Affari di gola - ottobre 2015

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Anno XV n.8 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60

ottobre 2015

La panetteria è sempre più golosa

Dal caffè all’happy hour, le proposte dei fornai bergamaschi che rendono più ricca la sosta


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1, DCB 1, comma 46) art. 004 n. in L. 27/02/2 03 (conv. 353/20 - D.L. Postale mento Abbona ione in Spediz S.p.A. Italiane - Poste

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XV n.8

SOMMARIO

Anno

OTTOBRE 2015

Bergam o - € 2,60

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5 L’APPROFONDIMENTO

Formaggi, «con nove Dop a Bergamo serve un salto di qualità»

10 IL PERSONAGGIO

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Beltramelli, l’allievo di Marchesi che ha conquistato Parigi

12 L’itinerario

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Piccoli coltivatori crescono

17 IL PROGETTO

Val Brembana, quante specialità regala lo zafferano!

20 L’accordo

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La 4R diventa produttrice di vino: presi in gestione 10 ettari di vigneto

Bergamo, l’Expo e le occasioni mancate

23 RIFLESSIONI 24 LA NOVITà

Matè, il ristomarket che fa cucinare i clienti

25 TENDENZE

Non di solo pane

30 IL RISTORANTE

Pampero, la brezza marina che spira sul lago di Endine

36 TRADIZIONI

Folade e casonsei, viaggio nella storia con tappa in Medio Oriente

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini,24 - 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - N° ROC 5847 - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg


L’intervento di Roberto Capello*

Ma non è che siamo noi panificatori ad allontanare i consumatori dal pane?

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ell’ambito di un percorso già lungo tre anni, con tema “Non di solo pane”, ho partecipato all’Expo ad un convegno dal titolo “Design for bread” organizzato da ADI (Associazione per il Disegno Industriale). La platea era composta da studenti di architettura, designer, architetti e stilisti. Non c’erano panificatori e questo è stato un vero peccato, perché lì sono emersi, per noi, un po’ di stimoli interessanti. Ho sempre detto che il pane non è un prodotto maturo ma un prodotto in eterna evoluzione, che si deve adeguare continuamente (questa è la ragione del suo eterno essere sulle tavole) alle necessità alimentari, ambientali e pratiche di chi lo utilizza. Il pane, come ho già scritto, deve essere un prodotto “open source” dove ogni panificatore con le proprie idee può e deve dare un contributo al suo miglioramento continuo. Lo “sfuggire dal pane” che molti panificatori stanno facendo, spostandosi su altro per questioni di calo di consumi e redditività, mi preoccupa un po’. Non è per caso che sono gli stessi panificatori a far allontanare il consumatore dal pane snobbandolo loro per primi? Non è per caso che certi opinion leader (o ritenuti tali dai non panificatori) comparendo su certe riviste, con i loro casi di (presunto o temporaneo) successo, ci condizionano a cambiare la nostra offerta produttiva e operativa perché altrimenti sei uno “sf…..o”? Di pane c’è bisogno, in forme diverse per scopi diversi. Sappiamo che il pane, oggi, nelle società occidentali, non è più l’alimento necessario a riempire la pancia, ma il pane

Uno dei lavori presentati al concorso “Design 4 Bread”, promosso da SBLU_spazioalbello nell’ambito del progetto Non di solo pane. È un manifesto, di Stefania Borasca e Sarah Pistillo

