Anno XV n.9 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - â‚Ź 2,60
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Alimentari Moretti, la forza della qualitĂ
Fa centro MoreEat, l’evento che ha fatto incontrare produttori e ristoratori
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4 Il prodotto
1, DCB 1, comma 46) art. 004 n. in L. 27/02/2 03 (conv. 353/20 - D.L. Postale mento Abbona ione in Spediz S.p.A. Anno
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XV n.9
www.affaridigola.it
Italiane
SOMMARIO
- Poste
NOVEMBRE 2015
Bergam o - € 2,60
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Alim Moreentari la forztti, della qa ualità
Fa ce MoreEntro l’event at, che ha o incontrafatto produt re e risto tori ratori
In copertina. Da sinistra Michela Moretti, Maria Bambina Gandioli (presidente della Alimentari Moretti srl) e Alessandra Tirloni. (foto Da Re)
Cavoli nostri
10 Tendenze
I creativi del pane
15 News
Vini e incontri, l’isola magica di Pirola e Castelletti
16 Frontiere
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Insetti in tavola, «sono gli chef che possono fare la differenza»
20 L’azienda
MoreEat, la qualità di Alimentari Moretti fa centro
22 Cronache e tradizioni
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Quella volta che Caravaggio quasi accoppò un garzone d’osteria
24 Cotture
American BBQ, una passione sempre più infuocata
28 La storia
«Alle Seychelles c’è chi torna per i miei piatti»
30 Facecook
Ilario segue la sua stella in Costa Azzurra
32 Il prezzo fisso
Osteria della Dogana, un locale tutto nuovo corona il sogno di Leo
Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini,24 - 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - N° ROC 5847 - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
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IL PRODOTTO di Laura Ceresoli
Un giro all’Ortomercato dice che il consumo è in aumento e che i bergamaschi continuano a seguire la tradizione preferendo il cavolfiore bianco. Piacciono anche il romanesco e i broccoletti. Complice la tv, si fa largo il cavolo nero e i produttori si adeguano. Ma c’è anche l’autoctono cavolfiore dei Colli
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Cavoli nostri
apete come nascono i bambini? Sotto un cavolo», esclamavano divertite e con un pizzico di malizia le contadine affaccendate nei campi, quando vedevano passare qualche giovanotto. Quelle ragazze, che nel secolo scorso raccoglievano cavoli nelle piantagioni dell’Europa centrale con un punteruolo di legno, erano chiamate levatrici. Proprio come le ostetriche. Già, perché il loro compito era tagliare il cordone ombelicale che legava metaforicamente questi ortaggi alla terra. Eppure, la fantasiosa interpretazione di quelle giovani donne laboriose sull’origine della Fulvio Bosatelli e Ezio Benigni vita traeva spunto da presupposti reali. Simbolo di fecondità, il cavolo veniva seminato in marzo e raccolto dopo circa 9 mesi, come accade per la gestazione. In passato questa pian-
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ta rappresentava l’unico alimento capace di garantire il giusto apporto di vitamine e sali minerali nei freddi periodi invernali. E ancora oggi resta una delle verdure più gettonate, grazie alle molteplici proprietà benefiche e antitumorali decantate da esperti nutrizionisti. Arancioni, verde smeraldo e persino viola, le varietà di cavolo presenti in natura sono le più disparate. Nell’arco dei millenni, infatti, la grande famiglia delle brassicacee ha subito parecchi incroci che hanno prodotto una gamma pressoché infinita di queste piante. Dal pak choi orientale al cavolo nero toscano, dai broccoli ai cavolini di Bruxelles, dal cavolo riccio a quello rosso, dalle cime di rapa alla verza, c’è davvero l’imbarazzo della scelta per chi vuole sbizzarrirsi tra i fornelli. Eppure i bergamaschi a tavola scelgono quasi sempre la tradizione. E così, quando vanno a fare la spesa, preferiscono andare sul sicuro acquistando i cavolfiori bianchi: «I primi freddi hanno
incentivato i consumatori ad acquistare cavoli per i minestroni o per le insalate a base di verdura cotta – conferma Ezio Benigni della BBR ortofrutta, azienda che si occupa di
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Fabio Eustacchio, sotto le sue coltivazioni
commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi freschi o conservati all’Ortomercato di via Borgo Palazzo –. Il più acquistato è il cavolfiore bianco, seguito dal romanesco a piramide, che ha un sapore più dolce, e dai broccoletti. Il cavolo verde tondo, invece, si vende di più nel Bresciano e nel Veronese che in Bergamasca». Il prezzo dei cavoli può variare in base alla richiesta e alla deperibilità come spiega un produttore, Fabio Eustacchio, Orticola Eustacchio di Levate: «I cavoli che porto all’Ortomercato di Bergamo sono stati raccolti il giorno precedente. Più tempo restano sui bancali, più il prezzo scende. Dopo la raccolta, un cavolo può durare circa una settimana prima di finire in padella. Ovviamente, prima lo si consuma, maggiori sono le proprietà nutritive di questo ortaggio. A metà ottobre, per esempio, vendevo cavolfiori, broccoletti e cavolo romanesco a 80 centesimi al chilo, a fine ottobre a 1,20/1,50 al chilo. Il cavolo verza, invece, ha prezzi più stabili dai 40 ai 60 centesimi al chilo. Il problema è che ormai la gente è poco abituata a seguire la stagionalità di un prodotto. Oggi si trovano frutti e ortaggi estivi tutto l’anno, ma
il prezzo in inverno è il doppio e la qualità è inferiore. E noi produttori diventiamo matti per accontentare il cliente». Dietro ogni ortaggio che finisce sui bancali, insomma, si nasconde una lunga storia. «E se i clienti la conoscessero – prosegue Fabio Eustacchio – pagherebbero volentieri il doppio per portarsi a casa questi cavoli. Per me lavorare è una passione, dormo pochissimo, mi alzo alle 2.30 per andare all’Ortomercato di Bergamo a vendere la mia verdura. Ho 30 anni e lavoro in questa azienda insieme a mio padre Ferrante, a mio fratello e a mio zio da quando ne avevo 15. I cavoli che sto vendendo in questo periodo li ho seminati a maggio e raccolti a ottobre. Abbiamo avuto un buon raccolto, nonostante il caldo estivo. Per fortuna non ci sono state forti grandinate. Quando ad agosto la temperatura è salita a quasi 40 gradi, ho passato intere giornate a innaffiare le mie piantine e c’è una grande soddisfazione quando alla fine le vedi crescere bene, proprio come un figlio. Il vero ortolano non ha l’orologio al polso, segue la luce del sole. Quando viene buio presto, si passa dai campi al magazzino». In generale, il consumo di cavoli quest’autunno è aumentato. Cavolfiore bianco, broccoletti e cavolo romanesco restano i più gettonati mentre le varietà colorate, dal viola all’arancione, rappresentano un mercato di nicchia e, vista la richiesta limitata, parecchi agricoltori sono restii a produrlo. A confermare questa tendenza è Martino Bonacina che, insieme al fratello Giancarlo, gestisce un’azienda agricola in via San Martino della Pigrizia: «Ho provato a coltivare i cavolfiori viola ma su 50 piante raccolte, 30 le ho mangiate io perché i bergamaschi
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IL PRODOTTO
Angelo Viscardi preferiscono i prodotti classici. I tradizionali cavolfiori bianchi sono quelli che vanno di più. Al secondo posto c’è il cavolo romanesco a pigna. Qui sui colli i cavoli crescono molto meglio che in altre zone della Bergamasca. Il clima, l’esposizione, la posizione, favoriscono la produzione. Ultimamente va molto di moda anche il cavolo nero. Colpa di Antonella Clerici – è la sua spiegazione - che nel suo programma ha sponsorizzato molto questa varietà che, fino a qualche tempo fa, era appannaggio della Toscana. Vista la crescente richiesta, l’anno prossimo ne produrrò
qualcuno in più». Tra le biodiversità più amate nel nostro territorio c’è poi una produzione autoctona: il cavolfiore dei Colli di Bergamo. Merito delle sue piccole dimensioni e delle sue foglie tenere. A coltivarlo da anni, con cura e dedizione, è Angelo Viscardi che nella sua azienda agricola in Borgo Canale fa crescere questi cavolfiori i cui semi vengono tramandati da generazioni. «Tutto è iniziato con mio nonno Luigi, poi è subentrato mio papà Battista e ora tocca a me conservare e preservare questa semenza di cavolo marzatico. Sono ormai rimasto uno dei pochi contadini a produrla. Ad ogni raccolto si selezionano i semi delle piante più belle e si riseminano la stagione successiva. Il mio cavolfiore si differenzia da quelli che si trovano in commercio perché è più piccolo e ha un colore panna-avorio. Le sue foglie sono così tenere che si possono mangiare cotte nel minestrone, hanno molte proprietà benefiche e curative. Sui Colli il mio cavolfiore cresce bene perché resiste alle gelate. Coltivo anche il cavolo nero perché c’è molta richiesta ma non con semi autoprodotti. E poi ho le foglie di verza che sono molto utilizzate nei ristoranti della Valle Seriana, in particolare a Clusone, per la preparazione del Capù, involtino di verza ripieno di carne trita».
LO LOCHEF CHEF
Potenzano: «Ort Basta fare attenz
Fabio Potenzano, volto noto del programma “Detto Fatto”, è docente dell’Accademia del Gusto
LA SCHEDA
Le varietà e gli usi Cavolfiore bianco È il più gettonato dai bergamaschi per il suo gusto delicato, il basso contenuto calorico e l’alto potere saziante. Da gustare lesso, saltato in padella oppure crudo sotto forma di cous cous.
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Cavolo cappuccio verde Ricco di potassio, calcio e fosforo, viene utilizzato crudo o cotto per la preparazione di crauti.
Cavolo cappuccio rosso Utile per il benessere cardiovascolare, può essere gustato crudo in insalata o sotto forma di marmellata per accompagnare cacciagione e carne di maiale.
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aggi difficili? ione a cotture e abbinamenti» «Q
uando cucino sento profumo di cavoli, non odore: amo questi ortaggi sia crudi che cotti». Fritti, al vapore o saltati in padella, per lo chef Fabio Potenzano cavolfiori, broccoletti e cime di rapa sono un’autentica passione. E quando si mette ai fornelli li valorizza in tutte le loro molteplici sfaccettature, creando manicaretti ad hoc che vanno dall’aperitivo ai secondi piatti, passando persino per la merenda, giusto per sfatare uno dei tanti luoghi comuni sui cavoli. Componente della Nazionale italiana cuochi e ospite fisso del programma di Rai 2 “Detto Fatto” condotto da Caterina Balivo, il celebre 34enne siciliano riesce addirittura a declinare il sapore deciso del cavolfiore in golosi dessert al cucchiaio. Il segreto? Accostare il cavolo agli ingredienti giusti e prestare attenzione alla cottura per non disperderne tutte le proprietà nutritive. Docente dell’Accademia del Gusto di Osio Sotto, domenica 29 novembre Fabio Potenzano sarà tra i protagonisti della scuola a Gourmarte, alla Fiera di Bergamo, con un laboratorio di ricette, consigli e idee sfiziose per risolvere un pranzo in modo scenografico. In natura esistono tantissimi tipi di cavoli, partiamo dal broccolo che ha molte proprietà antiossidanti e antitumorali ma un sapore non propriamente goloso e invitante, soprattutto per i bambini. Come si fa a valorizzarlo in cucina? «Il broccoletto è il più comune, ma anche il cavolo romanesco a piramide è buono da mangiare in tutti i modi. La gente fa fatica ad apprezzare e ad abbinare il broccolo.
Broccolo romanesco Caratterizzato dalla perfetta geometria delle sue cimette a pigna, contiene fibre, calcio e vitamina C. Da consumare cotto preferibilmente al vapore.
Anche nella ristorazione, di solito, trova poco spazio nei menù, per via del suo sapore. Eppure i nutrizionisti lo stanno rivalutando. Poi dipende dalle regioni. Al sud, per esempio, cime di rapa e broccoli sono molto utilizzati come condimento delle orecchiette. Si fa saltare il broccolo con aglio, olio, peperoncino, acciughe e si serve con una spolverata di pecorino». Qual è la cottura migliore per mantenere tutte le proprietà nutritive del cavolo? «Al vapore perché non si perdono i sali minerali e i cavoli risultano più saporiti e croccanti. Consiglio inoltre di far bollire la pasta nella stessa acqua usata per lessare la verdura, così non si spreca acqua e assorbiamo più proprietà nutritive. Un altro segreto per riciclare l’acqua di cottura del cavolfiore è sostituirla al latte nella preparazione della besciamella». Molti però sono infastiditi dall’odore che si sprigiona in casa quando si fanno lessare cavoli e broccoli. Ci sono dei rimedi pratici per evitare questo inconveniente? «Posso capire che per molte persone l’odore possa risultare fastidioso. Quando si fanno bollire i cavoli, basta inzuppare un po’ di carta nell’aceto e posizionarla in prossimità della pentola, preferibilmente una casseruola
Cavolo verza
Cavolo nero
Previene i tumori dell’apparato digerente e urinario. In Valle Seriana le foglie di verza vengono utilizzate per la preparazione del Capù, involtino di carne trita.
Tipico della Toscana, sta prendendo piede anche in Bergamasca grazie anche alle sue proprietà antitumorali.
Cavolo cinese Poche calorie e tante vitamine, si consuma sia crudo che cotto, nelle zuppe e nelle insalate.
