Anno XVII n.2 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
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la buona tavola raccontata da
Bar, occhio ai conti
Beltrami (Ascom): «Se molti locali chiudono è perché non hanno una gestione attenta dei costi»
La cucina sana di Marco Bianchi giovedĂŹ 8 giugno dalle 20 alle 23
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SOMMARIO XVII n.2
maggio - giugno 2017
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18 4 l’approfondimento
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«Se i bar chiudono è anche perché non sanno fare i conti»
formazione
“Vorrei fare il pizzaiolo”, quando un corso ti cambia la vita
11 LA GUIDA
Un fior di tavola!
16 gestione
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Illuminazione, con l’Ascom locale più bello e risparmioso
18 IL personaggio
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Val del Fich, i formaggi da premio della “Giamburrasca” dei caprini
20 FOOD & beverage
Nasce la rete d’impresa bergamasca dedicata all’export
22 Lo chef
Da Ponteranica alla corte del tristellato Goossens
24 FOCUS
Le chef stellate brillano in cucina, meno sui media
32 tradizionI
Alle origini della polenta e osei
36 il punto
Legge sulle sagre, a Bergamo si sono mossi 70 Comuni
Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo, 137- 24125 Bergamo - tel. 035 4120322 - fax 035 231082 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Borgo Palazzo, 137- 24125 Bergamo - tel. 035 4120280 - fax 035 231082 - info@larassegna.it - N° ROC 5847 - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Roberta Martinelli, Fabrizio Pirola, Rosanna Scardi, Gualtiero Spotti - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
l’approfondimento di Roberta Martinelli
L’analisi sul settore di Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo caffè bar dell’Ascom, è chiara: «Per stare sul mercato non basta saper fare il caffè, bisogna avere una gestione attenta». «Un pranzo di lavoro a 6,70 euro è impossibile da sostenere. E sul prezzo dell’espresso si può osare un po’ di più»
«Se i bar chiudono è anche perché non sanno fare i conti»
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uoi avere un locale di successo? La prima regola è saper fare bene i conti. È il mantra di Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo caffè bar dell'Ascom di Bergamo dal 2009 e titolare del bar Centrale a Lovere, insegna sempre sulla cresta dell'onda. L'abbiamo intervistato per capire quali sono oggi le difficoltà e le opportunità nel settore dei pubblici esercizi. «Sul mercato ci sono troppe attività, quindi la concorrenza è terribilmente elevata - esordisce -. In molti casi, direi nella stragrande maggioranza, ci sono gestori che applicano prezzi che non sono remunerativi. Ma scendere sotto certe soglie porta inevitabilmente alla chiusura. Proporre, come ho visto fare, un pranzo di lavoro a 6,70 euro per un primo, secondo, acqua, un quarto di vino e caffè significa vendere sotto costo. È un'offerta impossibile da sostenere. Bisogna saper fare i conti e capire i costi, sennò l'attività non ha futuro». Un tempo nella nostra provincia c'era il listino dei prezzi, meglio allora? «Fino al 2002 all'interno del Gruppo caffè bar Ascom Giorgio Beltrami (foto Luca Patelli)
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I 10 consigli di Ascom per chi vuole aprire un bar Per chi vuole avviare un bar ci sono alcune regole che si rivelano preziose per non sbagliare. Per Ascom Bergamo Confcommercio sono dieci. Eccole.
1. AVERE UN’IDEA PRECISA Chiedersi che tipo di bar si vuole aprire. Avere, cioè, un progetto ben chiaro in testa.
2. CAPIRE SE è SOSTENIBILE Creare un business plan facendo una precisa valutazione dei costi necessari per avviare e gestire l’attività (affitto, acqua, luce, gas, dipendenti, acquisto delle merci, imposte Tasi e Tari) e dei volumi di fatturato che si dovranno realizzare per ricavare uno stipendio. Attenzione: se il locale non è pronto, o bisogna pagare l’attività al proprietario, l’investimento iniziale può aumentare in modo considerevole. >> segue a pagina 6
c'era una commissione che decideva i prezzi da applicare ed entro un mese i locali si adeguavano ai valori indicati. Poi il Governo ha vietato di stilare il listino prezzi sostenendo che in quel modo si faceva cartello. I gestori hanno cominciato a farsi concorrenza abbassando il prezzo. È una strategia senza futuro: non è sostenibile nel tempo e rovina il mercato e l'immagine della categoria». Ci sta dicendo che molti baristi non fanno bene i conti? «Le faccio un esempio classico: una macchina del caffè di buon livello a tre gruppi costa circa 7mila euro. Per ripagare le macchine in comodato d'uso, di abitudine, i torrefattori caricano il caffè di 8/10 euro al chilo. Considerato che una macchina del caffè ha una vita di circa cinque anni, se si fanno i conti, si capisce facilmente che la si paga almeno tre volte e che è più economico comprarla, eppure molti scelgono di non farlo. Se si hanno problemi di liquidità, basta rivolgersi ai canali che favoriscono la concessione del credito come Fogalco. Si può prendere un appuntamento agli uffici di Bergamo e insieme si determina il tasso di interesse. Per stare sul mercato non basta fare un buon caffè o un buon cappuccino, bisogna avere una gestione attenta». C'è un modo per calcolare i pezzi giusti? «è indispensabile avere nozioni di contabilità. L’assistenza del commercialista non è sufficiente. All’Accademia del Gusto di Osio Sotto si possono frequentare corsi di alto livello che danno una preparazione manageriale e insegnano a gestire in modo corretto l’attività. Io ho una mia
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l’approfondimento
10 consigli 3. SCEGLIERE LA LOCATION GIUSTA
formula personale. Faccio la somma di tutte le spese generali del locale, senza gli acquisti. Poi faccio la somma delle spese degli acquisti. Quindi divido la spesa acquisti per le spese generali e ottengo un coefficiente. Dalla fattura verifico il costo di acquisto della bottiglia. Moltiplico questo costo per il coefficiente e ottengo il mio costo reale della bottiglia. Se risulta ad esempio 29 euro, significa che se la vendo a 30 euro, guadagno 1 euro». Quanto conta la formazione? «Continua ad essere la maggiore arma per restare sul mercato. Non ci si può improvvisare in questo mestiere. È importante che chi si affaccia al settore sappia esattamente cosa deve affrontare in ogni aspetto gestionale, dai rapporti con i fornitori alla selezione dei prodotti, dal servizio all’amministrazione contabile. Allo stesso tempo farlo da vent'anni non è un buon motivo per non aggiornarsi. C'è sempre spazio per migliorare e crescere» Qual è l’errore più frequente tra i baristi? «Molti sono convinti che basta aprire un bar per guadagnare. Nell'arco di un paio d'anni chiudono. Bisogna fidelizzare la clientela e per farlo non basta offrire la coca cola, occorre dare un prodotto proprio, che può essere un tipo di panino, di farcitura, oppure un cocktail, un gelato. Proporre qualcosa di speciale che porti il cliente a venire nel nostro bar». Il suo locale non solo ha saputo resistere alla crisi ma negli ultimi anni è
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addirittura cresciuto. Quali doti bisogna avere per fare questo mestiere? «Non può mancare la capacità lavorativa. Io ho 71 anni e sono al bar 1314 ore tutti i giorni. Nella categoria vedo che manca la costanza. Molti partono entusiasti e poi quando si presentano le difficoltà non lottano, mollano». I contratti di affitto di azienda in questo senso non aiutano... «Purtroppo negli ultimi anni si è diffuso questo tipo di contratto: ha il vantaggio che quando si entra non si paga ma quando si esce non si prende niente. Chi sceglie questo tipo di soluzione di solito appena non quadra qualcosa rinuncia. Se invece si investe nella licenza d'azienda prima di mollare si lotta. In genere, poi, il proprietario dei muri e degli arredi difficilmente investe nell'attività quindi nel tempo il locale invecchia. Oggi invece è estremamente importante rinnovare gli ambienti, in questo modo si fidelizza la clientela». Che consiglio darebbe ai baristi che si trovano in difficoltà? «Di tenere duro. Se non lavoro devo chiedermi perché, andare dai colleghi che lavorano, vedere cosa fanno e riproporlo. La professionalità paga sempre». Il costo del caffè è giusto? C’è spazio per rivedere le politiche di prezzo nei bar? «Gli autogrill sanno fare bene i conti. Già da anni hanno abbattuto la barriera dell'euro. Il caffè è sempre stato equiparato al giornale. Oggi il quotidiano costa 1,30 e il caffè
Valutare bene il proprio business e analizzare con attenzione la zona dove si vuole aprire. Fondamentale che ci sia passaggio e nelle vicinanze ci siano negozi o uffici (meglio entrambi) e comunque luoghi di interesse. Se si sceglie una posizione super trafficata, la possibilità di fare incassi è più alta, ma anche le spese da sostenere lo saranno; se si opta per aprire in un piccolo paese i ricavi potenziali si riducono, ma si riducono anche i competitor e i costi fissi.
4. DIFFERENZIARSI DALLA CONCORRENZA Aprire un bar originale, diverso dalle altre attività esistenti e in grado di rivolgersi a una clientela specifica. Bisogna conoscere l’offerta dei concorrenti e il loro giro d’affari, quindi chiedersi cosa si possa offrire in più ai clienti. Attenzione: sono da considerare concorrenti anche supermercati, panetterie, pizzerie al taglio, take away.
5. TARGET E OFFERTA SU MISURA Impostare l’attività pensando a una specifica categoria di clienti e offrire una soluzione mirata ai loro bisogni.
6. cURARE LA COLAZIONE Proporre caffè e brioche di qualità. I costi sono più alti, ma chi ha ottime colazioni di solito lavora e il passaparola vola.
7. OCCHIO A VETRINA E INSEGNA Il cliente che passa deve capire all’istante che lì c’è un bar e che tipo di bar è.
8. fare dell’accoglienza un’arte Selezionare con attenzione i collaboratori, anche in base al modo in cui interagiscono con i clienti. Il cliente non vuole solo il caffè, si
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Per un espresso perfetto c’è la regola delle 5 M È dimostrato, offrire una buona colazione, e in primis un ottimo caffè, è il passepartout per conquistare una clientela fidelizzata. Ma quali segreti stanno dietro a un grande espresso? Giorgio Beltrami lo spiega in ogni dettaglio nei corsi per baristi proposti dall’Accademia del Gusto con la "regola delle 5 M": miscela, macinatura, macchina del caffè, manutenzione, mano. La partenza è utilizzare una miscela di qualità. Il secondo passaggio importante è fare una macinatura corretta che rispetti e segua il clima: in una giornata di pioggia, ad esempio, deve essere più sottile. Anche la scelta della macchina conta, ma ancora di più conta la sua manutenzione: ogni sera bisogna investire una ventina di minuti nella pulizia. È imprescindibile poi l’uso del depuratore per scacciare il nemico principale di un buon caffè: il calcare. La macchina non va mai spenta: si accende quando si compra e si spegne a fine carriera. La mano del barman, infine, conta moltissimo, almeno quanto la sua passione e sensibilità.
aspetta di lasciare fuori i problemi e di avere cinque minuti di relax. Se si rende piacevole questa pausa, il cliente, con molta probabilità, tornerà. È l’Abc della fidelizzazione.
9. AVERE UNA GESTIONE ATTENTA Fare massima attenzione alle spese e accantonare parte del cassetto per pagare i costi dell’attività e le tasse. Controllare il numero di scontrini emessi, i flussi di cassa, quali prodotti si vendono di più, su quali c’è più margine e in quale momento della giornata ci sono più clienti così da gestire il personale in modo flessibile e mirato.
10. FARSI CONOSCERE ATTRAVERSO I SOCIAL NETWORK Scegliere il social più usato (Facebook) o quello che, sulla carta, risulta il più utilizzato dal target di clientela a cui ci si rivolge. Attenzione, la pagina va tenuta aggiornata e questo richiede tempo. Regola fondamentale: alle eventuali critiche virtuali si risponde sempre e in modo educato.
ancora un euro: abbiamo perso il 30% degli utili». Crede che i clienti capirebbero l'aumento? «Io vendo il caffè a 1,10 euro da tempo e quando sono passato al nuovo prezzo non ho avuto un calo dei consumi, anzi le vendite sono addirittura leggermente aumentate. Forse i clienti hanno notato la differenza tra un caffè e l'altro». Quindi aumento sì, ma solo se il caffè è molto buono? «Alcuni gestori vanno negli ipermercati ad acquistare caffè da 7/8 euro al chilo. È una follia. Bisogna puntare alla qualità, al di là della congiuntura economica. C'è ancora gente dispo-
sta a spendere per averla. Si pensa che ridurre il prezzo ti porti più clienti ma non è assolutamente vero. Conosco un barista che ha proposto la colazione a 1,30 euro quando tutti sanno che il prezzo è di 2,30/2,40 euro. La sua fortuna è stata che l'offerta non ha funzionato! Bisogna capire che più si applicano prezzi stracciati e più si perde, così come bisogna comprendere che i soldi che ogni sera si trovano nel cassetto vanno accantonati per spese e tasse». Cosa pensa dell'arrivo di Starbucks? «Non credo che porterà alcun tipo di problemi. L'Italia è legata al caffè espresso. C'è spazio per tutti. L'importante è fare un buon caffè».