accompagna il cibo e questo non è una declassificazione ma una integrazione allo stesso livello del vino di qualità e del piatto nel suo insieme. Per questo motivo il pane si deve integrare e livellare al “sistema alimentare” che è più nobile, perché meno necessario rispetto al passato. A questi livelli, l’estetica e la funzionalità pratica sono strategici: un pane bello piace, un pane artistico piace e non dico di arrivare ad opere d’ arte che sono economicamente non sopportabili, ma a panini un po’ originali, simpatici, tecnologicamente di una semplicità disarmante ma belli. E lì, in Expo, ho visto alcuni esempi, ma ce ne sono moltissimi. Quante volte ci è capitato di vendere pani così belli che il cliente ci ha detto che era un “peccato mangiarli”? Quante volte ci è capitato di cambiare la forma ad un prodotto ed avere un incremento di vendita? Anche in occasione di ricorrenze “pagane” (il 14 febbraio, la festa della mamma, etc.) certe forme circostanziali suscitano interesse. Questo è un esempio di bread design che interessa il nostro consumatore e stimola il nostro cassetto. E badate bene non servono capitali, macchine, investimenti, servono solo idee, apertura mentale, capacità di osservare, non basta solo guardare. Smettiamola di cercare alibi nella necessità di strutture e capitali per fare le cose. Gli strumenti ce li abbiamo già tutti per garantire la primavera della panificazione artigianale italiana.

Presidente dell’Aspan di Bergamo e dell’Unione Regionale Panificatori della Lombardia


ottobre 2015

L’approfondimento di Anna Facci

Formaggi, «con nove Dop a Bergamo serve un salto di qualità» Taddei: «Vanno bene le varie iniziative, ma ora manca un salone specializzato per operatori professionali». D’accordo Marco Arrigoni: «Portare i buyer sul territorio può essere utile soprattutto per far conoscere chi i formaggi li fa». Scettica Adele Ravasio (CasArrigoni): «Se l’obiettivo sono i contatti con l’estero occorre qualcosa di veramente attrattivo»

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formaggi giusti ce li hanno, come dimostrano clienti conquistati al primo assaggio o i premi ottenuti nelle competizioni mondiali. E anche al Cheese di Bra, la grande kermesse internazionale organizzata ogni due anni da Slow Food, le conferme per i produttori caseari bergamaschi non sono mancate. Pur essendo rivolto al pubblico degli appassionati, l’evento è infatti un appuntamento per l’intero settore e richiama buyer ed operatori, soprattutto dall’estero, alla ricerca di sapori autentici. Un’occasione, quindi, per quei contatti d’affari così preziosi in un momento in cui il mercato interno continua a mostrare difficoltà e guardare fuori dai confini è una necessità, quando non una strada già imboccata con decisione. Abbiamo approfittato della manifestazione cuneese per fare il punto con alcune delle realtà bergamasche che vi hanno preso parte. E da Massimo Taddei, presidente dell’omonimo caseificio di Fornovo San Giovanni nonché del Consorzio

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L’approfondimento

Massimo Taddei

Marco Arrigoni

Tutela Taleggio, è partita l’idea di una qualche iniziativa che porti anche a Bergamo il mondo business. «Di occasioni per fare conoscere i nostri prodotti al pubblico ce ne sono, a cominciare da Gourmarte - evidenzia -, ciò che servirebbe ora è un salone specializzato per operatori professionali. Frequentando fiere e manifestazioni ci si rende conto che non c’è miglior biglietto da visita del proprio prodotto, se dentro ci sono tipicità e tradizione, ecco perché diventa importante trovare momenti per farlo assaggiare». Più che una proposta precisa, la sua è un’ipotesi di lavoro e confronto per il mondo caseario e dell’agroalimentare. «Le condizioni però ci sono – dice Taddei –: siamo vicini ad una metropoli come Milano, abbiamo scenari bellissimi, a cominciare da Città alta, ed abbiamo prodotti eccezionali in tutti i campi». Uno spunto interessante lo ritiene Marco Arrigoni, presidente della Arrigoni Battista di Pagazzano, che ha tra i suoi punti di forza i Gorgonzola, oltre a Taleggio e Quartirolo. «Portare i buyer a Bergamo è utile soprattutto per far conoscere chi i formaggi li fa – sottolinea -. Bergamo è la capitale delle Dop ma c’è poca informazione, non sempre è chiara la distinzione tra chi produce e chi commercializza. C’è tanto da raccontare, come il percorso storico che ha portato le produzioni dalla montagna alla pianura». Anche per Taddei c’è l’esigenza dare un’immagine più fedele della produzione provinciale. «Una delle domande più frequenti che ci fanno è “di che valle siete?”. L’idea prevalente è di un territorio solo montano, quando invece il 95% della produzione è in pianura». Più dubbiosa su un evento business è Adele Ravasio, responsabile commerciale di CasArrigoni di

