Affari di gola ottobre 2013

Page 1

9 771826 772006

30008

Supplemento al n. 37 de “La Rassegna” del 17 ottobre 2013 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60

ottobre 2013

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Bergamo, il piccolo “esercito” che punta al rilancio delle castagne

FRANCIACORTA Esplodono i malumori all'interno del Consorzio di Tutela


Grotta Azzurra Ristorante Pizzeria

Lo staff della Grotta Azzurra ringrazia i suoi fedelissimi clienti per la vittoria ottenuta nel concorso “Vota la pizzaâ€?. Vi aspettiamo, come sempre, per deliziarvi con i nostri piatti di pesce e le nostre pizze vincenti anche al metro. BERGAMO - Via Pietro Ruggeri da Stabello, 51 - tel. 035.577007 - fax 035.4729231 Chiuso il lunedĂŹ seguici su facebook

grotta azzurra bergamo

www.grottaazzurra.eu


ottob

re 20 13

EG NA

SA PO

RI, GU ST

I E PIA CE

RI DE L TER RIT

5

23

6

8 3000

6

www.affaridigola.it

6 77200

19

SOMMARIO

9 77182

OTTOBRE 2013

Supple mento via Borgo al n. Palazz 37 de “La Rasse o 137, gna” Berga mo Poste del 17 ottobr e Italian e S.p.A. 2013 - Giusep Spediz ione in pe Ruggieri diretto Abbon re ament o Postal responsabile e - D.L. Editric e: 353/20 03 (conv. La Rassegna in L. 27/02/ S.r.l. 2004 n. 46)

art. 1,

comm

a 1, DCB

Berga

mo - ?

2,60

IN RA SS

FRAN CIA Esplod CORTA on i malum o del Co ori all'interno nsorzi o di Tut ela

PENNA ALL’ARRABBIATA

La Coca Cola mi esclude. Per fortuna mi “salva” il vino

L'APPROFONDIMENTO

La nuova stagione dell’albero del “pane”

11 LA RISCOPERTA

Torna in tavola il “Bescòt de Éla”

12 IL PERSONAGGIO Che pane con un po’ di Branzi nell’impasto!

26

OR IO

il picco Bergamo, che pu lo “esercito” nta al ri delle ca lancio stagne

14 L'INTERVISTA

“Lo spumante italiano è cresciuto, ma evitiamo paragoni coi francesi”

16 IL PRODOTTO

L’evoluzione di “Barbis”: il burro dal latte di capra

19 L'ITINERARIO

Una giornata a Monte Isola tra sapori e vecchi mestieri

23 TENDENZE

Colazione a stelle e strisce

26 LA POLEMICA

Franciacorta, prime crepe all’interno del Consorzio

30 FACECOOK

Con un tocco bergamasco, le pizze conquistano gli svizzeri

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamo - el. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Michela Brivio, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg


Valcalepio g i a r d i n o d i B e rg a m o

s p o s a l a n at u ra e d i s u o i c o lo r i

CONSORZIO TUTELA VALCALEPIO Via Bergamo, 10 - 24060 San Paolo d’Argon (BG) Tel. +39 035 953957 - Fax +39 035 951592 ctv@valcalepio.org - www.valcalepio.org www.emozionidalmondo.it


ottobre 2013

La Coca Cola mi esclude Per fortuna mi “salva” il vino di Pier Carlo Capozzi

S

olo io posso capire la tragedia di chi ha un nome composto. E, soprattutto, di chi ha un nome composto inusuale. È una faccenda che ha origine fin dalla nascita e dall’ignoranza dell’allora addetto all’anagrafe. Amico di mio padre, per soprammercato, insistette nel dire che non potevano chiamarmi Piercarlo. Così, tragicamente, fui dichiarato Piero Carlo con una serie di problemi di natura pratica che non sto qui ad elencarvi, mancandomi tra l’altro anche lo spazio. Il nome è importante, accidenti se lo è. Se ne sono accorte anche Coca Cola e Nutella, che impazzano attualmente nei supermercati con barattoli, lattine e bottiglie personalizzate. Nel mezzo ci si mise pure qualche burlone che iniziò a fotografare le scatole di biscotti del Mulino Bianco, scritte con l’iniziale maiuscola, presenti nei supermercati, fino a formare parole anche lunghissime, per poi postare tutto su Facebook. Abbracci, Batticuore, Campagnole, Rigoli, Tarallucci e altri ancora si prestavano alla bisogna: ci fu un genio che arrivò a scrivere “Massaggiatrici”, non avendo, evidentemente, altro di meglio da tirare insieme nella sua sfolgorante esistenza. Sembra, in realtà, che la prima ad ideare etichette su misura sia stata la Heinz, mamma del Ketchup, che nel 2011 stipulò un patto di partnership proprio con Coca Cola. Ma il fenomeno attuale, studiato dai rispettivi esperti di marketing, è quello del bere scuro e della crema alle nocciole. Sono cresciuto in mezzo alla Coca Cola, considerando l’attività dei miei genitori, che hanno sempre avuto un pubblico esercizio da portare avanti. Ricordo anche l’offensiva della Pepsi, negli anni Sessanta, con le ambitissime spillette che arrivavano sulla folla dall’auto pubblicitaria al seguito del Soap-Box Rally. La Nutella, invece, ha ricordi più teneri, legati alle vacanze baresi al mare: zia Anna ce la spalmava su clamorose fette di pane al nostro arrivo dalla spiaggia verso il tardo pomeriggio. Insieme a frullati paradisiaci. A Bergamo non avevamo dimestichezza né con l’una né con

gli altri e pensai che i miei zii, probabilmente, fossero molto più benestanti di noi. Adesso, quindi, se vuoi una lattina col tuo nome, basta cercarla tra gli scaffali. L’iniziativa si chiama “Condividi una Coca Cola con…” e sta riscuotendo, in effetti, un eccellente riscontro. Il problema, tale da giustificare l’incipit, è ovviamente uno solo: secondo voi c’è in circolazione una lattina con scritto Pier Carlo? Neanche per idea. E la beffa potrebbe essere anche circoscritta, e non atroce, se non avessi visto in giro la bottiglia dedicata a Pierpaolo. Qui siamo molto oltre il danno: vediamo cioè premiata una delle frequenti storpiature del nostro nome (Pierpaolo, appunto, insieme a Pierfranco, Giancarlo e via biascicando). Qui entriamo a pieno titolo nella atrocità gratuita. E non andiamo meglio col barattolo di Nutella (che pare sia andata a rimorchio dell’idea della Coca Cola), che viene presentato con la campagna pubblicitaria “Il buongiorno ha un nuovo nome, il tuo”. Magari. Forse se mi chiamavo Andrea, Marco o Francesco. Ma, col nome complicato che mi ritrovo, tra i ben 150 a disposizione per un adesivo personalizzato, non c’è proprio niente da fare. Pensate un po’ che, a rappresentare i nomi composti, c’è soltanto Gianluca. Fine del calendario. Roba da farsi venire una crisi esistenziale. Meno male che, tempo addietro, il mio amico-patron Stefano, per celebrare il mio onomastico novembrino (doppio nome, doppia festa, lasciatemi almeno questo bonus), mi fece trovare al tavolo una bottiglia di Percarlo, un eccellente sangiovese toscano. Mi è andata infinitamente bene: Gino Veronelli, che ci duellò a colpi di carta da bollo, non mi avrebbe mai perdonato una Coca Cola personalizzata. Ma per il frutto delle vigne di Gaiole in Chianti, sono sicuro di aver avuto la sua affettuosa e compiacente benedizione.

PENNA ALL’ARRABBIATA

Il dramma di avere un nome composto e quell'etichetta amica

piercapozzi@libero.it

5


L'APPROFONDIMENTO di Laura Bernardi Locatelli

Grazie al lavoro di veri e propri appassionati, sono nate di recente due associazioni, i Castanicoltori Orobici e del Misma, che puntano alla difesa e al rilancio del castagno, recuperando anche le antiche tradizioni culinarie legate al suo frutto. Lego: "Rappresentano un patrimonio da salvaguardare e curare come ogni altro frutteto" I componenti del Consiglio dei Castanicoltori Orobici, tra cui Diego Personeni, Franco Cavagnera e Danilo Carminati; con la torta il presidente Lorenzo Lego

I

La nuova stagione dell’albero del “pane” l nome del castagno da frutto in Bergamasca è “erbol”, tradotto “albero”, la madre di tutte le piante. Come l’albero del pane ai Tropici, il castagno rappresenta un importante dono della natura, tanto da aver sfamato nei secoli generazioni di contadini e allevatori di colli e monti. Da una selva ben curata, oltre alle castagne, si traevano foraggi per lo sfalcio estivo e il pascolo autunnale, foglie per la lettiera degli animali, legna da ardere dopo lo spurgo del tannino e infine funghi e miele pregiati. La castagna era una vera e propria moneta, con un tasso di cambio fisso: un sacco di castagne portate dai colli equivaleva ad un sacco e mezzo di frumento della pianura. Presenti a tavola in tutte le salse - dalla ricetta più disperata con cipolle qualche castagna e quanto offriva la magra dispensa (maiasì) ai leggendari biligòcc, dal pane di castagne alle caldarroste, ai semplici frutti essiccati lasciati ammollare nel lat-

te per la colazione dell’indomani o bolliti, alle castagne peste a suon di energiche bastonate - sono state la principale fonte di carboidrati ed energia ai piedi delle Prealpi. A San Mauro e Sant’Antonio, appuntamenti irrinunciabili per agricoltori e allevatori, si compravano i biligòcc; a scuola o durante viaggi o feste spopolavano le “caramelle degli studenti”, un concentrato di salute e vitamine, che altro non erano che castagne secche per spezzare la fame o meglio essere spezzate e rese morbide, a suon di masticare a vuoto dalla fame. Se la tradizione dei biligòcc è stata recuperata a Casale di Albino e a Poscante di Zogno, che ne rivendica la nascita nel 1300, grazie al Gruppo Culturale Amici di Casale, che hanno ormai fatto delle castagne affumicate della Valle del Lujo un marchio, l’associazione Castanicoltori Orobici, nata nel 2010, e la neonata associazione Castanicoltori del Misma, creata a

LE SPECIE TIPICHE DELLA BERGAMASCA I primi tappeti di ricci nei boschi sono quelli delle ostàne (agostane), prima avvisaglia della fine dell’estate. Le prime castagne vanno consumate fresche e, essendo le prime a maturare, come ogni altra primizia, spuntano buoni prezzi sul mercato. Nel cuore dell’autunno matura la castagna doaola dalla buccia molto lucente che si presta in cucina per ogni uso, compresa la preparazione particolare dei biligocc. Nello stesso periodo si coglie nei boschi la rosèra, dalla buccia di color mogano, la qualità forse

6

più pregiata di castagna, selezionata per i biligocc. Nella selezione per questa preparazione tipica bergamasca finivano anche le castegne nigre o nigrù dalla buccia molto scura, dal gusto dolce e dalle piccole di-

mensioni e le castagne selvatiche - saadega - dalle caratteristiche ogni volta differenti ideali da consumare fresche, nude e crude come la natura le ha create. Le ultime castagne a maturare sono le balestrère che un tempo grazie alla buona conservabilità in ricciaia sfamavano la famiglia tutto l’anno. Anche la belìna era la castagna da consumare tutto l’anno, tra le più appetibili sul mercato. Con il loro gusto dolce, la facilità di distacco della buccia e la pezzatura medio grossa le beline si prestano ad essere es-


ottobre 2013 fine 2012, si battono per il recupero di castagneti e la valorizzazione dei loro frutti. Nonostante il periodo economico non sia dei più felici e l’impegno per recuperare selve e boschi sia considerevole e a lungo termine, dato che il castagno raggiunge il top della produttività a 80 anni, sono tanti i giovani che si cimentano in questa eroica impresa di riappropriazione delle tradizioni passate per le generazioni future. A mettersi di traverso negli ultimi quarant’anni sono arrivati prima il "cancro" e poi il cinipide, che ha fatto dei veri e propri danni negli ultimi anni, amplificati dalla siccità. Per combattere il cinipide, la vespa cinese importata assieme a varietà orientali con innesti di bassa qualità - che ha in breve tempo infestato quasi tutto il territorio nazionale - è arrivato in soccorso un minuscolo “killer” con gli occhi a mandorla, dal Giappone, il Torymus che sta cercando di debellare la vespa del Dragone. Ma la vera sfida, dato che dal Piemonte arrivano risultati incoraggianti dall’impiego dell’insetto nipponico nella lotta integrata, è la riappropriazione di tradizioni e i piatti da riscoprire, che sono un vero e proprio condensato di salute. I castagneti, abbandonati negli anni del boom economico e lasciati definitivamente a sé stessi negli anni Settanta, per fortuna rivivono grazie all'impegno di veri e propri appassionati. Lavorano in aziende, sindacati, multinazionali, ma solo all’ombra delle selve castanicole

siccate, a fare le mondine e i biligòcc. Meno pregiate le tardive, dal gusto mediocre ma dalla buona pezzatura, da gustare arrosto. Nella Bergamasca non mancano varietà più “esotiche” dai marù, castagne dalla grossa pezzatura ideali per essere bollite o arrostite, ai bancabà, portate dagli emigranti, derivate dall’innesto con marze di castagni francesi, non molto saporite ma davvero belle da vedere. I frutti tipici delle Valli Brembana e Imagna Le prime castagne colte in Val Brembana e in Valle Imagna sono della varietà niculì o nicolina, dal frutto dalla grossa pezzatura ideale per i primi biligòcc o per finire in acqua bol-

ritrovano il perfetto equilibrio tra fatiche dell’uomo, a suon di potature e rastrellature, e prodigio della natura, con alberi maestosi in grado di raggiungere anche i 600 anni, che sin dall’antichità hanno suscitato grande interesse per molteplici utilizzi. C’è chi ha acquistato una proprietà e si è ritrovato un bosco di castagni da salvare e ripulire da rovi e sterpaglie e chi ha ereditato la passione e l’amore per una delle più importanti essenze forestali del territorio e per i suoi frutti dalla famiglia, con segreti tramandati di generazione in generazione. Il presidente e fondatore, assieme ad un gruppo di appassionati e depositari di una lunga tradizione, dell’associazione dei Castanicoltori Orobici, Lorenzo Lego, si è lasciato irreparabilmente conquistare da alcuni castagni secolari a due passi dalla baita acquistata nel 2000 ad Averara. Nell’ultimo lembo di terra per altitudine in Bergamasca per la crescita dei castagni, prima che la collina ceda il passo alla montagna, è iniziato il rilancio di questa particolare coltivazione che ha sempre rappresentato una risorsa alimentare ed economica fondamentale per la Valle. “Ho iniziato a documentarmi sulla coltivazione grazie all’aiuto di esperti e di altri appassionati - spiega Lego, che nella vita di tutti i giorni lavora presso un’organizzazione sindacale -. Dopo la partecipazione ad un convegno a Cuneo, nel 2010, ho cercato di costruire una rete di castanicoltori e grazie a questo gruppo abbiamo costituito un’associazione. L’obiettivo è quello di ridare importanza alla castanicoltura che fino al secondo Dopoguerra ha rappresentato un’insostituibile risorsa nelle nostre colline e montagne. L’associazione organizza corsi di formazione, di gestione e recupero delle selve, dai rudimenti del mestiere per i neofiti ai segreti dell’arte dell’innesto e della cura della pianta”. Con il simbolo di una castagna con il profilo di Città Alta, rappresenta un punto di riferimento per questo tipo di coltura dalla Valle San Martino al Lago d’Iseo, dalla Val Seriana alla Val Brembana. “I castagneti punteggiano tutta la fascia pedemontana dal lago di Lecco a quello di Iseo e rappresentano un patrimonio da salvaguardare e curare come ogni altro frutteto - continua Lego -. In futuro, quando la produzione diventerà interessante, l’associazione potrà anche rappresentare un punto di riferimento per la commercializzazione dei frutti migliori”. Molte risorse sono dedicate anche all’attività didattica: “A Filago abbiamo contribuito a creare un frutteto di castagno per i bambini, pronto a crescere con loro e a diventare tra qualche anno un vero e proprio campo scuola en plein air dove fare lezione e ricreazione a contatto con la natura”, conclude il presidente.

lente. Si raccolgono ad inizio autunno anche le penoset e le taioca e le Fuipiana dal frutto molto grosso. Nel cuore della stagione tra i prodotti della selva ci sono le castagne Templina, dalla buccia scura e dal gusto estremamente dolce che, grazie alla loro conservabilità, come le pelodecc o pelada (che durano fino a Pasqua), si prestano per una lunga conservazione, per le classiche “castagne peste” e per i biligòcc, per cui sono perfette anche le erdana (o erdera), che si colgono da settembre a novembre e le santinel, castagne tardive di grosse dimensioni. Le castagne della Val Seriana Nelle colline in riva al Serio la stagione si

apre con la Bela e la Regina de setember. Nel cuore della stagione si raccolgono le Careàna dai grossi frutti per la tradizionale preparazione dei biligòcc. Le ultime castagne ad essere colte sono le Sammartina (o de San Martì) dalla buccia scura e quelle Dela Brina, che si conservano fino a Pasqua. Le castagne a due passi dal lago in Val Cavallina e Sebino sono della varietà Bianchera, Invernese, contraddistinta come suggerisce il nome dalla maturazione tardiva, e Motesina. Non manca la varietà Trescurina, contraddistinta dalla pezzatura media e dalla fruttificazione abbondante.

