Affari di Gola - marzo 2016

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Anno XVI n.2 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - â‚Ź 2,60

marzo 2016

Birra e cucina, un matrimonio di gusto Anche i locali bergamaschi stanno arricchendo la lista di bionde, rosse e stout per offrire accostamenti nuovi ai propri piatti


Studio Zonca - PH M.Mazzoleni

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- D.L.

353/20 03 (conv.

in L. 27/02/2 004 n.

46) art.

1, comma

1, DCB

Bergam o - € 2,60

SOMMARIO

Italiane

S.p.A.

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www.affaridigola.it

Anno

XVI n.2

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Anche stanno i locali bergam arricchen aschi per offrdi bionde, ros do la lista ire acc se ostam e stout ent ai proprii nuovi piatti

- Poste

MARZO 2016

Birra un mae cucina, trimo di gusnio to

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«Starbucks? Non ci spaventa. Ma sottovalutarlo sarebbe sbagliato»

RIFLESSIONI

Divieto ai minori e ticket d’ingresso a 80 euro. Quando il Vinitaly ci spiazza

10 l’intervista

Lopriore: «Ecco come si riconosce una grande cucina»

12 talenti

I dolci del giovane Jacopo

14 IN TAVOLA

Quando il gusto va a tutta birra

22 tendenze

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Cheese bar, più che una moda

24 RISCOPERTE

Tutto il fascino delle conserve “di una volta”

28 tradizioni

La costoletta alla milanese tra vitelli e bufale

31 FACECOOK

La sfida di Riccardo è l’Australia. «Ma quanto è difficile far apprezzare la cucina italiana»

32 IL PREZZO FISSO

Una “Scaletta” che si tuffa nel Mediterraneo

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo, 137- 24125 Bergamo - tel. 035 4120322 - fax 035 231082 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Borgo Palazzo, 137- 24125 Bergamo - tel. 035 4120280 - fax 035 231082 - info@larassegna.it - N° ROC 5847 - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Donatella Tiraboschi - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

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focus di Rosanna Scardi

«Starbucks? Non ci spaventa. Ma sottovalutare il fenomeno sarebbe sbagliato»

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affè on the go, bollente e servito in bicchieroni di carta facili da portare in giro per la città e sui mezzi pubblici, e un locale punto di ritrovo, dove navigare grazie al wifi gratuito, studiare e lavorare con il tuo pc, ricaricare le batterie degli smartphone, in una cornice dal design ricercato nei dettagli e dalla musica selezionata. Starbucks Coffee sbarca in Italia. Il progetto sarà sviluppato in collaborazione con il gruppo guidato da Antonio Percassi che con i figli Matteo e Stefano, sotto la guida dell’amministratore delegato Massimo Dell’Acqua, dovrà servire in Italia il caffè americano. Il primo negozio annunciato sarà a Milano nel 2017 (seguirebbero a ruota le aperture a Verona, Venezia e Roma), ma l’avvio potrebbe essere anticipato per la fine dell’anno. Secondo indiscrezioni, la catena potrebbe approdare presto anche a Bergamo. Percassi ha infatti acquistato l’ex bar “Mottino” in via Tiraboschi, chiuso da poche settimane, e quella, si dice, potrebbe diventare la sede Starbucks. Starbucks è presente nel mondo con 24mila coffee house in settanta paesi, dalle Bahamas alla Cina, dal

Kuwait alla Malesia per ricavi pari a 19 miliardi di dollari. Il nome è ispirato a un personaggio di “Moby Dick” ed è rispecchiato dalla sirena del logo verde impresso nella famosa tazza, il must dei souvenir. Il primo locale è stato inaugurato a Seattle nel 1971, grazie a un’idea di tre amici, studenti all’università di San Francisco. Tuttavia, a renderlo un fenomeno di costume è stato Howard Schultz, l’attuale amministratore delegato, che è rimasto affascinato dai bar italiani dopo un viaggio nel 1983. La strategia sta nell’aver creato il primo fast drink del caffè. Quando varchi la soglia, ti ritrovi i dipendenti in divisa nera e grembiule verde. C’è chi riceve gli ordini, chi riscuote i pagamenti, chi scrive con il pennarello il tuo nome sul bicchiere in modo da capire subito quando è pronto. A disposizione ci sono la tazza piccola o tall, una media chiamata grande e la maxi detta venti o trenta. Ognuno può creare la sua miscela, abbinando aromi quasi fosse un beverone. L’offerta comprende il Flat White, un super cappuccino con poca schiuma e doppio espresso, il Pumpkin Spice, latte aromatizzato alla torta di zucca

con noce moscata e chiodi di garofano, meglio se accompagnato dalle ciambelle. Anche se il pezzo forte è il Frappuccino con ghiaccio frullato nelle varianti Red Velvet con i lamponi, Lemon Bar con limonata, sciroppo di vaniglia, caramello, Caramel Cocoa cluster con noci, cioccolato e caramello, Cotton Candy con vaniglia e sciroppo di lampone, Cupcake alla vaniglia e nocciola e Cinnamon Roll con sciroppo di cannella, cioccolato bianco e vaniglia. Da tempo esistevano vere fan page e comunità sui social network che caldeggiavano l’arrivo di Starbucks in Italia. Ora è giunto il momento tanto atteso: l’imprenditore di Clusone e il collega di Brooklyn stanno studiando una formula che farà breccia nei più giovani che potranno trovare un posto ideale per stare sui libri o rilassarsi. Non a caso i tavolini sono posizionati vicino alle finestre, le poltrone sono comode. E, soprattutto, nessuno ti manderà mai via. Non resta che aspettare di conoscere come la prenderanno gli amanti del buon espresso alla napoletana accompagnato dal tradizionale cornetto. Lo abbiamo chiesto ai bergamaschi che hanno fatto del caffè una professione.


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I torrefattori bergamaschi commentano l’annuncio dello sbarco in Italia del celebre brand americano del caffè. Che potrebbe arrivare a Bergamo, in via Tiraboschi, dove Percassi ha rilevato l’ex bar Mottino

Caffè Carissimi

«Ogni cliente si affeziona a un locale e a chi sta dietro al bancone. Questo farà la differenza»

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fare la storia del caffè orobico è Carissimi, con sede a Orio al Serio e un punto vendita al primo piano dell’Oriocenter, fin dalla nascita del centro commerciale nel 1998. Le origini dell’attività risalgono al 1939, durante il secondo conflitto mondiale, quando Battista Carissimi ha iniziato a occuparsi del surrogato della bevanda nera, l’orzo, mentre dal 1945 si è dedicato al caffè più pregiato. Poi l’attività è stata gestita dal figlio Franco che ha stretto i primi accordi con i coltivatori della materia prima e fondato la Carissimi Caffè nel 1984. Oggi il figlio Lester è l’amministratore delegato. «Non vedo perché Starbucks non debba riscuotere successo anche da noi, ci sarà molta curiosità, voglia di vedere e scoprire un mondo nuovo - è l’opinione di Lester -. Tuttavia, è impossibile fare previsioni, sapere quale sarà l’impatto, se aprirà venti punti vendita o 150 nella nostra penisola, dobbiamo solo aspettare e verificarlo». L’imprenditore conosce bene i mercati esteri dal momento che il suo prodotto tostato, nella misura del 15%, è esportato anche in Germania, Austria, Grecia,

Lester Carissimi

Qatar, Russia e Corea del Sud. «È difficile immaginare un italiano, abituato all’espresso, bere in un minuto tutto d’un fiato un bicchierone da 400 cc, a noi non interessano i beveraggi lunghi, non abbiamo mai amato il caffè americano – prosegue Lester -. Oltreoceano il gioco è stato semplice, si è colmato un vuoto, bar e caffetterie prima non esistevano. Per affermarsi da noi Starbucks dovrà modificare la propria formula tenendo conto del nostro stile di vita, non è pensabile proporre un caffè a 3,5 dollari come negli Stati Uniti quando qui lo paghiamo un euro. È vero che i suoi locali sono luoghi di aggregazione e ritrovo dove si staziona per ore e ore, ma dovranno adeguarsi affiancando un buon servizio food, a base di paste e panini». La strategia dei barman italiani potrebbe essere quella di affiancare prodotti analoghi. «È uno sforzo, ma bisogna farlo, magari offrendo anche noi un frappuccino, nient’altro che un caffè allungato con ghiaccio tritato dice -. Molti già lo fanno». L’imprenditore bergamasco non teme la concorrenza, né una diffusione a macchia d’olio che possa intaccare il primato e l’eccellenza italiani. I

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focus Mogi caffè

«Il format potrà incuriosire, ma porterà al

Monica e Gianluigi Forcella

A suoi grani verdi appartengono alla migliore qualità, la fine cup, sono torrefatti in proprio e provengono dalle piantagioni di Colombia, Costa Rica, Brasile, Guatemala, Etiopia e India. La tostata avviene con metodo lento, 120 chili dai 18 ai 20 minuti, secondo un metodo introdotto settant’anni fa. A parlare sono i nomi delle miscele, Eccelsa, Sublime, Vivace, Allegra e 1939. A fare la differenza non è però solo ciò che si gusta nella tazzina, ma anche chi sta dietro al bancone. «Immaginiamo di entrare in un posto standardizzato e freddo, come potremmo sentirci a lungo andare? Ognuno di noi ha il suo bar, si affeziona a un locale, a chi sta dietro al bancone e scambia due parole perché ti conosce – sorride Carissimi -. Questo non è di poco conto, fa la differenza».

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gli antipodi con Starbucks è Mogi Caffè, nato nel 2007 e con prodotti conosciuti nel mondo nell’ambito del luxury italian coffee. La sede legale è a Bergamo in via Moroni, mentre la torrefazione avviene nei pressi di Genova. Alla base c’è il desiderio di preservare aromi e biodiversità, tanto che i chicchi provengono da piante cresciute in coltivazioni non estensive. I soci sono i fratelli Monica Forcella, ceo dell’azienda, che oltre a scegliere i pregiati chicchi si occupa del marketing rivolto all’export e alla comunicazione, e Gianluigi, che supervisiona i processi della tostatura, provenienti da una famiglia che da trentacinque anni è nel settore, anche se l’azienda è tutta in rosa. «Sono nata l’8 marzo e esporto negli Usa il Lady

Caffè Poli

«Lo sbarco non può che stimolarci a dare il

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Alberto Poli

e Starbucks propone l’American coffee in ogni angolo del mondo, la filosofia di Caffè Poli è diffondere l’Italian style. L’azienda con sede a Curnasco di Treviolo, da fine gennaio è sbarcata con un punto vendita anche a Dubai. Da tre anni Poli ha, infatti, creato la catena di caffetterie in franchising con il proprio brand, la C House, che fa capo alla C House Italia, dallo stile raffinato e glamour. Gli esercizi sono una cinquantina, di cui una trentina in Italia - uno


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bar quelli che oggi non ci mettono piede» Blue con una filiera al femminile, a Samac in Guatemala, dove a coltivare, raccogliere e distribuire la materia prima sono solo donne - spiega Monica -. Esporto molto nei paesi asiatici, come Cina, Hong Kong e Shanghai. L’Europa, non avendo più frontiere, non la considero come estero». Le varietà presenti provengono da Brasile, Guatemala, Costa Rica, Honduras e Tanzania. La miscela Ethic è composta da caffè dell’Huehuetenango, presidio Slow Food, e viene torrefatta da una cooperativa sociale a Reggio Emilia. Ci sono anche la Quintessenza dalle cinque varietà con origini diverse: Brasile, Costa Rica, Guatemala, Honduras e Tanzania, la Blue Mogi è invece una selezione dal centrosud America. Starbucks non è considerato un competitor dall’imprenditrice. «Funziona nelle grandi città, affollate da turisti e nei centri commerciali, con una clientela giovanissima, i cosiddetti “millennium”, attratti dalla moda, può educare a pagare di più il caffè, ma modi e gestualità non ci appartengono – prosegue la titolare -. Per noi la colazione la mattina al bar è in piedi al bancone, veloce, non potrei mai immaginare i miei genitori che si riempiono il bicchierone con mezzo litro di caffè e se lo portano con sé in giro, così come gli americani non si sognerebbero mai di pranzare a casa, Starbucks può incuriosire, ma non credo potrà mai affermarsi e avere lunga vita». Anche i gusti sono molto diversi. E non è scontato che il famoso frappuccino sia accolto con favore dai nostri palati. «C’è talmente tanto zucchero che corrisponde a un intero menù mediterraneo», sorride Monica Forcella. E neppu-

re la possibilità di passare in compagnia un pomeriggio stazionando per molto tempo nel locale ci appartiene. «Non abbiamo la cultura dell’ufficio e degli spazi condivisi, semmai il target potrà essere totalmente nuovo, Starbucks potrà portare al bar chi non ci va», è la sua opinione. Il paragone ideale è con McDonald’s per il cibo. «Anche quando ha aperto, i ristoranti italiani non hanno chiuso, gli esercizi devono diventare più astuti, affilare le armi, anche se sono convinta che il caffè di Starbucks può competere con la coca cola e non con l’espresso italiano».

meglio. Non ci faremo certo bagnare il naso dagli americani» è a Stezzano -, gli altri sono sparsi in Francia, Romania, Spagna, Santo Domingo, Turchia, Marocco, Abu Dhabi, Moldavia e Bulgaria. Le origini dell’azienda risalgono al 1962, quando Giuseppe Poli, che prima era un rappresentante della Lavazza, ha deciso di mettersi in proprio. Oggi il figlio Alberto amministra l’attività acquistando i grani verdi, cioè che non hanno subìto alcun processo di lavorazione, principalmente dal Centro America come Costa Rica, Guatemala, Honduras, oltre che da Colombia,

Brasile, Uganda, Etiopia, India, Indonesia e Vietnam. Fino a quindici anni fa, il mercato era solo interno, da un paio d’anni l’export è al 60%, con sbocchi in Ucraina, Russia, Georgia, Azerbaigian, Corea del Sud, Egitto e Arabia, oltre che Spagna, Bulgaria, Olanda. «Sono sicuro che Starbucks avrà successo anche da noi, l’approccio sta avvenendo nella giusta maniera, con umiltà e rispetto verso la nostra cultura, come ha dichiarato Schultz in modo intelligente - è l’opinione di

Marco Limonta, che si occupa dell’internazionalizzazione dell’impresa -. Avrà un occhio di riguardo verso la tradizione italiana, la formula non rispecchierà i locali americani, ma cercherà un compromesso, adeguandosi al nostro gusto, puntando al design e all’eleganza dell’ambiente». La formula del consumo ai giorni nostri è cambiata. La clientela è stata in parte erosa da capsule e macchinette. Ma il settore tiene, nessuno rinuncia al relax sorseggiando una buona tazzina. E Starbucks non fa

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focus

Marco Limonta e Chiara Poli

paura. «La qualità del caffè sarà buona, per i punti vendita italiani sarà studiata una miscela che rispecchi il tipico aroma, ora non ci resta che aspettarli al varco», afferma Limonta. Le strategie consistono nell’attenzione ai dettagli, come propone il colosso americano, che cura anche la musica attraverso accordi con Spotify. «Chi lavora bene non ha nulla da temere, certo il concept del bar alla vecchia maniera è mes-

so in discussione, bisogna stare al passo con i tempi - è il suggerimento dell’esperto -. Non si può aprire un bar perché non si sa che lavoro fare o si è rimasti disoccupati, bisogna essere pronti, conoscere la cultura del caffè. Il colosso americano in questo senso non può che farci bene, è uno stimolo a dare il meglio. E noi non ci faremo certo bagnare il naso dagli americani».