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Adele Ravasio

Peghera di Taleggio, celebre per Strachitunt e Taleggio. «Se l’obiettivo sono i buyer esteri – commenta – deve essere per forza un appuntamento di grande richiamo e proporre una varietà molto ampia di prodotti. Non è che queste figure vengono in Italia così spesso, serve qualcosa di veramente attrattivo. Cheese ha alle spalle 18 edizioni, è una manifestazione di cui parlano riviste americane e inglesi. E poi che senso avrebbe se facciamo tutti, in pratica, gli stessi prodotti? Ci faremmo concorrenza e basta. È più utile che le aziende frequentino le fiere internazionali, in Europa e in America» scenari che ben conosce visto che il 60% del fatturato della sua azienda deriva dall’export.

«Dare il giusto valore al formaggio fa bene a tutta la filiera» Su un fatto tutti e tre i produttori bergamaschi sono invece d’accordo: sui mercati esteri qualità, tipicità e specialità sono valori riconosciuti ed apprezzati, mentre (paradossalmente o forse proprio per questo) lo sono molto meno in Italia, patria del formaggio. «Sul versante dell’informazione e della valorizzazione nei confronti dei consumatori c’è tanto da fare – è il pensiero di Taddei –. Si comprende un prosciutto crudo che costa 40 euro al chilo e ci si scandalizza se non si trova il Parmigiano Reggiano a 15 euro, eppure è un prodotto che richiede ugualmente tempo e lavoro e che presenta le sue incognite. È sempre più fondamentale promuovere un cambiamento culturale che porti a considerare il formaggio un alimento, non un complemento da relegare a fine pasto. Il ruolo che più gli si addice, secondo me, è quello dell’antipasto, ma 70/80 grammi di una buona forma accompagnati da un piatto di verdure possono anche essere un ottimo secondo. Dare il giusto valore al formaggio significa ridare dignità al comparto con ricadute positive su tutta la filiera a cominciare dagli allevatori».


ottobre 2015 «Sulla corsa al ribasso dei prezzi qualche colpa è anche dei produttori» Eppure la tendenza sembra opposta, accentuando la corsa sul prezzo a scapito della qualità. «È un problema sul quale occorre lavorare e qualche colpa l’abbiamo anche noi produttori - ammette Arrigoni -, quella di non essere abbastanza uniti su questo fronte. Non dico che i nostri siano prodotti irrinunciabili per i consumatori ma poco ci manca e con maggiore convinzione si potrebbe ottenere di far pagare il formaggio quello che vale. La vera sfida da giocare è sulla qualità, l’unica scelta che alla lunga vince». E Taddei arriva ad ipotizzare persino un qualche indirizzo da parte del consorzio. «Di fronte ad un Taleggio che costa 6 euro al chilo e uno che ne costa 15 il consumatore rimane spaesato – nota – e dare un’idea indicativa dei costi medi non sarebbe poi così sbagliato. Del resto il prodotto è quello, le materie prime e la lavorazione anche, miracoli non se ne possono fare per ridurre i costi di produzione». Rispunta quindi, da un’altra angolazione, il tema dell’informazione dei consumatori, «prima ancora di chi vende – dicono in coro -, i banconisti hanno un ruolo importantissimo nel far comprendere le differenze tra i prodotti, nel far capire il valore della tipicità contro l’appiattimento del gusto».

