Affari di Gola - ottobre 2010

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ottobre 2010

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Supplemento al n. 36 de “La Rassegna” del 21 ottobre 2010 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60

Barman, creativi per professione Servono passione e alta formazione, ma la figura continua ad avere numerosi sbocchi sul mercato. I consigli dei big

L’AZIENDA

Bonalumi, i “distinti salumi” GASTRONOMIE

Pasti al bar, scopriamo chi li prepara L’APPROFONDIMENTO

Donne chef, la difficile scalata alle “stelle” IL LOCALE

RistoFante, qui il territorio è di casa


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PENNA ALL’ARRABBIATA Quelle scelte di vita fondate su passione e sacrificio

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L’APPROFONDIMENTO Locali stellati, il difficile cammino delle chef

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TENDENZE Barman, creativo è meglio

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L’AZIENDA Bonalumi, una famiglia “tagliata” per il salame

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IL RISTORANTE RistoFante, qui il territorio è di casa

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NEWS WiMu, quando il vino si racconta

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DIETRO LE QUINTE “I pasti al bar? Ve li prepariamo così”

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IL PREZZO FISSO Da Gianni, il sapore di una storia lunga quattro generazioni

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 - 24125 Bergamo Presidente: Ivan Rodeschini Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. - via Giorgio Paglia, 26 24121 Bergamo - tel. 035 213030 fax 035 224572 affaridigola@larassegna.it - www.affaridigola.it Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri In redazione: Anna Facci Opinionisti: Pier Carlo Capozzi, Enrico Rota Pubblicità: S.P.M. srl - viale Papa Giovanni XXIII, 120/122 24121 Bergamo - tel. 035 358 888 fax 035 358 753 Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 185 del 20 Febbraio 1950 Collaboratori: Michele Andreucci, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Pino Capozzi, Ettore Coffetti, Fulvio Facci, Roberta Martinelli, Roberto Morandi, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi, Sara Vavassori Impaginazione: Videocomp, Bg Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

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PENNA ALL’ARRABBIATA di Pier Carlo Capozzi

Quelle scelte di vita fondate su passione e sacrificio Che sia l’apertura di un agriturismo (dopo una sterzata alla propria esistenza) o la scommessa nella ristorazione, quel che conta è l’amore verso le proprie sfide

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aranno gli anni che passano via così veloci, ma, ultimamente, mi sorprendo a farci più attenzione del solito. Alle notizie di chi sceglie di cambiare radicalmente il proprio stile di vita, fuggire via dalla pazza città e rifugiarsi in campagna mettendo a disposizione del prossimo la propria ospitalità. Non c’è “Linea Verde” o “Costume & Società” che possa ritenersi immune da una notizia del genere a settimane alterne: qualcuno, nel profondo, ci vede principalmente la furbizia di una coppia ancora giovane o di una famigliola che si sta formando e che, per questione di mero interesse, cambia indirizzo e si rifugia in campagna per cercare di lucrare di più. Non siamo d’accordo. Il primo approccio ad un’esperienza del genere è di qualche anno fa quando, con mio figlio, decidemmo di spendere la nostra vacanza nella Maremma toscana, vicino alle Terme di Saturnia: è da quelle parti, a Manciano, che conoscemmo Milly e Roberto Maurelli, una coppia che aveva deciso di lasciarsi alle spalle un’attività imprenditoriale e di ristrutturare un’antica e diroccata casa rurale, trasformandola in un agriturismo per pochi eletti. Milly e Roberto, per come li abbiamo conosciuti, non ci sono sembrati tipi da fare calcoli: pensate che a cena (allora, s’intende) tutti gli ospiti si ritrovavano intorno allo stesso tavolo, alla stessa ora, con i padroni di casa seduti immancabilmente a capotavola ad alimentare la conversazione e a favorire le reciproche conoscenze. Dopo la seconda sera, e al pensiero che si trattava di un’operazione partita da chissà dove e destinata a proseguire per chissà quanto, ci accorgemmo di nutrire per quella coppia un’ammirazione sconfinata. E anche un po’ di affetto. Ricambiato, perché un pomeriggio ci portarono a spasso nei boschi coi loro bellissimi cani, giusto per condividere il paesaggio.

Mi tornano sempre in mente quando vedo interviste ad altre coppie che hanno fatto la stessa scelta. Ma non mi fossilizzo sulle colline toscane, umbre o romagnole. Perché penso a quelle giovani coppie (le grandi famiglie, quelle unite, nascono sempre così, fateci caso) che hanno deciso di trasformare la cascina per farne nascere un agriturismo vero, e capita anche nelle valli bergamasche. Così come c’è sempre un briciolo di incoscienza e una valanga di buona volontà per avviare, insieme, un’attività imprenditoriale nel settore dell’ospitalità e della ristorazione. Ma è un patrimonio che n non deve essere dilapidato, sp specialmente in questi mom menti di economia a tinte ffosche, dove il coraggio di u una famigliola che si mettte in gioco dev’essere incorraggiato da chi può farlo e p premiato poi da un destino favorevole. Una bella pagina del “Corriere della Sera” di martedì l’altro sottolineava come, mentre in Francia gli chef pluridecorati sono sempre quei tre (Ducasse, Bocuse e Robuchon, più che i moschettieri, ci ricordano Aldo, Giovanni e Giacomo) da noi si registrava una trionfale ascesa di giovani e giovanissimi cuochi con una carica positiva e innovativa da farci davvero ben sperare in un futuro sgombro da fasulle sudditanze. E tutto questo, credo, passa forzatamente attraverso i sacrifici (perché quello dell’ospitalità e della ristorazione è un lavoro di privazioni, nessuno lo dimentichi, a cominciare dagli avventori) che coinvolgono sempre più l’ambiente di famiglia. Sembra paradossale eppure non lo è: c’è un sottile filo conduttore che unisce Milly e Roberto e il loro casale di charme alla giovane coppia che pagherà il mutuo della stalla ristrutturata, lo chef rampante e la moglie che lo aiuta tutte le domeniche a chi ha deciso di restare, in coppia, su in malga a fare il formaggio. Secondo noi non è calcolo. È amore. Per l’altra metà e per un mestiere affascinante e difficile.

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L’APPROFONDIMENTO di Giordana Talamona

Locali stellati, il difficile cammino delle chef A parte i grandi nomi - da Santini a Valazza e Feolde - il “gentil sesso” fatica ad affermarsi nell’alta cucina. Le cause sono diverse, ma per comprenderle meglio abbiamo voluto parlarne con due cuoche di livello e con la preside di una scuola alberghiera. Ecco cosa ci hanno raccontato

LA RISTORATRICE

Vescovi (Camelì): “Fare la cuoca è una scelta di vita su cui pesa la maternità”

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er una donna fare la chef in un grande ristorante è una scelta di vita, su questo Loredana Vescovi non ha alcun dubbio. Lei che con il marito Camillo Rota e Fernanda, la suocera, gestisce l’Antica Osteria dei Camelì ad Ambivene (1 stella Michelin), questa scelta l’ha fatta fino in fondo.“Il nostro ristorante è la nostra casa. Negli anni il locale è diventato quasi come un figlio, per noi che non ne abbiamo, a cui diamo tutto il nostro tempo e la nostra passione - afferma orgogliosa -. Ho iniziato a lavorare tra i fornelli nel 1986, quando mi sono sposata. Allora non sapevo niente di ricette e piatti, facevo l’impiegata per uno studio commercialista e venivo da una famiglia in

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cui aveva sempre cucinato solo mia madre. Così, trovandomi in cucina con mia suocera, ho dovuto imparare, poco per volta, tutto dall’inizio”. Nelle sue parole il senso di una vita spesa nella ristorazione che l’ha portata, con passione e tenacia, ad avere più di un riconoscimento tra cui l’agognata stella Michelin, arrivata nel 2006, proprio nel 150° dell’apertura del locale di famiglia. La sua cucina, semplice e di qualità, cambia col succedersi delle stagioni, con piatti classici arricchiti da rivisitazioni sul tema come i “Foglioni di scamorza e zucchine”, piatto che più di altri rappresenta il suo stile.“In cucina siamo tutte donne - racconta - così talvolta penso al sa-


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l “gentil sesso” fatica ad affermarsi ai fornelli d’alta cucina. Se è pur vero, infatti, che dei sei ristoranti italiani che, nel 2010, si sono aggiudicati le tre stelle Michelin, la metà vanta in cucina la creatività al femminile, è altrettanto vero che, se si guarda nel mare magnum dell’alta ristorazione d’autore, la presenza delle donne scende drasticamente. Nadia Santini “Dal pescatore” di Canneto sull’Oglio, Luisa Marelli Valazza “Al Sorriso” di Soriso e Annie Feolde dell’Enoteca “Pinchiorri” di Firenze sono le cuoche d’elezione che, secondo la nota guida rossa francese, hanno meritato il massimo riconoscimento possibile, ma rappresentano, purtroppo, ancora un’eccezione ad una regola che non si spiega facilmente. Scendendo di stelle, infatti, le donne diventano percentualmente uno sparuto gruppetto che lascia il posto ad una consolidata presenza maschile affermata, da anni, nella ristorazione che conta. Viene da chiedersi come mai le donne, legate ai fornelli domestici da un passato culturale che sta cambiando, tardino a fare carriera nei grandi ristoranti blasonati italiani ed esteri. Dei 24 nuovi locali insigniti quest’anno dalla Michelin ritroviamo, per esempio, una sola donna, Cristina Bowerman di Glass Hostaria in Trastevere, una stella, altra eccezione alla regola. Allora cerchiamo di capirla assieme questa “regola” parlando con chi vive in prima persona tra i fornel-

crificio che fanno molte di loro perdendo quotidianamente i pranzi e le cene coi figli. Per questo dico che fare la chef dev’essere una scelta di vita, perché certi momenti famigliari non possono inevitabilmente tornare più e credo che questo, per una donna, sia difficile da accettare.” Ecco una delle motivazioni, secondo lei, per cui le “signore dei fornelli” tardano ad affermarsi nell’alta cucina sfavorite anche da una legge sulla maternità che, paradossalmente come capita in altri settori, si rivela un’arma a doppio taglio limitando le assunzioni e le carriere al femminile.“Purtroppo, è triste dirlo, ma per chi ha un’impresa è un problema serio sostituire una donna che va in maternità e la ristorazione non fa eccezioni - spiega Loredana Vescovi -. Occorrerebbe, forse, una maggiore flessibilità e coscienza da entrambe le parti perché, in questo modo, molte donne pagano errori ed abusi commessi da altre. Nel mio caso ho avuto ragazze che, al contrario, si sono rivelate molto responsabili che, finché hanno potuto, sono rimaste al posto di lavoro e sono rientrate dalla maternità in breve tempo”. Un problema annoso, questo,

li, come le stellate chef Luisa Marelli Valazza a e Loredana Vescovi, e con chi, come Silvana Nespolii dirigente dell’Istituto Alberghiero di San Pellegrino, lavora accanto a dei giovani che, tra i fornelli, vorrebbero fare carriera.

nel quale datore di lavoro da una parte e neo-mamma dall’altra, si ritrovano a fare in conti con questioni contingenti acuite, talvolta, da mancanze strutturali, come la scarsità di asili nido che, se migliorate, potrebbero agevolare il celere ritorno della donna al posto di lavoro. Se come dice Loredana, infatti,“cucinare è amore e sentimento”, è auspicabile che un giorno la maternità diventi, in questa società che viaggia veloce, un valore aggiunto per la donna e non un peso alla sua realizzazione, nell’alta ristorazione come altrove. Un consiglio, a chi voglia fare carriera e diventare una chef stellata, Loredana lo dà in ultima battuta:“La selezione delle materie prime, rispettando la loro stagionalità, è di fondamentale importanza per fare grandi piatti. A quella occorre aggiungere la propria personalità ed un pizzico di fantasia che permetta creazioni interessanti e mai banali. Infine, grande costanza nel lavoro: mai scoraggiarsi se un nuovo piatto non riesce al primo tentativo, talvolta possono volerci lunghe giornate di prove e valutazione del gusto, prima di poterlo inserire nel menù.”

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L’APPROFONDIMENTO LA RISTORATRICE 2 / LUISA MARELLI VALAZZA (AL SORRISO)

“Difficile conciliare fornelli e famiglia Io ho dovuto pagare il mio prezzo”

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hef stellata dell’alta ristorazione italiana, Luisa Marelli Valazza, è una di quelle donne che è salita agli onori della critica aggiudicandosi, per 13 anni consecutivi, le tre stelle Michelin, massimo riconoscimento della nota guida francese, con una cucina semplice, ma di gusto, legata alla tradizione e al territorio. Lei che gestisce con il marito Angelo Valazza, il locale “Al Sorriso” di Soriso (Novara), ha iniziato a lavorare tra i fornelli quasi per caso, per uno strano gioco del destino che l’ha obbligata a diventare chef dall’oggi al domani. Costretta a sostituire un cuoco che aveva lasciato il locale, Luisa Marelli Valazza, laureata in lettere, senza aver mai frequentato corsi o stage, ha fatto di necessità virtù e negli anni Ottanta ha cominciato a lavorare in cucina. Così da “chef per caso”, studiando ricette e libri, si

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è trasformata negli anni in una delle donne più stimate dell’alta ristorazione italiana, dimostrazione che quando ci sono talento e determinazione il proprio lavoro può diventare come un abito sartoriale fatto su misura. Chiediamo a lei, che di esperienza ne ha da vendere, qualcosa di più sulle donne e l’alta cucina. Come mai ci sono poche donne nell’alta ristorazione? “Perché questo è un lavoro che ti assorbe completamente, dove conciliare lavoro e famiglia non è assolutamente facile. Il nostro ristorante ci occupa tutta la giornata e buona parte della notte, con un impegno costante che toglie tempo a tutto il resto, famiglia in testa”. È riuscita comunque a conciliare lavoro e vita privata? “Ho dovuto farcela, ma è evidente che non sono potuta arrivare dap-

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PARLA LA DIRIGENTE DELL’ALBERGHIERO DI SAN P

QUADRO DEGLI ISCRITTI

All’Alberghiero di San Pellegrino sono 945 gli alunni dalla prima alla quinta, di cui 451 ragazze (il 47,7%). L’indirizzo di specializzazione in “Tecnico dei servizi di ristorazione” (dopo il triennio comune) viene scelto da 123 alunni di cui 36 ragazze. Ogni anno l’Istituto alberghiero diploma circa 100 alunni che hanno scelto la specializzazione in “Tecnico dei servizi di ristorazione” di cui il 47% ragazze. Questo significa che le ragazze, nonostante all’inizio del quarto anno siano in minor numero, reggono meglio rispetto ai compagni gli anni della specializzazione.