Art caffè

«Anche McDonald’s ha fatto fortuna nella patria del buon cibo. Ora dobbiamo alzare il tiro»

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rt Caffé nasce per volontà di Erminia Nodari e del marito Tullio Plebani sedici anni fa come una torrefazione a Fornovo San Giovanni. Da undici anni ha aperto anche la caffetteria con un piccolo laboratorio artigianale in piazza Pontida a Bergamo. Alla base della loro missione ci sono la selezione di pregiate varietà botaniche lavorate con tecniche che le valorizzano e la tutela della somministrazione. «Schultz ha scelto di fare affari in Italia solo ora perché è il mercato più difficile, una sfida, nei nostri bar si svolge un rituale unico, gli italiani gustano il caffé al banco, in pochi minuti, nessuno se lo porta con sé in metropolitana, ma c’è da dire anche che il nostro è il paese del buon cibo, dove però McDonald’s ha fatto fortuna - mette le mani avanti la titolare -. Il motivo è semplice: non sempre gli chef sono all’altezza, né si serve in tutti i bar un buon caffé». La qualità del prodotto offerto dalla multinazionale americana non può competere con quella della torrefazione bergamasca. «Come produttori abbiamo dimensioni talmente opposte a quelle di una multinazionale e non possiamo fare paragoni; come baristi, non avendo capacità di onnipotenza,

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dobbiamo avere paura di tutti. Di certo la standardizzazione non mette in luce le eccellenze, il mio mono origine proviene da un lotto talmente piccolo che Starbucks non potrà mai avere - ammette la signora Erminia -. Io, sia che mi trovi sola o nel mercato con mille con- Erminia Nodari correnti, seguo sempre il mio progetto imprenditoriale, che incontra un’offerta ben precisa, a prescindere che Starbucks apra o meno sotto casa mia». Sono moltissimi gli accorgimenti da seguire per arricchire la tazza di aromi e sensazioni uniche: «Conoscere la materia prima e la sua origine, le caratteristiche organolettiche che danno un esito diverso, saper macinare molto bene, avere un rapporto diretto con gli agricoltori delle piantagioni», sono i segreti di Art Caffè, che si concentra su piante coltivate nei paesi tra il tropico del Cancro e del Capricorno. L’arrivo della multinazionale è uno stimolo ad alzare il tiro, per mettere il consumatore in grado di scegliere, seguendo le leggi del mercato. «Il caffè è come il vino, va assaporato e richiede corsi di aggiornamento, invito i miei colleghi a concentrarsi sulla tazzina, oggi c’è chi propone aperitivi, brunch, pranzi e il caffé è solo una delle componenti, quasi marginale - suggerisce Erminia -. Invece deve tornare a essere la più importante». E se ci fosse chi vuole occupare il suo tempo nella sua caffetteria tutto il giorno? «Art Caffè si estende su 200 metri quadri, c’è già chi lo fa, non mando via nessuno. Anche se chi apre una caffetteria lo fa per servire il suo caffé, non una buona connessione wifi. Starbucks compreso».


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Riflessioni di Enrico Rota

Divieto ai minori e ticket d’ingresso a 80 euro. Quando il Vinitaly ci spiazza

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initaly rappresenta da 50 anni a questa parte l’appuntamento più importante per l’enologia nazionale ed internazionale. Anche nel 2016 il Consorzio Tutela Valcalepio sarà presente al Pala Expo Lombardia quale unico rappresentante dell’enologia bergamasca, con il suo stand collettivo dal 10 al 13 aprile. Nello spazio dedicato a Bergamo non mancheranno poi gli appuntamenti con la gastronomia tipica, organizzati anche quest’anno in collaborazione con la Camera di Commercio. Numerosi anche gli aggiornamenti social, appositamente pensati per far vivere la frizzante atmosfera della fiera anche a chi non potrà essere fisicamente presente a Vinitaly. A tale proposito, due sono le riflessioni che sorgono spontanee nel momento in cui si sceglie di informarsi meglio sul 50° Vinitaly: il costo del biglietto e un particolare divieto di accesso. L’Ente Fiera ha scelto di posizionare il costo del biglietto giornaliero ad un livello davvero alto: 80 euro. Una cifra elevata che, nelle speranze degli organizzatori, dovrebbe decurtare il numero di avventori “non desiderati”. Una delle conseguenze sarà l’allontanamento di una parte del pubblico appassionato e non solo. Vero è che la manifestazione nasce come momento d’incontro a livello professionale ma, a mio parere, dovrebbe comunque mantenere il suo aspetto di importante appuntamento anche per le persone desiderose di apprendere e conoscere. Non vorremmo mai che il pubblico iniziasse a considerare il vino un bene di lusso, qualcosa di riservato ad un elite, errore già commesso in passato e da cui dovremmo trarre opportuno insegnamento. Non solo, se il fine fosse quello di elevare la “qualità” dei visitatori, la domanda che mi pongo è perché mai l’operatore professionale debba pagare questa cifra. Nella stessa direzione va anche la seconda informazione che si apprende dal sito della manifestazione. Si legge esplicitamente che “Per il mantenimento dello standard professionale, Vinitaly è aperto esclusivamente agli operatori specializzati, maggiorenni: non è permesso l’ingresso ai minori di 18 anni anche se accompagnati”. Ancora una volta si sceglie la strada della demonizzazione di un set-

tore, quello enologico, che, non va mai dimenticato, vive e cresce grazie all’apporto del pubblico consumatore. Importante, quindi, mantenere professionale la manifestazione ma fondamentale, a mio parere, è non perdere di vista la cultura e la tradizione che questo comparto rappresenta per noi. Da produttore (vale anche per i ristoratori) mi chiedo perché mai non possa portare con me i miei figli minorenni, per far vivere a loro una esperienza concreta del lavoro che ci permette di vivere. Come recita il motto della fiera “Da un grande passato nasce un grande futuro”, mi chiedo, perciò, come possiamo trasmettere certi valori senza avere a fianco i nostri giovani. Non ci resta che aspettare Vinitaly e solo ad aprile potremmo trarre le dovute conclusioni.

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L’intervista di Roberta Martinelli

Lopriore: «Ecco come si riconosce una grande cucina» Dopo l’esperienza del Tre Cristi a Milano, lo chef geniale e creativo si appresta ad aprire il suo locale, “Il Portico”, ad Appiano Gentile. «Sarà la sintesi delle mie esperienze». «Le stelle Michelin? Possono creare stress. Dovremmo avere una nostra identità ristorativa e su questa essere giudicati»

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ualcuno lo indica come il vero genio creativo della cucina italiana contemporanea, altri lo accusano di fare una proposta troppo difficile e incomprensibile. Allievo prediletto di Gualtiero Marchesi, Paolo Lopriore, spirito libero e carattere riservato, è senza dubbio uno dei talenti più sorprendenti. Ha saputo scavalcare regole e dogmi della cucina e ha teorizzato un nuovo modo di fare ristorazione che alleggerisce la sacralità che aleggia nelle sale dei grandi ristoranti dando un ruolo da protagonista ai clienti. La sua idea è ritornare alla convivialità a tavola, con i commensali che decidono in prima persona come comporre il piatto, lo porzionano e lo condividono perché «condividere è un gesto che rispecchia l’italiano». Ma la sua intuizione va oltre. Anche il rapporto tra sala e cucina cambia: immagina un supercameriere, alterego dello chef, un oste 2.0 che spiega i piatti, ma anche il territorio e, più in

L’appuntamento

All’Accademia del Gusto una lezione per conoscerlo da vicino L’Accademia del Gusto ad aprile ha in agenda una lezione per conoscere da vicino la tecnica, la passione e il talento di Paolo Lopriore. L’appuntamento, rivolto ai ristoratori, è per lunedì 4 aprile dalle 14 alle 19 e vedrà in cattedra proprio lo chef comasco. Per informazioni e iscrizioni: tel. 035 4185706-707 info@ascomformazione.it; www.ascomformazione.it. generale, il pensiero gastronomico. Alle sue spalle, Lopriore ha un percorso intenso: inizia da Gualtiero Marchesi, ha una breve esperienza all’Enoteca Pinchiorri in Toscana, poi ancora con il maestro nel suo ritiro di Erbusco; quindi, a metà degli anni Novanta, la Francia (prima da Ledoyen poi da Toisgros con Michel Porthos) e la Norvegia alla Bagatelle di Oslo, a cui segue la rentrée all’Albereta, con un’altra stella della

cucina italiana, Enrico Crippa, con il quale dà vita al Menù Oggi, una carta che ancora alcuni ricordano per la ricchezza di sensazioni. Dieci anni intensi al Canto della Certosa di Maggiano e i fornelli di Kitchen a Como. Dopo una breve parentesi al Tre Cristi di Milano, a maggio tornerà in pista con un locale tutto suo, ad Appiano Gentile, nella terra natale. «È un progetto ancora in divenire. Quello che posso dire è che sarà


la somma delle mie esperienze precedenti: Siena e il lavoro sull’ingrediente, Como e il cambiamento legato al territorio e al clima, Milano e lo studio sulla tavola. Si chiamerà ‘Il Portico’, come la vecchia cartoleria che c’era prima». Come ha capito di volere fare il cuoco? «I miei genitori desideravano che facessi l’Alberghiero. La passione è arrivata dopo. Il merito va a mia madre, una grande appassionata, che mi portava a scuola ogni giorno, e ai miei insegnanti che mi hanno coccolato nel mio percorso e nella mia scelta». è stato in Francia, in Norvegia e da Marchesi, il guru della cucina italiana. Cosa ha preso da ciascuna di queste esperienze? «In Francia sono stato in uno dei locali più innovativi. Lì ho preso la parte organizzativa del lavoro; c’era una proporzione ben equilibrata tra lavoro, clienti e staff e questo equilibrio è molto importante. Dalla Norvegia, e parliamo della Norvegia di vent’anni fa, ho imparato la libertà. Non c’era una storia culinaria quindi era possibile fare tutto. Da Marchesi dico sempre che ho preso il gusto, mentre il palato lo devo a mia mamma». Marchesi ha detto che il vino gli fa schifo e non ne beve da 17 anni. È d’accordo? «Noto con piacere che il vino non è più un passatempo a tavola, che si beve di meno e più di qualità. Il vino mi piace, ma non mi va l’abuso e non mi piace neppure l’aprire una bottiglia come gesto di prestigio. Il vino deve fare parte della tavola, per me ha il compito di accompagnare i piatti, ma non credo nell’abbinamento». Alcuni critici gastronomici la considerano un genio assoluto. Marchesi l’ha eletta suo erede e il più dotato dei suoi ex allievi. È stato chiamato visionario, coraggioso, ermetico. Lei come definirebbe la sua cucina? «Essenziale, non decorativa, concentrata sulla materia e sulla cottura, senza distrazioni e senza obblighi verso la guarnizione del piatto e verso chi mangia. A cottura ultimata sono i clienti a decidere quantità di salse e condimenti da usare per completare il piatto».

A fine gennaio ha partecipato al Congresso internazionale di gastronomia “Madrid Fusión”. Cosa significa fare avanguardia in cucina? «Significa andare a semplificare i gesti quotidiani, mettere la propria fantasia nella tecnica. Da questo incontro sono nati grandi piatti».

Paolo Lopriore Quale consiglio darebbe a chi vuole aprire oggi un’attività? «Io mi sto spostando sulla ripetizione degli ingredienti: mi focalizzo su un ingrediente e ruoto le cotture per costruirci intorno un menù. Oggi questa può essere una nuova frontiera: partire da un animale di grossa taglia per i grandi eventi e da polli, galline e conigli per tavoli da due-quattro persone e creare diversi piatti. Non bisogna avere paura di ripetere un ingrediente, in Italia abbiamo un palato che apprezza la monotonia e riconosce le sfumature». I clienti migliori sono gli italiani o gli stranieri? «Sicuramente gli italiani, abbiamo un linguaggio comune. La soddisfazione al tavolo è diversa. Far capire allo straniero la nostra identità è più difficile». C’è un ingrediente che non cucina? «Mi piace tutto. È la curiosità che porta alla creatività. Non ho paura di sperimentare. Poi magari lo misuro, ma lo uso. Ho fatto anche salse di sangue».

Qual è il piatto più difficile da cucinare? «Quello che non si sente dentro. Il gesto è una delle cose più importanti. Fa la differenza anche come vengono tagliate le cipolle, come vengono unite al pomodoro, come si versa l’olio. L’insieme di questi gesti». Cosa pensa di Masterchef? «Il format non mi appartiene, ma ho grande rispetto per chi lo fa. Sono professionisti, non dicono stupidaggini». Come si riconosce una grande cucina? «Dai punti cardine della cucina italiana: cotture ben eseguite, rispetto degli ingredienti, buon bilanciamento di sale, olio, burro. È sempre più difficile da ottenere, c’è una crescente spinta a cuocere espresso». E cosa fa grande un ristorante? «Ci vorrà ancora qualche anno per arrivare al ristorante perfetto». Qual è l’errore che un bravo ristoratore non dovrebbe mai fare? «Pensare che il cliente conosca sempre meno di te, sottovalutarlo. Bisogna renderlo importante perché è venuto a trovarti, è alla tua tavola e ti dà anche dei soldi». Uno chef tristellato poco tempo fa si è ucciso in Svizzera. Era stato truffato ma comunque era sotto pressione da tempo. Le stelle logorano? «Possono creare molto stress, dipende da come vengono vissute. Io nel tempo ho subito dei cambiamenti di rotta e li ho sempre vissuti come punti di inizio. Quando si adottano sistemi che non ci appartengono ne soffriamo. La classificazione delle stelle è nata dalla Francia, noi l’abbiamo adottata ma non ci rappresenta, per questo a volte andiamo in confusione. Dovremmo avere una nostra identità ristorativa e su questa essere giudicati». Crede che il web abbia portato benefici alla ristorazione? «I social network e le recensioni on line tolgono ossigeno a chi lavora. Ci andiamo sempre a rapportare a un mondo che non ci dà la sua faccia. Non li amo molto. La nostra mente si riempie e non riusciamo più a liberarla». Conosce chef o ristoranti di Bergamo? Se sì, quali apprezza? «Il ristorante Da Vittorio della famiglia Cerea».