nostre tipicità. «Dopo mozzarelle e bufale, ormai affermate – afferma Taddei -, l’interesse oggi è tutto per i formaggi del Nord Italia, le richieste di Taleggio stanno aumentando e il Gorgonzola è probabilmente il più richiesto su questi mercati». «Vengono riconosciute ed apprezzate la qualità, la tipicità e la storicità di prodotti italiani - aggiunge Arrigoni -. Cercano di copiarceli in ogni modo ed è un fenomeno molto pericoloso, ma non ce la fanno mai a copiarli bene, ciò significa che le Dop un senso ce l’hanno, che certe caratteristiche si ottengono solo in determinate condizioni». «Gorgonzola e Taleggio sono i più richiesti – conferma Adele Ravasio -, ma anche nostri prodotti particolari, come degli affinati e creazioni a latte crudo». E se Nord Europa e Usa sono i bacini più attenti ed interessati, «ci sono anche mercati in cui parlare di formaggio è più difficile, come l’Est Europa e la Cina, che non hanno una cultura del formaggio e che possono essere la nuova sfida».

«La demonizzazione del latte è una minaccia. Occorre intervenire» Come se non bastasse, oggi il mondo del formaggio deve schivare i colpi di un movimento d’opinione che vede nel latte e nei suoi derivati una vera e propria minaccia per la salute, da bandire senza appello. A chi già nutriva remore rispetto ai grassi, si sono aggiunte le schiere degli intolleranti (a tal proposito Taddei annuncia una ricerca che dimostra che in un Taleggio stagionato 30-35 giorni il lattosio scende allo 0,1%) e di chi ha rinunciato alle produzioni vaccine ritenendole responsabili delle principali malattie dell’Occidente. «Dire se il settore stia risentendo di questi fenomeni non si può – evidenzia Adele Ravasio –, non ci sono ricerche precise che ce lo mostrino, di certo è però un tema di questi tempi, come testimonia la crescita dell’interesse per i prodotti a base di latte di capra e di soia». Più preoccupato del fenomeno è Marco Arrigoni: «Il calo del consumo del latte per uso alimentare è un campanello d’allarme che deve spingere a prendere delle contromisure - avverte -, ma le aziende, singolarmente, non possono fare niente contro queste idee che si diffondono e alimentano attraverso la rete ed i social network. Già oggi ci sono studi e dati che smentiscono alcune di queste teorie, ma non sembrano scalfire certe convinzioni. Servirebbe un’azione come minimo dei consorzi, ed è qualcosa sulla quale si sta ragionando, ma meglio ancora dagli stessi ministeri, che rappresentino una voce ufficiale».

«Europa dell’Est e Cina le nuove sfide dell’export» Il sorriso ritorna pensando all’estero. I palati del Nord Europa e Nord America non aspettano altro che di assaggiare le

«Dai sei mesi dell’Expo? Nessun beneficio» E l’Expo? Allo scadere del semestre milanese le aziende possono dire di aver beneficiato di un qualche effetto positivo? La risposta è un netto no, con la precisazione che non era comunque nelle aspettative. «L’evento è una vetrina della nazione nel suo complesso – rileva Adele Ravasio -, delle idee, dei territori, non è finalizzato espressamente alle aziende, non è una fiera di settore. I frutti li potremo cogliere piuttosto sulla distanza, dall’immagine che il nostro Paese è riuscito a trasmettere e dall’interesse che ha suscitato. Ma questo interesse va anche coltivato dalle aziende con degli investimenti», precisa. Per Taddei sotto certi aspetti le ripercussioni sono state addirittura negative: «Avrebbe dovuto essere un evento solo diurno e far vivere anche le attività circostanti, invece con l’apertura serale ha finito con il sottrarre lavoro ai ristoranti e ai locali». E pure l’eccesso di attese non ha giovato: «Quest’anno la fiera specializzata Tutto Food, organizzata nei primi giorni di apertura dell’Expo, prevedendo un boom di presenze è cresciuta fin troppo, 10 padiglioni e 2.800 espositori, con il risultato di disperdere i visitatori».