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pertutto. Nel mio caso ho fatto una scelta, cioè quella di trascurare un po’ la famiglia. Credo, per esempio, di aver dedicato minor tempo a mia figlia rispetto a quello che ha fatto una qualsiasi altra donna che lavora”. La maternità sfavorisce le carriere delle chef? “Molto probabilmente sì, soprattutto in questa professione.Vede, quando sei uno chef, uomo o donna che sia, non sei facilmente sostituibile, tutt’altro. La tua impronta in cucina, soprattutto nell’alta ristorazione, è differente da quella di un altro ed è

Nespoli: “Ragazze più restie ad a “Il percorso per poter diventare grandi chef è faticoso. E questo spiega perché la maggior parte delle diplomate preferiscano luoghi di lavoro come agriturismo, mense e bar, piuttosto che fare il grande salto nell’alta cucina”

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l diploma dell’Istituto alberghiero di San Pellegrino è facilmente spendibile ed offre buone opportunità di inserimento nel mondo del lavoro.A confermarcelo è la professoressa Silvana Nespoli, dirigente scolastico dell’Ipssar di San Pellegrino, Istituto professionale di Stato per i Servizi alberghieri e della Ristorazione. I dati sono piuttosto incoraggianti e confermano un trend che è sempre stato proprio degli Istituti professionali, con diplomi che consentono, in breve tempo, un collocamento nella ristorazione privata, nelle mense, nei comparti della grande distribuzione e nel settore dei catering. Da qui, è quasi d’obbligo, la domanda se le brave studentesse diplomate in “Tecnico dei servizi di ristorazione” riescano o meno ad entrare nella ristorazione che conta: “L’impressione che ho è che la facilità di inserimento nel mondo


“La sensibilità femminile in cucina è diversa da quella degli uomini. Mi auguro che sia stata capita ed apprezzata negli anni” riconoscibile”. Anche se la preparazione è la stessa? “Certamente, anche se ci sono dei validi aiutanti in cucina, è tua la firma di un piatto, i clienti vengono al tuo ristorante perché sanno che in cucina ci sei tu, con quel tocco particolare che ti distingue dagli altri. Quando arrivi a certi livelli, come nel nostro caso con le tre stelle Michelin, mantenere uno standard regolare è ancor più importante e significa essere sempre presente. Ecco che quindi devi fare una scelta, come donna, come madre, e capire cosa vuoi davvero dalla vita”. Crede che i critici abbiano un pregiudizio culturale nei confronti della cucina delle donne? “Forse in parte sì, ma in passato. Partiamo dal presupposto che tutti i giornalisti hanno pregiudizi quando provano un piatto. È evidente, infatti, che la critica venga filtrata dal gusto personale e da valutazioni soggettive. Detto questo, credo che in

passato una parte della critica abbia privilegiato gli uomini. Oggi le cose stanno cambiando, abbiamo molte più donne enogastronome che stanno facendo riscoprire, in cucina, l’impronta al femminile”. Esiste quindi una sensibilità femminile ai fornelli che è diversa da quella degli uomini? “Oh, certamente e mi auguro che questa sensibilità sia stata capita ed apprezzata negli anni.Vede, la donna ha una cucina di cuore, l’uomo di testa. Mi spiego meglio: nel suo Dna la donna ha l’istinto di accudire la propria famiglia, di prendersi cura degli altri e tutto questo si esprime massimamente nei suoi piatti. L’uomo essendo più razionale, studia, pensa al piatto e, direi, ci lavora troppo su; la donna al contrario usa l’istinto, il sentimento, cerca di esaltare il gusto mettendoci un trasporto che è di panca più che di testa”. Quale piatto rappresenta meglio la sua cucina? “Sicuramente i “Ravioloni verdi della

tradizione con formaggio Bettelmatt al burro d’alpe aromatizzato alle erbe di montagna”, quello è un piatto che teniamo tutto l’anno. La mia è una cucina semplice ma di gusto, nella quale utilizzo tre o quattro ingredienti per piatto, senza troppi arzigogoli, cercando di far sentire il sapore delle materie prime”. Rispetto all’estero come si difendono le donne chef in Italia? “Direi bene, in Italia siamo in tre ad avere avuto, quest’anno, il massimo riconoscimento Michelin, mentre in Spagna due e in Francia c’è una sola donna. Ma anche scendendo di stelle, in Italia, ci sono molte signore al comando di cucine illustri. Diciamo che c’è ancora molto da fare, ma qualcosa sta fortunatamente cambiando”. Un esempio emblematico di quanto le donne debbano ancora imporsi all’estero? “Viene proprio dai francesi che solo tre anni fa hanno assegnato le tre stelle ad Anne Sophie Pic, cosa che non accadeva dagli anni Sessanta. Come vede il nostro Paese non è così indietro come si pensa”.

N PELLEGRINO

d allontanarsi da casa per la carriera” del lavoro, per maschi e femmine, sia la stessa, ma che le ragazze siano più restie ad allontanarsi da casa per fare carriera. La nostra zona infatti, a parte qualche eccezione, è fatta di realtà diverse da quelle dell’alta ristorazione. - ha spiegato il dirigente Silvana Nespoli -. Il percorso per poter diventare grandi chef è faticoso, fatto di una lunga gavetta in ristoranti italiani ed esteri che, inevitabilmente, condiziona la vita futura di un giovane”. Da quì spiegato perché le ragazze diplomate sembrano preferire un più facile inserimento in luoghi di lavoro come agriturismo, mense e bar, piuttosto che fare il grande salto nell’alta cucina.Al contrario i ragazzi sembrano buttarsi più a cuor leggero nella carriera, spendendosi nella ristorazione d’élite molto richiesta sullo stivale come all’estero.“Credo che conti molto la motivazione che uno si dà al termine del percorso di studi e l’ambizione personale. Da San Pellegrino, per esempio, sono usciti grandi chef - ha proseguito -. Uno dei nostri ex studenti lavora, oggi, a Dubai nel noto Hotel sette stelle “La vela” ed un altro presso il “Gualtiero Marchesi” di Erbusco, in Fran-

aciacorta. Non ultimo anche Fabrizio Ferrari, chef dello stellato Ristorante Roof Garden che si trova all’ottavo piano dell’Hotel San Marco di Bergamo, è stato un nostro studente.” Se poi esista una certa resistenza, da parte degli chef accreditati, a favorire le carriere delle nuove leve, donne in testa, il dirigente scolastico rimane sul vago.“Dipende dallo chef, Fabrizio Ferrari, per esempio, è disponibile con i giovani e dedica loro molto tempo durante gli stage, altri cuochi meno. La mancanza di protocolli di riferimento per gli stage è, infatti, un problema, in parte ancora irrisolto della scuola italiana, che non paga solo il settore alberghiero”. All’estero, al contrario, esistono dei protocolli condivisi con le Istituzioni che definiscono i percorsi formativi che gli studenti devono raggiungere durante il loro apprendistato e che si integrano con le ore formative scolastiche.

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Dopo il sito, la nostra rivista sbarca su Facebook con un gruppo dedicato agli appassionati della buona tavola e al dibattito sui temi dell’enogastronomia

L’anima virtuale di Affari di Gola

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i eravate appuntati un locale da visitare ma poi la rivista è finita chissà dove? Volete segnalare un approfondimento o una notizia a qualcuno che ama come voi la buona tavola? O state cercando on line qualche appuntamento goloso? Quando si parla di cibi, vini, ristorazione e territorio il piacere di assaporare con calma testi e immagini resta proba-

bilmente unico. Affari di Gola non poteva però ripnunciare alle ulteriori opeportunità offerte dalla reate ed ha voluto affiancare all’edizione cartaceaa e- dal dicembre 2001 presente nelle edicole dellaa naBergamasca e in abbonamento - il proprio sito rinnovato ed un gruppo sul social network Fecebook. idi l i è possibile ibil sfof All’indirizzo www.affaridigola.it gliare ogni mese il nuovo numero della rivista e soprattutto accedere all’archivio delle edizioni precedenti, dove poter comodamente rintracciare, conservare o spedire le pagine in formato pdf. Se poi c’è qualche argomento particolarmente stuzzicante sul quale si vuole dare la propria opinione o si vuole entrare in contatto con una community di golosi ci si può iscrivere al gruppo “Affari di Gola” su Facebook, cliccando sull’icona dal sito stesso. Aspettiamo amici con cui condividere la passione per le cose buone e un po’ di sana critica su quello che non va nel mondo dell’enogastronomia.

Ecco i ristoranti della Bassa che hanno “insaporito” la Giornata dell’Ascom

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n occasione della prima Giornata dell’Ascom, galà del commercio svoltosi domenica 10 ottobre allo Studio Zeta di Caravaggio, i ristoranti della Bassa hanno promosso la loro cucina a prezzi scontati e le eccellenze del territorio.Al Ristorante La Lepre di Treviglio immancabili il salame nostrano e i casoncelli alla bergamasca per il menù di terra, mentre carpaccio di spada alle erbe, tagliolini con cappesante e peperoni e zuppetta di vongole e cozze erano alcuni dei piatti del menù di mare. La Trattoria dei Possenti di Casirate d’Adda ha proposto la sera un menù della tradizione, con

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degustazione di salumi tipici bergamaschi, risotto al radicchio e formai de mut, seguito da arrosto di vitello alle erbe con polenta e per chiudere in bellezza la tipica turta de Treì con crema allo zabaione mentre per una cena più veloce si poteva scegliere il piatto unico: stracotto di guanciale di manzo al Valcalepio e funghi accompagnato da polenta, con a seguire l’irrinunciabile dessert della casa. La Terrazza Manzotti di Canonica d’Adda ha proposto un menù della tradizione, con affettato nostrano, casoncelli e stracotto con polenta, ed uno di mare, con carpaccio di piovra, crespella

ai gamberi e porcini e bauletto di pesce spada. The Shilling Bar & Restaurant di Romano di Lombardia ha ideato due menù particolari: tagliere di salumi con carpaccio di verdure croccanti, cotechino nostrano e arista alla toscana con lenticchie di Colfiorito e polenta, tagliatelle della casa al tartufo, brasato al rosso di Calepino con polenta e carotine e dessert della casa. La Trattoria Teresina di Fornovo San Giovanni ha proposto un antipasto di salumi con verdure, ravioli di carne o di magro, spinacino ripieno o a scelta arrosto di vitello e crostata della casa.


TENDENZE di Roberta Martinelli

Barman, creativo è meglio È una figura sempre richiesta, ma oggi più di ieri servono passione e una formazione di alto livello. Cucchi:“I clienti sono più esigenti e sanno chiedere anche cocktail specifici” IL SETTORE E I NUOVI TREND La formula di pubblico esercizio più presente in Italia è il classico bar-caffetteria. Si calcola che ce n’è uno ogni 400 abitanti. In questo settore le nuove tendenze a Milano sono quelle dei “coffee-shop”, bar più specializzati che all’espresso abbinano ad esempio la vendita di miscele di caffè speciali e selezioni pregiate di tè in foglie da tutto il mondo oppure i “pan-caffetterie”, formule comparse negli ultimi tempi anche a Bergamo e Brescia che uniscono al panificio un angolo caffetteria. Nel locale serale la varietà è infinita. La tendenza è verso la specializzazione. Sull’onda della passione per vini & c., continuano ad avere successo wine bar e barman sommelier così come riscuotono conferme i locali che abbinano alla proposta di cocktail musica dal vivo. La tendenza diffusa tra i locali serali è di stare aperti tutto il giorno per catturare l’intera clientela. La moda dell’happy hour è in calo (a Milano, città che anticipa le mode per il nord Italia, sembra aver raggiunto il suo periodo di maturità) mentre cresce la tendenza salutistica. Per ora si tratta ancora di una proposta di nicchia ma in futuro è destinata a diffondersi complice anche il nuovo e rigido codice stradale con le sue limitazioni all’alcol. In quanto ai prezzi, per un buon cocktail si spendono in media dai 6 agli 8 euro.

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l mondo della notte da sempre esercita grande fascino. Bar e locali serali sono tra i luoghi d’incontro preferiti e teatro di mode e tendenze che segnano i tempi e cambiano le abitudini alimentari di tutti noi. In questo periodo non facile sono anche il comparto che offre maggiori opportunità occupazionali. Il barman è un professionista molto richiesto da bar, hotel, pub, discoteche, navi da crociera e villaggi vacanze. Ai tradizionali baristi e barman da qualche tempo si è aggiunta una nuova figura, sempre più ricercata, soprattutto nei locali “in”: il bartender, una sorta di barman acrobatico che oltre a preparare ottimi cocktail allieta e diverte le serate dei clienti con un tocco di spettacolo. Sia che si voglia diventare semplici baristi o specializzarsi come bartender, occorre una buona preparazione. Non si tratta solo di saper fare un buon caffè o di conoscere perfettamente i cocktail classici. Bisogna anche essere creativi, conoscere i drink del momento; occorrono simpatia e carisma perché il compito di un barman oggi non è solo quello di preparare bevande e servirle, ma anche quello di intrattenere le persone che frequentano il bancone. La voglia di divertirsi e di divertire è insomma fondamentale. Ed è fondamentale anche essere disposti a sacrificare la propria vita privata perché il lavoro è impegnativo: “si lavora quando gli altri si divertono”. In cambio la professione è creativa, piacevole, stimolante, dinamica, permette di stare a contatto con la gente, di conoscere persone e luoghi nuovi, di viaggiare e di migliorare la propria comunicazione. Senza contare che si acquisisce un’aura di grande fascino e che le remunerazioni sono buone: «Le figure più qualificate possono prendere anche 2.500-3.000 euro al mese - afferma Pierluigi Cucchi, consigliere nazionale Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi -. Per chi diventa imprenditore vale un discorso diverso, il guadagno dipende molto dal locale, dall’affluenza, dalla location, dal target di clientela e da quanto si è conosciuti». «Oggi viene richiesta una formazione di alto livello, più ampia che in passato - spiega Cucchi -. Oltre a una buona tecnica di esecuzione, è richiesta

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la conoscenza dei prodotti e la corretta manipolazione dell’alcol in modo da dare emozioni senza far uscire dai limiti». «Sicuramente il settore offre più opportunità di molti altri - conferma Luca Ramoni, presidente dell’Aicaf (Accademia italiana maestri del caffè), barman affermato e consulente-formatore in tutta Italia per la società Cefus -. In questo momento si fa fatica a trovare barman esperti, capaci. Per chi ha voglia di fare e possiede le competenze ci sono ottime opportunità». Nel nostro Paese c’è un bar ogni 400 abitanti, un numero elevato fatto però anche di molti esercizi improvvisati, tanto che ogni tre-quattro anni in media un locale cambia gestione. «Chi fa bene i cocktail e sa stare tra la gente - afferma Luca Ramoni - sa fare meglio di molti altri. Per avere successo serve la capacità di proporsi con un’offerta dinamica che sappia diversificarsi dal resto dei locali. Si possono fare anche cocktail classici, l’importante è farli al meglio».. Rispetto al passato i clienti sono diventati più esigenti, hanno gusti nuovi e richieste sempre diverse anche perché il mercato stimola continuamente nuove modalità di consumo. I classici - Cocktail Martini, Gin Tonic e Bellini in prima linea - rimangono i più gettonati ma al posto dei Negroni e Alexander di un tempo, ora vanno i caraibici Mojito, Cuba Libre, Caipiroska, i pestati di frutta fresca abbinati ai distillati e alcune proposte di tendenza come i drink etnici a base di spezie, ma anche polvere d’oro e distillati pregiati o gli smartdrink, cocktail energetici di grande successo negli Stati Uniti. «C’è una maggior sensibilità all’aspetto salutistico - evidenzia Cucchi - i clienti chiedono cose più specifiche e desiderano qualcosa in più di un buon cocktail. In generale, si rivolgono ai bar che mostrano di dare risposta a ciò che desiderano». Per fare un ritratto in presa diretta di questo appassionante mondo abbiamo chiesto la testimonianza di tre professionisti affermati che rivelano segreti e attrattive del mestiere e danno alcuni consigli ai barman del futuro.