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IL PRODOTTO LO CHEF alta con due manici. Qualcuno mette l’alloro nell’acqua di cottura ma io lo sconsiglio perché modifica il gusto della verdura». Cavolfiori e broccoli si possono consumare anche crudi? «Certo. In questo modo le vitamine, che con la cottura evaporano, si mantengono intatte. Il cous cous di cavolfiore verde è ottimo. Basta frullarlo crudo e condirlo semplicemente con limone, erbe aromatiche, in pinzimonio oppure con panna acida. Si può anche abbinare con il pesce». E per un aperitivo o un finger food a base di cavolfiori? «Si può realizzare una crema di cavolfiori frullando la verdura con acqua di cottura, olio e alici. Questa salsa si sposa bene con una trota salmonata o salmone affumicato, oppure con una polpettina di pane fritta. Ottime anche le frittelle di broccolo lesso, in tempura o in padella». Altri primi che si possono realizzare con cavolfiori e broccoli? «Un’infinità: dai timballi di pasta gratinati con formaggio e besciamella al risotto con broccolo, frutti di mare e crema di limone candita. Si possono fare gli gnocchi impastando broccoli, uova, farina e patata, conditi con fonduta di bufala o con acciughe, speck e pan grattato tostato in padella. Oppure si possono preparare gli gnocchi ripieni inserendo la burrata o la stracciatella nell’impasto». E per secondo? «Un filetto di pesce in crosta di broccolo oppure polpette a base di cavolfiori ben lessati. Si possono creare diverse varianti di hamburger, con uova o senza, con formaggio, legumi o carne, a seconda dei gusti. Infine con le foglie di verza si preparano involtini ripieni di carne trita». Lei ha lavorato parecchio
anche in Alto Adige, terra di cavoli bianchi e rossi. Come li cucina? «Coi cavoli bianchi si preparano i crauti. In insalata si tagliano alla julienne e si lasciano fermentare per ore con aceto, sale, zucchero, cumino. Lessati sono l’ideale per accompagnare gli stufati. Con il cavolo rosso cappuccio, invece, si realizza un chutney che si sposa perfettamente con la carne di maiale». Non dica che con i cavoli si può cucinare anche il dolce? «Ebbene sì! Potete preparare una ganache cuocendo il cavolfiore in una pentola con latte, zucchero e la scorza di limone. Poi si frulla tutto e lo si mischia con il cioccolato bianco che si sposa benissimo con il cavolfiore. Oppure preparo una panna cotta con cioccolato bianco e cavolfiore, abbinato al gusto più aspro di un coulis ai frutti rossi. Anche le rape e le barbabietole possono trovare applicazione in cucina per la preparazione di dolci». E la gente apprezza? «Sono sapori a cui non siamo abituati, molti assaggiano ma poi non apprezzano, altri amano sperimentare, altri ancora ne restano conquistati. Come per tutte le cose, dipende dai gusti».
Cavolini di Bruxelles Antianemici e disintossicanti, possono essere consumati sia crudi che cotti. Da provare gratinati al forno con un filo d’olio e una spolverata di Parmigiano.
Broccolo Antiossidante, depurativo e ricco di vitamine, è ottimo come condimento della pasta, rosolato in aglio, olio e peperoncino.
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Cavolfiore viola Ricco di proprietà salutari, non è soggetto a manipolazioni genetiche nonostante il colore originale. Ottimi lessati, andrebbero immersi per qualche istante in acqua e ghiaccio dopo la cottura per non perdere la brillantezza del loro colore.
Riflessioni
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di Enrico Rota
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Dop e formaggi, forse è il caso di fare qualche distinguo a tempo sappiamo che Bergamo è la capitale europea dei formaggi visto che la nostra provincia è l’area che può vantare il maggior numero di Dop nell’ambito caseario. È un dato importante, che inorgoglisce, ma che spinge anche ad alcune riflessioni sul mondo delle Denominazioni di Origine protetta. Una prima riflessione si lega alla domanda se sia importante il numero delle Dop e la varietà delle stesse per stabilire un primato o se, al contrario, non occorra valutare la dimensione e la diffusione delle stesse per stabilire un primato. Chiaramente penso sia importante avere delle Dop conosciute ed affermate perché solo così si potranno ottenere la credibilità sul mercato ed un alto livello di conoscenza e utilizzo da parte del consumatore. Una seconda riflessione scatta poi valutando l’importanza degli organi necessari per la promozione e tutela delle Dop, tanto che non esito ad affermare che non può esistere una Denominazione affermata sul mercato senza un Consorzio che ne segua la promozione e la tutela. Ma quanti di noi sono davvero ben informati in merito al significato e all’importanza delle Denominazioni d’Origine e delle Indicazioni Geografiche Protette (Igp)? La Dop e l’Igp sono strumenti impiegati per garantire una particolare tutela giuridica a prodotti con qualità, notorietà e caratteristiche connesse a determinate aree geografiche di cui hanno il diritto di portare il nome in via esclusiva. Le norme che disciplinano tali denominazioni sono finalizzate a tutelare i produttori e i consumatori da eventuali comporta-
menti sleali tramite precisi disciplinari che contengono norme di produzione inderogabili. Si tratta di norme comunitarie e nazionali che tendono a scoraggiare alcuni produttori, portandoli ad evitare le produzioni Dop o Igp. Fondamentale ora fare il distinguo fra i Consorzi di Tutela e le varie associazioni, anche di stampo amatoriale, che ci ritroviamo su tutto il territorio, partendo dai formaggi e arrivando al vino. Il Consorzio di Tutela è un ente che collabora, secondo le direttive impartite dal ministero, alla tutela e alla salvaguardia della Dop o dell’ Igp e coopera con la Regione. Svolge poi funzioni di tutela, di promozione, di informazione del consumatore, nonché azioni di vigilanza in collaborazione con l‘Ispettorato Centrale delle Repressione Frodi dei prodotti agro-alimentari, proprio come nel caso del Consorzio Tutela Valcalepio. Grazie a questa definizione è possibile chiedersi che ruolo effettivo possano svolgere altre associazioni, diverse dai Consorzi di tutela. Continuo a pensare se non è più onesto ammettere che è più facile rimanere fuori dal sistema e avere così “mani libere”, piuttosto di inventarsi pretesti per giustificare la scelta di evitare controlli e certificazioni. Continuo a non capire come un attore della filiera di produzione, possa non partecipare a questo momento fondamentale della vita di una Dop. Non esistono remore né economiche né personali che dovrebbero impedire ad un partecipante della filiera di agire all’interno di questo elemento fondamentale della vita di una denominazione. In questo caso si può affermare che gli assenti hanno sicuramente torto e solamente i presenti compiono fino in fondo il loro dovere di coautori della filiera.
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TENDENZE di Rosanna Scardi
Il mercato chiede nuovi sapori. E cosĂŹ anche i fornai della Bassa si sono ingegnati aprendo a farine e abbinamenti alternativi
I creativi del pane Per i nostri nonni il pane era un alimento importante, la michetta soffiata era immancabile sulle tavole. Oggi di pane se ne consuma molto meno e la clientela è diventata piÚ esigente, chiede prodotti nuovi, dal gusto particolare, con un occhio alla salute e limitato nel contenuto calorico. Anche i panettieri della Bassa Bergamasca stanno rispondono alle nuove esigenze del mercato proponendo pani con ingredienti originali e farine alternative. Ecco qualche esempio
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novembre 2015 Caravaggio
Al Forno di Nino il grano è coltivato in proprio. Ma il segreto sono le patate
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l Forno di Nino, a Caravaggio, in via Bietti, di proprietà della famiglia Stuani fin dagli anni Sessanta, si prepara un pane integrale che arriva direttamente dal campo. A farlo è Luca Anderloni, che macina il grano che ha seminato nei suoi terreni a Vedeseta, a mille metri d’altezza, nella Val Taleggio. Il procedimento consente di mantenere intatto il germe, l’elemento nutritivo più prezioso del chicco che di solito viene separato, nella produzione, perché farebbe andare a male la farina. Al fornaio bergamasco non accade poiché macina ogni settimana. Prima avviene la semina, poi la raccolta del frumento tenero. Il sabato si ritira in montagna, dove pulisce e immagazzina fino a quaranta chilogrammi di grano che viene frantumato nei suoi tre mulini. Uno di questi,
piccolino, dietro il negozio, serve per le dimostrazioni ai bambini. Il fornaio agricoltore coltiva anche goji, frumento, segale e patate e si è informato studiando i ricettari di una volta. Libri e farina sono una peculiarità della panetteria che ospita anche un’area adibita a biblioteca, dove si può sfogliare un romanzo gustando il pane. Leggendo, Anderloni ha scoperto che proprio il tubero si presta a essere l’ingrediente che sostituisce lo strutto, come accadeva nella tradizione contadina che imponeva di usare per fare il pane in casa le verdure avanzate come zucca e patata. La quantità di patata da aggiungere è da condimento, il 3%. Il procedimento è la biga, che si usa per le preparazioni casalinghe: si parte dall’impasto omogeneo preparato con farina, ac-
Silvia Stuani qua e lievito, si lascia riposare per 18 ore e si riprende aggiungendo lievito e acqua man mano che cresce la forma. Il costo è contenuto, 3,90 euro al chilo, per una produzione di 15 chili al giorno su un totale di due quintali. Anche il sapore è più genuino e l’aroma è quello del pane fatto in casa. Il contenuto elevato di fibre lo rende, invece, più salutare. L’abbinamento è con ogni piatto, anche se l’integrale si presta alla preparazione di bruschette a base di pancetta e grana, pomodoro e mozzarella di bufala, gorgonzola e miele, meglio se accompagnato da un bicchiere di buon vino bianco.
Urgnano
Suardelli, qui la differenza la fanno le bacche di Goji
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ma innovare, cercare ingredienti inconsueti che scopre nei suoi viaggi Andrea Suardelli, titolare con i genitori dell’omonimo forno e negozio in via Locatelli, a Urgnano. Ad avviare il laboratorio è stato il nonno paterno fin dagli anni Sessanta, mentre dal ramo materno si è arrivati alla quinta generazione di panettieri. Andrea continua il mestiere di famiglia nel segno dell’innovazione che parte dalla colazione. Sempre più spesso si consumano frutti rossi, ricchi di antiossidanti e vitamine, i più preziosi sono le bacche di Goji che il giovane panettiere ha deciso di sostituire al cioccolato dei panini dolci. L’immaginario attinge al sofficissimo pan gocciole, prodotto da una nota multinazionale, solo che a dare il sapore sono i frutti orientali dalla forma allungata che crescono in modo spontaneo nelle valli dell’Himalaya e oggi sono coltivati anche da noi. La tecnica è la biga, con l’impasto lasciato riposare per 24 ore. Solo verso la fine si aggiungono lo zucchero di canna e le bacche. Non mancano il burro e il sale per esaltare i sapori e rafforzare i legami dell’impasto. Le bacche rappresen-
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TENDENZE Treviglio
Amaranto e quinoa, ecco il mix vincente del Panificio Testa
I Andrea Suardelli tano il 5% del prodotto. Una parte viene amalgamata, altre rimangono intere come guarnizione. Essendo disidratate, sono lasciate a bagno tutta la notte per ammorbidirsi. La loro acqua è poi usata per realizzare il pane. Lo stesso pan gocciole si può produrre con ogni tipo di frutto, dall’uvetta ai mirtilli rossi del Canada, purché non fresco dal momento che in cottura si sgretolerebbe. Le tartine profumatissime sono perfette per spalmarci sopra miele o marmellate. Il costo è di 60-70 centesimi a tartina (circa 7 euro al chilo).
l Panificio Testa, in via Zara, a Treviglio produce un nuovo tipo di pane a base di quinoa e amaranto. I due componenti, chiamati impropriamente grano, sono in realtà due piante. La quinoa contiene acido linoleico ed è una buona fonte di minerali e vitamine, è molto consumata dalle popolazioni andine in Perù e il suo nome significa “madre di tutti i semi”. L’amaranto è invece una pianta del centro America, ricca di proteine (ne possiede fino al 16%). I due vegetali, simili a cereali, sono difficili da panificare poiché lievitano a fatica, ma in macinazione si comportano come il frumento. Ad avere l’intuizione sul nuovo prodotto è stato Matteo Testa, artigiano con la voglia di sperimentare, contitolare del laboratorio di famiglia insieme al fratello Andrea e a mamma Lucia. Il risultato finale si ottiene mescolando le due farine a lupino e soia spezzati, semi di lino, semi di girasole, farina di segale tostata, semola di grano duro, sale marino e lievito madre. Il trevigliese attinge a un mulino di Merano, in Alto Adige, che macina farine scure come segale, kamut in purezza e frumento della Val Venosta. La peculiarità è un pane molto digeribile, che evita gonfiori dovuti a sfarinati di grano tenero e ha una durata - se ben conservato nel suo sacchetto senza metterlo nel frigorifero né nel freezer - di tre/quattro giorni. Il contenuto calorico limitato, gli zuccheri praticamente inesistenti, la ricchezza di fibra, rendono il pane di quinoa e amaranto molto richiesto da chi è attento alla linea. Il costo è di 8,5 euro al chilogrammo e il panificio trevigliese ne sforna ogni giorno quaranta pagnotte da mezzo chilo ciascuna, per un fabbisogno di 20 chili quotidiani.