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l’approfondimento

A Bergamo un nuovo Presidio, quello della capra Orobica

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heese ha tenuto a battesimo un nuovo Presidio Slow Food che investe anche il territorio bergamasco. Quello della capra Orobica, razza rustica dalle corna imponenti e dal pelo lungo, allevata un tempo per la carne ed il latte nelle aree alpine e prealpine delle province di Sondrio, Lecco e Bergamo, oggi a rischio estinzione, scalzata da varietà più produttive. A febbraio di quest’anno un manipolo di allevatori tra Val Gerola, Val Sassina, Val Varrone, Alto Lario Orientale e Val Brembana che hanno scelto di salvarla e valorizzarne i prodotti si è riunito in Associazione. Presidente è un autentico paladino della vita in montagna, Ferdy Quarteroni, che nel suo agriturismo di Lenna e nelle altre attività in cui è coinvolto dimostra ormai da anni come si possa realizzare un’economia capace di sostenersi e svilupparsi partendo dalle tradizioni e dall’ambiente. Non a caso la rassegna di Bra, oltre ad ufficializzare il Presidio della capra Orobica, sostenuto dall’Associazione San Matteo – Le Tre Signorie con sede a Branzi, ha assegnato a lui uno dei premi per la Resistenza Casearia. «Cosa significa resistenza casearia? Secondo me significa scegliere di produrre come vuole la tradizione di un territorio – spiega -. A me piace legare i formaggi al latte che li ha visti nascere.

L’alternativa

Vanessa e gli “sformaggi”, anche il mondo “veg” ha la sua casara L

a Bergamasca è terra di formaggi, ma lo è anche di “sformaggi”, come il mondo veg ha cominciato a chiamare le creazioni di Vanessa Agosti, 36enne insegnante elementare di Predore, capace di realizzare un’intera gamma di forme e sapori utilizzando solo materie prime vegetali. Non solo tofu e ricottine, che bene o male si conoscono, ma mozzarelle, “taleggio”, cremosi da spalmare, caciotte e formagelle. Chiamarli formaggi, ovviamente, non si può e quella “s” avversativa è ironica al punto giusto per segnare la distanza rispetto all’ortodossia casearia. Resta il fatto che ai gusti e alle consistenze dei formaggi si ispirano e che caci e latticini tradizionali sono il termine di paragone per descriverli. Vanessa è una pioniera della produzione artigianale - per ora solo casalinga -, un punto di riferimento per chi,

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Insegnante di Predore realizza un’intera gamma di forme e sapori utilizzando solo materie prime vegetali per motivi di salute o scelte alimensono una buongustaia e perdevo tari, non mangia latte e derivati ma degli ingredienti fondamentali per non vuole rinunciare a piatti filanti e rendere ricca e appagante la mia tasaporiti. Per le sue ricette si è guavola. Ho provato i prodotti industriali dagnata l’appellativo di “casara veg”, in commercio, ma mi sembrava che che è pure il nome del non avessero né gran suo blog, ed ha anche sapore, né cremosità. scelto di condividere la Senza contare che non sua esperienza tenensempre erano salutari, do corsi di autoproduvista la presenza di oli zione. e grassi raffinati». «Tutto è cominciato per L’unica strada era il fai un’esigenza personada te e Vanessa l’ha le – racconta -. Già da percorsa a suon di tentempo seguivo una dietativi, tanti e spesso ta vegetariana, poi, tre poco incoraggianti, ananni fa, sono diventata che perché le informaintollerante ai latticini. zioni sull’argomento Ero disperata. Perché erano – e continuano Vanessa Agosti


ottobre 2015

È per questo che allevo le rarissime vacche di razza Bruna Alpina originale, di cui oggi ci sarà un’ottantina di capi in tutto, perché è con il latte di questi animali che venivano fatti tutti i nostri formaggi, a cominciare da Formai de Mut e