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GIANLUCA ORSI, TITOLARE DEL “MIX&SHAKE”

“Attenzione a non montarsi la testa. Bisogna sempre lavorare con umiltà” Talent scout del settore, Gianluca Orsi è una sorta di agenzia interinale per i gestori di Cagliari e dintorni. Titolare di uno staff di cinquanta barman dal nome “Mix&Shake”, ha collaborato con alcune tra i più noti locali della Sardegna. Perché ha scelto questa professione? «È un mestiere che si può fare solo per passione e che dà grandi soddisfazioni. L’aspetto più bello è il rapporto che si crea con il pubblico. Quando prepariamo un cocktail e lo serviamo al bancone abbiamo un riscontro immediato da parte del cliente. Dalla sua espressione capiamo subito se gli piace o no». Come sceglie i suoi collaboratori? «Verifico la loro preparazione, le loro capacità tecniche, ovvio. Non solo l’istruzione e la formazione ma anche le loro esperienze sul campo. E poi gli aspetti caratteriali. Che siano umili, elastici, che sappiano ascoltare e accettare i consigli di chi ha più esperienza e che riescano a simpatizzare con i clienti. La simpatia è fondamentale.Ai ragazzi che lavorano con me dico sempre che sorridere è gratis. Chi esce lo fa per rilassarsi e divertirsi e si aspetta di trovare un barman allegro. Se i cocktail sono buoni ma l’atmosfera non è piacevole, da bar dell’angolo, uno cambia locale». Come deve essere un ottimo cocktail? «È importante che venga preparato in modo corretto e servito bene, con decorazioni accurate e belle da vedere. In generale, il drink può anche non essere il migliore in assoluto ma deve avere un buon rapporto qualità-prezzo. I clienti sono intelligentissimi nello spendere il loro denaro. E poi vale il loro giudizio. Se non piace significa che non è un buon cocktail». La ricetta per un locale di successo? ilibrato, compo«Avere uno staff forte ed equilibrato, ro. La qualità sto da persone diverse tra loro. tà dei cocdel personale unita alla bontà nza». ktail fanno da cassa di risonanza». man? Un consiglio ai futuri barman? «Di non montarsi la testa. Si è al centro bito messi dell’attenzione e si viene subito na essere usul piedistallo. Invece bisogna nalità. Chi mili e lavorare con professionalità. eve vuole fare questo mestiere deve studiare molto, fare più esperienze possibili. È molto utile cominciare nel settore alberghiero, dove si impara bene la gerarchia, e conoscere almeno una lingua straniera».


MOMO HARZALLAH, BARMAN A VILLASIMIUS

“Siamo artisti su un palcoscenico, per questo bisogna aver talento” Momo Harzallah è un barman riminese, di origini tunisine. È Food and beverage manager di prestigiosi hotel, da qualche anno di stanza a Villasimius Quali soddisfazioni ci sono per un barman? «L’aggregazione e la convivialità. È un lavoro che permette di conoscere gente, di divertirsi e di arricchirsi lavorando. Certo deve piacere perché è un mestiere impegnativo, si lavora quando tutti si divertono. E poi bisogna avere talento». Che tipo di talento? «La capacità di stare insieme con le persone. È inutile avere un barman che sa fare cento cocktail ma non sa stare in mezzo alla gente. È un mestiere complesso, oggi il barman è un artista sul palcoscenico che deve an-

che intrattenere. Bisogna avere il sorriso sulle labbra, essere un animatore non un portapiatto». Cosa fa di un bravo barman un ottimo barman? «La capacità di capire le esigenze della clientela. Di intuire chi vuole stare in pace a godersi il suo cocktail e chi invece ha voglia di scambiare due chiacchiere. È un’arma importante del nostro servizio». Come si fa a creare un locale di successo? «Innanzitutto bisogna scegliere un personale che sappia stare in mezzo alla gente e abbia una preparazione corretta. In più ci vogliono una location giusta, una illuminazione e un gioco di luci studiato. Fondamentale è anche avere un arredamento adeguato ai nostri tempi: oggi quasi tutti

i locali sono etnici o minimali, ma bisogna dare un tocco personale. Infine serve un equipe di pr che lavora, posto che il primo pr di un locale è il barman stesso». Cosa chiede oggi il cliente? «Vanno molto le serate a tema, in partnership con altre aziende, con invitati famosi del settore, ad esempio, il maestro dello champagne o dei cocktail, oppure con degustazioni o abbinate a eventi musicali o artistici. Il connubio tra food, beverage e arte è vincente, un’ottima arma per catturare clienti. Chi entra in un locale vuole aggregazione e convivialità. Il bar deve essere un momento di socializzazione».

LA BARLADY DEL “CRISTALLO PALACE” DI CORTINA

Ursula Chioma: “Carisma e riconoscibilità i segreti di un buon professionista” Cosa le piace di più dell’essere barman? «Il contatto con le persone, la possibilità di far assaggiare le proprie creazioni, di stupire il cliente e di farsi conoscere mettendo il proprio estro e la propria creatività nel preparare il drink o anche nel presentarlo in un bicchiere diverso - risponde Ursula Chioma, barlady del “Cristallo Palace” di Cortina, premiata con diversi riconoscimenti tra cui il premio nazionale Aibes come miglior barman 2008 -. Il bello del mestiere è la possibilità di esprimere cose diverse, di lavorare molto sull’esposizione e la vendita. Nel mondo alberghiero poi si ha la possibilità di conoscere persone sempre diverse, di tutto il mondo». Cosa rende un cocktail un ottimo cocktail? «La semplicità, il seguire le regole di costruzione del drink. Il cocktail deve essere ben bilanciato, equilibrato. Si devono riuscire a percepire in successione tutti gli aromi». E un ottimo barman? «Il carisma, la professionalità, la conoscenza merceologica. Il modo di porsi. Dobbiamo essere un punto di riferimento per il cliente nel momento in cui entra nel bar. Un bravo barman deve essere totalmente riconoscibile. E la

riconoscibilità la danno la personalità, il carisma». Quali sono invece i segreti per creare un locale di successo? «È una domanda complessa. Potrei parlare anche per un’ora e mezza. Più di tutto dietro a un locale di successo c’è l’atmosfera; la capacità di coinvolgere il cliente, di farlo sentire a proprio agio. Inoltre è importante il rapporto tra il personale. Ogni giorno nascono locali nuovi. Io li chiamo funghi. Durano sei mesi, un anno poi chiudono. Cercano di fare cose innovative, di stupire, poi tornano alla normalità». Quali consigli dà a un ragazzo che vuole fare questa professione? «Essere molto flessibili, studiare tantissimo e aggiornarsi. Informarsi è il punto di partenza. Poi occorre avere voglia di essere a contatto con le persone e sacrificarsi a livello personale. È un lavoro impegnativo, va messo in conto che si devono fare delle rinunce. Quando gli altri sono in vacanza noi lavoriamo e questo influisce tantissimo sulla nostra vita privata».

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Il Moscato di Scanzo “progetta” il futuro Il 10 novembre, a Cenate Sopra, rgamasca. giornata di studio sulla Docg bergamasca. are De Toma:“Un evento per confermare la volontà dei produttori di perseguire un percorso verso l’eccellenza e la tutela del marchio” Giacomo De Toma

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l prossimo 10 novembre, Palazzo Maestri, a Cenate Sopra, ospiterà una giornata interamente dedicata al Moscato di Scanzo, un prodotto di nicchia che trova la sua collocazione nella ristorazione stellata e nelle enoteche di alto profilo. La giornata sarà l’occasione per raccontare la storia di uno dei vini più antichi d’Italia e sottolineare l’importanza della Denominazione di Origine Controllata e Garantita, ottenuta nel 2009. Grazie a questa etichetta, il Moscato di Scanzo ha il primato della Docg più piccola in Italia e la sola nella sua provincia. Il territorio e la produzione del Moscato hanno sviluppato un legame sempre più stretto ed è volontà del nuovo presidente del Consorzio di Tutela, Giacomo De Toma, valorizzare anche le potenzialità turistiche della zona. “Il Consorzio - precisa De Toma - ha voluto organizzare questo convegno per presentarsi al territorio dopo l’ottenimento della denominazione di origine controllata e garantita e ha deciso di farlo con il supporto delle maggiori istituzioni territoriali, a sottolineare l’importanza di partnership per lo sviluppo del medesimo. Il vaore di questo convegno sta nel messaggio che il Consorzio vuole dare, cioè la volontà da parte di tutti i produttori di perseguire un percorso rivolto all’eccellenza del nostro prodotto e alla tutela del marchio come massima espressio-

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ne di qualità e garanzia nel panorama dei più prestigiosi vini italiani”. “Il Consorzio - aggiunge il presidente - guarda verso un futuro fatto di promozione, forte della coesione da parte di tutti i produttori nel cercare nuove aree di mercato, senza tralasciare gli aspetti tecnici agronomici dove numerose aree di ricerca sono già state avvicinate. Seguiranno quindi per il futuro altre occasioni/eventi dove si parlerà del nostro Moscato di Scanzo e dove la gente potrà apprezzare sempre di più questo vino passito rosso prodotto da quelle vigne che per esposizione e morfologia definirei eroiche”. Tornando al convegno, i lavori avranno inizio alle 15,30. All’evento, aperto al pubblico, interverranno esperti e personaggi politici che introdurranno nel mondo enologico presentando il Moscato di Scanzo. Si parlerà della storia, di come sono stati selezionati i vitigni, della ricerca genetica che l’Università di Milano e la Provincia di Bergamo stanno sviluppando sulla mappatura del Dna di questo vino, della conformazione del territorio e della volontà da parte delle autorità di sostenere la produzione e l’incremento del Moscato di Scanzo sul mercato italiano ed estero. L’evento è organizzato dal Consorzio di Tutela Moscato di Scanzo e promosso dalla Regione Lombardia, dall’assessorato provinciale al Turismo, dalla Banca Popolare di Bergamo e dal Comune di Scanzorosciate.


Garda Classico, Bonomo confermato presidente del Consorzio Tutela

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ante Bonomo (nella foto) è stato riconfermato presidente del Consorzio Tutela Vini Garda Classico e, ad affiancarlo nel ruolo di vicepresidenti, sono stati eletti due personaggi estremamente rappresentativi come Mattia Vezzola, fra gli uomini simbolo del vino italiano grazie al suo lavoro in Franciacorta da Bellavista (e che non aveva ricoperto prima d’ora incarichi di rappresentanza nel Garda Classico dove pure è produttore storico con l’azienda Costaripa), e Fabio Contato, che ricopre contemporaneamente la carica di vicepresidente del Consorzio del Lugana. L’intera squadra consortile esce rinnovata e rafforzata da questa tornata di rinnovo delle cariche, che vede rientrare in consiglio produt-

tori storici del territorio come Alessandro Redaelli De Zinis e Alberto Pancera coinvolgendo al tempo stesso volti nuovi per il Consorzio come Antonio Lorenzi e Giovanna Prandini. “Il Garda Classico si rafforza nel segno della continuità ed il nuovo Cda è sicuramente destinato a dare impulso alla strategia consortile – è stato il commento del presidente Bonomo -. L’impegno in prima persona di uomini conosciuti e di grande prestigio come Vezzola e Contato dimostra quanto sia ormai consolidata la consapevolezza della grande chance che il nostro territorio si sta giocando con il varo della nuova Doc Valtènesi, previsto per la vendemmia del 2011”.La nuova compagine del Garda Classico si è compattata su un

programma che punta a portare a compimento il progetto di riposizionamento strategico dei vini del Garda intrapreso con Bonomo all’inizio del suo precedente mandato. “Il programma per il prossimo triennio punta a confermare e rafforzare l’attività di ricerca e sperimentazione sul vitigno autoctono Groppello per meglio precisare e definire il futuro del Valtènesi – conclude Bonomo -. Continueranno naturalmente anche le attività sul Chiaretto, verranno implementate le azioni di comunicazione rivolte ai soci e le iniziative promozionali sia all’estero che a livello nazionale. E fra i progetti anche quello di varare in via definitiva la sede autonoma del Consorzio sul territorio, già disponibile a Padenghe”. p.s.