Secondo concorso dell’Aspan alla Fiera Campionaria
Nuovi prodotti, in campo anche le scuole di panifi
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l pane è alla ricerca di nuove idee, che catturino ogni giorno il favore dei consumatori. E chi meglio dei giovani può sfornarle? Nasce da qui
il concorso dell’Aspan di Bergamo “Bread in the school” che coinvolge gli allievi del terzo anno delle scuole di panificazione nella creazione di
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prodotti capaci di interpretare l’evoluzione del gusto e le esigenze di consumo, nel rispetto della tradizione artigianale. La fase finale si è disputata alla fiera Campionaria, nello stand-laboratorio con il quale l’Associazione mostra al pubblico come nasce il pane e come lavorano i fornai. Quattro le classi al lavoro tra impasti e teglie per preparare i prodotti da far assaggiare alla giuria: le terze B ed E dell’Isb di Torre Boldone, con il docente Ivan Morosini, la terza B dell’Abf di Treviglio guidata da Massimo Ferrandi e la terza Abis dell’Abf di Bergamo con Elio Finardi. Ai ragazzi è stato chiesto di utilizzare
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Canonica d’Adda
Ricuperati, A a ruba il pane agli 8 cereali. E l’Albero della Vita lo fa primeggiare
Canonica d’Adda fare il pane è un’arte, come dimostra l’attività di Gianni Ricuperati, titolare dal 1990 di un laboratorio in via Matteotti e della rivendita in piazza del Comune. Le prime creazioni risalgono a quando aveva nove anni. La passione da allora non è cambiata. Basta dare uno sguardo alla vetrina della sua panetteria, con l’Albero della Vita, attrazione principale di Expo, ricostruito in pasta di pane e illuminato giorno e notte, per capire che non è un semplice artigiano. Grazie all’idea, ha vinto il concorso
Matteo Testa
cazione per almeno l’80% la farina ricavata dal grano locale del programma di filiera “QuiVicino” e di tenere in considerazione valori come la territorialità, la sostenibilità e la corretta nutrizione. Da realizzare c’erano un pane in pezzatura fino a 100 g e uno tra 300 e 750 g, un pane o un prodotto da forno per uno snack salato e per uno snack dolce. Il risultato sono state ricette legate al territorio, con l’impiego dei formaggi delle Valli, ad esempio, ma anche delle mele e della frutta. Il miglior punteggio è stato totalizzato dalla Terza B di Torre Boldone. Tutte le ricette saranno messe a disposizione dei panificatori bergamaschi. (red.) Isb Torre Boldone, in alto la classe 3aB, sotto la 3aE
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TENDENZE
Romano di Lombardia per la miglior vetrina. Le varietà di prodotto sono diverse decine, cambiate ogni giorno per non annoiare il palato. Il fiore all’occhiello è il pane scuro e integrale, in particolare agli otto cereali: per quest’ultimo la richiesta, ogni sabato, è di quindici chilogrammi. Ricuperati, come facevano i panificatori una volta, compila un diario settimanale, dove sono annotate le preferenze della clientela e talvolta anche riguardo alla forma che varia dalle rose ai bastoncini, dalle baguette alle pagnotte. E l’otto cereali ha superato la classica michetta soffiata. L’impasto comprende farina integrale di grano tenero, farina di grano tenero, di segale, orzo, avena, granoturco, soia, semi interi di sesamo e lino. Il successo è dovuto alle sue proprietà, che lo elevano a “medicina naturale”: il pane scuro è più digeribile, meno calorico, ha un buon sapore e si accompagna a qualunque piatto. Essendo grezzo, mantiene maggiormente l’umidità, rimanendo croccante all’esterno e morbido all’interno. Il prezzo è 5 euro al chilo.
Gianni Ricuperati
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Finazzi Alcide & Giovanni, la baguette è reinterpretata alla moda pugliese
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riginalità anche a Romano di Lombardia, dove un panificio artigianale realizza una baguette francese, rivisitata secondo la tradizione contadina pugliese. La novità proviene dal laboratorio di Giovanni Finazzi, fondato insieme al fratello Alcide cinquant’anni fa in vicolo San Giorgio, che ha mantenuto una conduzione che si è tramandata di generazione in generazione. Il forno ha scelto di puntare sulla farina di grano duro, la stessa che si usa per produrre la pasta, ma anche per pizze, focacce e altri lievitati, perché meno raffinata e più genuina. A fornire la materia prima sono proprio i mulini dell’Italia meridionale, dove cresce la varietà che necessita di molto sole. Con la semola viene impastato il filoncino di pane e non la classica pagnotta rotondeggiante. La forma allungata e l’impasto, di colore giallognolo e più granuloso, permettono di avere una maggiore croccantezza all’esterno, mentre l’interno resta soffice. La farina di grano duro, a differenza della 00, vanta una ricchezza nutritiva per la maggiore quantità di proteine contenuta ed è più facile da digerire. La baguette di grano duro si abbina a tutti i piatti, anche se è irresistibile da sola appena sfornata oppure, svuotata della mollica, farcita a piacere con dolce o salato. Il costo è 3 euro al chilo. Un pezzo, lungo circa 60 centimetri, pesa sui 250 grammi e il panificio romanese ne sforna due quintali al giorno su una produzione complessiva pari a 800 chilogrammi.
novembre 2015
NEWS
Vini e incontri, l’isola magica di Pirola e Castelletti Il direttore artistico e il sommelier promotori dell’associazione Avalon, con sede in città. «È un po’ un ritorno alle origini, un luogo per i soci in cui trovarsi, parlare di enogastronomia, ma anche di musica, arte e cultura»
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i conoscono da sempre ed entrambi hanno macinato esperienze e iniziative nei rispettivi settori. Il primo nel mondo della notte, l’altro in quello del vino e dei buoni sapori. Ora si ritrovano per un progetto che torna alle origini, al gusto più schietto dello stare insieme davanti ad un bicchiere. Fabrizio Pirola, direttore artistico di locali di fama, conduttore radio e tv nonché grande appassionato di musica, e Luca Castelletti, sommelier pluripremiato (di quest’anno il bis all’Oscar del Vino come migliore enoteca alla sua Al Ponte), sono i principali fautori dell’associazione di promozione sociale Avalon, con sede in una moderna ed accogliente struttura in città, in via Angelo Maj al numero 35/c. «Tutto è nato dall’incontro di alcuni amici che da tempo manifestavano l’esigenza di aver un luogo in cui discutere, confrontarsi e sviluppare dei discorsi ad ampio raggio al di fuori dei locali aperti al pubblico - racconta Fabrizio Pirola che dell’a.p.s. è il presidente -. Non solo enogastronomia, quindi, anche musica, arte e cultura in generale». Trattandosi di associazione di promozione sociale, Avalon (il nome è quello dell’isola magica della saga di Re Artù e dell’indimenticabile alFabrizio Pirola bum dei Roxy Music) è aperta solo ai soci che è il presidente vengono ammessi dopo l’approvazione del condell’Associazione di promozione sociale siglio direttivo. «L’idea è che nel nostro spazio il Avalon socio si senta come a casa propria – evidenzia
-. Può portare le proprie bottiglie da degustare in compagnia, da parte nostra siamo in grado di offrire un servizio professionale e di completare la scelta con vini, distillati vintage, primi piatti della tradizione, salumi e formaggi selezionati che ben si sposano con il clima generale del locale». E poi c’è un programma culturale. «È in fase di stesura definitiva anche se abbiamo le idee molto chiare – spiega Pirola –. Ci saranno delle serate a tema musicale, la prima dedicata ai mitici Rolling Stones per fare un esempio, delle presentazioni di libri, filmati e mostre d’arte. Al momento è in corso la mostra fotografica dal titolo “L’alt(r) a cucina” di Stefano Borghesi. Ai soci è data anche la possibilità di proporre i temi per serate e incontri oltre che di organizzare eventi privati». È Castelletti a curare la parte tecnico gestionale della struttura. «Metto la mia esperienza a disposizione dei soci – afferma –, anche con un programma di corsi e serate tematiche sul mondo del vino, sull’alimentazione e la salute, con interventi di relatori di calibro internazionale. Ho aderito a questo nuovo progetto con entusiasmo ritrovando l’atmosfera e gli stimoli di quando aprimmo uno dei primi wine bar d’Italia a Ponte San Pietro». Dalla sua cantina ricchissima di prestigiose etichette, patrimonio anche del padre Italo, Luca ha messo in degustazione distillati che sono prodotti unici, alcuni non più in produzione, segnando, appunto, questo virtuale ritorno al passato.
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FRONTIERE di Anna Facci
Insetti in tavola, «sono gli chef che possono fare la differenza» Due miliardi di persone nel mondo li mangiano ed ora sono prodotti e commercializzati anche in alcuni Stati occidentali. Da poco, inoltre, l’Europa ha detto sì ad una semplificazione delle procedure di autorizzazione. Ce li ritroveremo davvero nel piatto? Ecco cosa racconta un pioniere del novel food
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ino a ieri trovare un insetto nel piatto era solo il segno del peggior livello di un locale, oggi può anche essere la proposta gastronomica più trendy e corretta in termini di sostenibilità alimentare. Basti pensare che nella cucina con cavallette e larve di scarabeo si cimenta niente meno che René Redzepi, del Noma di Copenaghen, giudicato a più riprese il miglior ristorante al mondo. Non si tratta solo di provocazioni o virtuosismi culinari, ma di una precisa linea di ricerca e sviluppo inquadrata a partire dagli anni Novanta dalla Fao, che nel consumo di insetti vede una delle risposte a quella che è stata anche la domanda dell’Expo: come sfamare un pianeta sempre più affollato che chiede cibo sicuro e nutriente e, nello specifico, dove trovare fonti di proteine a minore impatto ambientale, disponibili per tutti. Osservata da un punto di vista è globale, l’entomofagia (è Per saperne un po’ di più ci siamo rivolti a chi da tempo si dedica allo studio degli insetti per fini alimentari, Marco Ceriani, esperto in nutrizione e fondatore, sei anni fa, di Italbugs, che si occupa di ricerca e sviluppo di matrici alimentari sicure da insetti, per realizzare materie prime e nuovi alimenti. È insediata nel PTP Science Park di Lodi, primo parco tecnologico in Italia dedicato all’agroalimentare. Cosa comporta la recente mossa dell’Europa sul novel food? «Non che si possono già produrre,
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il termine con cui si indica il mangiare insetti), in realtà, non è poi questa gran stranezza, essendo pratica diffusa in Oriente, in Africa e in Sud America. Ed ora è molto più che un’ipotesi nei Paesi sviluppati. L’esposizione milanese è stata teatro del primo evento ufficiale in Italia in cui si sono mangiati insetti (nel padiglione del Belgio, dove è stata autorizzata la commercializzazione di una decina di specie per uso alimentare umano, che si possono trovare anche al supermercato), convegni e pubblicazioni si sono moltiplicati e a pochi giorni dalla chiusura dell’evento milanese è arrivato il sì del Parlamento europeo alla semplificazione delle procedure di autorizzazione del cosiddetto novel food, ossia tutto ciò che non è mai stato considerato cibo prima, comprese meduse, nuovi coloranti e cibi costruiti in laboratorio.
vendere e consumare insetti. La normativa Europea non lo permette, anche se in alcuni paesi, come Belgio, Olanda e Francia, questo avviene grazie a delle leggi nazionali, ma solo per il mercato interno. Ora il Parlamento ha dato un parere positivo sul novel food, significa che non ha ravvisato rischi o problematiche. È un passo che ormai ci si aspettava e che dà un’accelerata agli studi e alle ricerche». Quanto passerà, quindi, prima di sgranocchiare cavallette anche da noi? «Bisognerà costruire delle leggi che
dicano in che modo gli insetti potranno essere allevati e venduti. Si tratta in pratica di introdurre un nuovo elemento nella catena alimentare, prodotti che non sono mai stati commercializzati né consumati prima, dei quali occorre sapere cosa contengono e quali pericoli comportano, un percorso del tutto legittimo e normale, come per qualsiasi altra novità, fatto di analisi e verifiche. Nessuno ce l’ha con l’insetto…». Dovrà però ammettere che non sembra una prospettiva golosa… «Il gap europeo sul consumo di in-
novembre 2015 Marco Ceriani è il fondatore di Italbugs, insediata nel PTP Science Park di Lodi, e autore del libro “Si fa presto a dire insetto”. Nella foto di apertura il brodo di grilli dello chef sardo Roberto Flore. Sotto, la farina di grillo
setti è dato dal fattore disgusto, ma si può superare, come insegna la storia alimentare. Le patate ci hanno impiegato un po’ prima di essere apprezzate e la melanzana a passare da “insana” a regina del cucina mediterranea. Oggi però il processo è molto più rapido, basti pensare al successo del kebab e del sushi, molto distanti dalla nostra tradizione, e l’Expo ha aumentato ancor di più il confronto e gli scambi». In che modo gli insetti possono essere resi meno disgustosi? «Credo che un ruolo fondamentale possa recitarlo l’alta gastronomia. Che li proponga un locale del calibro del Noma o Carlo Cracco significa che hanno una valore gastronomico e sensoriale. Più in generale passa dagli chef la capacità di elaborarli in forma di brodi o estratti, di creare del cibo destrutturato come hamburger, polpettoni. Parlare di insetti commestibili non vuol dire mangiarli così come sono – è l’ipotesi più lontana nel nostro contesto -, ma utilizzarli per realizzare oli o farine perché no. Prima di tutto però c’è il grande capitolo dell’alimentazione degli animali nel quale gli insetti
andrebbero a sanare alcuni problemi come l’estensione sproporzionata delle coltivazioni di soia per realizzare mangimi, o veri e propri controsensi come il fatto ai polli si danno sfarinati di pesce, mentre al pesce d’acquacoltura la soia, che mai in natura avrebbe occasione di mangiare». Perché gli insetti sono il cibo del futuro? «Perché la popolazione aumenta e sta cambiando dieta. Cina e India oggi vogliono nutrirsi di proteine ma non sarà possibile averle con l’allevamento tradizionale. Gli insetti hanno un ottimo indice di conversione nutrizionale, significa che con meno di due chili di mangime vegetale si ottiene un chilo di proteine; per ottenere la stessa quantità nei bovini servono dieci chili di mangime. Questo accade perché non sprecano energia per mantenere la temperatura del corpo. E poi necessitano di poca acqua, di poco terreno, hanno deiezioni minime e producono pochi gas serra, insomma un impatto ambientale limitato a fronte di un importante apporto nutrizionale». Quali nutrienti contengono? «Soprattutto proteine, ma anche grassi polinsaturi, come gli Omega 3, alcuni sono pure ricchi di ferro e minerali. Sono inoltre poveri d’acqua, il che li rende un vero concentrato di elementi. I contenuti nutrizionali possono poi variare in base a come vengono alimentati e questo è uno dei temi allo studio».