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Talenti

I dolci del giovane Jacopo Ha appena compito 15 anni, ma sta pensando alla propria carriera come un professionista, con tanto di “marchio” e sito internet. Intanto ha già conquistato uno stage Da Vittorio

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tanti bambini piace giocare a fare i dolci. Jacopo Zenoni ha ben presto unito al divertimento la serietà e la costanza di un vero professionista, che gli stanno permettendo di accumulare esperienze e risultati. Oggi, questo ragazzo di Bergamo, quartiere San Colombano, da pochi giorni quindicenne, iscritto al secondo anno dell’alberghiero di San Pellegrino, ha già all’attivo alcuni premi - tra cui quello per il miglior gelato ottenuto al concorso dei Gelatieri Ascom lo scorso anno, da matricola – e un’immagine pubblica già sviluppata tra sito web (www.lozenno.tk), social e ricette filmate, da buon nativo digitale. Non solo, infatti, si dedica allo studio e alla preparazione dei suoi dolci, ma ha anche elaborato un brand in embrione, “Lozenno – Pastry innovation”, con tanto di logo e gallerie fotografiche, comprendendo l’importanza di supportare ciò che si fa con la comunicazione. Merito anche dell’incontro durante un’estate al mare con Niccolò Senni, un coetaneo e concittadino che per passione ha invece quella delle fotografie e dei siti internet. «Non sono cresciuto in una famiglia di pasticcieri, i miei genitori fanno gli architetti – fa notare Jacopo -. Ho cominciato a fare le mie prime torte a sei/sette anni, nei pomeriggi a casa della nonna, incoraggiato da mio fratello Giorgio che aveva sempre fame

perché faceva sport. Mi venivano procurata collaborando nel laboratobene e in famiglia hanno cominciato rio di un bar (ed entusiasmandosi per a chiamarmi “Il boss delle torte”». l’arrivo della planetaria!). «Ho comin«La tv, in effetti, ha contribuito ad aliciato presto e probabilmente sono mentare la mia passione – ammette più avanti dei miei compagni, ma non – e inizialmente mi sono dedicato al mi sento né superiore né di essere cake design, anche perché stava diarrivato da qualche parte – riflette -, ventando facile trovare informazioni anzi sto capendo adesso quanto c’è e attrezzature. Ho anche avuto belle ancora da imparare. Dopo le superiosoddisfazioni, come quando ho preri mi vedo a frequentare una scuola parato i dolci per la festa finale della di specializzazione in Francia, voglio terza media. Poi però lavorare con ampliare le conoscenze e la visione. pan di Spagna e pasta di zucchero Mi interessa l’innovazione, del resto non mi è più bastato ed ho cominla pasticceria è chimica, studio. Il ciato ad interessarmi al cioccolato, mio sogno è inventare qualcosa di alle creme, alla selezione degli ingrenuovo, un prodotto che non c’è», didienti». chiara puntando in alto come impone La sua ricerca punta all’innovazione. l’età. Nel frattempo sta lavorando su Con i risparmi, ad esempio, ha acquiun nuovo sito e a nuove fotografie stato delle attrezzature per realizzare che migliorino quelli «un po’ crostate dalle forme geometriche, grossolani che abbiamo che farcite con creme e frutta fatto per cominciare». diventano vere e proprie compoE non dimentica di rinsizioni. Una di queste gli ha pergraziare mamma Dora messo di aggiudicarsi, ad un e papà Simone, «che altro concorso, uno stage di mi hanno aiutato a una settimana Da Vittorio, seguire questa passione». opportunità precoce ola.f. tre che di livello, considerando che all’alberghiero i tirocini scattano solo dal terzo anno. L’occasione di conoscere il mondo professionale se l’era comunque già Jacopo Zenoni


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LA PROPOSTA di Rosanna Scardi

Andrea Rossetti e Roberto Cicalesi

Sobb, qui la pizza diventa un piatto da chef A Casirate, il locale di Roberto Cicalesi spicca per l’offerta di pizze gourmet. «A far la differenza? È la scelta delle materie prime»

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cordatevi le pizzerie classiche, chiassose e a buon mercato. Da Sobb, a Casirate d’Adda, in viale Rimembranze, la pizza è gourmet, un raffinato piatto da chef. Gli ingredienti sono freschi, legati alla stagionalità e di alta qualità. Per trasformarli il cuoco, Andrea Rossetti, si mette ai fornelli fin dalla mattina, anche se il ristorante apre la sera. La farina, italiana al 100%, è macinata a pietra mentre la base è lievitata a lungo in modo da essere più leggera e digeribile. Cambia anche il modo di gustare, senza fretta, abbandonandosi al piacere del palato. Le pizze sono sfornate una alla volta e servite suddivise in sei spicchi per essere condivise con il commensale. Altrimenti, il rischio è che le fette si raffreddino perdendo la loro bontà oppure che ci si possa stancare del sapore. Anche il locale ha la sua importanza: caldo e accogliente, con arredi in legno, può ospitare al massimo 38 coperti. Sobb è il soprannome del titolare, Roberto Cicalesi, 29 anni, che si è fatto le ossa imparando da suo papà Tullio, proprietario di una pizzeria classica ad Arzago. «La mia definizione di gourmet è il contrario di fast food, vado a innovare e migliorare una specialità nata povera, educando il cliente alle eccellenze culinarie - spiega il pizzaiolo chef -. Il “disco” è la base per creare i topping o guarnizioni, a seconda della fantasia. Non è una pizza, è altro». A parlare è il menù che varia a seconda dell’impasto. La Nuvola può essere la base per una Crudité di

gambero rosso di Sicilia con stracciatella, crema di zucchine, datterino candito, per L’acciuga del Cantabrico con stracciatella, cappero di Pantelleria, datterino candito, origano e per Il prosciutto crudo Sant’Ilario stagionato 28 mesi con ricotta e cipolla rossa cotta al sale. Sopra la Gourmet si possono assaporare La capasanta scottata con guanciale, noci e crema di zucca, La tartare di manzo con verdure di stagione e fonduta di Castelmagno Dop, La bufala con pomodoro San Marzano Dop e basilico, geniale nella sua semplicità. La Scrocchiarella, con il 20% di farina integrale, si presenta farcita, come la Mortazza con mortadella, crema di Asiago Dop e insalatina. Anche la Classica è diversa: nella Margherita ci sono il pomodoro San Marzano Dop, fior di latte e basilico. Di pari passo con profumi e sapori ricercati, cresce anche il prezzo (da 8,50 a 28 euro). «Stiamo conducendo una ricerca di qualità e il costo finale tiene conto della materia prima, di come viene lavorata e per quanto tempo - precisa Cicalesi -. Ad esempio, per l’impasto usiamo una biga, come fanno i panettieri. Per capire la pizza gourmet, bisogna provarla». Fuori dal comune anche i vini e le birre, le italiane 32 e Baladin, le tedesche Pyraser e le bevande Lurisia come l’aranciata con arance del Gargano Igp o la gassosa con il limone sfusato di Amalfi. Anche i dolci sono rivisitati. Il tiramisù è un crumble di cioccolato versato nel vasetto dei fiori a mo’ di terriccio. Sopra c’è la piantina di menta.

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in tavola di Laura Ceresoli

Quando il gusto va a tutta birra Con l’affermazione delle birre artigianali, cresce l’interesse per l’accompagnamento ai piatti. Anche a Bergamo i locali stanno arricchendo la lista di bionde, rosse e stout per offrire accostamenti nuovi e accattivanti. Non resta che scoprirli

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e ami il cibo, ma conosci solo il vino, è come se cercassi di comporre una sinfonia con solo metà delle note e metà orchestra”. Oliver Garrett, il celebre birraio americano della Brooklyn Brewery ne è convinto. Ogni prelibatezza gastronomica può sposarsi alla perfezione non soltanto con un bianco fermo o un buon rosso ma anche con una birra di qualità. Basta scegliere quella giusta. Ma se in America e nei Paesi nordici questo binomio è ormai un’abitudine consolidata, per una terra più legata al vino

come la Bergamasca, e l’Italia intera, si tratta di una tendenza di più recente espansione. Sono stati i giovani, abituati a viaggiare all’estero e alla costante ricerca di qualcosa di alternativo, i primi ad apprezzare la cultura brassicola, soprattutto durante le sagre e le Oktoberfest. Ed ora questa antica bevanda, le cui origini risalgono alla Mesopotamia, ha letteralmente conquistato un pubblico più maturo, andando ben oltre il banale accostamento con la pizza o i crauti. In

molti ristoranti, anche di alta cucina, non è raro trovare accanto alla carta dei vini una ricca gamma di bionde, rosse o stout in grado di esaltare o contrastare ogni sorta di cibo. E c’è chi addirittura mette la birra in tavola durante i pranzi di gala. Tra i pregi di questa bevanda fermentata a base di acqua, malto, luppolo e lievito spiccano la versatilità, la moderata gradazione alcolica e un prezzo più contenuto rispetto al vino. La tavolozza di profumi e stili offerta dalla birra è ormai tra le più sofistica-


marzo 2016 te. Ecco perché, prima di decidere a quale piatto abbinarla, va assaggiata, a meno che non ci si affidi ai consigli di esperti del settore come il biersommelier. Da quando la birra è stata messa al pari del vino, infatti, in Italia si è andata sempre più affermando questa nuova figura professionale che in Germania esiste già da tempo. La regola generale è che la birra deve essere robusta e intensa quanto le pietanze a cui viene accostata: il connubio risulta particolarmente riuscito se c’è qualche sapore o aroma in comune. Birra e formaggio, per esempio, dovrebbero essere entrambi aciduli. Gli ingredienti leggermente amari della birra stimolano l’appetito. E allora perché non iniziare il pasto con una birra leggera per pulire il palato e preparare lo stomaco al cibo? Veniamo poi ai primi. Alle zuppe leggere si accosta una chiara e secca; alle minestre, invece, una maltata come la Scotch Ale. Parlando di secondi, una Ale chiara, caratterizzata dal forte aroma del luppolo, va d’accordo con le insalate verdi, mentre le birre amare sono adatte a quelle condite con aceto. Con bistecca o roastbeef meglio optare per le scure, mentre le birre di luppolo secche contrastano il piccante dei piatti esotici. Via libera, invece, alle chiare per pesce e pizza. La birra si sposa bene anche con il dolce: una Doppelbock, al delicato gusto di ciliegia, o una Imperial Stout sono perfette con il cioccolato. Per le torte fruttate meglio una Lambic. E per chiudere il pasto si consiglia una birra “pesante” ma dolce che faciliti la digestione. In Bergamasca oggi ci sono locali specializzati tra i migliori d’Italia e parecchi birrifici riconosciuti su scala nazionale anche da specialisti del settore come la Guida alle Birre d’Italia curata da Slow Food. Tra i più famosi spiccano Endorama di Grassobbio, Hammer di Villa d’Adda, Hopskin di Curno, Sguaraunda di Pagazzano, Maspy di Ponte San Pietro. E poi c’è la Elav di Comun Nuovo che ha lanciato un’originale versione della Vienna Lager preparata con la polenta, sfruttando le croste che restano attaccate al paiolo. Da segnalare anche il birrificio Valcavallina di Endine Gaiano e il Via Priula di San Pellegrino che lo scorso febbraio si sono aggiudicati un secondo e un terzo posto all’11esima edizione del premio Birra dell’anno, promosso dall’associazione Unionbirrai. A conferma della sempre più marcata attenzione al connubio tra birra artigianale e cibo, è nato il primo concorso internazionale Armonia “Birra nel piatto”, che premia l’utilizzo delle birre in cucina e nella ristorazione.

I LOCALI

«Etichette selezionate danno una marcia in più alla proposta»

Le esperienze di De Gusto, In Croissanteria e Fiore dell’Oste

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In alto Cristian Borace alla spina del Fiore dell’Oste; sotto Luca Carrara del De Gusto e qui sopra il team di In Croissanteria

n un mercato sempre più competitivo, esibire una carta delle birre ricca e dettagliata sta diventando un punto di forza per parecchi locali. Meglio ancora se il ristoratore sa suggerire al cliente il connubio ideale tra cibo e birra. In gioco non c’è la classica pizza abbinata a una bionda ma una vasta gamma di ricette, dall’antipasto al dolce, che ben si sposano con stout e bevande luppolate prodotte artigianalmente. «La sfida è unire la buona birra alla buona cucina, affiancare alla paziente spillatura la preparazione di piatti curati e ricercati arrivando a creare un locale accogliente e prezioso, laddove il valore è dato dal gusto per ciò che si prepara e si serve», rac-

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in tavola

conta Luca Carrara, 32enne che da agosto 2014 gestisce il De Gusto in via del Lazzaretto all’incrocio con via Baioni, a Bergamo. In meno di due anni questo risto-pub cittadino è balzato in vetta alle preferenze degli internauti su Tripadvisor e non solo. Merito anche dei suoi tre cuochi bergamaschi William Bertocchi, Jonathan Signorelli e Cinzia Mismetti che, dopo gli studi all’alberghiero di Nembro, hanno viaggiato molto per scoprire tutti i segreti della cucina internazionale. Ciò che ne deriva è un menù in costante evoluzione che varia a seconda delle stagioni. Tra le proposte inserite di recente al De Gusto spiccano il risotto alla valtellinese, il merluzzo con piselli e liquirizia, la selezione di formaggi, il tutto accompagnato da birre alla spina: Canediguerra Bohemian Pilsner, Brown Porter, Rodenbach Grand cru, Hilltop Barry’s bitter, Endorama Buendia, Carrobiolo Triple. «L’obiettivo – afferma Carrara – è riuscire a far apprezzare la birra anche in

L’astice alla canadese di In Croissanteria momenti in cui non è abituale berla, come l’aperitivo e la cena; abbinare la birra a tapas e piatti golosi e stuzzicanti è un modo per valorizzarla al meglio». In linea con la moda del momento Nicolò Vezzoli, titolare della pastic-

ceria In Croissanteria di Carobbio degli Angeli, ha fatto un cambiamento radicale negli ultimi tre mesi. Dopo l’esordio dolce, con vendita di pasticcini e brioche, oggi ha allargato la sua offerta proponendo uno street food di qualità per il pranzo

IL BIERSOMMELIER

«Gli abbinamenti non si improvvisano, ma si può imparare»