LA LETTERA

Lo strapotere delle insalate in busta

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entile direttore, le propongo alcune riflessioni scaturite dalla recente lettura di un articolo comparso sulla stampa nazionale che rassicurava il consumatore sulla bontà delle insalate in busta, peraltro basato su studi su prodotti americani e non italiani, insistendo in particolare sul contenuto di antiossidanti. Anch’io sono una consumatrice più che occasionale di questi prodotti, indubbiamente molto comodi. Quindi questo articolo mi ha da un lato rassicurato, ma dall’altro fatto riflettere un po’ sullo “strapotere” delle insalate in busta rispetto alle insalate tradizionali. Nei supermercati quello che prima era considerato un prodotto un po’ di ripiego ha via via mangiato spazio all’altro, tanto che oggi c’è molta più varietà di verdure in busta che tradizionali. Ormai c’è da essere fortunati quando sui banconi si trovano più di due varietà di insalate fresche. Per contro compaiono almeno una ventina di insalate già pronte, nei più vari mix.Tutto questo mi sembra un po’ discutibile. Giusto offrire più scelte al consumatore, tenendo conto di esigenze che possono essere molto diverse, ma addirittura andare a comprimere pesantemente il consumo più classico mi sembra una forzatura. Non va dimenticato che se una busta o due non incidono più di tanto sul bilancio fami-

liare, l’acquisto massiccio di questi prodotti non è proprio indolore, visto che mentre una lattuga fresca può costare 0,90 al chilo le insalate già pronte non vanno sotto gli 8 euro al chilo, con punte molto superiori. Nessuno mette in discussione questi prezzi, che saranno totalmente giustificati, ma sarei contenta se venisse mantenuta una bella varietà anche fresca in modo da non costringere il consumatore a scelte forzate in altre direzioni. Qualche dubbio, per la verità, me lo suscita anche la presentazione dello studio, perché mettere in evidenza solo un aspetto, quello degli antiossidanti, mi sembra per lo meno riduttivo. Quando alla freschezza, se è vero che le buste chiuse si conservano meglio, è anche vero che una volta aperte il deperimento è maggiore, come sperimenta chiunque ne faccia uso. La data di scadenza, ovviamente, vale solo per il prodotto integro. Oltretutto le buste che acquisto di solito sono “vecchie” di un paio di giorni rispetto alla data di confezionamento. Infine una notazione. Nell’articolo si conferma che non è necessario lavare le verdure in busta e in effetti questa operazione sembrerebbe un po’ una contraddizione. Ma allora perché in molte confezioni si “consiglia” comunque questo procedimento? In definitiva, se continuerà lo “strapotere” delle buste al supermercato forse bisognerà mettere in conto qualche puntata in più al fruttivendolo sotto casa, per chi ha la fortuna di averlo. Lettera firmata, Grassobbio

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L’AZIENDA

Bonalumi, una famiglia “tagliata” per il salame Dalla macelleria di papà Aristide al moderno impianto Da di Mozzo l’obiettivo non è cambiato: valorizzare i buoni prodotti che la tradizione ha già consacrato. L’ultima creazione è il salame Extra Bon cche ha nell’impasto una percentuale di carne bovina

«N

on ci sono raccomandazioni salutistiche né nuove tendenze della tavola che tengano: il salame è un prodotto che piace sempre». Notazione efficace quella di Livio Bonalumi, alla guida con il fratello Giuseppe dell’omonimo salumificio di Mozzo, ed esemplificativa della filosofia dell’azienda, che parte da una consolidata esperienza nella norcineria bergamasca e punta a valorizzare attraverso materie prime di qualità e processi produttivi al passo con i tempi preparazioni che la tradizione ha già consacrato. Sono poche, quindi, le concessioni alle innovazioni del gusto («abbiamo lavorato anche su proposte di nicchia»), ma si fa spazio a tutto quanto può fare più buoni i classici salumi. È così che nasce l’ultima creazione di casa Bonalumi, il salame “Extra Bon”, dove l’abbreviazione del cognome è anche promessa di piacere. «La particolarità – spiega Livio Bonalumi – è data dall’aggiunta all’impasto di una percentuale di carne bovina scelta, che non è altro che il recupero di un’usanza bergamasca un po’ dimenticata. Sta ottenendo continui apprezzamenti dalla clientela e questo ci dice che la strada è quella giusta».

“Extra Bon” si aggiunge al salame puro suino e a quello prodotto secondo il disciplinare della Camera di Commercio “Bergamo Città dei Mille… sapori”, tutti realizzati con carni nazionali selezionate e fiore all’occhiello dell’azienda. Il resto della produzione si suddivide, in parti più o meno equivalenti, nei cosiddetti “freschi”, la cui richiesta è in costante crescita (salsicce, salamelle, in stagione musetti e zamponi, o meglio ZamBon), e in coppe e pancette, queste ultime salate ancora a secco, massaggiate a mano e lasciate a riposo due settimane per consentire al sale e agli aromi di penetrare lentamente e in modo ottimale. La mano e la sensibilità nel trattamento dei prodotti dei fratelli Bonalumi vengono dalla piccola macelleria di papà Aristide, oggi 92 anni, aperta in quel di Valbrembo nel 1948. La svolta avviene invece nel ’90 con lo stabilimento di Mozzo, 2.000 metri quadrati e una capacità produttiva di circa 300 quintali a settimana oggi quasi completamente raggiunta, per un fatturato attorno ai 5 milioni. Un complesso moderno ed efficiente, che dà lavoro a 14 dipendenti e che dall’inizio di quest’anno può contare anche su una fonte di energia pulita grazie


I fratelli Livio (a sinistra) e Giuseppe Bonalumi con i figli Marianna, Francesca, Cristian e Valentina

all’investimento nell’impianto fotovoltaico con potenza nominale complessiva di 70Kw. Il salumificio è dunque una realtà che guarda con attenzione alle sfide del futuro, forte anche dell’inserimento nell’organico organizzativo e produttivo della terza generazione, Marianna e Francesca, figlie di Livio, Valentina e Cristian, figli di Giuseppe. La clientela di riferimento è costituita da grossisti, ambulanti, macellerie, salumerie e dal settore della ristorazione, nei mercati di Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna. L’azienda è anche produttrice per conto terzi e, per completare il servizio alla clientela, commercializza altri prodotti della salumeria, a cominciare da prosciutti crudi e cotti fino a bresaole, speck e arrosti. «Abbiamo le strutture e le tecnologie – conclude Livio Bonalumi -, ma la differenza la fanno senz’altro la passione, l’esperienza e la cura dei dettagli. “Io al salame ci parlo” è un’immagine che dà bene l’idea di quello che facciamo. Significa che basta un’occhiata o un piccolo tocco per capire di cosa ha bisogno, se di caldo, di freddo, di più o meno umidità. La qualità del prodotto finale è fatta anche di questi aspetti». Per dirla con le parole di una poesia che Livio ha composto per ol salàm del Bonalòm: «i g’ha dedicat tat de chel tep e passiù che per forsa al ga de es bu».

SALUMIFICIO BONALUMI via del Chiosco, 4 – Mozzo tel. 035 461626 - www.bonalumi.it

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Il Convivium Conv fa tappa al Devero Ristorante Pranzo degustazione alla tavola dello chef stellato Enrico Bartolini Pran

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econda tappa per “Convivium di stelle”, il ciclo di visite gastronomiche ai ristoranti stellati italiani, promosso dall’Accademia del Gusto in collaborazione con l’Ente Bilaterale alberghiero e pubblici esercizi. Dopo l’incontro al ristorante bergamasco “Da Vittorio”, la scuola di Cucina dell’Ascom propone una visita con pranzo-deg gustazione al “Devero Risto-

rante” di Cavenago Brianza. L’iniziativa è in programma mercoledì 24 novembre ed è aperta a ristoratori, chef e collaboratori. Si parte alle 11 dall’Accademia a Osio Sotto con il pullman e lo staff della scuola. Giunti al ristorante si avrà l’opportunità di apprezzare la cucina del cuoco toscano Enrico Bartolini, tra i migliori chef emergenti d’Italia, assaggiando alcuni dei suoi piatti più rappresentativi, conoscendone segreti e curiosità attraverso le parole dello stesso Bartolini.

I CORSI DELL’ACCADEMIA DEL GUSTO

Lovere, boom di presenze ai “Sapori d’ottobre”

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ltre due mila visitatori per la terza edizione della sagra “Sapori d’ottobre” messa in scena sul Lungolago di Lovere dalla Nuova Pro Loco cittadina a metà ottobre. La kermesse gastronomica sebina ha visto all’opera un team di chef che ha proposto ricette locali e piatti storici unici ritrovati in antiche pubblicazioni e un po’ reinterpretati come i «casonsei de Loer», le tagliatelle al ragù di brasato e ricette locali come il brasato di Beppe con polenta e lo storico manzo alla moda di Lovere. Evento clou, la presenza del celebre macellaio Sergio Motta, che ha cucinato ben 250 chilogrammi di bue piemontese alla brace.

IL SOTTOVUOTO COME TECNICA A DI COTTURA: CORSO BASE Corso teorico-pratico di nove ve ore per l’utilizzo del sottovuoto, tenuto da Fabrite di apprendere zio Ferrari. Permette servazione, delle regole della conservazione, aggio e della cottura, dello stoccaggio la rigenerazione degli alimenti. ne al Con particolare attenzione sto risparmio in fase di acquisto delle merci. Per professionisti Dal 3 al 17 novembre mercoledì ore 15-18 I RISOTTI Un viaggio nel mondo dei risotti per conoscerne osce le varietà, apprenderne i metodi di cottura e preparare i condimenti più adatti. In cattedra lo chef Roberto Carcangiu. Per appassionati Martedì 16 novembre - dalle 20 alle 23 MENÙ A TRE PORTATE CON FOOD COST A 5 EURO Seminario di sei ore con ricette low cost. Federico Coria illustra menù a tre portate con food cost a cinque euro. per professionisti 9 e 16 novembre – martedì dalle 15 alle 18 LE COTTURE SECONDO ENRICO BARTOLINI Lo chef affronta le principali tecniche di cottura mostrando come sia possibile applicarle per rendere ogni piatto unico. L’incontro prevede anche la degustazione.

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IL LIBRO

La cucina Italiana secondo Sergio Mei

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piatti tradizionali della cucina italiana, quelli noti in tutto il mondo e che così pochi sanno cucinare secondo la ricetta originale. Dalle lasagne alle tagliatelle alla bolognese, dalle melanzane alla parmigiana all’ossobuco alla milanese. Sergio Mei, executive chef del Four Seasons Hotel Milano e maestro riconosciuto, si è assunto l’onere e onore di formalizzare un compendio della cucina italiana tradizionale e lo ha fatto usando il suo stile e la sua conoscenza. Ne è nato il volume “La C Cucina Italiana all’italiana” (edito da Re Gourmet) di oltre trecento riReed

cette, tutte illustrate, strutturato per sezioni: paste (secche, senza uovo, con uovo, con uovo farcite), ravioli, gnocchi, risotti, fregola, zuppe, ricette alternative, secondi di carne, secondi di pesce, uova e verdure, dolci, ricette base. Di molti piatti sono proposte anche le possibili varianti. E le ricette? Dettagliate come è nello stile dello chef. La cucina di Sergio Mei è mediterranea nel senso più completo del termine, lo è nei colori, nei sapori, negli ingredienti, negli abbinamenti. Un volume unico nel suo genere per completezza e per l’autorevolezza dell’autore.

Per professionisti p Luned Lunedì 15 novembre – dalle 10 alle 17

cino e bevande a base di caffè. Da lunedì 22 a giovedì 25 novembre – dalle 14 alle 19

TAPAS & F FINGER FOOD Seminario per imparare a realizzare ricette sfiziose e Seminar creativ creative e così rinnovare e dare un tocco in più al proprio locale.A cura di Francesco Gotti. Per professionisti Giovedì 18 novembre dalle 14 alle 18

IL BUFFET A TEMA Seminario firmato da Emanuele Poli che offre, anche attraverso supporti video, esempi pratici di buffet a tema, dai più eleganti, con l’argento, il vetro, gli specchi a quelli di nuova generazione. Martedì 23 novembre dalle 14.30 alle 18.30

LE PASTE FRESCHE Laboratorio pratico per scoprire tutti i segreti delle paste fresche. Con la guida dello chef Francesco Gotti si imparano tre ricette di paste fresche e ripiene, realizzandole direttamente in aula. Per appassionati Martedì 9 novembre dalle 20 alle 23 LA CAFFETTERIA AL BAR: DALLA TRADIZIONE DEL CAFFÈ ALLE DECORAZIONI Laboratorio teorico-pratico di 20 ore condotto da Boris Andreoletti per conoscere la storia e la divulgazione del caffè e apprendere le tecniche di preparazione di espresso, cappuc-

IL MENÙ DI NATALE Laboratorio pratico in due incontri tenuto da Roberto Carcangiu per chi vuole festeggiare il giorno più importante dell’anno con ricette nuove e speciali. Si realizzano le ricette in aula. 30 novembre e 7 dicembre martedì dalle 20 alle 23

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IL RISTORANTE di Lelia Parisi

RistoFante, qui il territorio è di casa FForte t attenzione tt i all mercato t e valorizzazione dei prodotti in via d’estinzione: la cucina di Titta Manzini, ad Alzano, è tanto ricercata quanto curata. Primeggia il pesce, ma stupiscono i dolci

L’

ha tanto entusiasticamente cercato, che alla fine l’ha trovato. Il legame “forte” con il territorio. Ha convertito al suo credo pure uno degli ultimi orticoltori dei colli di città alta - Pierino - che ancora si affanna a mantenere in vita colture in via d’estinzione. Se si parla di Titta Manzini e del suo RistoFante di Alzano, non si può prescindere dal mais rostrato rosso, su cui si incardina il suo pensiero e la sua cucina. L’ha persino messo nel sushi, inventando nel 2008 il sushi bergamasco. Il rostrato rosso di Cerete è uno dei mais più antichi della Bergamasca, e qualche anno fa la sua coltura volgeva al declino. La cocciutaggine di Manzini, patron, insieme a Silvia Valoti del RistoFante, lo sta facendo prosperare sui colli di Città alta, affidato alle esperte cure di Pierino, appunto. Uno scrigno di sostanze nutritive interdette (anche per lavorazione e molitura a pietra) ai mais delle colture industriali. E anche se il pesce signoreggia la tavola di questo chef di origini lecchesi, il territorio è lì nel suo prodotto più rappresentativo. Titta è un fiume in piena di riflessioni e argomentazioni. La sua storia personale è tutt’uno con la sua storia gastronomica. La grande lezione della cucina classica francese, assimilata negli anni della sua