Ferdy Quarteroni è il presidente dell’associazione capra Orobica. A Cheese ha ricevuto il premio per la Resistenza Casearia

ad essere – molto scarse. «In italiano c’è un solo libro ed è tutto di prodotti a base di soia – evidenzia -, mentre ciò che si trova sul web è spesso lontano dal nostro gusto. La mia necessità è invece di ricreare in qualche modo quella varietà di sapori e consistenze che fanno dell’Italia la patria dei formaggi, dei prodotti artigianali che raccontino chi li fa». A forza di varianti ed esperimenti c’è riuscita, ricevendo una bella conferma al Sana di Bologna nel 2013, quando la sua pasta ai quattro (s)formaggi, autentica sfida ad un piatto tra i più “formaggiosi”, ha vinto il concorso nazionale di cucina vegana al quale si era iscritta con l’incoraggiamento dei suoi “supporter”. Oggi Vanessa ha messo a punto una quindicina di prodotti, dalla mozzarella («non potevo immaginarmi una pizza senza») alle caciotte, dagli spalmabili al “taleggio”. «Le materie prime sono tutte vegetali – spiega -, possono essere bevande, come quelle a base di soia, mandorle, riso, oppure frutta secca, come anacardi, mandorle, noci macadamia, o ancora legumi, come i

Bitto». Di capre Orobiche ne stima invece circa 700 in tutta Italia. «È una razza di montagna, per sei mesi si nutre solo di erba, in alpeggio e nei prati. Allevarla richiede più lavoro e rende meno, in compenso contribuisce al mantenimento dell’ambiente e i formaggi che si ricavano hanno identità e sapori oltre che eccellenti qualità nutrizionali, tutti elementi che i consumatori riconoscono come valori del prodotto». Tre sono le tipicità, tutte a latte crudo, che i componenti dell’Associazione capra Orobica producono. «La Roviola è quella originaria della Val Brembana – racconta Ferdy -. Ricordo che mio padre la faceva, era un piccolo stracchino fatto con i pochi litri di latte che si ottenevano al giorno». Della Valsassina è invece il Formagìn, un piccolo cilindro dalla pasta leggermente acidificata che si consuma dopo tre giorni, mentre il Matuscin viene dalla tradizione della Valtellina ed è un cilindro appiattito, a coagulazione presamica, dalla stagionatura minima di un mese. «Con l’Associazione abbiamo voluto unire le forze per far conoscere meglio questi prodotti – sottolinea il presidente -. L’aggregazione aiuta e lo dimostra il fatto che grazie all’unione abbiamo potuto essere presenti ad una vetrina mondiale così importante con quella di Bra»

fagioli cannellini. Ci sono poi due tipi di lavorazione: la cagliata, utilizzando aceto di mele o succo di limone per far coagulare, ad esempio, il latte di soia e ricavare delle ricottine; oppure la fermentazione, con ceppi di fermenti coltivati su acqua anziché sul latte». Il resto lo fanno i tempi di riposo e l’aggiunta di spezie ed aromi a richiamare le note del formaggio. Le materie prime sono biologiche e la scelta degli ingredienti tiene conto anche delle loro proprietà benefiche, come la formagella con mandorle e curcuma. Il risultato di cui Vanessa va più orgogliosa è quello che ha chiamato lo “stagionato”, fatto con latte di soia, anacardi e miso, la preparazione a base di fagioli di soia, riso e sale fermentati tipica della cucina giapponese. «Ne sono orgogliosa perché a me mancava proprio – evidenzia -, è un prodotto molto saporito, da utilizzare come un formaggio da grattugia, per arricchire i piatti o da mangiare fuso con la polenta. Tutte le mie creazioni, del resto, nascono dalla mia necessità di non rinunciare al piacere del

formaggio!». Per sé non prevede una svolta professionale. «Mi piace insegnare – dice – e penso che quello della casara veg rimarrà un hobby, ma ci sono persone che svilupperanno questa attività e presto realizzeremo un piccolo laboratorio, perché i prodotti stanno riscuotendo molto interesse».