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formazione di Laura Bernardi Locatelli
“Vorrei fare il pizzaiolo”, quando un corso ti cambia la vita Dopo aver frequentato l’Accademia del Gusto, molti sono riusciti a reinventarsi un lavoro, anche all’estero. Ecco alcune storie di chi ce l’ha fatta, raccolte tra i 500 formati alla scuola di cucina dell’Ascom
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è chi decide di cambiare vita, chi è costretto ad inventarsi un lavoro e chi semplicemente vuole apprendere l’arte e metterla da parte per quando potrà realizzare il suo sogno imprenditoriale. Il corso “Vorrei fare il pizzaiolo” ha accompagnato l’Accademia del Gusto di Osio Sotto sin dalla sua nascita ed è tra i più gettonati, complice anche il fatto che a salire in cattedra ci sia un maestro indiscusso come Tiziano Casillo, che rimbalza come una trottola da un angolo all’altro del globo, conteso a livello internazionale. Anche se capita a volte che sia il mondo a venire ad Osio Sotto, come quando una classe di pizzaioli arrivò da Taiwan, nel 2015, per seguire un corso intensivo di Pizza Art. Il corso è davvero trasversale per età e nazionalità e vede a fianco di Casillo Oxana Bokta, che oltre a svolgere il ruolo di assistente dei docenti in Accademia vanta una specializzazione nelle tecniche dei lievitati. «La soddisfazione più grande per noi è vedere tanti corsisti realizzare il sogno di aprire una pizzeria o diventare ottimi pizzaioli» spiega Daniela Nezosi, direttrice dell’Accademia del Gusto. In 13 anni, al ritmo di tre edizioni l’anno, il corso - che in 40 ore garantisce una full-immersion dalle tecniche di impasto alla scelta delle materie prime, al bilanciamento del topping - ha sfornato ben 500 pizzaioli. Se non manca chi ha deciso di rinunciare ad un mestiere che comunque impone grandi sacrifici, la maggior parte dei corsisti non si è arresa alle prime difficoltà ed è riuscita con successo a trovare lavoro o a mettersi in proprio, anche dopo gli “anta”. Ecco alcune “storie di pizza” da raccontare. Tiziano Casillo
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“Del Vicolo” di Scanzo, da disoccupata a pizzaiola provetta insieme alla figlia
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milia Persico si è ritrovata all’improvviso disoccupata nel 2006, a 44 anni e con due figli, dopo aver lavorato una vita come impiegata amministrativa. «Ho cercato quindi di seguire la mia passione per la cucina, che mi accompagna da sempre, da quando da ragazzina lavoravo d’estate in alberghi e ristoranti. Così ho trovato lavoro la sera in un ristorante-pizzeria, finché mi sono ritrovata per un imprevisto a sostituire il pizzaiolo. Io non amo l’improvvisazione, così mi sono iscritta al corso dell’Accademia del Gusto e sono stata catapultata in un mondo di grammature, lievitazioni e tecniche di impasto». Dopo il corso non esita a investire liquidazione e risparmi nella sua pizzeria d’asporto “Del Vicolo” di Scanzorosciate: «Quando lavoravo in azienda passavo ogni giorno davanti a questo negozio in pieno centro con la saracinesca abbassata. Così ho chiuso in fretta il contratto» spiega Emilia Persico, che abita a Nembro. La pizzeria ha anche una saletta con una ventina di posti a sedere per gustare pizze tradizionali e gourmet appena sfornate, come quella con Moscato di Scanzo o le più ricercate con tartufo, porcini e misticanza. Con la sua passione ha contaElena e la mamma Emilia giato anche sua figlia Elena, laureata in Lingue e Letterature straniere, che vanta la partecipazione ai campionati europei di pizzeria e all’edizione Pizza in Rosa di Rimini. È un locale al femminile: «Purtroppo c’è ancora l’idea che il pizzaiolo debba essere un uomo e capita ancora che qualcuno rimanga sorpreso nel vedere due donne a infornare e sfornare». Il sogno nel cassetto è quello di aprire una pizzeria nel Nord Europa, confessa Emilia Persico, che però aggiunge con molta concretezza: «Per ora ci concentriamo sulla nostra attività che in questi 10 anni ci ha dato grandi soddisfazioni».
Da Osio alle Canarie con le migliori pizze di Maspalomas
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ario Gritti ha gestito per più di dieci anni il “Bar da Mario” di Osio Sotto, finché la crisi ha messo a dura prova l’attività e ha deciso di iscriversi al corso Ascom con il sogno di aprire un bar-pizzeria d’asporto alle Canarie.
«Rimettersi in gioco a 50 anni non è facile, ma grazie al corso dell’Accademia del Gusto e ai preziosi consigli di Tiziano Casillo e Oxana Bokta sento di aver davvero imparato un mestiere. Mario Gritti con moglie e figlia Con molti colleghi del corso ci scambiamo ancora oggi consigli sulle farine, sugli impasti e su altri piccoli dettagli che però fanno sempre la differenza». Il tempo di trasferire la sua numerosa famiglia, che conta ben quattro figli - Elena, Alessandra, Matteo e Valentina -, alle Canarie e ambientarsi e Gritti ha aperto con la moglie Eliana un ristorante pizzeria a Maspalomas, Las Palmas, dal nome “Pasion Loca”. «Mia moglie si occupa della cucina, io della pizzeria e mia figlia Elena cura il servizio in sala, mentre gli altri figli sono ancora impegnati negli studi e la più piccola va all’asilo». Le soddisfazioni non mancano: «Il nostro locale è apprezzato e per me non c’è gratificazione maggiore che ricevere i complimenti per la pizza, valutata tra le migliori della cittadina».
Nembro, al “Forno 89” la passione è più forte dell’allergia
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a passione per la pizza è stata più forte dell’allergia agli acari della farina per Cristian Osio, originario di Brembate, che ha voluto coronare il suo sogno di diventare pizzaiolo. Una passione nata a Londra, dove si trasferisce a 19 anni e si arrabatta con lavori come lavapiatti e barista fino ad approdare a Brixton da “Franco Manca”, dove Giuseppe Mascoli ha sdoganato la pizza verace napoletana. Inizia con uno stage, ma sfornare pizze a centinaia scatena l’allergia e alla fine deve rinunciare al lavoro pochi mesi dopo l’assunzione. Prova a passare in cucina, nel locale di Jamie Oliver a Piccadilly Circus, ma decide presto che i fornelli non fanno per lui: «Ho resistito tre mesi, non riesco ad immaginarmi che pizzaiolo - ammette Cristian, che si è tatuato sul bicipite una verace napoletana -. Per me fare la pizza è una magia: è un prodotto che cambia ogni giorno e il risultato non è mai scontato». Così è tornato in Italia dove ha iniziato una cura con tanto di vaccino immunologico Cristian Osio per tenere a bada
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formazione l’allergia e ha viaggiato per scoprire i segreti della vera pizza campana. Poi è stato in Finlandia, dove ha la fidanzata con la valigia pronta per l’Italia e ha fatto la stagione estiva in Grecia, a Samos. Da poco più di un mese ha inaugurato a Nembro “Forno 89”, pizzeria d’asporto con qualche tavolino. «Finalmente posso proporre la mia idea di pizza, a lunga lievitazione, con un buon cornicione ben puntinato, cotta nel forno a legna per eccellenza, realizzato con Biscotto di Sorrento. Ho scelto ottimi prodotti, dalla provola affumicata di Latina alla ricotta Dop, a pelati di qualità e propongo pizze della tradizione campana, da quella con cicoli e ricotta a quella con friarelli e provola affumicata. Spero che la mia pizza, senz’altro diversa da quella bergamasca, riesca a conquistare il paese».
A Siviglia la pizza d’asporto di Claudio parla “El Italiano”
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laudio Previtali, di Albegno di Treviolo, si trasferisce otto anni fa a Barcellona per amore della moglie Mar, originaria di Siviglia, ma si scontra con la difficoltà di trovare un impiego in Spagna, dopo aver lavorato una vita in campo metalmeccanico nella Bergamasca. «Ho sempre avuto passione per la pizza e da ragazzino avevo lavorato anche una stagione in un bar pizzeria, così ho deciso di rimettermi in gioco a 49 anni e di tornare ai banchi di scuola all’Accademia del Gusto – racconta -. Conoscevo Tiziano Casillo dai tempi in cui aprì la sua prima pizzeria ad Albegno, ma vederlo all’opera mi ha davvero aperto un mondo e ha rafforzato la mia passione. In barba a chi diceClaudio Previtali va che non ce l’avremmo fatta, io e mia moglie abbiamo aperto una pizzeria d’asporto. Su consiglio di Casillo ho puntato sulla qualità e sull’italianità. E così è stato anche nel nome “El Italiano”, perché tutti qui mi han sempre chiamato così». Le soddisfazioni non mancano: «È bello sentirsi dire dai clienti che gustando la mia pizza li ho riportati in Italia o entrare nel novero delle migliori pizzerie sivigliane».
Londra, l’ex operaio alla corte di Gordon Ramsay ora sogna lo street food con la pizza
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attia Pasinetti, perito elettrotecnico, dopo sei anni di lavoro da elettricista e uno da operaio, decide, ancora giovanissimo, a 25 anni, di cambiare vita e di imparare i segreti che stanno dietro ad una buona pizza. Dopo il cor-
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so all’Accademia del Gusto decide di trasferirsi a Londra, dove dopo tre mesi riesce a trovare lavoro come pizzaiolo da Sua Maestà Gordon Ramsay in uno dei suoi locali, “York and Albany” a Camden Town. «Nel locale portavo avanti la pizzeria con un altro ragazzo italiano e poi davo una mano in cucina – racconta -. L’head-chef mi ha poi affidato quasi tutti i turni in cucina ed ho visto quanto lavoro ci sia dietro ad un grande piatto. Mi si è presentata l’occasione di lavorare nello street-food, tra catering e ricevimenti, per Born and Raised, e così ho cambiato lavoro. Ogni giorno affronto un servizio diverso, dai party ai festival, dai compleanni al catering per il cinema, mi sposto di continuo e per me è davvero stimolante». La passione per la pizza non Mattia Pasinetti l’ha mai abbandonato: «Il mio sogno è quello di aprire una mia attività nel settore dello street food, declinato però all’italiana, a partire ovviamente dalla pizza».
Cisano, l’impresario edile guida anche “La Locanda di Cri”
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l suo locale, Enio Panzeri, impresario edile, l’ha costruito davvero mattone dopo mattone nel 2005 a Cisano Bergamasco. Dopo averlo dato in gestione per anni, nel 2014 si trova all’improvviso con il locale sfitto e decide così, a 53 anni, di mettere a frutto la sua passione per la buona tavola e di tornare sui banchi di scuola all’Accademia: «A inizio anno mi sono iscritto al corso di cucina con Francesca Marsetti e poi ho appreso i segreti dell’arte pizzaiola con Tiziano Casillo. A dicembre 2014 ho inaugurato con mia moglie Cristina, che si occupa della sala, “La Locanda di Cri”, rinnovando completamente gli ambienti», racconta Panzeri. «La locanda del locandèr ca sa fa ol so mester” come rivendica anche sul sito, è un Enio Panzeri e la moglie Cristina tempio della buona cucina e un indirizzo rinomato per la pizza: «Ho deciso di puntare sulla qualità, a partire dalla scelta degli ingredienti, perché uscire a mangiare una pizza deve essere un piacere e non un ripiego. Così nascono le nostre pizze, dalla più semplice con fiordilatte, pomodoro e basilico alle ricette gourmet».
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LA GUIDA
di Anna Facci
Un fior di tavola! Un bell’allestimento floreale dà una marcia in più all’immagine di un locale, ma è un aspetto spesso sottovalutato dai ristoratori. I fioristi del Gruppo Ascom ci hanno dato qualche consiglio per curare anche questa voce
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l motto "dillo con un fiore" funziona anche al ristorante. Già, perché se su una tavola spuntano un tocco di verde o un mazzolino ben curati il messaggio è chiaro: qui ai dettagli ci stiamo attenti. E un punto a favore per la bella figura complessiva è segnato (e magari ci scappa anche lo scatto fotografico). Ovvio che il centrotavola più raffinato non potrà bilanciare un piatto mal riuscito o un cameriere impacciato, ma se i "fondamentali" sono tutti solidi, le mise floreali possono dare una bella spinta, spesso sottovalutata, all'immagine complessiva dell'insegna. Lo sanno bene i locali di livello, dove il floral design rientra a pieno titolo nel progetto e nella gestione della sala, ma è un aspetto che ogni attività può prendere in considerazione per rinnovare la propria atmosfera. Ci siamo rivolti al Gruppo fioristi dell'Ascom di Bergamo per saperne di più sul magico mondo di fiori e piante e rubare qualche consiglio per composizioni di sicuro effetto. «Un fiore o del verde sulla tavola - fa notare il presidente Adriano Vacchelli, che ha il proprio negozio a Osio Sotto - arricchisce l'impatto visivo ed estetico e trasmette immediatamente senso di freschezza, vitalità, cura del particolare. Il rimando psicologico è presto fatto, davanti ad un centrotavola bello e in salute si è infatti facilmente portati a pensare che anche il cibo sia stato scelto e trattato con la stessa attenzione». Per muoversi tra le infinite possibilità di allestimento
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LA GUIDA Per ampliare l'orizzonte sull'uso dei fiori in tavola e trovare qualche spunto - facile da mettere in pratica - abbiamo chiesto aiuto ai fioristi del Gruppo Ascom. Perché cambiare è la prima regola del buon allestimento.
vegetale è bene in primo luogo mettere dei punti fermi su cosa non fare. «Non strafare - è l'ammonimento di Vacchelli -. No a composizioni troppo ingombranti: visto che spesso i tavoli sono piccoli, più che fare PRIMAVERA bella figura danno fastidio. I fiori Niente di meglio che celebrare non devono essere mai troppi l’arrivo della bella stagione con i fiori. Un spiega -, il loro numero deve suggerimento di Emanuele Ponti, della Fioreria essere in proporzione con Ponti di Grassobbio, arriva dalla richiesta stessa le dimensioni del tavolo. di un ristoratore. «Ci ha chiesto un fiore primaverile No anche ai fiori troppo diverso per ogni tavolo - ricorda -. È una buona idea ma è profumati, che possodifficile trovare tutte insieme tante varietà di fiori recisi e in no interferire con gli così piccola quantità il costo sarebbe alto. Si può ovviare con una aromi e i sapori dei piantina. Violetta, primula, begonietta, lobelia, tagete, anche le aropiatti. Da evitare matiche che cominciano a crescere in primavera e sono poco sviluppate. pure i vasi troppo Non c’è pericolo che il loro aroma interferisca con quello dei piatti perché alti, che intralciano reagiscono solo se accarezzate e poi sono fragranze che possono anche gli sguardi dei comessere in sintonia con la cucina». Devono però essere sempre ben curate, mensali. I contenitori quindi bisogna essere pronti a eliminare le parti secche o appassite. ideali sono bassi, facili Altra ipotesi di stagione sono piccoli mazzolini realizzati smontando da afferrare per non comle margherite e unendo anemoni, ranuncoli, tulipani, viburni. Per plicare il lavoro a chi appaun contenitore low cost, ma a tema, si può pensare ad un recchia e sparecchia. Quanto al nido di rametti o di rattan. materiale, il vetro è molto elegante ma richiede che l'acqua venga cambiata spesso perché appena si intorpidisce sta malissimo, sì quindi alla le loro gradazioni nel ceramica e alle superfici opache». contesto della sala, Nella scelta dei colori dei fiori, invenaturalmente in ce, può essere interessante sganarmonia con il tociarsi dalle tonalità del bianco e del vagliato» verde, che vanno per la maggiore in Il veto assoluto è per i fiori di plastica, l'esatto contrario della vitalità e freschezza di PRANZO cui sopra. «Meglio non DI LAVORO mettere nulla piuttosto Sceglie la pulizia delle linee la che quei tristissimi vasetproposta floreale per il pranzo di lati che viaggiano in coppia voro di Giampietro Giuliani, titolare di Vercon il "numerino" del tavolo defiorito ad Almé. Calle bianche, anthurimun verdice apertamente -. Spesso di e rose bianche in contenitori moderni e al tempo non si considera che chi stesso facili da gestire e pulire, grazie all’interno smalsta aspettando di essere tato. «Per gli appuntamenti business meglio mantenersi servito guarda e tocca ciò su tonalità fredde, non esagerare con i colori e lavorare sul che ha attorno. La mise contrasto - spiega -. La composizione in grande formato è en place sta sotto gli Adriano Vacchelli, ideale per l’ingresso e può essere replicata in piccolo su ogni occhi per tutto il tempo presidente dei Fioristi Ascom tavolo, con i tre fiori in un solo vasetto, mantenendo il gioco del pasto e i difetti si delle altezze». In alternativa al fiore reciso consiglia una pianta vedono, per questo antavola. «È vero, sono eleganti - afferdi rhipsalis. «È una pianta grassa dalle proprietà antistress, che fiori freschi e pianma il fiorista -, ma anche giocare sul facile da curare, ha bisogno di poca acqua e molta luce. Ne tine devono essere colore trasmette vitalità e bellezza. esistono di molte varietà, quindi si può trovare quella che sempre perfettamente Se il rosso è per le occasioni speciameglio si adatta all’ambiente. Una pianta fiorita di grande in ordine». li, il giallo, l'arancione e il rosa stanimpatto è invece la medinilla magnifica - prosegue - con Un'alternativa ai fiori no molto bene, magari giocando tra dei grandi fiori rosa pendenti. Posizionata da sola in un vaso dalle forme semplici renderà la location molto elegante».