Silvia Valoti e Titta Manzini

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formazione al Griso di Malgrate (due stelle Michelin) tra l’82 e l’87, e poi il passaggio cruciale alla “cucina nuova”, la nouvelle cuisine, appresa condividendo i fornelli con un altro gigante, Ezio Santin. Cucina nuova, che per Titta è di fatto la cucina della leggerezza e della digeribilità, ma anche la “cucina del mercato”, inteso come luogo di incontro vis-à-vis con il prodotto, momento imprescindibile per qualsiasi cuciniere (così si definisce) che si ritenga tale. Solo avvicinando il prodotto sul banco del mercato, studiandolo a fondo, si può capire come lavorarlo e trarne il meglio, valorizzandolo non solo dal punto di vista del gusto, ma anche nutrizionale. Sì, perché il cervello di Titta è come uno scanner che legge i prodotti in termini di Omega 3, proteine, sostanze anti-ossidanti.“Il cibo deve offrire il giusto apporto di nutrienti, senza eccedere nei grassi saturi o in proteine animali, non soltanto soddisfare il palato. Le proprietà nutritive vanno salvaguardate nella lavorazione e cottura. Ci guadagnano il sapore e la salute”. Capiamo, così, perché usa il granoturco integro, non privato della parte oleosa ricca di acidi grassi insaturi e che rende particolarmente morbida la polenta. E perché acquista - sempre da Pierino - ortaggi dei colli e lui stesso coltiva


IL GIUDIZIO erbe aromatiche, come timo selvatico, borragine, peperoncino e finocchietto. E allora, tornando al sushi bergamasco, inserito in un crudo corposo, trafficato da scampi, gamberi, ostriche, carpaccio di seppia e quant’altro, via l’alga nori, via il riso. Al loro posto, foglia di verza nostrana e polenta di mais rostrato integrale privato del solo amido, corretto in agrodolce in stile giapponese. Sono tante le qualità di pesce a menù, selezionato da Titta sui banchi di Orobica Pesca, e variegate le lavorazioni, tutte attente alla riconoscibilità dei sapori e all’aspetto salutistico. Spiccano, negli antipasti, il succulento guazzetto di gamberi con carciofi, ortaggio prediletto da Titta, protagonista di un piatto ormai cult, l’astice in cuore di carciofi, e presente, nei secondi, nella versione con capesante. Altro pezzo forte il carpione di pesce azzurro deliscato. Sapori decisi riservano invece lo sformato di melanzane con cozze, vongole e peperoncino fresco così come la scaloppa di branzino con guazzetto di vongole. Gradevoli i tagliolini di pasta fresca con julienne di totani, uvetta e pinoli al profumo di aneto, malgrado la presenza un po’ invadente del peperoncino e di altri aromi, da riequilibrare. Inedito, ma convincente, l’abbinamento tra zucca e astice nel risotto vialone nano. Presenti, anche se non citati in carta, un’ottima frittura di pesce con verdure in tempura e la tagliata di tonno con capperi, taggiasche e scalogno.Tra i piatti di terra, si segnalano il piccione disossato al vino rosso con polenta di rostrato rosso, il foiolo alla parmigiana sempre con polenta e il musetto di maiale con lenticchie. Stratosferici i dolci, e di voluttuosa consistenza: creme corpose, sfoglie croccanti, frutti sodi e saporiti sprigionano, al primo approccio col palato, lampi intensi di piacere rafforzati dalle sensuali sfumature di un sospetto d’erbe aromatiche. Corretto il conto, sui 50 euro per un pasto completo, vini esclusi.

AMBIENTE

8/10

Il RistoFante, come lo vediamo oggi, nasce nel 1999, all’interno di una villa del ‘600 sapientemente ristrutturata, anche se Titta si mette per conto proprio, inizialmente a Ponteranica, già nel 1992, a soli 27 anni, stabilendo un proficuo sodalizio con Silvia Valoti. L’attuale sede è un locale di pregio, arredato con gusto e con alcuni vecchi mobili, tra cui la cassapanca della nonna di Titta con gli scomparti per la farina gialla e per quella bianca. Elegante e curato, il locale serve 40 coperti. Accogliente il giardino, che pare una piccola rigogliosa serra, da godersi in estate.

CUCINA

23/30

La cucina di Titta Manzini, 45enne lecchese, naturalizzato bergamasco, è una sintesi ben riuscita di territorio, tradizione locale e mediterranea. Armonia di sapori, assenza di contrasti netti e leggerezza sono le sue parole chiave “la digeribilità è la cartina di tornasole di una buona cucina”, ma anche riconoscibilità del prodotto “si deve vedere ciò che si mangia” e grande rispetto per la materia prima “la regola aurea è non contaminare il prodotto”. E poi, l’utilizzo, per quanto possibile, di materie prime della propria terra. “Rendere moderno ciò che è tradizione” riassume la sua missione, ispirata agli insegnamenti di Veronelli. Forte è infine l’attenzione all’aspetto salutistico del cibo. E infatti in qualche piatto Titta ha già iniziato a sostituire il cloruro di sodio con il gomasio, condimento macrobiotico decisamente più salutare rispetto al sale. E nella varietà di pane (delizioso) che lui stesso produce, ne propone uno preparato con lievito madre, come quello dei tempi passati.

CANTINA

13/20

Non molto corposa la cantina, un centinaio le etichette presenti, ben selezionate, equamente ripartite tra bianchi e rossi, con un piccolo assortimento di champagne e vini fermi francesi. Ricarichi medio-alti.

COMPETENZA

8/10

Leggera e al tempo stesso di sostanza, la cucina di Titta è tale grazie alla sua solida formazione tecnica,“la mia fortuna è di essermi formato alla scuola della vera cucina classica, acquisendone i concetti basilari, passando poi a una cucina di grande struttura come la nouvelle cuisine, che mi ha insegnato il valore del prodotto”. Anche l’esperienza al Miramonti L’Altro di Concesio, che ottiene la prima stella con lui responsabile di cucina, e il passaggio da Frosio, hanno arricchito il suo percorso umano e professionale. Una cucina, la sua, dove i cibi conservano la loro consistenza anche grazie all’uso dei metodi della cucina classica. Niente o quasi delle moderne tecnologie, cotture lente a basse temperature, sì, ma senza uso del sottovuoto, irrorando invece a più riprese le carni con il fondo. In apparenza semplice, ma complessa nel sapere che la sottende, vi si avverte la maturità tecnica del suo chef.“La semplicità è una conquista dell’età matura, quando si ha la padronanza della tecnica e ce ne si può “dimenticare”. Ora che ho superato i 40 mi sento davvero libero di esprimermi come desidero. E se prima aggiungevo ingredienti, ora faccio il percorso inverso. Limo, tolgo tutto ciò che è superfluo lasciando che il prodotto si sorregga da solo. Due o tre ingredienti, due o tre consistenze, non di più”.

SERVIZIO RISTOFANTE via G. Mazzini, 41 Alzano Lombardo tel. 035 511213 Chiuso la domenica sera e il lunedì. Chiuso a pranzo da martedì a sabato

8/10

Efficiente e scattante il servizio, svolto da Silvia Valoti, socia storica di Manzini, responsabile di sala e sommelier, tipa tosta e determinata, ancorché graziosa, e dal piglio deciso. Una fortuna per gli eterni indecisi, che saranno spronati a scegliere prontamente i loro piatti affidandosi ai suoi consigli ben ammanniti.

RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO

7,5/10

Buono il rapporto qualità/prezzo in tutto il menù. Presente in carta anche un menù degustazione a 55 euro, vini esclusi. p.s.

Affari di Gola ottobre 2010 21


APPUNTAMENTI

DAL 23 OTTOBRE AL PRIMO NOVEMBRE

Alla Campionaria c’è spazio anche per il gusto

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ette in mostra le novità delle aziende senza dimenticare il gusto la Fiera Campionaria di Bergamo, classico appuntamento d’autunno per i bergamaschi attestato sulle oltre 130mila presenze. La 32esima edizione è in programma, con regia della Promoberg, al polo fieristico di via Lunga da sabato 23 ottobre al primo novembre e propone ai visitatori alcune occasioni, concentrate nel padiglione C, per conoscere prodotti e assaggiare specialità alimentari. A profumare l’atmosfera ci penserà lo stand dell’Aspan che vedrà i fornai bergamaschi impegnati a realizzare in diretta pane e altre golosità da forno che saranno proposte al pubblico in cambio di un’offerta a sostegno di due progetti missionari: “Un pane oltre le sbarre”, laboratorio di panificazione in una casa di accoglienza per ex detenuti in Malawi, con la partecipazione del Centro Missionario Diocesano, e il panificio della missione di Allipalli in India. La Campionaria sarà anche l’occasione per fare assaggiare nuovi prodotti come il pane Garibalda, che proprio in Fiera lo scorso anno fece il suo debutto dopo aver vinto il concorso promosso dalla Camera di Commercio, e la Torta di Sant’Alessandro, realizzata in collaborazione con il Consorzio pasticcieri in occasione delle celebrazioni del patrono.Altra presenza gustosa quella dei prodotti del marchio camerale “Bergamo città dei Mille... sapori”, nel cui spazio si terranno, nei fine settimana e festivi, dei veri e propri show di cucina. Cuochi professionisti mostreranno infatti al pubblico come si possono realizzare con le specialità tradizionali, al di là delle interpretazioni più classiche, anche piatti “moderni”. Negli altri giorni spazio agli assaggi e gli aperitivi a base di vini e sapori del territorio. L’ingresso alla fiera è gratuito, nei feriali l’orario è dalle 16.30 alle 22.30, la domenica e i festivi dalle 10.30 alle 20.30.

FINO AL 5 DICEMBRE

I prodotti del Lodigiano protagonisti in 24 ristoranti

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ino al 5 dicembre la Rassegna gastronomica del Lodigiano fa sposare le tipicità agroalimentari con la fantasia dei ristoratori. Giunta alla 22esima edizione, l’iniziativa coinvolge 24 locali del capoluogo e della provincia che hanno creato speciali menù degustazione dedicati alle produzioni del territorio a marchio “Lodigiano Terra Buona”, in primis riso, salumi, carne e formaggi. Le proposte vanno dai 30 ai 40 euro e comprendono sempre il benvenuto a base di Raspadüra di Granone lodigiano (sottilissime foglie di formaggio molto giovane raschiate sulla superficie della forma con un particolare coltello in modo da ottenere dei nastri lunghi e soffici che si arricciano su se stessi), una bottiglia di vino San Colombano e una di acqua. Sotto il titolo di “Antichi sapori” le stesse insegne offrono inoltre menù più “snelli”, di due o tre portate sempre all’insegna della tradizione, al prezzo di 20 euro, compresi vino acqua e caffè. Per solleticare l’appetito e la curiosità ecco qualche piatto catturato qua e là nei menù: Risotto con salsiccia lodigiana, Gnocchetti di patate con fonduta di Pannerone e pere, Trippa di San Bassan con fagioli borlotti, Brasato al Roverone,“Strachin gelad” con salsa di cioccolato, Mascarponata con biscotto Codogno. L’elenco dei locali, il dettaglio dei menù ed il calendario si possono trovare sul sito www.rassegnagastromonica.it. Alla nato anche il concorrassegna è abbinato so a premi “Il Golosone”. Compida di valutazione lando una scheda li ospiti pardel ristorante gli razione, tecipano all’estrazione, il 16 dicembre, di cinque cesti gastronomici.

IL 6 E 7 NOVEMBRE

Whisky, a Milano il meglio della Scozia

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li appassionati di whisky, ma anche chi vuole saperne di più su questo distillato, hanno la possibilità di tuffarsi in un evento, l’unico in Italia, tutto dedicato al Single Malt scozzese. È Milano Whisky Festival, la cui quinta edizione è in programma sabato 6 e domenica 7 novembre all’Hotel Marriott (via Washington 66). I visitatori potranno degustare (con costi a partire da 2 euro) oltre 2.000 differenti tipi di whisky, grazie alla presenza di quasi tutte le distillerie scozzesi, oltre ad imbottigliatori indipendenti, collezionisti, club ed associazioni, ma anche partecipare a percorsi tematici guidati da esperti, acquistare bottiglie da meditazione e mignon da collezione, provare accostamenti tra cibo e single malt. Nel prezzo d’ingresso di 7 euro sono inclusi un bicchiere da degustazione, un porta bicchiere ed un assaggio di Single Malt Scotch Whisky. Info: www.whiskyfestival.it

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DAL 5 ALL’8 NOVEMBRE

Vino, al Festival di Merano quello del vigneto più alto del mondo

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a prestigiosa cornice del palazzo del Kurhaus di Merano ospiterà dal 5 all’8 novembre la 19esima edizione del Merano International Wine Festival, evento dedicato all’eccellenza enologica italiana e internazionale. E non solo. Accanto alla sezione “Wine” (forte della presenza di 486 aziende vitivinicole) e “bio&dynamica” (52 produttori) ci sono infatti “Culinaria”, con 90 espositori di specialità artigianali, 15 distillatori (nell’area Aquavitae&Liquores), 10 birrifici artigianali (BeerPassion) e 13 “Wine Resorts”, ossia aziende enoturistiche che oltre ad offrire camere di charme e gastronomia di spicco sono anche produttrici di vino di alta qualità. Senza dimenticare la GourmetArena, lo spazio dedicato agli eventi culinari e gastronomici, all’interno del quale la Regione Campania offrirà le eccellenze del territorio elaborate dai Jeunes Restaurateurs d’Europe nel corso di gustosi showcooking. Tra le chicche di quest’anno le degustazioni del vino proveniente dal vigneto più alto del mondo (oltre 3mila metri), quello dal vigneto più ripido d’Europa, quello di un’azienda indiana, oltre alla possibilità di assaggiare 35 Châteaux dell’Union des Grands Crus de Bordeaux e molti Champagne. Info: www.meranowinefestival.com

NOVEMBRE

Dal torrone al bollito in piazza, Cremona celebra le sue specialità

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orna nel fine settimana dal 19 al 21 novembre la Festa del Torrone di Cremona che accanto ad appuntamenti tradizionali come la celebre rievocazione storica del matrimonio tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, occasione in cui si dice abbia fatto per la prima volta la propria comparsa in tavola il dolce, affianca alcune novità. “Alta Cucina al torrone”, ad esempio, è un evento-degustazione con lo chef Marco Olivieri che presenterà al pubblico creazioni a base di torrone per una cucina un po’ insolita, mentre “Violino in barrique” è un incontro-degustazione nella cornice di una suggestiva liuteria, dove un maestro liutaio e un esperto sommelier illustreranno il suggestivo percorso parallelo tra il processo di produzione di alcuni vini e la creazione degli strumenti della famiglia del violino. La musica e il violino sono infatti il tema conduttore dell’edizione 2010, protagonisti di eventi che vanno dal teatro, al cinema, all’arte, fino al talk show ViolinViolino “Tutto quello del violino che avete sempre voluto sapere e non avete mai osato chiedere”. In programma anche degustazioni, laboratori per bambini, bancarelle piene di golosità fino al clou dello spettacolo di chiusura nella piazza del Comune. (Info: www.festadeltorronecremona.it) Altro omaggio alle tipicità locali è “Il Gran Bollito Cremonese in Piazza – Il Piacere della Carne”, organizzata

la domenica successiva (28 novembre) dalla Strada del Gusto Cremonese nella terra di Stradivari. Come ogni anno, per tutta la giornata, sarà possibile degustare tutti i tagli del classico Gran Bollito Cremonese, accompagnato dalla Mostarda di Cremona. Il piatto tipico sarà preparato dai macellai del Gruppo Ascom.A completare l’evento saranno presenti stand di aziende associate alla Strada del Gusto con degustazione e vendita di prodotti. (Info: Strada del Gusto Cremonese tel. 0372 23233).