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el Regno Unito è normale gustare La proposta di birra artigianale non è un ostriche e stout, in Baviera si po’ insolita per il territorio orobico, che per mangiano da sempre i würstel bianchi con tradizione preferisce il vino? la Weiss. In Italia, invece, l’abbinamento «In epoche più recenti i consumi di birra tra cibo e birra artigianale è un fenomeno artigianale sono aumentati in Bergamasca. più recente e mancano ancora testi in Di pari passo, però, è cresciuta l’attenzione tal senso. In Belgio, Repubblica Ceca, verso il prodotto. Dal punto di vista della Danimarca e Uk, invece, c’è un’ampia somministrazione, esistono due realtà letteratura gastronomica a riguardo. distinte: ci sono locali che producono la Eppure dal 2003 anche la Bergamasca birra al loro interno e altri che acquistano sta lavorando sodo per promuovere la le birre artigianali da fabbriche esterne. In cultura della birra artigianale, per esempio Bergamasca ci sono locali specializzati tra attraverso la compagnia del Luppolo. i migliori d’Italia e parecchi birrifici di alto Simonmattia Riva Di questa associazione fa parte anche livello riconosciuti su scala nazionale». il biersommelier Simonmattia Riva, uno dei massimi Un bravo ristoratore per promuovere un abbinamento esperti a livello non solo locale in fatto di birre. Non a tra cibo e birra deve anche possedere le giuste caso, lo scorso anno, in Brasile, si è laureato campione competenze per non cadere nella banalità. Esistono dei del mondo nel concorso internazionale per sommelier corsi in tal senso? della birra organizzato dalla Doemens Akademie di «Ovviamente la passione non basta. Chi decide di Monaco di Baviera. fare questo mestiere deve conoscere le birre, sia

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e la cena, il tutto abbinato a una vasta selezione di birre artigianali. E i consensi non tardano ad arrivare: «Pur non essendo una birreria nel vero senso del termine il nostro giro di clientela sta aumentando – dice Vezzoli –. Abbiamo aperto come pasticceria ma poi abbiamo pensato di aggiungere piatti più strutturati che si avvicinano allo street food, dagli hamburger ai cibi etnici rivisitati, dall’astice canadese alla pizza gourmet, il tutto accompagnato da una delle nostre tre birre artigianali: la bionda, la rossa e la Indian Pale Ale. La prima si adatta bene a cibi leggeri come il nostro hamburger “Italo” con burrata e pesto. La rossa sta bene con piatti più strutturati come l’hamburger con il cheddar, il bacon e l’insalata. La Ipa, invece, è più amarognola, di nicchia, per intenditori, deve piacere. Interessante è anche l’accostamento tra la birra e le quattro pizze gourmet che stiamo inserendo nel

menù. Si tratta di pizze alternative che hanno in prezzo dai 15 ai 25 euro perché farcite con ingredienti selezionati: gambero rosso, burrata, pata negra, trancio di tonno scottato, gamberi avvolti nel bacon». Anche Cristian Borace, titolare del Fiore dell’Oste di Brusaporto, ha deciso di allargare la sua offerta culinaria affiancando al suo consolidato ristorante il “Forno dell’Oste”, uno spazio adibito alla degustazione di birre artigianali e buon cibo. «Il vino la fa sempre da padrone – ammette Cristian – però quando organizziamo le serate di degustazione cibo e birra il riscontro è positivo». E poi c’è un notevole risparmio

rispetto al vino: «Si passa dai 20 euro di una buona bottiglia di vino ai 12 euro di una birra da 750 ml – conferma Cristian –. La più leggera è la classica bionda Ale non pastorizzata e non filtrata ad alta fermentazione, con un grado alcolico del 5%. Con il suo aroma maltato leggero, morbido, dal sentore di erbaceo e di miele, si abbina agli antipasti o alla classica pizza. Le birre doppio malto leggermente dolciastre si sposano coi taglieri di formaggi; quelle più strutturate stanno bene anche con i dolci. Usiamo la birra anche come ingrediente nella preparazione di risotti, stufati, ma anche di pane e torte. Tra i nostri piatti forti spiccano il risotto pancetta e birra rossa, gli gnocchi ceci e birra, le costine di maiale e lo stinco alla birra. Con la birra ho persino preparato il tiramisù e il caramello».

tradizionali che di tendenza. Deve avere una buona competenza gastronomica e seguire le regole generali dell’abbinamento tra cibo e birra. Un modulo sugli abbinamenti è previsto nelle lezioni dei principali corsi tenuti dalle tre associazioni Mobi (Movimento birrario italiano), Unionbirrai e Fermento Birra». Qualche esempio per accostare al meglio cibo e birra? «Le birre molto luppolate di origine americana, resinose, con profumi di agrumi e frutta tropicale sono difficili da abbinare con i cibi italiani perché il gusto è abbastanza invadente, in questo caso si consiglia quindi di associarle a piatti asiatici piccanti e speziati. Anche il cioccolato fondente può essere abbinato a birre scure e molto alcoliche come l’Imperial stout o la Quadrupel belga che si sposano molto bene con l’intensità di questo dolce. Le birre acide invece hanno un effetto aggressivo e ripulente per la bocca, quindi sono indicate per piatti grassi a base di salumi o carni unte. Poi, però, l’esperienza fa il resto: sperimentando abbinamenti si possono avere delle gradevoli sorprese».

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in tavola

IL BIRRAIO

«Non sempre artigianalità fa rima con bontà»

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uando si parla di gastronomia la qualità gioca un ruolo di primo piano rispetto alla quantità. La stessa cosa vale per le bevande. Non basta la passione, serve anche una buona competenza in fatto di birra. Ne è convinto Alessandro Reali, birraio del birrificio Otus di Seriate con un passato da sommelier. «Sono laureato all’Università di Agraria e tuttora sto studiando per ottenere un master in tecnologia della birra. Ho lavorato diversi anni all’estero per conoscere tutti i segreti di questa bevanda e sto notando che, piano piano, i bergamaschi si stanno appassionando alla birra buona e al suo perfetto abbinamento con il cibo».

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Negli Stati Uniti o nei Paesi anglosassoni l’accostamento tra birra e cucina è un’abitudine più consolidata. Che dimensioni sta assumendo il fenomeno in Italia, invece? «In Inghilterra nel giro di 5 anni i birrifici sono passati da 20 a 90. In Italia fino a qualche tempo fa si tendeva a privilegiare il vino, oggi anche nel nostro territorio l’abbinamento cibo e birra artigianale si sta consolidando e prevedo che non sarà una moda passeggera ma un fenomeno in espansione». Quali sono i pregi della birra artigianale? «Spesso l’artigianalità è legata alla bontà. Non è però sempre così. Come birraio punto molto alla sostanza produttiva. Quando si parla di un prodotto artigianale si parla di qualcosa che può subire variazioni anche importanti. Bisogna lavorare molto sulla consistenza e sulla scelta degli ingredienti». Qualche abbinamento originale? «Il londinese medio beve speso la bitter rossa leggermente caramellata con l’anguilla marinata e il puré. Invece una dry stout, secca, scura, con una punta di acidità, è ottima con le ostriche o con il fish and chips. Le blanche sono birre belghe leggermente acide perfette per le verdure o un fritto di pesce. Una birra amara come la Indian Pale Ale sgrassa la bocca grazie al suo gusto più pungente e si accosta bene a piatti grassi e speziati». Anche i dolci si sposano con la birra? «Certo. Per esempio il cioccolato fondente si accosta meglio a una Imperial stout che con il vino perché ha un minor grado di acidità e non cozza con il dolce». Come si può utilizzare la birra per

Alessandro Reali la preparazione di ricette gustose? «Si può preparare un bel risotto con la birra scura e radicchio trevisano, mantecato con il gorgonzola o il roquefort. Oppure si può usare la birra al posto del caffè nel tiramisù. In Inghilterra mi è capitato di provare un’ottima cheese cake al caramello la cui base non era fatta di biscotti ma con il malto. In Repubblica Ceca cucinano l’anatra sfumata con la birra. Anche il luppolo, pianta erbacea aromatizzante utilizzata nella produzione della birra, può essere impiegato per i distillati. È un mondo nuovo in piena espansione e di esperimenti se ne fanno molti». Perché preferire la birra al vino? «La birra è più versatile, è meno impegnativa. Tuttavia, il vino in certe occasioni la fa da protagonista. Oltretutto noi italiani abbiamo una cultura enologica importante. Vino e birra sono due bevande che si devono muovere insieme, senza dover necessariamente escludere l’uno o l’altra. Sono un birraio ma ho studiato enologia, quindi sono legato a entrambe le culture. Chiaramente di fronte a una bella fiorentina mi sentirei di consigliare un bicchiere di vino rosso. Per ogni piatto ci vuole il giusto compromesso».


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NEWS

Ad Alzano torna il festival del cibo su ruote Dal 15 al 17 aprile, allo Spazio Fase, le specialità di venti food truck da tutta Italia

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l consiglio degli organizzatori è di arrivare affamati. Già, perché è difficile resistere alla tentazione del buon cibo di strada e se, in un unico luogo, si ritrovano venti proposte non si può fare a meno di assaggiarne almeno un po’. Dopo il successo della prima edizione, lo scorso ottobre, torna allo Spazio Fase di Alzano (via Pesenti, 1), The Big Food Festival, tre giorni (da venerdì 15 a domenica 17 aprile) dedicati allo street food “itinerante”, quello che raggiunge piazze e manifestazioni a bordo di camionicini, ape car e carretti attrezzati, che con le loro forme e colori e con i packaging originali delle pietanze rendono ancora più festosa la degustazione. L’evento è organizzato da Coffee N television, la squadra che sempre nello speciale contesto post indu-

striale dell’ex Cartiera Pigna realizza con successo il Factory Market, rassegna di artigiani e designer creativi. La lista dei partecipanti a The Big Food Festival, al momento, non è stata ancora resa nota, ma saranno rappresentate le diverse specialità regionali, etniche e green in versione da passeggio per comporre il proprio personale viaggio tra cartocci di fritti, panini golosi, spiedini, piatti tipici, birre e vini, da gustare sedendosi liberante ai tavoli a disposizione.

Nelle giornate di sabato e domenica sarà allestito anche un mercato al coperto dei produttori locali con prodotti di stagione a km0. Ci sarà spazio anche per i birrifici artigianali, oltre che per workshop e per l’area bimbi in collaborazione con Mothern. L’animazione è affidata a djset, street band e performance. L’ingresso è gratuito e si mangia tutto il giorno, con orario continuato, il venerdì dalle 18 alle 24, sabato dalle 10 all’una e domenica dalle 10 alle 23.

Gran festa all’“Acquarello” di Monaco. I vini? Selezionati da Luca Castelletti

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ell’ottobre scorso ha vinto il premio “Falanghina del Sannio Chef Award 2015”, riconoscimento che viene assegnato annualmente al migliore chef italiano all’estero. Per festeggiare questo traguardo, non certo il primo, lo chef Mario Gamba - originario di Almenno San Salvatore, da oltre 20 anni in Germania dove si sta facendo apprezzare col suo ristorante stellato “Acquarello” - ha organizzato, nel suo locale a Monaco di Baviera, una festa con soli 30 ospiti selezionati. Un evento, lo scorso 2 marzo, declinato al top, con un menù di nove portate (300 i piatti utilizzati) e vini altrettanto degni (400 i bicchieri messi in tavola) proposti da un sommelier anche lui bergamasco: Luca Castelletti, vincitore dei premi “Oscar del Vino” nel 2012 e nel 2015. Il patron dell’Enoteca Al Ponte è stato chiamato da Gamba a curare la scelta dei vini e a selezionarli in base alle portate. Così, in Germania, Castelletti ha fatto servire i seguenti vini: Riesling Auslese 1976, Pouligny Montrachet 1er cru 1989 az. Clerc & Fils, Santenay cru La Comme 1982 Az. Louis Lequin, Mersault 1981 cru Les Malpoiriers az. Jean Claude Monnier, Bordeaux CH. Canon la Gaffelière Grand cru classe 1986, Sassicaia “ Riserva” 1979 az. Tenuta San Guido, Barbaresco Az. Parroco di Neive Riserva 1971,

Da sinistra Roberta Silva, bergamasca, gestore del rifugio Roda di Vaèl (Dolomiti), Maria Risch, campionessa olimpica e mondiale di sci, Luca Castelleti e lo chef Mario Gamba Vino di Porto Diez L.V.B. 1974 e Malaga riserva 1885 az. Scholtz, e, come distillato, il Liquore Coca Buton 1945. Tutte etichette che hanno ben accompagnato il Trio di salmone scozzese; il Carpaccio di vitello Fassone, schiuma di parmigiano, mostarda ed erbe emulsionate; l’Insalata di spaghetti, Caviale Oscietra, limone, panna acida, uova di quaglia ed erba cipollina; i Tortelli al taleggio, schiuma ai peperoni, pepe, tre brunoise, sugo di vitello e Melange Noir; l’Uovo Onsen Tamago con foglia d’oro, tartufo nero di Norcia e schiuma allo sherry; il Filetto di branzino bretone in crosta di patate, barbabietola e mousse di rafano, due tipi di zuppe; il Piccione di Mieral, con latte di cocco gelificato, Mango e Curry viola; il Brasato di guancia di vitello, pera in camicia, foie gras e puré alla cannella e le Tre tartellette con creme a base di zabaione con pistacchio, caramello e caffè.

