Affari di Gola - marzo 2013

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Supplemento al n. 11 de “La Rassegna” del 21 marzo 2013 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60

marzo 2013

in rassegna sapori, gusti e piaceri del territorio

Ristoranti Il riscatto della sala

Il premio

I magnifici sette orgoglio dell’enogastronomia

Cibi certificati

L’intervista

Il fenomeno

Halal, così «Il fast food può si conquistano rilanciare i formaggi i musulmani bergamaschi»

Bergamo, è boom per i distributori di latte crudo


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MARZO 2013

Suppl ement via Borgo o al n. 11 1, comm Palazzo 137,de “La Rasse gna” del a 1, DCB Berga mo 21 Berga mo - ? Poste Italian marzo 2013 2,60 e S.p.A. - Giusep Spediz pe Ruggi ione in Abbon eri direttore ament o Postal responsabile Editric e - D.L. e: La 353/20 03 (conv. Rassegna in L. 27/02/ S.r.l. 2004 n.

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PENNA ALL’ARRABBIATA Pasqua, a tavola per dimenticare la crisi e gli scandali alimentari

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Il congresso Cameriere? No, chiamatelo chef de rang

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il progetto Firmata da un bergamasco la prima enciclopedia on line dedicata allo champagne

10 MERCATI Halal, la “ricetta” per conquistare i musulmani

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18 L’intervista “Il fast food? Può dare una mano ai formaggi bergamaschi”

22 L’esperto Vino, “il peggior nemico dell’Italia è proprio l’Italia”

24 Tendenze Latte, il boom dei self-service

28 Il riconoscimento I magnifici sette orgoglio dell’enogastronomia

34 L’azienda Da Calcio e Torre Pallavicina le trote per il mercato italiano

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Michela Brivio, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

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Dal 1962 un alleato per ristoranti e privati La ditta opera nel settore della ristorazione già dalla fine del 1962, con la presenza sul mercato da parte del padre e fondatore della ditta, sig Eugenio Ubbiali. Nel corso degli anni il figlio Pietro apprende e riassume in quella che oggi è la ditta F.lli Ubbiali Snc l’antica tradizione di un mestiere alquanto raro e affascinante tramandandola nel futuro. Con un’esperienza ormai di 50 anni del padre Eugenio e ventennale dei figlio Pietro, la ditta Ubbiali può vantare un numero di forni-bracieri e camini realizzati in tutta Europa di oltre 5000 pezzi esclusivamente realizzati a mano, su misura e in muratura.

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Pasqua, a tavola per dimenticare la crisi e gli scandali alimentari di Pier Carlo Capozzi

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a Pasqua ci salverà e su questo potete dir giuro. Intendiamo la Pasqua a tavola, in quel mare di ricette tradizionali che ogni angolo del nostro straordinario Paese è in grado di regalarci. Certo, la Pasqua ha un ben altro significato, oltre alle gozzoviglie enogastronomiche, e ce ne rendiamo perfettamente conto, soprattutto nel momento in cui confezioniamo queste righe, a un paio d’ore dall’elezione di Papa Francesco , un Pontefice che, alle sue prime parole, ci ha ispirato grande tenerezza e simpatia. Le festività hanno questo rovescio della medaglia, un mischiarsi di sacro e profano, di spirituale e materiale, che sono un po’ anche la colonna sonora di questa nostra vita piena di contraddizioni. Ci salverà la tavolata di Pasqua, quindi, e non potrà esimersi dal farlo. Ne abbiamo un bisogno pazzesco. Veniamo da una serie di notizie catastrofiche che hanno gettato le nostre cucine nella disperazione più nera. Facciamo perfino fatica a decidere da dove partire: dalle Torte al cioccolato Ikea con tracce di colibatteri? Dalle cinque tonnellate di carne bovina avariata sequestrata a Milano? Dalle capesante di Chioggia al cadmio? Oppure dall’insalata con tracce di topicida? E che ne dite della carne di cavallo, in piccolissime dosi, trovata nel Ragù Star, nelle lasagne Findus, nei tortellini Buitoni e in altri prodotti ancora? Leggo un comunicato degli allevatori italiani, preoccupati perché la vendità s’è dimezzata. Già, il consumatore non si fida più: di hamburger, di ragù, di polpette, di bistecche che non si capisce di che bestia siano. E ribattono: i controlli da noi esistono e sono tremendamente severi. E poi se mischiano carne di cavallo si tratta di frode commerciale e non già di contaminazione. Dicono. Peccato ci siano da fare un paio di elementari osservazioni. Prima di tutto la carne equina costa meno di quella bovina. Poi ricordiamo che portare la carcassa di un cavallo all’inceneritore costa 500 euro mentre, mandandola all’estero, magari nell’Europa orientale, si riesce invece a ricavare qualcosina. E qui casca l’asino (equino pure lui) perché la spiega-

zione degli scandali che hanno coinvolto le multinazionali va ricercata proprio nel giro del mondo che quintali di carne sono costretti a compiere. Per fare il ragù in scatola la carne congelata arrivava da un deposito di stoccaggio in Romania, che era solo una delle tappe del tour. E dovremmo stare sereni? E poi, se la carne di cavallo non presenta problemi, perché non scriverne la presenza sull’etichetta? Il pericolo, ammesso che in Romania, ma anche in Lussemburgo (ahinoi), le celle frigorifere funzionino e la catena del freddo pure, consiste nella vita che ha fatto l’equino. Perché se si tratta di un ex cavallo da corsa, bombardato di estrogeni, ormoni ed anabolizzanti per galoppare più veloce, la questione si fa spessa. Che ne dite? In mezzo a questo caos dove crollano anche le nostre certezze più infantili (alzi la mano chi non ha fatto un giro La Scarcella pugliese all’Ikea per mangiarsi le - una volta mitiche polpette?), chiediamo aiuto alla Pasqua incombente. Forse nessuna festività, come lei, si identifica, a tavola, col chilometro zero. Noi bergamaschi siamo chiamati a salire in Maresana per uova e radicchio, qualche fetta di salame nostrano, una pagnotta casalinga e un bicchiere di rosso delle nostre valli. Ma possiamo anche chiedere in prestito i Carciofi alla Giudìa, il Capretto al forno con le patate, l’Abbacchio a scottadito, una bella Frittata di spaghetti o il Benedetto pugliese (fette d’arancia, uova sode, salame e ricotta). Oppure una Torta pasqualina o un Erbazzone col tarassaco per finire, nei dolci, con la strepitosa Pastiera napoletana o la Scarcella pugliese (ciambella decorata che abbraccia uova sode), giusto per avere un’alternativa alla Colomba, accompagnando queste ultime delizie con un Moscato d’Asti o  di Scanzo, assecondando i gusti. E dopo esserci alzati dalla tavola, sarà stato come uscire da un incubo. Chissà che non capiti lo stesso con questa carogna di crisi. Che ci si svegli presto come da un brutto sogno. Francesco I è appena arrivato e gli stiamo già chiedendo il miracolo. piercapozzi@libero.it

penna all’arrabbiata

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Il congresso di Daniela Nezosi

Se è vero che un buon servizio salva un piatto mediocre, difficilmente un buon piatto salva un cattivo servizio. Forte di questo assunto, Identità Golose ha acceso i riflettori sui protagonisti dell’accoglienza in sala

Cameriere? No chiamatelo chef de rang

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nche quest’anno “Identità Golose”, il congresso di cucina di scena a Milano, ha offerto luci e ribalta al gotha della ristorazione, italiana e straniera. Oltre settanta tra chef e maestri hanno avuto l’opportunità di illustrare la loro filosofia di cucina, a perfetto agio tanto dinanzi ai microfoni e al pubblico, quanto davanti ai “fuochi”. Insomma, tre giorni di appuntamenti d’alto livello, di dibattiti e scambi, segnati, tuttavia,

dalla consueta e imperante presenza dei soliti noti. Forse anche per questo, nel corso di quest’edizione, non sono riusciti a sorprenderci la presenza scenica di Cracco, né il delirio della platea al cospetto di sua maestà Massimo Bottura, né l’affascinante estro di Davide Scabin (che pure ha presentato un menù destinato ad una missione in orbita per la Nasa). Tutto già visto ed apprezzato in passato.

Già, ma allora - vi chiederete - cosa ci ha davvero intrigato? Una novità su tutte ci è piaciuta ed è che per la prima volta il tema della ristorazione è stato affrontato puntando i riflettori anche sull’altra metà della mela: il servizio in sala. Finalmente, dopo anni, il congresso ha dedicato uno spazio ai protagonisti dell’accoglienza, a quanti dovrebbero riuscire nell’intento di far sentire a proprio agio i loro clienti.

Davide Groppi (light designer) «Abbassiamo le luci e rendiamo il tavolo uno spazio unico» “Perché i ristoratori insistono nello sprecare 20 watt per illuminare i loro locali quando con 4 watt non solo ridurrebbero i consumi energetici ma, soprattutto, renderebbero più intimo ed esclusivo il ristorante?”. Questa la domanda di apertura di Davide Groppi, light designer di locali affermati (su-

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a la recente rivisitazione illuminotecnica delle Calandre di Rubano e del Caffè Quadri di Venezia). Secondo Groppi, la luce e l’acustica sono fattori fondamentali in un ristorante, ma non sono ancora sufficientemente considerati. La luce andrebbe indirizzata solo sul tavolo, il resto dell’ambiente


marzo 2013 L’esperienza insegna che un buon servizio salva un piatto mediocre, ma difficilmente un buon piatto riesce a salvare un cattivo servizio. Se infatti, in qualità di clienti, siamo disposti a dare una seconda chance alla cucina, difficilmente riserviamo lo stesso riguardo alla sala. A volte si torna in un ristorante perché si è stati trattati con gentilezza e si chiude un occhio su eventuali incertezze dello chef; viceversa, se in sala non hanno avuto il giusto garbo, difficilmente varcheremo di nuovo la soglia di quel ristorante. Dello stesso parere è lo chef Massimo Bottura che ha dichiarato: “Per me: sala batte cucina 52 a 48”. E, data la sua autorevole posizione nella classifica di tutte le guide, non possiamo far altro che dare evidenza al suo pensiero con l’auspicio che anche gli addetti al settore inizino a considerare con maggior riguardo chi lavora in sala. In cattedra sono saliti i più celebri direttori del nostro tempo: Beppe Palmieri, dell’Osteria Francescana, Joseph Roca del Celler de Can Roca, Raffaele Alajmo delle Calandre, Umberto Giraudo e Marco Reitano della Pergola del Rome Cavalieri ed infine, il più acclamato, Antonio Santini del ristorante Dal Pescatore di Canneto sull’Oglio. Li ha preceduti l’intervento di un light designer, Davide Groppi, che ha introdotto l’importanza di creare atmosfera nel locale. Una parentesi davvero interessante che ci ha spinti a una considerazione: se tutti sono concordi nell’affermare l’importanza strategica del personale di sala - ci siamo chiesti - forse è il caso che si inizi a pensare concretamente alla rivalutazione di queste figure professionali, partendo dal presupposto che un bravo cameriere non porta in sala solo i piatti, ma porta con sé l’essenza e l’energia del locale.

Antonio Santini (Dal Pescatore)

«Leggerezza e rispetto: ecco i modi corretti per accogliere l’ospite» L’arrivo di Antonio Santini sul palco è accompagnato da una calorosa standing ovation del pubblico. Se fino ad allora la platea era rimasta sobria e perfino un po’ sonnacchiosa, improvvisamente la comparsa di quest’uomo gentile, elegante e misurato, ha generato un consenso collettivo spontaneo. Santini inizia la sua chiacchierata con il pubblico ripercorrendo le tappe che hanno segnato i cambiamenti nella ristorazione e ricordando che il ridimensionamento delle grandi brigate di sala è iniziato con l’uscita in sala di Paul Bocuse che per primo ha scelto di far conoscere al cliente la figura dello chef. Dalla platea arriva una provocazione sorridente: “Allora è colpa di Paul Bocuse se gli addetti sala vivono all’ombra degli chef” e Santini risponde: “Il grande Paul Bocuse ha solo meriti”. Che Santini abbia nel cuore la Francia lo si respira ad ogni parola, tant’è che per evidenziare da subito ciò che pensa del rapporto “sala-cucina” cita un altro chef francese, Michel Guérard, il quale sosteneva che “la sala vale il 48%, quando la cucina è buona; quando la cucina è cattiva la sala vale il 100%”. Ma il vero obiettivo dell’intervento di Santini è il cliente. “Al quale - afferma - non dobbiamo solo gentilezza, ma soprattutto rispetto. Chiunque investa tempo e denaro per recarsi in un ristorante non può che meritare un atteggiamento rispettoso”. “Oggi il cliente che decide di scegliere un ristorante piuttosto che un altro è un cliente che si è informato”, dice Santini: “Ha già letto l’inverosimile su di noi, ma tutto ciò che sa si azzera nel momento in cui varca la soglia del ristorante. Da lì inizia la sua reale percezione, la sua unica avventura e da lì noi dobbiamo partire, ogni volta. Con rispetto”. E su questa frase di nuovo il pubblico applaude e si alza in segno di rispetto.

deve scomparire così da rendere il tavolo uno spazio unico, intimo, sia per una cena romantica che per un pranzo d’affari. “La luce sul tavolo - dice Groppi - deve poter essere regolata e le luci in un locale si devono muovere come in una scena di teatro”.

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Il congresso

Umberto Giraudo e Marco Reitano (La Pergola)

«Il sorriso? Resta il migliore degli atteggiamenti» Non è certo un caso se Umberto Giraudo è stato insignito da “L’Acadèmie Internationale de la Gastronomie” del titolo di miglior maitre del mondo. La serenità e la padronanza con la quale condivide il palco con il brillante sommelier Marco Reitano ci danno l’idea di quanto accurato, prezioso ed esclusivo possa essere il servizio a La Pergola di Roma. Un intervento a due, quello sul palco, così come quello in sala, gestito con grande professionalità ma senza i formalismi che ci si aspetta da professionisti di questo livello. Secondo Reitano “il cameriere non deve limitarsi a presentare il piatto al cliente elencando una serie dettagliata di ingredienti: non siamo in sala per fornire una ricetta, noi abbiamo il compito di trasmettere l’intenzione dello chef, spiegare che ci sono stati un’idea, un progetto che si sono materializzati e hanno dato origine a quel piatto”. Il servizio della Pergola ha regole ferree e studiate a tavolino, nulla è lasciato al ca-

so. Dice Giraudo: “Da noi non devono trascorrere più di 15 secondi prima che in fase di accoglienza vi sia un contatto visivo con il cliente, meno di due minuti per proporre un aperitivo e non più di quattro per servirlo. Il cliente non deve mai chiedere, siamo noi che anticipiamo i suoi bisogni”. Detto così sembra che il cliente subisca passivamente un rigido protocollo e diventi vittima di una liturgia standardizzata, in realtà i toni del racconto ci fanno comprendere che per La Pergola è solo una questione di grande attenzione al cliente e alle sue aspettative. Da Giraudo traspare la passione nel voler regalare agli ospiti emozioni esclusive. A chi in sala fa presente che questi metodi non possono essere applicati ovunque, Giraudo risponde: “Forse non tutto può essere replicato, ma il sorriso, che è il migliore degli atteggiamenti, deve accogliere il cliente sia in un locale stellato che in una pizzeria”. Non sempre è scontato sia  così.