7


L'APPROFONDIMENTO

STORIE DI CASTAGNE

Il "rifugio" Midil e la riscoperta delle antiche ricette Danilo Carminati, vicepresidente dell’associazione Castanicoltori Orobici, e la moglie Maria Angela Gervasoni non sono mai riusciti a rinunciare alla quiete del castagneto, una vera e propria isola di relax, ma anche di sana fatica contadina nel fine settimana, dopo il lavoro ripetitivo in fabbrica dal lunedì al venerdì. Il castagneto storico, in località Midil a Ubiale, aveva sempre rappresentato per la famiglia di Maria Angela Gervasoni - cresciuta con orgoglio a pane e castagne, con la colazione d’antan a base di latte appena munto e castagne bollite o un pugno di “balestrere” essiccate lasciate ammollare la sera prima - un’insostituibile risorsa. L’avevano acquistato i nonni Luigi e Maria Gamba e lo avevano lasciato alla figlia Caterina e a suo marito Pietro, che avevano poi finito con l’abbandonarlo. “Quando quarant’anni fa l’abbiamo ereditato, non sapevamo da dove iniziare a gestirlo, ma alla fine ci ha conquista-

to e con tanta fatica, ma ancora più grande soddisfazione, siamo riusciti a recuperarlo, anche se la lotta al cinipide e la siccità della scorsa stagione ostacolano il ritorno all’antico splendore e alla produzione di un tempo”, spiegano Danilo e Maria Angela, che si impegnano per il recupero dei tanti castagneti nella zona pedemontana, abbandonati da anni con il primo benessere economico, attraverso l’associazione oltre che nel recupero di antiche ricette. “La castagna - spiega la signora che le impiega tutto l’anno in cucina come una volta - si presta per ogni preparazione dal pane, che realizzo con la polpa di castagne per renderlo più gustoso, alle paste fresche agli gnocchi, dalla selvaggina agli arrosti, alla gallina bollita, un tempo piatto forte dei menù delle ricorrenze più importanti, dal risotto ai purè di contorno, ai dolci, con l’abbinamento perfetto con il cioccolato, dai tartufi alle crostate”.

Agriturismo Prati Parini, castagnate e piatti di stagione La selva di castagni che punteggia il versante nord dei Prati Parini ha sempre rappresentato una fonte di reddito per la famiglia Fustinoni attraverso la vendita del legname per l’estrazione del tannino per la concia delle pelli oltre che una risorsa alimentare per la famiglia. L’epidemia di cancro che ha decimato le selve castanicole all’inizio degli anni Settanta ha spinto papà Fermo Fustinoni, boscaiolo e ancora oggi consulente prezioso per gli innesti per ogni castanicoltore, ad abbandonare l’attività. Il figlio Marco che con la moglie Caterina Belli gestisce l’Agrituri-

8

smo Prati Parini (che produce, tra l’altro, ottimi formaggi e organizza corsi di caseificazione) ha deciso dieci anni fa di riportarlo in vita. Oggi i castagni secolari rappresentano un’importante attrattiva per l’agriturismo: “Realizziamo attività didattiche, visite e raccolte di

castagne, con l’irrinunciabile castagnata conviviale finale. Le castagne entrano anche nel menù, nella migliore tradizione di impiegare tutto ciò che viene raccolto o prodotto”. In carta, in questo periodo, tagliolini di castagne conditi con burro di malga e salvia e qualche caladarrosta, coniglio con le castagne, cinghiale – che ormai scorrazza nei castagneti facendo pure qualche danno con birra e castagne ed altre specialità. Nei dolci non manca una torta simile al castagnaccio con marmellata di sambuco, un vero e proprio inno alla montagna e ai suoi frutti.


ottobre 2013

I castanicoltori del Misma Nella Valle tradita dal declino dell’industria e del tessile, Claudio Vassalli, in cassa integrazione dopo una vita di lavoro al Cotonificio Honegger, ha recuperato conoscenze e tradizioni agricole di cui da sempre la sua famiglia è depositaria e ha costituito con il prezioso aiuto di Flavio Fiammarelli l’associazione Castanicoltori del Misma, di cui è presidente. Con l’aiuto degli instancabili asini, che alleva assieme a conigli, mucche e galline, ha ripulito quattro ettari di bosco lottando con rovi e sterpaglie. Ora la vera partita si gioca contro il cinipide: “Assieme alla siccità ha distrutto la produzione. L’anno scorso erano quintali, quest’anno ne raccoglieremo dieci chili” allarga le braccia Vassalli. L’associazione Castanicoltori del Misma, nata anche grazie al sostegno del comune di Pradalunga, intende recuperare la tradizione castanicola all’ombra del Monte e dare una nuova chance alla valle ferita dall’ingombrante presenza di rovine di architettura industriale. La prima azione dell’associazione – che lavora in sinergia con i Castanicoltori Orobici - è quella di censire gli alberi secolari presenti nel territorio, formare giovani e neofiti e realizzare attività didattiche. Con la manifestazione Castanea, organizzata dall’associazione, ottobre ha salutato con iniziative e convegni l’arrivo dei frutti autunnali, dal convegno “La castanicoltura in Val Seriana ieri, oggi e domani” alle degustazioni, dalle “Favole sotto il castagno” per i più piccoli alle castagnate a Pradalunga, il 20 e il 27 ottobre.

I migliori marroni d'Italia? Si raccolgono a Ubiale Nel 1993 Diego Personeni, impiegato in una multinazionale, ha deciso di riconvertire ettari di bosco selvatico ceduo con innesti delle migliori varietà di marroni, selezionati con cura dal Piemonte alla Toscana al Veneto, fino alla Francia e agli ibridi giapponesi. Grazie all’instancabile lavoro di ricerca, Personeni ha dato nuova vita ad Ubiale Clanezzo alle varietà di marroni ormai adattate da decenni al nostro territorio, che altrimenti avrebbero rischiato l’estinzione. Nella selva rivive il Marrone o “Marù” del Monte Ubione, tipico della Valle Imagna, ribattezzato “Marrone Gino”, in omaggio a Gino Cortinovis, che ha salvato le marze dell’unica pianta di “marù” presenti in Valle grazie alla sua passione per la castanicoltura, dopo una vita passata a lavorare nelle cave. Al “marù” del Monte Ubione si affianca quello che è stato ribattezzato “Marrone di Città Alta”, per il recupero delle marze in Val Marina, nel Parco dei Colli. Sottratta all’oblio anche la castagna della Valle Imagna, da sempre chiamata “verto”. Sono 13 le altre varietà pronte a dare i loro frutti: marrone fiorentino, di Chiusa Val di Pesio, di Marravi del Mugello, di Castel del Rio, di San Mauro di Saline tra i principali. Tra i francesi, i marroni Belle Epine, gli ibridi giapponesi Bouche de Betizac, Marsol, Precoce Migoule, Bournette. “Per riportare la selva antica, con piante secolari, alla produzione potenziale ci vorranno anni: “Vent’anni sono nulla per piante che raggiungono il massimo della produzione a 80 anni e vivono tranquillamente seicento anni, ma è un investimento per il futuro, per conservare il legame con le nostre tradizioni e recuperare con nuovi innesti varietà locali. L’idea, come denota la scelta di incentrare la produzione sui marroni, è quella di commercializzare i frutti quando la produzione lo consentirà”, spiega Personeni.

Selva dei Fungù, il regno delle marmellate Quest’anno è disastroso per la produzione, ma un indirizzo da tenere a mente per gli anni a venire per aggiudicarsi qualche vasetto di marmellata di castagne è la Selva dei Fungù (anche per i funghi, ahimè, l’anno è duro) a Sant’Omobono, dove è possibile ammirare animali insoliti per la Valle, dai conigli rossi della Nuova Zelanda alle cavie peruviane, dai tacchini brianzoli (da provare i salami preparati dal gallinaceo) ad elegantissimi cavalli arabi di linea egiziana, tra cui la purosangue nata dallo stallone dell’emiro di Dubai. Qui Franco Cavagnera, per anni titolare di un negozio di animali prima a Bergamo e poi a Mozzo, ha dato vita con la moglie, Daniela Perniceni, veterinaria, ad una piccola azienda agricola. Il recupero del castagneto è iniziato nel 2000, con innesti di varietà storiche bergamasche, marroni per incrementare la qualità e sistemazione del bosco.

9


L'APPROFONDIMENTO

In cucina Ampio il ricettario legato a questo prodotto, ricco di proprietà e che può essere conservato tutto l’anno

Un frutto dei boschi d'autunno, che può entrare in ogni menù Engel Bombardieri, colonna dell'Istituto Alberghiero di Nembro dove insegna cucina da 27 anni, ha realizzato un menù a tutta castagna in occasione della manifestazione Castanea a Pradalunga, organizzata dall’associazione dei Castanicoltori del Misma in una location esclusiva come la cascina Pratolina, immersa in una selva secolare. "Per interpretare al meglio il tema ho rispolverato vecchi ricettari. La castagna sostituiva pane e patate e rappresentava una delle principali fonti di sostentamento per le famiglie. Oggi i frutti d’autunno danno un tocco di personalità in più a zuppe con funghi porcini, a fianco di arrosti sotto forma di purè, nelle marmellate in dolci a base di farina di mais, nel classico Monte Bianco o semplicemente canditi e trasformati in marron glacè. La castagna è l'ingrediente base di diversi liquori e della birra dal sapore unico, come particolare è il sapore del miele nato nelle arnie all’ombra dei castagneti". Il menù a base di castagna parla d'autunno: "Ho preparato il pane secondo un'antica ricetta toscana, da abbinare a salame alla castagna e a lardo. Tra i primi, ho servito gnocchi di castagne con ragù di cinghiale e porcini e tagliatelle di castagne e cacao con speck e vodka. Si è proseguito con tacchino ripieno di castagne con gli stessi frutti brasati di contorno e, per chiudere in bellezza, una mousse di castagne con salsa di lamponi e una torta di castagne con ganache al cioccolato". La proposta a tutte castagne è forse un'esagerazione, ma il frutto dei boschi d'autunno si presta ad entrare in ogni menù: "È un prodotto da riscoprire e valorizzare, utilizzabile sotto forma di farina, purea o semplicemente così com'è. Purtroppo è quasi scomparsa dalle carte dei ristoranti, così come nelle cucine di casa. È un peccato perché dà una marcia in più a molte ricette. È una base neutra che ama i contrasti, dall'amaro del cacao all'acidità della panna, ingentilisce i piatti di cacciagione e selvaggina ed è un'ottima farina per paste fresche all'uovo così come per gli gnocchi".

10

Le proprietà - Le castagne vengono comunemente chiamate frutto ma in realtà il vero frutto è costituito dal riccio che le contiene, le castagne ne sono il seme. La castagna è composta per circa il 50% da acqua, da carboidrati 45%, proteine, grassi, fibre e ceneri; discreta la presenza di minerali tra cui si annoverano sodio, calcio, fosforo, magnesio, ferro, potassio, zinco, rame e manganese. Consigliate in casi di anemia e inappetenza e come energetico mentale, le castagne contengono vitamine A, del Gruppo B (B1, B2, B3, B5, B6, B9, B12), C e D. Le farine a base di castagne hanno dalla loro il fatto di essere consumabili da tutte le persone interessate dal morbo celiaco. Il rituale della novena - Per essere conservate tutto l’anno, le castagne devono essere sottoposte ad un trattamento della durata di nove giorni. La novena inizia subito dopo la raccolta: le castagne vanno messe in secchio d’acqua per una prima cernita che va ad eliminare i frutti che vengono a galla. Le castagne migliori vanno immerse in un altro secchio d’acqua, dove vanno lasciate, sempre ben coperte d’acqua, per cinque giorni. Nei quattro giorni successivi ogni giorno metà dell’acqua del secchio va sostituita con altrettanta acqua. Trascorsi questi nove giorni, i frutti vanno fatti asciugare in una cassetta di legno all’ombra per tre o quattro giorni. Il passo successivo è l’essiccazione che avviene sotto i raggi benevoli del sole, secondo natura, per un periodo di almeno due mesi. Per sbucciare le castagne secche si utilizza un bastone per “battere” i frutti in un grande recipiente di legno o di pietra (la “sbadösa” in dialetto ) e prepararle così al consumo. La buccia, ridotta in mille frantumi, veniva comunque lasciata nel recipiente per la sua presenza di tannino, uno dei più importanti conservanti naturali, con la massima concentrazione proprio nel castagno e nei suoi frutti. Il nome di questa particolare preparazione non poteva che essere “castagne peste”.


ottobre 2013

LA RISCOPERTA

di Rosanna Scardi

Torna in tavola il “Bescòt de Éla” A riproporre il dolce di Villa di Serio è il pasticciere Ivan Feliciani, che per mesi è andato a caccia dell’antica ricetta. Un biscotto fatto con limoni, l'olio di Scanzo e uova fresche. Il 20 ottobre la vendita alla Festa d’autunno

I

ngredienti semplici e il sapore di una volta. Si trovano nel “Bescòt de Éla”, riproposizione in chiave moderna di un dolcetto tipico di Villa di Serio presentato il 17 ottobre a Villa Carrara e venduto a scopo benefico la domenica successiva in occasione della Festa d'autunno. Il merito di averlo riscoperto spetta all'associazione “Traiettorie instabili”, quello di averlo realizzato al pasticcere Ivan Feliciani che per mesi si è documentato su un'antica tradizione delle Valli: “Molte mie clienti anziane mi chiedevano di preparare loro questo biscotto, così ho deciso di scavare nei loro ricordi - racconta il pasticcere -. Le voci di paese narravano che si preparasse in casa in tempo di guerra, i bambini andavano a venderlo nelle famiglie benestanti di Bergamo”. Allora era infatti difficile trovare i dolci sulle tavole della povera gente. Oppure si metteva insieme quello che c'era in casa, spesso farina e frutta, come per questo biscotto. “Un dolce fatto con i limoni delle nostre colline, l'olio di Scanzorosciate e le uova fresche del pollaio”. Originario di Martinengo, classe 1975, Feliciani a sedici anni si iscrive al Cfp di via Gleno per imparare la professione. Dal 1997 è il proprietario della pasticceria di via Locatelli, dove lavora insieme alla moglie Silvia. Qui ha provato la ricetta: “È stato difficile bilanciare le dosi, ci sono voluti esperimenti, tentativi a vuoto, biscotti buttati - ammette -. Ma, alla fine, la perseveranza premia: chi l'ha as-

saggiato, come i clienti affezionati della mia caffetteria, è rimasto stupito dalla fragranza”. La preparazione è semplice. “Grattugio la buccia dei limoni sopra le uova, monto l'impasto per un quarto d'ora insieme allo zucchero semolato a media velocità - svela -. Mischio l'olio a 28° e la farina. Formo tante palline che spolvero di zucchero e cucino in forno a 200

San Pellegrino”, precisa Ivan che nel suo negozio è rinomato anche per semifreddi, brioches, la “Torta Tomas” a base di panna e frutti di bosco e “Nuvola”, “un pan di spagna alla vaniglia adatto per ogni ricorrenza”. Ma quali doti deve possedere un buon pasticcere, oltre a quelle creative e manuali? “Il nostro è un universo da esplorare - è la sua opinione -.

gradi per 8 minuti”. La forma è rotonda e leggermente schiacciata, simile ai macarons francesi, mentre il colore è giallo ambrato. I dolci si conservano chiusi nel loro sacchetto per trenta giorni. Il “Bescòt de Éla” ha una sua tipicità, tuttavia non è un marchio depositato: “Ma mi piacerebbe, e non lo escludo. Non è da meno della “Spumiglia di Clusone”, la “Polenta Osei” o del Biscotto di Bigio di

Ci vogliono fantasia, passione, altrimenti non sacrificheresti al divertimento tanti sabati e domeniche, con levate alle 5 del mattino, ma anche voglia di aggiornarsi e stupire inventando prodotti nuovi o procedimenti migliori”. Proprio i pasticceri delle Valli sono rinomati per la loro bravura. “C'è tanta concorrenza che ci aiuta a fare meglio: per questo siamo noi, oggi, a fare scuola”.

