava Ninì che aveva una trattoria. Abbiamo voluto richiamare questa cosa, offrendo una cucina simile a quella delle vecchie osterie e trattorie». Il prezzo di un menù va da 30 a 50 euro. “Il Ristorante” è caratterizzato invece da una cucina mediterranea che punta sulla stagionalità delle materie prime, sulle verdure fresche e su una proposta gastronomica orientata principalmente al pesce e ai prodotti ittici. Qui il prezzo è compreso tra 70 e 100 euro, con la possibilità di scegliere un menù degustazione da cinque portate a 60 euro e da sei portate a 75 euro. Infine, risalendo ancora verso Bergamo, si incontra Urgnano che ospita il Castello Albani, nato strategicamente all’incontro di due importanti vie di comunicazione: la strada “Francesca”, proveniente da Milano verso Brescia, e

cologno, brignano e pagazzano Convento dei Neveri, Bariano

URGNANO Il Frate

la strada “Cremasca”, che unisce Bergamo e Crema. Un castello a pianta quadra e con le tipiche quattro torri, costruito interamente in cotto come vuole la tradizione viscontea. Al suo interno è possibile visitare il cortile e il giardino pensile, che contiene nove statue nane caricaturali, tipiche del grottesco del Settecento. Sono molti gli eventi organizzati nella rocca. Per proseguire in bellezza, merita un pranzo o una cena il ristorante “Il Frate” di Urgnano: «È un ristorante storico ubicato nel centro del paese – esordisce Lorenza Sala – aperto dai miei genitori Elia e Mariuccia e io sto continuando questa attività. Mio padre

faceva il fornaio, quindi ha iniziato con la pizzeria. All’epoca non ce n’erano molte, poi negli anni Ottanta abbiamo ristrutturato in modo importante il locale ed è diventato solo ristorante. Siamo conosciuti perché proponiamo una cucina tradizionale piacentina, viste le nostre origini». Pane e focacce sono fatte in casa, ma anche le paste fresche tipiche della tradizione emiliana. Dove mangiare dei buoni Pisarei e fasò? Questo è il posto giusto! Il prezzo per un pasto è di 35–50 euro. Per le informazioni sui castelli e le iniziative in occasione delle aperture www.bassabergamascaorientale.it

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il prezzo fisso di Fulvio Facci Trattoria Baioni 45 via Baioni, 45 Bergamo tel. 035 4220033 chiuso il lunedi sera www.trattoriabaioni45.com

Baioni 45, elogio della trattoria

Dino Sartirani e Adriana Gadda

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na vita in trattoria. Probabilmente non poteva andare diversamente la storia di Dino Sartirani, 61 anni, originario di Ponte San Pietro, cresciuto nelle trattorie gestite dalle due nonne e dalla mamma e poi con ulteriori significative esperienze professionali tra le quali l’incarico di aprire due catene di ristoranti di cucina italiana in Israele, dove è stato, a più riprese, dal 1994 al 2007. Tornato in Italia ha diretto alcuni ristoranti sino a quando non si è presentata l’occasione per mettersi in proprio. Nel febbraio del 2014 Sartirani, con la socia Adriana Gadda, ha aperto in città la Trattoria Baioni 45, che si trova, appunto, al numero 45 di via Baioni, riavviando un’attività che negli anni precedenti era andata avanti alternando diverse fortune. «Il locale mi è piaciuto subito – racconta Dino – perché è della dimensione giusta per le nostre esigenze. Cinquanta coperti, e sinceramente preferisco anche quando non è strapieno, ti danno la possibilità di conoscere i clienti, di dialogare con loro e di presentare al meglio i piatti». Il locale è piacevole, accogliente nella sua semplicità. Dino si autodefinisce tuttofare e si destreggia in cucina, in sala e nell’addestramento del