Lei intanto continuerà a inventare sformaggi e la nuova impresa è già sul piatto: «Vorrei realizzare un gorgonzola vegano. È dura ma ci sto lavorando».

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il personaggio di Rosanna Scardi

Beltramelli, l’allievo di Marchesi che ha conquistato Parigi

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Formatosi all’Alberghiero di San Pellegrino, da oltre un decennio in Francia, già stellato Michelin per 3 anni, lo chef di origine bergamasca guida il ristorante Nolita, vicino agli Champs Elysée. «I clienti più preparati ed esigenti? Restano gli italiani». «In materia di vini e formaggi battiamo i nostri cugini grazie alla vasta offerta regionale» art de vivre italien si ritrova nel talento di uno cuoco originario di Averara, 41enne, da un lustro executive chef e socio del Nolita, al secondo piano dello show room Fiat, tra gli Champs Elysée e l’Arc de triomphe a Parigi. Le specialità di Vittorio Beltramelli - è di lui che parliamo - sono state apprezzate da star come Beyoncé e il marito Jay-Z, dal sindaco della capitale francese Anne Hidalgo e dai calciatori Ezequiel Lavezzi e Zinedine Zidane, mentre Pharrell Williams si è complimentato con un tweet. La sua storia comincia in una trattoria di famiglia a Castelleone, nel Cremonese. Tra quei tavoli Vittorio si appassiona ai fornelli e decide di iscriversi all’Istituto Alberghiero di San Pellegrino. A 23 anni entra nella squadra di Alain Ducasse nel suo ristorante monegasco Le Louis XV. Dall’anno dopo si fa le ossa dedicandosi ai ristoranti di Gualtiero Marchesi a L’Albereta di Erbusco e nel 2001 a Parigi, dove a sette mesi dall’apertura conquista una stella Michelin, che gli viene confermata per tre anni. Nella capitale francese dà prova della propria bravura anche all’hotel Castille, all’Escoffier e al ristorante stellato Il Cortile. Dal 2011 è consulente della gastronomia italiana per Jean-Pierre Coffe nella trasmissione Viviment dimanche. Beltramelli, tra Italia e Francia stile e gusti sono ancora differenti?

«Anni indietro sì, oggi un po’ meno. Gli italiani riescono a esportare meglio i loro prodotti e nelle carte dei ristoranti francesi è facile trovare ravioli e risotti di tradizione transalpina. È la conseguenza della globalizzazione culinaria che ha ridotto le diversità”. La cucina francese è considerata la più raffinata al mondo. Come spiega questo primato? «I nostri cugini sono bravi a valorizzarsi. I grandi chef sono delle celebrità, Fernand Point è stato il più rivoluzionario, Paul Bocuse alla soglia dei novant’anni è ancora un’istituzione. Noi non siamo capaci di rendere merito ai nostri maestri. Per nove anni ho lavorato per Marchesi, lo ritengo un mito, mentre in Italia sembra poco più di un cuoco qualsiasi. Un francese porta grande rispetto verso la figura dello chef, da noi sta avendo successo solo negli ultimi tempi grazie alla vetrina televisiva, in modo però sbagliato». Si riferisce ai programmi come Masterchef? «Sui giovani i cooking show hanno effetti negativi. Trovo giusto far conoscere la professione, ma non deve passare il messaggio che è un mestiere da prendere alla leggera, perché comporta sacrifici, richiede un impegno 24 ore su 24, non