Ivan Feliciani

11


IL PERSONAGGIO Si chiama “Pà de mestüra de Brans” la ricetta che Baldovino Midali ha rielaborato con l’aggiunta del formaggio. “Abbrustolito è la fine del mondo”

di Rosanna Scardi

S

Che pane con un po’ di Branzi nell’impasto! forna il pane in montagna, senza glutine aggiunto e a lievitazione naturale, e non disdegna le antiche ricette. Lui è Baldovino Midali, appassionato e noto fotografo naturalista, ma soprattutto panettiere a Branzi. Un mestiere che ha intrapreso quarant'anni fa. “I miei genitori - racconta - erano coltivatori, finché nel 1974 mio papà adocchiò un vecchio panificio. Per rilevarlo fece notevoli sacrifici: ad affiancarlo c'era mio fratello Ilario. Io, che avevo 14 anni, mi svegliavo all'alba per consegnare i sacchetti prima delle lezioni”. A diciott'anni,

Baldovino si trova a un bivio: “Avevo vinto un concorso dell'Enel che cercava custodi per le dighe - spiega -. Ci pensai su un po’, poi scelsi di aiutare la mia famiglia”. I forni nel paese erano due, finché il concorrente si è specializzato nella pasticceria lasciando ai Midali il compito di servire i 900 abitanti di Branzi, ai quali si sono aggiunti quelli di Valleve, Isola di Fondra, poi Foppolo, Lenna, Piazza Brembana. “Oggi la produzione varia da un quintale per duemila persone a otto volte tanto d'estate quando con i turisti si raggiungono le 11mi-

Presidio dello Stracchino all'antica delle Valli Orobiche

Cheese, a Matteo Pesenti il premio Matteo Pesenti, casaro del Presìdio dello Stracchino all'antica delle Valli Orobiche, è stato insignito, a Bra, del Premio nazionale “Giovane casaro di Resistenza casearia”. Pesenti, 22 anni, è già un casaro esperto. Cinque anni fa ha iniziato a lavorare con il padre nell'azienda di famiglia a Camerata Cornello e oggi è uno dei produttori più attivi del Presidio Slow Food per la Stracchino all'antica delle Valli Orobiche, un formaggio a pasta molle a base di latte intero. Con sempre meno giovani che scelgono di rimanere in montagna e continuare le

12

tradizioni familiari, imparare antichi mestieri e di adattarsi al ritmo della natura, Matteo è un esempio che si spera venga in futuro emulato anche da altri giovani. Il formaggio - Il nome stracchino sembra trarre origine dalla voce dialettale stracch, stanco, e si rifà a quel formaggio che si produceva in passato nei momenti di sosta lungo i percorsi di transumanza dalla pianura agli alpeggi e viceversa, con il poco latte di animali "stracchi" per il viaggio. Doveva essere un prodotto veloce da preparare, senza dover

La premiazione di Matteo Pesenti


ottobre 2013

la bocche ed è necessario avere dieci addetti al forno”, racconta Midali spiegando l'evoluzione dell'attività. Un mestiere che comporta la sveglia alle 3 per sfornare michette calde alle 8. La sua vita, tra cibo e natura, è al centro del documentario “La mia terra, la mia gente”. Proprio gli anziani gli hanno svelato le ricette per il “Pà de mestüra de Brans”, che prende il nome dal miscuglio di ingredienti. “Si impastava quello che c'era in casa - racconta -: segale, farina di grano integrale, quel poco di farina bianca che c'era, patate”. Sostanze povere per un pane che doveva durare nel tempo e che il panettiere ha deciso di ricreare. “Uso una base di farina di segale, di mais, farina integrale e fiocchi di patate - precisa -. E c'è una variante speciale, con l'aggiunta del formaggio Branzi fornito dalla Latteria sociale. Abbrustolito è la fine del mondo”. Anche la preparazione è quella di una volta. “Uso una madre acida, una pasta che coltivo tenendola viva, aggiungendo ogni tanto un po' di farina e acqua e dove all'interno si sviluppano batteri e fermenti lattici - spiega -. Un processo difficile con una lievitazione di 22 ore”. Altra lavorazione laboriosa è alla base della biga. “È un impasto che si prepara il giorno prima con farina, acqua e pochissimo lievito di birra che serve come starter per la fermentazione di 22 ore a 18-20°”, precisa Baldovino. Per il pane antico, con farine meno raffinate, crusca e germe di grano, la madre acida è l'ingrediente della biga. Tutto il contrario della pizza confezionata, pronta in pochi minuti. “Il processo troppo veloce è realizzato con miglioratori che fanno lievitare la pasta non matura, che così non è digeribile”. Le “insidie” per i consumatori sono pertanto molte. “C'è chi si reca nel market di fiducia - annota Midali - senza sapere che sta acquistando un pane decongelato proveniente da Polonia o Spagna - denuncia -. Ci sono fornai che impiegano farine con glutine aggiunto, più facili da usare. Ma il pane non è dei migliori. Io le farine con glutine aggiunto non le uso e tengo basso il contenuto di sodio. Preferisco insomma il gusto dei vecchi tempi”.

Baldovino Midali e Francesco Maroni, presidente della Latteria Sociale di Branzi

«Giovane casaro di resistenza» scaldare il latte e senza tempi lunghi di coagulazione e di spurgo. Un nome, documentato sin dal 1200, di questo formaggio era stracchino quartirolo, ma questa non è che una delle numerose varianti. Uno di questi stracchini, quello prodotto in Val Taleggio, godeva di un prestigio particolare e così, a partire dai primi anni del '900, si cominciò a chiamare Taleggio tutti i formaggi di quella tipologia. Oggi anche il Taleggio è di fatto un formaggio industriale, protetto da una Dop. “Ma - annota Slow Food - per identificare una produzione artigianale, di montagna, di formaggi simili, che fortunatamente ancora esiste, si deve tornare ad utilizza-

re l'antico termine stracchino. Ecco allora nascere il Presidio dello Stracchino all'antica delle Valli Orobiche, che si propone di valorizzare questa eccellente tipologia di formaggi grassi, gustosi, leggermente piccanti che in qualche modo rappresentano gli antenati del Taleggio. Si producono nella Valli Brembana, Taleggio, Serina e Imagna con latte vaccino crudo intero appena munto, per questo sono detti anche a munta calda". “Lo Stracchino del Presidio - evidenzia Slow Food - non è comparabile a prodotti consimili perché è un prodotto di montagna, frutto di agricoltura locale di piccola scala, in

una filiera assolutamente breve, garantito dal disciplinare rigido del Presidio, sottoscritto dai casari, garantito da un'Associazione internazionale, in aggiunta ai controlli igienico-sanitari di rito. È confezionato nella carta con il logo internazionale dei Presìdi e a breve sarà accompagnato da un'etichetta narrante, primo esperimento in Italia, al pari dell'Agrì di Valtorta che già ne è caratterizzato da qualche mese. Etichetta che vuole dare al consumatore informazioni essenziali su caratteristiche vere del prodotto e del produttore e garanzia di autenticità. In più verrà aggiunto un identificativo aziendale impresso nelle forme”.

13


L’INTERVISTA di Giordana Talamona

Parla Claudia Bondi, Ambassedeur du Champagne 2013. “Il nostro Metodo classico ha raggiunto punte di eccellenza, ma fare confronti è inappropriato. Non dobbiamo metterci in competizione, semmai esaltare le peculiarità delle nostre produzioni, come Trento, Franciacorta, Oltrepò, Alta Langa e Alto Adige”. “Dai cugini d’Oltralpe dobbiamo imparare a usare meglio le leve del marketing”

Claudia Bondi

H

“Lo spumante italiano è cresciuto, ma evitiamo paragoni coi francesi”

a sbaragliato le avversarie in una finale tutta in rosa, aggiudicandosi il titolo italiano di “Ambassedeur du Champagne 2013”. Claudia Bondi, toscana, trentasette anni, è la nuova regina dello Champagne, un titolo che la porterà a Eparnay, il prossimo 28 ottobre, per disputare la finale mondiale. Non potevamo che chiedere a lei di fare il punto sulla qualità del vino più conosciuto al mondo, tra curiosità e falsi miti. Iniziamo subito con lo smentire un luogo comune sullo Champagne. “La sua inaccessibilità economica. Oggigiorno, infatti, è sempre più nota la moltitudine di recoltants che producono Champagne a prezzi accessibili”.

Perché è unico al mondo

La regione della Champagne si trova a 150 chilometri a nord-est di Parigi, in una striscia di terra posta al 49° parallelo. La temperatura media annua è di 10,2°C, al limite della media di 9,6°C al di sotto della quale non si raggiunge la soglia minima di maturazione dell’uva. Buona parte della fortuna della regione la si deve al terreno ricco di calcare e fossili che rendono questa zona estremamente vocata per la produzione vinicola. In origine, settanta milioni di anni fa, la regione era completamente occupata dall’Oceano, il cui progressivo ritiro ha lasciato nel terreno dei sedimenti gessosi (craie) che, mescolati ai fossili marini (belemnite quadrata), rappresentano l’elemento essenziale del sottosuolo. Le radici delle viti, penetrando nel terreno per metri e metri, assorbono i minerali presenti nel sottosuolo determinando quei sentori tipici dello Champagne.

14

Se non c’è più bisogno di svenarsi per acquistare una bottiglia di Champagne, su quale cifra minima consiglia di stare? “Ci sono etichette sui 35-40 euro dall’ottimo rapporto qualità prezzo, che permettono di avvicinarsi al mondo dello Champagne senza spendere troppo. C’è da tener conto, inoltre, che cifre di questo genere sono difficilmente replicabili per vini rossi importanti, per i quali occorre un investimento ben più alto”. Lo Champagne è tra i marchi più conosciuti al mondo, noto anche nei luoghi più sperduti della terra. A cosa si deve tanta fama? “Alla sua storicità, oltre che alla qualità dei vini. Non dimentichiamoci che nella regione si spumantizzava, seppur con un approccio empirico, già dal 1600. Con la nascita nel ‘700 di Ruinart, la prima maison de commerce, l’escalation commerciale è stata inarrestabile. Non si tratta solo di un patrimonio culturale per i francesi, ma di un vero e proprio vantaggio commerciale”. Questo ha inciso anche nelle caratteristiche dei vini? “Senza dubbio, lo storico passaggio dello Champagne da demi sec spinto a secco, voluto nel 1874 dalla maison Pommery, è stato determinato dalla percezione che il gusto degli inglesi, un mercato fondamentale per la Francia, andasse verso questa tendenza. Con dinamiche commerciali sviluppatesi nei secoli, è facile capire quale forza abbia raggiunto oggi il marchio nel mondo”.


ottobre 2013 Quali sono le caratteristiche organolettiche che dovrebbe avere un buon Champagne? “In realtà non esiste “lo Champagne”, ma “gli Champagnes”. Il terroir e lo stile della maison, infatti, creano prodotti estremamente diversi tra di loro. Un comune denominatore, tuttavia, c’è ed è l’estrema freschezza del vino, unita ad una ragguardevole complessità, anche per le etichette di più facile approccio”. E l’abbinamento? “Anche questo è un altro mito da sfatare, perché lo Champagne non si beve più solo come aperitivo, ma è l’unico vino che può accompagnare ogni momento della giornata, a partire addirittura dalla colazione. Lo Champagne ha, infatti, una straordinaria capacità di abbinamento, unica nel suo genere”. C’è una peculiarità che ne rende inimitabile la produzione? “Oltre al terroir, l’arte dell’assemblaggio è una tecnica difficilmente imitabile, perché nasce dall’esperienza e dalla sapienza dei mastri cantinieri. Lo Champagne è unico anche per questo. È come quando si cerca di riprodurre una forma di artigianato: vengono cose bellissime, ma sostanzialmente diverse”. Da molti anni è in atto una revisione della mappa della Champagne che allargherà l’Aoc ad altre zone. Ha qualche novità in merito? “Sembra che nel 2015 l'Aoc (Appellation d'origine contrôlée, ndr.) sarà allargata ad altri 38 nuovi villaggi, ma dal momento che l'Inao (Institut national de l’origine et qualité, ndr.) non ha ancora definitivamente approvato la revisione, è da considerarsi un dato ufficioso”. Come siamo messi, invece, a spumanti Metodo Classico in Italia? “Molto bene. Abbiamo delle eccellenze spumantistiche di altissima qualità, come Trento, Franciacorta, Oltrepò, Alta langa e Alto Adige, senza contare le altre zone, lungo tutto lo stivale, dove sono stati raggiunti risultati molto interessanti. Ma ogni paragone con lo Champagne è sbagliato”.

Perché? “Si tratta di prodotti talmente diversi, nati da territori con peculiarità differenti, che ogni paragone risulta inappropriato. Non dobbiamo metterci in competizione con lo Champagne, ma semmai esaltare le peculiarità delle nostre produzioni”. Le è mai capitato di partecipare a degustazioni comparative alla cieca dove i Metodo classico del mondo sono stati scambiati per Champagne e viceversa? “No, mai. Le degustazioni a cui ho partecipato sono sempre state comparative tra stesse tipologie di prodotti. Certo, alla cieca potrebbe accedere tutto, sono mille i motivi per cui si potrebbe incappare in un errore del genere. Tuttavia, sono contraria per principio alle degustazioni comparative”. Perché? “Non è un messaggio corretto per il consumatore, che semmai dovrebbe imparare a riconoscere le peculiarità di una tipologia di vino, piuttosto che paragonarle”. Venendo al marketing, quello francese è tanto più efficace del nostro? “Purtroppo sì. I produttori italiani, concreti e illuminati, sono i primi riconoscere ai francesi questa capacità di fare cartello tra di loro. Non solo per lo Champagne, ma per ogni denominazione vinicola. C’è un rispetto sacrale per il lavoro del collega, un sentimento di appartenenza che fa superare le piccole rivalità e le invidie in nome di un bene comune, il vino. Ma c’è qualcosa di più”. Cosa? “Il cosiddetto “french touch”. Per rendersene conto basta entrare in una semplice boulangerie del più piccolo paese di provincia per vedere come sono disposte le baguette e gli altri prodotti. Sono piccoli scrigni di delizie, dove all’aspetto attraente del cibo corrisponde sempre una sostanza”. Dunque, non c’è proprio niente che i francesi ci invidiano? “Monica Bellucci”.

I DATI DELLO CHAMPAGNE Gli ettari vitati: 32.902. Gli imbottigliatori: 4.765. Di questi sono 289 le maison e i négociant concentrati solamente 3.200 ha. Bottiglie prodotte nel 2012: 270 milioni. Export: Regno Unito (32,4 milioni di bottiglie nel 2012), USA (17,7 milioni di bottiglie) e Germania(12,6 milioni di bottiglie).

Importazione in Italia: nel 2012 sono state importate 6,2 milioni di bottiglie di circa 200 cantine. L’Italia è il sesto mercato estero. Chi consuma di più: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. Le città dove lo Champagne viene maggiormente consumato sono Torino, Milano, Parma (tradizionale "feudo" dello Champagne), Roma, Verona, Treviso e Pescara.

L’assessore regionale Fava ai ristoratori

«NELLA CARTA DEI VINI PIÙ SPAZIO A QUELLI LOMBARDI» "In Lombardia possiamo contare su 42 vini a denominazione d'origine (ben 27 dop più 15 Igp) grazie ai quali mostriamo l'identità del territorio e sosteniamo l'economia locale". È questa la premessa che spinge l'assessore all'Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, a proporre ai ristoratori lombardi a inserire i vini della regione in un apposito elenco, nella prima pagina della Lista dei vini. "Si tratta di un piccolo passo dice l'assessore - che senza alcun costo per i ristoratori, ma che significa molto per i viticoltori e le cantine lombarde". Un'operazione culturale, di educazione al consumo dei prodotti del territorio, di sostegno alla filiera a breve o medio raggio, con vantaggi non soltanto economici, ma anche, se si vuole, ecologici. "I vini della Lombardia - afferma ancora - possono contare su una elevata qualità, una forte tipicità e nell'abbinamento con i cibi si accompagnano a qualsiasi piatto della cucina lombarda, regionale e persino internazionale. Ma siano i ristoratori e i pubblici esercizi lombardi a non perdere l'occasione di una promozione capillare del grande vigneto lombardo". Non solo export, dunque, per la Lombardia enoica. I margini ci sono, visto che, ha concluso l'assessore, "le imprese vitivinicole del territorio esprimono volumi sulle Dop (le ex Doc e Docg) intorno a 800mila ettolitri, pari al 62% del vino prodotto, oltre a 300mila ettolitri Igp". Numeri impor tanti, ottenuti grazie ad una superficie vitata che supera i 24mila ettari in tutta la Lombardia.