LA PROVA

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Dino Sartirani ha un’idea ben precisa dell’atmosfera e della cucina del suo locale: piatti semplici, dialogo con i clienti e prezzi adeguati. «La nostra vocazione è il pesce, ma non mancano i classici della tradizione» Menù low cost anche a cena Un aspetto abbastanza inconsueto del menù a prezzo fisso tradizionalmente proposto per la pausa pranzo è che alla Trattoria Baioni 45 viene replicato alle stesse condizioni la sera. Una buona occasione quindi per soddisfare, senza eccessive pretese ma con gusto, le esigenze alimentari della cena con la modica spesa di dieci euro. Dieci euro che comprendono primo e secondo piatto, contorni, vino, acqua e caffè. E si tratta di piatti non banali. Tra i primi troviamo infatti i casoncelli alla bergamasca fatti in casa, gnocchi al pesto, tortellini al pomodoro, mezze penne alla montanara e i pressoché immancabili spaghetti al ragù. Ampia anche la scelta tra i secondi piatti: spiedini di carne mista, arrosti misti, hamburger di chianina, bistecca di manzo, coppa alla griglia, medaglioni ai porcini e magatello di manzo all’inglese. Ampia varietà di verdure cotte e crude per quanto riguarda i contorni. Per il primo seguiamo un po’ l’onda degli altri clienti che sembrano apprezzare i casoncelli alla bergamasca: scelta più che mai azzeccata perché sono realmente fatti in casa con una ricetta particolare e, non da ultimo, si tratta di una porzione abbondante. Anche per il secondo ci facciamo guidare dal flusso e andiamo con il gettonatissimo hamburger di chianina. Una proposta così, come abbiamo già detto, non sfigurerebbe nemmeno per una cenetta e quindi la valutazione è quella di un rapporto qualità prezzo tra i migliori.


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personale. «Lo diciamo chiaramente che la nostra vocazione è il pesce – prosegue - ma abbiamo anche una serie di piatti bergamaschi per i quali seguiamo le stagioni. Quindi lumache con polenta, rane, funghi porcini, stracotti e i vari ragù di cinghiale e capriolo senza dimenticare i nostri casoncelli per i quali seguo una ricetta della nonna». Molto comunicativo ed espressivo, il patron ha adottato una linea ben precisa nel locale, che vuole abbia la schiettezza della trattoria. Afferma che non è un posto per tutti, nel senso che chi vuol spendere molto, o comunque di più, per il pesce dovrebbe dirigersi verso altri ristoranti. «Facciamo dei ricarichi minimi sul pesce – spiega -, acquistiamo in pratica ogni giorno e i prezzi ci sembrano corretti visto che facciamo tutto con semplicità. La nostra cucina? Abbiamo spogliato la ristorazione classica di quanto non era fondamentale per farla diventare più essenziale e adeguata a una trattoria. “Come era una volta” è un po’ il mio motto anche se non manco di ricercare e sperimentare praticamente ogni giorno nuove soluzioni». E la scelta paga visto che Trattoria Baioni 45, oltre ad avere degli ottimi giudizi su Trip Advisor, si è vista pubblicare una recensione su un periodico di lingua inglese di Hong Kong. Il servizio era di una giornalista cinese che aveva pranzato in cinque ristoranti di Bergamo valutando la Trattoria il migliore. La carta è abbastanza ricca ma viene completata ogni giorno con un supplemento, secondo le disponibilità. Per quanto riguarda il pesce tengono comunque banco i menù a prezzo fisso, da 25 e 35 euro, che comprendono antipasto, primo, secondo e contorno. Solo vino e acqua sono extra e tenuto conto che c’è uno chardonnay della casa a 10 euro al litro si può veramente contenere la spesa. Il menù da 25 euro comprende impepata di cozze, capesante gratinate e insalata di piovra. Il primo è definito una calamarata risottata e si tratta di paccheri corti fatti in casa. Branzino o orata, un gamberone e calamari costituiscono il secondo piatto. Il menù da 35 varia solo per l’inserimento di tre crudité mediterranee tra gli antipasti.