IN CINA
«Ho assaggiato di tutto, ma non ho trovato spunti per la mia cucina»
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e in Italia sono proibiti, in tante altre aree del mondo gli insetti fanno tranquillamente parte dell’alimentazione e i nostri chef al lavoro da quelle parti hanno occasione di assaggiarli. Cosa ne pensano? L’abbiamo chiesto a Marino D’Antonio, executive bergamasco, di Cisano, dell’Opera Bombana, il locale aperto a Pechino dal tristellato. «In Cina alcuni insetti sono mangiati regolarmente in regioni del sud, Hangzhou e Jiangsu, - ci racconta -, anche scorpioni e cavallette, nello Yunnan, sono reperibili ma non sono molto comuni. Le formiche rosse giganti sono una vera prelibatezza per qualche cinese e servite solo in occasioni particolari. Sembra abbiano un potere afrodisiaco e sono molto costose: si fanno essiccare, si tolgono le zampe e si servono soffritte con verdure e salsa di soia. Le Marino D’Antonio è executive chef larve del bambù, invedell’Opera Bombana di Pechino ce, sono solitamente servite fritte, mentre il baco da seta, molto comune, viene cucinato saltato in pentola con olio e salsa di soia e spinaci o sedano oppure servito su uno spiedino e immerso in un brodo bollente con molte spezie e tanto peperoncino». «Io ho assaggiato il baco da seta – svela - quello con il sedano e la salsa di soia. Era morbido, quasi gelatinoso dentro e croccante fuori, ma il sapore non è intenso, anzi è un po’ blando. Poi ho provato gli scorpioni, serviti sullo spiedino e grigliati. Anche in quel caso il sapore era coperto dal peperoncino e della griglia. Non si tratta comunque di un gusto forte o caratteristico, potrebbe ad un pesce o un pollo crudo scondito. Ho provato anche le formiche, ma non erano state pulite bene e qualche zampetta mi è rimasta in gola, una sensazione spiacevole. Il sapore era come di pollo fritto, mentre le cavallette fritte sono come le patatine». Lo chef ha assaporato un campionario piuttosto vasto di insetti, ma non è stato colpito dal loro pregio gastronomico. «Onestamente al momento non mi danno grandi spunti per i miei piatti anche perché faccio cucina tradizionale italiana – evidenzia D’Antonio -. Sono comunque un alimento ricco di proteine e sali minerali e andrebbero forse rivalutati».
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FRONTIERE
Ma sono sicuri? «Quelli individuati come più interessanti per essere introdotti nella catena alimentare non contengono veleni per l’uomo e anche la possibilità che trasmettano malattie infettive è remota, visto che hanno un Dna molto diverso dal nostro. I rischi sono più che altro legati agli allergeni e alle contaminazioni ambientali, nello stessa esatta maniera, per esempio, per la quale una mela, riconosciuta come commestibile, può diventare pericolosa se piena di pesticidi. L’aspetto da mettere a punto è proprio questo, trovare le modalità migliori per una produzione sicura». Con Italbugs su quali specie sta lavorando? «Una nostra peculiarità è lo studio del baco da seta, di cui l’Italia era il secondo produttore al mondo. È
Un piatto dello chef belga David Creëlle interessante anche perché riprendere l’allevamento comporterebbe un recupero del territorio, visto che si nutre solo di gelsi, e della produzione della seta. Ci occupiamo anche di grilli, cavallette e di un insetto simile al baco da seta, il Mopane Worm, presente e consumato nel Sud dell’Africa. L’obiettivo è mettere in commercio degli estratti, ovviamente
oggi con una produzione realizzata all’estero». Il legislatore italiano ha già posto attenzione all’allevamento e alla commercializzazione di insetti? «Al momento no, neanche sul versante dell’alimentazione animale. Ma dovrà confrontarsi con questo tema perché il mercato si sta aprendo e le spinte sono sempre maggiori, tra Stati che li hanno già autorizzati e le posizioni dell’Europa. Occorrerà farlo per non essere tagliati fuori». Insomma la strada è segnata… «Con le dinamiche demografiche in atto, direi di sì. Non significa, si badi bene, che si dovranno mangiare per forza insetti, né che sostituiranno ogni altra fonte di proteine, sono però delle alternative, come del resto alghe, meduse e carne in provetta…».
Museo di Scienze naturali
A Bergamo tutti pazzi per le serate “entomo-gastronomiche”
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osa ne pensano i bergamaschi di piatti a base di insetti? Che siano da provare. Almeno a giudicare dal successo delle serate entomo-gastronomiche che il Museo di scienze naturali Caffi ha proposto sin dal 2007, per otto anni consecutivi. «L’intento non è mai stato quello di promuoverli come il cibo del futuro – precisa il direttore Marco Valle – a noi interessava sfatare la paura e lo schifo, far capire che non sono esseri orribili, portatori di malattie come si pensa. Lo dimostra il fatto che in altri Paesi sono considerati delle leccornie e così abbiamo fatto assaggiare ogni volta insetti e piatti diversi». Dal secondo anno in poi l’iniziativa è stata presa d’assalto. Nell’ultima edizione, ad esempio, sono stati cucinati tre chili di insetti per circa 200 persone. «Significa che c’è curiosità, che c’è apertura nei confronti dei nuovi alimenti – commenta Valle -. Per quanto ci riguarda, invece, consideriamo il ciclo praticamente concluso visto che abbiamo presentato i vari ordini di insetti commestibili e che il nostro scopo, come museo, era quello di farli conoscere e far superare i pregiudizi». Declinati in forma di gelato, abbinati al cioccolato e al riso, sono stati proposti, tra le farfalle, le camole del miele e
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bachi da seta, tra i coleotteri le camole della farina («nel sapore ricordano la farina e sono piuttosto croccanti», dice Valle), cavallette e grilli («meglio mangiare i soggetti giovani, perché negli adulti l’esoscheltro è più coriaceo, ma il sapore non è dei più gradevoli») e pure il casu marzu, formaggio tradizionale “lavorato” da larve di mosca che oggi non può essere venduto ed diventato ricercatissimo e che – è una curiosità – fa entrare l’Italia nella lista dei Paesi entomofagi. Nonostante il successo delle serate, il direttore è scettico sul fatto che gli insetti possano trovare spazio sulle tavole italiane. «La nostra è una cucina molto diversificata – evidenzia –, le proteine si possono trovare nei legumi, abbiamo altre possibilità. Mangiare alle nostre latitudini vuol dire soprattutto trovare soddisfazione, gratificazione, non si pensa al semplice nutrimento. Difficile che un insetto possa diventare goloso. È però vero che rappresentano una soluzione sostenibile e un loro impiego, una volta realizzata una filiera controllata, sotto forma di integratori alimentari, farine e composti può invece essere interessante».
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L’evento
Torna GourmArte, una festa per il palato Dal 28 al 30 novembre alla Fiera di Bergamo
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al 28 al 30 novembre prossimi il meglio dell’enogastronomia lombarda si dà appuntamento a GourmArte in Fiera a Bergamo. In degustazione oltre 100 prodotti eccellenti, realizzati da abili artigiani del gusto e interpretati in cucina da 24 cuochi, tra questi, solo per citarne alcuni, Aimo Moroni, Claudio Sadler, Vittorio Fusari o Chicco Cerea. Un’occasione per incontrare i produttori e conoscerne le storie fatte di impegno, talvolta sacrificio, passione e dedizione; degustare e acquistare i prodotti; sedersi alla tavola del ristorante in grado di ospitare tra i fornelli 8 chef in contemporanea, ogni giorno diversi; sorseggiare insieme ai sommelier Ais la selezione di vini di Franciacorta e Valtellina; partecipare a degustazioni guidate da esperti del settore; assistere a show cooking. Ogni artigiano del gusto che espone viene individuato per uno specifico prodotto, offerto in degustazione a tutti i visitatori della fiera, ritenuto l’eccellenza assoluta per la sua categoria: come il Torrone all’Antica della pasticceria Morlacchi, la Mostarda di Agrumi di Fredo, il Roccolo Valtaleggio di CasArrigoni, il caviale di Calvisius, lo Jamon Iberico de Bellota Pata Negra de la Fenice, il Melogranello di Quadigex, il vino Solesta 2013 Terre Lariane Igt de La Costa o l’azienda Barone Pizzini, selezionata perché pioniere del biologico in Franciacorta. In questo modo all’interno della manifestazione vengono valorizzate realtà di dimensioni e caratteristiche differenti: ci sono i Custodi del Gusto, che mantengono viva la tradizione del territorio lombardo; i Maestri del Gusto, aziende ormai mature che nel corso degli anni si sono messe in luce per l’elevata qualità,
l’etica e le capacità imprenditoriali e progettuali. Largo anche agli Esploratori del Gusto, aziende con base in Lombardia, che si sono distinte per l’opera di divulgazione di prodotti particolarmente ricercati provenienti dai loro territori di origine. Il Ristorante, con cucine a vista ed elegante mise en place, è infine il regno degli Interpreti del Gusto: cuochi che hanno contribuito a tenere alto in Italia e nel mondo il vessillo della ristorazione lombarda. Anche l’edizione 2015, come le precedenti, prevede la presenza di una regione ospite, quest’anno la Puglia. Al fianco dei colleghi lombardi, ad animare GourmArte ci saranno i migliori prodotti, ad esempio l’olio, una selezione di vini di Manduria e il goloso pallone di Gravina, oltre a chef pugliesi, come Gegè Mangano o Angelo Sabatelli. Per l’occasione anche l’Accademia del Gusto di Osio Sotto organizza alcuni dei propri corsi in fiera. Nel fine settimana le proposte sono rivolte alla platea degli appassionati, con “Beppo Tonon e l’arte dell’intaglio di frutta e verdura”, “Mirko Ronzoni, Hell’s Kitchen e la cucina fusion” e “Cocktail e polpette con Marsetti e Mor” in programma sabato e, la domenica, due corsi sui segreti di pane, pizza e focacce e sulla pizza d’autore con Tiziano Casillo e i consigli di Fabio Potenzano per stupire con piatti veloci e d’effetto. Lunedì 30 saranno invece i professionisti a poter approfondire due temi, quello dell’organizzazione in cucina e dei nuovi dessert al ristorante con le proposte di Beppe Maffioli. Costo dell’ingresso è di 15 euro (ridotto 10 euro). Per chi si iscrive ai corsi è compreso.
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di Rosanna Scardi
MoreEat, la qualità
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© fotografie Da Re
L’azienda
di Alimentari Moretti fa centro all’antipasto al dolce, il pranzo è servito grazie ad Alimentari Moretti. Se nelle tavole di ristoranti e mense si possono gustare cibi ricercati nel sapore e dalle materie prime di qualità, il merito è del “Catering servito”, il servizio offerto dall’azienda con sede a Curno (e una filiale a Ciliverghe di Mazzano, nel Bresciano) che ha organizzato la prima edizione di MoreEat, lo scorso mese, alla Villa Moroni di Stezzano. L’azienda, che impiega 35 addetti, comprende anche una macelleria interna che effettua il sezionamento di carni bovine pregiate che commercializza insieme a quelle avicole e suine, sia fresche sia congelate. A Bergamo, in via San Bernardino, c’è poi il negozio per la vendita ai privati. Il territorio coperto, oltre alla provincia orobica, contempla anche le province di Brescia, Cremona, Milano e Verona. «Abbiamo voluto fidelizzare il cliente attraverso una conoscenza diretta dell’alimento e del suo produttore spiega Alessandra Tirloni, alla guida dell’azienda -. È stato un successo. Oltre trecento ristoratori sono passa-
ti a visitare gli stand, spesso accompagnati dai loro chef, per assaggiare, chiedere spiegazioni e scoprire novità. L’anno prossimo l’evento sarà riproposto». Le carni trattate da Alimentari Moretti sono la scottona, giovane femmina di bovino, allevata senza ormoni e libera di pascolare (gli arrivi sono settimanali dall’Irlanda, dove ci sono i sei stabilimenti di Kepak Group), mentre dall’Australia arriva la carne di bovino adulto cibato a grain fed, ovvero solo cereali, fresco e sottovuoto. Anche dall’Olanda vengono importati vitelli dall’ottima carne dal gruppo T-Boer & ZN. MoreEat ha fatto da vetrina alle eccellenze prodotte da una trentina di fornitori italiani e stranieri. Il banco della pasta colpiva subito la vista. “Il viola vince” lo slogan di “Divine creazioni” della Surgital di Ravenna. Viola come il ripieno delle “violette”, i ravioli a base di patata vitelotte, coltivata in piccoli appezzamenti nel Viterbese ed esaltata da stracchino, pecorino romano dop, guanciale, erba cipollina, che ben si abbinano alla fonduta di pomodoro allo zenze-
Un successo l’evento organizzato a Villa Moroni, a Stezzano, che sarà replicato l’anno prossimo. I ristoratori hanno avuto la possibilità di confrontarsi direttamente con i produttori, assaggiare e chiedere spiegazioni. In evidenza l’alto livello dell’offerta
novembre 2015 ro e al polpo al forno. Accanto, l’agnolo con stracchino delle nostre valli e tartufo nero e il quadrello al cacao con ricotta e scorza d’arancia. Gli strichetti ricordano, invece, la pasta che i bambini facevano in casa, pizzicando i ritagli fino a dare la forma di farfalline. Il prodotto all’uovo è mantenuto fresco grazie alla surgelazione veloce che lo porta a meno 20 gradi a tempo record. A Pollenza, nelle Marche, ha sede la Cgm che produce fritti: arancini, crocchette, olive all’Ascolana, supplì di riso. Il fiore all’occhiello è lo stick di polenta aromatizzata al rosmarino che somiglia a una patatina. In VegeTiAmo si trovano mini burger, cotolette, cordon bleu, nuggets vegetali, polpettine e cubetti di soia, adatti a fare da contorno, oltre che ad impreziosire i buffet. Presente a Stezzano anche l’austriaca “11er”. L’attività di Frastanz si basa sulle patate, come le rösti, specialità svizzera dove il tubero è a forma di barchetta o a scaglie mescolato a porro e prosciutto o altri sapori. La filiera è a basso impatto climatico con emis-
sioni di CO2 limitate. Altro fornitore di patate, apprezzato in tutto il mondo, è la multinazionale Lamb Weston. Si torna a pochi chilometri di distanza per i salumi bergamaschi, toscani e i cremonesi prodotti da Fattorie Novella Sentieri di Cappella Cantone, azienda a circuito chiuso della famiglia Zanotti. Ci sono la “mariola” stagionata 90 giorni, il salame igp con aglio infuso nel vino, il “crespone” a breve stagionatura. Da Felino, nelle colline parmensi, provengono la coppa igp e la pancetta coppata sgrassata di Artigian Carni, nata negli anni 70. A fornire piatti a base di pollo e tacchino è la marchigiana Fileni, prima in Europa nella produzione bio, con 370 allevamenti. Le sue sono soluzioni salva tempo: faraona, pollo e coniglio ripieni, spiedini e arrotolati di tacchino, panati, braciole di suino, snack patapollo e, per i bambini, magic abc e zoo. I prodotti ittici sono di Rivamar, ditta di Taglio di Po, in provincia di Rovigo: cozze e vongole nazionali, filetto di merluzzo nordico, stoccafisso preparato secondo l’usanza delle Isole
Lofoten, a nord del Circolo Polare Artico, dopo essere stato appeso e essiccato, baccalà sotto sale e piatti pronti come la paella. Il Forno della Rotonda di Caronno Pertusella, nel Varesotto, sforna un pane precotto e surgelato di alta qualità: il croissant a sfoglia, con una punta di dolce, al naturale, con il sesamo e ai cinque cereali. Le verdure sono della belga Ardo e di Rolli, sotto il marchio Paren, con fabbrica a Roseto degli Abruzzi. Precotte, facili da utilizzare in cucina, spesso solo da scaldare, sono disponibili al naturale, grigliate, impanate, fritte o come zuppe e minestroni. Ogni vegetale proviene da una precisa zona di produzione, come i carciofi dalla Sardegna e dalla Puglia. Prima di entrare in lavorazione, gli ortaggi sono sottoposti a ferree analisi in laboratorio. Se contengono tracce di pesticidi, sono rimandati indietro. Per i palati raffinati c’è il vino biologico della tenuta agricola Lison a Portogruaro. Dulcis in fundo, erano presenti la trentina Graziadei con lo strudel e il crumble con mele Melinda e l’azienda veneta La Donatella con le sue prelibatezze.