Un'idea
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SAN VALENTINO
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«La scelta più classica è la rosa rossa, elegante inserita in un vaso cilindrico di vetro trasparente con un fondo di sassolini bianchi». Barbara Bertolini, di Artefiore di Torre Boldone, suggerisce scelte minimal per un ristorante che dedica la serata agli innamorati. Del resto i tavoli sono per due, non c’è quindi molto spazio per idee voluminose. «Si può anche optare per rose o gerbere, non necessariamente rosse, impreziosite da un cuore di cristalli swarovski applicato al loro interno - continua -. Piacciono anche mazzetti di fiorellini più semplici ma ugualmente romantici, bucolici, come roselline e anemoni, magari in secchiellini di latta, poco costosi». Al termine della cena, i ristoratori possono fare omaggio dei fiori alla signora, oppure decorare l’ingresso con un grande vaso e regalare uno stelo all’uscita. «Tra le ultime tendenze ci sono le rose al cioccolato - racconta -. Sono fiori veri, ricoperti. Non si possono mangiare, ma sono ugualmente golosi per il profumo fragrante di cacao».
freschi possono essere le rose stabilizzate, «a patto che siano proposte a rotazione con altre composizioni», oppure le piantine, fiorite, verdi o aromatiche. Perché il problema principale è il budget e l'idea di fare la spesa ogni settimana per qualcosa che il cliente non mangia o beve non è così diffusa nella ristorazione. Affidarsi ad un fiorista può essere la soluzione. «Se c'è un rapporto di fiducia e continuo possono nascere belle idee e si può tenere sotto controllo la spesa - evidenzia Vacchelli -. Una settimana si può fornire il fiore fresco, quella successiva suggerire come usare i fiori o l'edera che crescono in giardino, poi si possono usare i bulbi o le piantine, che durano di più. Il fiorista può anche utilizzare contenitori forniti dal ristoratore, come tazzine, bicchieri, boule per creare qualcosa di originale risparmiando». La discriminante è la tipologia del locale. «Per una trattoria con menù a prezzo fisso dove i clienti vanno di fretta potrà bastare un piccolo tocco di colore, in altri casi si può stare sul rustico se l'ambiente è raffinato anche la proposta floreale dovrà corrispondere», rimarca. Il collega Massimiliano Ghilardi, titolare dell'omonima Fioreria a Brusaporto, vede la collaborazione tra fiorista e ristoratore in modo ancor più stretto. «La vera finalità di un centrotavola riuscito - sostiene - è di accompagnare FERRAGOSTO le portate e sussurrare «È la natura stessa che suggerisce le composizioni, inutile all’ospite, attraverrincorre le stravaganze e il fuori stagione», è il pensiero di Mauro so gli elementi Licini di Pollice Verde a Bergamo in via Angelo Mai. «In estate anche i floreali e defiori vanno in vacanza, ma se ci si guarda attorno qualcosa si trova». Per il corativi posti suo tavolo da ferragosto al ristorante ha scelto salvia, rosmarino ed edera in un in maniera contenitore avvolto in carta da pacco, che nasconde anche vasetti imperfetti e ragionata, diversi tra loro e grazie al colore neutro si adatta con facilità a tanti tovagliati. delle emoL’accento colorato è dato dal girasole e dalle roselline, mentre le foglie zioni aiutanannodate di beargrass creano quello che si chiama “momento di dolo a capire interesse”. «Per un appuntamento estivo non occorre niente di la provenienza, ricercato, meglio stare sulla semplicità e spontaneità. Una la storia, il percomposizione del genere ha anche il vantaggio del costo corso dagli ingrecontenuto e basta poco per dare un effetto diverso, dienti della terra fino ad esempio appoggiandoci due fragole o, se si ad una meravigliosa vuole celebrare l’autunno, un grappolo d’uva. Di tavola sapientemente cose da inventare ce ne sono mille e la fanimbandita. Così facentasia è gratis, ma è quella che permetdo, il piatto si ingrandite a noi fioristi di differenziarci». sce, sorprende l’ospite e lo intrattiene. Quando poi gli allestimenti sono gestiti anche nei punti importanti della location ecco che diventano trainanti, perché altamente emozionali. A questo punto il costo delle composizioni floreali non è più di peso ma diventa investimento che rende al pari delle portate». Il suo primo consiglio ai ristoratori è perciò quello di «cercare un buon “interprete” e creativo floreale e lavorare insieme ponendosi degli alti obiettivi».
per ogni occasione
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Parliamone
Servizio a cura dell’Accademia del Gusto e di gp.studios
Il prezzo di un piatto? Chiedilo al food cost È fondamentale attribuire ad ogni referenza il giusto valore. Per questo vanno tenuti sotto controllo spese e approvvigionamenti, monitorati carichi e scarichi di magazzino e ridotti al minimo gli sprechi nei processi di lavorazione in cucina
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l menù del ristorante è vincente quando rispetta un criterio ponderato nella scelta dei prezzi. Se volete rendere la vostra carta un prezioso strumento di vendita, andando oltre gli aspetti di carattere estetico, è fondamentale attribuire ad ogni referenza il giusto valore. Capita spesso di confrontarci con il tipico ristoratore “fai da te”, che si basa su tariffe non dedotte con criterio, risultanti da conteggi parziali, spannometrici e a volte sfavorevoli rispetto alla reale incidenza che può avere sulle sue tasche. Questo genere di imprenditore, infatti, è solito stabilire i prezzi del menù effettuando un calcolo che poi avrà importanti ripercussioni negative. In una situazione del genere, può succedere che i margini di profitto si riducano fino addirittura ad annullarsi. Per questo è fondamentale tenere sotto controllo le spese e gli approvvigionamenti, monitorando costantemente carichi e scarichi di magazzino e tentando di ridurre al minimo gli sprechi nei processi di lavorazione in cucina. Ma soprattutto calcolando il food cost di ogni singolo piatto.
come calcolare il fOOD COST? Il concetto, per chi intende muoversi in modo oculato e consapevole, è quello di analizzare i costi di un piatto finito e servirsene per massimizzare il rendimento. Affinché il calcolo dei costi effettivi sia veritiero, è bene procedere come segue: • In primo luogo si passano al vaglio le materie prime. Per ogni elemento che compone una pietanza, dobbiamo “fare la grammatura”, ovvero calcolare in maniera esatta la quantità di materia prima necessaria per realizzare il piatto. Senza dimenticare di segnare eventuali scarti di lavorazione. • Passiamo al condimento. Sebbene la sua incidenza possa sembrare lieve, deve sempre essere compreso nel food cost. Naturalmente il condimento può avere un impatto diverso sul prezzo finale a seconda di cosa prevede.
maggio 2017 Facciamo un esempio. Per calcolare il food cost di un filetto di tonno al sesamo cotto alla griglia, occorrerà tenere conto dei seguenti elementi: 4 Costo delle materie prime (tonno, sesamo, prezzemolo, ecc.) per le quantità utilizzate nel piatto; 4 Labour cost sostenuto in relazione al tempo impiegato per lavorare il tonno; 4 Incidenza degli scarti di lavorazione; 4 Il costo del condimento (sesamo, olio, sale, pepe, limone e prezzemolo). Ognuno di questi elementi è fondamentale e strettamente necessario, perché inciderà in modo significativo su food e full cost.
A questo proposito facciamo una precisazione fondamentale. Mentre il food cost include i costi delle materie prime che compongono un piatto, dal prodotto principale alla guarnizione, il full cost comprende tutti gli elementi che concorrono alla realizzazione della pietanza. In altre parole, nel costo pieno includeremo food cost, labour cost e margine di contribuzione (ovvero tutti i costi indiretti, che non derivano dall’esecuzione di un piatto, ma dalle spese di gestione come le utenze, il leasing delle attrezzature, l’affitto dei locali, ecc.). Solitamente, per la pura determinazione del prezzo di una singola referenza ci limitiamo al calcolo del food cost. Al contrario, in un’ottica di definizione della strategia gestionale del locale, considereremo una serie di variabili tra cui anche i costi non direttamente sostenuti per la realizzazione del piatto, ma comunque generati dalla gestione dell’attività.
DEFINIRE IL MARGINE DI PROFITTO Torniamo ora a focalizzarci sulla definizione del prezzo di un piatto. Una volta analizzati i costi per la realizzazione della pietanza, arriveremo a stabilire il suo prezzo di vendita includendo anche un congruo margine di profitto. Procediamo secondo due modalità: 1. La marginalità espressa in percentuale che tendenzialmente vogliamo ottenere dal piatto (ad esempio, stabilire un margine del 30%); 2. Il profitto analizzato come valore economico puro, ovvero sottraendo il Full Cost al prezzo di vendita scorporato di Iva. Da questo calcolo si ottiene il valore di profitto netto espresso in euro. Attenzione: questi due fattori devono essere analizzati sinergicamente per ottenere la corretta strategia di prezzo. Infatti, se calcolassimo il margine di profitto tenendo conto solo della marginalità percentuale il menù conterebbe piatti con margine di profitto corretto ma prezzo di vendita non adeguato, ovvero troppo alto o troppo basso rispetto alle aspettative del mercato. Un primo piatto con una salsa semplice, ad esempio le penne al pomodoro, avrà una marginalità di profitto superiore al 30% mantenendo comunque un prezzo di vendita congruo. Al contrario, per applicare un prezzo appetibile agli occhi del cliente è probabile che un crudo di pesce abbia una marginalità inferiore al 30% ipotizzato. Come consulenti attivi ogni giorno sul campo, sappiamo bene che per definire i prezzi del menù non è possibile prescindere dal contesto di riferimento. Pur riconoscendo il valore della standardizzazione, infatti, sosteniamo che una strategia efficace debba passare anche per un insieme di valutazioni di mercato: Qual è il vostro target di clientela? Che posizionamento ha il vostro locale? A quanto ammontano i prezzi applicati dai competitor? Limitarsi a standard prestabiliti non basta. Per rendere ogni referenza coerente con il suo valore effettivo e costruire un menù efficace e profittevole, occorre condurre un’analisi complessiva molto articolata, anche con l’aiuto di professionisti del settore.
l’applicazione pratica Quale può essere un buon punto di partenza per iniziare subito a controllare la gestione del locale? Esistono in commercio diversi strumenti gestionali utili a calcolare il food cost, molto dei quali, però, di difficile utilizzo. Ecco perché con l’implementazione di un semplice foglio di calcolo Excel è possibile valutare la correttezza del prezzo applicato ad un piatto grazie a pochi semplici passaggi. Informazioni info@ascomformazione.it tel. 035 4185706
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Gestione di Roberta Martinelli
Illuminazione, con l’Ascom locale più bello e risparmioso Grazie alla tecnologia LED e al servizio illuminotecnico messo a punto dall’Associazione, è possibile ottenere un risparmio di oltre il 50% sulla bolletta e migliorare sia l’esposizione dei prodotti sia la percezione dell’ambiente 16
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endi la tua attività più bella e risparmia oltre il 50 per cento”. È questo lo slogan del nuovo servizio creato da Ascom Confcommercio Bergamo che studia l’illuminazione nei locali e nei negozi e fa risparmiare soldi nella bolletta elettrica. «L’illuminazione è uno dei fattori meno considerati, invece, è fra i più impattanti nel definire l’esperienza dei clienti - spiega Andrea Comotti, responsabile dell’Area Gestionale -. La luce è in grado di influire sulle sensazioni delle persone e riveste un ruolo fondamentale nell’esperienza di acquisto e di scelta, qualunque sia il settore merceologico o il tipo di attività: bar, ristorante, boutique, alimentari e grande negozio». «Il cliente, quando fa un’esperienza d’acquisto compie un vero e proprio percorso: dall’entrata, durante l’orientamento verso la scelta del prodotto o del menù, fino all’uscita con acquisto e sensazione di appagamento - sottolinea Comotti -. Tutti questi passaggi, se non ben collegati tra loro, portano alla perdita d’interesse verso il bisogno del prodotto. Gli studi illuminotecnici permettono di costruire un appeal del prodotto, o di un ambiente, attraverso l’utilizzo specifico della luce abbinato al suo contesto: che si tratti di una vetrina, di un bancone, di un espositore, di un locale o di una grande facciata, con lo studio illuminotecnico si focalizza e si migliora l’esposizione dei prodotti e la percezione di un ambiente. E grazie alla moderna tecnologia Led, si possono avere preziosi vantaggi non solo dal punto di vista illuminativo, ma anche economico perché si può risparmiare in modo importante». Il nuovo servizio Ascom permette di avere un sopralluogo del tutto gratuito in azienda da parte di un tecnico specializzato che analizzerà il numero e la potenza delle lampade, i con-
sumi e le necessità di illuminazione degli ambienti e dei prodotti. Raccolta tutta la documentazione, insieme allo staff Ascom, verrà costruito uno studio personalizzato che sarà presentato all’imprenditore insieme al business plan dell’intervento. Lo studio Ascom mostrerà in anteprima come sarebbe l’attività con la nuova illuminazione e indicherà il costo dell’installazione, il risparmio sulla bolletta della luce - che può raggiungere anche il 70 per cento - e il tempo in cui si ripaga l’investimento. «Il restyling illuminotecnico si rivelerà in ogni caso conveniente - assicura Comotti -. E questo per tre motivi: prima di tutto perché fa risparmiare molto e poi perché rende il negozio e il locale più belli e tutela l’ambiente in quanto riduce l’emissione di CO2. Si stima, infatti, che con la sostituzione di una sola lampada con quella a Led si salvano sette alberi». Per le imprese interessate c’è un’altra grande opportunità, la possibilità di non fare investimenti: «Grazie a un accordo con un’azienda specializzata, le imprese che desidereranno realizzare il progetto illuminotecnico proposto senza versare anticipi potranno scegliere il noleggio operativo che permette di avere le nuove illuminazioni pagando un canone mensile per 36 o 48 mesi e dopo questo termine, volendo, di riscattare le illuminazioni con una cifra minima». Anche in questo caso - assicura Ascom Confcommercio Bergamo - la scelta risulterà vantaggiosa perché la spesa del canone del noleggio e l’importo della nuova bolletta sommati saranno inferiori al valore della bolletta.