Raffaele Alajmo (Le Calandre) «Ripartiamo dalla cultura. E ridiamo dignità al ruolo del cameriere» La valorizzazione del ruolo passa anche attraverso il nome. Questo in sintesi uno dei concetti di Raffaele Alajmo che, affrontando il tema dell’importanza del servizio in sala, rimarca come il termine “cameriere” sia riduttivo rispetto al ruolo che gli operatori di sala svolgono. “In Italia si chiamano camerieri - dice Alajmo - in Francia Chef de Rang”. A sottintendere che è necessario tornare a dare dignità a questa figura professionale, iniziando dagli insegnamenti scolastici: “Il percorso di studi previsto dal Ministero - sostiene Alajmo - non deve mirare solo all’acquisizione di tecniche di sala ma alla cultura genera-

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le. La scuola è da rifondare, bisogna dare evidenza alla cultura umanistica

per dare la possibilità ai giovani di ampliare i propri confini di conoscenza”. Anche per il direttore delle Calandre la sala ha forse più valenza della cucina. Lo dice sottovoce, strizzando l’occhio al fratello Massimiliano, illustre chef seduto in aula, e aggiunge: “Ci sono cucine che non valgono il viaggio e nonostante questo il servizio e l’atmosfera sono così suggestivi da determinare il successo del locale”. Alajmo non teme di fare nomi e porta l’esempio di Arrigo Cipriani che ha portato l’Harry’s Bar di Venezia ad essere il locale italiano più conosciuto all’estero ma che certo non è un ristorante che si distingua per la cucina”.


il progetto

marzo 2013 di Rosanna Scardi

Firmata da un bergamasco la prima enciclopedia on line dedicata allo champagne Da aprile consultabile gratuitamente wikichampagne.com, sito creato da Ezio Falconi

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asce Wikichampagne, la prima enciclopedia gratuita consultabile sul web, dedicata alle celebri bollicine che prendono il nome dalla regione situata nel nord-est della Francia. Il suo autore è Ezio Falconi, 59 anni, imprenditore gorlese del settore food & beverage, titolare dell’american champagne bar “Arimo” a Treviglio, in via Ariosto. Sono oltre duemila le pagine che

Ezio Falconi

da aprile saranno pubblicate su www.wikichampagne.com contenenti i nomi dei 4.500 produttori che concentrano i loro 34mila ettari di vigneti nell’area di Reims. “Lo spirito della mia opera è informare i neofiti - afferma lo scrittore -. Oggi lo champagne non è più un vino d’elite, si può acquistare al supermercato e spesso ha un prezzo inferiore alle nostre bottiglie. Basterà inserire on line il nome della marca e ottenere informazioni, dall’indirizzo del vinificatore al suo numero di telefono, dalla linea di appartenenza a un marchio, alla percentuale di uve impiegate”. Ci sono tutte le aziende, da quelle antiche come Gosset, fondata nel 1584, a Ruinart, nel 1729, fino a Moet et Chandon, nata nel 1743 e oggi prima casa al mondo per fatturato. L’enciclopedia sarà in continua evoluzione, con la possibilità per i produttori di apportare modifiche alle voci, crearne di nuove, integrarle con curiosità o aneddoti. Leggenda vuole quale inventore delle bollicine Dom Pierre Pérignon. L’abate avrebbe commesso degli errori nella vinificazione delle uve bian-

che. Sbaglio che avrebbe provocato lo scoppio delle bottiglie e portato alla scoperta della presa di schiuma. Altre versioni sostengono che il benedettino per rendere più gradevole il vino, aggiungesse fiori di pesco e zucchero, che allo stappare producevano la schiuma. “Ciascun protagonista di questa storia ha apportato idee, c’è chi ha azzeccato la giusta quantità di zuccheri e lieviti per spumantizzare - afferma Falconi - chi ha inventato le capsule o lamerini sopra il tappo”. Con alle spalle 65 bar aperti, tra cui nel 1985 il Daisies a Bergamo, l’imprenditore è cresciuto tra bottiglie e banconi. “I miei genitori avevano un esercizio a Milano in piazzale Maciachini - spiega -. A tre anni mi hanno scattato la prima foto sul bancone, da quel momento è stato il mio mondo”. Autore di pubblicazioni su vini, distillati, cocktails, in Wikichampagne Falconi dà anche suggerimenti utili. “La giusta temperatura per assaporare lo champagne è 6 gradi, noi italiani preferiamo 4 - spiega - ma più si raffredda e più si perdono i profumi”. E curiosità. “La parola sabler indica il bere tutto d’un fiato svela – mentre sabrer la sciabolata con la quale si fa saltare il collo delle bottiglie”. Lo champagne più raffinato? “Sono 25mila le cuvèe o miscele - conclude -. La più indovinata, a mio parere, è il Dom Pérignon per il miglior rapporto qualità/prezzo”.

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MERCATI di Anna Facci

Halal, la “ricetta” per conquistare i musulmani In arabo significa “lecito”, conforme ai principi della religione islamica, in Italia resta però difficile trovare prodotti certificati. Lorenzini (Hia): «Un’opportunità che ha anche un grande valore sul piano dell’integrazione» Per le aziende una scelta più orientata all’export

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el campo dei prodotti alimentari e dell’enogastronomia (ma il discorso si estende ad ogni genere di consumo) c’è un mercato ancora tutto da esplorare e conquistare. È quello dei prodotti Halal, che in arabo significa “lecito”, ossia conforme ai principi della Sharia islamica, la legge che regola i comportamenti di un credente musulmano. In Italia è un termine che capita di leggere sulla vetrina di qualche macelleria o negozio etnico, la comunità islamica è pe-

rò ben lungi dal riuscire a soddisfare la gamma dei propri bisogni con prodotti e servizi certificati. Si può anzi dire che il percorso verso una garanzia certa è solo all’inizio e nasce dalla necessità delle aziende di presentarsi con le credenziali in regola nei Paesi che hanno precise disposizioni in materia e dove la popolazione musulmana è prevalente, più che dall’attenzione al mercato domestico. «La legge islamica riguarda di fatto anche la scelta dei prodotti da consumare

e dei servizi da utilizzare», ricorda Sharif Lorenzini, presidente della Halal International Authority, l’unico organismo italiano, membro del World Halal Food Council, in grado di certificare i prodotti a livello mondiale, che ha partecipato recentemente ad un incontro a Bergamo con gli imprenditori, promosso dalla Camera di Commercio. «Parliamo di agroalimentare, ma anche di cosmetica, farmaceutica, pubblici esercizi, servizi assicurativi e bancari, sanità, assi-

CAFFÈ DEL CARAVAGGIO

«Un passo necessario per entrare in alcuni Paesi» Per il “Caffè del Caravaggio” - marchio di un sistema di cialde e macchine per il caffè espresso per il settore Hoerca, che fa capo a Tenacta Group, la holding con sede ad Azzano San Paolo che ha tra i suoi brand anche Imetec - certificazione Halal significa prima di tutto accesso a precisi mercati, come Malesia, Indonesia e Singapore, in cui è obbligatoria. «Si tratta di un prodotto di fascia alta – spiega il presidente di Tenacta Group Renato Morgandi –, la certificazione è perciò funzionale pressoché esclusivamente alla nostra presenza all’estero e non al mercato italiano dei consumatori islamici». «Il caffè – evidenzia - non presenta particolari rischi per gli standard Halal, non è stato perciò necessario modificare i pro-

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cessi di produzione, ma curare semmai la tracciabilità dei passaggi in modo da garantire che non entri in contatto con nessuna sostanza Haram, ossia non lecita. È più che altro un impegno in termini “burocrazia”. Sulla garanzia dell’origine, in ogni caso, non abbiamo problemi perché è uno dei punti su cui si fonda la filosofia del marchio. L’identificazione è infatti agevolata per il fatto che utilizziamo solo Arabica, sia nelle miscele sia nei tre monorigine che proponiamo. Abbiamo fatto una scelta di qualità senza compromessi, che si fa fatica a far comprendere, ma che non tradisce le aspettative». Il progetto “Caffè del Caravaggio” nasce nel 2004 coinvolgendo l’Università di Udine, che ha una specifica esperienza nel mondo


marzo 2013 stenza, logistica e trasporti – chiarisce -. In tutti questi campi un credente musulmano oggi in Italia non ha in pratica nessuna certezza di acquistare prodotti conformi perché non hanno una certificazione. L’unica cosa che può fare, restando per semplicità nell’ambito alimentare che è anche il bisogno essenziale, è leggere l’etichetta e verificare che non siano presenti sostanze notoriamente Haram, ossia non consentite, ma si tratta, come si può ben capire, di una soluzione di ripiego». Il mercato è perciò, in pratica, intatto e bastano pochi numeri per comprenderne le potenzialità, ancor più interessanti di fronte alla generale contrazione dei consumi: in Italia la popolazione musulmana si attesta sui due milioni circa ed una delle regio-

Sharif Lorenzini

ni con la più alta presenza è la Lombardia con 820mila persone (delle quali 600mila regolari) con consumi che, secondo l’Istat, solo per il settore alimentare superano 1,2 miliardi di euro all’anno. In Bergamasca vivono circa 100mila musulmani per una spesa alimentare di 150 milioni di euro l’anno. Se poi ci si vuole orientare sull’estero, basterà ricordare che in Europa i potenziali consumatori Halal sono il 6,5% della popolazione e che nel mondo sono circa 2 miliardi, con un tasso di crescita più alto rispetto ad altre comunità. E ancora che gli Stati musulmani o in cui la popolazione musulmana è prevalente importano circa il 40% del loro fabbisogno, opportunità che, per quanto riguarda la carne, uno dei prodotti più sensibili alla legge islamica, sta sfruttando soprattutto il Brasile, coprendo circa la metà delle richieste. «In Italia la promozione della certificazione Halal portata avanti dal nostro organismo ha prima di tutto un valore sul piano dell’integrazione – sottolinea Lorenzini –. Non è difficile immaginare la situazione psicologica in cui si trovano i credenti islamici: la confusione e l’incertezza assolute condizionano il loro livello di consumi, vivono male nella società, sono poco integrati. Per soddisfare i loro bisogni si rivolgono per lo più a punti vendita di prodotti esotici, dove il fatto che provengano da Paesi musulmani dà loro garanzie, ma non sempre sono di qualità e costano il doppio perché arrivano da lontano. Pensiamo perciò quale interesse potrebbero suscitare su questi consumatori i prodotti made in Italy, la cui eccellenza è riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo, se fossero Halal. È una scelta di

business, ma anche di attenzione ai bisogni di una comunità». Ma quali caratteristiche hanno i prodotti Halal? «Sono privi di ogni sostanza proibita dal codice alimentare islamico – spiega il presidente di Hia -, che si riassumono in due categorie principali: le sostanze che hanno origine da animali proibiti, vale a dire tutti gli animali carnivori (non è il caso della tradizione gastronomica occidentale, ma Lorenzini cita per completezza dell’informazione ad esempio il falco e il serpente ndr.), il maiale, che è onnivoro, e gli insetti, utilizzati anche per produrre coloranti, o parti di animali come il sangue, con i cui derivati si producono anche degli addensanti. Il secondo gruppo è quello delle sostanze stupefacenti o inebrianti, primo fra tutti l’alcol. In un prodotto Halal è ammessa la presenza di “tracce” di alcol tali da non procurare uno stato di ebbrezza, ovvero una concentrazione al di sotto dello 0,05%, ben inferiore ai limiti posti dalla legge italiana per chi si mette alla guida. Allah vuole infatti che l’uomo abbia il completo controllo di se stesso perché dovrà rendere conto delle proprie azioni». Ma anche nel caso di animali concessi – gli erbivori tranne l’asino - esistono prescrizioni, in particolare sulla macellazione. «Poiché Dio è il creatore sia degli uomini sia degli animali, la Sharia tutela e garantisce il benessere degli animali, che devono essere nutriti con cibo sano ed essere trattati bene – dice ancora Lorenzini –. Anche nel momento in cui la loro vita cessa, perché sono stati creati al servizio degli uomini, non devono soffrire, non devono esserci fasi di stordimento preventivo. Si tratta di un principio religioso, ma

del caffè, e l’Istituto farmacologico Mario Negri, per non trascurare l’aspetto salutistico, ed approda sul mercato nel 2010 portando avanti un nuovo modo di intendere la tazzina di espresso. «Paradossalmente, in Italia, dove si dovrebbe gustare il caffè più buono del mondo – evidenzia Morgandi – manca la trasparenza su ciò che si consuma. Il caffè ha in pratica un prezzo “statale” e ci si affida a ciò che serve il barista. Non si sa che esistono tante varietà di caffè, con caratteristiche e prezzi diversi. I migliori monorgine, ad esempio, costano dalle 5 alle 7 volte più della Robusta del Vietnam e il Jamaica Blue Mountain, che proponiamo noi, costa dieci volte più di questi. E naturalmente le differenze in termini di qualità, gusto e purezza si avvertono. In Italia – tiene a dire - il caffè viene presentato in una maniera vecchia di cento anni, come quando ordinare il vino significava semplicemente scegliere tra bianco e rosso. Oggi per il vino c’è la carta, c’è addirittura la carta delle acque minerali, ma la carta del caffè è una rarità e solo alcuni ristoranti di livello hanno introdotto prodotti selezionati. All’estero un discorso di questo tipo è accolto con maggiore interesse e credo che sia la chiave per esprimere nel mondo tutta la potenzialità del caffè espresso».

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MERCATI

è stato provato anche scientificamente che lo stato di ansia degli animali, la produzione di adrenalina, la contrazione dei muscoli hanno effetti negativi anche sulla carne e su chi la consuma». Lorenzini ribadisce che la certificazione Halal ha un valore etico-morale, per un’azienda intraprendere un tale percorso può però anche rappresentare un’implementazione del sistema gestionale e di qualità. «La certificazione

Halal può riguardare tutti i settori – specifica -, anche l’acqua minerale in bottiglia, perché alcuni filtri organici che utilizzano carbon fossile sono incollati con sostanze di origine animale provenienti dal suino. I nostri tecnici effettuano sia valutazioni a livello documentale, sia visite ai siti produttivi per verificare che non ci siano fonti di contaminazione con sostanze proibite. Le misure da adottare saranno più o meno impegna-

tive a seconda del settore, ma anche un salumificio può arrivare a certificare Halal un proprio prodotto che non entri in nessun modo in contatto con carne e derivati del maiale. In campi meno a rischio si tratta invece semplicemente di verificare certi passaggi, di portare a conoscenza gli operatori coinvolti e di mettere in atto un preciso sistema di tracciabilità, prevista dagli standard Halal». Un requisito, quello della tracciabilità, che – sia detto per inciso - in tempi di ragù e polpette con carne di cavallo arrivata da chissà dove, può essere sufficiente per indirizzare verso prodotti certificati Halal anche chi non è di fede musulmana. «Hia è un organismo di sviluppo del mercato – conclude il presidente – e vuole dare una mano a sbloccare una situazione di disagio per i consumatori musulmani in Italia ed offrire opportunità alle aziende su diversi fronti, dalla vetrina al commercio elettronico, alla creazione di format per esercizi pubblici, fino al coinvolgimento della Gdo, ancora poco sensibile a questo tipo di esigenze. Anche sul fronte turistico le possibilità non mancano, basti pensare che in Italia non esiste nemmeno una struttura certificata Halal, eppure richieste da parte di tour operator ci sono». Siamo, insomma, all’anno zero, si può solo crescere.

COMPAGNIA LATTIERO CASEARIA

«Qui c’è anche la certificazione Kosher» La certificazione Halal può riguardare anche gli ingredienti. È quanto accade alla Compagnia Lattiero Casearia di Roccafranca, in provincia di Brescia. L’azienda prepara materie prime a base latte per le industrie dolciarie e gelatiere, soprattutto yogurt intero e magro, latte concentrato e panna e il percorso di certificazione è stato in pratica una richiesta dei clienti. «L’Algida, che vende i suoi prodotti in tutto il mondo – racconta il direttore commerciale Francesco Pergola –, ci ha chiesto il certificato Kosher (conforme cioè alle regole religiose che governano la nutrizione degli Ebrei osservanti ndr.) per alcune forniture. Dopo aver affrontato questo passaggio ci è sembrato naturale attivarci anche sul versante Halal,

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che non presenta molte differenze, con la prospettiva di ampliare le possibilità commerciali». Trattando latte e derivati, per l’azienda non sono stati necessari grandi interventi. «Sono più che altro accorgimenti che riguardano il lavaggio della cisterna – spiega Pergola – e il non recupero delle condense, così da assicurare un processo in linea con la cultura islamica. I costi per l’azienda sono soprattutto quelli dell’audit per il rinnovo, mentre il prodotto non viene pagato di più. Al momento non abbiamo ancora clienti per i prodotti Halal, ma stiamo trattando per la fornitura di panna congelata in Arabia Saudita. Anche il mercato nazionale, in ogni caso, si potrebbe sviluppare».


marzo 2013

CATTANEO CARNI & CO.MA.RI

«Le nostre carni servite sulle linee aeree arabe»

Da sinistra il direttore commerciale Antonio Cattaneo, il responsabile delle vendite Paolo Comi e i macellatori Giovanni Alborghetti e Fabrizio Avogadro

La Cattaneo Carni & Co.ma.ri di Pontida, nata nel 2011 dall’unione delle esperienze della Cattaneo Carni, attiva da 55 anni, e del Gruppo Co.ma.ri, da 25 anni sul mercato, ha fatto una scelta commerciale netta decidendo di certificarsi Halal. «Macelliamo e forniamo carni all’ingrosso – spiega il direttore commerciale Antonio Cattaneo – e per ottenere la certificazione abbiamo rinunciato del tutto a trattare il maiale, perché gestire questa referenza sarebbe stato troppo oneroso in termini di organizzazione e strumenti. Questo ci ha fatto perdere alcuni clienti, supermercati ad esempio, che richiedevano la consegna anche di carne suina, ma ci ha aperto alcuni canali nuovi, che speriamo ora di aumentare». Prestigiosa è, ad esempio, la fornitura per Servair air chef, che prepara i pasti per le linee aeree arabe, su tutte Emirates, che ha anche fatto visita agli impianti dell’azienda bergamasca. Ma c’è stato anche un campo per i terremotati

dell’Emilia che per tre mesi ha dato da mangiare a mille persone di fede islamica e più recentemente è cominciata la fornitura al carcere di San Vittore a Milano, che vedrà prossimamente l’introduzione di carni Halal. La C& C fornisce inoltre una trentina di macellerie islamiche a Bergamo, Milano e Lecco. «Macellavano con rito islamico anche prima della certificazione Hia – prosegue Cattaneo – ma con questo passo abbiamo fatto una precisa scelta di specializzazione, abbiamo deciso di presentarci sul mercato con tutte le carte in regola». Poiché la carne è uno dei prodotti su cui la legge islamica pone più attenzione, le procedure sono stringenti, sin dall’arrivo degli animali. «Una parte dei bovini proviene da allevamenti bergamaschi, bresciani e veronesi, una parte viene importata dalla Slovenia, che comunque non è molto distante. Il viaggio dura circa sei ore ed è effettuato di notte. Sono da noi alle sette del mattino ed abbiamo allestito delle stalle apposite in cui possono riposare ed eliminare lo stress del trasporto – racconta -, fornite anche di docce con cui i capi vengono lavati e rinfrescati d’estate. Due Imam, approvati dall’organismo di certificazione, eseguono la macellazione selezionando solo i capi idonei e secondo il rito. Su ogni capo macellato viene apposto un timbro, conservato in una cassetta di sicurezza di cui solo l’Imam ha la chiave. I capi sono tutti identificati e separati dal resto delle carni. Anche per le consegne usiamo un mezzo dedicato». L’azienda riserva una giornata esclusivamente alla macellazione islamica, «la sera spediamo all’Hia tutti i documenti sui capi macellati e riceviamo un certificato che consegniamo all’acquirente.