15


IL PRODOTTO di Leo Bartoli

L’evoluzione di “Barbis”: L’azienda agricola di Cene ha deciso di esplorare strade più originali. E così, accanto alla gamma dei formaggi, sono arrivati anche prodotti innovativi, con gusti più delicati. Tra questi spicca il burro, una novità assoluta per la Bergamasca

I

n principio c’era Barbis, il patriarca, con i suoi baffoni autoritari e la cascina di Cene ai piedi delle montagne, ricca di animali e di un’agricoltura ruspante, feconda. Poi la vita ha costretto figli e nipoti a cercar fortuna nell’industria, chi nella plastica, chi nell’edilizia e nel tessile. Alla fine però il richiamo della campagna è stato troppo forte e la famiglia Gusmini ha rilanciato: con un investimento di quasi un milione di euro, Angelo e Giovanni, gli eredi maschi del clan, hanno aperto un anno fa, immersa nel verde della Valle del Clino, una stalla di 1.000 metri quadri (non poteva che chiamarsi “Barbis”) secondo le più moderne concezioni di ecocompa-

Angelo, Beatrice e Giovanni Gusmini

tibilità e benessere animale. “È stato un sogno che si è realizzato - raccontano entrambi -. Volevamo fortemente tornare alle nostre radici, ma per farlo occorreva attrezzarsi in maniera moderna, con una struttura ampia, tutta ecocompatibile in legno, con un’umi-

dità molto bassa e un ambiente confortevole, in cui gli animali non sono legati o pigiati l’uno contro l’altro, ma possono muoversi liberamente: senza questi tipici stress da stalla, sappiamo con certezza che la nostra qualità del latte sarà superiore”. E accanto ai bovini da carne (una ventina i capi tra Brune e Pezzate rosse, più gli incroci con la Piemontese), i fratelli hanno puntato forte sulle capre e sui loro formaggi per andare incontro ai nuovi gusti dei consumatori, che vogliono prodotti freschi, buoni e digeribili, con un latte, quello caprino, consigliato a chi soffre di intolleranze e allergie alimentari. Di più: aiutati da Beatrice, fidanzata di

L’AGRITURISMO BERGAMASCO “IN TASCA” Danno vita a una realtà molto variegata, che presenta proposte sempre più varie, dal centro benessere alle lezioni di inglese, dall’agricampeggio ai laboratori didattici fino ai menù per celiaci. Le aziende agrituristiche bergamasche aderenti a Terranostra (l’associazione di Coldiretti che promuove l’agriturismo) si inseriscono a pieno titolo nel panorama turistico provinciale e propongono un nutrito ventaglio di attività che vanno oltre la classica ristorazione con i prodotti a km zero e consentono agli ospiti di vivere in modo diverso l’agricoltura e il territorio. Una vetrina importante per questo comparto è la pubblicazione “Bergamo Agriturismi”, la nuova guida realizzata da Terranostra Bergamo in collaborazione con Coldiretti. Uno strumento facilmente consultabile che in modo pratico e veloce mette a disposizione dei turisti percorsi e particolarità enogastronomiche della nostra provincia. “Abbiamo realizzato questa guida - spiega Lucia Morali, presidente di Terranostra Bergamo - perché vogliamo rispondere alla necessità degli operatori di promuovere adeguatamente il settore e far conoscere ai cittadini un altro modo di vivere la campagna”. La guida è tascabile e propone 60 aziende agrituristiche, ripartite in cinque aree della provincia: valli occidentali Brembana e Imagna, Val Seriana e Val di Scalve, i laghi, la collina e la pianura.

16

“L’agriturismo - sottolinea Alberto Brivio, presidente di Coldiretti Bergamo - è un esempio concreto di come l’agricoltura sia oggi un’attività multifunzionale. La guida è un valido alleato di chi vuole vivere un’esperienza in campagna a orientarsi nelle numerose proposte offerte dalle aziende che si riconoscono nel progetto di Coldi-


ottobre 2013

il burro dal latte di capra Giovanni, che si occupa della parte commerciale, i due fratelli hanno cominciato a esplorare strade originali, provando e riprovando a sperimentare prodotti innovativi. Così ora, accanto alla gamma dei formaggi presenti nello spaccio aziendale, all’Azienda Agricola Barbis si fa sempre più strada nel gradimento della clientela la grande varietà di yogurt (7 gusti: al naturale, fragola, albicocca, mirtillo, frutti di bosco, nocciola e caffè) e il burro di capra. E se il primo è un prodotto già piuttosto commercializzato, il secondo è una novità assoluta per la Bergamasca. “Ci piace provare a stupire i consumatori” spiega Giovanni, 34 anni, che cura la stalla con oltre 200 capre di razze differenti (dalle saanen, alle camosciate, dalle maltesi alle anglo nubiane), mentre Angelo, 37 anni, svolge l’altrettanto delicato ruolo di casaro. Con Barbis nasce quindi l’evoluzione del caprino, perché pur puntando forte su formaggi della tra-

dizione come gli stracchini più o meno stagionati (meglio i secondi), le formaggelle e la ricotta, i Gusmini amano proporre strade nuove. Il burro ad esempio, una rarità quello di capra: costa qualcosa in più, ma contiene grassi insaturi, quelli che intaccano trigliceridi e colesterolo. E poi lo yogurt: una scoperta, perché… non sa di latte di capra. Sembra un paradosso, perché sappiamo tutti le proprietà di quest’ultimo, ma è altrettanto noto che il suo retrogusto risulta a volte troppo invasivo. “Invece noi siamo riusciti a renderlo più leggero, incrociando il latte delle

nostre quattro razze - spiega ancora Giovanni -. Risultato: una gradevolezza decisamente superiore al palato, specie per i bambini, che sono poi i più esigenti, senza minimamente intaccare le proprietà salutistiche in esso contenute”. Poi naturalmente formaggi e formaggini, dai freschi fino alle stagionature più estreme: “Arriviamo a produrne 80 al giorno, tra stracchini e formaggelle, nei mesi più ricchi dell’anno - spiega Angelo - che sono quelli da gennaio a maggio e poi di nuovo da ottobre a Natale: in settembre, all’open day che abbiamo organizzato in azienda per farci conoscere sempre di più, abbiamo assistito a un’autentica invasione di clienti. Ci fa piacere, anche perché qui, a due passi dal centro di Cene, le famiglie trovano un luogo in mezzo al verde dove è quasi naturale riscoprire cose buone: ci impegneremo sempre di più per essere all’altezza delle loro aspettative”.

CON LA NUOVA GUIDA DI TERRANOSTRA retti e promuovono l’accoglienza di qualità, il recupero dei fabbricati rurali, la tutela del paesaggio e dell’ambiente nonché l’impiego a tavola di alimentai locali dall’origine certa”. Nella provincia di Bergamo le aziende autorizzate sono 135 e sono così distribuite: 25 nelle Valli Occidentali, 19 nella Valle Seriana e di Scalve, 24 in collina, 24 vicino ai laghi e 43 in pianura. Quasi un terzo delle aziende offre la possibilità di alloggio per circa 750 posti letto, mentre il servizio di ristorazione è pari a circa 8.500 coperti. 31 aziende si propongono anche come fattoria didattica. “Le aziende agrituristiche - rileva Gianfranco Drigo, direttore della Coldiretti provinciale – sono una finestra aperta sul nostro territorio e la nostra agricoltura, un segmento della nostra offerta turistica che si deve integrare con le altre per dare vita a sinergie costruttive, in vista anche del grande evento di Expo 2015. Sono già molti gli stranieri che scelgono il soggiorno in agriturismo, per gli edifici caratteristici dove sono alloggiati, per la tavola tradizionale e genuina, per l'atmosfera riposante e la bellezza del paesaggio, per l'accoglienza cordiale e non formale dell'agricoltore, per la possibilità di fare sport all’aria aperta”. Le guide cartacee e internet sono gli strumenti maggiormente utilizzati da chi vuole scegliere con consapevolezza una struttura adatta alle proprie esigenze, ma vanno forte anche il passaparola e i consigli di parenti e amici. La guida “Bergamo Agriturismi” si può ritirare gratuitamente presso gli uffici di Coldiretti e i mercati di Campagna Amica.

LE CURIOSITÀ ● Nella città di Bergamo ci sono due aziende agrituristiche: l’agriturismo Marco (zona Madonna della Castagna) e Le Sorgenti (Città Alta). ● Con quattro aziende sul proprio territorio, Palazzago è il comune con la più spiccata vocazione agrituristica (Il Belvedere, Picco Alto, Cascina Ronchi, Cavallo Grigio). ● A Schilpario si trova il primo agricampeggio della provincia di Bergamo (Agriturismo Alpen) ● A Lenna si trova la prima azienda agrituristica con il centro benessere (Agriturismo Ferdy) ● A Castione si trova il primo agriturismo con la piscina (Il Prato Alto) ● L’agriturismo più piccolo ha 20 coperti e si trova a Brignano Gera d’Adda (Cascina Balocchetta)

17


IL RICORDO di Pier Carlo Capozzi

I

Addio Gambirasio, maestro di cucina con la passione per la cultura l grazioso cimitero di Villongo Sant’Alessandro è circondato dai vigneti. Roberto Gambirasio, adesso, riposa qui, tra grappoli d’uva ancora da raccogliere, non lontano dal suo ristorante Cadei. La veglia ha chiesto che avvenisse proprio nel suo locale, nella sala color verde intenso, la sua preferita, quella con l’affresco della Creazione di Michelangelo riprodotta sul soffitto. Roberto, appena 65 anni, era un maestro di cucina, ma anche un uomo colto, senza che questo pesasse mai nel suo rapporto con gli altri. Era estremamente umile e riservato, nonostante la folta barba che gli conferiva quell’aria da intellettuale che a lui non dispiaceva affatto. Era uno, tanto per dire, che si era letto sia la Bibbia che il Corano, altrimenti non avrebbe avuto gli strumenti per dibatterne. “Era la nostra fortuna - confida Tarci, la moglie - perché lui studiava tutto e poi lo spiegava a me e alle ragazze, che dimezzavamo così la fatica di capire”. Gambirasio aveva iniziato a lavorare ai fornelli nel ’63, al “Cantiere” di Sarnico, per passare, tre anni dopo, al “Turistico”, sempre in paese. Poi è al “Touring” di Coccaglio e al “Calepino” di Castelli Calepio, dove, come aiutante di cucina, si Roberto Gambirasio

18

ritrova Tarcisia, una ragazzina vispa decisamente più giovane di lui. Alla Tarci non stava granché simpatico, ma Roberto ci provava comunque: “Ma tu non esci mai?”- era il suo tormentone. La Tarci, per toglierselo di torno e sicura del fatto suo, promise che sarebbe uscita per un gelato solo se avesse perso una scommessa. Andò a finire proprio così e il gelato galeotto fece il resto. Dopo queste esperienze, che lo avevano formato sempre più, ecco, inaspettata, la crisi: Roberto smette di cucinare e si occupa di elettrodomestici, aprendo un negozio a Villongo. L’inquietudine gli finisce nel 1993 quando, con la moglie, adocchia un ristorante in via Roma, sempre in paese. Ci entrano il 1° gennaio 1994. Il ristorante si chiama come il proprietario e i Gambirasio accettano di mantenere la stessa insegna, notizia che inorgoglisce il signor Cadei, anche se il motivo era di ordine un po’ più pratico: così facendo risparmiavano un sacco di soldi, non dovendo cambiare i tendoni col nome, i piatti personalizzati e mille altre cose già marchiate. Da allora gli affari sono andati bene, con Roberto che deliziava la clientela soprattutto con le paste ripiene (eccellenti i suoi ravioli), i risotti e il pesce di lago, con la moglie e le due figlie sempre al fianco. Nel frattempo si allargavano gli orizzonti, con l’impegno nei Ristoratori Ascom, di cui è stato a lungo vicepresidente, l’adesione ai Gourmet Dègustateurs, e l’esperienza di ambasciatore della nostra cucina all’estero, come a Gandìa, in Spagna. In queste avventure è stato stimolato e accompagnato da Pino Capozzi, mio padre, che aveva per Roberto un affetto profondo e sincero, assolutamente ricambiato. Avevano, tra l’altro, la comune passione per la fotografia. Nell’estate del 2012 una perfida leucemia aveva iniziato a minare il fisico di Roberto, che ha affrontato il suo calvario con una serenità che ha sconcertato tutti. La sera prima, uscendo dalla sua stanza d’ospedale, i medici avevano le lacrime agli occhi. Al mattino dopo s’era guardato intorno: c’erano suo fratello, la Tarci, le figlie Cristina e Claudia. Bene così, poteva andarsene sereno. Adesso è su, alla “Trattoria in cielo”, che prepara il suo Persico in carpione mentre il Pino sta mantecando il risotto.


ottobre 2013

L'ITINERARIO ITINERARI

di Lara Abrati

Niente auto e un paesaggio dominato dal lago e dai boschi. Il nostro tour in cinque tappe, da affrontare a piedi o in bicicletta, per apprezzare il carattere e le tradizioni dell’isola del Sebino. E calarsi in un’atmosfera dimenticata nello spazio di una gita fuoriporta

Una giornata a Monte Isola tra sapori e vecchi mestieri

B

asti pensare che chi risiede nel comune di Monte Isola (1.811 abitanti distribuiti in nove frazioni) è autorizzato a muoversi sui poco più di 15 Km di strada asfaltata al massimo con un semplice ciclomotore. Se ne contano quasi uno ad abitante. Solo chi ha delle attività - commerciali, artigianali o agricole - può avere un mezzo a quattro ruote, che sia un autocarro o un trattore. I turisti si devono giustamente accontentare della bicicletta o di fare quattro passi a piedi. L’assenza di traffico (a parte lo sfrecciare dei ciclomotori) dà già di per sé un tocco di magia e di tranquillità, che vengono enfatizzate dall’ambiente, prevalentemente boschivo e ovviamente lacustre. Poche le piante da frutto,

qualche piccolissimo appezzamento terrazzato coltivato a vite e diffusi oliveti, soprattutto nella parte più interna. Due le strade principali: quella che circonda l’isola e quella che sale fino al monastero. Questo ne rende possibile una visita soddisfacente anche in una giornata: impossibile perdersi. L’isola vanta un primato nazionale, cioè di essere, con una superficie di 4,5 Km quadrati, la più grande isola lacustre. La sua economia da tempo è basata su alcune attività artigianali e, più recentemente, sul turismo, soprattutto per quanto riguarda la piccola zona di Peschiera Maraglio. In passato decisive sono state l’industria delle reti, la pesca e i lavori legati all’ambito edile. Le altre attività, come la produ-

zione di un particolare salame a grana grossa o dell’olio, erano portate avanti in maniera hobbistica da molte famiglie dell’isola. Un territorio molto ricco, ma poco conosciuto nella sua totalità anche dagli stessi bresciani e bergamaschi, con molti prodotti da scoprire sia sul versante dell’artigianato sia su quello della gastronomia. A Sulzano, sulla sponda bresciana del lago d’Iseo, si può prendere il traghetto all’imbarcadero nel centro del paese. In pochi minuti si sbarca in località Peschiera Maraglio e da qui può iniziare la visita, che sia in bicicletta (si può portare o noleggiare sull’isola) oppure a piedi. Questo sarà il punto di partenza ed il punto di arrivo del nostro itinerario.

19


ITINERARIO SECONDA TAPPA

Dal microclima dell’isola un olio delicato PRIMA TAPPA

L’artigiano delle reti richieste in tutta Italia Nato nel 1942, Marco Moretti possiede un piccolo laboratorio artigiano per la produzione di reti da pesca, da caccia e sportive. «Dopo le scuole elementari, ho iniziato a fare il pescatore, avevo circa 11 anni. Facevo il venditore ambulante di pesce in bicicletta. Dopo aver prestato il servizio militare, sono tornato sull’isola e ho lavorato per circa 30 anni in due dei quattro retifici presenti a Monte Isola», racconta. I quattro retifici industriali davano lavoro a tutte, o quasi, le donne residenti. Un lavoro di precisione che il tocco femminile poteva fare egregiamente. «Poi, due di questi hanno chiuso – ricorda – mentre gli altri due hanno dislocato per questioni logistiche nei comuni più vicini alla città di Brescia, portandosi anche la manodopera». Ora, la produzione di reti a Monte Isola resta un’attività artigianale, apprezzata in tutta Italia da chi sa riconoscere e sfruttare la qualità superiore di queste reti esclusive. «Nonostante i ricavi siano bassi – spiega Moretti – noi riusciamo a fare un prodotto più rifinito e i pescatori esperti ce lo richiedono. Riesco a proseguire nell’attività perché è di carattere famigliare». Reti di tutti i tipi che vengono costruite e colorate con sapienza ed esperienza. Molte le leggende che giustificano l’alta presenza di artigiani retai a Monte Isola; una delle più antiche narra di alcuni monaci che abitavano sull'isola di San Paolo, che intrecciavano rami e fili. Proprio loro, secondo la leggenda, insegnarono questa arte ai pescatori dell’isola. Resta un dato di fatto che l’attività si è sviluppata a tal punto da resistere ancora oggi.