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NEWS di Leo Bartoli

WiMu, quando il vino si racconta A Barolo, nello storico Castello Falletti, inaugurato il museo interattivo dedicato al mondo enoico delle Langhe. Un’esperienza multisensoriale imperdibile, firmata dall’architetto svizzero François Confino

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uelle vigne inerpicate sulla Langa più selvaggia e l’inebriante profumo del mosto maturo sono il segnale inequivocabile che la meta dell’Eldorado è vicina.A Barolo il vino (tutto il vino, non solo il gioiello locale) ha finalmente trovato la sua casa e la sua consacrazione con il “WiMu”, il nuovo museo interattivo di respiro internazionale, inaugurato il mese scorso, nato per la felicità degli enoturisti di mezzo mondo e pronto a sorprendere con un percorso di grande suggestione, lungo i cinque piani dello storico Castello Falletti, secolare dimora dei marchesi di Barolo. I tanti appassionati lombardi pronti ad invadere le terre di Pavese anche in occasione della Fiera Internazionale del Tartufo bianco d’Alba (è l’edizione numero 80, inaugurata il 9 ottobre, terminerà il 9 novembre) si troveranno però davanti un allestimento molto diverso da quelli tradizionali: non a caso a capo del progetto c’è la magia visionaria dell’architetto elvetico François Confino che in passato aveva già rivoltato come un guanto la Mole Antoneliana di Torino, inventandosi l’inedito e gettonatissimo Museo nazionale del Cinema.Anche a Barolo l’idea è stata quella di rompere con le linee classiche, proponendo un percorso di 25 sale ricche di spunti e di intuizioni mai banali sull’arte di Bacco, un viaggio emozionale senza cimeli e bottiglie annerite dal tempo, ma una storia viva, che si dipana tra luci e ombre, suoni e colori, mescolando al

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rigore didascalico, l’ironia di alcune rappresentazioni e immergendo il visitatore in una multimedialità armonica e piacevole, con pulsanti e ingranaggi da azionare di persona che ci fanno sentire un po’ tutti protagonisti. In questo spicchio di Piemonte è concentrato un impressionante numero di materie prime: dalla carne che celebra il suo trionfo a Carrù ai superbi formaggi Dop, dai funghi e ai tartufi, fino ai peperoni quadrati e al cardo “gobbo”, re della bagna cauda. E poi le uve, talmente radiose da rendere questa terra la Food Valley italiana, dove non a caso è nato il movimento Slow Food di Carlin Petrini e dove stare a tavola per conversare e mangiare cibo genuino continua ad essere un piacere da dilatare il più possibile nel tempo. Così si spiega l’annuale “transumanza” di svizzeri, tedeschi, francesi e americani, che ogni autunno capitano qui, e in tanti adocchiano pure rustici diroccati per poi ristrutturarli e farne il loro buen retiro.“Un paese ci vuole - cantava Cesare Pavese ne “La Luna e i falò” -: vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. In questi versi si riflette anche il ciclo del vino che il museo racconta: alla sapienza del contadino vengono in soccorso elementi ancestrali come il sole, la luna, il tempo che porta a compimento tutto. Poi, scendendo al penultimo piano, il “nettare degli dei” viene calato in ogni campo della vita: dall’arte alla lettera-


tura, dal cinema alla musica, passando dai piatti poveri della tradizione contadina alle moderne intuizioni dei grandi chef contemporanei. Al piano nobile del castello viene evocato il profondo legame che da sempre unisce il vino, e in particolare il Re Barolo, alla famiglia Falletti e al territorio, raccontato dalla viva suggestione degli abitanti del borgo,“resuscitati” come per incanto da vecchie fotografie e riprodotti in sagome a grandezza naturale. L’omaggio ai personaggi illustri che hanno abitato il castello continua con l’eroe del Risorgimento Silvio Pellico, che qui fu bibliotecario dopo la terribile esperienza dello Spielberg e del quale si conserva intatta la camera-studio, e soprattutto con la contessa Giulia Colbert, dal grande slancio filantropico e in grado, con una leggendaria spedizione di Barolo a Re Carlo Alberto, di far lievitare l’immagine e il prestigio del “re dei vini” a livello planetario. L’enoturista troverà, come degna conclusione del percorso, l’Enoteca Regionale del Barolo, con il grande spettacolo delle etichette storiche e uno “store” per quelle moderne: qui ognuno potrà portarsi a casa il suo piccolo grande “tesoro”.

Il sito Internet è www.wimubarolo.it. Qui sarà possibile effettuare la visita virtuale al museo, prenotare on line le visite e acquistare il proprio biglietto. info@wimubarolo.it. Affari di Gola ottobre 2010 25


DIETRO LE QUINTE di Laura Bernardi Locatelli

“I pasti al bar? Ve li prepariamo così” Viaggio tra le gastronomie bergamasche che riforniscono i pubblici esercizi con piatti pronti per la pausa pranzo. Un lavoro “nell’ombra” ma prezioso per i locali che devono soddisfare i clienti ogni giorno

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al bar che nascono e mutano le mode e gli stili alimentari, a partire dalla pausa pranzo con i minuti contati. La sosta al bar all’angolo dell’ufficio, della scuola o della palestra è ormai diventato per molti un rituale quotidiano: con pochi euro si risolvono code chilometriche per far ritorno a casa, spese dell’ultimo minuto per comprare quanto meno il pane ed un buon quarto d’ora da passare ai fornelli. La Federazione italiana pubblici esercizi ha fotografato la crescita del fenomeno del pranzo fuori casa: è stato un vero e proprio boom dagli anni Novanta fino ai primi anni del nuovo Millennio. Poi, prima per l’introduzione della moneta unica, poi per l’avvicinarsi e il concretizzarsi della crisi economica, la crescita dei consumi fuori casa ha subito una battuta d’arresto, mantenendo un livello piuttosto costante e smentendo le previsioni di ulteriori aumenti. Nel 2009 ben nove milioni sono state le persone che per necessità in primis per lavoro - hanno consumato abitualmente il pranzo fuori casa. Sempre nello scorso anno sono stati serviti circa un miliardo e ottocentomila pasti che hanno generato un fatturato complessivo pari a

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12 miliardi e mezzo di euro. Ben 1.173.000 italiani ha scelto il bar. Da anni a fianco dell’offerta di piatti freddi e panini, i locali propongono menù completi realizzati esternamente, per le difficoltà che per molti esercizi comporterebbe l’inserimento di una cucina. Ogni giorno all’alba le gastronomie iniziano i loro turni di lavoro per consegnare a ritmo serrato in tutta la provincia piatti pronti, dal primo al secondo al dolce. Un lavoro di sacrificio destinato a restare un po’ all’ombra delle varie insegne dei pubblici esercizi, ma che dà grandi soddisfazioni. Dal 1995 ad oggi, il settore alimentare ha infatti messo a segno un aumento di oltre il 13%: nonostante le frequenti flessioni registrate nei consumi negli ultimi 7 anni, è riuscito a mantenersi sempre in attivo. Per dare luce al lavoro dietro alle quinte di chef e gastronomi che realizzano i piatti che ogni giorno migliaia di bergamaschi consumano fuori casa, siamo andati a vedere come si svolge una giornata tipo tra ettolitri di salse e quintali di pasta, carne e pesce, forni da controllare, confezioni da sigillare e consegnare in lungo e in largo direttamente nei locali.


Le aziende MILLE E UNA PASTA, QUI VINCE LA TRADIZIONE

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a oltre vent’anni rappresenta un punto di riferimento per piatti pronti, dall’antipasto al dessert. “Mille e una pasta” è una gastronomia tradizionale che alla vendita diretta in negozio ha affiancato da oltre dieci anni la fornitura di piatti pronti a pubblici esercizi ed effettua anche servizi catering su richiesta. Il menù proposto a bar e locali varia di giorno in giorno, ogni settimana e conta su una proposta quotidiana di almeno dieci piatti a scelta. L’offerta spazia dai primi, rigorosamente fa fatti in catagliatelle ravioli sa - tagliatelle, (alla zucca, ricotta e spinaci, di carne), casoncelli cason e gnocchi vvengono interamen interamente prodotti all’i all’interno del labo laboratorio - ai p piatti da forno - dalle lasag lasagne propos poste in 5 var varianti alle crespelle declinate in dieci ricette ad altre specialità sp gratinat gratinate - e risotti aai secon-

di di terra (dagli arrosti alle scaloppine) a quelli di mare, proposti ogni venerdì (il filetto di platessa è il più gettonato). Non mancano piatti freddi, dalle insalate di mare al vitello tonnato, per accompagnare il rituale della pausa pranzo nei mesi più caldi e verdure cotte, grigliate e gratinate per un pranzo più leggero e zuppe per i mesi più gelidi.“I piatti vengono realizzati ogni mattina e consegnati ai nostri clienti in confezioni monoporzione o per due coperti, con tempi di cottura rigorosamente calcolati in funzione del passaggio al microonde nel locale, per servire pasta al dente e risotti perfetti e secondi di carne e pesce dalla cottura uniforme, programmata con l’ausilio di forni tecnologicamente avanzati con sonda al cuore - spiega Claudio Crotti, che con l’aiuto della moglie Susanna gestisce l’attività con passione, in parte ereditata dalla famiglia di ristoratori. “La specializzazione nella fornitura a pubblici esercizi è stata una mia scommessa, portata avanti più di dieci anni fa, senza quasi crederci inizialmente più di tanto. La scelta si è rivelata subito vincente e - abbinata all’attività di vendita diretta in negozio, che conferma la nostra scelta di continuare ad essere una gastronomia artigia-

nale tradizionale - non smette fortunatamente di darci soddisfazioni. Ogni giorno consegniamo un centinaio di piatti pronti ai locali - spiega Crotti -. Mi occupo personalmente della scelta delle materie prime, affidandomi a fornitori che ci accompagnano da vent’anni nel nostro lavoro, specialmente per carne e pesce. Acquistiamo direttamente al mercato le verdure”. Quanto alle tendenze, a pranzo nei bar i primi piatti e i piatti da forno restano i preferiti, come del resto recita l’insegna: “Sono i più apprezzati: difficilmente a pranzo ci si concede un menù completo, in parte per contenere i costi, ma anche per una questione di gusto, abitudine e tradizione”.

via Campofiori, 40 - Almè - tel. 035 639626 Claudio Crotti

GASTRONOMIA MODERNA, SPAZIO AI PIATTI LEGGERI

L’

attività, inaugurata nel 2003, è frutto dell’esperienza dei soci nel settore alimentare, nella gestione di una società storica di famiglia, specializzata nella vendita e distribuzione di generi alimentari fin dagli anni Sessanta. Oggi la “Gastronomia Moderna” è una realtà affermata nel Nord Italia, specializzata nella fornitu-

ra a pubblici esercizi, ma anche a catene della grande distribuzione organizzata e, dal 2008, ha tra i suoi punti di forza lo studio e lo sviluppo di ravioli e pasta fresca, tutti prodotti artigianalmente. Da qualche anno i prodotti della Gastronomia Moderna hanno conquistato anche l’Inghilterra: sono infatti presenti nei mercatini

“Italia in Piazza” nel Regno Unito. Dotata di attrezzature d’ultima generazione, la “Gastronomia Moderna” offre un servizio di produzione e consegna di piatti pronti (con furgoni a temperatura controllata), con un’ampia possibilità di scelta tra primi e secondi. Il menù settimanale viene costantemente aggiornato e varia ogni

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giorno a rotazione. La proposta spazia dai classici della tradizione a piatti più particolari per soddisfare anche i palati più esigenti:

dai casoncelli alla bergamasca agli gnocchi alla romana, dagli spatole ai pizzoccheri, dalle tagliatelle ai funghi o ragù alle lasagne con scamorza e trevisana, ai bocconcini d’asino, ai brasati ed arrosti con polenta, per citarne alcuni. Completano l’offerta zuppe d’ogni genere, verdure lesse, alla griglia o da gratinare per un pasto leggero e soddisfano i più golosi i dessert della casa: tiramisù, panna cotta e torta di mele. Non mancano piatti per assecondare le esigenze di vegetariani, come le zuppe - in lista anche la pasta e fagioli - e le in-

salate ai cinque cereali.“In futuro vorremmo anche offrire una linea dietetica per rispondere alla crescente domanda di piatti leggeri o dai contenuti nutrizionali particolari - sottolinea Vittorio Bergamaschi, titolare della Gastronomia Moderna -. La passione per il nostro lavoro ci ha portato ad una rapida crescita: nel 2003 eravamo in 2, oggi siamo in 13. Ora intendiamo consolidare la nostra presenza sul mercato e guardare al futuro con ottimismo, continuando ad investire in innovazione, qualità e sicurezza alimentare”.

via Trento 45 - Treviolo - tel. 035 6226049

€UROG@STRONOMIA, OGNI GIORNO SERVITI 400 LOCALI

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el 1990 Roberto Gotti, forte dell’esperienza nella gestione della “Vineria Cozzi” in Città Alta, scommette sulla fornitura ai pubblici esercizi di piatti pronti e fonda l’€urog@stronomia, che oggi serve tutti i giorni 400 pubblici esercizi, con tanto di riconoscimento europeo di tutta la filiera (bollino Cee). Dal 2000 inizia la produzione di piatti surgelati d’alta gamma, creando ricette originali ed innovative per differenziarsi dalle aziende dai grandi numeri che operano nel settore. Ogni giorno effettua consegne di pasti pronti espressi: primi, secondi, contorni, ma anche panini imbottiti e tramezzini, piadine artigianali, basi pizza ed altre linee per agevolare il servizio bar, dagli aperitivi alle farciture. La proposta varia ogni giorno, a rotazione settimanale, con una scelta tra quattro primi e tre secondi, oltre alla possibilità di ordinare 20 primi e 15 secondi sempre a disposizione. L’offerta spazia dai piatti più semplici, come lasagne e casoncelli (le paste ripie-

ne vengono tutte fatte a mano), a piatti più ricercati, dalle pappardelle ai funghi ai pizzoccheri alla valtellinese, dal risotto con porcini e mele a quello al Branzi, alle penne con gamberi e zucchine e a molte altre ricette ancora. “Rispondiamo all’esigenza di bar e locali di offrire a pranzo un servizio di tavola calda, con una proposta interessante di piatti e soprattutto varia - spiega Gotti -. Vent’anni fa erano pochi i bar ad intuire le potenzialità di un servizio che oggi si rivela praticamente indispensabile per venire

via XXV Aprile, 21/23 Grassobbio tel. 035 19901806

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incontro alle esigenze della clientela, stanca di mangiare tutti i giorni un panino o una piadina al bar sotto l’ufficio. Il nostro è un servizio totalmente espresso e studiato per agevolare la vita di chi sta dietro al bancone: riceviamo ordini alle 7 del mattino e entro mezzogiorno serviamo i piatti pronti, con tempi di cottura calcolati per mantenerne intatte le caratteristiche quando vengono riscaldati al microonde, in porzioni singole o da 10. Ogni giorno consegniamo circa mille porzioni ai nostri clienti”.