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NEWS DAL 27 AL 29 MAGGIO

Birra artigianale, a San Pellegrino la vetrina dei produttori bergamaschi

Il calendario goloso di Parre

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rescono i birrifici artigianali della Bergamasca e cresce BeerGhèm, la rassegna che per prima ha scelto, sei anni fa, di portare i riflettori sulla produzione provinciale. L’appuntamento, organizzato dal birrificio Via Priula di San Pellegrino e dalla Compagnia del Luppolo, torna da venerdì 27 a domenica 29 maggio nel centro della cittadina termale. A disposizione ben 60 birre alla spina per un autentico tour tra le diverse espressioni dell’arte brassicola orobica. Saranno presenti i birrifici Endorama di Grassobbio, Elav di Comun Nuovo, Della Ghironda di Brusaporto, Del Lago di Sarnico, Adda di Brembate, Hopskin di Curno, Birra Orobia di Gorle, Birrificio Lemine di Almenno San Salvatore, Otus di Seriate, ARBrewing di Albino, Hammer di Villa d’Adda, Kaos di Grumello, oltre ai padroni di casa del Via Priula. Per accedere alle degustazioni basta munirsi del bicchiere e acquistare i gettoni da spendere alle spine preferite. È attivo anche un servizio di ristorazione, curato da Pier Milesi del ristorante Bigio, mentre al beershop si potranno comprare le birre in bottiglia dei birrifici presenti. La manifestazione è aperta dalle 18 alle 24 il venerdì e dalle 11 alle 24 il sabato e la domenica.

IL 22 MAGGIO

“Profumi di Collina”, camminata gastronomica nell’Alto Sebino

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l percorso a piedi è di 14 chilometri, ma la fatica promette di essere ripagata dalla bellezza dei paesaggi e dai piaceri della tavola. Domenica 22 maggio è in programma la decima edizione di "Profumi di Collina", la camminata enogastronomica nell'Alto Sebino, organizzata dalla Pro Loco La Collina che coordina le iniziative dei comuni di Solto Collina, Fonteno e Riva di Solto. Si parte alle 9 dall'oratorio San Giovanni Bosco di Solto Collina e in cinque tappe si attraversa il territorio e si degustano le specialità locali. La prima sosta è a base di tisane dell'azienda agricola L'Asino del Lago e di miele dell'apicoltura Morandini. Per antipasto salame, coppa e pancetta di produzione artigianale con bocconcino del lago, mentre la pasta ai tre sapori sarà il primo piatto e per secondo saranno serviti stracceti di carne «de Fonte'» con polenta o formaggella e stracchino del Monte Bronzone. L'arrivo è previsto dalle 15 e ci si potrà ritemprare con frutta di stagione e il dolce di Solforino, mentre i bambini potranno cimentarsi in una cavalcata a dorso di asino. Per chi proprio non ce la fa è a disposizione una navetta per le tappe intermedie. Il costo di partecipazione è di 20 euro dai 15 anni in su, 5 euro per i bambini da 6 a 11 anni, 10 euro per i ragazzi dai 12 ai 14 anni. Sono compresi acqua e vini locali. www.prolocolacollina.it

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on è solo la patria degli Scarpinòcc. Quanto a iniziative golose, Parre non si fa mancare nulla. Ha da poco riportato in auge una ricetta delle nonne con la sagra degli Gnoch in còla, gnocchi al cucchiaio fatti solo con acqua e farina e conditi con abbondanti burro, salvia e formaggio, e si appresta ad organizzare, il 21 maggio, “Parbacco”, rassegna gastronomica nel cuore dell’antico Borgo del Ducato di Parre Sotto, proprio all’ingresso del paese, durante la quale i ristoranti propongo piatti speciali abbinati a vini da tutta Italia appositamente selezionati, dall’aperitivo al dolce. Il 25 e 26 giugno sarà la volta invece di “Sapori e Tradizioni” un percorso storico-culturale tra le vie e i cortili più caratteristici di “Parre Sopra” che fa rivivere i costumi tipici del paese. Gli abitanti in abbigliamento tradizionale mostreranno i lavori di una volta e daranno luogo ad una ricostruzione di come appariva la vita quotidiana cento anni fa. Il tutto accompagnato da degustazioni e vendita di prodotti tipici bergamaschi e menù nei locali convenzionati. L’attesa sagra degli Scarpinòcc si terrà invece dal 19 al 21 agosto e sarà la 51esima edizione. www.prolocoparre.com