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cronache e Tradizioni
Anche sulle locande bergamasche non mancano aneddoti risalenti ai secoli passati. Come quello accaduto all’Osteria delle Due Ganasse, ubicata lungo l’attuale via XX Settembre
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Quella volta che il Caravaggio quasi accoppò un garzone d’osteria accio un salto al bar”. È nozione comune che tale pronunciamento di intenti, oggidì del tutto innocente, non manchi di essere accolto dalle più arcigne tra madri e consorti con almeno un’occhiataccia di riprovazione. Ciò di cui coniugi e genitrici non sono forse al corrente è che le ragioni dell’anacronistico biasimo sono ormai vecchie di un paio di millenni. Ancor ai nostri giorni i locali dove prendere un cicchetto o un caffè pagano infatti lo scotto della pessima fama che, invero non senza fondamento, all’epoca della Roma imperiale bollava le tabernae. A quei tempi, a dar retta a Giovenale, le frequentazioni delle bettole di cui traboccavano i bassifondi della Città Eterna erano tutto fuorché raccomandabili: malfattori, marinai, schiavi fuggitivi, boia e - sic - fabbricanti di catafalchi. Una siffatta ghenga di avventori finiva inevitabilmente per attirare anche qualche entraîneuse, spesso appartenente alla più stretta cerchia familiare del titolare della mescita. Alle lucciole della casa il diritto latino accordava peraltro singolari liberatorie professionali: ancora nel VII secolo, secondo i disposti della Lex Romana Curiensis, appartarsi con la moglie del tabernario non costituiva infatti adulterio. Non sorprende dunque che ai membri della casta senatoriale fosse elevato divieto di convolare a nozze con le figlie degli osti. Se nelle bottiglierie più malfamate libagioni smodate e
meretricio la facevano da padrone, non mancavano altresì locali di profilo meno ambiguo nei quali il vino era accompagnato da una più ortodossa offerta di cibo ed alloggio. Questa bipartizione tra taverne di equivoca nomea e più rispettabili hostarie venne di fatto mantenuta anche nel corso del medioevo, nel quadro di un generale impulso a regolamentare e moralizzare l’attività dei pubblici esercizi. Risale ad esempio al 1270 il bando con il quale la Repubblica di Venezia vietava ai locandieri di fornire ospitalità a donne di malaffare, inibendo inoltre la vendita di bevande che non fossero distribuite dai grossisti incaricati dall’amministrazione. Le frodi alla mescita erano in effetti tutt’altro che inusuali, perpetrate soprattutto somministrando intrugli ottenuti dalla rifermentazione di vinacce esauste, o brode in via di acetificazione. A copertura dei raggiri, i gestori solevano confondere la bocca della clientela addolcendola con spicchi di finocchio offerti a guisa di amuse-guele. Da tale malvezzo è derivata la singolare voce “infinocchiare”, ancor oggi in uso per designare l’adozione di condotte levantine. Un ulteriore filone di imbroglio atteneva inevitabilmente ai quantitativi serviti. Ecco dunque che lo scarno corpo degli statuti cinquecenteschi della valle di Scalve, nel disciplinare il complesso dominio delle vettovaglie, aveva come unica previsione l’assogget-
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tamento delle vinerie all’obbligo di avvalersi esclusivamente dei boccali bollati dalle autorità, per evitare che, nello spillare dalle botti, gli osti finissero per essere di mano troppo parca. Che le libagioni propinate nelle bettole non potessero certo essere ascritte alla categoria dei grandi cru risulta evidente da innumerevoli testimonianze. Spicca in particolare il celebre sonetto di Cecco Angiolieri - amico di Dante Alighieri ed impenitente cantore degli ozi da taverna - nel quale il poeta giungeva ad affermare che persino la sua consorte in preda all’ira gli facesse meno uggia del vino servito nelle fiaschetterie. Emblematica è poi la sentenza di Alvise da Cà da Mosto, esploratore veneziano che verso la metà del quattrocento guidò un paio di spedizioni lungo le coste atlantiche dell’Africa: al succo delle patrie uve il pioniere della Serenissima dichiarava di preferire addirittura la linfa fermentata stillata dalle palme dai selvaggi del Senegal. Se truffe e sofisticazioni erano all’ordine del giorno, non mancano comunque le attestazioni d’esistenza di locali condotti con perizia e probità. Colpisce in special modo quella di Jacques La Saige, mercante di seta della Fiandra francese che il 12 aprile del 1518, sulla via verso la Terrasanta, si trovava alle porte di Torino. Fermatosi per rifocillarsi all’Osteria della Croce Bianca di Rivoli, nei suoi appunti di viaggio il pellegrino riporta con stupore che, in abbinamento all’ottimo pasto, gli venne proposta una selezione di ben dieci diversi vini alla mescita, tutti di eccellente livello. Un altro paio di aneddoti, stavolta di più chiaro marchio bergamasco, contribuisce infine a far luce sulle condizioni di lavoro nelle locande del XVI secolo. Del primo, invero a tinte piuttosto fosche, siamo debitori alla penna dell’infaticabile zibaldonista Donato Calvi. Nell’Effemeride si narra infatti di un cruento incidente consumatosi il 14 ottobre 1583 presso l’Osteria delle Due Ganasse, ubicata lungo l’attuale via XX Settembre. Nell’esercizio prestava opera un giovane garzone meneghino all’epoca il nostro capoluogo era in assai più floride condizioni di Milano - di nome Gasparo Gariboldi. L’inserviente, giunto prima dell’alba a riassettare i locali dal servizio della sera precedente, dopo aver compiuto le proprie incombenze si era appisolato su una sedia accanto al focolare. Per colmo della sventura, proprio sopra il suo capo erano appesi degli spiedi utilizzati per arrostire carni ed uccelletti. D’improvviso la fibbia che reggeva una delle acuminate aste si allentò, e quest’ultima nel cadere trafisse il collo del malcapitato trapassandolo da lato a lato. Richiamati dalle urla del poveretto - appunta laconicamente il cronista - i maldestri soccorritori, “volendoli strappare il ferro dalla gola, li strapparono in vero l’anima dal corpo”. Il secondo episodio, ancorché di ambientazione romana, ha come protagonista nientemeno che Michelangelo Merisi da Caravaggio. Lo stizzoso artista, già nelle peste con la giustizia papalina per innumerevoli precedenti, si ficcò vieppiù nei guai malmenando e tentando addirittura di uccidere un povero cameriere dell’Osteria del Moro, reo di non aver saputo rispondere se i carciofi che stava servendo al pittore fossero stati cucinati nell’olio anziché nel burro. Tra arnesi di cucina che si trasformavano in armi letali ed avventori pronti a sguainare la sciabola per delle quisquilie, è dunque arduo definire quanto dura potesse essere la vita di uno sguattero di cinque secoli fa.
Fino al 30 novembre
Val Brembana, eventi e menù dedicati alle castagne
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a settima edizione della rassegna zognese Sapori e Cultura si estende al Distretto dell’Attrattività Territoriale Vallinf@miglia, progetto di sviluppo locale che unisce 11 comuni tra le valli bergamasche e lecchesi (Sedrina, Ubiale-Clanezzo, Zogno, Valbrembilla, Blello, Vedeseta, Taleggio, Cremeno, Cassina, Moggio e Pasturo). Il risultato è un cartellone di eventi che sino alla fine di novembre mette al centro le tradizioni gastronomiche dell’autunno con una protagonista su tutti, la castagna. Si va dai concorsi alle degustazioni, dalle serate culturali ai laboratori fino alle iniziative per i più sportivi, come le escursioni e le passeggiate al ritmo del nordic walking. Per chi ama invece star seduto a tavola, sono 17 i ristoranti che per tutto il mese offrono un menù completo con ricette tradizionali legate dal filo conduttore delle castagne al prezzo fisso di 25 euro. Tra gli eventi, la Festa dei bilogòcc domenica 15 novembre in una delle patrie della castagna affumicata, il borgo di Castegnone di Poscante, con visita attraverso un itinerario di antichi mestieri e agli essiccatoi recuperati. Ci saranno anche mercatini di prodotti locali e un punto ristoro. La chiusura sarà affidata invece alla manifestazione CastagnAMO, un’intera giornata, domenica 29 novembre dalle 10 alle 18 a Zogno, dedicata ai sapori autunnali con espositori del territorio, che propongono prodotti a base di castagna e delle proprie aziende, caldarroste e vin brulè per tutti e merenda gratuita con torte alle castagne. Sarà anche l’occasione per premiare i vincitori dei due concorsi legati alla rassegna, quello fotografico e quello per le torte più buone. I locali aderenti Taleggio: Al palazz dol Miro, Da Marta, Liberty; Ubiale Clanezzo: Le Terrazze; Valbrembilla: Antica trattoria Il Forno, Belvedere, La Rua; Zogno: Antica Trattoria Breve Respiro, Casa Baggins, Casa Martina, Da Gianni, Del Maglio, La Baita dei Saperi e dei Sapori, La Caraffa Ambrata, La Staletta, Da Tranquillo, Tavernetta. I menù e tutto il programma su www.saporiecultura.org
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COTTURE di Lara Abrati
American BBQ, una passione sempre più infuocata Quello del barbecue è un filone che non conosce crisi. Anche a Bergamo sono nati team che partecipano a competizioni internazionali e che crescono in formazione. Perché la grigliata dev’essere fatta a regola d’arte
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occasione per una bella e buona grigliata di carne? È sempre facile da trovare. Riunirsi a tavola con salsicce, costine e braciole di maiale è sempre un piacere. Tuttavia, spesso manca la giusta attrezzatura, scelta senza troppe accortezze. E così, molte persone si ritrovano in giardino con mezzi inadeguati o incapaci di usarli al meglio. C’è chi, spinto dalla curiosità, si affida anche al web a caccia di informazioni. Ma non basta a maturare una cultura ad hoc. Nel complesso, quindi, è un mondo variegato quello dei barbecue, che coinvolge sempre più persone. In evidenza, al riguardo, la cultura dell’American BBQ, trasferita e stimolata in Italia da BBQ4All, un forum con oltre 7.500 iscritti in cui si scambiano informazioni, ricette e richieste. Un settore in totale controtendenza che sta registrando vertiginose crescite. E così si iniziano a organizzare corsi, ma anche gare. Sì, perché nel mondo del BBQ ci si organizza in team con
la possibilità di partecipare a vere e proprie competizioni nazionali e internazionali, con giurie di veri e formati esperti. In Italia siamo ancora all’inizio, anche se le braci sono roventi, anzi molto roventi. Tanto che a giugno 2014 è stato organizzato il 1° Campionato Italiano di Barbecue KCBS. Una grande opportunità per gli appassionati di BBQ italiani. Infatti la sigla KCBS sta per Kansas City Barbecue Society, un’organizzazione no-profit che si occupa della diffusione della cultura del barbecue tradizionale in tutto il mondo. È il punto di riferimento del mondo legato al BBQ. In Bergamasca sono tre i team appassionati che nel corso degli ultimi anni hanno visto la luce. Piccoli gruppi che provano ricette, partecipano a diverse competizioni, si scambiano pareri, nell’ottica di diffondere a far conoscere la cultura dell’american BBQ, una vera e propria tradizione di alcune zone degli Stati Uniti.