In pratica ogni passaggio è tracciato e garantito». La certificazione comporta un aggravio dei costi, in termini di personale (sia per la macellazione sia per seguire gli aspetti burocratici), attrezzature e spese per il mantenimento del marchio. «La macellazione ha un costo decisamente superiore rispetto a quella tradizionale, il prodotto finale ha invece un prezzo solo leggermente superiore. Per noi è stata una scelta impegnativa – commenta Cattaneo –. Il mercato interno è in flessione anche sul versante Halal, possiamo però contare su un biglietto da visita importante nei confronti di clienti internazionali che non possono permettersi di non avere la certezza di ciò che acquistano».

L’amministratore PierGiorgio Bertuletti e Es-sari Abderrahim, macellatore Halal

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NEWS

Dal web alla tavola, i Cuochi Disperati aprono un locale

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e li ricordate i Cuochi Disperati? Affari di Gola ne aveva parlato nel settembre scorso raccontando di come due amici appassionati di cucina, Diego Redolfi 35 anni di Seriate e Diego Bonfanti 36 di Palazzago, avessero in poco tempo radunato attorno a sé una community di golosi con il loro blog ed un gruppo Facebook: Cuochi Disperati, appunto. Dal 23 marzo non si limitano più a postare foto e ricette dei loro piatti, ma li servono ai tavoli del loro locale, l’Osteria dei Cuochi Disperati, aperta negli spazi già del ristorante La Sacrestia, a Seriate in via Venezian, nei pressi della Chiesa parrocchiale. Un po’ come è accaduto con l’avventura sul web, che si è sviluppata sul filo delle idee e delle opportunità nate con i nuovi contatti, anche quella nella ristorazione – di certo più impegnativa – ha preso forma grazie al fortunato allineamento di una serie di condizioni. «Fino a qualche mese fa – ricorda Redolfi, impegnato nella cucina di una tavola cal-

da a Castelli Calepio prima di lanciarsi in questa attività in proprio – ci sembrava già un bel traguardo lavorare al libro di ricette nostre e degli amici del Gruppo, ormai quasi pronto. Poi, come spesso capita, alcune occasioni interessanti ci hanno convito a dare concretezza a quello restava il nostro sogno in sottofondo». La spinta più importante è rappresentata dall’aiuto Marzia Vallini, chef che a Parma ha gestito per anni insegne di successo, che i due “Dieghi” hanno incontrato in rete e sono poi andati a conoscere di persona. «È nato un bellissimo rapporto – spiegano – e si è resa disponibile a stare con noi nella fase di avvio, così, quando abbiamo anche trovato l’ambiente giusto, ci siamo lanciati». Marzia e Diego Redolfi sono in cucina, mentre Diego Bonfanti, che ha lasciato il lavoro nella carrozzeria di famiglia, si occupa della sala, dei vini e dei dolci, settore che già coltivava sul web. «Proponiamo una cucina classica – dice Redolfi

IL LIBRO

Storia e futuro del cibo raccontati Excursus (fino al 2049!) della docente di Storia contemporanea Emanuela Scarpellini

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Una storia d’Italia dall’Unità ad oggi attraverso l’esperienza universale dell’alimentazione, dalla fame atavica alla cyber-nutrizione, dai nobili deschi alle tavole operaie. “A tavola! Gli italiani in 7 pranzi” di Emanuela Scarpellini, docente di origini bergamasche di Storia contemporanea alla Statale di Milano, edito da Laterza, racconta la storia del nostro Paese, intrecciando fonti storiche, letterarie, artistiche, dati statistici, media e pubblicità, in un viaggio ideale tra diversi paesaggi del gusto attraverso sette convivi. Il libro, presentato dalla libreria Buona Stampa al ristorante M1.lle, che ha proposto sette ricette a tema, restituisce un quadro storico fedele dei consumi alimentari nel nostro Paese, tra numeri rigorosi e

miti antropologici di ogni epoca e luogo. La prima tavola in cui si viene catapultati è in Sicilia a Donnafugata, un invito esclusivo ad un convivio ispirato a “Il Gattopardo”, per poi continuare il viaggio tra le tavole d’élite al castello di Sanvitale a Fontanellato, in provincia di Parma, e concedersi un bicchiere di Chianti al Castello Brolio, gentilmente concesso dal suo creatore, il barone Bettino Ricasoli. Dalle stelle alle stalle, si soffre con i mietitori di Mazzarò descritti da Verga per finire a tavola in un casot piemontese nel 1898 a Montasso di Robilante accompagnati da Lusiota Giordanengo, una bambina di origini contadine poverissima. Si incontra la pizza ne “Il ventre di Napoli” di Matilde Serao e il primo cibo di strada e a Milano ec-


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I promotori del blog e del gruppo Facebook approdano alla ristorazione. A Seriate nasce la loro Osteria – con un tocco in più rappresentato dalla tradizione parmense portata da Marzia, quindi la pasta fresca, le paste ripiene e piatti che valorizzano il Parmigiano, come gli sformati o le sfiziose meringhe. Sappiamo bene che il momento non è dei migliori per la ristorazione, ma crediamo che una cucina buona a pezzi giusti possa sempre essere interessante». Senza dimenticare la loro visione dell’accoglienza e dello stare a tavola che, come traspare da quel “disperati” che si sono scelti come marchio, è schietta, ironica e godereccia. «Il nostro obiettivo è fare in modo che chi viene da noi si senta a casa – sottolineano -. L’ambiente è intimo, al massimo una cinquantina di coperti, e come cifra personale aggiungiamo qualche “coccola”, come uno stuzzichino inatteso o dei dolcetti di pasticceria fresca offerti a fine pasto». Anche questo loro nuovo progetto resta, in qualche modo, collettivo: «Ci piacerebbe che tutti gli amici on line si sentissero partecipi dell’iniziativa – concludono –. In questi ultimi mesi abbiamo un po’ trascurato la presenza in rete per seguire l’avvio del locale, ma appena avremo ingranato torneremo in questo mondo che ci ha aperto gli orizzonti». Il locale è chiuso la domenica e il lunedì. A mezzogiorno propone pranzi di lavoro. Nella foto: Diego Bonfanti, Marzia Vallini e Diego Redolfi

in sette pranzi co servito il pranzo operaio preparato da Benvenuta Mariani nel 1911 con grande cura e attenzione, grazie anche al corso di economia domestica della Società Umanitaria, a 1,76 lire. Dopo le tavole autarchiche tra le due guerre, l’invito a pranzo arriva, sullo sfondo dell’Italia del boom, da Mirafiori, da un’operaia della Fiat originaria di Bitonto, mentre nell’era dei paninari e del mito dei consumi degli anni Ottanta, ci si siede a tavola a Costabissara, in provincia di Vicenza, a casa di piccoli imprenditori. Nell’attuale “era della complessità” ci si ritrova a Patti, di nuovo nella Sicilia de “Il Gattopardo”, per gustare i prodotti tipici che ancora sopravvivono tra globalizzazione, cibo etnico, surgelati e prodotti industriali. Da qui al 2049 si aprono due scenari: un pranzo a base di pizza, dim sum e Cyber Cola nel chiosco di plastica di una megalopoli ed una tavola imbandita in riva al mare in Sardegna, con bottarga e frutti di mare e is culorgionis innaffiati da un buon Vermentino. Nel prossimo futuro troveremo ciò che la nostra libertà di scelta e il nostro senso di responsabilità avranno lasciato oggi.

Tessa Gelisio consegna il premio a Giuseppe Magni

Il Premio Arrigoni ai vini del Monte Canto Un vino di qualità che si sposa con il recupero di storia e ambiente. È andata all’Azienda Agricola Magni di Tassodine la seconda edizione del Premio in Memoria di Francesco Arrigoni, il giornalista e critico enogastronomico bergamasco prematuramente scomparso nell’estate del 2011. Il riconoscimento, ideato dall’Associazione PromoIsola in collaborazione con l’Ascom, è stato consegnato dalla conduttrice televisiva Tessa Gelisio e dalla moglie di Arrigoni, Antonella, durante una delle serate della Fiera del Libro dell’Isola Bergamasca nel centro commerciale Continente di Mapello. Anima dell’azienda premiata, citata tra le 100 migliori a livello nazionale, è Giuseppe Magni, che ha cominciato a strappare all’incuria la località di Tassodine, a 500 metri di altitudine sul Monte Canto, sopra Villa d’Adda, riportando la vite sui gradoni ormai invasi dai rovi e dal bosco. «È stato un lavoro lungo, coinvolgente ed appassionante – ha ricordato –, portato avanti grazie all’aiuto di tanti amici che come me ci hanno messo l’anima, mi hanno consigliato e sostenuto. Francesco Arrigoni era tra questi e a lui si deve l’idea di piantare insieme al Merlot anche del Pinot Nero, vitigno sconosciuto dalle nostre parti». L’azienda può contare su 8mila piante in un ettaro di superficie, allevate a cordone speronato, capaci di dare a pieno regine al massimo 8mila bottiglie di vino. Il progetto complessivo prevede la ristrutturazione delle cascine per far rivivere il borgo come un’autonoma impresa agricola.

Antonella, moglie di Arrigoni, con Tessa Gelisio

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lettere

“Ristoranti dei Mille... Sapori”, il percorso prosegue Egregio direttore, ho letto con molta attenzione l’articolo di Pier Carlo Capozzi pubblicato su “Affari di Gola” del febbraio 2013 relativo ai Ristoranti dei Mille… Sapori, avvertendo subito la necessità di ringraziare. E ciò non solo per l’autorevole intervento “ad adiuvandum”, ma anche perché è riuscito ad esprimere in maniera compiuta, forse addirittura meglio di quanto abbiamo cercato di fare noi, quello che realmente sta dietro ad uno strumento, apparentemente banale, come la Guida. Le confermo poi la nostra ferma intenzione di proseguire nel percorso intrapreso apprezzando la sua disponibilità ad un confronto che certamente terremo in debita considerazione. Con viva cordialità Emanuele Prati Segretario Generale Camera di Commercio di Bergamo

Dottor Prati, nel ringraziarla per l’intervento e per l’apprezzamento del nostro lavoro, le sono grato per la notizia che la Camera di Commercio è intenzionata a proseguire nell’iniziativa “Ristoranti dei Mille… Sapori”. Non avevamo grandi dubbi, in verità, ma il dimezzarsi degli iscritti avrebbe anche potuto condurre ad un ripensamento con conseguente interruzione del progetto. È anche da sottolineare la sua disponibilità ad un confronto, ipotesi non percorribile fin quando non avremo le motivazioni delle mancate reiscrizioni alla seconda puntata. Ecco, ci sarebbe piaciuto ricevere una mail, da un ristoratore deluso, che ne spiegasse i perché, tanto da permettere alla Camera di Commercio di aggiustare eventualmente il tiro. E questo silenzio, un pochino, ci preoccupa. Pier Carlo Capozzi

L’intervento

Fiducia nei prodotti tipici e tanti sacrifici,

Direttore, sono Matteo Magri e sono un giovane pasticciere di 22 anni, nato e cresciuto a Scanzorosciate. Sono un dipendente, da circa due anni e mezzo, della pasticceria Cortinovis di Ranica, che probabilmente voi avete già avuto modo di conoscere. Innanzitutto volevo porvi i miei ringraziamenti e la mia ammirazione, per il lavoro che costantemente portate avanti nel promuovere e valorizzare una cultura enogastronomica, quale quella bergamasca, che da sola racconta la storia di un territorio pieno di ricchezze ed eccellenze, ma che troppo spesso sia da noi che la viviamo in prima persona, sia

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da chi la osserva da fuori viene poco considerata e valorizzata. Devo essere sincero nel dire però, cosa che sicuramente avrete colto anche voi, che negli ultimi anni noto una piacevole crescita di tutto il settore a livello territoriale, grazie alla riscoperta e valorizzazione di alcuni nostri prodotti, ma soprattutto grazie all’impegno di alcuni addetti del settore, come i fratelli Cerea o il mio titolare, e come loro tanti altri, tra cui moltissimi piccoli e medi produttori, che si impegnano ogni giorno per far conoscere e valorizzare le proprie realtà, che non sono altro che più facce di un’unica realtà collettiva; oltre che ad una serie di iniziative e manifestazioni molto interessanti che danno risalto ad un settore che crede e lavora per il territorio. È in questo contesto che ho deciso di scrivervi e presentarvi la mia esperienza. Il 22 di gennaio scorso ho partecipato al campionato italiano seniores di pasticceria, primo concorso per importanza a livello nazionale, svoltosi nel corso del Sigep di Rimini (Salone internazionale di gelateria, pani-

ficazione e pasticceria) secondo evento, in ordine di importanza a livello europeo, dopo Lione, per gli addetti del settore e primo palcoscenico a livello internazionale per ciò che riguarda la gelateria. Avendo 22 anni compiuti non ho potuto partecipare al campionato juniores, ho comunque deciso ugualmente di provare a partecipare al campionato seniores, che come è logico immaginare è rivolto a professionisti affermati e già con un buon grado di esperienza. Nonostante questo, sono riuscito ad ottenere un prestigioso secondo posto. Il concorso era così strutturato: ogni concorrente doveva presentare due degustazioni, un dessert al piatto ed un dessert al bicchiere ed in infine una scultura in zucchero, nella disciplina dello zucchero artistico, in un tempo massimo di otto ore. Io sono arrivato rispettivamente: primo nel dessert al piatto, con un dessert che al suo interno presentava una preparazione a base di polenta dolce, secondo nel dessert al bicchiere, con un dolce che al suo interno proponeva come elemento caratterizzante


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Per favore, non facciamo diventare napoletani i pomodori Pachino Distintissimo direttore, sono un vostro lettore fedele, grazie anche all’edizione on line. Mi è capitato di leggere, altrove, la notizia della Pizza dedicata a Massimo Troisi, idea di un pizzaiolo della nostra provincia, e mi sono un po’ indispettito. L’irritazione non deriva certamente dall’intitolazione al grande attore partenopeo, bensì alla definizione di “Pomodori Pachino napoletani”, presente in un disegno con gli ingredienti a fianco. Mi sono fatto persuaso che detta definizione non proviene certamente dal maestro Pizzaiolo autore della ricetta. È però simbolo di una superficialità che non credo meriti cittadinanza. Chiamare “Pachino napoletano” un pomodoro la cui zona di produzione comprende l’intero territorio comunale di Pachino e Portopalo di Capo