Per informazioni: Sistemi Gestionali Ascom tel. 035 4120181-129 fax 035 4120186 gestionale@ascombg.it
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Il personaggio di Leo Bartoli
Val del Fich, i formaggi da premio della “Giamburrasca” dei caprini Federica Cornolti, 25 anni, s’è guadagnata anche la ribalta nazionale per la qualità dei prodotti che prepara nel suo allevamento di Ponteranica. I primi insegnamenti? Da Battista Leidi. «È un impegno gravoso, ma le soddisfazioni - a partire dall’apprezzamento dei clienti - annullano ogni fatica» Federica Cornolti
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ualcuno l’ha già ribattezzata la Giamburrasca dei caprini, lei giovane esuberante e vulcanica, plasmata dagli insegnamenti di Battista Leidi, il maestro casaro della Valle Imagna, primo capraio del territorio orobico, ma forse anche il primo, probabilmente in Italia, a produrre subito dopo il formaggio con il latte di capra. Lei, è Federica Cornolti da Ponteranica, 25 anni. Ha creato in zona un’azienda (la Val del Fich), dove alleva una quarantina di capre razza Saanen. Nessuna emozione quando le telecamere di Linea Verde l’hanno ripresa tra le stalle e i prati dell’azienda, durante la mungitura e la preparazione delle sue “creature” a chilometro zero, ricotte e formaggelle, con tanto di consegna a domicilio nei paesi limitrofi, mentre da quest’anno ha avviato anche una fattoria didattica per i bambini. Ma è sui formaggi che si concentra la critica, dopo il riconoscimento prestigioso già incassato da Federica nel concorso milanese Onaf 2016 “All’Ombra della Madonnina” per la doppietta stracchinello-tronchetto. Da quel momento la sua vita non è stata più la stessa e nel giro di un paio d’anni è diventata una delle allevatrici più “mediatiche” del Bel Paese, dimostrando di cavarsela assai bene non solo nella caseificazione e nell’allevamento, ma anche davanti a microfoni e telecamere. Lei però è fatta così, spontanea come il suo sorriso, e ama ricordare come tutto nacque poco più di tre anni
fa, nell’anno in cui a Milano frequentava la facoltà di Veterinaria all’Università, con indirizzo “Allevamento e Benessere Animale”. Federica racconta di aver deciso di fare il tirocinio in un allevamento di capre «poiché è l’animale da reddito che mi ha sempre affascinato sin da bambina». Così iniziò a frequentare l’Azienda agricola Gamba, dove Battista Leidi, il vero guru italiano dei caprini, insegnandole l’arte della caseificazione, non le risparmiò ruvidezze e rilievi. «I primi giorni – ricorda – furono difficili soprattutto
maggio 2017 perché Battista era molto rigido nei suoi insegnamenti, ma col passare dei giorni mi sono sempre più legata a lui e il tirocinio è durato più del dovuto. Cercavo di unire la teoria e gli studi universitari con la tecnica e la tradizione che mi trasmetteva Battista: lì ho capito che quello era il lavoro che avrei voluto fare e con l’appoggio dei miei genitori ho deciso di buttarmi in questa avventura, coronando il mio sogno: lavorare con gli animali». L’attività parte con 15 capi in lattazione stabulati in una piccola struttura provvisoria: Federica inizia a lavorare il primo latte in un piccolo laboratorio mentre aspetta i premessi per la struttura finale. «Ad oggi possiedo 40 capi in lattazione e lavoro un buon quantitativo di latte che viene completamente trasformato per la produzione di formaggi freschi, formaggelle, ricotte e yogurt». La soddisfazione più grande sono i complimenti dei clienti e della critica, specie in occasione del concorso milanese all’Ombra della Madonnina. «La Giuria mi ha assegnato l’eccellenza per il tronchetto crosta fiorita: è stata una sorpresa perché non avrei mai pensato, visto la mia poca esperienza, di raggiungere un premio del genere». L’entusiasmo è la sua arma in più, quella che le fa reggere la giornata anche a ritmi infernali: «Mungo le capre due volte al giorno, do da mangiare agli altri animali e poi parto con la caseificazione. Adesso mi sto attrezzando per organizzare i campi estivi con i ragazzi. È un lavoro sette giorni su sette. Anche se cerco di godermi al massimo i momenti di relax. A Pasquetta sono andata in montagna, ma prima di partire e una volta tornata, mi aspettavano le capre da mungere: non mi pesa, è la mia vita». Con i clienti ha un rapporto speciale, in tanti le danno del tu, c’è empatia quasi immediata: «Mi piace il rapporto diretto con la gente: ascolto tutti, mi vanno bene i complimenti, ma ascolto anche i consigli e faccio tesoro delle critiche quando arrivano. Il consumatore cerca disperatamente la genuinità: preferisce venire al mio spaccio anziché andare al supermercato, ma in questo modo mi sento anche investita di tante responsabilità, perché devo dar loro i messaggi giusti, per una corretta alimentazione o uno stile di vita sano». E tanto per non farsi mancare niente, Federica ha varato anche una linea di confetture: «Le produco insieme a mia mamma e mia nonna. Diciamo che è un’idea intergenerazionale: è bello fare qualcosa insieme alla propria famiglia, e sono pure buone!!». Ma tornando alla sua antica vocazione, nonostante sia stata molto tempo, recentemente, davanti a taccuini e telecamere con disinvoltura disarmante, Federica confessa che la sua più grande emozione resta quella che le capita abbastanza spesso, ormai, in stalla: «È quando vedo nascere un capretto: a quel punto tutta la fatica scivola via e resta soltanto una grande gioia».
Azienda Agricola “Val del Fich” via Cornella Ponteranica tel. 346 1045697
erbe del casaro
Valle Brembana, riflettori accesi su formaggi ed erbe spontanee
L’
ottava edizione di Erbe del Casaro, la rassegna dedicata alle erbe spontanee e ai formaggi tipici della Valle Brembana, torna negli undici paesi di Altobrembo il 27 e 28 maggio e dal 2 al 4 giugno prossimi. L’iniziativa prevede numerosi appuntamenti, dedicati a grandi, piccoli, famiglie e giovani, organizzati sul territorio di Averara, Cassiglio, Cusio, Mezzoldo, Olmo al Brembo, Ornica, Piazza Brembana, Piazzatorre, Piazzolo, Santa Brigida e Valtorta, portando alla scoperta delle peculiarità gastronomiche delle erbe spontanee e delle eccellenze casearie della Val Brembana. Tra gli appuntamenti, visite alle aziende agricole locali per scoprire le attività tradizionali e i loro prodotti, show cooking, degustazioni, aperitivi, esposizioni artistiche, escursioni alla scoperta della natura e conferenze. Nell’ottava edizione di Erbe del Casaro spiccano alcune iniziative di rilievo, come la novità de “Il borgo del Casaro e delle sue erbe”, all’Antica Segheria Pianetti di Olmo al Brembo, punto centrale della manifestazione: qui sono in programma conferenze sulle erbe, aperitivi e pranzi didattici con i produttori, Merende del Casaro, laboratori e giochi per i più piccoli. I ristoranti locali proporranno menù a base di erbe spontanee e formaggi brembani a prezzi convenzionati e i bar promuoveranno gli “Aperitivi del Casaro” per portare sulla tavola i sapori della tradizione e della cultura della Valle Brembana. www.erbedelcasaro.it
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food & beverage
Nasce la rete d’impresa bergamasca dedicata all’export
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Villa Domizia - Quattroerre Group, Orobica Food, Caffè Ravasio e Ros hanno unito competenze e prodotti per rafforzare la presenza sui mercati esteri. Per i clienti l’opportunità di accedere al gusto del Made in Italy e la possibilità di effettuare ordini con spedizioni coordinate e flessibili per abbattere i costi e semplificare le procedure 20
ttitude for Italian distribution of Gourmet” è il nome della nuova rete d’imprese nata dall’idea di quattro imprese bergamasche del settore food e beverage italiano per il mercato Horeca. L’obiettivo è quello di unire le proprie competenze e prodotti di qualità, offrendo proposte coordinate e soluzioni integrate per ristoranti, bar, pizzerie e hotel di stampo internazionale. AIdG è una rete d’imprese fondata quindi per diffondere, attraverso il commercio di prodotti italiani, il gusto della buona tavola, in tutti i suoi aspetti, nel mondo. La loro missione è finalizzata a diventare un punto di riferimento per gli operatori esteri che cercano partner per il commercio di prodotti italiani. Il denominatore comune è la passione condivisa per l’idea che il cliente debba essere al centro della scena. Spinti dall’ambizione di diventare punto di riferimento per i vari imprenditori dell’ospitalità, i co-founder Oro-
bica Food, Villa Domizia - Quattroerre Group, Caffè Ravasio e Ros Forniture alberghiere, hanno ideato un bouquet d’offerta di prodotti di alta qualità, per soddisfare le esigenze della clientela, semplificare la gestione degli acquisti e della logistica. Il loro primo obiettivo è quello di proporre un’alta qualità di prodotti all’insegna del Made in Italy. «Siamo un gruppo di aziende consolidate e affermate - afferma Giampietro Rota della Quattroerre Group - nei rispettivi settori Horeca e food e beverage italiano, che credono in un progetto condiviso di proposte innovative. Unendo risorse economiche, capacità manageriali e di marketing, vogliamo rafforzare la nostra presenza ed il potenziale di penetrazione nei mercati oltreconfine». La possibilità di effettuare ordini con spedizioni coordinate e flessibili per abbattere i costi e semplificare le procedure dovrebbe rappresentare un surplus interessante per gli ope-
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Le aziende protagoniste Orobica Food Nata nel 2002, Orobica Food srl è un’azienda moderna e dinamica che si occupa della valorizzazione e commercializzazione di prodotti tipici italiani freschi e surgelati per la ristorazione. La qualità dei prodotti tipici del Made in Italy è assicurata dalla scelta accurata di circa 200 fornitori provenienti da tutto il territorio nazionale.
Villa Domizia Quattroerre Group La produzione di vini a marchio Villa Domizia della Quattroerre Group dal 1995 interpreta le nuove tendenze dei consumatori con prodotti che puntano alla valorizzazione del territorio. I vini e i distillati di Villa Domizia si sono via via affermati nel mercato per il loro carattere innovativo e sono apprezzati da un’ampia fascia di consumatori, giovani inclusi.
Ravasio Caffè Ravasio da tre generazioni è sinonimo di caffè d’autore. Passione e creatività che dal 1923 ci regalano l’arte di un vero caffè d’autore. “Ogni caffè ha il suo bouquet, la sua struttura; l’abilità sta nell’abbinarli, preparando miscele capaci di regalare emozioni uniche ad ogni sorso” è lo slogan della filosofia aziendale.
ROS forniture alberghiere Nasce nel 1984 e si rivolge a tutti gli operatori Horeca distribuendo le migliori marche mondiali di articoli per la ristorazione. L’assortimento, sempre attuale e al passo con le nuove tendenze del design, è composto da: porcellane per la tavola, bicchieri, calici e cristalli, posaterie, pentolame, finger food, macchinari per cucina e bar, carrelli di servizio, abbigliamento professionale e tovagliato.