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LA NOVITÀ

Albino ha il suo dolce: i casoncelli del Moroni

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Li ha chiamati “Moroncelli”, Alice Piccinini, vincitrice del concorso dedicato al pittore. Si ispirano alla tradizionale pasta ripiena ma hanno il cuore di ricotta, amaretti e cioccolato fondente entre Bergamo celebra i 630 anni del casoncello, ad Albino nasce la versione dolce della celebre pasta ripiena e diventa il simbolo gastronomico della città. Sono stati infatti i “Moroncelli”, ideati da Alice Piccinini, a vincere il concorso “Un dolce per il Moroni”, promosso dall’associazione Percorsi Albinesi nell’ambito delle iniziative legate alla figura del pittore concittadino e al suo territorio, organizzate in occasione del ritorno a Bergamo del “Sarto”, il celebre dipinto della National Gallery di Londra. Alice Piccinini Il piatto della 28enne albinese, assistente educatrice, ha ricevuto il maggior numero di voti dalla giuria popolare costituita dai partecipanti alla cena rinascimentale servita lo scorso 23 aprile nello storico complesso dell’ex convento della Ripa, a Desenzano di Albino, momento conclusivo della competizione che ha visto in gara ben 27 proposte. Il dolce è stato assaggiato e valutato dai commensali insieme alle altre due ricette finaliste selezionate dalla giuria tecnica, ossia i Brownies con farina di mais, mele della Valbrembana e noci, proposti da Helga Moroni, e la frolla di castagne ripiena di noci e fichi secchi di Fabio Bulandi, a comporre un podio tutto albinese. I Moroncelli sono casoncelli con un ripieno di ricotta, amaretti, cioccolato fondente, aromatizzato con arancia e peperoncino, da bollire e servire caldi passati in una salsa di arancia (a richiamare il burro fuso del primo piatto) e guarniti con fragole a cubetti (la pancetta) e foglie di menta (la salvia). Per la cena sono stati realizzati

in pasta brisé sottolineando la versatilità della ricetta, che ora l’associazione mette a disposizione delle panetterie, pasticcerie, ristoranti e bar che la vogliano adottare come omaggio al territorio e ad un suo illustre esponente. Il concorso, rivolto ai pasticcieri amatoriali della Bergamasca, poneva come requisiti principali semplicità, facilità di reperimento delle materie prime e attenzione alla loro origine. «Cercavo qualcosa che rappresentasse la tradizione – racconta Alice Piccinini – e cosa c’è di più tradizionale dei casoncelli? È un piatto che ci lega tutti. Sono orgogliosa che sia stato scelto e che ora sia a disposizione di chi lo vuole realizzare, così la ricetta potrà solo migliorare». Il premio, di 300 euro, è stato offerto dall’Aspan, l’associazione dei panificatori della provincia di Bergamo che ha anche dato la possibilità ai tre finalisti di mettere a punto le proprie creazioni in un laboratorio professionale, affiancati da Ivan Morosini, presidente della giuria tecnica e pluripremiato in competizioni di panificazione e pasticceria, che ha realizzato i tre dolci serviti alla cena.

Le altre due ricette finaliste, frolla di castagne e Brownies con farina di mais

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sapori ed eventi di Rosanna Scardi

“Itaka”, l’isola del gusto è a Stezzano

Takis e Nikos, amici d’infanzia originari di Atene, propongono specialità greche come il gyros, la moussaka, la feta o lo yogurt. Le materie prime? Arrivano dalla madre patria