Passero e parte dei territori comunali di Noto (Sr) ed Ispica (Rg), ricadenti nella parte sud orientale della Sicilia, equivale a definire un frutto del melo come “Mela abruzzese della Val di Non” o “Mela rosa sanremese dei Monti Sibillini”. Oppure, per restare nella bella e gloriosa terra orobica, che ne dice di proporre, come dessert, una bella fetta di “Turta valtellinese de Treì” accompagnata da un bicchiere di “Moscato astigiano di Scanzo”? Caro direttore, mi perdoni l’impudenza, forse ho un’esagerata passionalità per la mia Terra e per i frutti preziosi che ci regala. Ma qui, o si fa l’Italia (scrivendo giusto) oppure è meglio che si muoia (di fame). Con profondi ossequi Gaetano Taccone

anche noi giovani possiamo farcela il Moscato di Scanzo Docg, ed infine ancora primo nella scultura in zucchero. Come avrete notato, ho voluto dare una forte caratterizzazione territoriale alle mie preparazioni. Questo perché sono molto legato al mio territorio (sono nato e cresciuto e vivo tutt’ora in mezzo ai filari del Moscato di Scanzo, di cui la mia famiglia è sempre stata produttrice) e credo che la sua valorizzazione sia quasi un obbligo per chi come me ama questo territorio, questo mestiere e crede nelle sue eccellenze. Logicamente questo risultato non è arrivato così dal niente, ma è la conclusione di un lungo impegno, circa sei mesi di preparazione, in cui ogni aspetto secondario rispetto alla mia passione, che è l’arte della pasticceria, è stato accantonato temporaneamente. Sei mesi passati a lavorare la sera e la notte dopo dieci ore di lavoro in laboratorio. Un’esperienza, ed un risultato che non sarebbero mai arrivati senza l’aiuto e l’appoggio del mio titolare, il maestro Giancarlo Cortinovis, membro dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani, un professionista più che af-

fermato e riconosciuto, una persona piena di umiltà e disponibilità nell’aiutare un suo apprendista in questo caso, ma che dimostra di esserlo ogni giorno nel suo lavoro, nel suo negozio e con chiunque gli si rapporti. Penso di essermi già dilungato troppo, quindi vorrei concludere dicendo che non per egocentrismo o mera pubblicità personale, la mia storia sia simbolo di parte di quella società che si impegna ogni giorno per raggiungere i propri obbiettivi e si sacrifica perché essi si concretizzino. Quella parte di giovani a cui si chiede di impegnarsi per far crescere e valorizzare questo paese, in cui gran pochi investono e su cui tutti sperano e che meriterebbe spesso una maggiore considerazione dai media. Spero che questa mia storia possa interessarvi, non tanto per mirare ad auto-promuovermi, ma appunto perché trovo nel vostro mensile la vera volontà di valorizzare la nostra realtà. Cordiali saluti Matteo Magri

Caro Matteo, pubblico volentieri il suo scritto nella speranza sia di esempio e di stimolo. Il territorio ha bisogno di giovani promesse, ancor di più di convinti sostenitori dei giacimenti locali. Valorizzare i prodotti tipici - lo ribadiamo di frequente - significa credere nel proprio territorio, nelle tradizioni, vuol dire alimentare l’economia locale. Sono concetti che a livello teorico molti condividono. Sul piano pratico, purtroppo, la musica cambia (il caso dei Ristoranti dei Mille... Sapori è in tal senso un chiaro esempio). Il fatto che ci siano giovani come lei che non dimenticano le proprie radici ci fa comunque ben sperare per il futuro. Le auguro tanta fortuna. GR

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L’intervista di Leo Bartoli

“Il fast food? Può dare una mano ai formaggi bergamaschi” Parla Massimo Barbieri, solida esperienza in diversi gruppi del food. “Oggi il consumatore chiede qualità anche nel cibo veloce. Per questo molte catene lanciano offerte con prodotti Dop e Igp”. “Far entrare nei grandi circuiti le chicche casearie orobiche potrebbe essere una delle nuove sfide da intraprendere, con una diffusione non solo in Italia ma anche all’estero”

L’

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esigenza di mangiare in fretta, di spendere poco causa crisi, di accontentarsi solo di uno spuntino sta cambiando le abitudini alimentari degli italiani, specie per il pranzo di lavoro, con poco tempo a disposizione. Sono oltre dieci milioni gli italiani che fanno la pausa pranzo fuori casa. Ma chi l’ha detto che il cibo “fast” dev’essere necessariamente “spazzatura” o comunque di qualità scadente? A sfatare un luogo comune che in futuro non potrà più essere presentato come un dogma dagli alimentaristi, ci pensa Massimo Barbieri, colui che è riuscito a convincere McDonald’s a inserire nei suoi menù hamburger e panini a base di prodotti della tradizione italiana come Parmigiano Reggiano e Provolone Valpadana per l’ormai famoso McItaly. Milanese, 49 anni, Barbieri ha una solida esperienza in molte aziende del food planetario, da Coca Cola a Burghy, a

Mc Donald’s (dove era responsabile per la gestione di tutta la rete franchising in Italia) fino all’attuale sfida con Cibiamogroup, società specializzata nella realizzazione di locali ispirati alla ristorazione veloce. Lo scorso 4 marzo è stato ospite alla Casa degli Alti Formaggi di Treviglio dove ha illustrato la nuova frontiera del “Fast Dop”, alimentazione veloce che però si avvale di prodotti dell’eccellenza italiana. Barbieri, lei con McItaly hai provato a invertire una tendenza, convincendo McDonald’s a utilizzare i grandi prodotti made in Italy del territorio: ci racconti come è andata. “È stato uno straordinario lavoro di squadra, io ho fatto solo un pezzo del gioco, chi in primis ha guidato queste scelte strategiche è l’amministratore delegato. Già da molti anni c’erano ricerche che indicavano quanto gli italiani, grazie alla nostra straordinaria storia, amassero - ed

è ancora così - i cibi di alta qualità specialmente se legati al territorio ed alle tradizioni. Le aziende attente ad ascoltare i clienti, e sicuramente McDonald’s è tra queste, hanno colto questa domanda e, cominciando con il panino al Parmigiano Reggiano Dop, hanno poi creato una serie di prodotti, culminati nel progetto McItaly, che comprendeva diversi ingredienti Dop ed Igp come, per esempio, tra gli altri, il Provolone Valpadana Dop, lo speck dell’Alto Adige Igp o la Bresaola di Valtellina Igp. La sfida principale è stata quella di coniugare i disciplinari di questi prodotti Dop o Igp con l’organizzazione di McDonald’s, le cui cucine sono una straordinaria “macchina” dagli elevatissimi standard ed in cui nulla è lasciato al caso. Attivando una di queste funzioni aziendali si sono creati progetti e raggiunti risultati di cui si è poi parlato, letteralmente, in tutto il mondo.


dicembre 2012 marzo 2013

Massimo Barbieri

Le catene si moltiplicano: da Autogrill a Mychef fino all’ultima Montana Gourmet: ci fa un panorama sulle ultime nascite e sui loro target? “È vero, sono numerose le catene che hanno colto la domanda degli italiani per i prodotti eccellenti e ci hanno lavorato sopra per creare nuove proposte. Mi viene in mente il panino con il Grana Padano creato da Burger King; Autogrill sta lavorando in modo interessante con Spizzico, proponendo periodicamente pizze con ingredienti Dop o Igp. Trovo interessantissimo il lavoro svolto da Rossopomodoro e Rossosapore sia con alcuni Consorzi, come quello della Mozzarella di Bufala Campana Dop, sia con i Presidi di Slow Food. Mychef è interessante perché alcune sue proposte con prodotti Dop concepite per essere temporanee hanno avuto talmente tanto successo da rimanere perennemente nella loro offerta. Un’altra catena che sta facendo ottime cose, è La Piadineria e andava in questa direzione l’iniziativa di Ristop che ha creato il panino “V.I.P.”, very italian panino”.

Genuinità, freschezza, prodotti salutari o a km zero: cosa chiede realmente il consumatore del fuori casa? “Il mercato della ristorazione fuori casa sta vivendo cambiamenti importanti. Si sta andando verso una progressiva “frammentazione” della fruizione, con conseguenti opportunità per proporre nuove modalità di consumo. Basti pensare, a titolo di esempio, alla crescita della fascia cosiddetta dell’ “apericena”, o delle offerte “happy hour”. Come sempre, le realtà (piccole o grandi) più attente ad ascoltare i consumatori saranno quelle che meglio intercetteranno queste nuove tendenze. Tenendo sempre a mente che occorre essere “intelligenti” nel senso letterale del termine, cioè occorre saper “leggere tra le righe”, perché la customer satisfaction non è, semplicemente, dare al cliente ciò che questi chiede, ma ciò che vuole; e non sempre le due cose coincidono”. Allora cosa chiede in realtà il consumatore del 2013? “Un ritorno alle origini. Alla semplicità. A storie, a vissuti che diano affidamento, che facciano stare bene in tutti i sensi. Ultimamente ho letto diverse ricerche ed ho trovato particolarmente interessante un seminario di Eurisko il cui titolo racchiude bene questi concetti, “Buono da pensare, buono da mangiare” e credo che in questa definizione sintetica ci sia tutto. Oggi il consumatore desidera essere coinvolto, vivere da protagonista (magari con il semplice gesto della scelta d’acquisto) una storia che lo faccia in qualche modo sentire bene; bene per se stesso o per la società (interessanti le crescite, pur in un contesto di diminuzione del reddito disponibile reale delle famiglie e quindi di un ridimensionamento della domanda per consumi, dei prodotti bio, dei prodotti equo-solidali: interessante infine il fenomeno dei prodotti nati in terre confiscate alla malavita organizzata)”.

Bergamo è la capitale italiana dei Formaggi Dop, ben 9, con eccellenze come il Taleggio, Formai de Mut, Grana Padano, Provolone Valpadane e via seguire: finora però pochi se ne sono accorti. Non sarebbe opportuno farli entrare in grandi circuiti e catene, per favorirne promozione e diffusione? “Sono d’accordo. Si tratta di eccellenze che nulla hanno da invidiare ad altri formaggi più noti ed in effetti con Grana Padano Dop e Provolone Valpadana Dop già alcune grandi catene si sono cimentate. Potrebbe essere una delle nuove sfide da intraprendere con la mia nuova società, Cibiamo, per una diffusione magari non solo in Italia ma anche all’estero...”. Per concludere: l’Italia è il Paese forse dove si mangia meglio, ma a parte casi isolati come Eataly o più recentemente Grom per i gelati, ci sono pochi esempi di catene su scala planetaria che si avvicinino a McDonald’s: è un bene puntare solo e sempre sul “taglio artigianale”? “È vero, Eataly è straordinaria, i ragazzi di Grom sono bravissimi ed hanno creato una storia unica. Forse un punto di equilibrio si potrebbe trovare con processi semiartigianali, in cui conciliare tradizione, controllo degli standard e replicabilità. L’importante, a mio parere, è accettare l’idea che ci sia spazio per diverse soluzioni senza demonizzare nessuno e senza creare contrapposizioni che non hanno motivo di esistere. Può capitare di pranzare velocemente e di cenare lentamente, cambiano le occasioni di consumo e ci possono essere terreni comuni. Celentano ha inventato il tormentone “Rock o lento?”. La pizza, per esempio, è rock o lenta? Forse in medio stat virtus”.

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in rete Il fenomeno si sta espandendo sul web, in Italia e anche a Bergamo. Ci si iscrive a un sito e si decide se essere ospiti o cuochi. Chi aderisce all’evento gastronomico, a fine serata, paga una quota di partecipazione già pattuita di Giordana Talamona

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“Social eating”, la nuova cena anticrisi una nuova tendenza arrivata, manco a dirlo, dall’estero, che in pochissimo tempo ha trovato terreno fertile anche da noi. Si tratta del social eating, un fenomeno che nell’ultimo anno è cresciuto al punto che sono nati numerosi siti che ne pubblicizzano la tendenza. Se la crisi, infatti, ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie che rinunciano sempre più spesso ad andare al ristorante, il desiderio di uscire per una cena è rimasto, eccome. Lo dimostra questa nuova tendenza, la versione 2.0 di una “cena al buio” che permette di passare una serata diversa dal solito. Un certo spirito di adattamento è gradito, questo va detto. Molto spesso,

infatti, non solo non si conoscono i convitati alla cena, i padroni di casa e il cuoco, ma talvolta neppure il menù che verrà servito. Il meccanismo è piuttosto semplice: ci si iscrive a un sito, si decide se essere ospite o cuoco, si organizza una cena e, a fine serata, si paga una quota di partecipazione già pattuita. Il cuoco, in genere, è uno dei padroni di casa, a cui è riservata la facoltà di scegliere il menù per tutti, anche se non esistono regole rigide a riguardo. La libertà della rete, infatti, crea situazioni eterogenee e spesso impreviste. C’è chi pubblica il menù in rete, chi chiede di portare parte degli ingredienti, chi preferisce accontentarsi

Le serate a tema di Heidi Iuliano

Albano Sant’Alessandro, l’ingegnere aerospaziale prestato alla cucina È alla prima esperienza, ma ci crede fortemente. Heidi Iuliano è un ingegnere aerospaziale prestato alla cucina, che organizza serate a tema nella sua casa di Albano Sant’Alessandro. “La passione per la cucina è il primo motore che mi ha spinto - commenta - oltre al desiderio di conoscere altre persone”. Non nuova in cucina, Heidi Iuliano ha già passato molte ore tra i fornelli, frequentando dei corsi di cucina e lavorando, per un periodo, in un ristorante. Ma è tra le quattro mura domestiche che dà il meglio di sé, dove spesso ospita gruppi di amici, fino a trenta persone in un colpo solo, che si giovano di questa sua passione. Il tutto in una cucina

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non professionale, cosa che metterebbe alla prova l’abilità di uno chef consumato. Questa volta, però, il numero massimo di convitati è ristretto a “sole”, si fa per dire, sette persone. Il tema della serata proposto dalla Iuliano è quanto di più conviviale possa venire in mente. “Ci facciamo una birra assieme? È questo che pensiamo quando abbiamo voglia di trascorrere un po’ di tempo con un amico - commenta -. Per rendere il tutto più conviviale e piacevole, ho quindi pensato a un menù centrato tutto sulla birra, che credo potrà accontentare tutti i gusti. Adesso mancano solo i commensali, nella speranza che a fine cena possano diventare nuovi amici”. Staremo a


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I prezzi

Nessuno si arricchisce, ma tutti ci guadagnano qualcosa. Gli ospiti partecipano a una cena pagando una quota di partecipazione che si aggira mediamente intorno ai 20-30 euro, il cuoco si ripaga dello sforzo e il social network prende una percentuale pari a 8-10% della quota.

I siti e i follower

di una quota di partecipazione e chi tiene nascosto il luogo dell’incontro sino al giorno prima, confondendo evidentemente il concetto di “Carboneria” con quello di “carbonara”. Facile ironia a parte, il successo del social eating è solo in parte un segnale dei nostri tempi. La crisi sta certamente cambiando le abitudini degli italiani, ma non è la principale ragione del successo di questa tendenza. La rete, semmai, amplifica, crea opportunità e mode, facendo da cassa di risonanza ai bisogni dell’uomo. Prima ci si trovava davanti al fuoco a cuocere della carne di Mammut, oggi ci si siede a tavola con degli estranei per il solo piacere di condividere un pasto. Tutto cambia, muta, diventa veloce, tranne il connaturato bisogno di convivialità dell’essere umano, non a caso il più sociale tra gli animali.

vedere come risponderà il territorio bergamasco, spesso poco incline alle novità. “Quando ho pubblicato l’annuncio sul sito Gnammo spiega - mi sono chiesta come potesse essere accolta un’iniziativa del genere in una zona apparentemente chiusa come la nostra”. Se aprire la propria casa a dei perfetti sconosciuti, infatti, può sembrare rischioso, all’estero è una pratica consolidata anche per cercare alloggio. È questo il caso del “couch surfing”, un programma on line che mette in contatto persone provenienti da ogni parte del mondo, che permette di ospitare o essere ospitati sul divano di casa. “Ho già provato anche il couch surfing, – conclude – un’esperienza molto positiva perché, dà la possibilità di ammortizzare il prezzo dell’alloggio e anche di entrare in contatto con culture diverse. Un esercizio che apre la propria mente”. Il menù? Risotto alla birra, spiedini al miele su letto di spinaci, crostini e spuma al profumo di birra, dolce alla Guinness, acqua e birra.

In Italia sono numerosi quelli che promuovono il social eating, come Gnammo, NewGusto, Kitchen Party, Ploonge, Peoplecooks, solo per citarne alcuni. Il primo, Gnammo (http:// gnammo.com), nato nel 2012, può già contare su oltre settecento follower in quasi tutta Italia. Si può aprire un profilo come Cuoco o Gnammer, scegliendo se mettere a disposizione le proprie doti culinarie o il proprio appetito. NewGusto (https://newgusto.com) è un sito in lingua inglese, nato dall’idea di un gruppo di abruzzesi, che si rivolge principalmente a quei turisti che vogliono conoscere, da vicino, la cucina autoctona di un Paese. Kitchen Party (http://www.kitchenparty.org) è nato a Roma dall’omonima associazione no profit. È rivolto innanzitutto ai giovani del programma universitario Erasmus sparsi in tutta Europa. Ploonge (http://www.ploonge.com) che dà spazio non solo al social eating, ma anche ai locali, agli agriturismi e alle associazioni, sta attualmente aprendo la propria attività anche all’estero. Peoplecoocks (http://www. peoplecooks.it), piuttosto simile a Gnammo, divide i profili in People o Cook, in base alle proprie predisposizioni in cucina.