In piedi, da sinistra Sergio Pezzotta (Ros), Sergio Ravasio (Caffè Ravasio), Giampietro Rota (Villa Domizia - Quattroerre Group); seduto Claudio Locatelli (Orobica Food)
ratori stranieri. «Oltre ad occuparsi di commercio di prodotti italiani - continua Rota - AIdG vuole diffondere nel mondo il patrimonio nazionale della buona cucina e il piacere dello stare a tavola, non solo fornendo prodotti ed ingredienti, ma anche divulgando le conoscenze e la varietà dei prodotti alimentari italiani. I risultati del nostro lavoro si vedono ogni giorno dalla costante crescita sui mercati esteri dove abbiamo presentato le nostre proposte. I nostri clienti così scoprono e promuovono il grande appeal rappresentato dall’italianità delle proposte che AIdG sceglie per
loro e con loro. Chi decide di affidarsi ad AIdG potrà avere l’Italia sulla tavola!». A tenere a battesimo questa rete d’impresa, è stato il palco di Tuttofood, fiera internazionale del B2B dedicata al food & beverage organizzata a Milano, scelta per presentare al pubblico internazionale la nascita di AIdG. Con circa 30 milioni di fatturato sviluppato in comune e con quasi 100 dipendenti e collaboratori attivi, le quattro aziende rappresentano da tempo una realtà di un certo rilievo a livello regionale e non solo. Info: http://aidg.eu
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Lo chef di Gualtiero Spotti
Marco Stagi con Peter Goossens
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Marco Stagi, dopo l’Alberghiero a San Pellegrino e stage alla Brughiera, alla Cantalupa e da Enrico Crippa, è arrivato all’“Hof Van Cleve”, in Belgio. «Qui per crescere ancora e per coltivare il mio sogno: aprire un ristorante in piazza Pontida, a Bergamo»
Da Ponteranica alla corte del tristellato Goossens igore, serietà, dedizione. Sono i valori che ho sempre cercato nel lavoro di cuoco. Ed è per questa ragione che ho sempre voluto frequentare cucine capaci di contribuire in maniera sostanziale alla mia formazione, per farmi crescere in maniera progressiva e senza fare il passo più lungo della gamba». Ha le idee chiare Marco Stagi, ventiseienne bergamasco, originario di Ponteranica, che, pur molto giovane, sta gettando le basi per costruirsi una carriera ai fornelli. Il suo background parla molto l’idioma locale, visto che dopo la scuola alberghiera di San Pellegrino il neodiplomato inizia subito gli stage nella stellata Osteria della Brughiera, a Villa d’Almé, e poi transita anche alla Cantalupa dai Cerea, entrando così in contatto con alcune delle realtà di ristorazione più prestigiose della provincia. Come dire, non ancora ventenne, Marco Stagi ha già avuto l’impatto con il mondo delle “stelle”, quello che gli permette di capire immediatamente che la strada da percorrere non passa attraverso scorciatoie mediatiche o presunzioni da star. Prima, chiaramente, ci vogliono le basi e la conoscenza diretta sul campo. E tutto questo significa andare a trovare i “grandi” e sostare nelle cucine più impegnative e creative per farsi le ossa. Così dopo Bergamo e dintorni ar-
riva la chiamata per fermarsi da Enrico Crippa, con un passaggio di un anno nel più disimpegnato La Piola e poi come chef de partie nel tristellato Piazza Duomo ad Alba. Uno dei ristoranti più celebrati non solo in Italia, ma anche presente da tempo nelle primissime posizione della famosa lista mondiale dei 50 Best. Insomma, un banco di prova non indifferente, anche perché è ben conosciuta la maniacale precisione di Enrico Crippa nella costruzione dei suoi piatti e nel sapersi scegliere collaboratori che non lascino nulla al caso. «Da Enrico - ricorda Stagi - ho trascorso tre anni fondamentali. Uno alla pasticceria e panificazione, poi qualche mese ai primi e in seguito sono diventato responsabile dell’organizzazione dell’orto, delle insalate e degli antipasti caldi. È stato un banco di prova duro, che mi ha fatto crescere professionalmente e che, tra l’altro, mi ha anche permesso di conoscere la mia compagna Laira Deisy, che oggi lavora al mio fianco e mi segue nei ristoranti». Sì, perché una volta concluso il ciclo di esperienze nel ristorante di proprietà della famiglia Ceretto, la scelta per ampliare gli orizzonti è caduta sul Belgio. Soprattutto perché Marco voleva cambiare aria e al tempo stesso non finire in una brigata troppo numerosa. «Non mi piaceva l’idea di entrare in un ambiente
maggio 2017 dove girano troppi cuochi. L’idea di partenza è stata quella di trovare una cucina piccola ma di qualità, così mi sono imbattuto in Hof Van Cleve, il ristorante tristellato di Peter Gossens nella brughiera non troppo distante da Gent. Gli ho mandato immediatamente una richiesta e mi hanno accettato, cosa che, devo dire, è stata piuttosto sorprendente, visto che in trent’anni di grande cucina e di stelle Michelin pesanti, mai nessun italiano era entrato da Hof Van Cleve. Peter Goossens, poi, che ha 52 anni, nel nord Europa è un mito, fa una cucina con molta Francia nel piatto, visto che non siamo a troppi chilometri dal confine, ma questa risulta sempre essere un delizioso mix che prevede anche l’utilizzo di molte delle prelibatezze locali». Marco Stagi, che ora lavora agli antipasti ma dalla fine dell’estate verrà dirottato sulle verdure, racconta di come la materia prima di qualità sia imprescindibile a questi livelli. «Qui, quando arrivano i fornitori, o il piccolo produttore, ti rendi conto che nulla è lasciato al caso e che sulla qualità dei prodotti non si scherza. Dall’asparago bianco ai piccioni, fino agli scampi che arrivano dalla Francia o le ostriche olandesi. Per non parlare delle radici del luppolo, ricercatissime e dal prezzo quasi inavvicinabile, visto che costano circa 155 euro al chilo. Eppure, proprio queste sono la base, nella stagione invernale, per la preparazione di piatti locali deliziosi e richiestissimi». Hof Van Cleve è un ristorante a dir poco affascinante, immerso nella campagna delle Fiandre, tra le dolci colline che si vivacizzano in primavera con la classiche ciclistiche del calendario internazionale, ma che godono di una tranquillità e di una pace assoluta. Stupisce davvero che il ristorante sia praticamente sempre fully booked (stupisce per la posizione defilata e per il prezzo importante dell’esperienza a tavola…), ma una volta seduti al tavolo si è immersi in un percorso gastronomico che non lascia spazio a inciampi di nessun tipo. La perfezione è frutto di un equilibrio rodato negli anni, di gesti sapienti della sala dove l’ospitalità è eleganza e misura. Dove ci si sente a casa e si è coccolati con stile. La cucina poi gioca le sue carte su più fronti. Si può scegliere due percorsi dettati dalle eccellenze del mercato o da quello che offre la natura, dal bosco all’orto. Oppure pescare in una carta dove si passa dalle merluzzo del Mare del Nord con porri, cozze e prezzemolo all’Agnello da latte del Lozere, con sedano e mostarda. I piatti rivelano uno spiccato gusto globale (non mancano te matcha, kumquat o chorizo a dare sensazioni etniche ai piatti), ma l’equilibrio regna sovrano e parole come delicatezza e armonia sono quelle che passano più spesso per la mente nel corso della degustazione. Marco Stagi non ha dubbi. L’idea è di fermarsi un po’ da queste parti. «Anche perché - dice - non resto quasi mai a casa. Mi diverto nei giorni liberi a visitare le città belghe e a vedere come lavorano gli altri cuochi». Però Bergamo rimane nel cuore e il sogno è quello un giorno di tornare. «Sì, mi piacerebbe un giorno rientrare e aprire un ristorante con la vista su uno scorcio suggestivo come quello di piazza Pontida. Ditelo, se capita, a quegli imprenditori che hanno voglia di investire…».
Sedicesimo Secolo, la sfida di Simone Breda e della sommelier di Bonate
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ucina interessante e in crescita quella del trentunenne Simone Breda, che da un anno a questa parte ha piazzato le tende nella piccola frazione di Pudiano di Orzinuovi, in piena campagna bresciana, non troppo lontano dalla Bergamasca. Insieme alla compagna, la sommelier e maitre Liana Genini (nativa di Bonate) ha rilevato nell’aprile del 2016 un’insegna di cucina tradizionale e, dopo un restyling del luogo, ha iniziato a dare segnali di uno stile personale, che è un po’ l’unione delle passate esperienze maturate (ha studiato all’alberghiero di San Pellegrino, ma poi si è spostato quasi subito da Marchesi a L’Albereta, da Cedroni al sushi bar Clandestino e, a seguire, in un paio di hotel nella Svizzera francese) con un tocco contemporaneo appena accennato, ma che rende le preparazioni delicate e avvincenti. Come accade per il Rombo con asparagi, levistico e una riduzione affumicata al limone, oppure con il Risotto che vive dei colori e delle incisive sfaccettature di diversi tipi di polvere (da quella ai capperi al limone, ancora presente) e del soave succo d’arrosto vegetale. Un piatto che in qualche modo riporta al mondo marchesiano, ma che dice anche della passione di Simone Breda per le acidità e i giochi di contrasti. La cucina parla anche la lingua del territorio circostante, ma non ci si cimenta tra piatti della tradizione; piuttosto è un attento utilizzo della materia prima offerta dai campi e dalla pianura, a partire proprio dalla verdura. Il Sedicesimo Secolo, insegna che ricorda la storia antica della frazione, un feudo dei conti Caprioli, va a coprire un vuoto territoriale in un’area geografica dove serviva una novità giovane e intraprendente, capace di lanciare dei segnali di creatività. Oltre al menù alla carta, ci sono anche due percorsi (carne e pesce), ma ci si può affidare anche ad un menù carta bianca dove sceglie il cuoco. Per i vini invece si seguono i consigli di Liana, che sa indirizzare tra etichette che esplorano la vicina Franciacorta e le grandi regioni vinicole italiane. Con qualche puntata in Francia. (g.spot.)
Simone Breda e Liana Genini (foto Fulvio Cavadini)
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Focus di Laura Bernardi Locatelli
Chef stellate
Brillano in cucina, meno sui media L’Italia vanta, a livello mondiale, il maggior numero di chef premiate dalla Guida Michelin. Eppure, sotto i riflettori finiscono quasi sempre gli uomini. Abbiamo chiesto a tre cuoche di spiegarci il fenomeno. Ecco cosa ci hanno risposto
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e grandi cuochi come Paul Bocuse, Roger Vergè e George Blanc non hanno mai nascosto di dover tutto alle donne, a partire da La Mere Brazier, è duro a tramontare il pregiudizio secondo cui quella dello chef sia una carriera prettamente maschile. Un lavoro di sacrificio per un uomo, figuriamoci per una donna, chiamata da sempre a tessere e tenere le fila di equilibri familiari spesso in bilico. E invece, dati alla mano, la cucina italiana si declina al femminile, non solo per tradizione nelle cucine casalinghe dove ancora si spadella (ahimè sempre meno), ma anche nei ristoranti più blasonati. Con 45 chef stellate Michelin, l’Italia detiene un vero e proprio record mondiale della “cucina d’autrice”. Sono infatti solo 134 le donne premiate dalla Guida rossa in tutto il mondo. In moltissimi casi sono davvero “Wonder woman”, da São Paulo in Brasile alla Slovenia. Da Helena Rizzo, architetto ed ex super modella brasiliana, migliore chef al mondo nel 2014, ad Ana Ros, miglior cuoca in carica World’s 50 Best, nonché ex sciatrice della nazionale jugoslava e laureata in relazioni internazionali, che a Caporetto ha scelto la cucina con relativa disfatta della sua carriera diplomatica. La maggior parte delle chef di casa nostra è autodidatta e ha fatto studi, quasi sempre universitari, in tutt’altro campo. A molte è toccato lavorare gomito a gomito con la suocera come executive-chef e chissà che non sia stato
proprio questo doppio stress a farle brillare in cucina, fino a catturare una o più stelle Michelin. Le donne hanno risollevato e portato in alto ristoranti di famiglia in località nella maggior parte dei casi sperdute, hanno trasformato in indirizzi esclusivi agriturismi (è il caso di Caterina Ceraudo) o addirittura pub (Maria Cicorella). Molte non hanno rinunciato a metter su famiglia, anche numerosa: è il caso di Nadia Vincenzi, 4 figli e 9 nipoti, e di Katia Maccari, mamma di tre bambini, per citarne solo alcune. Eppure i riflettori sono quasi sempre puntati sui colleghi maschi, salvo qualche rara eccezione, in particolare le tristellate, tutte orgogliosamente autodidatte, Nadia Cavaliere Santini e Annie Feolde, che hanno portato la cucina italiana ai massimi livelli. Dalla prossima stagione Antonia Klugmann - chef de “L’Argine di Vencò” di Dolegna del Collio che ha detto addio a un futuro da avvocato - prenderà il posto di Carlo Cracco nella giuria di Masterchef, talent che tutti gli addetti ai lavori rinnegano bollandolo come diseducativo, ma che di fatto, a suon di record di ascolti, riuscirà - si spera - a far brillare la cucina in rosa. Nel frattempo, abbiamo chiesto a due chef stellate, Loredana Vescovi e Nadia Vincenzi, e alla presidente dei ristoratori bergamaschi Ascom, Petronilla Frosio, di ripercorrere la loro storia professionale e di svelare i segreti di una cucina orgogliosamente femminile, dalla spesa accurata alle paste fresche, dalla sensibilità alla passione.
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Nadia Vincenzi Ristorante “Da Nadia” a Castrezzato
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adia Vincenzi, chef del Ristorante “Da Nadia” di Castrezzato, dove brilla dal 2011 la stella Michelin, che già aveva conquistato nel 2000 “Al Desco”, a Sarnico, questo lavoro lo vive e respira tutti i giorni sin da ragazzina. Gli anni spensierati delle Superiori, a ragioneria, quando viene eletta Miss Molise, lasciano presto il passo a grandi responsabilità. Un brutto incidente in auto costringe ad una lunga convalescenza i suoi genitori Valter e Liliana, così a Nadia e a suo fratello Bobo, da anni ristoratore affermato del Ribo di Guglionesi,
tocca mandare avanti il ristorante di famiglia. «Ci muovevamo all’alba con una 600 sgangherata, senza ancora la patente, per acquistare il pesce al mercato di Termoli, dove a trattare
sul prezzo e ad aiutare mio fratello a caricare casse ero l’unica ragazzina» racconta Nadia Vincenzi. Sulla conoscenza del pesce e sull’amore per la cucina ha costruito poi il suo successo, dopo essersi dedicata al mestiere di mamma, anche in questo campo in grande, dato che ha messo al mondo ben quattro figli. Ai fornelli si è dedicata in pianta stabile dal 1990, iniziando a fare apprezzare la sua cucina di pesce a San Giuseppe di Rovato, in provincia di Brescia, dove è approdata “con l’alta marea” - ama dire scherzando -, per amore. Nel 1993 riparte da zero, aprendo “Al Desco” a Sarnico, che da sola, divisa tra gestione e cucina, riesce a fare apprezzare come uno dei templi lombardi del pesce, premiato dalla Michelin con la stella all’inizio del nuovo millennio. Nel 2003 è costretta a chiudere il ristorante per un intervento alle gambe, che le impone di rinunciare ai fornelli per un bel pezzo. Fino al 2004, quando sfida le nebbie padane e decide con coraggio di portare i sapori dell’Adriatico in piena campagna a Castrezzato, dove il rombo dei motori del vicino autodromo si mischia ai muggiti nelle stalle. «Solo una donna poteva riuscire a trasformare una vecchia trattoria dismessa in mezzo alla campagna e lontana da tutto in un ristorante ricercato - ammette con orgoglio -. Riuscire qui è stata una soddisfazione doppia». “Da Nadia” è un locale elegante, che come la chef-patronne rifugge ogni etichetta, dove si può gustare, con tanto di bavaglia, una zuppa di pesce pantagruelica cotta e servita nel coccio, buona da leccarsi le dita. «Non la toglierò mai dal menù, assieme ad altri piatti semplici della tradizione. Ci vuole più tempo a pulire bene i canolicchi dalla sabbia che a fare tante schiume e salsine come va tanto di moda» spiega la “pasionaria del pesce”. Per lei ogni notte i camion
provenienti da Chioggia e diretti al mercato del pesce di Milano fanno una deviazione: escono al casello di Palazzolo sull’Oglio e le consegnano i migliori prodotti ittici, come le schie di laguna, da provare abbinate alla polentina bianca. Nadia Vincenzi non nasconde i sacrifici del mestiere: «È un lavoro che dà tanto, ma tanto toglie. Da un lato la famiglia inevitabilmente risente di questi ritmi di lavoro, dall’altro è un piacere ritrovare ai tavoli con i loro bimbi ragazzi che ho visto crescere, che conosco da quando erano in fasce e ora han messo su famiglia. Dà significato e un’idea di continuità ai 27 anni in cui non ho festeggiato Natale, Capodanno e Pasqua». Quanto alla cucina, non ha dubbio che sia un regno femminile: «Anche se la ribalta è sempre e solo per i colleghi, le donne sono nate in cucina e l’amore che ci mettono, anche da chef, è diverso. Perché siamo più generose, perché ci mettiamo l’anima. Non a caso mi affianca in cucina una donna, Julia, che è partita come lavapiatti e si è fatta presto strada con talento e carattere. La mia è una cucina semplice, che esalta la tradizione, che difficilmente impiega più di tre ingredienti, selezionati personalmente. Ogni notte attendo il carico del pesce e le mie vacanze le passo in giro per l’Italia a scovare prodotti interessanti, pronti ad esaltare la mia cucina di mare, dai pomodori Marinda di Pachino ai legumi molisani». E ora la chef dalle mille vite è pronta a ripartire di nuovo da capo, quest’estate (l’idea è aprire a luglio) con il nuovo ristorante “Da Nadia in Franciacorta” a Erbusco, in un’antica cascina di proprietà della famiglia Moretti (Bellavista, L’Albereta): «La mia clientela potrà contare su uno spazio esterno curatissimo e su sale con camino dal fascino d’altri tempi. Quanto a me, finalmente avrò casa sopra al ristorante, una comodità che mi mancava».