Diffusa sull’isola è la coltivazione dell’olivo, facilitata e condizionata in grande misura dal microclima del lago. In località Olzano ha sede l’unico frantoio isolano, inaugurato il 2 dicembre del 2007 e dato in gestione a Eduardo Canepa e alla sua azienda agricola. Il frantoio frange olive sia per Eduardo Canepa la propria produzione aziendale che per terzi. Un olio molto delicato e dalla tipica nota mandorlata. La quantità di olive frante a stagione si aggira sui 1.000 quintali. Olive appartenenti a cultivar classiche come il leccino, il frantoio, il pendolino e una piccola parte coltivata a moraiolo e casaliva. «È in corso una sperimentazione anche per la produzione di un olio monocultivar di leccino» confida Canepa. È un olio che non viene filtrato, ma viene solo chiarificato stimolando il deposito dei residui in sospensione, in maniera naturale. L’olio prodotto dall’azienda agricola Monteisola è contraddistinto dal marchio apposto sull’etichetta, viene venduto direttamente in azienda oppure nelle vicine rivendite in località Carzano: “Le delizie dell’isola” e “La dispensa di Carla”. Azienda Agricola Monteisola – frantoio di Monte Isola località Olzano, 16 tel. 342 0129951 www.monteisola00.it

TERZA TAPPA

Nando il pescatore, «un mestiere

Retificio Marco Moretti località Peschiera Maraglio tel. 030 9886146 www.morettimarco.it

20

Marco Moretti

Ferdinando Soardi, nato nel ’48 e con un diploma in ragioneria, di professione fa il pescatore. Ha sempre affiancato la pesca all’attività di vendita ambulante ai mercati. «Qui – dice Nando – se nascevi da papà muratore, facevi il muratore, se nascevi da papà pescatore, quello era il tuo destino. Io andavo a pescare con mio nonno, dopo la scuola superiore, ho lavorato in alcune aziende, ma poi sono tornato a fare il pescatore, perché quando una cosa ce l’hai nel sangue, non la riesci ad abbandonare». La giornata tipo di un pescatore? La sera, verso il tramonto vengono calate le reti che saranno tolte dall’acqua la mattina presto. L’attività comprende anche l’armatura delle reti («ogni pescatore ha i suoi trucchi!», rivela Nando) e la lavorazione del pesce come l’essicazione, la sfilettatura e l’eviscerazione. Il mercato ormai richiede pesce la-


ottobre 2013 QUARTA TAPPA

Il salame originale e altre specialità Da sempre a Monte Isola si produce il salame, ma un salame particolare, a grana grossa perché la carne, compresi i tagli di pregio come il filetto, la lonza o la coscia, viene tritata a punta di coltello. Un salame del tutto particolare quindi, senza aglio, la cui aromaticità è garantita però grazie all’infusione nel vino. Molte le famiglie che allevavano e tutt’ora allevano qualche suino e producono il salume per il proprio consumo. Emiliano Turla e Franco Moretti invece hanno deciso di intraprendere questa attività per permettere ad un più Emiliano Turla ampio raggio di persone di gustare questa prelibatezza. «Lavoravo in un salumificio – racconta Emiliano – e come tante altre famiglie allevavamo 15/20 suini per la produzione del salame di Monte Isola. Da qui l’idea di aprire un vero e proprio laboratorio artigianale con marchio CE dove macellare i suini e lavorarne le carni». Il salame viene insaccato in budello di manzo, detto dritto o bastone, e successivamente affumicato. Quest’ultima pratica deriva dal fatto che, per riscaldare gli ambienti dove i salumi asciugavano, veniva acceso il camino. L’affumicato non era quindi voluto per questioni aromatiche, bensì per necessità. Ora i salami vengono affumicati di proposito con rami di ulivo e bacche di ginepro. Tra le altre produzioni, i salami “alla ceriola”, che è simile al Monte Isola, ma viene macinato e non contiene tutte le parti pregiate, e il tipo “Boscaiola”, il classico salame bresciano venduto dopo circa 50 giorni di stagionatura. Il salumificio produce inoltre pancette, coppe, culatelli, salamelle e così via. La vendita sull’isola è affidata allo spaccio aziendale che si trova in località Peschiera Maraglio sul lungolago. Nello spaccio si possono trovare anche altre produzioni tipiche e artigianali. Salumificio Monteisola via Senzano, 30 B tel. 030 9886282

che si ha nel sangue»

Ferdinando Soardi

vorato. Nando è uno dei due produttori della sardina essiccata Presidio Slow Food, prodotta da dicembre a marzo. Accanto alla sua abitazione di Carzano, c’è il ristorante di famiglia “Locanda al lago”, dove si possono gustare i piatti a base di pesce lacustre, ma non solo! I pescatori professionisti sull’isola sono una quindicina e, al contrario di ciò che si potrebbe pensare, sono in crescita, infatti cinque o sei sono giovani, al di sotto dei 30 anni. Pescheria Montisola località Carzano tel. 347 0147348 Ristorante Locanda al Lago località Carzano tel. 030 9886472 - www.locandaallago.it

QUINTA TAPPA

Ristorante “La Foresta”, protagonista il pesce locale È ubicato in località Peschiera Maraglio sul lungolago. Sul molo sono facilmente riconoscibili i pesci messi ad essiccare. Il ristorante, che dispone anche di alcune camere, è nato dall’unione di più professionalità e talenti, tutti famigliari. Un’intuizione è stata quella dei due fratelli Novali, Sandro, pescatore, e Silvano che, dopo aver fatto numerose esperienze nelle cucine delle navi da crociera, si occupa della preparazione dei piatti aiutato dalla moglie Vilma e ora dal nipote Nicola. Il pesce è fresco e viene fornito da Sandro.

La cucina è quindi orientata alle prelibatezze tipicamente lacustri. Non sempre è possibile gustare tutto quello che si trova sul menù, infatti viene cucinato quello che viene pescato. Per quanto riguarda il pesce essiccato, tipica lavorazione isolana, si può trovare quasi tutto l’anno e non viene proposta solo la sardina, ma anche il coregone e il cavedano. Uno dei prodotti di punta è la bottarga, di cavedano in inverno e di coregone nel periodo primaverile ed estivo. La cucina del locale è ora gestita da Nicola, figlio di Sandro, con la collaborazione di Alex Turla, giovane cuoco di Monte Isola. Albergo Ristorante La Foresta località Peschiera Maraglio, 174 tel. 030/9886210 chiuso il mercoledì www.forestamontisola.it

21


LA SORPRESA di Giordana Talamona

Domanda interna in rialzo e sfruttamento sconsiderato del Mar Caspio hanno portato la Federazione a richiedere una fornitura pluriennale all’Agroittica Lombarda

I

22

I russi mangiano il caviale. Ma bresciano l caviale parla italiano, più precisamente bresciano. Non è una boutade, ma la realtà di Agroittica Lombarda, azienda di Calvisano, che da pochi mesi ha stretto un accordo con la Federazione Russa per l’esportazione di caviale. L’accordo prevede una fornitura di caviale di almeno 5 tonnellate, da qui al 2015, con un valore approssimativo di dieci milioni di euro. Ma perché i russi dovrebbero mangiare caviale italiano, seppur di alta qualità? La risposta è legata allo sfruttamento sconsiderato del Mar Caspio (passato da una produzione di 350 tonnellate di storione negli anni Ottanta, alle 60-70 tonnellate nel 2006) e al rischio d’estinzio-

sia un paradosso, si sbaglia, dimenticando una tradizione nostrana antichissima. Non a caso il cuoco rinascimentale Maestro Martino, autore del primo ricettario in volgare, aveva dedicato alle uova di storione una sezione del suo Libro de Arte Coquinaria. Appartenenti alla famiglia degli squali, un tempo gli storioni vivevano nei fiumi italiani, come Tevere e Po, in un habitat ideale per la loro riproduzione. Nuotavano risalendo dal mare sino all’alveo dei fiumi, poi la costruzione degli sbarramenti idroelettrici ne ha decimato la presenza, fino all’introduzione dei pesci-siluro che hanno giocato un ruolo determinante nella loro completa

ne della specie. La sopravvivenza dello storione è messa a rischio in Russia, Iran e Cina per il bracconaggio selvaggio e l'inquinamento. Ma, mentre si sta correndo ai ripari per scongiurare una catastrofe ambientale già in atto, anche con accordi tra Paesi rivieraschi del Mar Caspio, la domanda interna di caviale continua a crescere, aprendo il trend all’importazione del prodotto più rappresentativo della Russia. La scelta è caduta su Agroittica Lombarda anche per l’ecosostenibilità dell’acquacoltura, come sottolinea il presidente dell’azienda, Giovanni Pasini. “Le 20 tonnellate annue di caviale sono ottenute da storioni allevati in vasche che si estendono per circa 60 ettari in ambiente biologico ideale per la riproduzione e la crescita delle specie ittiche più pregiate”. Ma chi pensa che l’export di caviale italiano

estinzione. Una tradizione antichissima, distrutta in un centinaio d’anni. Agroittica Lombarda, azienda nata dal fortuito incontra tra itticoltura e siderurgia, ha colmato il gap. “La nostra azienda è nata negli anni Settanta dall’intuizione di un gruppo di imprenditori che decise di sfruttare le acque di raffreddamento di un'acciaieria - spiega Pasini -. Nel tempo abbiamo messo a punto una tecnica assolutamente artigianale, che mantiene le proprietà organolettiche della materia prima. Non a caso il Calvisius viene scelto per servire i viaggiatori in First Class di diverse compagnie aeree internazionali, tra cui Lufthansa, Singapore Airlines e la Thai Airways International”. Solo il 5% della produzione rimane in Italia, mentre il resto viene esportato negli Stati Uniti, Giappone, Francia e Federazione Russa, appunto.


ottobre 2013

TENDENZE

Caffè lungo, pancake, muffin, ciambelle e torte hanno fatto breccia anche a Bergamo, con locali che offrono pasticceria e caffetteria americana e un modo “internazionale” di vivere il pubblico esercizio. «Stranieri e giovani i clienti più entusiasti»

di Anna Facci

S

Colazione a stelle e strisce aranno i viaggi, il successo di una catena come Starbucks, l’affermarsi del cake design e della pasticceria americana, l’aumento di turisti, i tempi di vita e gli stili di consumo in costante evoluzione, la ricerca di nuovi formati commerciali. Sta di fatto che la colazione in stile Usa, dopo tanti anni in cui è rimasta “roba da film” o l’eccezione da provare in vacanza, ha cominciato a fare breccia dentro le consolidate abitudini italiane. Il segnale più evidente di questa svolta lo ha dato McDonald’s, che dall’inizio di settembre ha introdotto in 300 dei 460 ristoranti presenti in Italia «la colazione che non c’era», con una serie di proposte che vanno dalle meno traumatiche “come a casa” con pane e marmellata e “tradizionale” con le brioche, alla “coccolosa” con muffin, cookies e donut, fino alla “energetica” con uova strapazzate e bacon arrostito. Si può

comunque comporre il pasto a piacere, spaziando dai pancake con sciroppo d’acero ai bagel con omelette o con bacon, all’Egg McMuffin, un muffin salato farcito con uova, prosciutto e formaggio. Il tutto da accompagnare a espresso, caffè americano, cappuccino, latte, latte e cacao o tè. La scelta, illustrata dai vertici di McDonald's Italia, è data dalla volontà di andare a presidiare in maniera più consistente il segmento della colazione, senza però stravolgere le abitudini degli italiani. Il mercato, del resto, è ampio. Secondo uno studio di The NPD Group, ben il 47% degli italiani consuma infatti la colazione fuori casa, contro il 31% degli spagnoli e il 17-18% di tedeschi, inglesi e francesi, per un giro di affari che si aggira attorno agli 11 miliardi di euro l'anno. Se, quindi, Starbucks non ha ritenuto interessante far scontare i propri bic-

chieroni con la tazzina di espresso, il colosso dei fast food ha invece creduto e investito sul cambiamento. Non è però una tendenza in mano solo ai grandi marchi. Nelle grandi città sono già affermati locali impostati attorno alla caffetteria e pasticceria americana e anche a Bergamo abbiamo trovato due locali aperti di recente con un’ampia varietà di dolci (non arrivano alle uova col bacon) e bevande “a stelle e strisce”. Quella che parte come colazione diventa, in realtà, una proposta per tutta la giornata, la possibilità di fare una pausa a qualsiasi ora con qualcosa di nuovo e goloso, in un ambiente che si mette a disposizione del cliente. La tradizione italiana non viene spazzata via – tengono a precisare i titolati -, ma inglobata in una visione diversa di pubblico esercizio. E a confortarli sulla direzione presa c’è la soddisfazione di essere arrivati prima di McDonald’s!

23


TENDENZE Lekka Lekka

L

«Non volevamo essere un bar-gelateria come tanti» a cosa che ci tengono a mettere in chiaro è che «non siamo un bar, chi vuole un espresso o un cappuccino non lo troverà». Potrà però trovare il rassicurante gelato (protagonista indiscusso dell’offerta), in compagnia di una serie di proposte in stile Usa che scompigliano l’impostazione tradizionale dei locali e dei pasti. Loro sono Patrick Lardo, 37 anni, una precedente occupazione nell’edilizia oltre ad una buona esperienza al bar, e Stefano Calvo, 40, impegnato nel marketing e nella comunicazione. Amici di vecchia data per via del basket (per chi si chiede il grado di parentela, Patrick è cugino di coach Lino Lardo), appassionati dell’America, visitata in più occasioni, hanno aperto lo scorso 16 luglio in via San Bernardino 67 la gelateria Lekka Lekka, un locale dove hanno fatto confluire le loro passioni e la voglia di realizzare qualcosa di nuovo. «Il nostro punto di forza è il gelato – racconta Calvo -, 24 gusti studiati uno ad uno, come il pistacchio puro, che è già valso un riconoscimento a Patrick, o accostamenti particolari come noce e miele, zabaione con maraschino. Sin dall’inizio abbiamo pensato di affiancare qualche altro prodotto, per arricchire l’offerta, soprattutto nella stagione più fredda, quando i coni da passeggio e le coppette segnano il passo. Partendo con una nuova attività dovevamo per forza fare leva su qualcosa che ci differen-

ziasse. La posizione, davanti alla biblioteca Tiraboschi, vicino all’Università e ad altre scuole, ci è sembrata l’ideale per puntare sui dolci e le bevande americane, un genere che in altre città è già diffuso e che a Bergamo avrebbe potuto trovare, a nostro avviso, la migliore accoglienza in una zona frequentata da giovani come questa». Largo perciò ai pancake guarniti con sciroppo d’acero (ma anche con caramello, pistacchio, cioccolato, Nutella), alle mitiche

Yoguito

M

«

24

«Prodotti a disposizione tutta la giornata per una ia moglie lavora in aeroporto e vedere la massa di “Ryanair people” che transitano dal nostro scalo è stata la molla per decidere di aprire un coffee and bakery shop. Ci ha dato la consapevolezza che per queste persone sarebbe stato interessante trovare in centro città un locale con un’offerta internazionale». Così Lorenzo Greco, siciliano, da trent’anni a Bergamo, occupato nel marketing turistico prima di avviare la nuova attività, racconta la genesi di Yoguito, aperto da poco più di un anno sul viale Papa Giovanni, al numero 82. Accanto a yogurt, sorbetti sullo stecco, frullati di frutta brasiliana, macedonie, che – visto anche il nome balzano per primi all’occhio passando davanti al locale, la proposta spazia tra i classici della caffetteria e pasticceria americana, fondendo l’approccio salutistico (si fa molta attenzione ad illustrare le proprietà della frutta tropicale e degli infusi) con le modalità di consumo snelle

e libere da orari o convenzioni del mondo anglosassone e di tutte le grandi città. La lista annovera pancake con sciroppo d’acero canadese, crepê, muffin, yogurt con cereali, cupcake (anche al burro di noccioline), donut, waffle, brownies, cookies, cheesecake ed altre torte americane, come la spettacolare Red Velvet a cinque strati, quelle al cioccolato o con caramello e mela verde o, ancora, la car-

rot cake. Sul versante salato, bagel e Cesar salad («quella vera – precisa il titolare - con pollo grigliato»), accompagnati dal caffè americano o da tè, tisane e infusi selezionati (si può scegliere tra 18 varietà), da frullati e smoothie. C’è anche l’espresso, per chi proprio non riesce a farne a meno, e pure l’espresso di cicoria, una bevanda che si sta riscoprendo. Naturalmente tutto si può anche portare via, a cominciare dal bicchiere di caffè che fa tanto film americano. Le proposte vengono anche combinate nella formula menù. Per una cupcake con caffè americano si spendono 3,50 euro, il “pacchetto” più caro costa 18 euro e comprende bagel, Cesar salad, frullato, cupcake e caffè americano «ma è in pratica un pasto completo», fa notare Greco. «I prodotti sono disponibili a tutte le ore ed è questo il carattere innovativo che ci piacerebbe trasmettere anche ai bergamaschi, non solo agli stranieri già