LA GUIDA di Giordana Talamona

Viniplus, tempo di degustazioni per i sommelier lombardi Settanta gli esperti chiamati a valutare, per la nuova edizione, circa 700 vini di 220 cantine. Detti: «Obiettivo coinvolgere sempre più i ristoratori per far conoscere le eccellenze della nostra regione»

S

ono partite le degustazioni per la guida Viniplus 2011 ideata dall’Associazione Italiana Sommelier della Lombardia, promossa da As.co.vi.lo (Associazione consorzi vini lombardi) e dall’assessorato all’Agricoltura della Regione. Settanta i sommelier che fanno parte dei gruppi di degustazione e che si alterneranno, durante il mese di ottobre, nell’importante compito di valutare 700 vini circa, di 220 cantine lombarde. La guida nasce con l’intento di coinvolgere anche i ristoratori lombardi nella promozione dei vini del territorio. «Desideriamo che diventi un punto di riferimento forte per il professionista della ristorazione – spiega Fiorenzo Detti, presidente di Ais Lombardia –. Il nostro obiettivo è che sia lui a far conoscere, ad una clientela sempre più attenta ed esigente, le eccellenze della nostra regione». Un ruolo quindi non facile, quello che deve interpretare il degustatore Ais, mettendo al servizio i propri sensi, con competenza e tecnica, e traducendo in un punteggio le sensazioni del vino valutato alla cieca (del quale cioè conosce solo la tipologia ma non l’azienda), che sulla guida sarà

sintetizzato in “Rose Camune”, da una a quattro. «Ogni panel, formato da sette persone, è chiamato a valutare quaranta campioni di vino per giornata, numero minimo e non eccessivo per un degustatore esperto ed allenato», spiega Luigi Bortolotti responsabile dei degustatori di Ais Lombardia. Ogni degustatore, seduto al tavolo con altri colleghi, entra a far parte di panel diversi e non assaggia gli stessi campioni dei vicini, proprio per scongiurare ogni possibile involontaria influenza. Oltre a questo, per evitare che i sensi tendano ad una progressiva assuefazione, vengono serviti dapprima vini spumanti o bianchi delicati fino a giungere, via, via a campioni più complessi e strutturati. «Sono previste delle brevi pause tra le varie batterie di campioni e un’interruzione per il pranzo nel quale vengono serviti piatti leggeri e poco intensi in modo che i sensi non

vengano alterati», aggiunge Bortolotti. Anche quest’anno, quindi, come veri atleti, i degustatori ufficiali Ais sono stati preparati per affrontare questa prova che, per la sesta edizione, ha l’obiettivo di promuovere e valorizzare i vini lombardi. «La filosofia che muove Ais e che permette ogni anno la nascita di questa guida - spiega Bortolotti – non è quella di dare un giudizio assoluto su un vino, ma è piuttosto quella di fare un lavoro di sintesi del gusto di mercato. La Viniplus è diversa da qualunque altra guida perché esprime il giudizio di esperti del settore, degustatori ufficiali appunto, che sono mediatori tra i produttori e il gusto del consumatore esperto. Gli stessi degustatori sono acquirenti del vino, sono coloro che nelle cene con amici sanno consigliare un prodotto e sono coloro che sanno capire le scelte produttive di un viticoltore».

Nella foio in alto: il presidente di Ais Lombardia, Fiorenzo Detti, e il responsabile dei degustatori, Luigi Bortolotti

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L’EVENTO

4R, la formazione prende il largo In concomitanza con la quinta rassegna birrogastronomica, che ha registrato oltre 800 partecipanti, è stato inaugurato il nuovo centro di qualificazione professionale. Giampietro Rota:“Oltre a valorizzare la qualità dei prodotti, vogliamo contribuire ad accrescere le competenze degli operatori”

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umeri importanti per la quinta edizione della rassegna birrogastronomica firmata dalla 4R di Torre de’ Roveri. Ottocento persone, in rappresentanza di 250 operatori, il 27 e il 28 settembre scorsi hanno partecipato alla manifestazione dedicata al mondo della birra, confermando l’attenzione nei confronti di un prodotto versatile sia come ingrediente sia come abbinamento con i piatti della grande cucina, formaggi inclusi. I quattro incontri programmati, condotti e gestiti da Bobo Cerea, chef tristellato, e da Lorenzo Dabove, giudice brassicolo internazionale, hanno registrato il pieno assoluto, ribadendo la grande sensibilità e la voglia di approfondimento da parte degli operatori del settore su un prodotto che è sempre più protagonista sulle nostre tavole. “L’obbiettivo, pienamente raggiunto - sottolineano i quattro fratelli Rota, titolari dell’azienda - era quello di confermare la birra quale

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promotrice di nuovi modi di bere e mangiare. Come sappiamo, in questi anni si è modificato il modo di vivere il tempo libero e si sono create nuove opportunità di business da cogliere e da concretizzare. Conoscere quindi in modo approfondito non solo i sistemi di mescita delle birre, ma anche la loro naturale identità, vuol dire poter esaminare i criteri di scelta e, soprattutto, essere in grado di valutare le scelte necessarie per valorizzare al massimo il servizio della birra”. Durante la rassegna ha registrato conferme anche il mondo dei miscelati, realizzati con la birra. Sebastiano Garbellini, il barman giornalista a cui è stata affidata questa proposta, ha condotto la due giorni in modo innovativo. Cesare Assolari, ambasciatore culturale delle birre belghe in Italia, e Luca Ricupero, supervisore aziendale nonché responsabile dell’area birra del Centro formazione 4R, hanno completato la presentazione dei prodotti in degustazione relativa-


Davide, Maurizio, Dino, Giampietro, Luca e Enrico Rota

mente alle specialità delle birre in bottiglia sia dell’area belga che di quella tedesca. In concomitanza con la con la Gastronobirra, i fratelli Rota hanno poi inaugurato il nuovo Centro formazione dell’azienda. Nell’elegante struttura, realizzata nei pressi della sede storica di Torre de’ Roveri e che aspetta solo di essere riempita di appuntamenti, si trasferiranno i corsi e gli incontri dedicati alla birra (che già da tempo la Quattroerre proponeva nella sede di Seriate), ai quali saranno ora affiancate nuove proposte nel campo del vino, dei distillati e del bere miscelato. Crescono, quindi, e si concentrano in un solo spazio polivalente, a pochi passi dagli uffici direzionali, le proposte di aggiornamento professionale. Il tutto in linea con la filosofia aziendale, che punta a consolidare l’attività di informazione, consulenza e assistenza agli operatori della ristorazione e dei pubblici esercizi. Giampietro Rota, presidente della società, durante il discorso di benvenuto agli ospiti intervenuti per l’inaugurazione, il 27 settembre scorso, ha voluto precisare il senso di questa nuova scommessa: “La nostra filosofia mira a valorizzare la qualità dei

prodotti e vuole contribuire ad accrescere le competenze degli operatori del nostro settore. Da diversi anni, attraverso i nostri uomini e le nostre strutture, ci adoperiamo per favorire e diffondere la cultura del prodotto birra. Da questa forte convinzione abbiamo organizzato la quinta edizione di una rassegna dedicata al mondo brassicolo strettamente legato alla gastronomia, arricchita ancor di più da argomenti di ampio interesse per i professionisti grazie alla partecipazione di uomini di grande valore ed esperienza. Gli investimenti attuali, in modo particolare questo nuovo centro formazione - che rispetto al precedente sarà anche dedicato al settore vino e a quello dei distillati e miscelati - sono la testimonianza di come la nostra famiglia intenda affrontare il proprio futuro in un mercato in continuo mutamento e sicuramente più selettivo”.Al termine del benvenuto, Paolo Malvestiti (presidente della Camera di Commercio e dell’Ascom di Bergamo), Ezio Siniscalchi (presidente del Tribunale di Bergamo) e Roberto Marchesi (sindaco di Torre de’ Roveri), hanno provveduto al taglio inaugurale del nastro.

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Villa Franciacorta f secolo all’insegna d Lanciato il progetto “Una bollicina per un sorriso” per aiutare i bambini di Haiti LA SCHEDA Ermes Vianelli, Roberta e Alessandro Bianchi

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RNA, la Riserva nobile

n tempo le mappe dei viandanti segnavano solo Villa, Monticelli era di là da venire.Villa non esisterebbe se un imprenditore di Provaglio,Alessandro Bianchi, non ne avesse fatto la realizzazione di un sogno: la sua Sabbioneta agreste”. Così scriveva lo storico giornalista Danilo Tamagnini su un quotidiano agli inizi degli anni Ottanta. In effetti, la storia di Villa è la storia di una famiglia cresciuta a stretto contatto con la terra ed il territorio che la ospita, unita da una profonda passione per il mondo del vino, il rispetto per la natura ed i ritmi che la governano. In occasione del 50° anniversario dalla sua fondazione, l’Azienda agricola Villa ha festeggiato, il 9 ottobre scorso, con una serata di gala. L’evento ha ripercorso il mezzo secolo di passioni, emozioni, scommesse e soddisfazioni attraverso racconti, memorie, foto e scorci di uno storico borgo che dal 1960 ha ripreso a vivere e a riappropriarsi dell’antico splendore. Villa rappresenta un nome che ha contribuito da sempre alla creazione del mito Franciacorta, essendo una delle 29 fondatrici del Consorzio nel 1990. Ma questa è specialmente la storia di un uomo, Alessandro Bianchi, che in 50 anni di lavoro ha sempre anteposto la qualità del prodotto al guadagno immediato. Nel 1960, anno in cui la famiglia Bianchi rilevò il borgo medievale Villa ed il centinaio di ettari di pertinenza,

La Riserva Extra Brut Millesimato 2004 Franciacorta è una Docg prodotta dall’assemblaggio di uve Chardonnay (78%) e Pinot Nero (22%). La vendemmia è effettuata il 2 settembre con valori analitici ottimali, buona acidità e giusto grado alcolico. Maturazione: Rifermentazione e presa di spuma in bottiglia con l’aggiunta di ceppi di lievito selezionati. Successiva maturazione sugli stessi per 5 anni, intervallati a distanza di 24 mesi da due ndere scatastamenti con agitazione per diffondere ieviti meglio nel vino gli aromi sprigionati dai lieviti durante la fase di lisi. mo e Note di degustazione: Perlage finissimo ai ripersistente, colore cristallino e vivace dai one flessi dorati, RNA è il frutto di una selezione 4. Il delle migliori basi Franciacorta del 2004. abouquet ricco, fragrante, intenso dal quate le si sprigionano ampie e profumate note afloreali, di crosta di pane e nocciola tostaa, ta colpisce sin dal primo istante. In bocca, ta grazie all’esiguo grado zuccherino, risulta liasciutto e pulito. Il gusto è pieno, equilibrato e persistente.