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«Una scelta per valorizzare anche le carni meno costose»
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uesto team di appassionati del BBQ è il più longevo tra quelli bergamaschi. È composto da Eduard Marchesi di Romano di Lombardia, Massimo Facchi di Calcio e Davide Forni da Eupilio, in provincia di Como. «Ci siamo conosciuti nel 2014 - spiega Davide - in occasione di un corso organizzato dal KCBS per diventare giudici durante le competizioni. In particolare, abbiamo fatto una simulazione di gara e casualmente eravamo in team insie-
me. Ci siamo trovati talmente bene che abbiamo deciso di partecipare nel giugno 2014 al campionato di BBQ di Perugia». Da qui vi sono state tutta una serie di competizioni a cui il team ha partecipato, con buoni piazzamenti. La preparazione di un team alla gara non è cosa banale e scontata, mesi e mesi di prove delle ricette, della presentazione e della preparazione delle salse. Anche se il BBQ non è solo competizione. «Per me è un’importante occasione di so-
cializzazione, con il resto del team, ma anche quando lo si prepara spiega ancora Davide -. Una volta messa in cottura la carne c’è solo da controllare e aspettare, generando così delle belle occasioni di convivialità. È un modo anche per utilizzare le parti meno costose e meno nobili che, grazie alla cottura lenta e a bassa temperatura, si valorizzano e regalano sorprendenti occasioni di piacere». Facebook: Smoke’n’Fire BBQ Team
Madness BBQ Team
«Ora organizziamo piccoli eventi e serate a tema»
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l’ultimo team nato in terra bergamasca. È composto da Gianpietro e Damiano. La loro passione per il barbecue nasce diversi anni fa. «Nel 2001 ho acquistato il mio primo bbq - spiega Gianpietro, di Caravaggio – perché con mia moglie Francesca avevamo acquistato casa e, di conseguenza, abbiamo pensato potesse essere uno strumento utile». Di professione fa il piastrellista, ma il restante tempo lo occupa per il barbecue: «Dopo l’acquisto, ho letto il manuale di istruzioni e ho scoperto le meraviglie che avrei potuto preparare con questo strumento». Cercando tra ricette sul forum BBQ4All e sui social media, ha conosciuto
Damiano, di Berzo San Fermo. Stessa passione, ma nata da esigenze diverse: «Carlotta, la mia compagna – spiega Damiano – ha iniziato ad avere alcuni problemi legati alle intolleranze alimentari. Data la mia passione per le grigliate e la cottura alla brace, ho iniziato ad approfondire e a sperimentare con il mio barbecue. Queste ricette ci hanno dato la possibilità di sfuggire alla “noia” data dalla scarsa varietà degli alimenti che potevamo consumare insieme». Sempre sul forum di riferimento, grazie agli annunci, Gianpietro cerca compagni e nasce il team. «Abbiamo coinvolto anche Francesca e Carlotta perché – racconta Damiano – ci siamo accorti che riescono a dare un grande valore aggiunto a quella che è la preparazione del piatto e la sua presentazione. Un punto di vista femminile che noi non possiamo avere». Il team partecipa a competizioni e organizza e gestisce piccoli eventi e serate a tema. Facebook: BBQ’S Madness Team
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COTTURE
Griller Unchained
«Quella folgorazione che ho avuto in giardino»
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olto simile è la storia di Ettore Fanciulli e Giorgio Pagani, il primo di Roma e il secondo bergamasco, di Grumello del Monte. Per Giorgio è stata una passione nata da un’esigenza: «Io e mia moglie Antonia - racconta - andavamo a ballare latino americano, facendo anche delle competizioni. Poi è nato il nostro bimbo, Eros, e quindi molte cose sono cambiate. Mi sono guardato attorno e, dal momento che non ho mai avuto il pollice verde, ho riscoperto nel mio giardino un attrezzo che possedevo da tempo, il barbecue». Una folgorazione per Giorgio che subito capisce di poter coltivare questa passione da casa, senza trascurare la sua famiglia. Quindi si appresta a cercare informazioni online e inizia la sperimentazione anche, e soprattutto, attraverso la consultazione del forum BBQ4All. «All’inizio molte delle cose che cucinavo erano letteralmente da buttare via, soprattutto le salse, ma dopo numerose prove ho iniziato a trovare la strada e ad ottenere risultati sempre più soddisfacenti. Ho ancora molto da imparare». Giorgio è giudice di gara. La sua prima esperienza l’ha
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avuta a Perugia, al Campionato Italiano di BBQ. Poi è arrivato Ettore, classe 1987, con una laurea specialistica in economia e un lavoro a Milano. «I miei amici sono rimasti a Roma – spiega Ettore – e ho sentito la necessità di ricrearmi relazioni e interazioni. Ho sempre preparato grigliate, ma non avevo mai approcciato al BBQ in questo modo. Come molte persone mi interrogavo sull’utilità del coperchio che vendono insieme a questi attrezzi. E così ho iniziato nel 2015 a cercare informazioni in rete, ho trovato le ricette, le informazioni sulle cotture indirette. E così ho trovato anche il coraggio di preparare le costine (Ribs) perché servono circa 6 ore di cottura». Durante le ricerche Ettore si è imbattuto in Giorgio che cercava persone per creare un team. Detto fatto, si sono incontrati ed è partita questa grande avventura. Il loro obbiettivo? Partecipare a competizioni nazionali e internazionali, finanziando le attività di “allenamento” e i costi di partecipazione con la preparazione di piccoli barbecue per eventi, feste o serate a tema. Facebook: Griller Unchained
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W.E.S.T 2016
a Riva di Tures, ecco il “contest” estremo
Griller Unchained e Smoke’n’Fire BBQ Team si stanno preparando per una grande competizione internazionale: il W.E.S.T. 2016, ovvero alla seconda edizione del Winter Extreme South Tyrol BBQ Contest. Un “contest” estremo che si svolgerà dal 15 al 17 gennaio 2016 a Riva di Tures. Perché estremo? Per il ghiaccio, il freddo e l’altitudine! Si tratta pur sempre di cuocere cibo su braci roventi che saranno comunque condizionate dalle rigide condizioni climatiche. Ma è proprio questo il bello. Sono 30 i team che si sfideranno, provenienti da tutta Europa. Un evento unico in una cornice unica!
AlcunE ricette classiche da BBQ4All Smoked Ribs Kansas City Style Sono costine di maiale affumicate. La loro preparazione richiede molto tempo, più di 5 ore. Consiste nel preparare il costato eliminando le cartilagini e il grasso in eccesso per poi ricoprirle con il rub (miscela di spezie e sale). Successivamente vanno affumicate per circa 3 ore, controllando temperature e fumo nello smoker. Successivamente vanno nebulizzate con dell’aceto di mele e poi si prosegue con la cottura lenta ancora per almeno due ore. Infine, le ribs vanno spennellate con salsa BBQ e rimesse in cottura per pochi minuti. Le costine dovranno essere tenerissime e la colorazione interna leggermente rosea e ai lati rosa più scuro. Queste caratteristiche sono date dalla lenta cottura e dall’affumicatura. La carne si dovrà tagliare perfettamente nel punto in cui viene morsicata.
Pulled pork Questo è il vero Barbecue, quello della cottura di grandi pezzi di carne a bassa temperatura e per lungo tempo con una densa presenza di fumo. Il grilling viceversa consiste nel cuocere piccoli pezzi direttamente sulle braci, per poco tempo. Nel caso del pulled pork la spalla di maiale viene affumicata lentamente, fino a quando il connettivo presente nella carne si scioglie completamente diventando gelatina. La carne risulterà così stracotta e quindi viene sfilacciata. Da servire all’interno di un panino con condimento con salsa a piacimento e il famoso coleslaw: un’insalata di cavolo in agrodolce. Si potrebbe andare avanti con le numerosissime ricette, ma l’importante è una cosa sola: non confondere la classica grigliata con il barbecue! La prima predilige una cottura veloce e diretta, mentre il secondo predilige una lenta cottura indiretta.
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La storia di Leo Bartoli
«Alle Seychelles c ’è chi torna per i miei piatti» Ristoratori a La Digue, Remo Antonelli e la moglie Nicoletta Ioli hanno conquistato i palati dei turisti con una cucina tipicamente italiana, dove non mancano, tra le varie proposte, polenta, taleggio e pizza. «Qui è un paradiso, ma le vacanze le trascorriamo nel nostro buen retiro in Val di Scalve» Remo Antonelli con la moglie Nicoletta Ioli
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uno dei paradisi terrestri e perché sia davvero tale, occorre che si mangi italiano, e ai buoni livelli. Ecco perché una coppia bergamasca-bresciana ha così successo nella più bella isola delle Seychelles: dal 2012 ad oggi l’hotel-ristorante “Le Repaire” è già diventato un punto di riferimento per tutti i turisti che approdano a La Digue e tra una nuotata e un giro in bici lungo il promontorio, gustano le ricette preparate da Remo Antonelli, mentre la moglie Nicoletta Ioli si occupa dell’accoglienza alberghiera. «Qui, come ovunque, il made in Italy funziona - spiegano loro -: gli indigeni sono brava gente ma mancano loro le basi per fare una grande cucina. E i visitatori, dai giapponesi agli australiani, dai canadesi ai tantissimi arabi dei vicini Emirati, dopo due sere di piatti creoli sono già stufi e hanno voglia di mangiare cose davvero buone, con materie prime di qualità, che da queste parti trovano solo da noi». E pensare che tutto è nato per combinazione: «Siamo arrivati qui grazie a una nostra amica di Costa Volpino, Virginia Roberts,
un’insegnante d’inglese che ha una sorella che vive appunto su quest’angolo incantevole a metà tra Africa e India e che aveva questo locale da gestire. Noi volevamo dare una svolta alle nostre vite - aggiunge Nicoletta - arrivando qui ci siamo resi subito conto che, oltre alle prospettive di crescita sul fronte economico, c’era una qualità della vita che in Europa non ci immaginiamo più: mare, sole, caldo sono l’ideale per creare una proposta di accoglienza di qualità rivolta a un turismo internazionale anche molto esigente: e così è stato». In cucina il “motore” di tutto è Remo: pensare che a quest’ora poteva essere un frate: «È vero, da ragazzo, dopo le scuole medie, sono stato tre anni dai Frati Cappuccini di Albino, ma poi, per motivi familiari, ho dovuto cercarmi un lavoro. La ristorazione è stata subito il mio pane: ho cominciato a Iseo prima come cameriere e poi come gelataio al ristorante “Il Bruco”, alla gelateria “Amalfi”e come pizzaiolo “Ai Platani” sempre a Iseo: ringrazio i titolari di questi locali perché mi hanno insegnato tanto. Poi ho fatto esperienze in Inghilterra, sono tornato in Lombardia, fino a quando non è arrivata la chiamata delle Seychelles: dopo pochi giorni sull’isola io e mia moglie abbiamo capito che eravamo nel luogo giusto per esprimere tutto il nostro potenziale». A La Digue, dove la natura regna incontrastata, non esistono mezzi di spostamento salvo le biciclette e dovunque ci si imbatte tra le più belle e selvagge spiagge del mondo, la cucina di Remo è decollata subito: «Non voglio vantarmi, ma c’è una fetta di clientela che torna qui non più solo per le baie incantevoli e la natura incontaminata, ma anche per i miei manicaretti: e me
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lo dicono pure. Americani, cinesi, australiani chiedono, appena entrati, il mio risotto al Merlot o quello al frutto della Passione con Parmigiano e innaffiato col Soave, le costolette d’agnello al rhum e con questi climi tropicali riesco pure a far apprezzare la nostra polenta, mentre il taleggio non
manca mai tra i formaggi e c’è chi mi ha confessato che torna apposta sull’isola per riprovare la gioia di mangiare il mio tiramisù. Qualcosa di esotico ci deve sempre essere, ma la base e gli ingredienti sono rigorosamente made in Italy». Come la pizza: «All’inizio non la facevo, ma poi ho capito che in tutte le Seychelles l’offerta era davvero di bassa qualità: ora rappresenta il 70% del mio fatturato, anche se una mia pizza speciale può arrivare a costare 12-15 euro». «D’altronde - spiega Nicoletta - al di là dei costi per la materia prima, i margini sono molto superiori rispetto a un locale italiano, basti pensare che qui le tasse non superano il 15%». La coppia non ha però dimenticato l’Italia: «Paradossalmente noi le vacanze le passiamo… in Bergamasca, nel nostro buen retiro in Val di Scalve, una casetta isolata (ci si arriva solo a piedi) circondati dai nostri tanti cani: del resto siamo già sempre in mezzo alla folla dei turisti e per due volte l’anno ci godiamo davvero la pace».
Il 1° dicembre
All’Hostaria di Città Alta cucina lo stellato Rodrigues
Joao Rodrigues
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opo l’appuntamento del 27 ottobre, che ha visto ai fornelli del ristorante Hostaria del Relais San Lorenzo, in Città Alta (guidato dal giovane cuoco emergente Antonio Cuomo), lo chef stellato Bernd Knoller, tedesco di origine ma ormai spagnolo d’adozione, del ristorante Riff di Valencia, il 1° dicembre, sempre all’Hostaria, sarà di scena Joao Rodrigues, chef stellato del ristorante Feitoria di Lisbona, che si trova all’interno dell’Hotel Altis Belem. Si tratta di una cena (75 euro, vini inclusi), che rappresenta un’ottima occasione per scoprire una cucina di livello e assaporare alcuni piatti anche tradizionali rivisitati in una chiave contemporanea.