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L’esperto di Giordana Talamona

Il miglior sommelier del mondo 2010, Luca Gardini, è categorico: “Se non ci scrolliamo di dosso la cattiva abitudine di non fare sistema, il settore sarà ancora penalizzato”. “I prodotti che stanno soffrendo di più? Quelli spersonalizzati, che non raccontano, attraverso un vitigno, la loro storia e il loro territorio”. “Sulle vendite cresce l’incidenza della grande distribuzione”

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Luca Gardini

Vino, “il peggior nemico dell’Italia è proprio l’Italia” i naso ne ha da vendere, Luca Gardini, miglior sommelier del mondo 2010. Dopo aver lasciato i lidi del ristorante di Carlo Cracco, dove ha lavorato per sette anni sino al 2011, Gardini è oggi un sommelier indipendente, tra i più richiesti del panorama internazionale. Romagnolo, sanguigno e genuino, ha esordito a soli 23 anni nella prestigiosa, tristellata enoteca Pinchiorri di Firenze, dove si è formato alla corte di Giorgio Pinchiorri, suo primo, vero maestro. Di fronte a una platea di appassionati ed esperti non impone mai il suo giudizio su un vino, lasciando a ognuno il proprio parere perché, come ama sostenere, «non sei tu che parli al Vino, ma è il Vino che parla a te». Gardini, com’è cambiato il mercato del vino in Italia con la crisi? “Il consumatore si è evoluto, approfondendo le proprie conoscenze anche attraverso la rete, proprio per dar maggiore valore al denaro speso per una bottiglia di vino. Tuttavia, proprio perché il vino è emozione, non mancano gli acquisti di etichette importanti, anche se comprate singolarmente e non più in grosse quantità”. E all’estero? “L’estero, sia il Far East, il sud che il centro America, stanno dando ossigeno a molte aziende italiane. Gli acquisti stanno diventando sempre più consapevoli anche a queste latitudi-

ni, grazie alla promozione di numerosi produttori. Quello che nei prossimi anni qualificherà il vino italiano in questi Paesi, infatti, sarà proprio il lavoro di divulgazione dei valori e delle caratteristiche del nostro vino. In questa fase è meglio vendere meno, ma creare i presupposti per un successo più duraturo, basato sulla qualità e non solo sul prezzo”.

Quali sono i vini che in Italia stanno soffrendo di più la crisi? “Quelli spersonalizzati, che non raccontano, attraverso un vitigno, la loro storia e il loro territorio. Senza contare quei vini vecchio stile, con gradazioni alcoliche importanti, se non addirittura eccessive”. Oltre alla crisi, crede che i limiti alcolemici abbiano giocato un ruolo

Ma anche la comunicazione più

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ltimamente ho riflettuto sul concetto di comunicazione, anche in seguito all’interessante convegno tecnico scientifico interamente dedicato a questo tema durante l’ultima edizione del Concorso Enologico Internazionale “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet Insieme”, e su come a volte un’idea sbagliata di comunicazione possa portare a risultati quanto meno discutibili. Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito, all’interno del mondo dell’enologia italiana, al proliferare di voci e pareri. Tutti, o per lo meno molti, si sentono in dovere di esprimere la propria opinione, generalmente in maniera netta e a volte drastica, circa i prodotti dell’enologia italiana, le scelte attuate dai produttori, le linee guida seguite da Enti e Consorzi eccetera eccetera. Il problema non risiede tanto nel fondamento di tali opinioni, tema sul quale si potrebbe stare a discutere per ore perché, in fondo, ognuno è libero di avere la propria opinione e di trasmetterla a chi meglio ritiene; quanto sull’effetto deleterio che tale proliferazione di voci ha avuto sul mercato del vino. Nell’eterna lotta per far parlare di sé, nel bene o nel male, produttori, Consorzi e comunicatori hanno intrapreso le strade più impervie, le più strane, le più assurde e soprattutto le più “gridate” spostando in questo modo l’attenzione dal prodotto “vino” al prodotto “vino strano”. Packaging “creativi”, etichette d’impatto, linee create per eventi importanti, prodotti modificati per rispondere alle esigenze di un mercato ormai saturo,


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fondamentale nel calo dei consumi? “In parte, ma ancora di più hanno influito i cambiamenti degli stili di vita. Non dimentichiamoci che solo alcune generazioni fa, il vino era consumato anche a pranzo, mentre oggi è una cosa rarissima”. Come si è evoluto il gusto dei consumatori da dieci anni a questa parte? “Scelgono i vini per la snellezza del sorso o per l’etichetta. Tuttavia, come detto prima, il processo d’informazione e consapevolezza che si è innescato riuscirà a migliorare implicitamente la qualità dei vini di domani”. Trova che con l’inizio della crisi il gusto sia cambiato ulteriormente? “Sono preferiti i vini con una maggiore complessità o, quanto meno, più armoniosi ed equilibrati”. Anche il settore vitivinicolo non è esente da mode e tendenze che ne condizionano i consumi. Quali sono state quelle degli ultimi anni? “Andavano per la maggiore i vini con molto “frutto”, caratterizzati spesso da uvaggi internazionali e dotati di gradazioni alcolometriche piuttosto elevate. Spesso il vino, fino a pochi anni fa, era uno status symbol, adesso invece è più un motivo d’incontro, di confronto e di condivisione”.

E oggi? “Oltre alla condivisione, vero messaggio del vino, oggi incontriamo vini più snelli, evidentemente influenzati anche dal dilagante fenomeno delle bollicine, che non vanno considerati necessariamente come vini semplici”. Nel mare magnum di produttori, vini e vitigni non è facile per il consumatore orientarsi. Cosa conta di più: prezzo, produttore o  cos’altro? “Contiamo noi, i nostri gusti e, soprattutto, conta l’abbinamento. Il vino è fatto per accompagnare il cibo, al di là delle tendenze del vino come aperitivo. Un consiglio? Abbinate vini regionali a preparazioni regionali. Un esempio? Tajarin con ragù di coniglio piemontesi con un Grignolino o Dolcetto. Oppure le candele spezzate con un sugo di genovese a un bel Fiano di Avellino”. Venendo ai canali di vendita del vino, la parte del leone oggi la fa ancora la grande distribuzione che incide per oltre il 45% nelle vendite nazionali. Come influisce questo strapotere sul settore? “Come in tutte le cose, è il cliente che può scegliere dove comprare. Mi pare, tuttavia, che anche all’interno degli ipermercati la sezione dedicata ai vini sia stata notevolmente incrementata, per scelta e qualità”.

“estrema” può far danni hanno sì avuto l’effetto di attirare l’attenzione sul mondo dell’enologia italiana ma hanno anche portato l’effetto collaterale di perdere di vista il vero re della produzione: il vino. Spesso quando alla domanda “Cosa producete?” io rispondo “Vino (con tutte le specifiche e le caratteristiche del caso)” mi viene ribattuto “Sì, va bene. Ma cosa fate di strano, di diverso?”. Non dobbiamo dimenticare che l’enologia italiana ha raggiunto la posizione di rilievo che detiene non tanto per strane creazioni ed estrosi esperimenti ma per la qualità del suo prodotto principe: il Vino, nelle varie Denominazioni, con le sue caratteristiche e le sue varie sfaccettature che consentono, all’interno di una stessa Denominazione di ritrovare prodotti estremamente diversi uno dall’altro, in grado di esprimere l’anima del territorio e del produttore. Insomma, va bene essere creativi; ma ricordiamoci che ciò che è rilevante comunicare è il nostro vino, quello vero. Sergio Cantoni

Esistono, a suo avviso, dei grandi vini italiani che oggi sono sopravalutati, il cui prezzo non è giustificato dalle loro caratteristiche organolettiche? “Sono i giudizi sopravvalutati a rendere i vini altrettanto sopravvalutati, quindi attenzione a dare pareri, se non si è bevuto e compreso parecchio. Ci sono vini non solo discreti, ma addirittura molto buoni entro i 10 euro”. L’anno scorso lei ha pubblicato il libro “I 100 vini migliori”, mettendo al primo posto un Porto Vintage 2003 e solo al 19esimo un vino italiano, un Barolo riserva 2003, dopo una sequela di vini francesi. Sui vini “top”, dunque, i vini stranieri ci battono ancora? “Non ci battono assolutamente, sarebbe giusto sostenerlo confrontando cose simili. Lo dimostra il fatto che nella classifica de ‘I 100 vini migliori’ primo è arrivato un vino fortificato e, di seguito, vini realizzati con altre tecniche e altrettanti vitigni. Non definirei il 19esimo posto una posizione di rincalzo, visto che la classifica è di 100 vini, senza contare gli esclusi”. E sui vini di livello medio-alto? “Neppure qui ci battono, ma se vogliamo per forza fare una classifica, diciamo che i francesi ci sopravanzano in alcune tipologie di vino perché hanno cominciato a sbagliare da molto tempo prima di noi”. C’è qualcosa che dovremmo invidiare ai francesi? “La reputazione accumulata negli anni e, forse, un po’ meno calore in certi mesi dell’anno”. Quali sono i punti deboli della viticoltura italiana? “Fare poco sistema. Se andiamo in Francia, ma il discorso potrebbe valere per le zone d’elite enologica della Germania, se non è di tuo gusto un produttore, sarà egli stesso a indirizzarti verso un suo collega e non semplicemente verso un concorrente”. Quali sono le nazioni emergenti che, a  breve, daranno del filo da torcere alla produzione italiana? “L’Italia stessa in primis, se non si scrollerà di dosso qualche cattiva abitudine, come quella di non fare sistema”. Per finire, che scenari immagina da qui a  cinque-dieci anni per il mondo del vino? “Più che immaginare ho la speranza che i  consumatori e la loro ‘sete’ di conoscenza possano essere da volano per un incremento qualitativo del vino e delle aziende che lo  producono”.

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Tendenze di Lara Abrati

Latte, il boom dei self-service In poco tempo, nella Bergamasca, i distributori automatici gestiti dagli allevatori hanno quasi toccato quota 50. Il prezzo medio al litro si aggira tra 80 centesimi e 1 euro, il doppio rispetto al prezzo pagato dalle industrie di trasformazione

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n tempo, dalle aree urbane e dai piccoli centri abitati, la gente si recava quasi quotidianamente dagli allevatori ad acquistare uova e latte per sfamare la propria famiglia. Complice anche le ricette della cucina tradizionale, con il latte a far da ingrediente in maniera similare al brodo, spesso allo scopo di arricchire pietanze preparate a partire da materie prime povere. Al riguardo si possono citare diverse ricette o preparazioni. Per esempio, nel periodo quaresimale, il venerdì si consumava il “baccalà”, cucinato con patate e latte. Frequente anche il riso al latte - ovvero un semplice risotto cucinato interamente nel latte invece che nel brodo, che assume una cremosità significativa e caratterizzante - o i poveri “borfadèi”, una polenta morbida messa in una scodella a cui viene aggiunto del latte freddo.

Il latte era quindi di grande rilevanza nell’alimentazione e nell’economia rurale delle pianure bergamasche e bresciane. Ma anche in montagna, dove in prevalenza veniva trasformato in formaggio. Pian piano, con l’affermarsi dell’industria, l’economia agricola è stata quasi totalmente abbandonata e i pochi allevamenti rimasti hanno assunto sempre più i caratteri dell’agro-industria, con performance produttive e standardizzazione dei processi. Ecco quindi la selezione delle razze, la scelta di privilegiare quelle più produttive in grado di assimilare maggiori principi nutritivi e produrre più latte, anch’esso caratterizzato da una maggior presenza di sostanze nutritive come le proteine. In particolare l’aumento della proteina caseina, responsabile della coagulazione del latte, aumenta via via i

I Distributori Di Latte Crudo COMUNE

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ALBANO S. ALESSANDRO ALBINO ALBINO ALME’ ALMENNO SAN BARTOLOMEO ALZANO LOMBARDO ALZANO LOMBARDO ALZANO LOMBARDO ARCENE ARZAGO D’ADDA BAGNATICA BERGAMO BERGAMO BERGAMO BERGAMO BERGAMO BOLTIERE BONATE SOTTO BOTTANUCO BREMBATE BREMBATE DI SOPRA BREMBATE DI SOPRA CALCINATE CALUSCO D’ADDA CARAVAGGIO CARAVAGGIO CISANO BERGAMASCO

ALLEVATORE

INDIRIZZO

PALAMINI BRUNO GIOACHINO GUERINI ERMANNO NORIS MARIA GRAZIA AZ. AGR. DONGHI MICHELE AZ. AGR. DONGHI MICHELE CASCINA SOLE DI ROSSI GIACOMO GUERINI ERMANNO PALAMINI BRUNO GIOACHINO AZ. AGR. EREDI FRANCO VITALI s.s. AZ. AGR. PREMOLI MAURIZIO AGNELLI CRISTIAN AZ. AGR. ALINI LUIGI E GIUSEPPE AZ. AGR. ER EDI FRANCO VITALI s.s AZ. AGR. LOCATELLI ALFREDO E DOMENICO s.s AZ. AGR. MOLERI PIERINO PALAMINI BRUNO GIOACHINO C/O AZ. AGR. MAGNI EVANDO AZ. AGR. EREDI FRANCO VITALI s.s AZ. AGR. FUMAGALLI s.s. AZ. AGR. ALINI LUIGI E GIUSEPPE MANZONI VITTORIO E ANTONIO MANZONI VITTORIO E ANTONIO LIBORIO GIOVANNI AZ. AGR LA COLOMBERA AZ. AGR. NODARI DI NODARI VALENTINO E F.LLI AZ. AGR. PIZZOCCHERO F.LLI AZ. AGR. MAGGIONI VIRGINIO

PIAZZALE DELL’ALPINO VIA ROMA, 17 VIA MULINELLO VIA DON ISENI C/O SUPERMERCATO PELLICANO VIA AL LUJO, 89 VIA FANTONI, 24 PIAZZA EUROPA VIA GRANDI, 19 C.NA RAVAIOLA P.ZZA BERBORINI VIA MANGILLI, 21 VIA CODUSSI PASSAGGIO CASCINA ALBERTA VIA S. CROCE, 6 GELATERIA CUORE DI PANNA VIA DON G. CARMINATI VIA XXV APRILE C/O PARCHEGGIO SCUOLA MATERNA C/O IPER BREMBATE VIA BRUNO LOCATELLI VIA RUGGERI VIA DEGLI OLMI VIA VOLMERANGE LES MINES VIA FORNOVO C.NA FORNACE CASCINA DOSSI VIA CA’ DE VOLPI


marzo 2013 processi di caseificazione assecondando le esigenze dell’industria lattiero-casearia a cui molti allevatori conferiscono il latte. Questo potrebbe essere uno degli aspetti - insieme ad esempio alle varie politiche agricole - che hanno contribuito a non valorizzare la produzione di latte, ma a fargli assumere sempre più i caratteri di una “commodity”, cioè di un prodotto offerto al mercato indipendentemente da chi lo produce. In questo contesto è nato e permane il malcontento degli allevatori, che vedono salire i costi gestionali delle proprie aziende a fronte di un prezzo del loro prodotto conferito fermo a 0,40 euro al litro (fonte Clal). Ecco spiegata, in parte, la crescita degli ultimi anni dei distributori self service di latte crudo, gestiti direttamente dalle aziende agricole produttrici. Sono comparse nelle vie e nelle piazze di molti paesi. In provincia di Bergamo sono quasi 50 e forniscono latte crudo fresco ad un prezzo medio di 0,80 -1,00 €/l. In molti vi è la possibilità di acquistare anche altri prodotti a base di latte realizzati dalle stesse aziende come lo yogurt. Il contenitore si può acquistare in loco oppure lo si può portare da casa, riutilizzandolo e riducendo così l’impatto ambientale. Il latte messo in commercio è da consumare previa bollitura anche se

Azienda Agricola Mazzotti «La sfida del biologico è impegnativa, ma ne vale la pena» Alioscia e Luca sono due giovani fratelli che, spinti dalla voglia di rinnovare l’azienda centenaria di famiglia e dall’esigenza di tutelare l’ambiente in cui vivono, la zona della Franciacorta, hanno fatto scelte coraggiose. Alla guida dell’azienda con sede a Coccaglio (Bs) e che conta circa 20 capi allevati in lattazione, Alioscia e Luca hanno dal 2006 avvertito l’esigenza di iniziare a commercializzare il loro latte in maniera diversa allestendo alcuni distributori nei comuni limitrofi alla loro sede aziendale. Oltre alla scelta di dotare la loro azienda di un robot di mungitura, nel 2011 danno inizio a un’altra sfida, quella di diventare azienda biologica. Pionieri in questo settore, il mese prossimo avranno portato a termine i due anni necessari alla conversione. “In questi due anni - spiega Luca - abbiamo affrontato diverse problematiche relative alla conversione perché, essendo i primi della zona, non avevamo modelli da seguire. Speriamo noi di poter essere utili, con la nostra esperienza, alle realtà che vorranno effettuare scelte simili alla nostra”. L’azienda ha dovuto limitare anche il numero di capi e predisporre uno spazio esterno adibito al pascolo. Le bovine sono frisone, ma tramite le fecondazioni e la rimonta, Luca e Alioscia, stanno cercando di avere delle razze maggiormente rustiche perché più resistenti. Per quanto riguarda l’alimentazione, la razione è composta da fieno di diverse specie: loiessa, erba medica e prato stabile. La loro produzione è orientata alla vendita diretta di latte crudo attraverso un distributore posto direttamente in azienda e alla vendita di yogurt attraverso i distributori dislocati nei comuni limitrofi. Gli yogurt sono aromatizzati con confetture biologiche diverse. L’azienda conferisce inoltre il latte a un bio caseificio artigianale per la produzione di Grana Padano Dop biologico che verrà commercializzato tra almeno due anni per esigenze ovvie di stagionatura. La produzione media dei loro animali è di 23 litri a capo. Sono disponibili a visite conoscitive! via Lumetti, 5 • Coccaglio (Bs) • www.appenamunto.it • cell. 340 4113998