Un bresciano il miglior sommelier d’Italia A Perugia, in occasione del 44esimo Congresso nazionale dell’Associazione Italiana Sommeliers, è stato eletto il miglior sommelier d’Italia. Ben 16 i semifinalisti aspiranti al titolo. Tra questi ad aggiudicarsi il premio è stato Nicola Bonera, che ha preceduto sul podio Gabriele Del Carlo e Niccolò Baù. Il trofeo gli è stato consegnato da Maurizio Zanella, presidente del Consorzio per la Tutela del Franciacorta, al termine della finale. Nicola Bonera succede così al tosca-

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no Luca Martini e raccoglie il testimone da un altro lombardo, Ivano Antonini, che si era aggiudicato il titolo nel 2008. Il vincitore ha ricevuto come premio un assegno da 7mila euro e 6 magnum di Franciacorta. Trentunenne, bresciano, Bonera lavora attualmente come wine consultant per diversi ristoranti ed enoteche. Non è solo un sommelier di lunga esperienza e indiscussa preparazione, ma è anche relatore Ais e formatore di elevata

professionalità e competenza. Già vincitore del Master del Sangiovese nel 2006 e Miglior sommelier della Lombardia nel 2002 a soli 23 anni, Bonera ricopre da anni un ruolo molto importante all’interno dell’Ais Lombardia e della sua delegazione di appartenenza a Brescia. “Il risultato ottenuto da Nicola Bonera ci rende particolarmente orgogliosi - afferma il presidente Ais Lombardia, Fiorenzo Detti -. Non è la prima volta che la sommellerie lombarda


a festeggia mezzo a della soli darietà gli ambienti erano ormai in rovina e con essi anche i mezzadri che vi abitavano. Da subito Alessandro intuì le potenzialità di questa terra, investì nella ricerca geopedologica ed enologica arrivando in poco tempo a risultati incoraggianti. Oggi la maison produce oltre 310mila bottiglie, delle quali 260mila sono rappresentate da Franciacorta Docg e le restanti 50mila da Curtefranca Doc e Sebino Igt. La cantina, che da sempre ha rappresentato il fulcro dell’attenzione aziendale, ha raggiunto quest’anno gli oltre 2700 mq. L’attenzione alla qualità (in primis del terreno e delle uve), la scelta di vinificare solo le uve provenienti dai 37 ettari vitati di proprietà e di millesimare ogni prodotto, fanno di Villa una componente significativa del territorio. Oggi l’antico borgo, oltre alla cantina, ospita l’agriturismo Villa Gradoni, un ristorante ed un centro benessere. In occasione della celebrazione, è stata allestita una mostra fotografica all’interno dell’antico fienile dell’azienda (per ripercorrere le tappe salienti) ed è stato anche presentato il progetto “Una bollicina per un sorriso” a sostegno della Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus a favore dei bambini di Haiti. Protagonista del progetto è RNA, la “Riserva Nobile Alessandro Bianchi” (ma anche RNA come patrimonio genetico di un terroir messaggero di qualità, di eccellenza) presentato proprio per i festeggiamenti del cinquantesimo anniversario. Attraverso la vendita di mille bottiglie di questa Docg, si punta a sostenere il Progetto di ricostruzione delle Scuole di Strada, con la donazione di un’aula scolastica. “A mio padre - ha detto durate la serata Roberta Bianchi - che intuì le potenzialità di questi terreni dedico questa riserva e lo ringrazio per avermi tramandato l’amore per la terra, per ciò che ogni giorno sa trasmetterci con il suo agire e che è entrato a far parte del nostro Dna”.

esprime dei campioni italiani; più volte in passato la Lombardia si è distinta a livello nazionale vedendo sul podio più alto grandi professionisti; tra gli ultimi campioni italiani, i lombardi Michele Garbuio, Luisito Perazzo e Ivano Antonini.“È stata una rincorsa durata sei anni - commenta il vincitore - dopo due piazze d’onore ai concorso del 2004 e del 2007”.

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IL PREZZO FISSO di Fulvio Facci

Da Gianni, il sapore di una storia lunga quattro generazioni Cominciata nelle cucine dal Gran Hotel di San Pellegrino, l’esperienza della famiglia Bertinotti ai fornelli prosegue a Zogno. Tra proposte irrinunciabili come polenta taragna, funghi e selvaggina e novità come la pizza, il pesce e il chiosco estivo sul fiume

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a Gianni” a Zogno: una storia che viene da lontano, nel tempo, e che sembra essere destinata ad andare ancora lontano. Parliamo di generazioni che si susseguono nella gestione e nella tradizione, non mancando però di innovare e di adeguarsi alle esigenze dei consumi che cambiano. «Mio nonno – racconta Gianfranco Bertinotti che con la moglie Brunella Bettinelli, il figlio Andrea e i collaboratori manda avanti l’attività – era chef al Grand Hotel di San Pellegrino dove mia nonna faceva la dispensiera. Anche mio papà ha lavorato al Grand Hotel e poi ha gestito l’Hotel Como, un quattro stelle. Era uno chef che proveniva dalla gavetta, aveva lavorato anche al Cappello d’O-

ro. Insieme a mia mamma Annamaria nel ’56 ha aperto il primo locale poco più a monte rispetto a quello attuale e dal ’64 siamo qui in questa struttura». Ristorante e hotel con dieci camere, Da Gianni è un indirizzo consolidato, che si mantiene al passo con i tempi e non disdegna le novità. Da tre anni ha introdotto la pizzeria e da cinque nel periodo estivo apre una “dependance” all’aperto sul fiume: un chiosco nel parco del Brembo proprio di fronte al ristorante, dove fermarsi per una bibita, un aperitivo o una grigliata. «Mio padre, Gianni, diceva che lavorando bene – prosegue Bertinotti - i clienti si sarebbero fermati anche a Zogno, senza arrivare a San Pellegrino ed aveva ragione».

LA PROVA

«Il menù di mezzogiorno? La nostra pubblicità» «Dieci euro tutto compreso per un menù così a mezzogiorno? Di certo non guadagniamo molto, probabilmente cambiamo i soldi, come si dice in gergo, ma va bene. Si tratta di una specie di promozione che ha sempre dato i suoi frutti: la gente torna e la clientela è costante». Così Gianfranco Bertinotti, patron del locale, definisce un servizio, il pranzo a prezzo fisso di mezzogiorno, che in realtà è riduttivo definire menù fisso. In pratica, infatti, si tratta di un menù alla carta ridotto ma con diverse alternative e con piatti curati e di qualità. Del resto la clientela che si ferma a mezzogiorno Da Gianni è abbastanza composita e sono diversi i clienti che scelgono i menù tradizionali. A parte i piatti – ovviamente - non cambia perciò

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molto per chi opta per la versione “da lavoro”: le mise en place sono le stesse così come è lo stesso il ricco buffet di contorni. La lista è diversa, s’è detto, ma che lista. Canederli al burro e salvia, casoncelli alla bergamasca, spaghetti alla cozze o alle vongole, penne all’amatriciana e alla boscaiola, orecchiette alla boscaiola le proposte per i primi. Casoeula (costine e verze), pollo alla cacciatora, carpaccio di manzo, pesce spada alla piastra, calamari fritti e filetto di trota alla piastra costituivano invece la lista dei secondi piatti. Ci siamo orientati sul pesce: spaghetti alle cozze e fritto di calamari oltre a pomodori e peperoni gratinati, cavalfiore ed erbette dal buffet dei contorni. Grande pranzo, con ottimo rappor-

to tra qualità e prezzo (per questo aspetto non a caso Da Gianni è segnalato anche su una versione della guida Michelin edita solo in Francia e dedicata al rapporto prezzo/qualità). Vino, acqua e caffè sono compresi nei dieci euro, nel segno della più sana tradizione del prezzo fisso.


Gianfranco Bertinotti, a destra, con la moglie Brunella e il figlio Andrea

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In effetti il discorso va contestualizzato. Quando è sorto “Da Gianni”, San Pellegrino era una meta turistica di grande rilevanza ed in un certo senso poteva contare anche sul bacino costituito dalle località montane di Piazzatore e Foppolo. Aprire a Zogno era quindi una sfida. Che è stata vinta. «Beh, è evidente che i tempi sono cambiati – rileva il patron -. La clientela è diversa, a San Pellegrino non si girano più film e non ci sono più convegni, ma noi continuiamo a lavorare con soddisfazione. Certo dobbiamo sempre inventarci qualcosa». Non recentissima ma una delle ultime “invenzioni” di Gianfranco Bertinotti e del figlio Andrea, quinto anno di alberghiero, che collabora in cucina (da qui l’affermazione che la storia è destinata ad andare avanti) è stata l’inserimento nella carta del pesce, un’iniziativa rivolta prevalentemente alla clientela locale visto che per il resto il menù, col suo storico appeal, è molto legato a piatti della tradizione. «La nostra è una cucina tradizionale rivisitata e ci diamo da fare anche col pesce con proposte che non sono banali – spiega Bertinotti -. Ma per il resto i punti forti rimangono i funghi e la selvaggina, la taragna col tartufo nero, i brasati, il coniglio. Sono i piatti che hanno fatto la nostra storia, la nostra fortuna vorrei dire, e per i quali i clienti tornano anche dalle province che hanno sempre gravitato su San Pellegrino per la villeggiatura, come Milano, soprattutto, e Como» Se sono i secondi a farla da padrone, non si scherza nemmeno con le altre portate. L’antipasto tradizionale della casa, ad esempio, è un piatto da non lasciarsi sfuggire sia per la qualità degli affettati sia per il delizioso patè di fegatini sia per il filetto di trota in carpione. Tra i primi piatti il richiamo alla territorialità è ancora più accentuato con i ravioli della casa al formaggio di monte con tartufo nero oppure con le foiade alla saracena con funghi porcini. E quando Gianfranco Bertinotti parlava di piatti non banali per quanto riguarda il pesce probabilmente pensava agli spaghetti alle sarde fresche con olive e pomodori di Pachino. La buona mano in cucina, del resto, è garantita dalla storia ed è pronta a scrivere anche quella futura.

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L’ANGOLO

DEL SINGLE di Marco Bergamaschi

Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina

Capita a tutti nella vita di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo mo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.

Wurstel piccanti, spazio alla fantasia Ingredienti per 1 persona 2 wurstel 1 cipolla rossa piccola 1 cucchiaio di olio d’oliva extra vergine olio di oliva extravergine a piacere 1 pezzetto di peperoncino rosso piccante sale a piacere Preparazione Tagliate la cipolla a cubetti e mettetela in una padella con l’olio e un po’ di sale. Fatela rosolare per qualche minuto. Unite i pomodorini tagliati in quattro, il peperoncino, ancora un po’ di sale e fateli cuocere a fuoco vivo mescolando di tanto in tanto per 5-7 minuti, fino a quando il tutto sarà ben rosolato. Unite i wurstel tagliati a tocchetti e fate rosolare anche loro a fuoco vivo mescolando continuamente per altri 4 minuti. Servite il tutto con delle fette di pane integrale

LA CURIOSITÀ Il wurstel è un salsicciotto che si ottiene unendo insieme una miscela di carne suina, bovina, grasso suino, sale, spezie ed acqua, che viene prima macinata minuziosamente e poi insaccata e cotta in forni a vapore. È un alimento goloso, che piace a tutti, grandi e piccini, ma che, ahimè, viene annoverato tra i meno salutari. Infatti i tagli di carne utilizzati sono generalmente poco pregiati (solitamente vengono impiegate parti difficilmente vendibili in macelleria) e non sono molte le aziende che producono wurstel di qualità. In aggiunta, poi, le confezioni con lunghe scadenze contengono consistenti dosi di conservanti come i nitriti e i nitrati e in particolare il nitrito di sodio e il nitrato di potassio, sostanze dannose, bandite da sempre dall’etica dell’alimentazione. È importante allora scegliere wurstel di ottima qualità, cioè non costituiti da scarti ed interiora, ma da parti scelte, come accade quando si acquista una bistecca. In alternativa, si possono provare quelli vegetali, al tofu o al seitan. In commercio non c’è che l’imbarazzo della scelta e quelli che noi prediligiamo sono composti da acqua, glutine di frumento, olio di girasole, estratto di lievito, cipolla, spezie, sale e farina di semi di carruba. Hanno un sapore un po’ diverso dal clas-

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sico wurstel, ma sono buoni e soprattutto più sani. Il peperoncino rosso è invece una spezia dalle mille risorse, ampiamente usata per preparare primi e secondi piatti, che non solo risultano gustosi, ma anche sani; infatti fornisce all’organismo vitamine e numerose altre sostanze preziose tra cui la capsaicina, un principio attivo che influisce sulla circolazione periferica del sangue e sui ricettori periferici nervosi, stimolando la circolazione sanguigna. Studi recenti hanno poi scoperto che il peperoncino rosso sembra avere un ruolo importante nella prevenzione del tumore alla prostata e il suo uso regolare, grazie alle proprietà antiossidanti, aiuta ad inibire lo sviluppo di manifestazioni cancerose a livello dello stomaco. In ultimo, il peperoncino è ricco di vitamina C, importante nella difesa contro le infezioni e di vitamina E, conosciuta anche come la vitamina della fecondità e della potenza sessuale.A tal riguardo, già nell’antichità gli erboristi preparavano, a dir loro con ottimi risultati, creme e pozioni in grado di aumentare la qualità delle prestazioni di nobili, sodati e persone comuni. Non esistono però studi che confermano o meno la teoria e il quesito “sarà poi vero o era solo suggestione?” continua a rimanere aperto.


Tappe a San Michele all’Adige e in Val di Fassa

“Ristoranti Regionali Cucina Doc”, alla scoperta dei sapori trentini

Food Service Equipment

attrezzature per la ristorazione

Danilo e Luciana Moresco e al centro Marinella Argentieri

S

ono stati festeggiati con un menù all’altezza della ricorrenza i 25 anni di associazione del ristorante Da Pino di San Michele all’Adige (Tn) al gruppo Ristoranti Regionali - Cucina Doc (www.ristorantiregionali.it), costituito in provincia di Bergamo all’inizio degli anni 70, per la salvaguardia della cucina regionale e guidato da Marinella Argentieri. Un brindisi con due prodotti Doc Pisoni Brut millesimato Metodo Classico accompagnato da una degustazione di Trentingrana - ha aperto il convivio. Al brindisi, offerto nell’enoteca del locale, è seguito il pranzo preparato dallo chef executive Giuseppe Prencipe e dalla sua brigata, che è stato servito nella ristrutturata prima sala del ristorante, inaugurata per l’occasione. Con la consegna della targa per i 25 anni di associazione, il gruppo Ristoranti Regionali - Cucina Doc ha voluto riconoscere ai titolari (Luciana e Danilo Moresco)il merito di aver svolto con impegno e capacità il loro lavoro che ha saputo valorizzare la cucina del territorio. Al Gruppo è associato anche l’Hotel Pancrazio Scola Relais San Giusto di Campitello di Fassa, piccolo e accogliente esempio di ospitalità trentina guidato da Pancrazio Scola che si distingue per l’attenzione del suo ristorante alla buona tavola, con specialità e vini di nicchia, scelti anche tra le migliori produzioni trentine. Recentemente la segreteria del Gruppo ha invitato una selezione di giornalisti enogastronomici presentando loro le specialità del San Giusto. Come la povera “supa rostida” una minestra di farina abbrustolita o il “filetto di baccalà alla San Giusto con polenta morbida di Storo”. Non solo neve, quindi, in Val di Fassa, ma la possibilità per sportivi e non di trascorrere tutto l’anno vacanze rigeneranti in un contesto naturale ineguagliabile, arricchito dai buoni sapori della tavola.

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Affari di Gola giugno 2010

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Affari di Gola

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Supplemento al n. 24 de “La Rassegnaâ€? del 24 giugno 2010 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile - Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - â‚Ź 2,60

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Pesce azzurro, costa poco ma vale tanto

ottobre 2010

luglio 2010

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