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L’AZIENDA

Vinitaly e ProWine Asia, simultanea storica per Villa Domizia Luca Rota

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Ad aprile, l’azienda di Torre de’ Roveri parteciperà agli eventi di Verona e Singapore. Luca Rota: «In vetrina tutta la nostra produzione. Ma in evidenza sarà, in particolare, la scommessa del nuovo vigneto di Scanzo»

a prima edizione di ProWine Asia si svolgerà a Singapore dal 12 al 15 aprile prossimi. Position your products at the hub of Southeast Asia’s dynamic wine market. Singapore è il gateway del mercato asiatico e rappresenta oggi circa il 20% del business totale del vino in Asia e, secondo le stime, è destinato a crescere sino a rappresentare il 30% entro il 2020. Ennesima fiera internazionale dedicata al vino, quindi, che porta nuovamente la firma del gruppo Düsseldorf Messe, organizzatore di manifestazioni a livello mondiale tra cui ProWein di Düsseldorf o ProWien China (Shanghai). In parallelo, a Verona, dal 10 al 13

aprile, si terrà la cinquantesima edizione del Vinitaly, il Salone internazionale dei vini e distillati. Due appuntamenti assai importanti per gli operatori legati al mondo enoico. Con uno sguardo consolidato oltreconfine, i fratelli Rota hanno deciso di gestire in contemporanea la loro presenza su entrambi i fronti. «ProWine Asia 2016 è uno dei portali per poter accedere ai mercati del Sud-Est asiatico - afferma Luca Rota, responsabile della produzione della 4R di Torre de’ Roveri - ed essendo di carattere biennale, abbiamo pensato che sarebbe stato un vero peccato perdere questa occasione. Sul mercato asiatico sia-

QUATTROERRE via Marconi,1 Torre de’ Roveri (Bg) Lombardia - Italia tel. +39 035 580701 fax +39 035 580782 info@quattroerre.com www.quattroerre.com


marzo 2016 mo già presenti in alcune aree e siamo convinti che una vetrina di questa portata ci permetterà di stringere ulteriori alleanze in un mercato assai competitivo ma pieno di opportunità da cogliere. «Fondamentale però – aggiunge Rota – è continuare ad investire anche sul nostro mercato nazionale, che ci ha permesso di crescere e di affermarci, generando sempre nuovi stimoli che abbiamo cercato di sfruttare sempre e comunque». Entrambe le fiere rappresenteranno per Villa Domizia la prima assoluta per presentare il progetto che l’ha vista protagonista, assieme alla Cantina Sociale Bergamasca, nel rivalutare una parte del territorio di Scanzorosciate grazie all’importante investimento che porterà al rilancio di un vigneto di quasi dieci ettari. Vigneto che sarà dedicato alla produzione biologica della denominazione storica Valcalepio, con tutte le tipologie previste dal disciplinare, e a quella recente del Terre del Colleoni, con due vini quali l’Incrocio Manzoni e l’Incrocio Terzi. «Porteremo quindi la nostra produzione completa sia a Verona che a Singapore - dichiara Rota -. A fianco delle due denominazione di origine controllata, sarà presente pure la linea dei nostri spumanti e dei vini a denominazione Bergamasca Igp (Cuvèe Bianco e Rosso Zerotre). Naturalmente non potrà mancare neppure il distillato italiano per eccellenza, la grappa, visto che oggi sono ben sei le tipologie che facciamo produrre (di cui due monovitigni). Gli importanti riconoscimenti ottenuti negli ultimi anni, dalla medaglia d’argento del Mondiale di Bruxelles con il Valcalepio Rosso Riserva, arrivando alla Golden Star attribuita all’Incrocio Manzoni dalla guida Vini Buoni d’Italia 2016 del Touring Club Italiano, confermano solo in parte quanto sia possibile rappresentare il nostro territorio in modo prezioso e

significativo. Vinitaly sarà l’anteprima dei nostri nuovi bianchi: Gaudes Valcalepio 2015 e .UNO Incrocio Manzoni Terre del Colleoni 2015, nonché dello spumante metodo classico Millesimato 2012. In particolare - prosegue Rota -, i bianchi di quest’ultima annata sono di uno spessore unico, pieni, e con una morbidezza incredibile. È un millesimo straordinario, che farà parlare per molto tempo. In autunno poi, presenteremo il Valcalepio Rosso 2013. Ne

voglio parlare in quanto sarà l’ennesima testimonianza del percorso che da anni stiamo portando avanti con una determinazione senza uguali. La ricerca per interpretare in modo moderno i blasonati Valcalepio continua. Da sempre anteponiamo la piacevolezza percepita avendo come unico cardine il consumatore finale, vero ed esclusivo giudice». La 4R sarà presente al Vinitaly nel padiglione Lombardia all’interno della Piazza Valcalepio assieme agli altri produttori riuniti sotto l’effige del condottiero Bartolomeo Colleoni, emblema da sempre del Consorzio Tutela Valcalepio.

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Tendenze di Leo Bartoli

Cheese bar, più che una moda Prendono spunto dai “bar à fromage” francesi e mettono al centro dell’offerta gastronomica il mondo caseario. A Bergamo fa parlare di sé il “Bù”, locale aperto in piazza Dante con un’offerta importante di prodotti bergamaschi e non solo. La regia? Della Latteria Sociale di Branzi

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on è solo una moda, semmai un “modo” di considerare diversamente il formaggio: i cheese bar nascono proprio per mettere al centro dell’offerta gastronomica il patrimonio caseario italiano. Il fenomeno prende spunto dai “bar à fromage” molto diffusi in Francia fin dagli anni Ottanta che trovano terreno fertile da noi soprattutto nell’ultimo periodo, prendendo il testimone dalle enoteche che avevano surrogato questa assenza storica sul territorio, con ristoratori esperti che ricoprono anche il ruolo di “divulgatori” del verbo caseario per rispondere alla crescente domanda degli appassionati. E a Bergamo non poteva certo mancare un locale simile, che in pochi mesi ha già riscosso un forte interesse. Si tratta di Bù, che naturalmente vuol declinare la sfida del buono (in dialetto) in tan-

te componenti: aperto lo scorso 16 ottobre a un passo da piazza Dante, con un’offerta importante di caci della provincia e non solo, il cheese bar raccoglie in fondo l’eredità di quel progetto, chiamato “Forme”, che aveva animato ad Astino il Fuori Expo, rivendicando il ruolo di Bergamo come capitale dei formaggi d’Europa, forte, anche ma non solo, del primato delle Dop casearie, ben nove complessivamente. Proprio la Latteria Sociale di Branzi, che con Francesco Maroni era stata l’“anima” di Forme, è ora la stessa che ispira questo progetto di ristorazione, con la collaborazione di tante altre realtà agroalimentari del territorio, che fin dalle prime settimane ha incassato un gradimento importante, tra l’altro con una trasversalità assoluta della clientela, che va dai giovani agli adulti che hanno come

denominatore comune la passione per l’assaggio e la cultura casearia, ai turisti alla ricerca di un’offerta gastronomica tipica di qualità, fino alle coppie decise a sperimentare locali innovativi, senza contare tutti coloro che affollano il locale in pausa pranzo, per un break sfizioso durante il lavoro. Ad accoglierli è Jacopo Bravi e il suo staff, ragazzi giovani e preparati che stanno sul pezzo 7 giorni su 7 (non è previsto alcun giorno di chiusura) dalle 7,30 del mattino alle 2 di notte.

Un fenomeno che ha già conquistato molte città italiane

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ella variegata galassia dei cheese bar italiani, un punto fermo è costituito dalla famiglia Rusconi, che ha trasformato uno dei “santuari” del cacio milanese in nuova frontiera per il consumo espresso, affiancando così la storica Baita del Formaggio di via Foppa a Milano (già inserita dal Financial Times tra i cinque migliori negozi al mondo che vendono formaggi) a un locale dove ci si può anche far consigliare sulla grandissima scelta in carta. Siamo alle prime armi, ancora lontani dalla tradizione dei cugini francesi che con Androuet prima e poi altri celebri maitre formager (ma anche con i caratteristici bar à fromage che

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in Italia hanno pochissimi emuli come quello valdostano all’interno dell’hotel Bellevue di Cogne), accanto a sontuosi punti vendita, da anni propongono una ristorazione ineccepibile, sposando anche i gioielli caseari con vini all’altezza. Sempre a Milano c’è la Taberna imperiale ed ha pure aperto un Cheese Cafè in zona Torre Velasca, mentre nella capitale ci sono formaggerie antiche, come la Limata, che continuano a riscuotere successo accanto a nuove insegne che avanzano come la catena Obicà, la “mozzarella bar”, sfizioso e giovanile. In Veneto, invece, pioniera è stata la nota Latteria Perenzin nel Trevigiano che ha aperto


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Jacopo Bravi e lo staff «La vera novità che ha introdotto Bù - spiega Bravi, 33 anni bergamasco, con alle spalle esperienze nella ristorazione e nell’alberghiero - è quella di proporre l’intera filiera del latte e non solo il prodotto finito. Per questo abbiamo creato in loco un mini caseificio, in cui produciamo, “live” dagli yogurt alle creme, al burro chiarificato, fino alla lattica, che poi andranno ad arricchire la nostra offerta nel menù». La didattica e la trasparenza al potere quindi, per far conoscere a tutti i segreti della trasformazione, che alla sua base ha come arma vincente il latte della montagna bergamasca, vero punto di forza del locale. Poi naturalmente ecco sua maestà il formaggio declinato in tutte le maniere possibili: dai ricchi taglieri, alle raclette, agli orologi “in purezza”, fino alle verticali, come quella del Formai de Mut solo d’alpeggio, con annate che vanno dal 2012 ad oggi. L’offerta vanta oltre 40 caci, con

tutti i campioni locali: il Branzi naturalmente gioca in casa, ma poi ci sono taleggio, salva cremasco, stracchino all’antica, agrì, quartirolo, gorgonzola, senza contare i contributi di altre maison, come l’erborinato Rosso Imperiale di Casa Arrigoni affinato nelle vinacce o i superbi caprini della Via Lattea. A proposito di Branzi, c’è anche quello con latte di sola Alpina Originale, razza che si era ormai estinta in Italia, ma che è stata recuperata dalla Svizzera e che nel locale trova anche spazio nell’offerta degli hamburger, molto gettonati dai teenager. E scorgendo il menù (accompagnato da oltre 50 etichette, dai migliori vini bergamaschi a una buona selezione lombarda e nazionale) scopriamo che un po’ tutte le portate (anche se con le dovute eccezioni), ruotano attorno al mondo caseario: dai primi (consigliato il risotto al radicchio trevigiano con fonduta ai formaggi d’alpe o i paccheri cacio e pepe), ai secondi (con la meravigliosa cotoletta al Branzi) fino ai dessert (dalla pannacotta, ai budini, fino alle golose brioches alle creme prodotte con il latte della casa). Senza dimenticare il take away di alta qualità, per una spesa davvero “bù”...

“Per” ossia percorsi enogastronomici di ricerca, opportunamente innaffiati da (buon) Prosecco, mentre in Toscana è la formaggeria Biancolatte di Arezzo con i suoi pecorini super ad aver visto crescere in poco tempo i suoi aficionados. Meno diffuso il fenomeno cheese bar nel centro sud con qualche eccezione: tra queste la Drogheria del buongusto a Palermo, con assaggi mirati sui grandi “campioni” dell’isola tra cui Ragusano e Piacentinu.

Alma, alla scuola di cucina torna il concorso dedicato ai formaggi

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lma, la scuola internazionale di cucina italiana di Colorno (Parma), è promotrice, dal 2012, del primo concorso nazionale dedicato al mondo del formaggio e ai suoi professionisti. La competizione, denominata “Alma Caseus”, ha ottenuto il patrocinio dei ministeri delle Politiche Agricole e dell’Istruzione e sarà articolata in tre sezioni: Professionisti, Juniores e Formaggi. La prima sezione vedrà in gara squadre composte da operatori professionalmente impegnati in attività implicanti la conoscenza del mondo del formaggio (produttori, stagionatori, affinatori, distributori, buyers, selezionatori e commercianti di formaggio, ristoratori, docenti, ecc.), che saranno chiamati a cimentarsi in prove di abilità e cultura casearia. La squadra che avrà ottenuto il punteggio più alto sarà premiata con il trofeo “Maestro Alma Caseus” e un corso di formazione di un giorno per i due componenti della squadra realizzato presso Alma. La categoria Juniores vedrà, invece, in gara squadre composte da ragazzi frequentanti scuole alberghiere o istituti lattiero-caseari, che si sottoporranno a prove commisurate al loro livello di preparazione. Tutti i concorrenti delle squadre classificatesi ai primi tre posti saranno premiati da Alma con un attestato di partecipazione alla gara, con la possibilità di frequentare gratuitamente per una settimana il corso di formazione Alma Summer School (che comprende lezioni pratiche e teoriche con chef e docenti Alma) e visite guidate presso produttori locali (6 posti in palio) e con un libro di sala o di cucina della collana “Alma Plan”. Infine, la terza sezione metterà in gara i formaggi provenienti da tutt’Italia, che saranno suddivisi, confrontati ed esaminati per categorie omogenee e concorreranno alle medaglie d’oro, d’argento e bronzo. La competizione si svolgerà a Colorno, nella sede di Alma, il 9 maggio prossimo e la premiazione si terrà il giorno stesso nell’ambito del 18° Salone Internazionale dell’Alimentazione Cibus. Il termine per le iscrizioni è fissato al 15 aprile.

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RISCOPERTE di Lara Abrati

Fatte con prodotti locali e ricette semplicissime regalano il più schietto sapore della tradizione e pure qualche ricordo. Sono i peperoni lombardi e i cetrioli moscatelli sottolio, le giardiniere e le confetture di frutta “dimenticata”

Tutto il fascino delle conserve “di una volta”

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a tradizione conserviera è molto radicata in tutta la penisola italiana. Ogni zona ha prodotti caratteristici, in base alla materia prima e al microclima locale. Dalla preparazione casalinga a quella artigianale, fino a quella industriale. Si devono, in particolare, ai piccoli se non piccolissimi produttori agricoli e artigiani ricette ed abbinamenti studiati, capaci spesso di offrire un’esperienza gastronomica interessante ed entusiasmante. La scelta di dedicarsi alla trasformazione è legata diversi motivi, dal voler diversificare la propria attività alla necessità di utilizzare il prodotto fresco invenduto, ma anche il garantirsi maggiore sostenibilità economica. Infatti, a parte l’investi-

mento iniziale, le conserve permettono di offrire un importante valore aggiunto alla produzione agricola, un’attività spesso poco sostenibile se condotta in piccolo. Molte volte l’estro di chi trasforma i propri prodotti spinge a creare accostamenti sempre più ricercati ed elaborati. Ricette molto particolari che mirano a stupire e a lasciare un ricordo, ma che molte volte non diventano “la conserva di tutti i giorni”, quella che si ha sempre in casa e costituisce parte integrante della dieta famigliare. In passato, quando la Bergamasca viveva soprattutto di agricoltura, nelle famiglie di contadini e mezzadri era uso preparare le conserve in casa, con i prodotti a disposizione.