ottobre 2013 Stefano Calvo e Patrick Lardo

ciambelle di Omer Simpson, ai muffin, alle cupcake, ai waffle, alle maple pecan (trecce con sciroppo d’acero e uvetta), alle cheesecake e alle altre torte della pasticceria americana. E visto che di fronte alla golosità i compartimenti stagni non reggono, ci stanno bene pure le crepê dolci e i macaron. Da bere, naturalmente il caffé lungo americano o il frappuccino, preparato con caramello nel bicchiere, ghiaccio, caffé e zucchero frullati e guarnito con panna, caramello o altri sciroppi. Lekka Lekka propone anche frullati, cocktail di frutta e ancora yogurt – intero, greco o di capra – con macedonia e guarnizioni varie. Unica divagazione nel campo del salato il bagel, panino a forma di ciambella farcito con salmone affumicato e pomodoro. Tutti i prodotti sono preparati in proprio. Per un caffé grande si spendono 2 euro, per una cupcake o una fetta di cheese cake 3 euro, ma non mancano le combinazioni, come mega muffin e caffé a 3,50 euro. «Sono proposte più sostanziose rispetto al classico cappuccino con brioche – rileva Calvo -. Se si fa colazione con una carrot cake con panna, ad esempio, ci si può pure dimenticare del pranzo. Ma si può optare per una pausa a qualsiasi ora (d’inverno l’apertura è dalle 7 alle 20, d’estate dalle 10 alle 22/23) con un dolce, un gelato o uno yogurt, a seconda di cosa ci riserva la giornata: il locale offre una visione più libera e informale della consumazione e

della fruizione stessa dell’ambiente». Decisi a differenziarsi in tutto e per tutto, i due amici hanno sostituito le sedie con bancali dipinti e imbottiti, personalizzato da soli le pareti, corredate anche da lavagne che i clienti possono utilizzare liberamente. «C’è il wi-fi – ricordano – ed anche otto attacchi, già dotati di cavo, per la ricarica degli smartphone. È un servizio che in genere non si trova e contribuisce a rafforzare la nostra idea di un locale che si adatta alle diverse esigenze, dove potersi prendere i propri tempi e sentirsi a proprio agio». I primi riscontri sono positivi. «Tra i più entusiasti ci sono gli studenti Erasmus – dice Calvo -, felici di trovare una proposta cui sono già abituati nei propri paesi, e i giovani in genere che amano rivivere le atmosfere incontrate all’estero e, in ogni caso, sono più propensi a sperimentare». Comunque c’è sempre il gelato. «È il cardine dell’attività – ricorda -. Non vogliamo di certo creare una contrapposizione con la tradizione italiana, ma far scoprire altre abitudini e prodotti che possono piacere». via San Bernardino, 67 Bergamo tel. 035 2652573 www.lekka.it

pausa ad ogni ora» abituati ad una impostazione flessibile dei pasti. Si può fare una colazione abbondante alle 11 di mattina che permette di arrivare fino all'ora di cena o pranzare con un dolce o con yogurt, cereali e frutta. Il locale è aperto dalle sette del mattino all’una di notte e, ci tengo a farlo notare, è un’opportunità per i giovani di stare fuori la sera fino a tardi senza consumare alcolici». Il carattere internazionale è sottolineato dalla connessione wi-fi, dalle scritte tradotte in inglese, lingua parlata anche da tutto il personale. Si accettano inoltre tutte le carte di credito e ci si sta attrezzando per il pagamento tramite credito telefonico. «Gli stranieri non fanno fatica a capire la proposta, i giovani nemmeno – rileva –, la sfida è fare in modo che ne parlino alle loro mamme e che anche loro poi vengano con le amiche. So che a Bergamo non sarà così facile, ma se avremo successo qui vorrà dire che abbiamo trovato la formula giusta anche per aperture in altre città». Yoguito

a Bergamo è considerato infatti un locale “pilota”. I dolci sono realizzati da una pasticciera americana in un laboratorio a Firenze («perché bisogna saperli fare bene»), le materie prime caratterizzanti vengono dagli Stati Uniti, mentre per il fresco si può contare sulla marcia in più che danno i prodotti italiani realizzando un connubio virtuoso tra stili diversi. «Stiamo ancora riflettendo su cosa sarà da grande questo locale – ammette Lorenzo Greco -. Un

aspetto da considerare, ad esempio, sono le dimensioni. Qui abbiamo 18 posti all’interno e 15 fuori, un po’ pochi se si vuole dare la possibilità di fermarsi anche per un po’ come capita all’estero per impostazioni di questo tipo». viale Papa Giovanni XXIII, 82 Bergamo tel. 035 0789284 www.yoguito.it

25


LA POLEMICA

La nascita del “Consorzio cantine franciacortine”, che riunisce una trentina di produttori, è un primo segnale di dissenso verso le politiche dell’organo di tutela. Falcetti (Quadra): «Da oggi in poi o si lascia andare la crisi allo sbando o si cerca di ricomporla»

di Riccardo Lagorio

S

Franciacorta, prime crepe all’interno del Consorzio

i sa che i panni sporchi, nelle famiglie perbene, vengono lavati in casa. Talvolta però sono sufficienti pochi indizi per arguire che non tutto fila per il verso giusto. È questo il caso della Franciacorta e del suo autorevole Consorzio di tutela. I malumori erano nell’aria da tempo, un po’ per il momento non certo facile neppure per i vignaioli delle prestigiose bol-

licine Made in Italy, un po’ a causa di alcune scelte effettuate da parte del Cda che, a detta di alcuni, tende a privilegiare i grandi nomi a discapito dei marchi meno noti. Ovviamente, nessuno mette in discussione la democraticità interna all’organo di rappresentanza, tuttavia la creazione di un consesso di circa 30 cantine denominato “Consorzio cantine

franciacortine” è un segnale ben chiaro. L’occasione della fondazione è stata la riuscitissima manifestazione Cantine in Villa, svoltasi in seno alla iniziativa “Franciacorta in cantina” coordinata dal Consorzio Franciacorta il 28 e 29 settembre scorsi. Secondo Mario Falcetti (Quadra Franciacorta) le cantine che si sono consorziate sono probabilmente mosse

ACCADEMIA DEL GUSTO

Le torte salate indossano l’abito da sera Appuntamento con le innovative proposte di Luca Montersino, belle e raffinate quanto le creazioni dolci

26

Le torte salate abbandonano con orgoglio i panni da Cenerentola per farsi belle almeno quanto le creazioni dei maestri pasticcieri. A trasformare zucche in carrozze la bacchetta magica del pasticciere di fama internazionale dall’irresistibile appeal mediatico Luca Montersino, pronto a nobilitare la pasticceria salata con proposte di grande eleganza estetica e dal gusto raffinato. Nel libro, fresco di stampa da Food Editore dal titolo “Torte Salate Innovative”, Montersino lancia la sfida, vinta a suon di prove, calibrature e messe

a punto, di riproporre in versione salata i capisaldi della pasticceria dolce: «La tecnica impiegata per realizzare gelatine, mousse e bavaresi viene riproposta in versione salata, come nella torta con gelée di melone, prosciutto, con incastonati fichi interi resi più lucidi e brillanti dalla gelatina - spiega il più famoso pasticciere italiano nel mondo nonché paladino di una patisserie alternativa e salutistica -. Il panettone, nella versione salata, è farcito con mortadella e pistacchi. La crema pasticcera diventa salata, con base di

latte e parmigiano, e si presta per le più svariate preparazioni, esattamente come accade con la versione dolce. Anche gli impasti base sono il frutto di un grande lavoro di ricerca, dal pan di Spagna adattato per la pasticceria salata, al biscuit alla frolla. E poi ci sono le sfogliatelle e i babà, che possono ingannare a prima vista anche i golosi più esperti». •Per mostrare nuovi ed intriganti modi di realizzare e presentare le torte salate, Luca Montesino sarà all’Accademia del Gusto di Osio Sotto lunedì 28 ottobre


ottobre 2013 da istanze diverse una dall’altra. «Il Consorzio cantine franciacortine (al quale Quadra Franciacorta ha aderito), che piaccia o no, rappresenta un momento di frizione e di crisi nel Consorzio Franciacorta: da oggi in poi o si lascia andare la crisi allo sbando o si cerca di ricomporla. Un manager dovrebbe gestire la crisi per conciliare le diverse anime. In particolare, ritengo che quelli arroccati su posizioni conservatrici dovrebbero prendere atto che la Franciacorta si è evoluta e non si può considerare come dieci anni fa. Malgrado ciò, bisogna dare atto che se ci sono stati ingenti investimenti in questo territorio è perché se ne è riconosciuto un valore collettivo. Con questa nostra prima uscita abbiamo colto nel segno e abbiamo portato all’attenzione un’esigenza, dimostrando che se ce l’abbiamo fatta una volta, ci si potrebbe anche ripetere». Non siamo certo alla rottura, ma ad un segnale ben assestato. Un aspetto che non può essere taciuto è il costo di certe iniziative che vengono attuate dal Consorzio Franciacorta e che non trovano tutti d’accordo: «Quando il Consiglio di amministrazione ha deliberato di non procedere all’organizzazione del Festival in Villa, che è alla base di un importante momento collegiale, prendendo atto della volontà della maggioranza delle aziende, non è forse che queste abbiano votato a sfavore dell’iniziativa perché il Consorzio stesso aveva creato nelle precedenti edizioni eventi collaterali, magari non sempre

indispensabili, facendo lievitare esponenzialmente i costi?», continua Falcetti. Su questa lunghezza d’onda pare articolarsi il pensiero di Francesca Bonfadini (dell’omonima cantina): «Sarebbe tempo che anche i piccoli avessero una loro visibilità e perché questo avvenga devono essere creati circuiti e manifestazioni fatti sulla loro misura. Ora che il Consorzio cantine franciacortine è stato creato bisogna sfruttare l’occasione per promuovere i nostri prodotti e venderli, ma ci può servire nel prossimo futuro per acquistare collegialmente dei quantitativi importanti di bottiglie per esempio, facendo contare un potere d’acquisto più forte. Infatti l’unico modo per limare i costi è creare gruppi di acquisto. La finalità è quindi triplice: organizzare iniziative patrocinate o meno dal Consorzio Franciacorta, vendere congiuntamente i nostri prodotti e creare gruppi di acquisto». Francesca Bonfadini, che è stata tra le più convinte sostenitrici di Cantine in Villa, rimarca peraltro che «il termine che ci siamo dati di Consorzio non è per sostituirci a quello esistente, ma perché sotto il profilo giuridico appare l’unica forma che ci garantisce queste possibilità di lavoro. Il Consorzio cantine franciacortine deve avere un futuro: tutti si devono prendere qualcosa da queste idee e capire di utilizzare questo strumento», continua. La giovanissima Giulia Balzarini (Azienda Agricola Enrico Gatti) appare assai soddisfatta: «Avendo da pochi anni cominciato a

lavorare nel mondo del vino, questa è l’opportunità di conoscere nuove realtà e di fare gruppo. Il consorzio può essere un viatico per organizzare anche altre iniziative che possono soddisfare le nostre necessità. Perciò io mi auguro che questo gruppo abbia una continuità e non sia limitato nelle scelte che deve prendere». Istanza legittima ed in linea con le aspirazioni di chi vive avendo davanti a sé una lunga strada da percorrere… Pietro Angelo Plebani (La Fiorita), che del neonato Consorzio è il presidente, da navigato sindacalista di Coldiretti, apre una finestra su un mondo che non è solo quello del Franciacorta: «È vero che la dimensione ideale per le aziende agricole dovrebbe essere maggiore, ma nel nostro Paese l’agricoltura è fatta di piccole realtà. E ne dobbiamo tenere conto. Sinora abbiamo notato poca sensibilità nei confronti delle cantine di ridotte dimensioni. E, lungi da contrasti o polemiche con il Consorzio Franciacorta, stiamo parlando di necessità diverse, volte a fare conoscere il Franciacorta direttamente al consumatore con maggiore concretezza da parte dei decisori. Se ci fosse il contributo del Consorzio Franciacorta per raggiungere questi obiettivi, sarebbe molto gradito. Al momento è ed è stato scarso…». Necessità di scelte condivise ed imparziali, ma soprattutto concretezza. Sembra essere questa l’istanza che muove principalmente il “gruppo dei 30”, con buona probabilità destinato a crescere.

Con Fabio Tacchella alla scoperta delle nuove tecniche in cucina La cucina si innova e diventa sempre più facile da gestire, grazie alle nuove tecniche e tecnologie di cottura nate per esaltare il gusto, ottimizzare i tempi di servizio senza per di più sporcare pile di pentole e padelle. La prima rivoluzione in cucina è rappresentata dal passaggio dalla cottura sottovuoto a bassa temperatura per tempi lunghissimi a quella espressa. «I nuovi sacchetti resistono fino a 220 gradi e si prestano a cotture rapide e a temperature elevate - spiega lo chef Fabio Tacchella, ricercatore per l’innovazione tecnologica nel settore dell’alimentazione -. Se brasati e ossi buchi richiedevano una cottura sottovuoto di 14-15 ore a bassa temperatura, ora bastano meno di due ore. Si risparmia energia e si raggiunge, senza troppi accorgimenti, l’obiettivo di una cucina espressa, cotta

e servita, senza salse da fare addensare e con un risparmio di tempo notevole». Tra le altre novità, l’utilizzo della fibra di patata, grazie alla quale impasti dolci e salati acquisiscono una nuova consistenza, ancora più morbida e soffice, anche a prova di intolleranza al glutine. E ancora, l’evoluzione della carta fata («capace di esaltare il sapore di mare dei molluschi con una consistenza senza dubbio più carnosa, senza inutili dispersioni di preziosi succhi») e la ricerca di coloranti naturali, riscoprendo i pigmenti di una volta, per un cake design attento anche agli ingredienti. •Il corso con Fabio Tacchella è in programma il 12 novembre, dalle 10 alle 17. Illustra le ultime evoluzioni delle tecniche di cottura, l’esecuzione delle ricette e l’ottimizzazione dei tempi di preparazione.

L’Accademia del Gusto dell’Ascom è a Osio Sotto, in piazzetta Don Gandossi, 1. Info: tel. 035 4185706/707/715; e-mail: info@ascomformazione.it; www.ascomformazione.it

27


docksnews DEDICATO A RISTORANTI, BAR, PIZZERIE E COMMERCIANTI ALIMENTARI

TUTTO QUELLO CHE SERVE PER IL TUO LAVORO... É QUI!

Da 50 ANNI siamo al servizio dei professionisti

commerciali con impegno, attenzione, qualità, vasta scelta, grande convenienza e offerte tutto l’anno!

TUTTO PER LA SODDISFAZIONE DEI NOSTRI CLIENTI.

SE TI PIACCIONO AFFARI E VANTAGGI... FAI SUBITO LA TUA NUOVA TESSERA DI INGRESSO! RICHIEDILA AL BOX INFORMAZIONI DEL NOSTRO PUNTO VENDITA.

PER OTTENERE LA TESSERA D’INGRESSO OCCORRE: ✔ L’iscrizione alla C.C.I.A.A. ✔ Certificato attribuzione Partita IVA ✔ Documento identità titolare

TEL. 035.372702 DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ 7.00/19.30


ottobre 2013

NEWS

Nella nuova pubblicazione dei bergamaschi Gianfranco Di Niso e Davide Manzoni le informazioni per un bere sempre più consapevole

il barman Gianfranco Di Niso

D

Cocktail, una guida svela tasso alcolico e calorie

opo la felice esperienza del volume “Cocktail - 180 ricette con sfiziosi abbinamenti gastronomici” (selezionato come rappresentante italiano nella cinquina finale dei Gourmand World Cookbook Awards) i bergamaschi Gianfranco Di Niso e Davide Manzoni fanno il bis, riunendo in un tascabile a forma di bicchiere da cocktail cento delle loro ricette. Si chiama “Cocktail Mania”, è edito da White Star come il libro d’esordio e, come il fratello maggiore, tradotto in inglese, francese, tedesco e spagnolo. Le preparazioni vengono presentate con un nuova scansione in quattro capitoli (happy hour, anytime, after dinner e cool drinks, ovvero le proposte più di tendenza), introdotti da una ricerca sulla storia dei cocktail e le diverse leggende che ne narrano l’origine. La guida è pensata

DAL 15 AL 18 NOVEMBRE SENZA GLUTINE, A BRESCIA LA FIERA SPECIALIZZATA “Il punto d’incontro per un mercato in crescita” è lo slogan che accompagna Gluten Free Expo, il primo salone europeo interamente dedicato ai prodotti e all'alimentazione senza glutine. La manifestazione, alla seconda edizione, è in programma al polo espositivo Brixia Expo di Brescia dal 15 al 18 novembre e si propone come punto di riferimento per consumatori e professionisti, con novità, laboratori, dimostrazioni con chef e produttori, degustazioni, conferenze scientifiche e seminari attorno ad un tema che diventa sempre più di attualità con la crescita delle intolleranze e la ricerca di soluzioni che rendano facile, piacevole e sicuro seguire un regime alimentare senza glutine. Per i momenti di pausa a disposizione un ristorante gluten free, naturalmente. www.s-attitude.com

e scritta in modo semplice per accompagnare gli hobbysti (le quantità espresse in centilitri permettono di misurare esattamente le dosi), ma si propone anche come supporto agli addetti ai lavori grazie a tre voci sinora inedite nella letteratura sul bere miscelato: tasso alcolico, apporto calorico e quantità in grammi dei prodotti solidi. «Tale scelta – spiegano gli autori - vuole soddisfare sia i barman, oramai consapevoli di dover suggerire drink dall’adeguata gradazione alcolica, sia gli estimatori di un bere miscelato che a noi piace definire “sano” e in armonia con il codice della strada. Le grammature di ogni prodotto alcolico e solido permettono inoltre di calcolare facilmente il prezzo di ogni drink ed eseguire così una perfetta analisi dei costi».