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FACECOOK
alla scoperta dei social chef
di Laura Ceresoli
Da Ubiale Clanezzo, il giovane Colombo Zefinetti ha presto imboccato la strada dell’estero. Ora lavora a Vence ed è alle prese con la cucina d’autore francese
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Ilario Colombo Zefinetti
Ilario segue la sua stella in Costa Azzurra
ella pittoresca cittadina provenzale di Vence, Ilario Colombo Zefinetti ha trovato il suo piccolo angolo di paradiso. Fra piazzette medievali con fontane zampillanti e il colorato mercato di Place du Grand Jardin, fa capolino il ristorante Les Bacchanales. Attorniato da un enorme parco fiorito e da una magnifica vista sul mare, questo locale stellato è gestito da Christophe Dufau. Il rinomato chef d’Oltralpe è diventato un maestro per Ilario che, con passione e dedizione, segue i preziosi consigli di Dufau. Accantonate le ricette rustiche e caserecce della tradizione orobica, oggi questo giovane cuoco bergamasco sta imparando a conoscere i capisaldi della cucina francese puntando sulla leggerezza e sul gusto degli ortaggi di stagione. Originario di Ubiale Clanezzo, ha solo 26
anni ma un curriculum di tutto rispetto. Dall’Italia se n’è andato quasi subito dopo il diploma. Una scelta obbligata, viste le scarse opportunità e i salari troppo bassi in questi tempi di crisi. Prima a Losanna, nella Svizzera francese, poi in Danimarca, a Copenaghen. E ora a Vence, un luogo incantato dove l’arte prende il sopravvento. Nel ristorante Les Bacchanales ogni piccolo tassello porta la firma di rinomati artisti, dal paravento in fibra ottica di Cristelle Chassin ai quadri di Anne Vilsbøll, dalle sculture di Paco Sagasta ai mobili della sala da pranzo di Alain e Julien Perez. La storia di Colombo Zefinetti è raccontata per immagini sulla sua pagina Facebook dove sfoggia con orgoglio la sua divisa bianca da chef e posta qualche foto da acquolina delle sue creazioni di nouvelle cuisine. Ciò che
L’INTERVISTA
«L’obiettivo è fare esperienza. Ma oggi in Italia le oppo e trasferirsi è quasi una necessità» Come è iniziata la sua carriera? «Ho studiato all’Istituto alberghiero di San Pellegrino e dopo il diploma ho trovato qualche lavoretto in Bergamasca. Poi, però, ho iniziato a spostarmi per varie stagioni nel centro Italia, vicino a Pisa. Terminata questa esperienza, ho gestito la cucina di un agriturismo in Valle Seriana. Poi solo estero: due anni in Svizzera a Losanna, Copenaghen e ora qui in Francia come secondo di cucina». Perché ha deciso di trasferirsi all’estero? «Per varie ragioni. Prima di tutto per apprendere la lingua inglese e francese e per acquisire nuove esperienze. Poi è diventata una necessità, data la scarsità di op-
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portunità nella nostra zona e la pessima retribuzione». Quali sono gli aspetti positivi del suo lavoro in Francia? «Ci si sente tutelati come cittadini, i servizi funzionano e, come dicevo, i salari sono migliori». E quelli negativi? «La mancanza della propria casa,
non poter vedere la propria famiglia…». Cosa le manca di Bergamo? «Mi manca ogni singola cosa. Puoi viaggiare quanto vuoi ma la nostra zona è davvero unica per il paesaggio e per la gente che ci vive». Riesce a far conoscere la cucina bergamasca in Francia? «La cucina bergamasca ovviamente qui non è conosciuta. Quando preparo un piatto, cerco di introdurre prodotti come il grano saraceno o la farina di mais, ma non mi attengo alle ricette tipiche della mia zona». A quali chef si ispira? «Adoro la filosofia di Michel Bras e tengo molto in considerazione Da-
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Ilario con i colleghi e, a destra, lo chef titolare di Les Bacchanales, Christophe Dufau ne scaturisce è un universo culinario dove frutta e verdura vengono declinate in tutte le loro molteplici sfaccettature, trasformandosi in incantevoli delizie per l’occhio e per il palato. Il menù del Bacchanales cambia ogni settimana per adattarsi al passare delle stagioni con un colorato trionfo di originali accostamenti: dagli asparagi bianchi, fieno e fiori di sambuco al formaggio di capra con Panforte Castelmagno e gelatina di prugne; dalle fragole con olio d’oliva e asparagi al rabarbaro con aceto e ricotta. Per non parlare dei carciofi viola farciti con fois gras e confettura di
noci fresche. E i consensi sono ampi. Su Tripadvisor Les Bacchanales si piazza al 12esimo posto su 71 ristoranti recensiti a Vence. «Bellissimo ristorante al primo piano di una villa con un bel giardino decorato da numerose opere d’arte. Servizio gentilissimo e molto professionale, cucina creativa, piatti curati e deliziosi. Prezzo corretto tenendo conto dell’elevata qualità», scrive Paolo da Locarno. «La cucina merita un plauso. Materie prime fresche ed eccezionali, una esplosione di sapori da fuochi d’artificio e un equilibrio davvero superbo. Molte delle verdure e frutta giungono dall’orto e frutteto adiacente, ma è sorprendere scoprire come lo chef riesca a equilibrare così bene le sensazioni», commenta Barbara78 da Torino. E intanto Ilario Colombo continua ad apprendere, giorno dopo giorno, i segreti che stanno alla base dell’arte culinaria. Il sogno di un ristorante tutto suo, dove poter inserire anche qualche ricetta della tradizione orobica, è ancora lontano. «Ma per ora – dice – va bene così. Sono giovane, amo viaggiare ed è ancora presto per vincolarmi a un unico posto per tutta la vita».
vid Muñoz. Leggo anche parecchi libri di cucina ma alla fine, quando creo un piatto, lo sento come mio». Anche lei, come tanti chef che lavorano all’estero, si è trovato a fare i conti con gli stereotipi della cucina italiana? «Sì, esatto. All’estero
Bambini a lezione di alta cucina
Lo stellato Roberto Proto del Saraceno di Cavernago è il docente di eccezione degli aspiranti piccoli chef
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rtunità sono poche siamo ancora conosciuti come Italiani pizza, pasta e mandolino. È incredibile questo aspetto». Ha un sito internet per promuovere la sua attività? «Intanto lavoro a Les Bacchanales di Vence che ha un sito ben aggiornato: www.lesbacchanales. com. In ogni caso internet è indispensabile per promuoversi anche per il fatto che l’offerta è troppo elevata rapportata alla domanda». Le recensioni di Tripadvisor influenzano i clienti? «Io, personalmente, non tengo conto di Tripadvisor.
Accademia del Gusto
L’unica cosa che conta davvero è il contatto diretto con il cliente. Se c’è qualche problema, lo si risolve». La ristorazione è cambiata da quando esistono i social network? «Non credo che la ristorazione sia poi così cambiata. Attraverso i media si mostra solo un lato di questa vita, la facciata. Ma ciò che avviene dietro le quinte non cambierà mai».
Accademia del Gusto di Osio Sotto firma un laboratorio di cucina didattico e divertente che insegna ai bambini a preparare due vere portate da gourmet. Sotto la guida dello chef stellato Roberto Proto, del Saraceno di Cavernago, i bambini lavoreranno le materie prime per trasformarle in deliziosi piatti da assaggiare e da riproporre a casa. Niente biscottini, pizzette o dolcetti, ma veri e propri piatti degni di piccoli master chef. Ciascun partecipante avrà una postazione tutta sua ed avrà la soddisfazione di lavorare come in una vera cucina di ristorante. Al termine di ogni incontro gli accompagnatori potranno assaggiare le prelibatezze preparate dai bambini. Il laboratorio è pensato per piccoli dai 7 ai 12 anni ed è in calendario giovedì 19 e 26 novembre dalle 16 alle 18 alla scuola di cucina di Osio.
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IL prezzo fisso di Fulvio Facci
Osteria della Dogana, un locale tutto nuovo corona il sogno di Leo Il ristorante pizzeria di via Rovelli si è spostato di un numero civico, guadagnano in spazi e atmosfera. Al timone dal 2002 c’è la famiglia Vjerdha che dall’Albania ha cercato fortuna in Italia. E l’ha trovata nella ristorazione Osteria della Dogana
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a un po’ fatica Leonard Vjerdha (63 anni), Leo per gli amici, a mascherare il proprio orgoglio, la soddisfazione per aver realizzato un’impresa così importante, forse un sogno, come l’aver dato una sede tutta nuova all’Osteria della Dogana, a Bergamo, in via Rovelli 28. Lui che nel 1992 era sbarcato in Puglia proveniente da Scutari, in Albania, con moglie e due figli in cerca di fortuna, probabilmente l’ha trovata. «Ci siamo dati da fare e non è stato facile – racconta Leo – ma aiutandoci l’un l’altro dalla metà dello scorso mese di dicembre siamo nel nostro nuovo locale, che ci sta già dando delle buone soddisfazioni. Funziona infatti da mattina a sera, cominciando dalle colazioni proseguendo con il pranzo sino agli aperitivi ed infine la cena. Non abbiamo giorno di chiusura». I primi passi nel mondo della ristorazione la famiglia Vjerdha li ha compiuti proprio in Puglia dove, tra l’altro, il figlio Elton (35 anni), attuale chef, ha frequentato l’Istituto Alberghiero a Otranto. Oltre che da Elton, Leo è stato affiancato dalla moglie Zhlieta (58 anni) e dall’altro figlio Mario (32 anni) che si occupa della sala. Più recentemente si sono aggiunte le due nuore Julita, moglie di Elton, e Fationa moglie di Mario attualmente in Albania in dolce attesa. «Siamo arrivati a Bergamo nel 2002 – prosegue il suo racconto Leonard – ed abbiamo preso in gestione l’Osteria della Dogana che era al civico numero 30, sempre di via Rovelli: ci
via Pietro Rovelli, 28 Bergamo tel. 035 239483 sempre aperto
LA CURIOSITÀ
Il menù del giorno è pubblicato su Facebook L’attenzione in più sta nel fatto che il menù del pranzo a prezzo fisso viene pubblicato quotidianamente sulla pagina Facebook del locale. I clienti, quindi, possono orientarsi in anticipo sulle loro scelte e, perché no, pregustare la propria pausa. All’Osteria della Dogana il menù fisso - che comprende primo, secondo piatto, contorno, vino, acqua e caffè - costa dieci euro, nove se si sceglie solo un piatto sia che si tratti del primo o del secondo. Ogni giorno c’è almeno un piatto a base di pesce. C’è anche il menù pizza che però a mezzogiorno non è particolarmente gettonato. I classici, e cioè gli spaghetti al pomodoro, aglio e olio o al pesto, non mancano mai come la braciola o la bistecca ai ferri tra i secondi. In aggiunta abbiamo trovato in occasione della nostra visita: gnocchi speck e brie, paccheri con bocconcini di tonno, filetto di maiale al pepe verde, scaloppine alla valdostana e roast beef. Insalata mista, patatine fritte e cornetti al burro la scelta per quanto riguarda i contorni. Sfogliando i menù dei giorni precedenti abbiamo trovato un risotto con carciofi e taleggio e un carpaccio di tonno rosso con misticanza di verdure e arancia che non avremmo certo disdegnato. Abbiamo scelto gli gnocchi speck e brie e le scaloppine alla valdostana con contorno di cornetti al burro. Precisione e servizio inappuntabile, cucina decisamente semplice e gradevole per un più che corretto rapporto qualità-prezzo.
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siamo spostati di un solo numero, che in realtà vuol dire circa duecento metri in linea d’aria tra il nuovo ed il vecchio locale». «Già quando abbiano cominciato noi – ricorda - il lavoro indotto dagli uffici della Dogana stava diminuendo perché la sede era stata spostata. Abbiamo sempre avuto però un buon nucleo di clienti ed è stato proprio per mantenerli e servirli meglio che abbiamo deciso di creare questa nuova struttura. Si trattava soprattutto di una questione di spazio, per il servizio ma anche per la cucina, per poter lavorare meglio». In effetti la nuova Osteria è proprio un bel locale, arredato con gusto e soluzioni di design, molto lineare per un totale di 55 coperti ed una zona bar-tabacchi abbastanza defilata che non interferisce con in lavoro di ristorazione. «Per quanto riguarda la cucina – dice Elton che ai fornelli è aiutato dalla mamma – lavoriamo in maniera tradizionale con un occhio all’evolversi del gusto. L’attenzione maggiore è riservata al pesce, soprattutto spada e tonno che abbiamo sempre freschi. Non dobbiamo dimenticare che ci sono clienti che mangiano da noi da dieci, dodici anni, significa di certo che c’è un buon rapporto ma anche che occorre sempre introdurre delle novità. Altro aspetto essenziale – aggiunge - è la qualità delle materie prime». La proposta è varia. «Per 15 euro – spiega - abbiamo il menù fisso alla domenica a mezzogiorno col quale cerchiamo di coinvolgere le famiglie, vogliamo farci conoscere il più possibile, alla sera invece si mangia alla carta. La pizza c’è sempre come il pane che il babbo sforna ogni giorno, anche i dolci sono fatti in casa». Sbirciando nel menù alla carta abbiamo avuto la conferma che è il pesce il protagonista. Ai piatti di terra viene riservato uno spazio abbastanza contenuto, quasi l’indispensabile si potrebbe dire, con i salumi, la parmigiana di melanzane, gli immancabili casoncelli alla bergamasca e poi i tagli nobili della carne come filetto, tagliata e controfiletto. Sul mare si spazia invece da un grande antipasto con ostriche alle linguine con piovra e gamberetti tra i primi fino allo spada alla livornese tra i secondi piatti. Questo in estrema sintesi. L’obiettivo è comunque quello di dare della buona qualità ad un giusto prezzo. Per un pranzo di tre portate - antipasto, primo e secondo -, il prezzo si aggira sui 35 euro, vini esclusi.