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Focus
Ristorante
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etronilla Frosio, del “Ristorante Posta” di Sant’Omobono Terme, erede di una tradizione di famiglia che dura dal 1910 e presidente del Gruppo Ristoratori Ascom aveva le idee chiare da ragazzina, con tre punti fermi: «Ho sempre detto che non avrei mai lavorato in questo campo, che non avrei mai sposato il figlio di un ristoratore e che avrei avuto una famiglia grande, con cinque figli. E ho fatto poi l’esatto contrario perché nella vita poi i programmi cambiano». O forse, come saggezza popolare insegna,“mai dire mai”. Il suo intento era quello di darsi a conti e numeri, così dopo la maturità scientifica, si era iscritta a Economia e Commercio. Poi a 23 anni, a furia di trovarsi a dare una mano in famiglia nella gestione dell’attività, ha finito con l’appassionarsi a tal punto da esserne irreparabilmente e senza scampo imbrigliata. «Ovviamente in cucina ci ero entrata ben prima, poco più che bambina - racconta -. Con mia sorella ci giocavamo
Loredana Vescovi Antica Osteria dei Camelì di Ambivere
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oredana Vescovi questo lavoro si può dire l’abbia sposato qualche mese prima del matrimonio ufficiale con Camillo Rota. A dicembre 1985 si è presa una pausa dal lavoro di addetta paghe e contributi in uno studio per lavorare a fianco della futura suocera Fernanda Paredi, classe 1930, ancora oggi in cucina all’Antica Osteria dei Camelì di Ambivere. «Ma non è stata una prova del fuoco prima del nostro matrimonio a giugno del 1986 - precisa con un sorriso Loredana Vescovi -. Con mia suocera siamo andate subito d’accordo e io le ho rubato giorno dopo giorno il mestiere con gli occhi. Dopo tre mesi ho chiamato lo studio per dire che non sarei più tornata e dal 1° gennaio del 1986 sono sempre in questa cucina, dalle 7.30 alle 16 e dalle 18.30 a mezzanotte se va bene, ma anche all’una e alle due di notte. Unica eccezione, in 30 anni, uno stage da Angelo Paracucchi ad Ameglia nel 1993». La passione per la cucina è stata subito grande e l’ha spinta ad alzare presto l’asticella, fino a farsi strada, lasciando che fossero i piatti a parlare per lei. Fino ad
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ottenere nel 2006 per lo storico locale, una cascina del Cinquecento, dal 1856 gestita dalla famiglia Rota, la stella Michelin. Quella del Camelì è sempre stata ed è tuttora una cucina totalmente al femminile, custode della tradizione per scelta ma creativa per natura: «Siamo tutte donne in cucina e in pasticceria. Lavoriamo da talmente tanto tempo assieme, che ormai ci basta uno sguardo per intenderci. Credo che le donne abbiano una naturale propensione per la cucina, per nutrire, ricevere, accogliere. Ce l’abbiamo nel dna». Quella femminile, secondo Loredana Vescovi, è una cucina diversa, con più cura e più cuore: «C’è più attenzione nella preparazione, ma anche amore per i dettagli, la pulizia e l’ordine, che credo comunque emerga. Io, ad esempio, amo svuotare e ripulire tutti i cassetti in cucina con una certa frequenza, passo molto tempo a preparare i fiori che abbelliscono la tavola. Non so quanti miei colleghi facciano altrettanto». E poi c’è la sua passione per le paste fresche, un campo in cui le donne, dalle sfogline emiliane alle “mamme” di
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Petronilla Frosio e Posta di Sant’Omobono Terme sempre a turno, con tanto di sorteggio, le incombenze di sala o di cucina: nessuna di noi voleva andare a servire ai tavoli perché la timidezza di quell’età aveva sempre il sopravvento e stare davanti ai fornelli metteva al riparo da ogni imbarazzo. Ed io ero ben contenta di starmene dietro le quinte. Ancora oggi mia sorella Luisa, che lavora in sala, ci scherza sopra e dice che alla fine ci ho perso io a starmene rinchiusa in cucina». La forza dei Frosio è sempre stata la famiglia, ma Petronilla non nasconde come a volte lavorare insieme non sia facile: «Ci sono tanti equilibri da gestire. La tensione è altissima e le nostre famiglie sono sempre sull’orlo di una crisi di nervi, che fortunatamente non scoppia mai o quasi mai», sottolinea ridendo. Nella sua cucina non ci sono altre donne, ma solo per il fatto che non sono molte le chef a proporsi. «Sono tutti uomini, ma non ho mai avuto problemi a gestire la
brigata - precisa, stretta nella giacca cifrata a doppiopetto -. Per le donne, ma vale anche per chi lavora in sala, è una professione totalizzante che lascia poco spazio ad altro. Gli uomini si dedicano più alla carriera, alle donne toccano doppie fatiche, quella professionale e privata». La numero uno dei ristoratori Ascom è convinta che la cucina nasca femmina: «Nelle cucine sparpagliate in tutta Italia ci sono sempre state solo che donne e la tradizione l’hanno custodita e tramandata senz’altro loro. E la cura che ci mettono è indiscutibile, è materna, senza esibizioni o azzardi. Io credo che il tocco femminile si percepisca». Nella veste di presidente dei ristoratori non manca di invitare le colleghe ad una maggiore partecipazione alla vita associativa: «So quanto sia duro ritagliarsi del tempo per riunioni e confronti, però non è solo stando rinchiuse in cucina che riusciremo a valorizzare il nostro lavoro».
orecchiette e busiate, eccellono da sempre. Lavorare in famiglia, con il marito Camillo in sala, è naturale per la chef del Camelì, che sembra smorzare sul nascere qualsiasi tensione e litigata casalinga: «La nostra forza è la famiglia. Ci si sopporta e capisce al volo e di fatto non si è mai litigato davvero in tanti anni di lavoro assieme. È anche forse l’unico modo per vedersi, con un lavoro che di tempo libero ne lascia davvero poco». I sacrifici del mestiere sono tanti e per una donna diventano doppi: «Io non ho figli, ho la fortuna di lavorare con mio marito e per andare a casa devo solo salire le scale. È faticoso a volte conciliare tutto per me, non oso immaginare come faccia chi ha bambini da crescere» ammette Loredana Vescovi che, tra una lievitazione e l’altra, sta pensando al cambio armadi continuamente rinviato. È un mestiere che comunque consiglia, purché lo si faccia per convinzione: «Alle aspiranti chef raccomando di mettere la passione al primo posto e di usare gli ingredienti migliori, perché specialmente in questi anni difficili la qualità ripaga sempre. Avere un rapporto diretto con i produttori porta a rispettare al massimo la materia prima e a far sì che essa si esprima al meglio. Per farsi strada ci vuole carattere, ma non serve sgomitare: è meglio rubare il lavoro con gli occhi e farsi valere perché quello che fai vale davvero». Anche perché i pregiudizi esistono ancora: «Tante volte mi capita di rispondere al telefono e di sentirmi chiedere dall’altra parte della cornetta di parlare con lo chef...».
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appuntamenti Dal primo al 4 giugno
IL 3 GIUGNO
San Pellegrino, in festa 100 birre bergamasche
“Gromo sempre in forma”, sfida tra i formaggi della Val Seriana
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a birra artigianale made in Bergamo ha il suo evento più grande in BeerGhem, la festa organizzata a San Pellegrino dal birrificio Via Priula, dedicata ai produttori del territorio e alla cultura brassicola. Quest’anno la rassegna si sviluppa su quattro giornate, dal primo al 4 giugno. Protagonisti 11 birrifici, ad offrire un panorama di circa cento birre. Oltre ai padroni di casa del Via Priula, ci sono Elav (Comun Nuovo), Lemine (Almenno San Salvatore), Otus (Seriate), Kaos (Grumello del Monte), Valcavallina (Endine Gaiano), Del Lago (Sarnico), Della Ghironda (Brusaporto), Endorama (Grassobbio), Monangi (Dalmine) e Adda (Brembate). La scoperta delle diverse etichette si affianca alla gastronomia e a percorsi di gusto. Lo chef Pier Milesi, del ristorante Bigio, ogni giorno preparerà un menù dedicato a BeerGhem con gli allievi dell’Istituto alberghiero di San Pellegrino. Sono inoltre in programma degustazioni, un mercato alimentare, didattica, dibattiti, incontri, senza dimenticare la musica dal vivo e dj set. La manifestazione è realizzata con la collaborazione della Compagnia del Luppolo e il patrocinio del Comune. www.birrificioviapriula.it/beerghem
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andiera Arancione del Touring Club e nel novero dei Borghi più Belli d’Italia, Gromo è orgogliosa anche dei suoi formaggi. Da sei anni a questa parte l’Amministrazione comunale organizza il concorso caseario “Gromo sempre in forma” con l’obiettivo di favorire il confronto tra i produttori e promuovere le produzioni locali. L’appuntamento è sabato 3 giugno per una sfida che vedrà protagonisti la Formaggella della Val Seriana, lo Stracchino e il Formaggio di Monte delle aziende e dei contadini del paese e dei comuni circostanti, che saranno giudicate dagli esperti Onaf e Coldiretti. Dalle 10 alle 18, intanto, nella bella
piazza Dante sarà organizzato un mercato di prodotti alimentari e saranno proposte visite guidate e laboratori didattici. Un’occasione per conoscere ed assaporare tradizioni ben conservate, scoprire il borgo fortificato e godere dell’ambiente montano. La manifestazione è inserita nel calendario “7 Comuni X 7 eventi” che si snoda fino a settembre sul “Sentiero dei Sapori” che comprende, oltre a Gromo, Villa d’Ogna, Oltressenda Alta, Ardesio, Valgoglio, Gandellino e Valbondione ed è realizzato nell’ambito del progetto di valorizzazione enogastronomica “Sapori Seriani”. www.gromo.eu
Dal 2 al 18 giugno
Franciacorta, il Festival d’Estate si gusta in tre week end
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l Festival d’Estate in Franciacorta, quest’anno, ha un ampio prologo che permette di conoscere a fondo il territorio. Dal 2 al 16 giugno è infatti in programma Aspettando il Festival d’Estate, due settimane durante le quali le cantine e le strutture ricettive della Strada del Franciacorta apriranno le porte per visite, degustazioni, menù tematici. Il weekend dal 2 al 4 giugno, in particolare, sarà dedicato alla cultura: con il patrocinio del Fai–Delegazione di Brescia, si andrà alla scoperta dei luoghi più segreti della Franciacorta, solitamente inaccessibili al pubblico. Il fine settimana del 10 e 11 giugno sarà invece dedicato allo sport, con escursioni a piedi e in bicicletta con tappa in cantina. Tra queste anche la “Pedalonga”, pedalata
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enogastronomica tra il lago d’Iseo e la Franciacorta su un percorso di 45 chilometri senza alcuna difficoltà tecnica (domenica 11 maggio, con partenza da Iseo). Il 17 e 18 giugno si entrerà nel vivo del Festival: sabato cantine e produttori agroalimentari organizzeranno micro eventi con degustazioni, mentre ristoranti e agriturismo proporranno cene tematiche. Domenica Palazzo Monti della Corte di Nigoline di Corte Franca farà da cornice ad una grande festa en plein air, Brunch Pic Nic con i piatti degli chef franciacortini e Banco d’assaggio di Franciacorta con la presenza di 52 cantine. L’organizzazione è della Strada del Vino Franciacorta. www.franciacorta.net
maggio 2017 27 e 28 maggio
Dal 13 al 18 giugno
Food Film Fest, cinema e cibo nel cuore di Bergamo
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inema e cibo si incontrano nel cuore di Bergamo con Food Film Fest, la manifestazione che coniuga le migliori produzioni cinematografiche provenienti da tutto il mondo dedicate al food e i prodotti enogastronomici del territorio. Tutte le sere dal 13 al 18 giugno al Quadriportico del Sentierone si potrà assistere alle proiezioni, ad ingresso libero, dei 34 film in concorso e al termine spostarsi alla Domus di piazza Dan-