I Distributori Di Latte Crudo COMUNE CISERANO CIVIDATE AL PIANO COLOGNO AL SERIO COLOGNO AL SERIO COLOGNO AL SERIO COMUN NUOVO COMUN NUOVO COSTA MEZZATE CREDARO SAN FERMO CURNO DALMINE GAZZANIGA GAZZANIGA LEFFE MARTINENGO MARTINENGO MOZZANICA MOZZO NEMBRO OSIO SOTTO PALAZZAGO PALOSCO PALOSCO PEDRENGO PEDRENGO PONTE SAN PIETRO PONTERANICA

ALLEVATORE AZ. AGR. EREDI FRANCO VITALI s.s. AZ. AGR. BIZIOLI IVAN E ROBERTO G. s.s. AZ. AGR. LOCATELLI ALFREDO E DOMENICO s.s. AZ. AGR. LOCATELLI ALFREDO E DOMENICO s.s. AZ. AGR. LOCATELLI ALFREDO E DOMENICO s.s FERRI GIANMARIO FERRI GIANMARIO PALAMINI BRUNO GIOACHINO FARM s.s. COLOMBO PIERINO E GIANLUCA COLOMBO PIERINO E GIANLUCA AZ. AGR. GUERINI ERMANNO GUERINI ERMANNO AZ. AGR. ALBERTI IOLE AZ. AGR. SPORCHIA AZ. AGR. SPORCHIA s.s. FOSSATI EMILIO E LUIGI s.s. AZ. AGR. MERELLI s.s. AZ. AGR. ALINI LUIGI E GIUSEPPE AZ. AGR. DALMAGGIONI GIUSEPPE AZ. AGR. CASTELLI MURIEL AZ. AGR. FONTANA AZ. AGR. LIBORIO GIOVANNI PALAMINI BRUNO GIOACHINO PALAMINI BRUNO GIOACHINO AZ. AGR. MERELLI s.s. AZ. AGR. EREDI FRANCO VITALI s.s

INDIRIZZO C/O CENTRO SPORTIVO VIA MARCONI, 10 FR. MURATELLA PIAZZA MERCATO STRADA FRANCESCA VIA DE GASPERI VIA MANZONI VIA CARDUCCI VIA CADORNA VIA PAPA GIOVANNI XXIII VIA KENNEDY VIA S. ROCCO, 38 VIA MANZONI, 19 VIA MANVIT, 2 VIA MILANO VIA LUOGHI, 2 VIA ROMA VIA PIATTI (ANGOLO VIA OROBIE) VIA TORQUATO TASSO PIAZZA PAPA GIOVANNI XXIII VIA LONGONI C.NA CA’ FONTANA C.NA TOLANI VIA GIOVANNI PASCOLI VIALE KENNEDY, 8 C/O PARCHEGGIO “TASSERA” – VIA PIAVE VIA VALBONA

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Tendenze

Azienda Agricola Liborio Giovanni

questo aspetto non deve fare pensare che non ci siano controlli e limiti igienici da rispettare. I parametri qualitativi del latte munto e l’eventuale presenza di microrganismi patogeni, cioè dannosi per la salute, sono sempre controllati. La possibilità degli agricoltori di vendere il proprio latte ai prezzi sopracitati, oltre ad essere maggiormente soddisfacente dal punto di vista remunerativo ha un altro vantaggio, quello di garantire un maggiore benessere all’animale. Infatti, la remunerazione è tale da permettere una minore spinta produttiva delle bestie che passano da una produzione media giornaliera di circa 30 litri a capo a una produzione di circa 23 - 24 litri. Questo permette alle bovine un migliore stato di salute e una vita mediamente più lunga. Inoltre, indirettamente, permette di mantenere una densità di stalla minore, garantendo alle bovine maggiore spazio individuale. Le aziende visitate, oltre a essere condotte da giovani imprenditori agricoli, hanno fatto delle scelte molto coraggiose, prima fra tutte di affidarsi alla tecnologia per l’operazione di mungitura. Entrambe hanno dotato la propria stalla di un robot di mungitura, in cui le bovine entrano a farsi mungere quando vogliono 24 ore su 24, a seconda delle loro esigenze e del loro stadio di lattazione. Il sistema è gestito tramite un software che controlla i diversi parametri individuali riconoscendole tramite un chip appeso al collo.

«Produco meno latte per fare stare meglio in salute le mie vacche» “Ho investito acquistando e predisponendo i distributori self - service per valorizzare il mio latte, e oggi ne sono soddisfatto”. Queste le parole con cui Giovanni Liborio descrive il motivo della sua scelta. Contento della strada intrapresa e soddisfatto di essere riuscito a vendere direttamente il suo latte. “In questo modo – spiega - sono io che determino il prezzo del mio latte, nonostante sia faticoso e dispendioso gestire gli spostamenti del prodotto e garantire il servizio senza problemi. Però, se lo fa la grande industria, perché non posso farlo anche io nel mio piccolo?”. La sede aziendale è a Palosco, dove c’è anche lo spaccio e la moglie Debora vende i formaggi che lei stessa produce trasformando in loco settimanalmente circa 3 quintali di latte. Allevano 40 capi in lattazione di razza frisona e la produzione media giornaliera si aggira sui 22 litri a capo. Anche Liborio sottolinea come non spingendo eccessivamente le bovine verso una produzione maggiore, esse siano in condizioni di salute migliori. Una delle grandi spese di una stalla risulta essere quella dei medicinali. In questo modo, nel bilancio aziendale, questa voce si è ridotta drasticamente. In azienda è stato predisposto un robot di mungitura, quindi le bovine vengono munte spontaneamente. Hanno un piccolo caseificio e il laboratorio per la lavorazioni degli insaccati; Giovanni è infatti un norcino. Gestiscono 7 distributori e nello spaccio vendono le mozzarelle, lo stracchino, le formagelle e lo yogurt (presente anche in alcuni distributori). Allevano alcuni suini di cui lavorano le carni, gli insaccati prodotti vengono venduti nel loro spaccio. Ecco l’elenco dei paesi dove sono presenti i distributori: Palosco, Calcinate, Trescore Balneario, Telgate, Romano di Lombardia e Covo. Cascina Tolari • Palosco (Bg) • cell. 328 9391523

I Distributori Di Latte Crudo COMUNE

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PONTIDA PRESEZZO ROMANO DI LOMBARDIA ROMANO DI LOMBARDIA SANT’OMOBONO SCANZOROSCIATE SERIATE SERIATE SERIATE SOTTO IL MONTE GIOVANNI XXIII TALEGGIO TERNO D’ISOLA TORRE BOLDONE TRESCORE BALNEARIO TREVIGLIO TREVIGLIO TREVIGLIO TREVIOLO TREVIOLO TREVIOLO TREVIOLO URGNANO URGNANO URGNANO VILLA DI SERIO ZANICA

ALLEVATORE FORMENTI LEONE E CAMILLO s.s. AZ. AGR. CASTELLI MURIEL AZ. AGR. NODARI VALENTINO E F.LLI LIBORIO GIOVANNI IMAGNA PIZZAGALLI RICCARDO GRITTI ROSARIO CASAROTTI GIANPIETRO AZ. AGR. LOCATELLI ALFREDO E DOMENICO s.s AZ. AGR. LOCATELLI ALFREDO E DOMENICO s.s AZ. AGR. LA COLOMBERA AZ. AGR. LOCATELLI ALFREDO E DOMENICO s.s AZ. AGR. LA COLOMBERA PALAMINI BRUNO GIOACHINO LIBORIO GIOVANNI CASAROTTI GIANPIETRO AZ. AGR. EREDI FRANCO VITALI s.s SOC. AGRICOLA F.LLI ASSANELLI s.s. COLOMBO PIERINO E GIANLUCA COLOMBO PIERINO E GIANLUCA COLOMBO PIERINO E GIANLUCA AZ. AGR. ARMANNI ANGELO AZ. AGR. ALINI LUIGI E GIUSEPPE AZ. AGR. ALINI LUIGI E GIUSEPPE AZ. AGR. ALINI LUIGI - C.NA BATTAINA GUERINI ERMANNO C/O F.LLI PAGLIARDI AZ. AGR. ALINI LUIGI E GIUSEPPE

INDIRIZZO DI FRONTE POLARIS VIA PAPA GIOVANNI XXIII C/O COOP, VIA MARCONI, 32 AREA PUBBLICA VIA XXV APRILE PIAZZALE TERME VIA T. TASSO, 4 VIA BRUSAPORTO, 41 PIAZZA MATTEOTTI VIA LOMBARDIA VIA COLOMBERA VIA ROMA, 59 – F.NE OLDA VIA CASOLINI PIAZZA DEL BERSAGLIERE PIAZZALE COMI VIALE PIAVE, 43 PIAZZA DEL POPOLO VIA CAMILLO TERNI C/O CENTRO “BERGAMO VERDE” VIA AMBROSIONI, 11 VIA ROMA VIA DEL PERO, 24 C.NA BATTAINA, 4 VIA PAPA GIOVANNI XXIII PIAZZA DI URGNANO VIA AGAZZI PIAZZA EUROPA


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La cantina

“Marisa Cuomo” incanta i sommelier bergamaschi Al Settecento di Presezzo in evidenza i vini “eroici” prodotti a Furore, sulla Costiera Amalfitana. Degustate quattro annate di Fiorduva

L’

immagine che vedete qui sotto è emblematica. Quell’uomo dalle mani consumate dal lavoro, il volto riarso dal sole, aggrappato alla vigna per legare i tralci, là dove i mezzi meccanici non possono arrivare, spiega più di ogni parola la viticoltura eroica. Siamo sulla Costiera Amalfitana, a Furore, un pugno di case sparse come coriandoli tra pergolati e limoneti. Un paesaggio sublime, dove le viti, coltivate su terrazze che guardano il mare, prosperano grazie ad Andrea Ferraioli, uomo caparbio che poco più di 30 anni fa ha deciso che da questa terra, dagli splendidi scorci ma dall’agricoltura difficile, avrebbe tirato fuori il meglio possibile. Ha dato così vita alle “Cantine Marisa Cuomo”, gentile pensiero per la moglie nel giorno delle nozze, e a tre decenni di distanza si può dire che la sfida è stata vinta. I vini di Furore (pochi purtroppo, non si va oltre le 100mila bottiglie all’anno) si sono affermati, in patria e all’estero, tanto da aggiudicarsi col Fiorduva, nel 2006, l’Oscar dell’Ais quale miglior vino bianco d’Italia e da posizionare Marisa Cuomo tra le più attive e conosciute produttrici del centro-sud. Un traguardo sudato, è proprio il caso di dirlo, raggiunto anche grazie alla collaborazione avviata con l’enologo Luigi Moio, che ha portato alla valorizzazione dei vitigni autoctoni che solo in Costiera attecchiscono e danno vini inimitabili. Parliamo di Fienile, Piedirosso, Ginestra, Pepella, Ripolo, Sciascinoso, Tintore e Tronto. Tutte specie allevate per lo più a pergolato e che traggono alimento dal suolo costituito da rocce dolomitiche calcaree. Nei giorni scorsi, i vini di Marisa Cuomo (rappresentati a Bergamo da Annamaria Belotti) sono stati al centro di una serata promossa dall’Ais

di Bergamo all’albergo-ristorante Settecento di Presezzo. Grazie all’attenta regia della delegata Nives Cesari, sono state degustate quattro annate (2010, 2009, 2008 e 2007) del Fiorduva - uvaggio di Ripoli, Ginestra e Fenile - il cui nome si rifà al fiordo di Furore. È un vino da 13,5 gradi, color

Da sinistra: Andrea Ferraioli, Marisa Cuomo, Nives Cesari, Guido Invernizzi e Alessandra Gotti.

giallo carico, prodotto con uve surmature che vengono raccolte nella terza decade di ottobre. Ha sentori che ricordano l’albicocca ed i fiori di ginestra, con richiami di frutta esotica. Al gusto il Furore bianco Fiorduva è morbido, denso e caratterizzato da una importante persistenza aromatica di albicocca secca, uva passa e canditi. Insomma, un gran vino, come ha sottolineato anche l’esperto Guido Invernizzi, che ha guidato la degustazione affiancato da Andrea Ferraioli. Altrettanto convincente l’assaggio del Furore Rosso Riserva (2009 e 2008), taglio di Piedirosso (50%) e Aglianico (50%), invecchiato un anno in barriques, caratterizzato da sentori intensi di frutti di bosco a bacca nera e gusto morbido, ben equilibrato con un finale aromatico di sottobosco e spezie. Gli altri vini bianchi, il Furore e il Ravello sono quelli classici della zona Doc Costa d’Amalfi e provengono da uve Falanghina e Biancolella, mentre il Piedirosso e l’Aglianico sono alla base, oltre che del Furore Rosso, anche del Costa d’Amalfi rosato. Per maggiori informazioni: www.marisacuomo.com g.r.

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Il riconoscimento Ratatouille

Maestri di tradizioni, sono stati premiati dall’Ascom. Un viaggio nel tempo attraverso sapori, ricette e ricordi della Bergamo che fu

di Laura Bernardi Locatelli

I magnifici sette orgoglio dell’enogastronomia H

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anno iniziato a lavorare poco più che bambini, accompagnando con trattorie, negozi di alimentari e gastronomie la crescita e l’evoluzione dei centri storici di città e provincia. Sette Maestri del Commercio, insigniti dell’aquila con torsello di Calimala, onorificenza della Confcommercio che evoca la più antica corporazione di mercanti italiani, raccontano un pezzo d’Italia che non esiste più dalle loro caleidoscopiche vetrine. Dalla trattoria senza orario che ha servito a Mozzanica generazioni di autisti e viaggiatori tra Milano e Brescia oggi diventata wine-bar, alla consegna di damigiane di vino pugliese con la Vespa ai mezzadri di Scanzorosciate che lavoravano le vigne dei signorotti ed affogava-

no fatiche e pensieri nel bicchiere, oggi diventata una grande azienda di distribuzione di vini e bevande. Alessandro Scainelli custodisce gelosamente a Parre la ricetta degli scarpinocc, piatto tradizionale della festa patronale e delle occasioni importanti che altrimenti sarebbe stato inghiottito dalla storia. Non mancano insegne rimaste sostanzialmente le stesse risalendo le due Valli: a Leffe i fratelli Martinelli continuano a servire le nuove generazioni di famiglie già clienti della drogheria di papà Pietro, prendendo per la gola anche i turisti e chi fa ritorno nel paese d’origine abbandonato in cerca di miglior fortuna; a Zambla, frazione di Oltre il Colle, Onestina Tiraboschi, 89 anni ed 80 di

lavoro sulle spalle, cinque figli ed otto nipoti, manda avanti da sola due negozi, una merceria ed una bottega di alimentari, ricordando un paese di contadini e allevatori con dieci bocche da sfamare in ogni cascina. Chi ha ormai smesso di lavorare come Paolo Camillo Colombi, consulente del Gruppo Gastronomi e Salumieri Ascom, non sta con le mani in mano e cucina per centinaia di fedeli all’Unitalsi di Borghetto Santo Spirito, buen retiro ligure. In città continuano la tradizione inaugurata da papà Antonio nella commercializzazione di formaggi all’ingrosso, le sorelle Bettoni in Via Zambonate nella gastronomia salumeria specializzata tanto nei formaggi quanto nei prodotti senza lattosio.


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Le storie... Onesta Tiraboschi (Zambla di Oltre il Colle)

A quasi 90 anni gestisce due botteghe, un alimentari e una merceria La scuola di vita per Onestina Tiraboschi, classe 1924, è stata quella di papà Bortolo nel panificio-ristorante di Zambla, frazione di Oltre il Colle, dove ha iniziato a lavorare dopo la terza elementare, frequentando un anno la scuola serale. Sono gli anni della seconda guerra e dei beni razionati, trascorsi i quali, molti per dimenticare la fame abbandonano il paese in cerca di miglior sorte. Dopo tre anni di matrimonio, nel 1954 apre una merceria che serve generazioni di donne del paese per la confezione di vestiti per tutta la famiglia. Nel 1963 raddoppia l’impresa con il marito affiancando la vendita di alimentari, un punto di riferimento imprescindibile per i turisti che, con il primo benessere, possono permettersi, soprattutto dal milanese, il lusso di una seconda casa negli anni d’oro in cui la villeggiatura non durava meno di un mese. Oggi il negozio di alimentari è ormai uno degli ultimi baluardi della piccola frazione di Oltre il Colle. “Sono anni difficili e quest’inverno è stato disastroso. I turisti sono sempre meno e le seconde case si aprono, se va bene, solo nei fine-settimana e la maggior parte di chi abita qui parte alla volta di ipermercati e centri commerciali” spiega l’instancabile nonna di otto nipoti che quando non ci sono clienti ricama e lavora a maglia e con una tempra invidiabile d’inverno fa ancora la legna. E i conti li fa ancora a mente, mentre pesa salumi e formaggi. “Lavorare mi piace, mi tiene la mente impegnata e mi fa stare in forma. Dico sempre che finché riesco a pagare le tasse e ad avere qualcosa per me posso ritenermi contenta. Anche per questo la crisi non mi spaventa”.