DAL 16 AL 18 NOVEMBRE GOLOSARIA, ARTIGIANI DEL GUSTO E VINI TOP IN PASSERELLA

Golosaria Milano, la rassegna di cultura e gusto promossa dal Club di Papillon, si trasferisce e amplia ulteriormente gli spazi espositivi. L’edizione 2013 sarà infatti organizzata nei Superstudio Più, in via Tortona 27, cuore del quartiere del design, dal 16 al 18 novembre. L’evento accende i riflettori sui migliori produttori artigianali d’Italia selezionati dal libro Il Golosario di Paolo Massobrio: paste, sughi, formaggi, salumi, dolci artigianali, birra, cioccolato accanto alla selezione di 100 migliori vini d'Italia, i Top Hundred. L’appuntamento saluta anche la nuova GuidaCriticaGolosa dedicata a Piemonte, Lombardia, Liguria e Valle d’Aosta con le indicazioni su dove vale la pena fare una sosta per mangiare, ma anche per acquistare prodotti. “Il mito del gusto italiano” è il tema di questa ottava edizione che si snoda tra il palco principale, dove si svolgono talk, premiazioni e spettacoli, l’area Food con i 130 Artigiani del Gusto selezionati, le cantine Top Hundred, la Terrazza Wine che propone degustazioni guidate su prenotazione, un’area ristorazione sempre attiva, con i piatti della nuova tradizione lombarda, show cooking, dimostrazioni e assaggi, lezioni di barbecue e hamburger station. Non mancano dibattiti, racconti e c’è anche una pièce teatrale “Tutto quello che sto per dirvi è falso”, sull'italian sounding. www.golosaria.it

29


FACECOOK Alla scoperta dei social-chef di Laura Ceresoli

Erminio Schiavi, di Clusone, gestisce un locale nel canton Vaud. "Per le mie proposte uso anche il taleggio e il salame orobico e questo piace". Online lo seguono 494 amici

Con un tocco bergamasco, le pizze conquistano gli svizzeri Erminio Schiavi (a destra)

Erminio Schiavi è nato il 13 dicembre 1966. È originario di Clusone, ma per lavoro ha girato il mondo. Nel 1999 ha vissuto una significativa esperienza professionale a Beirut, poi nel 2000 si è trasferito a Yverdon-les-Bains, comune svizzero del Canton Vaud che si affaccia sul lago di Neuchâtel. Oggi lavora come pizzaiolo al "Dopio pizza" di rue des Remparts. Su Facebook 494 amici seguono le sue vicissitudine culinarie e non mancano di commentare o cliccare un bel “Mi piace” sulle immagini che ritraggono le sue pizze, così soffici e ricche da far invidia ai cuochi partenopei. Non a caso qualche collega lo spia, gli chiede consigli, gli elargisce qualche complimento e cerca di rubargli i trucchi del mestiere. Ma sono gli ingre-

N 30

ella stazione termale di Yverdon-lesBains, nel cuore della Svizzera francese, fa capolino il Dopio Pizza. Dietro il nome all’apparenza anonimo di questo piccolo ristorantino italiano, a pochi passi dal lago di Neuchâtel, si cela un menù che proprio non ti aspetti. Merito di Erminio Schiavi, pizzaiolo originario della Valle Seriana che è riuscito a solleticare i palati elvetici con le sue soffici focacce farcite di prelibatezze orobiche, dal salame bergamasco al taleggio. Ne è passato di tempo da quando, poco più che adolescente, Erminio trascorreva le sue vacanze estive lavorando come aiuto cuoco

dienti a rendere uniche le sue focacce poiché provengono proprio dal cuore delle Orobie, come il taleggio o il salame bergamasco. Di tanto in tanto, Erminio approfitta del social network per fare qualche dedica a distanza “agli amici italiani che gli vogliono bene”. Gli stessi che, appena possono, durante i periodi di vacanza, fanno un salto da lui per una rimpatriata. Tra le varie foto del suo profilo non poteva mancare una bella polenta fumante coi funghi, un palese richiamo alla sua terra d’origine. Una tradizione, quella culinaria, che oggi Erminio sta insegnando anche alla moglie cinese Xiaomei Dong che, di tanto in tanto, lo affianca dietro il forno a legna diventando la sua più fedele aiutante.

in un locale di Bratto. Oggi in Svizzera, lontano dall’opprimente aria di crisi che serpeggia in Italia, ha trovato la sua dimensione culinaria. Eppure alle sue Orobie non smette mai di pensare: “Magari quando sarò in pensione - dice - ci ritornerò per sempre”. Quando ha deciso di lasciare Clusone per cercare fortuna in Svizzera? "Ho iniziato a recarmi all' estero fin dagli esordi della mia carriera. Già a 16 anni ho cominciato a fare le mie prime esperienze in Svizzera. Ho iniziato come pasticcere, poi ho sempre trovato lavoro come pizzaiolo, ma mi arran-

gio anche come cuoco. Adoro girare il mondo anche perché in tutti questi anni ho avuto l’opportunità, più unica che rara, di apprendere i trucchi del mestiere e di conoscere tanti colleghi di molte nazioni diverse".


ottobre 2013 Ma la sua passione per la cucina com’è nata? "Tutto è cominciato nel 1980, quando frequentavo ancora le scuole medie. In estate, durante le vacanze, andavo a Bratto per lavorare come aiuto in cucina. Poi piano piano ho imparato sempre di più. Credo che questa passione che nutro per il lavoro nella ristorazione me l’abbia trasmessa mio padre, che nella vita ha sempre fatto il cameriere". Oggi dove lavora? "Al Dopio Pizza di Yverdon-les-Bains, nel cantone Vaud della Svizzera romanda". Che cosa piace agli svizzeri della nostra cucina? "Gli svizzeri amano molto la cucina italiana. Escono almeno una volta alla settimana per andare a mangiare nei ristoranti italiani. Oltre alla pizza, prediligono in particolare i primi piatti e i dessert". Come definirebbe la cucina svizzera? "La cucina svizzera varia da cantone a cantone. È un insieme di tradizioni diverse. Gli svizzeri amano molto i formaggi, la fonduta, la raclette (piatto che si prepara tagliando a metà la forma di formaggio e scaldandola al fuoco, ndr.), le rösti (patate grattugiate e saltate in padella, ndr.). Nel cantone in cui lavoro io, ma soprattutto nel cantone tedesco, piace molto anche la salsiccia di carne di maiale, io però la trovo troppo pesante. Invece in Ticino hanno gusti più o meno come i nostri". Le sue pizze? "Piacciono e non so proprio dire quale sia il segreto. Certo è che, dovunque vado, cerco di adattarmi impastando la pizza che più si addice a un certo tipo di clientela. Da noi nel nord Italia, per esempio, piace una pizza né troppo sottile né troppo alta, mentre nel centro-sud la preferiscono più alta e soffice. Nelle sue pizze si trovano anche parecchi ingredienti tipici bergamaschi… "Sì, uso in particolare il taleggio e il salame bergamasco. Poi ricorro anche ad altri prodotti tipici italiani come il gorgonzola, la fontina valdostana, la toma piemontese, il parmigiano, la bresaola, la pancetta arrotolata e lo speck". Qual è stata la sua più grande soddisfazione in questi anni? "Nella vita privata la mia più grande soddisfazione è stata quella di conoscere mia moglie. Per quanto riguarda il lavoro, ho vissuto una bellissima esperienza a Beirut. Comunque non mi stancherò mai di dire che la mia fortuna più grande è stata quella di incontrare molte persone che mi hanno aiutato nel mio cammino". Il suo motto? "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te". Che cosa le manca di Bergamo? "Avendo passato gran parte della mia vita a girare il mondo, mi è sempre mancata la vicinanza della mia famiglia. Poi, naturalmente, mi manca tantissimo la nostra cucina". Il suo piatto preferito? "Ce ne sono così tanti! Se proprio devo scegliere allora probabilmente scelgo il risotto alla toma piemontese". Tornerà a Clusone prima o poi? "Prima o poi tornerò in Bergamasca, perché la nostalgia si fa sentire".

31


IL PREZZO FISSO

Il locale di Zogno festeggia l’anniversario con un menù dedicato per tutto il 2013. In cucina la terza generazione della famiglia Rubis: «Cerchiamo di rispettare ancora le indicazioni del nonno». La chicca in più sono i funghi e i tartufi raccolti da papà Rossano Claudio Rubis con mamma Bruna e papà Rossano

di Fulvio Facci

“L

“La Staletta”, quarant’anni all’insegna della tradizione

a Staletta” di Zogno agli inizi degli anni Settanta era quel rustico dipinto sull’insegna all’ingresso del locale, biglietto da visita e insieme efficace rimando alla storia dell’attività. Era una piccola stalla circondata da campi dove adesso sorge invece un agglomerato urbano. Nonno Lorenzo Rubis (oggi siamo infatti alla terza generazione nella conduzione del ristorante) anziché andare a lavorare alla Mani-

fattura, come avveniva per la maggior parte dei residenti, decise di vendere i campi e di realizzare il locale, aperto nel 1973. Quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario e il traguardo è sottolineato da un menù ad hoc che costa 40 euro a coppia e sarà proposto sino alla fine del 2013. Comprende salame nostrano con lardo e polentina, casoncelli tradizionali fatti in casa, polenta taragna con coniglio croccante e fetti-

LA PROVA

Ravioli alle verdure e polenta taragna tra le specialità Nel giorno della nostra visita, il menù per il pranzo a prezzo fisso proponeva ravioli alle verdure fatti in casa, orecchiette con polipetti e pomodoro, rigatoni alla campagnola, come scelta per il primo piatto e per secondo scaloppine al vino bianco, polenta taragna con sugo d’asino, bistecca di tacchino alla piastra. Anche nel pranzo di lavoro sono compresi, quindi, due cavalli di battaglia del locale e cioè la polenta taragna e i ravioli con ripieno di verdure. Insalata mista, spinaci e finocchi per contorno. Si può scegliere un solo piatto per otto euro o due piatti per dieci euro. Sono sempre compresi acqua, vino e caffè. Abbiamo i scelto i rigatoni alla campagnola, buoni, ma ci hanno in pratica “obbligato” ad assaggiare almeno tre dei ravioli fatti in casa: squisiti. Polenta taragna con sugo d’asino per secondo con contorno di spinaci per completare un pranzo dall’ottimo rapporto prezzo/qualità.

32

ne di stracotto d’asino, tiramisù fatto in casa e un calice di Valcalepio rosso per persona e ben rappresenta la cucina de La Staletta. Siamo in via Campelmè 20 e bisogna inerpicarsi parecchio all’interno del centro abitato per trovare il ristorante, che da qualche anno è anche pizzeria. In cucina prosegue la tradizione tutta al maschile, rappresentata oggi da Claudio, 31 anni. Mamma Bruna Son-


ottobre 2013 zogni è in sala ed il papà Rossano collabora un po’ con tutti all’occorrenza, ma, in particolare, è un raccoglitore di funghi e tartufi neri: anno magro questo. Entrambi avevano esperienze nel settore soprattutto con le “stagioni” a San Pellegrino. «Ho cercato di cambiare il meno possibile – racconta Claudio – proprio per rispettare la tipicità della nostra tradizione. I piatti sono quelli, io al massimo cerco di dare un tocco diverso dal punto di vista estetico. Essendo un locale a conduzione famigliare cerchiamo di fare il più possibile in casa, quindi casoncelli, gnocchi, pasta fresca e dolci. Non abbiamo voluto cambiare anche per una forma di rispetto, se vogliamo, delle indicazioni del nonno». Come tutti i locali difficili da conoscere perché defilati rispetto alle strade di grande traffico, La Staletta sviluppa il proprio lavoro su clienti ormai tradizionali. Buona l’affluenza per il pranzo di mezzogiorno (dai 40 ai 70 coperti), qualche compagnia in settimana e poi sabato sera e domenica a pranzo i momenti di punta. «Vista la collocazione, non si arriva da noi per caso – rimarca Claudio -. La nostra clientela viene prevalentemente da fuori, da Bergamo, da Milano. Lavoriamo molto bene nel periodo delle cresime e delle prime comunioni, avevamo anche tanti matrimoni ma ora chi si sposa preferisce location importanti come ville e castelli. Noi comunque abbiamo una nostra dimensione e se stiamo andando avanti di quarant’anni vuol dire che qualche cosa di buono lo sappiamo fare. Sulla costante della cucina tradizionale, in estate inseriamo qualcosa di più fresco, un po’ di pesce in più, oltre i gamberoni saltati

in padella e alla grigliata mista secondo le disponibilità del giorno sempre presenti. Nell’87 abbiamo inserito anche la pizzeria per offrire una scelta in più, ma la gente - ammette - viene da noi per la cucina». I prezzi sono decisamente accessibili e nella lavorazione della pasta fresca ripiena c’è molta ricercatezza: dai classici casoncelli alla bergamasca per passare ai ravioli di pasta integrale ripieni di tartufo nero, porcini e formai de mut e concludere con i ravioli ripieni di ortaggi. La polenta - taragna e non - domina tra i secondi abbinata ai codeghì, allo stracotto e al coniglio croccante. L’altra chicca sono i funghi che papà Rossano raccoglie con passione, confidando naturalmente nelle buone stagioni! Ristorante con pizzeria La Staletta via Campelmè, 20 - Zogno tel. 0345 91490 - www.lastaletta.com chiuso martedì sera

L’APERTURA

Sinfonia del Gusto, ogni sera un sapore diverso

Norma Torri e Lucio Signorelli

Aprire un locale nuovo, in tempo di crisi, non è mai facile e comporta sempre dei rischi, a maggior ragione se la concorrenza è grande. Ma i titolari del ristorante pizzeria “Sinfonia del Gusto”, in via Aldo Moro 12 a Trescore Balneario, si sentono pronti a rischiare. Lucio Signorelli e Norma Torri, il primo barista e la seconda esperta ristoratrice, avendo lavorato e gestito il ben avviato ristorante “La Torretta” di Valbrembo, hanno predisposto un locale elegante, ben curato nei dettagli e accogliente, con due sale e una bella terrazza che complessivamente possono accogliere una cinquantina di clienti. L’offerta gastronomica spazia dalle pizze, alle quali i proprietari hanno curiosamente dato dei nomi “musicali” che si rifanno a celebri complessi e a grandi musicisti (Dire Straits, Beatles, Mozart, Beethoven), alla gastronomia d’asporto, variegata e fantasiosa, alla cucina classica italiana e bergamasca, non disdegnando elaborazioni personali di ricette della tradizione spagnola e mediterranea, sempre con ingredienti freschi e selezionati. A mezzogiorno il pranzo di lavoro viene proposto a 9 euro, con un’ampia possibilità di scelta, mente alla sera nel corso della settimana il locale punta su proposte a tema a prezzo fisso: il mercoledì tocca al “Menù dei cinque primi” al costo di 10 euro, il giovedì c’è la serata “Barbecue” con grigliata mista a 18 euro, il venerdì “Pizza Non Stop”, con la possibilità di degustare una varietà di pizze al costo di 10 euro. Senza dimenticare il “Menù della tradizione bergamasca” a 18 euro, la domenica a mezzogiorno. Si possono organizzare serate gastronomiche a tema e ordinare menù da asporto. Ampia la scelta dei vini. Il locale non è situato in posizione centrale, tuttavia è facilmente raggiungibile sia da Bergamo sia da Sarnico o Lovere, essendo a poche centinaia di metri dalle strade statali e dispone di un’ampia possibilità di parcheggio.