Ortopronto/Pontirolo Nuovo

Pomodori verdi e more

«L’

azienda è nata grazie a mio padre Osvaldo – racconta Giuseppe Brembati, titolare di Ortopronto – che andava nei mercati rionali di Milano a vendere patate e cipolle con un carro trainato dal cavallo, poco dopo sostituito da una moto Guzzi». Negli anni l’attività si è sviluppata ed è arrivato il primo autocarro, l’offerta si è diversificata e sono arrivati in aiuto anche i figli di Osvaldo, Giuseppe ed Enrico. I fratelli hanno proseguito per un


marzo 2016 Ovviamente, grazie all’economia locale, queste conserve si potevano facilmente trovare anche nelle botteghe e dagli ambulanti che rivendevano le derrate alimentari nei paesi e nelle città. Conserve semplici, assolutamente stagionali e preparate a partire da materia prima locale. Prevalentemente erano sott’aceti, ma non mancavano le amarene sotto grappa oppure le confetture. Erano e sono tutt’ora produzioni molto semplici che vivono nei ricordi di molti. In primis il peperone lombardo “a sigaretta”, un peperone verde di forma allungata e non molto regolare, del diametro di poco più di un centimetro. Lo si trova abbastanza facilmente negli scaffali di alcuni supermercati. Essendo un sott’aceto, la preparazione è piuttosto semplice, dal momento che il rischio sanitario per lo sviluppo di patogeni è molto basso grazie all’azione dell’aceto. Poiché è essenziale, la ricetta lascia spazio alla fantasia di chi li prepara per quel che riguarda l’aggiunta di eventuali aromi. I peperoni sono da lavare accuratamente e asciugare. Poi sono da inserire con dell’aceto di mele oppure di vino bianco in un vasetto pulito e sterilizzato. A piacimento è possibile aggiungere dell’aglio oppure altro. Molto simile è la preparazione di un’altra conserva, i cetrioli sott’aceto, sia quelli verdi che quelli appartenenti alla varietà Moscatello, «una varietà locale riscoperta che, attraverso un lavoro che dura ormai da alcuni anni, stiamo cercando di re-introdurre e promuovere», spiega Alessandro Belotti, uno dei titolari di Belotti Conserve che ha sede ad Albino, in frazione Abbazia. Nei ricordi di molti, queste due conserve era uso consumarle con una bella dose di formaggio grattugiato per donare dolcezza in contrasto all’acidità. Altra preparazione molto diffusa la giardiniera, che molti ristoranti e agriturismo scelgono di fare in casa. Una buona giardiniera artigianale non ha davvero prezzo. Infine, tra i sott’aceti, il pomodoro verde è un altro

must. Al termine della stagione estiva, il minore calore e l’anzianità delle piante a volte compromettono la maturazione dei pomodori. C’è chi, dopo averli raccolti verdi, li lascia a maturare in cantina e chi ne produce un sott’aceto oppure, addirittura, un’interessante conserva da consumare con i golosi formaggi delle valli bergamasche. Passando alla parte dolce, i più anziani ricordano bene gli appezzamenti di terreno della pianura circondati dai gelsi, in dialetto “Murù”. «Purtroppo localmente è impossibile trovare questi frutti – racconta Giuseppe Brembati, di Ortopronto, un laboratorio di trasformazione che ha sede a Pontirolo Nuovo -. I pochi esemplari di queste piante vengono valorizzati, tanto da essere considerati quasi delle sculture, ma non piante da frutto, non vengono coltivate». Fino a qualche decennio fa il gelso permetteva un buon arrotondamento dei proventi dell’attività agricola perché le foglie venivano date in pasto ai bachi da seta. Il frutto di questa pianta è invece una mora, dal sapore non eccessivamente dolce e con un retrogusto piacevolmente amarognolo. In alcune zone del sud Italia, in particolare in Sicilia, la confettura di gelsi neri e bianchi è mediamente diffusa, anche in Bergamasca Ortopronto la produce, anche se i frutti non vengono coltivati in provincia di Bergamo. Da ultimo, nelle occasioni speciali, in compagnia, il fine pasto è caratterizzato da un digestivo molto particolare: le amarene o marasche sotto spirito. La bevanda alcolica in questione è spesso la grappa. Se ne trovano in commercio di molte tipologie e marche, ma quelle preparate in casa del resto hanno sempre un sapore davvero genuino.

di gelso diventano confettura periodo l’attività del padre nella vendita di ortaggi freschi, ma i tempi cambiavano e «circa 30 anni fa – spiega ancora Giuseppe – mi sono accorto che la gente preferiva qualcosa di pronto. Ecco che mi sono dedicato alla lavorazione delle insalate per la IV gamma. Dopo una decina di anni, ho iniziato anche a dedicarmi alla trasformazione e alla lavorazione della frutta. Ci siamo specializzati allestendo il laboratorio con macchinari che lavorano la frutta in vuoto d’aria, lasciando così inalterate le qualità organolettiche intrinseche ed estrinseche della frutta». Ortopronto produce la confettura di pomodori verdi e anche quella

Giuseppe Brembati

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RISCOPERTE BELOTTI ConservE/Abbazia di Albino

Accordi con i produttori per riprendere la coltivazione del cetriolo moscatello

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nata 55 anni fa, da Graziano Belotti, come laboratorio artigianale ad Abbazia di Albino che riforniva esclusivamente piccoli dettaglianti. «Nel tempo – racconta Alessandro Belotti, che da qualche anno ha affiancato il padre Graziano nella conduzione di Belotti Conserve – abbiamo dovuto innalzare la competitività e l’azienda si è ingrandita. Continuando a proporre ricette artigianali, ma abbiamo introdotto importanti innovazioni tecnologiche per garantire la qualità dei nostri prodotti e, soprattutto, la salubrità». L’azienda seleziona con rigidi criteri la materia prima da lavorare, se possibile anche da agricoltori locali, ma non solo. Come nel caso della conserva a base di cetrioli moscatelli sott’aceto. «I cetrioli moscatelli che lavoriamo - dice Alessandro – sono esclusivamente coltivati in Bergamasca. Abbiamo cercato di investire su questa varietà locale, stimolandone la produzione tra le mille difficoltà: la raccolta deve essere manuale e soprattutto tempestiva. Il cetriolo cresce molto velocemente e raccoglierlo non è proprio una passeggiata. Ci si deve coprire per evitare di irritare la pelle, peccato che tocchi farlo nel periodo più caldo dell’anno». Pian piano la soluzione è stata trovata e l’azienda fornisce il seme puro agli agricoltori con cui inizia il progetto di collaborazione, con l’impegno

da parte degli stessi di riprodurlo e mantenerlo. Anche per il peperone lombardo sott’aceto la storia è simile, anche se è molto più semplice reperire tale varietà.

Il cetriolo moscatello ha colore “giallo moscato”, da qui proviene il nome. È molto diverso dalla varietà verde tradizionalmente conosciuta ed era ben coltivato nelle campagne della pianura Bergamasca perché cresce bene in presenza di molta acqua. Le conserve è possibile acquistarle attraverso l’e-commerce. www.belotticonserve.it

Ortopronto/Pontirolo Nuovo di gelso. «Purtroppo – rileva Brembati – in Bergamasca non si trovano più le more di gelso. Per puro caso ho conosciuto un coltivatore pugliese che, stupito della nostra richiesta, ha iniziato la collaborazione con noi e, tutti gli anni, tra la fine di maggio e l’inizio di giugno ci invia le more per la lavorazione. Sia la confettura di gelso che quella di pomo-

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dori verdi sono due produzioni estremamente semplici, interessanti e particolari. Altra produzione molto particolare del laboratorio è la confettura di melograno, preparata a partire da succo di melograno e mela. La vendita avviene anche online, attraverso un e-commerce, mentre l’azienda ha sede a Pontirolo Nuovo. www.ortopronto.net


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L’Acchiappasogni/Nave (Bs)

L’antico gelseto rinasce anche grazie ai vasetti

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a produzione di una confettura potrebbe riattualizzare una coltura abbandonata per la sua poca produttività, come nel caso del gelseto storico di Villa Zanardelli, a Cortine di Nave, in provincia di Brescia. La villa ha un parco con più di cento esemplari in passato utilizzati per l’alimentazione del baco da seta. L’associazione Acchiappasogni, fondata alcuni anni fa da tre studenti dell’Istituto agrario Pastori di Brescia, sta cercando di valorizzare il parco e il gelseto, utilizzando questa coltura come pianta da frutto. Le attività di valorizzazione affiancano quelle dell’orto sociale. Dopo aver fatto un primo censimento, al gelseto ora viene praticata una regolare manutenzione e le more di gelso vengono raccolte per essere trasformate in confettura extra in un laboratorio specializzato. Con la vendita dei vasetti si sostengono le spese per la manutenzione delle piante. La raccolta manuale delle more avviene nelle prime settimane di giugno e queste vengono lavorate entro poche ore con la sola aggiunta di zucchero di canna biologico. «L’associazione è nata come orto sociale giovanile – spiega Elia Cammarata – per ritrovare un nuovo modo per stare insieme. Poi abbiamo iniziato a spaziare creando iniziative e opportunità di aggregazione per tutte le età. Il gelseto di Villa Zanardelli si potrebbe descrivere come monumentale e con l’associazione lo stiamo mantenendo, ripiantumando le piante che deperiscono a causa della loro età». Ma le ambizioni sono molte, «stiamo sviluppando insieme a un’università una ricerca per la tutela della biodiversità – racconta ancora Elia – per l’istituzione della prima ban-

ca del germoplasma del gelso perché, come si sa, molte varietà abbandonate per la loro scarsa produttività potrebbero diventare negli anni futuri un’importante risorsa». Nei primi giorni di giugno, quando le more sono mature, ci sarà la terza edizione della sagra del gelso e della bachicoltura, un’occasione per tutti di avvicinarsi a questa coltura, per raccogliere tutti insieme le more in una giornata di festa, proprio come si faceva una volta. La confettura si può acquistare direttamente a Villa Zanardelli o nei mercatini a cui partecipa l’associazione. L’anno scorso una parte delle more fresche è stata utilizzata da alcune gelaterie sul lago di Garda per la produzione del gelato. lacchiappasogniortobio.wordpress.com

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Tradizioni di Leonardo Bloch

La costoletta alla milanese tra vitelli e bufale Sull’origine del piatto è da mezzo secolo che si discute, con un’alluvione di fanfaluche. Il tema è delicato. Ecco perché

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temi del cibo e della sua storia paiono fornire un impareggiabile campo di tiro per la proverbiale propensione milanese a spararla grossa. Se ne ha evidenza sin dal XIII secolo, quando Bonvesin de la Riva, sbandierando l’opulenza dei consumi alimentari della metropoli lombarda, enumerava la bellezza di 300 forni del pane, 440 botteghe di beccaio ed oltre mille bottiglierie. Combinazione vuole che in quegli anni a Parigi, le cui mura fornivano asilo ad una popolazione più che doppia di quella residente in riva ai navigli, fosse documentata la presenza di soli 62 panettieri, 42 macellai e 130 osti. Trascorrono poco più di due secoli, ed il repertorio delle frottole gastronomiche meneghine si rimpingua ulteriormente grazie all’eccentrica penna di Ortensio Lando. A quella che è a buon titolo considerata la capostipite delle guide enogastronomiche del Bel Paese, l’eclettico poligrafo allega invero uno scherzoso catalogo de gli inventori delle

cose che si mangiano e beveno i cui nomi - superfluo precisarlo - sono dal primo all’ultimo inventati di sana pianta. Ma le iperboli di Bonvesin e le fantasiose congetture del Lando quasi svaniscono dinnanzi all’alluvione di fanfaluche che negli ultimi 50 anni ha inondato la discussione sulle origini della costoletta alla milanese, e che ancor oggi stenta a rientrare negli argini. Il tema, va riconosciuto, è piuttosto delicato. La pietanza è stata infatti elevata ad emblema culinario del nostro risorgimento, e la questione della sua paternità è divenuta un punto d’orgoglio nazionale. Su un fronte si schiera chi poco patriotticamente insinua che si tratti di un imprestito austriaco, dato che a Vienna si cucina una scaloppa impanata alla quale, checché se ne dica, la vivanda meneghina somiglia parecchio. Dall’altro lato della barricata v’è invece chi ritiene che tali illazioni vadano controbattute con ogni


marzo 2016 consenso che il latinorum dell’inciso ponga la parola fine mezzo, senza lesinare il ricorso a colpi bassi. al dibattito sulle origini. Ma, ancora una volta, le cose La sarabanda delle mistificazioni ha inizio nel 1963, anno non stanno esattamente così. in cui Felice Cunsolo - pubblicista siciliano autoelettosi Se invero sussistono pochi dubbi a riguardo della lombapaladino della gastronomia padana - dà alle stampe un ta cui allude il testo - ed ancor meno sulla sua cottura volumetto celebrativo della tradizione culinaria lombarda. allo spiedo in un unico trancio - la decifrazione di panitio Nel testo si fa menzione di un fantomatico rapporto da è altresì un rompicapo cui non riesce a fornire una Milano del Feldmaresciallo Radetzky a beneficio di soluzione definitiva neppure lo stesso Verri. tale conte Attems, qualificato come attendente L’eminente storico propone diverse glosdel Kaiser Francesco Giuseppe. Nella relaziose: una piuttosto improbabile polentina ne, apparentemente conservata all’Archivio di panìco - o delle pagnottelle di fior di di Stato di Vienna, si “informava l’imperial farina - da accompagnarsi al piatto, o governo che i milanesi sapevano cucinare ancora del pangrattato con cui, come qualcosa di veramente straordinario, la illustrato da Martino da Como nel costoletta di vitello intinta nell’uovo, imquattrocento, si spolverizzavano gli panata e fritta nel burro”. Peccato che arrosti sul finire della cottura. Certo è nella capitale austriaca non vi sia tracche, tra le diverse alternative, occorre cia della missiva, ed ancor meno si abfar esercizio di assai fervida immagibia evidenza di alcun Attems che all’eponazione anche solo per approssimarsi ca figurasse tra i ruoli di vertice dell’eseralla fattispecie di una braciola dorata nel cito asburgico. D’altronde parrebbe quanburro. tomeno singolare che il serioso governatore Sgombrato il campo da forzature ed aperte militare del Lombardo-Veneto osasse addenfalsificazioni, viene dunque da interrogartrarsi in frivole digressioni gastronomiche nel Bartolomeo Scappi si su quali siano le effettive radici della virelazionare il proprio quartier generale da uno vanda. La più accreditata tra le ricostruziodei punti più caldi dell’Impero. ni provviste di serio fondamento storiografico è quella Ancorché fabbricata ad arte, la storiella di Radetzky elaborata da Massimo Alberini, che menziona un celebre suona comunque apparentemente credibile: il Feldmaresciallo, buona forchetta ed impenitente donnaiolo, non trattato del francese Menon - La Science du Maître d’Hôtel manca di suscitare sottaciute simpatie anche tra gli avcuisinier, pubblicato nel 1749 - nel quale è racchiusa la versari. Ci casca il Comune di Milano, che presta credito ricetta delle cotelettes de veau frites. Da Parigi la piccata alla bubbola inserendola nella delibera di attribuzione di vitello impanata sarebbe quindi giunta a Milano sotto della De.Co alla ricetta. La bevono persino gli austriail nome di cotoletta rivoluzione francese. ci, i quali, facendo sfoggio di afflato cosmopolita, paiono Il colpo è di quelli che manderebbero al tappeto l’orgoglio finanche onorati di attribuire ascendenze d’oltreconfine gastronomico di un intero paese. Ma il fronte nazionale alla loro schnitzel. della costoletta può tirare un sospiro di sollievo: sussiste Dalla frottola si lascia abbindolare anche Gianni Brera, invero solida evidenza che la tecnica dell’impanatura delben lieto di poter fare da grancassa alle rivendicazioni le carni sia di irrefutabili origini italiane. La sua prima comilanesi. Non pago, l’ineffabile elzevirista, a propria volta dificazione è infatti riportata nella cinquecentesca Opera tutt’altro che schivo della boutade, rincara la dose mildi Bartolomeo Scappi, che la propone per la preparazione lantando la testimonianza nientemeno che di Stendhal. di alcune frattaglie bovine. Alcuni decenni più tardi è il Secondo Brera il grande scrittore francese, nel resoconto magistrato bolognese Vincenzo Tanara ne L’economia del di una scampagnata effettuata nel 1818, avrebbe infatti cittadino in villa a ribadirne l’utilizzo per l’accomodamenencomiato la succulenza della fettina impanata degustato di rigaglie ed altri tagli. ta nell’agro a nord di Milano. Ma in realtà negli appunti Tutt’altro che occasionalmente, entrambe le segnalazioni brianzoli di Henri Beyle, tra scurrili allusioni alla facilità paiono convergere sulla città di San Petronio: se il Tanara di costumi delle donne locali e didascaliche divagazioni spese l’intera esistenza all’ombra delle due torri, anche sull’architettura delle dimore patrizie, della pietanza non lo Scappi, prima della sua nomina a cuciniere pontificio, v’è neppure l’ombra. prestò a lungo servizio nel capoluogo emiliano alle diScreditata proditoriamente la comunque dubbia lectio pendenze del Cardinal Campeggio. E combinazione vuole della paternità asburgica, il fronte nazionale della costoche Bologna sia parimenti patria di una rinomata scaletta deve quindi misurarsi con la ben più problematica loppa impanata, ancor oggi fritta nello strutto così come assegnazione di un passato remoto alla vivanda. Vi si raccomandato cinque secoli fa dal cuoco secreto di Pio cimenta tale Romano Bracalini, che tra le pieghe dell’auV. Scampato quindi il pericolo di un’indigesta affiliazione torevole Storia di Milano di Pietro Verri scova un pranzo parigina, con ogni verosimiglianza la costoletta alla milamonastico del 1148 nel corso del quale furono serviti nese deve comunque rassegnarsi a veder consegnato in dei lombulos cum panitio. Ancorché intaccato dalla corrumani forestiere - ancorché non straniere - il proprio titolo zione maccheronizzante del basso medioevo, è comune di primogenitura.