te e partecipare alle degustazioni guidate per conoscere da vicino le eccelenze delle filiere locali, in collaborazione con i produttori di Coldiretti Bergamo. Promosso dall’Associazione Montagna Italia e dalla Camera di Commercio di Bergamo, il festival ha raccolto nel corso degli anni oltre 1.000 film da 80 nazioni. Attraverso le immagini si viaggia attorno al mondo, si incontrano piatti, culture e tradizioni e si scoprono innovazioni nel campo dell’agroalimentare. Quest’anno per la prima volta sono in programma anche due sessioni di proiezioni al pomeriggio. Domenica 18 giugno alle 20.45 la premiazione dei vincitori. www.foodfilmfestbergamo.com
Dal 26 al 28 maggio
Le bontà dei laghi in vetrina a Iseo
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deato ed organizzato dal Comune di Iseo a partire dal 2010, il Festival dei Laghi è l’unico evento in Italia dedicato alla valorizzazione dell’ambiente lacustre dal punto di vista turistico, ambientale, culturale e gastronomico. Una vera e propria vetrina per gli specchi d’acqua italiani ed europei. L’edizione 2017 è in programma da venerdì 26 maggio a domenica 28 ed ha come fulcro “Bontàlago”, fiera dei prodotti tipici delle località ospiti, e numerose occasioni culturali, di intrattenimento e di scoperta del territorio. Fil rouge della manifestazione è anche l’olio dei laghi, al quale sono dedicati la rassegna Girolio d’Italia e showcooking tematici, con la partecipazione di Francesca Marsetti, chef della trasmissione tv La Prova del Cuoco. In campo anche i ristoratori della Valle Camonica e gli operatori turistici di Clusane. Tante, poi, le occasioni per vivere il lago: in crociera sui luoghi di The Floating Piers, in barca a vela, facendo nordic walking o pedalando. Non mancano gli eventi sportivi, come la maratona del remo e la dimostrazione dei naècc, le tipiche imbarcazioni del lago d’Iseo. La domenica si può raggiungere la manifestazione con un mezzo davvero insolito. Parte infatti dalla stazione ferroviaria di Bergamo (ore 9.55) lo speciale treno d’epoca a vapore sulla la linea Palazzolo-Paratico/ Sarnico, da dove è organizzato il trasferimento in battello per Iseo. Il programma della giornata comprende il pranzo tipico a Clusane. www.festivaldeilaghi.it – www.ferrovieturistiche.it
Cantine Aperte, si stappa l’edizione numero 25
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abato 27 e domenica 28 maggio è il fine settimana di Cantine Aperte, l’appuntamente più amato del Movimento Turismo del Vino che propone degustazioni e visite nelle aziende associate di tutta la penisola, dalle Alpi all’Etna, per un totale di circa 900 indirizzi. Favorendo il contatto diretto tra produttori e appassionati di vino, l’iniziativa, che quest’anno festeggia il 25esimo, è diventata nel tempo una filosofia, uno stile di viaggio e di scoperta dei territori. Oltre a dare la possibilità di assaggiare i vini e di acquistarli direttamente in azienda, permette di entrare nelle cantine per scoprire i segreti della vinificazione e dell’affinamento e di partecipare gli eventi organizzati dai padroni di casa. In Lombardia si celebra domenica 28 maggio, in 54 aziende. In Valcalepio apriranno le porte l’azienda agricola Angelo Pecis di San Paolo d’Argon, Medolago Albani di Trescore, Locatelli Caffi di Chiuduno, Tenuta Castello di Grumello di Grumello del Monte e Tallarini di Gandosso. Il Movimento Turismo del Vino raccomanda di verificare sempre con le cantine le date e gli orari di apertura. www.movimentoturismovino.it
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The Green Wire di Rosanna Scardi
Tre bergamaschi in bici per rilanciare il mondo “bio” Un tour lungo lo Stivale in difesa della terra e dei suoi prodotti. Ne nascerà un documentario
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ercorreranno mille chilometri, 120 al giorno, in bicicletta, il mezzo sostenibile per eccellenza. L’obiettivo di tre ragazzi bergamaschi è testimoniare la varietà del mondo bio in Italia girando il documentario autoprodotto che dà il nome al loro progetto, “The green wire”. I protagonisti dell’avventura su due ruote sono Alfredo Amadori e Sergio d’Adda, entrambi di 27 anni, il primo, commesso in un negozio di prodotti biologici e organizzatore dell’iniziativa, l’amico dipendente in un’azienda di spedizioni, e Alessandro Pagnocelli, 26, perito informatico. Simbolo del viaggio è una ruota dalla forma di un gomitolo di filo verde, opera del fumettista Marco Locati, lo slogan è “Si gira in bio” e promotore del viaggio è Spazio Gate della Malpensata, in città. La partenza è fissata per il 18 giugno. A girare le riprese del film sarà Simone Marchi che seguirà la spedizione a bordo di un’auto gpl. «Vogliamo mostrare ai nostri coetanei come il rispetto della terra possa essere la chiave per risolvere molti problemi - spiega Alfredo -. Se consumiamo cibo sano garantiamo la nostra salute e se il prezzo è equo si rispetta anche il lavoro di chi opera nella filiera, oltre ad adottare un comportamento etico che salvaguarda la biodiversità del pianeta». Al centro del documentario ci sono l’amore per l’ambiente, la qualità dei prodotti, la spesa consapevole, l’istruzione, la formazione e il trattamento dei lavoratori. Le aziende che saranno visitate lungo il percorso sono tut-
te certificate, nessuna offrirà denaro ai tre giovani per avere visibilità. L’unica richiesta dei ragazzi? Vitto e alloggio. La prima tappa sarà all’apicoltura Casa Pietra di Salsomaggiore Terme, in provincia di Parma, dove si tratterà l’importanza delle api per l’ecosistema. Poi si andrà all’azienda agricola Podere Roccolo a Rimini, specializzata in ortaggi, legumi, erbe aromatiche e conserve, alla Girolomoni di Montebello, leader nell’export del bio, fondata da Gino, cresciuto tra i valori contadini e che è riuscito a fermare la fuga dalla campagna. Alla Delicious Nature di Ascoli Picieno si approfondirà la coltivazione dello zafferano, alla Sant’Angelo di Termoli la biodinamica. Prima di visitare il frantoio Galantino di Bisceglie, i tre giovani documenteranno lo sfruttamento dei braccianti nel ghetto di Rignano Gar-
ganico, nel Foggiano, dove il caporalato arruola i migranti, che vivono ammassati in baracche, pagandoli due euro a cassone di pomodori. Le mete saranno documentate sui social con un doppio appuntamento live quotidiano e articoli pubblicati sulla pagina Facebook The green wire. «Creeremo e sfrutteremo una piattaforma di comunicazione anche attraverso un canale YouTube e una vera redazione che diffonderà articoli divulgativi, in modo da poter avere, prima e durante il viaggio, un contatto diretto con chi ci seguirà. Lo chef vegano bergamasco Stefano Broccoli preparerà un piatto con i prodotti di ogni azienda e, una volta tornati a casa, organizzeremo dei The green wire workshop - anticipa Amadori -. Mostreremo tutto il materiale raccolto durante il progetto per continuare a tendere il filo verde».
L’INIZIATIVA
maggio 2017
Oltre le aspettative il bilancio dell’operazione solidale promossa dal Rotary che, dall’ottobre scorso, ha coinvolto 38 locali nella raccolta di donazioni per le famiglie in difficoltà. Il 25 maggio evento finale alla Cantalupa
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La consegna dei primi fondi alla Caritas. Da sinistra: Andrea Lombardini, don Claudio Visconti, Marco Bertoli, presidente del Rotary Club Bergamo Città Alta, e il direttore dell’Ascom, Oscar Fusini
La Cena Sospesa regala pasti per 30mila euro a cifra esatta si conoscerà dopo l’evento finale, in programma il 25 maggio. Il parziale a pochi giorni dalla chiusura è però già andato oltre le migliori aspettative: circa 30mila euro raccolti nei 38 ristoranti bergamaschi che hanno partecipato alla Cena Sospesa, l’iniziativa promossa dal Rotary Club Bergamo Città Alta, e supportata anche dall’Ascom, per donare pasti alle persone in difficoltà. Partita a metà dello scorso ottobre e ispirata alla tradizione napoletana del “caffè sospeso”, l’operazione chiedeva ai clienti dei locali un analogo gesto di solidarietà, depositando in un’apposita teca una (anche minima) donazione. I fondi raccolti sono stati man mano trasformati in buoni pasto da 20 euro e destinati alle famiglie assistite dal fondo “Famiglia e Lavoro” della Caritas diocesana. «La risposta dei bergamaschi e dei ristoratori è stata ottima - commenta con soddisfazione Marco Bertoli, presidente del Rotary Città Alta –. Dobbiamo ringraziare, in particolare, una decina di locali particolarmente attivi nel promuovere le motivazioni e gli obiettivi del progetto». Arlecchino in piazza Sant’Anna, Circolino di Città alta e Caprese di Mozzo su tutti. Tre insegne dal target differente, a sottolineare la trasversalità della
partecipazione, premiate anche dalle “conviviali” del Club. «Elementi caratterizzanti del progetto sono stati il concetto di liberalità, ognuno cioè donava quanto voleva e poteva – evidenzia Bertoli -, e il fatto che la raccolta è netta. Il nostro Club ha infatti sostenuto tutte le spese per i materiali e la comunicazione così da poter devolvere le offerte per intero. Rispetto ad una semplice donazione da parte nostra alla Caritas la campagna ha innescato un effetto moltiplicatore, ampliando i risultati». «Quando si tratta di dare una mano, i bergamaschi e il mondo della ristorazione non mancano mai – aggiunge il direttore dell’Ascom Oscar Fusini -. La Cena Sospesa ha messo in luce come anche la convivialità possa diventare una chiave per portare aiuto a chi ha bisogno».
E mentre la formula, così come messa a punto dal Rotary cittadino, si appresta ad essere adottata dal Club di Monza, Bergamo è pronta a chiudere in bellezza. Il finale sarà infatti alla Cantalupa di Brusaporto dove la tristellata famiglia Cerea, che ha partecipato all’iniziativa, curerà la cena che raccoglierà le ultime donazioni e tirerà le somme del progetto. Special guest, nel giorno del suo compleanno, lo chef Chicco Cerea che racconterà alla giornalista Paola Abrate la sua “ricetta d’eccellenza”, in piena sintonia con il tema dell’anno rotariano a guida Bertoli, dedicato alle eccellenze bergamasche nel mondo. Sarà una serata interclub con i Rotary Bergamo Ovest, Nord e Sud. La partecipazione è aperta anche ai non soci (per informazioni e prenotazioni info@rotbgalta.org - 347 8454193).
I locali coinvolti In città: Al Bacio, All’Ancora, Osteria Al Gigianca, Arlecchino, Byron, Il Circolino, Da Franco, Gennaro e Pia, Grotta Azzurra, Da Mimmo, Taverna Colleoni. In provincia: Tranquilla (Algua), Ristorante pizzeria Giardino (Almé), Frosio (Almé), Bellaria (Almenno San Salvatore), Caffè dell’Angolo (Azzano San Paolo), Villa Cavour (Bottanuco), Da Vittorio - La Cantalupa (Brusaporto), La Vacherie (Brusaporto), Amalfitano (Calcinate), Dimora storica Tre Re (Caravaggio), Trattoria del Sole (Fiorano al Serio), Al Vigneto (Grumello del Monte), Trattoria Bolognini (Mapello), Incanto (Martinengo), La Caprese (Mozzo), Caffè Rubini (Romano di Lombardia), La Rotonda di Bacco (Roncola San Bernardo), Ristorante Posta (Sant’Omobono Terme), Il Giardinetto (Scanzorosciate), Franco (Seriate), Papillon (Torre Boldone), Della Torre (Trescore Balneario), Al Santuario (Urgnano), Antica Osteria Il Forno (Valbrembilla), Trota (Valbrembilla), Cadei (Villongo), Da Gianni (Zogno).