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I protagonisti di Rosanna Scardi
Matteo Manzotti, 17 anni, di Treviglio
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Matteo Manzotti diventa un brand «Voglio affermarmi nella pasticceria»
ur essendo giovanissimo, Matteo Manzotti ha conquistato la vetrina della prima serata in tv. Il trevigliese, 17 anni, ha esordito nel programma “Il più grande pasticcere”, in onda lo scorso 27 ottobre su Raidue. Il ragazzo non ha superato il kick off, la selezione tra trenta raffinatissimi chef pâtissier, ma si è fatto comunque notare per le sue specialità dolciarie. Ora è sbarcato sul mercato valorizzando il proprio nome come marchio. «All’inizio volevo partecipare a “Bake off Italia, dolci in forno”, condotto da Benedetta Parodi su Real Time, ma non era adatto a me perché dedicato agli amatori - spiega Matteo -. Appena si sono aperte le iscrizioni al casting del cooking show di Raidue, ho inviato la mail. Voglio affermarmi con un mio nome, non come figlio di, e la tv è un buon mezzo per farsi conoscere». Matteo, studente al quarto anno al corso di panetteria e pasticceria all’Abf, è infatti un figlio d’arte: papà Daniele è titolare del Caffè Milano in piazza Manara, sotto il campanile. Ultimo di cinque figli, ha iniziato a muovere i primi passi nel laboratorio di famiglia a Caravaggio, dove i Manzotti gestiscono la Gelateria del Viale. «Ero libero di giocare con gli stampi - ricorda -. La mia prima creazione, quando avevo dieci anni, è stata una macchinina non costruita con i Lego, ma con il cacao, il mio ingrediente preferito». Fin da ragazzino Matteo ha frequentato i corsi di specializzazione, recandosi a Parigi
e Bruxelles, la capitale del cioccolato. Ha seguito stage alla Marianna di Città Alta e al Sant’Ambroeus a Milano. Il suo guru è Iginio Massari, che l’aveva premiato, primo su cinquanta pasticceri, all’ultima edizione di Golositalia, la fiera dedicata alle eccellenze gastronomiche. Merito della sua framboise suprême, che il ragazzo ha portato anche in tv, composta da un bisquit al cacao come base, gelée al lampone, mousse di cioccolato fondente al 70% e una glassa di cacao “mirror”, a specchio, tanto è splendente. Ad apprezzarla nella prima parte del reality è stata l’implacabile giuria composta da Luigi Biasetto, Leonardo Di Carlo e Roberto Rinaldini. «I grandi mi hanno insegnato l’importanza dell’estetica, prima viene l’occhio poi la bocca». I talent show culinari sono anche famosi per i giudizi implacabili e severi. «Non ho mai avuto paura, fa parte del gioco, tanto più che in Italia il livello è altissimo» conclude Matteo. Torte e pasticcini sono ora prodotti con il suo marchio, come gli éclair, i bigné allungati fatti di pasta choux, riempiti di crema e glassati, e i glam macarons, coloratissimi e in sei gusti diversi. «Si può conoscere tutto della mia attività sul mio sito personale. Questa è la mia strada, investo nella comunicazione per farmi un nome».
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L’anniversario
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Orobica Pesca, gran festa per i 50 anni di attività o scorso 28 settembre, a Villa Castelbarco, a Vaprio, Orobica Pesca ha festeggiato i 50 anni di attività. Un evento voluto dai fondatori Giovanni e Gabriella Cacciolo Molica per sottolineare un importante traguardo che ha lasciato il segno nella ristorazione bergamasca e italiana. Oggi il nome “Orobica Pesca” rappresenta il solido connubio della terra bergamasca, di cui è originaria Gabriella, con il mare della Sicilia, terra di Giovanni. Grazie alla loro capacità imprenditoriali, Bergamo è diventata il punto di riferimento per la cucina di pesce. I primi anni dell’avventura non sono stati facili: Giovanni s’è dovuto
guadagnare la fiducia dei clienti con straordinaria capacità comunicativa, spirito di sacrificio e profonda conoscenza del settore ittico, mentre la moglie Gabriella dispensava suggerimenti ai bergamaschi ancora poco amanti del mondo ittico. Per molto tempo i loro consigli sono stati accolti solo da ristoratori lungimiranti e da coloro che provenivano da località marittime. Col tempo, tuttavia, il gusto è cambiato e la cucina di pesce ha preso piede regalando soddisfazioni a ristoratori e clienti. Oggi Orobica Pesca esporta i suoi prodotti alimentari in Europa, Stati Uniti ed Asia. La serata a Villa Castelbarco è stata l’occasione per
ringraziare clienti e fornitori per la fiducia ed il sostegno accordati in questi decenni. Il clou dell’evento è stato il discorso del presidente Giovanni Cacciolo Molica di fronte a circa 500 invitati dai quali è partita una standing ovation a sottolineare la loro stima. Il direttore generale Fabrizio Bonifaccio ha poi ringraziato i figli dei fondatori, Cristina, Franca e Matteo, oltre al genero Ottavio Duzioni. La conclusione della serata è avvenuta con l’abbraccio tra Giovanni e Chicco Cerea, patron del tristellato Da Vittorio, per l’ottima riuscita della cena e per il consolidato rapporto che lega le due famiglie dagli esordi.
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il concorso
Va alla Serbia la medaglia d’oro di “Emozioni dal Mondo”
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serba la Gran Medaglia d’Oro assegnata dai giudici dell’11° Concorso Enologico Internazionale “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet Insieme” conclusosi a Bergamo lo scorso 17 ottobre. Podrum Radovanovic conquista con il suo Cabernet Sauvignon Radovanovic Reserve 2012 il titolo più alto tra i 60 premi assegnati dai 78 giudici internazionali che, in rappresentanza dei 25 paesi di provenienza, hanno degustato i 200 campioni in concorso nella giornata di venerdì 16 ottobre presso gli spazi di Villa Betty Ambiveri a Seriate. Altissima la rappresentatività del
Come è stato più volte ribadito da Vignaioli Bergamaschi e Consorzio Tutela Valcalepio, organizzatori della kermesse internazionale che porta a Bergamo ogni anno un’importante delegazione di tecnici e giornalisti del mondo del vino internazionale, “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet Insieme” è il concorso internazionale con il rapporto più alto tra il numero di degustatori e quello dei campioni degustati. Ogni giudice facente parte delle 7 commissioni di degustazione riunite a Seriate ha avuto incarico di degustare circa 33 vini nel corso della mattinata. «Commissioni costituite da 11 o 12 giudici
medagliere: 12 dei 17 paesi partecipanti hanno guadagnato una medaglia d’oro. Nell’ordine 30 medaglie d’oro all’Italia, 6 alla Croazia, 4 alla Francia, 3 a Israele, Serbia, Turchia e Malta, 1 ciascuno a Chile, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria (premiata per la prima volta). Buona anche la rappresentatività italiana: delle 30 medaglie assegnate 10 sono lombarde (rispettivamente 5 ai padroni di casa bergamaschi, i Valcalepio Doc, e 5 ai vicini mantovani), 8 venete, 5 trentine, 3 toscane, 2 abruzzesi, una siciliana e una marchigiana.
rappresentano un importante bacino di rappresentatività che permette ai nostri risultati di essere sempre molto variegati e di rispecchiare quanto più possibile la differenza di background ed esperienza dei nostri giudici ma rappresentano anche una sfida dal punto di vista organizzativo», ha ricordato il direttore del concorso, l’enologo Sergio Cantoni, in apertura del Convegno sul tema “Territorio come Identità: il Paesaggio tra Consumo e Conservazione” che, nella mattinata di sabato 18 ottobre presso il comune di Scanzorosciate ha concluso i lavori dei tecnici chia-
mati a Bergamo per le degustazioni. «Un momento di confronto di grande rilevanza», ha sottolineato il presidente di Vignaioli Bergamaschi, Marco Bernardi, riferendosi al convegno.«I relatori chiamati ad affrontare il tema della sostenibilità e del rapporto tra essere umano, territorio e produzione hanno svolto il loro compito in maniera eccelsa portando la loro esperienza internazionale qui a Bergamo. Avere modo di mettere ad un tavolo esperti di provenienza mondiale per ascoltare il loro punto di vista costituisce un privilegio raro». Importante per lo svolgimento del Concorso Enologico Internazionale è stata anche la partnership stretta con il distretto dell’attrattività GATE. «In Gate e, in particolare, nei 4 comuni coinvolti quest’anno (San Paolo d’Argon, Seriate, Scanzorosciate e Orio al Serio) abbiamo trovato un partner d’eccezione», ha dichiarato il presidente del Consorzio Tutela Valcalepio, Emanuele Medolago Albani. «Per il nostro territorio è fondamentale poter costruire una rete efficace di relazioni che ci consenta di affrontare al meglio le sfide che il futuro ci riserva e la disponibilità di questi 31 comuni fa ben sperare». Proprio il Green Expo Point, sede del distretto GATE presso Oriocenter, ha ospitato la proclamazione dei Premi della Stampa e il banco d’assaggio dei vini vincitori dell’11° Concorso Enologico Internazionale “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet Insieme” nel pomeriggio di sabato 17 ottobre. Una formula, quella delle degustazioni aperte al pubblico negli spazi del centro commerciale, mai sperimentata prima ma che potrebbe costituire un’interessante precedente anche per manifestazioni future.
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È alla guida, con i fratelli, del ristorante Simagò di Osio Sopra
Cuochi in sfida al Trofeo Baroni. Vince il bergamasco Cadei U
na giornata intensa tra sfrigolare di padelle, profumi, occhiate al timer, apprensione, la gioia per la vittoria e riconoscimenti per tutti. Alla fiera Campionaria di Bergamo la quinta edizione del Trofeo Fiorenzo Baroni, organizzato dall’Associazione cuochi Bergamaschi, ha regalato ancora emozioni. Tra i 12 chef in gara, a conquistare la vittoria al termine di due manche è stato Simone Cadei, 36enne titolare insieme ai fratelli del ristorante Simagò di Osio Sopra, che qualche giorno prima aveva conquistato il terzo posto al Cuoco d’oro sul palcoscenico di Host a Milano. Ha staccato, di poco, il 24enne bresciano Luca Piccinelli, mentre al terzo posto si è classificato il lecchese Mirko Ravasio.“La sosteniblità alimentare, ingredienti poveri per un gusto ricco” il tema del concorso che prevedeva l’utilizzo obbligatorio di tre ingredienti – galletto, riso carnaroli e formaggio Branzi – e panieri a sorpresa diversi per ogni batteria, con l’ulteriore difficoltà in finale di dover utilizzare tutti i prodotti in dotazione. Nel suo piatto Cadei ha condensato un ideale menù con variazioni sul galletto, dall’insalata alla coscia ripiena. Definisce la sua cucina “divertente”. «Siano tre fratelli e tutti e tre cuciniamo – spiega -, abbiamo fatto esperienze all’estero, gli incroci sono continui. Nel nostro locale si può trovare dalla zuppa thai al casoncello». In giuria c’eravamo anche noi di Affari di Gola, tra chef di grande esperienza e due bergamaschi che in fatto di competizioni sanno dire la loro, Francesco Gotti, già componente della Nazionale italiana cuochi e oggi allenatore dello Junior team, e Mirko Ronzoni, vincitore del programma tv Hell’s Kitchens.
Il vincitore Simone Cadei
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Pagine di
Gola
di Roberta Martinelli
Lo chef Philippe Leveillè, reduce dalla trasmissione Pechino Express su Rai 2, racconta per la prima volta la sua vita avventurosa, la sua carriera e la passione per il suo ingrediente preferito. Camilla Baresani traccia un ritratto beffardo e spoetizzante del dorato mondo del cibo, mentre il critico Fabio Rizzari svela tutto quel che c’è da dire, e da non dire, sul vino. Infine Emanuela Bussolati e Federica Buglioni scrivono a quattro mani storie per bambini legate al cibo. Ecco quattro titoli che parlano di cucina in modo diverso.
Incontri, avventure e passioni di uno chef bretone Non è un libro di ricette (anche se ci sono – sette -, una all’inizio di ogni capitolo), ma l’autobiografia del celebre cuoco bretone che cucina italiano a Brescia e a Hong Kong. Ci sono aneddoti, incontri (anche la presidente di “Victoria Secret” e Papa Benedetto XVI) e momenti di buon bere e grande cucina. Cosa c’entra allora il burro? Léveillé lo spiega facendo entrare il lettore in punta di piedi nella cucina della sua infanzia per assaggiare le mitiche galettes. In appendice, “Sua golosità il burro”’ di Mauro Defendente Febbrari, medico nutrizionista che spiega perché il burro, caduto in disgrazia nella dieta moderna, va riabilitato. Philippe Léveillé
La mia vita al burro 192 pagine - Giunti 2015
Giù la maschera al mondo del food Rosa, una giovane e maldestra foodblogger, e Guidobaldo, un maturo e supponente giornalista, vivono imbucandosi a ricevimenti e rinfreschi. Un giorno si incontrano a una degustazione verticale di champagne… Uno spaccato ironico e tagliente del mondo di chi si riempie la pancia a sbafo, appunto, a cene, pranzi, aperitivi ed eventi, per vivere una vita che mai potrà permettersi e, a volte, per sopravvivere. Camilla Baresani
Gli sbafatori 134 pagine - Mondandori 2015
La riscoperta del bere bene Rizzari, critico enologico della Guida ai vini d’Italia dell’Espresso, smonta una serie di luoghi comuni relativi al vino e alla degustazione, per far cadere l’aura snob che circonda questo settore e riscoprire il piacere del “bere bene”. Un racconto all’interno del mondo del vino tra enomaniaci, sommelier aggressivi, critici riciclati e produttori scaltri. Fabio Rizzari
Le parole del vino 128 pagine - Giunti 2015
Incantare i bambini con racconti di cibo Ogni alimento nasconde dentro di sé una storia. Il libro ne racconta 26, più avventurose delle favole. Come quella del parroco che mangiò in pubblico le patate quando tutti pensavano che fossero velenose, oppure quella della principessa bizantina che per prima usò la forchetta scandalizzando tutti i commensali. Perché nascoste in ogni cioccolatino del pasticcere, in ogni raviolo del ristorante, in ogni morso di mela ci sono tante avventure e curiosità che aspettano solo di essere scoperte. Emanuela Bussolati e Federica Buglioni
Storie in frigorifero 112 pagine - Editoriale Scienza 2015
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