Ristorante pizzeria “Sinfonia del Gusto” via Aldo Moro, 12 Trescore Balneario chiuso il martedì

33


LE AZIENDE INFORMANO

L’AZIENDA DI ALMÈ HA VARATO UNA LINEA DI CINQUE PRODOTTI DAL COMPETITIVO RAPPORTO TRA QUALITÀ E PREZZO, PER RISPONDERE ALLA CRESCENTE ATTENZIONE DEI CONSUMATORI. «SEGUIRE DIRETTAMENTE OGNI FASE, DALLA PRODUZIONE ALLA COMMERCIALIZZAZIONE, CI PERMETTE DI RIDURRE I PASSAGGI INTERMEDI»

La Casera di Martinelli, il formaggio che sfida la crisi

S

e i tagli alla spesa sono arrivati anche in tavola, come conferma il calo dei consumi alimentari, la sfida del momento di chi produce e vende non può che essere quella di riuscire a coniugare il gusto con l’attenzione al portafoglio. È quanto sta facendo La Casera di Martinelli di Almé, che, forte di un’esperienza di tre generazioni nella produzione, stagionatura, confezione e commercializzazione su tutto il territorio nazionale di formaggi, ha deciso di investire su una linea di prodotti che qualcuno ha già definito “cheap”, “low cost” o “anticrisi”, che vanno ad affiancare l’offerta tradizionale con l’obiettivo di intercettare questa nuova sensibilità del mercato. Nella propria sede, su una superficie di 3mila metri quadrati, l’azienda cura direttamente le fasi di stagionatura e confezionamento, mentre la produzione è affidata ad una rete di caseifici controllati dall’azienda. Personale qualificato ed una rete vendita sono impegnati a realizzare un fatturato di 10 milioni di euro all’anno. Grande distribuzione, negozi al dettaglio, pubblici esercizi e ristorazione collettiva la clientela di riferimento, che trova a disposizione 60 tipologie di formaggi nazionali ed esteri, dall’eccellenza delle Dop come Taleggio, Quartirolo e Gorgonzola ai prodotti tipici come il Branzi, dagli stagionati ai freschi senza dimenticare quelli a base di latte di capra e pecora. Le nuove proposte low cost sono cinque, tutte di latte vaccino: due formaggelle, due latteria e un formaggio fresco cremoso, tipo crescenza. «Proprio quest’ultimo spiega l’azienda - rappresenta uno dei prodotti più interessanti. Non solo è una tipologia molto utilizzata nella ristorazione, nei pubblici esercizi per le farciture di piadine e panini, nei panifici e nelle focaccerie, ma pensiamo possa guadagnare spazio anche nella vendita al dettaglio proprio grazie al prezzo estremamente competitivo, dato in primo luogo dal fatto che si tratta di un prodotto da tagliare al banco e non, come d’abitudine ormai, già pronto in porzioni calibrate, con tutti i costi che ne conseguono. Il fatto è che, soprattutto nella grande distribuzione, cercando di velocizzare i tempi del servizio, si

34

è persa la tradizione del taglio. In realtà, trattandosi di un formaggio comunque compatto, non ci sono problemi, mentre sono evidenti i vantaggi in termini di prezzo». La competitività, anche per gli altri prodotti, viene inoltre dal fatto che l’azienda segue tutte le fasi dalla produzione alla fornitura, accorciando i passaggi. Ma come si conciliano prezzo e qualità? «Naturalmente ci sono piani differenti – si evidenzia -. Sappiamo bene che una Dop incarna le caratteristiche particolari di una zona e di una modalità produttiva, ed ha per questo costi diversi, ma non dimentichiamo che esistono molti prodotti altrettanto qualificati e buoni, con prezzi altamente competitivi, realizzati mediante latte di qualità e ricercate ricette. Per quanto ci riguarda, l’obiettivo è rafforzare i prodotti a marchio “La Casera di Martinelli”, che racchiudono tutte la nostra esperienza e identificano uno stile che in tanti anni di attività ha già ottenuto ampi apprezzamenti».

LA CASERA DI MARTINELLI piazzale Don Seghezzi, 4 - Almè tel. 035 541144 - www.lacaseradimartinelli.it


ottobre 2013

IL CONCORSO

L

a “Patata soffice uovo e uova” di Enrico Bartolini, chef del Devero Ristorante di Cavenago, servita in abbinamento al Villa Franciacorta Emozione Brut Millesimato 2009, si è aggiudicata la decima edizione di Sparkling Menù, il concorso che premia la creatività in cucina abbinata ai Millesimati Villa Franciacorta. La giuria, composta da oltre settanta giornalisti, sommelier e opinion leader, ha premiato il connubio di equilibrio e originalità racchiusi nel piatto. Bartolini doveva vedersela con altri quattro cuochi agguerriti: Ennio Zanoletti dell’“Hostaria Uva Rara” di Monticelli Brusati (Bs), con i Ravioloni di tinca ripiena con burro di malga e formaggella di Tremosine abbinati al Villa Franciacorta Emozione Brut millesimato 2008; Enrico Braghese del “Zi' Rico” Palestrina (Roma) in gara con gli Spaghetti cacio e pepe con croccante di guanciale inaffiati dal Villa Franciacorta Rosè Brut mil-

Bartoloni Bartolini si aggiudica la decima edizione le di Villa Sparkling Menù lesimato2009; Gagan Nirh del Tabla di Lugano, che ha servito la Rana pescatrice in salsa di spezie tostate, tipiche del Maharashtra abbianta al Villa Franciacorta Rosé Brut Millesimato 2009; Teresa Buongiorno del ristorante “Già Sotto

sale di Villa, a Monticelli Brusati, hanno tenuto fede alla filosofia dello Sparkling menù, che punta al salto culturale, a sposare le bollicine a tutto pasto con la cultura gastronomica del Bel Paese. Solo fino a qualche anno fa, in effetti, immaginare

l’Arco” di Carovigno (Br) con il Cestino di pasta fillo, salsa di fragole e mousse d’amarena e il Villa Franciacorta Rosè demisec. Una menzione particolare è stata assegnata alla proposta dal ristorante "Zi’ Rico". I cinque i piatti, degustati lo scorso 29 settembre nelle

che un Metodo classico potesse essere proposto a tutto pasto era pura utopia. Se qualche passo in avanti è stato fatto lo si deve anche all’intuizione di Alessandro Bianchi, che nel 2002 ebbe l’idea di dare vita a un concorso che potesse valorizzare il consumo delle ormai

Enrico Bartolini

celebri bollicine del territorio franciacortino non solo per l’aperitivo o le occasioni speciali. Negli anni, poi, il concorso ha conferito ai Millesimati di casa Villa il riconoscimento di vini ideali a tutto pasto, in grado di sposarsi con ogni tipo di cucina e portata. Per celebrare questo lungo percorso e il decennale del concorso, Villa durante la serata ha presentato il volume "Villa Sparkling Menù 2002-2013 Una Storia di gusto, gioia ed emozioni" che racconta attraverso ricette, pensieri e immagini dieci anni di storia durante i quali Villa ha preso per mano tanti chef che hanno saputo creare infinite combinazioni promuovendo un inedito legame tra diversi menù e i Franciacorta Villa. “Un’innovazione - annota l'azienda - può dirsi tale quando è un modello così ben riuscito da essere riproducibile. E nessuno può oggi negare che bere un Villa Franciacorta a tutto pasto sia ormai cosa acquisita”.

35


NEWS

Rinnovata anche l'immagine della storica azienda della Valtaleggio, che ora punta sui mercati della Germania e del Nord Europa Sergio Arrigoni

“Sergio Arrigoni”, alla guida arrivano le tre figlie

A

ffinare formaggi è un’arte dal sapore antico che parla la lingua della tradizione, dall’artigianalità ma anche dell’esperienza maturata in oltre un secolo di attività. A passarsi il testimone e a trasmettere i segreti della lavorazione sono state generazioni di

“mastri” della famiglia Arrigoni che, dei formaggi, ha saputo fare ben più di una passione. L’azienda “Sergio Arrigoni - formaggi dal 1859”, di Olda di Taleggio, ad oggi distribuisce infatti la propria gamma di prodotti dai piccoli negozi alle

principali catene della grande distribuzione, trasformandosi così in un interlocutore di primo piano nel settore latteo-caseario. Alla luce di questo risultato, l'azienda ha scelto di rivedere l’immagine aziendale e di procedere col passag-

LA FORMAZIONE

OTTANTA OPERATORI IN PUNTOGEL PER SCOPRIRE LE NUOVE FRONTIERE DEL GELATO nette cotte nel barolo, caffè bianco con farcitura di mango. Nella sala dimostrazioni di Puntogel, azienda di distribuzione Nel corso della giornata, sono stati preparati anche torte, tranci specializzata per il mondo del gelato con sede in via Rossini a e monoporzioni di grande effetto e piacevole morbidezza, come Bergamo, l'allenatore della squadra italiana vincitrice della CopCornucopia croccante di nocciole con pa del mondo della Gelateria, Pier Paogelato di fragole e crema, Pigna con lo Magni e lo chef Filippo Novelli, comgelato di pinolo con crema variegata al ponente del team vincitore, hanno anicaramello, Pannocchia di stracciatella mato un'intensa giornata di dimostrae nocciola. zioni e formazione, grazie al sostegno Curiosità ha destato la proposta di di Comprital e Puntogel. sushi gelato con interpretazioni e abOttanta operatori bergamaschi e lombinamenti speciali, come gelato al riso bardi, sensibili ai percorsi di ricercon cardamomo, gelato al cioccolato ca della massima qualità, coniugancon wasabi. do tradizione e innovazione, hanno Dopo il saluto di Francesco Osti, repartecipato con interesse alla presponsabile della comunicazione di parazione di gusti di gelato partiI campioni del mondo della Gelateria, Pier Paolo Magni e Filippo Novelli, con Arnaldo Minetti e Francesco Osti Comprital, il presidente del Consiglio colari, come nocciola con mele re-

36


ottobre 2013 gio di consegne nella gestione dell’attività. Sergio Arrigoni affida infatti alle tre figlie Carla (responsabile commerciale), Giovanna (responsabile produzione ed acquisti) e Stefania (gestione amministrativa) il compito di proseguire la storia di famiglia dando nuovo slancio e linfa all’attività. Una sfida tutta al femminile, in un settore dalla forte vocazione maschile. "Confrontarsi con una mentalità strettamente maschile non è sicuramente semplice - conferma Carla Arrigoni - ma il nostro impegno e la nostra tenacia ci sono di supporto. La nostra sensibilità nei rapporti con clienti e fornitori è inoltre un valore non sottostimabile per la crescita dell’azienda". Crescita comprovata dai numeri: il fatturato del 2012 si è infatti confermato in ascesa (+3%). Se la tendenza quest'anno parla la lingua del consolidamento, quella del 2014 punta all’internazionalizzazione.

"Riuscire a raggiungere il mercato tedesco e quello del nord europa - aggiunge Arrigoni - è un obiettivo ambizioso in cui crediamo molto. Per dar forma a questo intento, oltre al prodotto bisogna contare anche su un’immagine aziendale forte e coerente con la nostra filosofia fondata sul rispetto delle tradizioni familiari, prima garanzia di processi produttivi seguiti con scrupolo". Il nuovo stile scelto ad emblema dell’azienda punta dunque su immagini evocative del territorio che richiamano, nel tratto come nei colori, il “gusto” dei sapori della tradizione. Tradizione che rappresenta il fiore all’occhiello dei prodotti “Sergio Arrigoni” che sulle tipicità della Bergamasca ha costruito la propria attività. "La nostra storia si deve leggere anche nelle immagini che ci rappresentano: l’amore e la valorizzazione per la nostra terra e i suoi prodotti passa anche da questa scelta che ha il sapore delle nostre origini".

di amministrazione di Puntogel, Arnaldo Minetti, ha dichiarato: "Bergamo è un polo di eccellenza per il gelato artigianale ed è di stimolo non solo in Lombardia, ma anche sul piano internazionale. Ci muoviamo su tre priorità: la qualità e genuinità delle materie prime e degli ingredienti composti, la riduzione degli additivi per valorizzare la genuinità, il legame con un territorio e la sua cultura eno-gastronomica". L'evento formativo si inserisce nel programma “Agorà dei piaceri”, articolato in quindici appuntamenti di formazione e dimostrazioni che spaziano dalle ricette ed elaborazioni di gelato al latte, gelato di frutta, tranci e semifreddi, stecchi e biscotti, fino al gelato gastronomico, gelato delattosato, gelato a minimo indice glicemico. "Puntogel - conclude Minetti - considera fondamentale la formazione e la comunicazione per valorizzare il gelato artigianale italiano. Per questo invitiamo tutti gli operatori del settore, desiderosi di accrescere il prestigio del loro prodotto, a partecipare a questi eventi, contattandoci all'indirizzo e-mail info@puntogel.com".

L’esperienza al servizio del Vostro

Natale

Dal 1978 GTA mette a disposizione una vasta gamma di materie prime per panificatori, pasticcieri, gelatieri e ristoratori in genere, sempre nel massimo rispetto della tradizione e senza mai trascurare la qualità. GTA offre inoltre macchinari, attrezzature e arredamenti per negozi; non ultimo un completo show-room con proposte uniche per il packaging, idee regalo aziendali o per ogni vostra ricorrenza e complementi d’arredo. Personale qualificato offre consulenza e professionalità a tutto campo, per il successo della vostra attività.

Via Emilia, 14 - Azzano San Paolo (BG) tel. 035.315373 - fax 035.330509 Info: isabella@gtagiupponi.it

37


L’ANGOLO

DEL SINGLE di Marco Bergamaschi

Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina

Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.

Frittata di zucchine e ricotta al forno INGREDIENTI PER 1 PERSONA 2 uova 3 zucchine piccole 60 g di ricotta fresca

20 g di formaggio grattugiato tre cucchiai di latte una manciata di mandorle tritate 1 scalogno piccolo, sale e pepe

PREPARAZIONE Lavate le zucchine e tagliatele a rondelle sottili. Sbattete in una ciotola le uova con il latte, il formaggio grattugiato, un pizzico di sale e una manciata di pepe. Tagliate lo scalogno a fettine sottili e fatelo soffriggere, con due cucchiai di olio in una pentola antiaderente abbastanza ampia; appena sarà dorato, versatevi le zucchine e fatele rosolare per alcuni minuti e poi toglietele dal fuoco. In una tazza mescolate la ricotta fino a farla diventare una morbida crema e versatela nella ciotola delle uova sbattute, aggiungendo anche le zucchine e le mandorle. Mescolate il tutto per circa 1 minuto. Versate il composto in una pirofila e mettete in forno a 180 gradi per 25-30 minuti. Ecco pronto un piatto buono, light e che soprattutto vi è costato il minimo di fatica. CURIOSITÀ Considero la frittata un piatto “passepartout”, perché piace sempre, non stanca mai ed è veloce da cucinare. Per molto tempo ho preparato la frittata sui fuochi, poi un giorno ne ho assaggiata una cotta al forno: ugualmente buona, delicata e con tutti i sapori al posto giusto. E ho scoperto che “al forno”, oltre ad essere più light, mantiene meglio la gustosità e può essere consumata anche la sera dopo, dando l’idea di essere appena sfornata. Unico neo è la sua preparazione, che è un po’ più lunga in termini di tempo, ma considerato che il lavoro lo fa il forno, si può anche aspettare qualche minuto in più e dedicarsi nel frattempo ad altre faccende. La ricotta è uno degli alimenti che prediligo per la preparazione di frittate e torte salate, anche se non disdegno di consumarla in una grande ciotola di insalata mista: è un latticino dall’aspetto denso e granuloso, che non si può considerare un formaggio in quanto non viene prodotto dal latte ma dal suo siero, che è un residuo della lavorazione del formaggio vaccino od ovino. In commercio esistono vari tipi di ricotta e le differenze stanno ovviamente nel tipo di materia prima utilizzata e si ripercuotono sul sapore, sulla consistenza e sull’apporto calorico. Per la ricetta in questione utilizzo una normale confezione che compro al supermercato, ma quando mi ricordo, acquisto quella fresca al bancone dei formaggi, che si presenta sempre più morbida e cremosa di quelle confezionate.

38

L’aggiunta delle mandorle a questo piatto, devo essere sincero, non è indispensabile, anche se il gusto nel suo complesso acquista quel qualcosa in più: ma sono certo di parte, perché appena ne ho l’occasione, le utilizzo per spolverare o guarnire ogni genere di pietanze. Tra l’altro, non sono solo deliziose, ma fanno anche bene perché di ricche di vitamina E nonché di sali minerali come manganese, magnesio, calcio, rame e fosforo. E poi, per chi ci crede, la mandorla è universalmente considerata uno degli ingredienti principali della cucina afrodisiaca europea e in vista di qualche cenetta romantica, potrebbe diventare una valida alleata. Non per niente nel Medioevo era utilizzata per la preparazione di potenti filtri d'amore e nella tradizione araba le mandorle erano apprezzate dai sultani per i reconditi poteri “stimolanti”. Insomma tutto il mondo è paese. Non mi resta che augurarvi buon appetito.


il vero Made in Italy qui potete trovare tutte le specialitĂ culinarie di calabria - sicilia - puglia - campania - basilicata prelibatezze confezionate che spaziano dal dolce al salato dal piccante al piccantissimo veniteci a provare per una degustazione gratuita di tutti i nostri prodotti

APERTO TUTTI I GIORNI DALLE 9.00 ALLE 12.30 E DALLE 15.00 ALLE 19.30 Via Borgo Palazzo, 53 - Bergamo (sotto i portici adiacenti a piazza S. Anna) tel. 035 4284829 www.deliziedelsuditalia.it


Qualità e convenienza per mense e ristoranti Consegne rapide e personalizzate. Prodotti freschi, surgelati e biologici, dall’antipasto al dessert SEDE DI CURNO (BERGAMO) Via Bergamo 46 - 24035 Curno (BG) Tel. 035/462861 Fax 035/461151 - 035/618627 infobergamo@alimentarimoretti.it

FILIALE DI CILIVERGHE DI MAZZANO (BRESCIA) Via Padana Superiore 86-88 - 25080 Ciliverghe di Mazzano (BS) Tel. 030/2620217 - 030/2620820 - Fax 030/2120215 infobrescia@alimentarimoretti.it

www.alimentarimoretti.it


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.