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Tradizioni di Leonardo Bloch
Alle origini della polenta e osei A Bergamo le modalità di preparazione degli uccelletti differiscono distintamente da quelle in uso nel Bresciano e nel Veneto. Ecco come
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identità culinaria della cacciagione minuta rientra a pieno titolo tra le questioni che paiono fabbricate ad arte per infiammare gli animi dei gastronomi. Già dal XIII secolo si ha notizia delle prime manifestazioni d’oltranzismo, allorché il clinico catalano Arnaldo da Villanova prescriveva al più illustre dei suoi pazienti - il monarca Pietro III d’Aragona - una dieta a base di piccoli volatili. Il dettaglio del singolare regime, al tempo ritenuto particolarmente indicato per corroborare la salute dei convalescenti, era corredato dalla raccomandazione che le bestiole fossero da acchiapparsi rigorosamente con le reti. Gli animalisti dei nostri giorni inorridirebbero dinnanzi alle motivazioni della singolare prescrizione, riaffermate un paio di secoli più tardi da un’altra tra le più autorevoli voci della medicina medievale. Secondo il padovano Michele Savonarola, nonno del burbero fra’ Girolamo che i fiorentini spedirono al rogo nel 1498, tale modalità di cattura era di gran lunga preferibile a quella effettuata per tramite di falconi e civette, in quanto il maggior travaglio indotto alle malcapitate prede ne avrebbe accentuato succulenza e digeribilità. Di opposto avviso, restando nel XV secolo, era il più ascoltato tra i gastronomi della rinascenza. A giudizio di Bartolomeo Sacchi - meglio noto sotto il nom de plume di Platina - gli uccelletti, in ragione della loro natura eccessivamente calda e secca, non solo erano di nocumento per la salute di chi se ne cibava, ma finivano addirittura per suscitare sconvenienti appetiti carnali. Ed il quasi coevo Bernardino da Siena, inflessibile alfiere del puritanesimo francescano, rincarava la dose insinuando che le più incorreggibilmente lascive tra le donne usassero
Immagine da “La Cucina bergamasca. Dizionario enciclopedico” sostentarsi “a polpe di uccellini”. Di qui alla proverbiale metonimia che designa l’organo riproduttivo maschile il passo - quantomeno lessicologico - deve essere stato ineluttabilmente breve. All’interno di questo quadro intrinsecamente turbolento, la polenta e osei rappresenta una parcella tematica vieppiù controversa. Da un canto è tutt’oggi viva la secolare contesa attorno alla paternità del manicaretto, con bergamaschi, bresciani e veneti a disputarsene la progenitura. Poco importa che ci si stia ormai accapigliando sulla filiazione di un trapassato, dato che una raffica di scellerate grida ha difatti spedito l’inarrivabile leccornia nell’Ade delle memorie gastronomiche. Dall’altro, in seno al distretto - e segnatamente quello Orobico - che con maggior veemenza reclama la patente di ideazione della vivanda, infuriano i battibecchi circa le più appropriate modalità del suo approntamento. Le evidenze documentali disponibili - è bene premetterlo - sono piuttosto rarefatte, e nel provare a dirimere le diverse
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diatribe ci si deve addentrare nell’infido territorio delle inferenze. Investigare a fondo il dettato della ricetta - si vedrà successivamente - contribuisce comunque a far luce anche sulla questione delle origini. Di polenta e osei si inizia a scrivere solo in epoca relativamente recente, ovverosia a cavallo tra XVIII e XIX secolo. È singolare - ed al contempo emblematico di un’ambientazione trasversale ai diversi ceti - che le prime menzioni del piatto affiorino in contesto letterario e non gastronomico. “Piatto per i ricchi” - sostiene Silvia Tropea Montagnosi - in quanto questi erano proprietari dei roccoli di cui ci si avvaleva per l’attività venatoria. In realtà la geometria sociale del consumo di selvaggina minuta pare fosse più variabile di quanto presupposto dalla studiosa bergamasca. Almeno sino alla fine del diciassettesimo secolo, la cucina d’alto bordo ha infatti apertamente privilegiato la cacciagione da piuma di grande e media stazza, ignorando le taglie inferiori a quelle di quaglie e tordi. Nel Settecento, tra le pieghe del Vocabolario Bergamasco Italiano Latino di Giovan Battista Angelini, fanno inoltre comparsa tecniche di caccia, con l’utilizzo di becchime a guisa di esca (ampizò) e di archetti per intrappolare i piccoli volatili (archet de ciapà i osei), la cui matrice popolaresca non può passare inosservata. E non pare affatto incidentale che la celebrazione dei passerotti, grazie ai i quali nel XVII secolo l’osteria milanese dei Tri Merla aveva fama, fosse stata affidata alla voce del Meneghino di Carlo Maria Maggi, esponente per antonomasia della plebe urbana. A notizia di chi scrive, il manicaretto fa la sua prima comparsa documentale in uno scherzo ditirambico pubblicato nel 1798 dal padovano Luigi Pastò. Ma è pressoché contestuale (1801) l’annotazione Stendhaliana che ne riporta il servizio nel corso di un ricevimento in terra bergamasca. Qualche decennio più tardi è ancora un francese - il parigino Antoine-Claude Pasquin, autore di apprezzate guide di viaggio - a segnalare che dalle nostre parti “la polenta e uccelli è tra le migliori d’Italia”, sottendendo nondimeno una diffusione piuttosto capillare della vivanda nella penisola. E giusto in quegli anni tocca nientemeno che al sommo Gaetano Donizetti decantare, in una serie di missive da Vienna e da Parigi, l’eccellenza della leccornia così come la si cucinava nelle trattorie di Città Alta o presso da locanda dei Tre Gobbi in Broseta. Chi sostiene che i natali della pietanza siano da tracciarsi all’ombra della Torre del Gombito può dunque produrre, a credito della propria tesi, un apprezzabile corredo di indizi, ma non dispone invero di alcuna evidenza risolutiva. La ricerca della proverbiale “pistola fumante” deve pertanto rivolgersi in direzione delle tecniche di approntamento del leggendario piatto. Non tarda a balzare all’occhio che a Bergamo le modalità di preparazione degli uccelletti differiscano distintamente da quelle in uso nel Bresciano e nel Veneto. Se al di là dell’Oglio i piccoli volatili vengono infatti arrostiti allo spiedo, nel distret-
to più occidentale dell’antica Serenissima la procedura prevede invece la loro brasatura in tegame con l’utilizzo di un goccio di vino bianco. Il discrimine è tutt’altro che irrilevante, al punto di individuare due versioni nettamente distinte di realizzazione della vivanda: da un lato la brustolitura della cacciagione per irraggiamento, dall’altro la sua cottura per convezione in ambiente umido. Quest’ultima - perfezionata con il complemento di lardo o pancetta, abbondante salvia e vino bianco - fa chiaro richiamo ad una prassi tardo medioevale di accomodamento della selvaggina denominata in brodo lardiero (più che di un portata brodosa, si trattava di una pietanza generosamente irrorata del suo fondo). Tale modalità di preparazione, esplicitamente individuata da ingredienti e tecniche di cottura, trova la sua prima codificazione nel quattrocentesco Libro de Arte Coquinaria di Martino da Como, che la riserva alle carni della grande selvaggina da pelo. Ma un secolo più tardi, nella monumentale Opera di Bartolomeo Scappi, il procedimento riscontra utilizzo soprattutto nella preparazione di piatti a base di cacciagione da piuma. E da un inciso del dialogo Il Padre di Famiglia di Torquato Tasso (vedasi AdG del luglio 2015), si apprende senza possibilità di equivoco che la ricetta, di perspicua derivazione nordica, è comunque tipica del circondario di Bergamo. Non sussiste pertanto dubbio che la polenta e osei, così come viene preparata dalle nostre parti, faccia riferimento a modalità di approntamento di irrefutabile matrice locale. E chi gode dell’ormai rarissimo privilegio di potersene concedere - su base esclusivamente casalinga - una porzione, non sia di mano lieve nell’irrorare di vino bianco gli uccelletti durante la loro brasatura. In osservanza al dettato originario della ricetta, la portata deve infatti risultare tutt’altro che asciutta. È del resto risaputo che la polenta, che pur non disdegna alcun accompagnamento, conceda appieno le proprie grazie esclusivamente ai più sontuosi tra gli intingoli di cottura.
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L’evento
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Castro, torna “Festambientelaghi”. E c’è anche la cena stellata a mercoledì 28 giugno fino a domenica 2 luglio, a Castro, sul lungolago, ritorna “Festambientelaghi”, la sagra che porta sulla strada i piatti gourmet. La firma Legambiente Alto Sebino ed è una proposta unica nel panorama delle sagre di paese. Nel menù, infatti, non ci sono casoncelli, formaggi fusi e salamelle, ma piatti ricercati preparati con materie prime di qualità e serviti con la cura di un grande ristorante. Dalle tavole sono banditi piatti, bicchieri di plastica, tovagliette di carta e in cucina vengono usati solo detersivi naturali. La proposta va da specialità locali come gli gnocchi di zucca in bottarga di lago e l’anguilla di nonna Agnese, a ricette straniere passando per piatti vegetariani, vegani, fusion, grill, caseari e persino di street food per chi desidera fare un aperitivo o una cena veloce. Quest’anno la sagra, a confermare la sua unicità, sfodera addirittura una cena stellata: il 28 giugno, per la serata di apertura, Igles Corelli, il grande cuoco emiliano, volto noto di Gambero Rosso Channel, firmerà una cena di alta cucina a bordo lago con alcuni dei suoi piatti più famosi. Sarà l’occasione di sperimentare una cucina stellata a un prezzo più contenuto (65 euro compreso di tutto), con lo scenario del lago e delle stelle. Iscrizioni sul sito www.legambientealtosebino.org (al più presto). Anche quest’anno la sagra sostiene l’Associazione Angelman onlus: 1 euro del coperto sarà destinato a sostenere la Borsa di studio di una ricercatrice bergamasca all’Erasmus Center di Rotterdam. A corredo della proposta enogastronomica, sono previste passeggiate e visite guidate al Parco della gola del Tinazzo, laboratori ecologici per i bambini e incontri tematici. Info: www.legambientealtosebino.org facebook - festambientelaghi Alto Sebino
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IL PUNTO di Anna Facci
da “Festival delle Sagre”
Legge sulle sagre, a Bergamo si sono mossi 70 Comuni
Approvate l’estate scorsa, le novità regionali devono essere recepite dalle Amministrazioni. Ghidotti (Ascom): «Con i Distretti del commercio si è cercato un equilibrio tra le esigenze degli esercenti e il valore delle manifestazioni per la vita dei paesi»
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uella alle porte, in Lombardia, sarà la prima estate “a sagre regolamentate”. Dopo le modifiche legislative introdotte dalla Regione lo scorso anno (a regime da agosto con la pubblicazione delle linee guida per la stesura dei regolamenti comunali), la stagione all’aperto 2017 sarà infatti il primo banco di prova della stretta tanto auspicata da ristoratori, baristi e gestori di locali al proliferare di manifestazioni e ad una competizione non giocata ad armi pari. Sarà la volta buona? Di certo si va verso un quadro più chiaro e normato. Lo strumento chiave della nuova legge è il regolamento che ogni Comune è chiamato ad adottare fissando, in base alle indicazioni regionali, i paletti entro i quali le manifestazioni su suolo pubblico (resta perciò escluso il capitolo delle feste parrocchiali e, in generale, su area privata) possono essere organizzate. Punti salienti sono la durata massima degli eventi, gli obblighi di carattere igienico-sanitario, di sicuRoberto Ghidotti, referente dell’Ascom rezza, lavoro, fiscali, le dotazioni per i Distretti del commercio necessarie, come parcheggi e
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servizi igienici (anche per disabili) e altre previsioni a tutela dell’impatto sull’area. C’è, insomma, una serie precisa di requisiti e obblighi per garantire una concorrenza leale con le attività in sede fissa. In Bergamasca, le Amministrazioni che si sono sinora attivate sul tema sono una settantina, almeno a giudicare da quante (68 per la precisione, su un totale di 242 Comuni), hanno inserito la propria programmazione nel calendario regionale on line delle sagre e fiere, secondo pilastro della normativa, volto a monitorare la distribuzione degli appuntamenti, ma anche a migliorarne il coordinamento e la promozione. La cifra corrisponde alle stime dell’Ascom, che attraverso i Distretti del commercio ha partecipato ai lavori per la redazione dei regolamenti. «Nel confronto con i Comuni c’era la consapevolezza di dover raggiungere un equilibrio tra le richieste degli esercenti – spiega Roberto Ghidotti, referente dell’Ascom per i Distretti – e il riconoscimento dell’importanza che per ciascun paese hanno le manifestazioni organizzate dalle associazioni locali o gli appuntamenti di tradizione». Ne sono scaturiti un metodo e un regolamento “tipo” con alcuni punti caratterizzanti. «Innanzitutto ragionare in termini di distretto anziché di singolo Comune – evidenza il manager di distretto Oliviero Cresta – ha evitato il rischio che territori vicini
maggio 2017 potessero avere regole diverse, che Antegnate, ipotizziamo, fissasse la durata massima in cinque giorni e Barbata in dieci. È stato inoltre proposto un principio di perequazione, prevedendo la possibilità di allungare il periodo di svolgimento se nella sagra vengono coinvolti gli operatori commerciali del paese». «Il distretto – aggiunge Cresta – svolge anche un ruolo di coordinamento delle informazioni, utile per evitare sovrapposizioni negli eventi e assicurare una migliore riuscita». Oggi, del resto, sono spesso i distretti stessi a promuovere manifestazioni che uniscono aggregazione, intrattenimento e somministrazione e, in questa veste, rafforzano il recepimento delle disposizioni regionali. Il distretto di Clusone, ad esempio, ha attivato un bando che assegna 10mila euro di contributi a fondo perduto per la promozione dei prodotti a marchio Sapori Seriani in sagre ed eventi del territorio, a patto che siano inseriti nel calendario istituito dalle norme regionali. «Ora come ora, in Bergamasca, dobbiamo parlare di un recepimento a macchia di leopardo delle novità in tema di sagre – commenta Ghidotti -. Va comunque ricordato che in molti Comuni i regolamenti c’erano già, così come l’attenzione al coinvolgimento dei commercianti locali. Diciamo che la legge avrà come principale effetto quello di fermare o costringere ad una regolarizzazione le iniziative più spregiudicate, quelle che, mascherate dietro una finta associazione solidale o sociale, non avevano altro obiettivo che fare cassetto con la somministrazione di cibi e bevande. Grazie ad un quadro normativo definito, inoltre, gli esercenti hanno ora gli strumenti per tutelarsi dalle feste irregolari, chiedendo al Comune di adottare, se non l’ha fatto, il regolamento previsto o segnalando gli eventi che non vi corrispondono».
Bonate Sopra, Costa Volpino e Sovere i più “festaioli”
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ltre a regolamentarle, le norme regionali sulle sagre vogliono promuovere quelle “autentiche”, capaci di generare attrattività e valore per il territorio. È in quest’ottica che è nato l’Elenco delle sagre e fiere su area pubblica, disponibile nel set degli open data della Regione Lombardia (www. dati.lombardia.it - pulsante “commercio”) e costantemente aggiornato. Pur trattandosi di un’assoluta novità, bisognosa quindi di un certo rodaggio, offre un repertorio già cospicuo di eventi, inseriti dai Comuni con un apposito applicativo. Ad oggi risultano presenti 3.965 sagre (e 492 fiere, collocate nello stesso database) pubblicate da 460 Comuni lombardi. La provincia di Bergamo è terza con 424 sagre, il 10% del totale, segnalate da 68 Comuni. Risultano in calendario anche 85 fiere. La provincia più vivace è quella di Brescia, con 1.467 sagre, seguita da Sondrio (467). Milano è quinta con 316 appuntamenti. Si tratta ancora di una fotografia parziale perché mancano all’appello molti Comuni ma anche perché non tutti hanno interpretato allo stessa maniera il concetto di sagra. Il Comu-
ne di Brescia, ad asempio, ha ritenuto opportuno inserire 95 iniziative, mentre a Milano non risulta nessuna sagra e a Bergamo due, la sagra della madonna di Lourdes, a febbraio in zona San Tomaso de’ Calvi, e la sagra di Colognola a settembre. Se una sagra non figura nel database non significa che non sia autorizzata, perché dipende da come si è mosso il Comune in merito. Il maxi repertorio è però utile per comporre finalmente un quadro del fenomeno e monitorarlo. È anche pensato in chiave di informazione, coordinamento della programmazione e promozione. I dati sono free, organizzabili per chiavi diverse di ricerca e possono dare vita a mappe e applicazioni per uno sviluppo della comunicazione anche in funzione turistica. La norma prevede che i Comuni inoltrino l’elenco delle sagre entro il 15 dicembre di ogni anno, con possibilità di integrazioni e modifiche. I più festaioli in Bergamasca, al momento, risultano essere Bonate Sopra, Costa Volpino e Sovere, con 19 sagre ciascuno, seguiti da Cologno al Serio e Seriate (18) e da Antegnate e Leffe (16).
Numero di sagre presenti nell’Elenco regionale brescia Sondrio bergamo mantova Milano monza e brianza varese como lecco pavia cremona altro
1.467 467 424 372 316 292 265 103 102 76 75 6
36% 11% 10% 9% 7% 7% 6% 2% 2% 1% 1% <1%
dati maggio 2017 - fonte www.dati.lombardia.it
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