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l ristorante greco “Itaka, l’isola del gusto”, alle “Due Torri” di Stezzano, è l’unico nella Bergamasca di una catena in franchising che conta altri due punti affiliati a Biella, uno a Milano e uno a Vigevano. L’atmosfera ellenica la si respira già dai colori degli arredi, azzurri e bianchi, come quelli della bandiera. I titolari sono Takis Nikolakeas e Nikos Papalitheiou, amici d’infanzia, originari di Atene, arrivati in Italia fin dai primi anni Ottanta. I due soci importano in via

esclusiva dal Paese d’origine i prodotti, che giungono via mare, con l’unica eccezione di frutta e verdura. «Proponiamo specialità famose, conosciute da chi è stato da noi in vacanza oppure capaci di conquistare al semplice assaggio i palati dei più perplessi - spiega Nikolakeas -. Ma guai a definirci un fast food. Serviamo in modo veloce e a un prezzo contenuto un cibo preparato in modo artigianale. Non friggiamo nulla, anche le patate sono cotte al

Il risotto “solidale” degli avvocati bergamaschi In sei si sono sfidati all’Isb in una gara gastronomica promossa dall’Associazione Provinciale Forense con il patrocinio del Club dei Buongustai di Bergamo. Ecco come è andata

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all’arte oratoria all’arte culinaria. È un salto deciso quello che una mezza dozzina di avvocati bergamaschi ha compiuto lo scorso 15 aprile aderendo alla gara gastronomica promossa dall’Associazione Provinciale Forense

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(presieduta da Franco Uggetti) con il patrocinio del Club dei Buongustai di Bergamo. Smesse le toghe, indossate le parannanze, i legali hanno sfoderato la passione per i fornelli e si sono sfidati in una competizione che ha dato spazio


maggio 2016 forno. Non offriamo pietanze piccanti, né troppo speziate e la nostra pita contiene poco lievito, in modo da essere digerita anche dagli intolleranti». Il principe della tavola greca è il gyros, spesso venduto nei chioschi della capitale, a base di carne di maiale, o pollo, cotta allo spiedo rotante, servito al piatto o arrotolato dentro la pita, una sorta di focaccina condita con salsa tzaziki, insalata, cipolla e pomodoro. La specialità, considerata tra i piatti tipici più famosi al mondo, è la moussaka, uno sformato a base di melanzane, patate, ragù e besciamella. Altro alimento tipico è la feta, un formaggio di capra, leggermente granuloso. «È il latticino più magro e dal maggior contenuto proteico che esista nella dieta mediterranea, per questo è adatto a chi pratica sport», precisa Takis. A riscuotere maggiore successo negli ultimi tempi è lo yogurt greco, al naturale o cosparso di miele e noci, dalla consistenza cremosa e dai tanti benefici nutrizionali. Prodotto con latte, panna e fermenti lattici, non contiene conservanti. «Da un paio d’anni è stato introdotto nelle mense scolastiche di New York per le sue proprietà: pochi grassi, tante proteine e sali minerali lo rendono un cibo prezioso», spiega Nikos, che ha studiato da chef in Italia e suggerisce i dolci: il baklava, strati di pasta fillo con noci e mandorle, bagnati con lo sciroppo, spolverati con mandorle caramellate e accompagnati da una crema fredda a base di latte, panna e caramello. E il kataifi, sfoglia a nido con mandorle, porzionata a rondelle e farcita con panna, cannella e zucchero a velo. Per essere informati sulle novità e le offerte presto sarà attiva la app Itaka.

al gusto ma anche al cuore, giacché l’evento aveva come finalità la raccolta fondi a favore dell’Associazione Aiuto Donna Onlus guidata da Oliana Maccarini. Teatro della manifestazione, le cucine e le sale dell’Isb di Torre Boldone messe gentilmente a disposizione dalla preside Gabriella Savoldi. Qui – sotto l’abile regia dell’avvocato Ernesto Tucci, presidente dei Buongustai – la gara si è sviluppata con un tema conduttore: il riso.