Alessandro Scainelli (Parre)

Il segreto degli Scarpinocc custodito nel ricettario di famiglia Alessandro Scainelli, classe 1938, continua ad aggiungere anni ai 51 spesi dietro il bancone, affiancando nella gestione del negozio di alimentari di Parre la figlia Paola. Scainelli è il vero ambasciatore degli scarpinocc, di cui ancora oggi custodisce i segreti, tentando di depistare chiunque provi a carpirgli qualche informazione nascosta nel ricettario di famiglia. Quarant’anni fa Scainelli decise di dedicare agli scarpinocc - che prendono il nome dalle pantofole che si usavano in Valle - da sempre considerati un piatto di festa, tanto da non mancare mai nei pranzi nuziali e per la Festa patronale di San Pietro, una sagra. L’evento, organizzato la terza domenica di agosto per l’intero fine settimana, supera i 100mila coperti, dalle 1.200 presenze della prima edizione all’inizio degli anni Settanta. “La nostra fortuna coincide con la nostra specialità. Senza gli scarpinocc ed altri prodotti tipici, frutto della selezione degli ingredienti e della nostra abilità artigiana, non sarebbe possibile stare sul mercato. Il sabato pomeriggio le famiglie si muovono ormai anche dalla Valle per andare negli ipermercati e nei centri commerciali”.

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Il riconoscimento

Le storie... Celestina Bettoni (Bergamo)

La gastronomia cittadina con un occhio attento alle allergie La famiglia Bettoni, con le sorelle Celestina e Melania, ha costruito la propria storia imprenditoriale sui formaggi, inaugurando a partire dagli anni Settanta due botteghe, a Seriate nel 1970 e a Bergamo nel 1983, forti dell’esperienza di papà Antonio nella commercializzazione all’ingrosso delle migliori forme selezionate nei caseifici. Da quindici anni a questa parte gli sforzi imprenditoriali della famiglia si concentrano sul punto vendita cittadino in via Zambonate, specializzato oltre che nella selezione di salumi e formaggi italiani ed esteri, nella gastronomia. Ai migliori salumi (dal culatello di Zibello alla culaccia, dal

Pata Negra alla soppressata) si affiancano formaggi di ogni tipo - dal “pecorino piacentinu” di Enna con lo zafferano alla ricotta calabrese, dal Castelmagno agli stagionati al Barolo - e formaggi senza lattosio. L’attenzione alle intolleranze non manca nei prodotti di gastronomia, che prevedono ogni giorno piatti senza glutine o lattosio a prova di allergia e celiachia. “La soddisfazione non manca nel nostro lavoro di tutti i giorni perché la qualità, frutto di una costante ricerca dei migliori prodotti alimentari, continua a premiare e ad essere apprezzata - spiega Celestina Bettoni, da 43 anni dietro il bancone  - . Il nostro lavoro è cambiato enormemente negli anni, da quando la gente acquistava intere forme per la famiglia alla ricerca del prodotto di nicchia o particolare oggi”. Evidenti i tagli a grassi e calorie: “Una volta salame, mortadella, lardo e pancetta, anche per il prezzo più contenuto, andavano per la maggiore. Oggi ci si orienta sempre più verso formaggi magri come i caprini, bresaole e prosciutti magri nei salumi”.

Ivan Giupponi (Mozzanica)

Da trattoria a locale polivalente senza orari Nel 1939 il Caffè Roma, oggi enoteca con cucina e lounge bar con musica dal vivo e spettacoli serali, era una trattoria aperta a tutte le ore, un vero e proprio punto di riferimento sulla Statale 11 a metà strada tra Milano e Brescia. Per due generazioni, con i nonni Alberto Giupponi e Giuseppina Bettani prima e con papà Amilcare e mamma Angela Fabbrica poi, la gestione del locale non ha subito grandi stravolgimenti e si è continuato a servire pasti caldi ad orari impossibili per rispondere alle esigenze di camionisti e trasportatori in viaggio. Ad imprimere la prima rivoluzione sono i fratelli Ivan e Giuseppe Giupponi che, con le rispettive famiglie, trasformano nel 1981 il locale in birreria con cucina. Negli ultimi dieci anni il locale si trasforma in enoteca, con Ivan a tenere le redini di una cucina espressa e Giuseppe, sommelier, in sala a guidare la scelta tra 450 etichette. Il locale, aperto dalle 6 del mattino alle 3 di notte, risponde ad ogni esigenza, dalla colazione di buon mattino allo spuntino nel cuore della notte, dall’aperiti-

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vo al pre-disco con musica dal vivo e spettacoli settimanali. “La crisi ci ha imposto di diversificare la nostra attività e di elevare ulteriormente la qualità della nostra proposta - spiega Ivan Giupponi, premiato per i 40 anni spesi tra cucina e locale  -. Ai piatti tradizionali affianchiamo ricette più ricercate e il locale funziona dalla colazione a tarda notte, abbracciando così ogni tipologia d’offerta”.


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Orsola Martinelli (Leffe)

La storica bottega tappa obbligata anche per chi è emigrato Se l’industria appiattisce il gusto, i fratelli Martinelli continuano a riproporre i sapori autentici attraverso ricette tradizionali e ormai quasi dimenticate, come i capù. Per chi ha lasciato il paese in cerca di un lavoro migliore in città e in altre province - da Cuneo a Verona - se non addirittura Oltralpe, la storica bottega di Leffe aperta nel 1936 da Pietro Martinelli continua a rappresentare un punto fermo. Ogni ritorno al paese d’origine si trasforma nell’occasione di fare incetta di piatti tipici, dai cazonsei (a Leffe con la “z”) ai cotechini, dalle salsicce alla polenta, fino ai grandi primi e ai secondi delle feste. I fratelli Martinelli - dai 59 ai 73 anni - Franco, Orsola, Luciano e Giovanmaria, si dividono da una vita i compiti in negozio, dalla cucina/gastronomia al servizio al banco, dagli ordini alla cassa. In quasi ottant’anni di storia il negozio ha subito più di un’evoluzione ed ha accompagnato le rivoluzioni dei consumi di ogni famiglia di Leffe: fino al secondo Dopoguerra l’insegna era quella di drogheria, negli anni Cinquanta di salumeria, affiancata dal 1968 dalla gastronomia. “Con il lavoro femminile è cresciuta la richiesta di piatti pronti, che rappresentano ormai il vero e proprio fiore all’occhiello del negozio, assieme a salumi e formaggi selezionati accuratamente - spiega Orsola Martinelli, premiata per i 50 anni di lavoro spesi dietro al bancone -. Si lavora ovviamente poco co-

me mini-market per la concorrenza sempre più spietata sul prezzo di ipermercati e discount, ma non possiamo lamentarci dell’andamento di prodotti tipici. In questi anni abbiamo servito generazioni di famiglie in paese ed il rapporto con la nostra clientela è la nostra vera ricchezza”.

Gianfranco Artifoni (Scanzorosciate)

Da fiaschetteria a distributore di vini e bevande per la ristorazione Gettato il diploma alle ortiche, ad un passo dalla maturità, Gianfranco Artifoni si avventura nella commercializzazione di vino, trasportando con la Vespa, in mille viaggi, botti e fiaschi, ceduti in conto-vendita da un’azienda di Grumello, a supporto dell’attività di bar, ristorante e bottega inaugurata da papà Enrico negli anni Trenta alla Tribulina di Scanzo. Acquisiti i primi clienti, con il fratello Mario, titolare di un’impresa edile, Gianfranco Artifoni compra a cambiali il primo camion, che viaggia da mattina a sera diviso tra trasporto di calcinacci e materiale edile di giorno e consegna di vini la sera. Da fiaschetteria con consegna a domicilio, oggi l’attività, mandata avan-

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Il riconoscimento

Le storie... Gianfranco Artifoni (Scanzorosciate) ti con l’aiuto dei figli Marzio e Silvia, è un’azienda strutturata che importa direttamente birre dalla Germania e distribuisce etichette selezionate attraverso il canale Ho.re.ca. “Un tempo vendevamo damigiane con 500 lire di acconto ed altrettante a saldo quando arrivava lo stipendio ai mezzadri che lavoravano le terre e le vigne a Scanzo per nobili e signori. Se l’annata era buona vendevano il vino frutto del loro lavoro al miglior offerente e compravano per sé i vini forti del sud, i primi ad arrivare nella nostra piazza, dallo Squinzano al Manduria al Tarantino”. Con il primo benessere fu la volta delle acque minerali: “Operai

e mezzadri compravano a luglio e ad agosto acqua minerale in bottiglia, primo lusso da esibire, solo d’estate, a tavola”. Con uno sguardo al passato e a quel mondo che non esiste più, Artifoni, premiato per i 50 anni di lavoro, sottolinea il cambiamento nel mondo dei consumi: “Dalla quantità si è passati alla qualità. Si beve meno ma meglio: se il consumo di vino è calato, non tramonta il rituale di accompagnare i pasti con un buon bicchiere di rosso, bianco o bollicine. Cresce il consumo di birra soprattutto alla spina. Un trend confermato dal successo delle oltre trenta feste estive che organizziamo nel territorio”.

Paolo Colombi (Castione della Presolana)

Da gastronomo con diploma di pizzaiolo a chef all’Unitalsi Del primo giorno di lavoro, a 14 anni, all’Istituto di Consumo, supermercato d’antan di fronte al Cinema Nuovo, Colombi ha ancora bene in mente il calcio che gli tirarono per aver gettato un tortellino. La stessa “vecchia scuola” che pur gli insegnò le buone maniere, l’ordine, il rispetto e la pulizia spedendolo l’anno dopo alla scuola Enac. L’apprendistato continua da Ghisalberti in via XX Settembre e da Balduzzi, nella rosticceria di viale Roma, prima di diventare uno specialista nel lanciare l’avvio di gestione dei nuovi market per il Gruppo Lombardini. Colombi, tra i primi dieci maestri assaggiatori Onaf e con la qualifica di pizzaiolo in tasca, si trasferisce per amore a Dorga-Castione della Presolana, dove aiuta Maria Teresa Viscardi, terza generazione di salumieri, nella gestione del supermercato di famiglia. Nel 1993 insieme impongono una svolta al negozio: “Abbiamo eliminato i carrelli della spesa e ridimensionato i prodotti industriali, stravolgendo le scaffalature, per puntare sui prodotti tipici e artigianali, accuratamente selezionati. All’inizio è stata dura, ma è stata la nostra via di sopravvivenza alla concorrenza della grande distribuzione, oltre che una scelta che ci ha portato ad avere clienti da fuori provincia”. La chiusura del negozio nel 2011 non ha comunque fermato Colombi, che continua a mettere la sua esperienza a disposizione del Gruppo Salumieri e Gastronomi Ascom e a far felici con ricette i bambini e i ragazzi dell’Unitalsi (Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e Santuari internazionali) di Borghetto Santo Spirito, in Liguria, di cui è cuoco ufficiale.

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LA NOVITÀ

di Fulvio Facci

Il prezzo giusto, al momento giusto In Borgo Palazzo la caffetteria-trattoria Al Ritrovo ha una nuova gestione che sta sviluppando i menù fissi. «Piace il pranzo della domenica a 16 euro»

U

na scommessa vinta. Dopo cinque mesi di attività, Massimiliano Pezzotta, 39 anni, è molto soddisfatto dell’attività che ha intrapreso. «Non mi aspettavo andasse così bene – dice – in un periodo di crisi. Stiamo lavorando benissimo a mezzogiorno, anche alla domenica, e qualcosa si sta muovendo pure alla sera. Sì, è una scelta che rifarei». Siamo alla trattoria caffetteria

LA PROVA Menù non molto ampio - tre primi e tre secondi -, ma con un pizzico di ricercatezza. Il pranzo a prezzo fisso, da lunedì a sabato, Al Ritrovo di via Borgo Palazzo comprende, per dieci euro, un primo, un secondo, il contorno di verdure in un vasto buffet, vino, acqua, dolce e caffè. Il costo rimane sul valore più basso per questo tipo di proposta, in un momento in cui si sta sviluppando una certa tendenza al rialzo, ed ha in più la gratificazione finale del dolcetto. Risotto al vino rosso e salsiccia, lasagnette vegetariane e casoncelli alla crema di tartufo le proposte per i primi piatti nel giorno della nostra visita. Spezzatino di manzo con polenta, orata al forno e lonza a portafoglio con formaggio i secondi piatti. Verdure cotte e crude con abbondanza di scelta per il contorno. Qualche incertezza per la scelta del primo, stimolata da qualche tocco di fantasia che lo chef ci ha messo, poi abbiamo puntato sui casoncelli alla crema di tartufo, mentre per il secondo la lonza a portafoglio con formaggio ha subito catturato la nostra attenzione. Bene, decisamente bene entrambi i piatti, per un ottimo rapporto qualità-prezzo. Puntuale e attento il servizio.

“Al Ritrovo” in via Borgo Palazzo al numero 57/a, a due passi da piazza Sant’Anna. Un’insegna che non vuole stupire con effetti speciali e dove a fare la differenza è, evidentemente, la conduzione. «Siamo una piccola squadra: io, la moglie di mio fratello Cristina Currò e lo chef Umberto Benaglia – spiega Massimiliano –. Qualche volta ci dà una mano anche mio fratello Omar ma per il momento continua con un lavoro diverso. Io ho gestito per vent’anni un bar caffetteria a Dalmine, non avevo esperienza di ristorazione ma un po’ di occhio nel contatto col pubblico nel tempo l’ho sviluppato». Passato attraverso diverse gestioni, il locale è “storico” nella zona, si può dire ci sia sempre stato, proponendo, accanto al bar, anche cucina. «Lo chef ha 23 anni - prosegue Pezzotta -, ha frequentato l’Alberghiero e fatto esperienza in alcuni locali storici come La Caprese e la Taverna del Colleoni in Città alta. La nostra è una cucina tradizionale con qualche rivisitazione. Il fatto di avere clienti abituali per il pranzo di mezzogiorno, in pratica, ci obbliga a variare frequentemente, ma la linea rimane quella della semplicità e della qualità delle materie prime». La semplicità si riscontra anche nell’arredamento, senza eccessi e di buon gusto. L’ambiente si sviluppa in lunghezza e non è molto grande: poco più di una quarantina i posti a disposizione. «Abbiamo introdotto la novità del pranzo festivo a 16 euro – racconta ancora il titolare - nel quale offriamo tagliere di verdure con polenta e affettati, un primo piatto a scelta tra risotto ai funghi, tagliatelle al ragù di selvaggina e casoncelli e un secondo a scelta tra la zingara (carne al bastone), il coniglio alla bergamasca e la tagliata di manzo con rucola e grana. Acqua e caffè sono compresi, il vino

Massimiliano Pezzotta, Cristina Currò e Umberto Benaglia

è escluso. Stiamo facendo un buon lavoro soprattutto con le famiglie. Su prenotazione apriamo anche al venerdì e sabato sera. Anche in queste occasioni abbiamo menù semplici: grigliate di carne o di pesce. La spesa? Ventidue euro per la carne, venticinque per il pesce». Per la sua collocazione, ma se vogliamo anche per la sua storia, Al Ritrovo sembra rivolgersi prevalentemente alla clientela del quartiere e Massimiliano Pezzotta non trascura nessuna iniziativa su base locale per farsi conoscere ed apprezzare come merita.