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la rassegna

Fish & Chef, sul Garda tornano le cene stellate Sei le serate in programma dal 21 al 27 aprile. Protagonista il pesce di lago. Ai fornelli anche Berton

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ene stellate, alla portata dei portafogli di tutti, in alcuni dei più esclusivi hotel e ristoranti del Garda ma anche street food, street art e street music, un evento nell’evento sul lungolago della cittadina di Garda, durante il quale alcuni tra i migliori chef del Benaco faranno conoscere (e degustare) le loro creazioni, in un appuntamento che unisce anche arte e musica. Tutto questo e molto altro per l’edizione 2016 di Fish & Chef, la manifestazione in programma dal 21 al 27 aprile in alcune delle più belle località del Garda. La rassegna ideata dallo chef stellato Leandro Luppi e da Elvira Trimeloni si prepara infatti a stupire ancora. Sono sei le cene gourmet in programma (costo 70 euro, prenotazioni direttamente negli alberghi). Esse toccheranno località dai panorami mozzafiato come Malcesine, Gardone Riviera, Garda, Bardolino e Costermano. A mettersi alla prova con la cucina del pesce di lago saranno alcuni dei più importanti chef internazionali, due dei quali in arrivo dal Giappone. Ad alzare il sipario sull’evento, giovedì 21 aprile, sarà lo chef Luca Marchini (1 stella Michelin) dell’Erba del Re di Modena, protagonista della cena in programma all’Hotel Bellevue San Lorenzo di Malcesine. Il 22 aprile al Grand Hotel Fasano a Gardone Riviera scenderà in campo Peter Brunel (1 stella Michelin) del ristorante Borgo San Jacopo di Firenze. Domenica 24 aprile, Fish & Chef torna sulla sponda veronese del Garda: all’hotel Aqualux di Bardolino toccherà ad Andrea Berton (1 stella Michelin) del ristorante Berton di Milano. Lunedì 25 aprile al ristorante Villa Fiordaliso di Gardone Riviera gli ospiti potranno lasciarsi estasiare dai sapori della cucina di Andrea Aprea (1 stella Michelin) del ristorante Vun di Milano. Martedì 26 aprile, all’Hotel Regina Adelaide di Garda andrà in scena la cucina degli ospiti internazionali di questa edizione: Valentino Palmisano e Kido Toshimizu del Ritz-Carlton di Kyoto, in Giappone.

A La Casa degli Spiriti di Costermano, mercoledì 27 aprile, si terrà il gran finale a più mani: anche la conclusione dell’edizione 2016 è affidata al Dream Team Lake Garda composto dai top chef del Garda che giocheranno in casa per interpretare i prodotti del loro territorio in una sfida che nel 2015 aveva visto all’opera ben 11 cuochi. Street food, Street art e Street music - Tutti i giorni dal 21 al 27 aprile il lungolago della cittadina di Garda sarà animato da un evento nell’evento, che nasce dalla collaborazione tra Fish & Chef e (E)VENTO tra i Salici, un’associazione che organizza manifestazioni culturali per dare voce alla creatività giovanile. Nella kermesse di piazza si avvicenderanno alcuni tra i migliori chef gardesani con le loro preparazioni e performances di street artist e street band. Un’occasione per conoscere i segreti dei cuochi stellati e degustare le loro specialità.

Costo dei cooking show sul Garda: gratuito Costo delle cene: 70 euro Info: www.fishandchef.it Prenotazioni: per le cene e i pernottamenti vanno effettuate direttamente negli alberghi


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FACECOOK

alla scoperta dei social chef di Laura Ceresoli

Ha 25 anni e da Palazzago ha cercato opportunità nel nuovo continente, scoprendo che c’è un abisso culinario da colmare. «Io i casoncelli li ho proposti, ma il sapore è parso troppo strano» Riccardo Morlotti

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La sfida di Riccardo è l’Australia «Ma quanto è difficile far apprezzare la cucina italiana» onostante sia molto legato al piccolo paesino della Val San Martino in cui ha trascorso l’infanzia, Riccardo Morlotti ha viaggiato molto per perfezionare la sua arte culinaria. Per crescere professionalmente ha accettato di buon grado ogni sfida lavorativa, sia in Italia che Oltreoceano. E così, a soli 25 anni, ha già cucinato per il ristorante Da Castelli di Palazzago, il Cappello d’Oro di via Papa Giovanni XXIII a Bergamo, il Best Western di Monza e Brianza, il Grand Resort Du Lac Du Parc di Riva del Garda, per poi spingersi fino a Bangkok, dove ha preparato manicaretti in alcune delle più rinomate cucine tailandesi. Ma la svolta per questo chef di Palazzago è arrivata in Australia. Al ristorante italiano Cafe Bellavista di East Perth ha esercitato per nove mesi come chef de partie. Si è poi trasferito a Mount Hawthorn all’Azure Italian restaurant dove per un anno e mezzo ha rivestito incarichi di crescente responsabilità come chef de partie e sous chef. In attesa di esprimere al meglio la sua vena creativa in fatto di cucina italiana e orobica, oggi Morlotti lavora come cuoco di punta al Varsity di Nedlands, un sobborgo dell’area metropolitana di Perth. Anche dietro alle succulente costolette di maiale in salsa barbeque o alle insalate di zucca con mandorle tostate che si possono gustare in questo american bar si cela tutta la sua anima versatile e originale. E fare bella figura in un continente dove Internet e i mass media giocano un ruolo più determinante del passaparola è quanto mai essenziale.

Più che per Facebook o Tripadvisor, gli australiani vanno matti per Zomato, la piattaforma web che fornisce informazioni dettagliate, foto e recensioni su oltre un milione di ristoranti in 22 Paesi nel mondo. «Ho avuto esperienze personali negative con le recensioni online – spiega Riccardo –, il mio datore di lavoro controllava ogni singolo giorno le recensioni per leggere i commenti dei clienti e lamentarsi con me se qualcosa non era andato per il verso giusto. Allucinante! Per questo ora non leggo mai i commenti: ognuno è fatto a modo suo, con gusti differenti». In questi mesi trascorsi nell’altro emisfero, Riccardo ha anche capito che tra Bergamo e Perth c’è un abisso culinario che pare incolmabile. Ancora oggi piatti mediterranei, paste fresche fatte in casa o risotti al dente sono un privilegio per pochi selezionati ristoranti in Australia. Ecco perché l’idea di portare laggiù i casoncelli alla bergamasca pare una vera e propria utopia. Eppure Riccardo Morlotti un tentativo l’ha fatto. Con la freschezza e l’apertura mentale di un 25enne desideroso di sperimentare, ha cercato di scalfire le abitudini degli australiani. Ma il risultato non è stato proprio quello sperato. Quelle che da noi sono considerate delle prelibatezze, nell’altro emisfero, proprio non vanno giù: «Ho provato a proporre i casoncelli come piatto speciale in uno dei ristoranti italiani in cui ho lavorato – racconta – ma con molta delusione ho ricevuto solo critiche sul ripieno che per la clientela australiana aveva un sapore strano e troppo ricco di erbe. La cucina bergamasca è complicata da proporre perché usa ingredienti tradizionali molto difficili da trovare all’estero. L’unica cosa che sono riuscito a trovare è la polenta, ma non c’è paragone con quella bergamasca».

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il prezzo fisso di Fulvio Facci

Ristorante Pizzeria La Scaletta Cafè via Bergamo, 38 Capriate San Gervasio tel. e fax 02 90964826 www.lascalettacafe.it aperto tutti i giorni

Una “Scaletta” che si tuffa nel Mediterraneo A Capriate dal 1995, Filippo Coglitore cucina pesce spaziando dai sapori della terra d’origine, la Sicilia, ad una personale versione della paella, il piatto più gettonato del locale

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La Scaletta Cafè di Capriate San Gervasio la paella non è né alla catalana né alla valenciana ma di Filippo ed è il piatto più gettonato: quello per il quale il locale è famoso. La specialità spagnola è stata rivisitata da Filippo Coglitore, 57 anni, chef che con la moglie Luisa Barrecchia, 46 anni, in sala, conduce il ristorantepizzeria. Il loro sodalizio lavorativo è iniziato nel 1989. «Non è stato per eccesso di protagonismo – spiega Filippo – ma ormai le varianti sulla base della paella valenciana erano diventate tante e così ho voluto dare un messaggio chiaro, in modo che si capisse che c’era qualcosa di diverso. Ad esempio io ci metto l’astice e poi la serviamo in un contenitore particolare che ne esalta anche l’aspetto. Oltre che buona, insomma, è bella anche a vedersi». La “storia” di Filippo è come quella di tanti ristoratori partiti dal sud. Nel ’74 ha lasciato la Sicilia con la

LA PROVA

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Filippo Coglitore Due aspetti colpiscono a La Scaletta Cafè di Capriate San Gervasio ancora prima di sedersi a tavola per il menù a prezzo fisso del mezzogiorno: un buffet molto assortito (con arancini e pizza, tra l’altro) e tovagliati in stoffa che ormai si incontrano sempre più raramente. La lista è al centro del tavolo, stampata, con le portate e l’indicazione che nei dieci euro del prezzo sono compresi oltre al primo e al secondo, buffet, servizio, acqua, vino e caffè e poi sono segnalati i costi per gli extra. Tra i primi, lasagne, casoncelli alla bergamasca e pasta al ragù o al pomodoro ci sono tutti i giorni così come tra i secondi l’arrosto al forno, il vitello tonnato, la bistecca ai ferri e l’insalata di mare rappresentano una costante. Le portate che variano giornalmente vengono invece indicate a voce ed in occasione della nostra visita c’erano gli spaghetti alla caprese, i pizzoccheri, le costine alla brace con purè, le insalatone e il fritto di calamari e sarde fresche. Sul retro della lista ci sono i menù definiti “business special” che vanno dagli 11 euro ai 19 per il filetto di manzo ai ferri sempre tutto compreso. C’è anche un piatto vegano, il cous cous di verdure con salsa allo zafferano e ceci che costa 12 euro. La nostra scelta non è molto razionale ma le proposte ci stuzzicano e passiamo quindi dal primo piatto di pizzoccheri all’insalata di mare per secondo. Dallo strano abbinamento scaturisce un commento molto positivo per un ottimo rapporto qualità-prezzo.


marzo 2016 classica valigia di cartone per fare esperienza nelle piazze turistiche più importanti come Madonna di Campiglio, Portofino, Forte dei Marmi ed infine è approdato a Milano. Sempre in cucina ad apprendere i segreti degli chef più esperti. «Nell’87 ho aperto il mio primo ristorante a Milano in città – racconta - e nel ’95 sono venuto a Capriate alla mia prima Scaletta a poca distanza da quella attuale, mentre qui ci siamo dal 2007. Ho avuto anche altre esperienze perché per due volte ho gestito contemporaneamente due locali, sempre a Capriate la Rosa Verde e a Bergamo la Taverna del Gallo in via San Bernardino». La Scaletta Cafè è un locale arredato con gusto con la capienza di un centinaio di coperti all’interno. Molto utilizzato però è l’ampio dehors (80 posti) che viene sfruttato sia in inverno, riscaldato, sia in estate rinfrescato da getti di acqua nebulizzata. C’è anche un ampio parcheggio privato. Il costo medio di un pranzo varia tra i 35 e i 40 euro. La struttura è anche bed and breakfast, con tre camere e altre tre in arrivo. «Che cucina facciamo? Più che descriverla bisognerebbe provarla – suggerisce il titolare – perché trovo difficile rendere con le parole i nostri sapori. Diciamo che si tratta della base di una cucina mediterranea, ampiamente personalizzata. Il riferimento rimangono il pesce e la cucina siciliana. Dedichiamo lo spazio necessario anche ai piatti di terra, tagliate e filetti per quanto riguarda la carne, alcuni risotti e i salumi affettati. Per ogni portata abbiamo anche un piatto vegano». Data la lunga presenza, il locale ha consolidato una buona clientela e Filippo e Luisa seguono molto i dettagli, che a volte possono fare la differenza, come le eleganti mise en place ed il pane e le focacce che vengono preparati ogni giorno nel forno della pizzeria. C’è un listino che ricalca il menù principale per il servizio take away e per compagnie si organizzano anche tavolate di giro pizza. Ci sono poi cinque menù fissi, che comprendono dolce, acqua e caffè e che vanno dai 20 ai 35 euro. «Tra questi – afferma il titolare - quello al quale sono più affezionato è quello etneo con il richiamo alla mia terra d’origine. È un bel “viaggio” e fa capire un po’ la filosofia della mia cucina. È composto da una tartare di tonno con salsa agli agrumi, pesto di mandorle e salsa di soia, come antipasto. Per primo piatto sono previsti gli spaghetti con finocchietto selvatico e sarde, poi c’è un involtino di spada alla messinese e si finisce con un cannolo siciliano».