Mentre, infatti, gli allievi dell’Istituto Alberghiero hanno preparato gli antipasti e i dolci, i sei avvocati in gara si sono cimentati col cereale, preparando altrettante ricette al vaglio della giuria tecnica formata da esperti del settore: oltre alla preside Gabriella Savoldi, tre giornalisti, il presidente dei cuochi bergamaschi, Roberto Benussi, i vicepresidenti del Club dei Buongustai di Bergamo, Ezio Ruggeri e Paolo Fuzier, e Oliana Maccarini. In sequenza, ai tavoli sono arrivate le proposte di Roberto Mazzariol (risotto cremoso con asparagi e grana), Leonilde Gagliardini (riso venere con

seppioline al sapore d’Oriente), Maria Cristina Ghilardi (risotto con gorgonzola e pere caramellate), Ernesto Nicola Tucci (risotto con salsiccia e carciofi), Ernesto Tucci (risotto alla milanese con arrosto e barba di frate) e Michele Torri (risotto alla milanese con cotoletta). A tutti è andato un diploma di benemerenza rilasciato dal Club dei Buongustai, ma a spuntarla, secondo il verdetto della giuria, è stato il piatto preparato da Leonilde Gagliardini. Suo il piatto che ha maggiormente convinto, sia per la presentazione che per il gusto. A pari merito le altre cinque proposte.

La vincitrice Leonide Gagliardini

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Pagine di

Gola

a cura di Roberta Martinelli

Quante volte ci è capitato di preparare dei piatti o dei dolci e di aver notato che i nostri bambini sono lì che ci osservano e muoiono dalla voglia di provare a metter le loro manine “in pasta”? Abbiamo selezionato per voi un piccolo elenco di libri molto belli, per condividere momenti narrativi con loro e per avvicinarli alla cucina con creatività e in forma di gioco.

Le regole della cucina scritte da nonno e nipote Un simpatico abbecedario, adatto ai bambini e ragazzi che si vogliono avvicinare alla cucina ma anche un regalo utile a tutti coloro che non sanno farsi nemmeno un uovo al tegamino. L’ha scritto e sperimentato Corrado Trevisan, fra i fondatori di Slow Food, con la nipote Zoe. Un modo divertente per imparare e reimparare le regole basilari della cucina. Dai 7 anni. Corrado Trevisan e Zoe Bertotti

ABC di cucina per bambini 80 pagine - Pacini Fazzi

I dolci più golosi li faccio da me Un ricettario e insieme una raccolta di esperienze vissute da cinque immaginari piccoli personaggi, che solletica la fantasia dei bambini e insegna con un linguaggio semplice e immagini colorate alcune facili ricette di dolci per le diverse occasioni di festa. Per plasmare, creare, inventare ciò che piace agli occhi e alla pancia. Dai 7 anni. Raffaella Cannone

Il piccolo pasticciere 72 pagine - Progedit

L’educazione del palato comincia da bambini Troppo spesso nella testa dei ragazzi l’idea di “cibo buono” è associata a patatine fritte, merendine confezionate, alimenti dolcificati o zuccherati. Questo libro aiuta i genitori a coinvolgere i propri figli in un gioco alimentare che educa il loro palato ai sapori veri attraverso giochi, esperimenti, sorprese. Si parte da una giornata alimentare tipo (colazione, pranzo, cena, spuntini) per inventare menù e ricette rigorosamente salutari, che non prevedano dunque zucchero raffinato, farine bianche, edulcoranti artificiali, additivi, grassi idrogenati. Lyda Bottino e Luca Speciani

Giocando in cucina 230 pagine - Tecniche Nuove

Tante idee per piccoli coltivatori Realizzare una spirale delle erbe aromatiche e un giardino per le farfalle, ma anche sperimentare l’importanza del riciclo costruendo una serra con bottiglie di plastica e costruire un orto a misura di bambino. Con più di 40 attività didattiche questa guida pratica permette di imparare, giocare e coltivare semi, ortaggi ed erbe aromatiche. Un manuale per insegnanti, educatori, genitori e nonni, ricco di attività ludiche e didattiche per ogni fascia d’età, dai più piccolini agli adolescenti. Serena Bonura

L’orto dei bimbi 162 pagine - Terra Nuova Edizioni

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