Trattoria caffetteria Al Ritrovo via Borgo Palazzo, 57/a Bergamo tel. 345 0558888

aperto tutti i giorni dalle 6 alle 22 la cucina funziona solo a mezzogiorno tutta la settimana, la sera su prenotazione

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L’azienda

di Riccardo Lagorio

L

Da Calcio e Torre Pallavicina le trote per il mercato italiano a nostra regione possiede un ricchissimo patrimonio gastronomico legato alla cucina del pesce d’acqua dolce originale e radicato su buona parte del territorio. Tale patrimonio è talmente importante da resistere anche in assenza di materia prima selvaggia. Infatti parte dei pesci, la quasi totalità delle rane e dei crostacei proviene ormai solo da allevamenti, talvolta situati anche fuori dall’Unione europea. Il consumo di questi pesci è però molto spesso relegato ai menù della ristorazione, mentre il consumo più generale di pesce si rivolge soprattutto alla pesca marittima con un processo indotto di desertificazione dei mari. Buona norma quindi è di tornare al consumo quotidiano del pesce di acqua dolce, anche di allevamento. La provincia di Bergamo possiede numerosi laghetti per la pesca sportiva, che garantiscono agli appassionati pesce fresco e di buon livello di salubrità. Anche le qualità nutrizionali dei pesci d’acqua dolce non ci possono lasciare indifferenti. La trota, ad esempio, è uno dei prodotti ittici migliori sotto il profilo dietetico, mediamente grasso, che garantisce un apporto energe-

L’allevamento di Calcio

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tico di alto profilo e con altrettanto buon apporto di acidi grassi Omega3, che rivestono un ruolo di spicco nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Queste ragioni rendono la trota adatta a tute le fasce d’età. Di conseguenza gli allevamenti di trota non mancano neppure nella nostra terra. Ci ha pensato in verità uno dei gruppi italiani più importanti a dotare la provincia bergamasca di centri di schiusa e di allevamento, la Erede Rossi con sede nelle Marche. “La presenza della nostra azienda - afferma Roberto Rossi dal suo ufficio di Sefro (Mc) - è diffusa in 15 province italiane perché abbiamo la necessità di lavorare con acque sempre limpide e pulite e quindi siamo costretti a frammentare i centri di allevamento. La trota infatti vive bene soltanto in acque pulite e prive di inquinamento. È quindi lo stesso allevatore il più interessato a vigilare sulla qualità delle acque e sull’ambiente da cui provengono: ogni eventuale condizione che può indurre a fiaccare gli animali o portarli alla malattia potrebbe compromettere la produzione”. Si può di conseguenza anche affermare che, benché un

e quello di Torre Pallavicina


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È una azienda marchigiana, la “Erede Rossi”, a gestire i due impianti dove ogni anno vengono allevati oltre 30mila quintali di pesce

allevamento intensivo di trote non possa essere considerato benefico per un bacino imbrifero, è altrettanto vero che l’ammoniaca presente allo scarico di un impianto di troticoltura cade intorno a 0,7 milligrammi per litro, mentre la normativa vigente sugli scarichi idrici stabilisce un valore massimo di 15 mg per litro. Non si può quindi affermare che impianti di troticoltura influenzino negativamente l’ambiente circostante. “È ormai da oltre 15 anni che abbiamo questi impianti nella parte meridionale della provincia di Bergamo, a Calcio e a Torre Pallavicina, un’area ricca di sorgive naturali da cui esce acqua perfetta per gli allevamenti di trota iridea. Si capisce intuitivamente che, ad esempio, la portata del fiume Po sarebbe ideale, ma le qualità delle sue acque, certo non pure e cristalline, non ci permettono di stabilire impianti su di esso”. Pochi sanno inoltre che la trota si considera anche una sentinella delle acque: alcuni esemplari possono venire inseriti negli acquedotti, contribuendo con la eventuale modifica delle proprie condizioni di salute a segnalare accidentali modifiche nella qualità dell’ambiente. “A Torre Pallavicina, sotto il nome Salmontrutta, alleviamo circa 20mila quintali di pesce all’anno. Svezziamo gli avannotti sino al raggiungimento di un peso variabile tra 300 e 700 grammi, quando il pesce si considera adulto. Quando il pesce ha raggiunto la maturità – aggiunge Rossi - si aprono due strade: o viene ceduto ai laghetti di pesca sportiva, oppure viene portato a Sefro. Nella sede aziendale, il pesce è eviscerato e lavorato. Se ne ottengono pesci puliti per la vendita, ma anche filetti, hamburger, filetti preimpanati pronti per la cottura. I filetti possono anche essere affumicati con essenze odorose come il ginepro, la quercia o l’alloro e messi sotto vuoto per la vendita. Dal nostro osservatorio posso affermare che il mercato italiano è ancora ricettivo ed il consumatore preferisce il prodotto allevato in Italia”. Nel centro di allevamento di Calcio vengono svezzati altri 10mila quintali all’anno di pesce, prevalentemente trota iridea. Anche in questo caso l’allevamento termina con la cessione alle pesche sportive o con il viaggio di rientro a Macerata. Lì le trote “bergamasche” verranno lavorate accuratamente e spedite in tutta Italia. “Non esiste una vera e propria concorrenza delle trote con il pesce di mare, che possiede caratteristiche organolettiche molto diverse. Per il momento il mercato ci sta dando ragione, anche grazie agli allevamenti di Bergamo, molto interessanti grazie alla qualità delle loro acque. La troticoltura è un Made in Italy più accessibile di tanti altri e noi siamo orgogliosi di potervi contribuire”, conclude Rossi.

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Fuori porta

di Michela Brivio

Giulia Battafarano e Marco Locatelli

Il vero “Paradiso della pizza”? È d’asporto e al centro commerciale

T

utto ha inizio da un viaggio, come volontari al Salone del Gusto edizione 2008. Qui Marco Locatelli e Giulia Battafarano riscoprono il vero artigianato enogastronomico. È un ciclone di colori, profumi, sapori ed incontri che li coinvolgono e motivano alla svolta, anche se nel dna scorre già un’eredità di famiglia fatta di tradizioni e semplicità del cibo. Una vera e propria sfida, per una pizzeria d’asporto all’interno di un vecchio centro commerciale nella periferia vimercatese, che oggi ripaga di tutti i sacrifici e le ore trascorse a sperimentare da autodidatti. Dal 2010 “Il Paradiso della pizza” è presente sulla guida del Gambero Rosso Low Cost e segnalata tra le migliori pizzerie dal Gastronauta, diventando meta di viaggiatori gourmet che arrivano anche da lontano, di affezionati clienti che ormai fanno tappa fissa ogni settimana e di chi ne è semplicemente incuriosito dal passaparola, perché qui non si passa per caso. Il segreto? L’aver recuperato gusti e sapori naturali e senza tempo, puntando sulla sostanza e facendo di ogni singola pizza un dipinto che permetta la divulgazione della ricchezza gastronomica italiana.

La proposta

La tela è stata la rivoluzione più difficile, sia da fare che da far capire. Anche loro partono da un impasto con farina, acqua, sale e lievito ma l’attenzione alla scelta degli ingredienti e il tempo dedicato alla lavorazione fanno la differenza: un mix di 3 lieviti madre, farine biologiche e biodinamiche macinate a pietra dei Mulini Sobrino e Marino, sale naturale della Riserva Marina di Trapani, un’idratazione fino al 90% e tre fasi di lievitazione scandite in circa 48  ore. Il risultato? 270 grammi d’impasto per ciascuna pizza, un disco un poco più piccolo del convenzionale che in cottura cresce notevolmente, mantiene un’alveolatura importante, una superficie estremamente croccante e garantisce una leggerezza e dige-

di Rosanna Scardi

Il “calzone” al kebab spopola anche a Treviglio I

l fascino di un piatto arabo millenario incontra il palato occidentale. Nasce a Treviglio il calzone al kebab. Ad aver avuto l’idea è l’egiziano Hesham El Sayed, titolare della pizzeria d’asporto Le Piramidi in piazza Mentana. “Innovarsi è necessario se si vuole continuare l’attività in tempo di crisi - afferma il pizzaiolo -. Fino al 2009 mi occorrevano quaranta chili di carne al giorno per far fronte alle richieste, oggi meno di quin-

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dici. Ma per battere la concorrenza punto a diversificare l’offerta e alla qualità, come quando ho inventato per primo la piadina con pasta fresca e kebab”. La parola deriva dall’arabo kabab, termine che indica la carne arrostita. A comporla vitello e tacchino, cucinato nel doner, lo spiedone verticale, che facendo sciogliere il grasso dall’alto al basso, rende la carne più magra e morbida. Il kebab finisce nell’impasto del calzone insieme

a cipolle, peperoni, quattro formaggi e peperoncino. “A differenza della preparazione occidentale, mischio tutti gli ingredienti - spiega -. Poi arrotolo la pasta e la metto in forno per cinque minuti. Il risultato è una sorta di panzerotto molto più allungato e farcito che viene condito con salsa a base di yougurt, maionese e origano”. Considerato un piatto etnico, riservato alla popolazione immigrata, il kebab oggi è apprezzato da tutti.


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ribilità che solo questo tipo di lavorazione può dare. Marco propone tre tipologie d’impasti, frutto di un lungo lavoro di ricerca: base, con un blend di tre farine diverse, integrale, che è diverso dai comuni per l’utilizzo di solo farro e trebbie, un’idea unica e di riciclo, ottenuto con cereali estratti dalla lavorazione della birra. Su questa tela i due pennelli a 10 dita dipingono con altrettanti colori ricercati, sostituendo la grande distribuzione con piccoli produttori e materie prime selezionate personalmente, giorno dopo giorno e nei limiti del possibile per l’attuale realtà. Ogni ingrediente è il racconto di un viaggio, un incontro o un’esperienza e trasmette una grande passione che va ben oltre la logica di vendita ed incasso. Sul sito tutti i riferimenti, ma già dal tricolore s’istruisce la qualità: pomodoro San Marzano Dop Agrigenus, fior di latte fresco e tagliato a mano e l’olio dell’Azienda Agricola Timpa dei Lupi. Da questa premessa c’è solo l’imbarazzo della scelta. Tra le classiche è d’obbligo iniziare con la tradizionale margherita a 4€ per poi dirottarsi su una siciliana a base rossa con acciughe di Cetara, capperi di Selargius, olive taggiasche e origano a €5,50. Tra le invenzioni della casa, la Genuina a € 6,50, una golosità consigliata con impasto trebbie, dipinta con il trittico base, pancetta di Morris Micheli, caprino di capra dell’Azienda Capriccio e cipolle o l’Alpina a 6€, consigliata a base integrale, per assaporare le note di montagna con la bresaola punta d’anca della macelleria Del Curto condita con olio a crudo e pepe, su una base bianca resa sfiziosa dalla cremosità del caprino. La “Consiglio” invece, che varia ogni settimana, è l’opera prima imperdibile da 7€ con vere e proprie eccellenze. Qualche esempio? “Una delle esperienze più belle che abbiamo mai fatto: impasto al 30% di farina di mais, mozzarella, porri dell’Azienda Il Gelso e salame di Eugenio Barbieri (produttore eccezionale dell’Oltrepò, ma soprattutto una persona incredibile)”. Oppure “Il nuovo consiglio ci riporta in Sicilia: impasto con grano duro siciliano Tumminia, mozzarella, cavoletti di Bru-

“Il 60% dei miei clienti è italiano - precisa l’egiziano -. Il 90% di loro mi chiede la pizza al kebab che propongo con rucola, pomodorini e grana”. Oltre a essere un piatto ricco di gusto e apporto calorico, veloce da consumare, al pari dell’hamburger nel fastfood, il rotolone con carne grigliata è anche economico. Costa, infatti, solo 5 euro. Hesham, 39 anni, vive a Treviglio dal 1999. “Gestivo un ristorante a Sharkia, vicino al Cairo - racconta -. Quando sono arrivato in Italia, ho fatto la gavetta, cominciando come lavapiatti in un ristorante a Fara Gera d’ Adda, poi per cinque anni ho appreso i segreti della vostra cucina tradizionale. Finché nel 2004 ho avviato la

xelles e salame di suino nero dei Nebrodi”. L’abbinamento pizza-birra? Risponde alla stessa filosofia e quindi solo microbirrifici artigianali della zona: Menaresta, Carrobiolo e Orso Verde, in ordine di conoscenza, con un piano del frigorifero riservato ad un ospite che cambia periodicamente. Bibite? Solo quelle vere, marcate Baladin e Lurisia. A disposizione una piccola biblioteca enogastronomica e al banco volantini con eventi e biglietti da visita di luoghi del gusto da non perdere, oltre ad una selezione di pasticceria secca Aveja in vendita. Per accontentare i clienti che rivendicavano il piacere di poter consumare sul posto queste creazioni, hanno allestito 5 tavoli all’interno e altri nel loro “giardino” esterno, il corridoio del centro commerciale. Ma la legge non ammette altro e quindi è tutto fai da te: si apparecchia alla buona e con stoviglie di plastica, tranne per la birra dov’è ammesso il bicchiere di vetro, ci si serve dal frigor per le bevande, si ordina e si aspetta al tavolo, per poi fare la differenziata alla fine. Ma anche questo in fondo è il bello e il folclore di un luogo dove tutto diventa possibile, grazie alla passione dei due pittori e collaboratori che coinvolge i clienti in un’atmosfera davvero paradisiaca. Un caso davvero unico per una pizzeria d’asporto, provare per credere! Il Paradiso della pizza via Passirano, 20 Vimercate (Mb) centro commerciale Mega tel. 039 6085894

mia attività”. Oggi offre quaranta tipi di pizza, oltre a panini, focacce e piadine. La storia di Hesham è simile a quella di molti altri suoi connazionali che stanno spodestando i colleghi italiani in materia di pizza. “Ma oggi la situazione è cambiata - afferma -. Senza possibilità di lavoro, molti scappano dall’Italia, per le spese troppo elevate. Io stesso ho lasciato che mia moglie e i miei tre figli tornassero nel mio paese”. C’è anche chi sostiene che la pizza non sia nata a Napoli, ma in Egitto. “Niente affatto - puntualizza -. Cinquemila anni fa noi abbia-

mo inventato il  pane, ma senza il vostro pomodoro e la vostra mozzarella la pizza non esisterebbe”.

Hesham El Sayed

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Appuntamenti

DAL 7 AL 10 APRILE

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Vinitaly, area speciale per i big di domani uattro giorni di eventi, rassegne, degustazioni e workshop che fanno incontrare le cantine espositrici con gli operatori del settore e un ricco programma di convegni sul mercato in Italia, Europa e nel resto del mondo. Vinitaly torna a Veronafiere da domenica 7 a mercoledì 10 aprile. Tra le aree espositive speciali l’edizione 2013 prevede: “Taste Italy”, evento-degustazione che presenta alla stampa e agli operatori esteri una selezione di 100 tra le più importanti e rappresentative aziende vitivinicole italiane; “Trendy oggi, Big domani”, osservatorio dei più performanti produttori nazionali esordienti; “ViViT - Vigne Vignaioli Terroir”, salone del vino artigianale che esprime il sapore della terra in cui nasce. Le degustazioni spaziano dai vini vincitori del Concorso Enologico Internazionale di Vinitaly al giro del mondo “Tasting

ex… press”, in collaborazione con le testate più importanti a livello internazionale, da quelle de “I Tre Bicchieri” del Gambero Rosso al seminario sul primo Balkan Wine Tasting con sette vini di sette nazioni dei Balcani. Al “Ristorante d’autore”, i piatti porteranno la firma di Piero Bertinotti, Massimo Spigaroli, Enrico Bartolini e Fabio Baldassarre, mentre al “Self service d’autore” gli chef italiani dell’associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe lanciano la sfida a coniugare qualità ed innovazione con le modalità proprie del self-service. L’ingresso è riservato ad operatori del settore, maggiorenni: biglietto giornaliero 50 euro (acquisto on line 45 euro); abbonamento 4 giornate 90 euro (on line 80). In contemporanea si svolgono Sol&Agrifood ed Enolitech. Info: www.vinitaly.com

FINO AL 30 APRILE

DAL 15 AL 19 APRILE

Menù a prezzi “giovani” con i Presìdi Slow Food

Nelle gelaterie bergamasche “La merenda non si paga” Anche quest’anno i gelatieri bergamaschi fanno un omaggio ai più piccoli. Torna infatti “La merenda non si paga”, l’iniziativa del Co.gel, il Comitato dei gelatieri dell’Ascom di Bergamo, che prevede la distribuzione da parte di ciascun gelatiere aderente, nelle scuole e negli asili del proprio territorio, di coupon che offrono ai bambini un cono a scelta da ritirare in gelateria nel periodo dal 15 al 19 aprile. La manifestazione sarà accompagnata dalla consegna di gelato artigianale al reparto pediatrico del nuovo Ospedale Giovanni XXIII per i bambini ricoverati, che potranno così partecipare alla festa. L’appuntamento è organizzato

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nell’ambito della campagna “Gelateria di Fiducia” che offre agli operatori una serie di opportunità per farsi conoscere e ai consumatori alcuni momenti golosi. Lo slogan scelto quest’anno è “Fai una pausa col gelato artigianale!” che ricorda come anche un semplice cono possa regalare un momento di sano piacere e di relax.

Fino al 30 aprile, i Cuochi dell’Alleanza - la rete dei cuochi italiani impegnati a promuovere i prodotti e i produttori dei Presìdi Slow Food - offrono ai giovani la possibilità di gustare menù che sposano questa filosofia ad un prezzo contenuto: al massimo 30 euro, bevande comprese. Il menù, che cambia ogni mese e comprende due Presìdi, viene proposto nelle serate scelte dai singoli Cuochi su prenotazione ed è riservato ai giovani fino a 30 anni, soci o non soci Slow Food. Partecipano: Ristorante Frosio (Almè menù Giovani: lunedì, martedì e giovedì sera), Ristorante Collina (Almenno San Bartolomeo - menù Giovani: mercoledì, giovedì e venerdì), Trattoria Visconti (Ambivere - menù Giovani: lunedì, giovedì e venerdì), Ristorante Da Mimmo (Bergamo Alta - menù Giovani: lunedì, mercoledì e giovedì), Beccofino Trattoria (Albino - menù Giovani: tutti i giorni di apertura).




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