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AGENDA

“Gelatieri Bergamaschi”, un tris di appuntamenti riapre la stagione

La Giornata Europea celebra con un gusto speciale il Belgio, mentre la frutta è protagonista del quarto concorso provinciale. E per i bambini torna “La merenda non si paga”

L’

arrivo della primavera risveglia il gelato. Nonostante le spinte alla destagionalizzazione, è infatti quando il clima si fa più mite che cresce la voglia di consumarlo ed i Gelatieri Bergamaschi dell’Ascom si fanno trovare pronti con iniziative e novità, per i golosi e per la categoria. Il primo appuntamento è giovedì 24 marzo. Pochi giorni dopo la data che tradizionalmente in passato sanciva il ritorno in commercio del dolce, la festa di San Giuseppe, si celebra infatti la Giornata Europea del Gelato artigianale, un evento istituito nel luglio 2012 dal Parlamento di Strasburgo per promuovere il prodotto artigianale e ricordare le sue qualità. A coordinarlo è Artglace, la Confederazione che riunisce le associazioni nazionali di gelatieri dell’Ue, che ha scelto di valorizzare di anno in anno le tipicità dei territori delle nove nazioni aderenti. Questa è l’edizione del Belgio e il gusto che lo rappresenta è “Poire Royale”, gelato di pera, variegato con marmellata di mela e pera e i tipici biscotti speziati, gli speculoos, sbriciolati. Sarà possibile assaggiare la speciale ricetta anche in Bergamasca, nelle gelaterie che partecipano alla manifestazione, e sentirsi parte della festa internazionale. Lunedì 4 aprile i riflettori saranno, invece, tutti puntati

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sulla creatività locale. All’istituito alberghiero di Sarnico andrà infatti in scena la quarta edizione del concorso di gelateria artigianale, rivolto ai gelatieri bergamaschi e agli studenti delle scuole alberghiere del territorio. Il tema di quest’anno è la frutta con tutte le sue possibili interpretazioni. I prodotti dei concorrenti saranno valutati da una giuria qualificata e la proclamazione dei vincitori avverrà durante la cena di gala che segue il concorso. Le adesioni si raccolgono fino al 25 marzo. Dal 18 al 21 aprile è la volta di “La merenda non si paga”, l’iniziativa ormai tradizionale dei Gelatieri, che fanno un regalo ai bambini delle scuole dell’infanzia e delle elementari. Le gelaterie che partecipano all’operazione distribuiranno infatti degli speciali buoni che nel periodo di svolgimento della manifestazione i piccoli potranno convertire in un gelato omaggio. A disposizione complessivamente 25mila tagliandi da “spendere” negli esercizi aderenti di tutta la provincia. L’appuntamento rientra nella campagna annuale dell’associazione, dedicata alla promozione dei prodotti artigianali di qualità e di chi li realizza. www.gelatieribergamaschi.it


maggio 2016

Torre Pallavicina e Cazzano Sant’Andrea

Erbe selvatiche da scoprire e gustare A rriva il tempo delle erbe. Per conoscere quelle spontanee che possono portare qualcosa di nuovo – o di antico – in tavola, il Parco Oglio Nord organizza “Belle e selvatiche”, un corso introduttivo al riconoscimento e all’utilizzo delle piante selvatiche e commestibili del territorio, a cura

della guida naturalistica Livio Pagliari. Il corso è composto da tre lezioni teoriche nei mercoledì 23, 30 marzo e 6 aprile dalle 20.30 alle 22.30 e un’uscita sul campo, domenica 10 aprile dalle 9 alle 12. L’appuntamento è a Torre Pallavicina, alla Casa del Parco Oglio Nord, via Madonna di Loreto. www.parcooglionord.it

Per chi le erbe di campo, invece, le vuole già trovare nel piatto, a Cazzano Sant’Andrea, in Val Gandino, da giovedì 27 aprile a lunedì primo maggio è in programma la settima edizione della “Sagra della Cicoria”, organizzata dall’Associazione “Amici di Aurora”

con il patrocinio di Comune, Gruppo Alpini e Parrocchia. Cicoria è il nome con il quale in Bergamasca si indica il tarassaco, un vero e proprio simbolo della tavola primaverile, immancabile – crudo, tagliato fine, in compagnia delle uova sode – della scampagnata di Pasquetta, nonché alimento dalle riconosciute proprietà depurative. Per la serata inaugurale della rassegna è previsto convegno a tema, con esperti e proposte culturali legate alla tradizione popolare. A seguire, ogni sera, nella tensostruttura in via Tacchini verranno proposti i piatti poveri della tradizione locale, con animazione musicale.

2 E 3 APRILE

DAL 23 AL 25 APRILE

Sul Garda bresciano si visitano le limonaie

Vini passiti in rassegna nel palazzo di Volta Mantovana

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lla scoperta di una coltura poco diffusa alle nostre latitudini. Il 2 e il 3 aprile l’Associazione di Promozione Sociale Terre & Sapori d’Alto Garda organizza la seconda edizione di Giardini d’Agrumi, una manifestazione dedicata alla riscoperta e valorizzazione degli agrumi e delle limonaie di Gargnano, sulla sponda bresciana. Grazie ad una quindicina di proprietari che rendono visitabili i propri siti, si potrà accedere, seguendo i percorsi storici, a luoghi dove venivano e vengono tutt’oggi coltivati gli agrumi ed apprezzare il paesaggio delle limonaie, monumentali strutture di copertura per difendere le piante dai rigori invernali. Nell’antico chiostro di San Francesco sarà inoltre allestita una mostra delle varietà di agrumi coltivate sull’alto Garda, anche di varietà antiche e particolari, e degli attrezzi di un tempo utilizzati per l’agrumicoltura gardesana. Sarà allestito anche un mercato di prodotti locali, piante di agrumi e libri. www.terresapori.it

a sabato 23 a lunedì 25 aprile a Volta Mantovana, cittadina a sud del Lago di Garda, torna la “Mostra Nazionale dei Vini Passiti e da Meditazione”, appuntamento che unisce alle preziose bottiglie la possibilità di acquistare prodotti dell’enogastronomia mantovana. La manifestazione si svolge nel complesso monumentale di Palazzo Gonzaga, villa cinquecentesca con giardino all’italiana, e raccoglie vini passiti da tutta Italia e dall’estero, tutti posti in degustazione al banco di assaggio con la guida di sommelier. Propone inoltre degustazioni guidate in abbinamento a dolci da forno e cioccolato, prodotti tipici, formaggi e mostarde del territorio. A dare ulteriore fascino alla visita, la possibilità di effettuare il pic-nic negli storici giardini e le visite guidate al Palazzo, alle Torri e alla mostra della Convivialità e del Vino nel Rinascimento nelle cantine

appena restaurate. Per chi, invece, vuole andare alla scoperta della cucina del territorio, i ristoranti e gli agriturismo propongono nei giorni dell’evento menù al prezzo convenzionato di 25 euro, incluse le bevande, i vini locali, il passito ed il caffè. www.vinipassiti.com

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marzo 2016

news

Cucina regionale DOC, quattro i locali bergamaschi nella nuova Associazione no profit

I

l sodalizio Ristoranti Regionali – Cucina DOC (www.ristorantiregionali. it), nato in provincia di Bergamo nel 1974 dall’aggregazione spontanea di alcuni ristoratori lombardi, è diventata Associazione no profit, in ragione dell’attività svolta in questi anni per la valorizzazione della cucina tipica regionale, espressione di cultura ed elemento indispensabile alla proposta turistica del nostro Paese. Angelo Valentini, scrittore e personalità del mondo enogastronomico, ha accettato di essere il presidente onorario, la bergamasca Marinella Argentieri ne sarà il legale rappresentante mentre il trentino Danilo Moresco, ristoratore, è stato eletto vice presidente. Enrico Tonoli del Ristorante Posta al Castello di Gro-

mo ricoprirà la carica di consigliere insieme a Domenico Giorico, general manager dell’Hotel Carlos V di Alghero. Le cariche sono state attribuite nel corso della prima assemblea del gruppo che si è svolta il 23 e 24 febbraio a Montegrotto Terme (Padova), al Best Western Hotel Terme Imperial, associato al sodalizio. Per l’occasione sono stati approntati due Convivi DOC realizzati con specialità tipiche regionali, cucinate da chef e ristoratori provenienti dalle località di origine delle ricette a garanzia della loro autenticità. Campania, Lombardia, Marche, Piemonte, Sardegna, Toscana, Trentino, Veneto hanno proposto, in amichevole confronto, i sapori dei loro territori. Alcune aziende, vinicole e casearie, che sostengono l’attività dell’associazione, hanno presentato le loro produzioni: Trentingrana Dop il formaggio di montagna prodotto con latte di allevamenti del Trentino, proposto in degustazione all’aperitivo e accompagnato dalle bollicine di Barone Pizzini, primo produttore biologico in Franciacorta che ha abbinato al menù anche il Satèn 2011 e altre due etichette: Dominè Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc, prodotto da In alto, il presidente onorario Angelo Valentini con Sonia Pesenti, la figlia Asia e il nipote Andrea del ristorante La Trota In basso, il giornalista del Mattino di Padova, Renato Malaman, consegna l’attestato di partecipazione a Sonia Pesenti, del ristorante La Trota di Laxolo, e a Chicco Tonoli, del ristorante Posta al Castello di Gromo

agricoltura biodinamica nell’azienda marchigiana Pievalta e Estatura toscano Rosso Igt realizzato nei Poderi di Ghiaccioforte in Maremma. La cantina di Santa Maria la Palma di Alghero ha accompagnato un’intera cena con i suoi vini, dall’Aragosta frizzante all’Akènta Brut, dal superbo Cannonau Riserva Gran Cru al vermentino passito Soffio di Sole, per citarne alcuni. Due ristoranti bergamaschi, il Posta al Castello di Gromo e La Trota di Laxolo di Brembilla hanno presentato rispettivamente: una zuppa di funghi ed un guancialino con polenta taragna (Bergamo vede tra gli associati al gruppo anche la Trattoria Del Tone di Curno e la Terrazza Manzotti di Canonica d’Adda). Il ristorante Villa Giulia dell’Hotel Al Terrazzo di Lecco ha proposto il soufflé lariano con fantasia di formaggi della Valsassina, il ristorante Da Bruno di Fertilia (Alghero) ha cucinato “Zchi alla logudorese” piatto antico preparato in occasione della tosatura delle pecore, mentre la trattoria Da Peppina di Ischia ha sfornato una profumata pastiera. Il ristorante Da Pino di San Michele all’Adige ha preparato il trancetto di salmerino su crema di broccoli e porro fritto e il Soldato di Ventura di Gradara la punta di vitello in porchetta, ricetta emblematica delle Marche. La trilogia di dolci preparata dall’Hotel Imperial - zaleti, sbrisolona, bavarese con Sangue Morlacco zucchero filato e ribes - ha completato la rassegna dei piatti. Il Moscato d’Asti di Bera, produttore di nicchia delle Langhe, ha chiuso le serate che hanno celebrato l’enogastronomia regionale.

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Pagine di

Gola

a cura di Roberta Martinelli

Un viaggio nella cucina del passato fino alla seconda guerra mondiale corredato dagli scatti “culinari” di Berengo Gardin, un ricettario per fare un pranzo chic senza perdere troppo tempo, ma anche un libro di favole e sapori per bambini e un prezioso manuale per correggere la propria alimentazione e assicurarsi una linea perfetta e, soprattutto, tanta salute. Anche questo mese abbiamo spaziato per incontrare le vostre preferenze. Buona lettura!

Racconti di cibo tra gli scatti di Berengo Gardin Non è un classico libro di ricette, ma prima di tutto un libro da leggere e da guardare, per i bellissimi racconti di Caterina Stiffoni e per le immagini di tavole e cucine di suo marito Gianni Berengo Gardin, uno dei più importanti fotografi italiani contemporanei. Raccoglie curiosità e vicende che ruotano attorno al cibo, in svariati periodi e luoghi del mondo: oltre 40 storie, 80 ricette e 10 menù, dall’Italia della Seconda guerra mondiale ai grandi chef di Parigi, ai mercati del Marocco. Delicate le fotografie in bianco e nero che mostrano tavole imbandite, dispense, piatti, lavelli e lavagne con la lista della spesa. Caterina Stiffoni

Storie in cucina 152 pagine - Contrasto editore

Piatti da chef pronti in poche mosse Chi ha detto che una cucina veloce è una cucina trascurata? Niente di più falso e questo libro ve lo dimostrerà. Al bando panini e pizze surgelate che proprio salutari non sono. In pochi minuti e con qualche piccolo trucco, si possono realizzare ricette degne della cucina di un grande chef. Presto e bene questa volta vanno insieme! Priscilla Musu

Il piccolo libro della cucina veloce ma chic 213 pagine - Iacobelli editore

Storie di pentolini magici e pizze ballerine Bambine affamate e orchi dalla gola mai sazia, pentolini magici, volpi astute e lupi avidi dalla pancia vuota, pizze ballerine, principesse dal nome aromatico, alberi che portano frutti colorati come i capelli di ragazzine un po’ magiche. L’Italia è ricca di un’incredibile varietà di fiabe che si sono tramandate oralmente, fiabe straordinarie che raccontano di straordinari cibi, dove l’elemento magico sprigiona non solo meraviglia ma anche profumi e sapori. Luigi Dal Cin riscrive dieci fiabe italiane legate al cibo, interpretate da dieci illustratrici anche loro italiane. Luigi Dal Cin

La fiaba è servita! Cibi incantati dall’Italia 40 pagine - Franco Cosimo Panini editore

I 30 alimenti che allungano la vita Dalla lattuga ai cereali integrali, dalle fragole ai pistacchi. Trenta cibi comuni da non farsi mancare a tavola. Saziano, contrastano l’accumulo di grasso, allontanano le malattie e allungano la vita. Eliana Liotta spiega in modo semplice come inserirli nei menù e rivoluzionare il nostro stile di vita. Ogni consiglio è improntato al rigore scientifico, perché la Dieta Smartfood si basa su migliaia di ricerche, selezionate dalla nutrizionista Lucilla Titta, e sugli studi all’avanguardia di nutrigenomica, la disciplina che va a individuare le relazioni tra patrimonio genetico e cibo. Su ogni copia venduta, un euro viene devoluto alla Fondazione Ieo-Ccm per il progetto Smartfood. Eliana Liotta

La dieta smarfood 360 pagine - Rizzoli

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