ottobre 2015 è un gioco. Non basta assemblare quattro ingredienti, dietro un piatto ci sono ore e ore di preparazione». In Francia è arrivato nel 2001, a 27 anni. Ha faticato a inserirsi? «All’inizio mi sono scontrato con la diffidenza. Proponevo una cucina a tema, ma volevo entrare a fondo nelle radici. Capitava che i clienti rispondessero: questo non lo conosco, quello non può essere italiano. E finivano per richiedere la stessa decina di pietanze arcinote: cotoletta, scaloppine, gnocchi, spaghetti al pomodoro. Erano fermi. Ci sono voluti tempo e pazienza. Le conoscenze a Parigi si sono ampliate, anche perché gli spostamenti oggi sono più facili, si assaggia un piatto in vacanza e lo si ritrova da me». Quali sono i clienti più preparati ed esigenti? «Rimaniamo noi italiani. Possediamo una varietà importante. Dalla Lombardia alla Sicilia passando per il Lazio si incontrano sapori diversi, siamo abituati a mangiare bene anche a casa nostra e a recarci meno al ristorante. I francesi sono più puntigliosi e astuti». Nel senso che il Camembert viene lanciato come un’eccellenza più del Parmigiano quando non è superiore? «Tra i due formaggi non c’è paragone, però noi pecchiamo di faciloneria. Lo mettiamo in commercio a 12 mesi pur sapendo che la stagionatura perfetta è a 36. A farne le spese è il prodotto. I francesi, al contrario, rispettano regole e tempi. Anche gli spagnoli ci sorpassano in prestigio internazionale. Noi avremo pure il San Daniele, ma loro sono riusciti a inserire il Pata Negra nei testi della gastronomia mondiale». Restando in tema di rivalità, che è forte soprattutto in materia di vini e formaggi, chi vince? «Non perché sono italiano, ma sicuramente noi per la più vasta offerta regionale. L’importante è che non si faccia un melange, il vino del Salento va gustato nel Leccese, così come l’olio. Gli spaghetti con le vongole a Venezia non sono come a Bari, tanto meno a Milano. In una preparazione si ritrova il clima, l’aria di quella terra. Non capisco come si possano acquistare le ciliegie che provengono dal Cile a prezzi folli a dicembre. Non è più ragionevole comprarle a giugno quando sono più buone?». A proposito di materie prime, come si rifornisce? «Importo pasta da Fratelli Setaro di Torre Annunziata, le mozzarelle mi arrivano ogni settimana da un piccolo produttore di Napoli. Il riso è di Tenuta Castello nel Vercellese, il tartufo di Urbani, i formaggi di Guffanti, gli affettati di Rulliano. Ho provato anche a far arrivare le verdure, ma i costi sono troppo elevati. Faccio fatica a far capire al cliente che quella cima di rapa costa di più perché ha percorso mille chilometri».

«I francesi sono bravi a valorizzarsi. I grandi chef sono delle celebrità. Da noi è il contrario. Marchesi, un mito, sembra poco più di un cuoco qualsiasi» La Francia è il secondo mercato mondiale per McDonald’s, come se lo spiega? «Non esiste un’alternativa che faccia concorrenza. Nelle brasserie paghi tre o quattro volte di più rispetto al fast food. Da noi, invece, puoi scegliere di gustarti un buon panino o una pizza senza spendere molto più di un Mc menù». I francesi a tavola cosa ordinano? «L’antipasto o entrée e un piatto forte, che sia il primo o il secondo non importa. Noi siamo gli unici al mondo ad avere più portate». Quali sono le specialità più richieste al Nolita? «Mi piace rivedere la tradizione secondo le regole dell’alta cucina, come la amatriciana che però preparo con una pancetta fatta da noi, delicate cipolline mignon, cotte a bassa temperatura con burro chiarificato. Oppure il maialino cotto per 17 ore, a 67 gradi, al vapore e caramellato al momento con miele alle spezie come pepe rosa e anice stellato, l’insalata di polipetti fritti guarniti da salsa Caesar e il risotto con purea di pomodoro e salsa allo zafferano e arancio, con spolverata alle olive nere». Nella sua collezione di libri c’è “La mia nuova grande cucina italiana” di Marchesi, tradotta anche in giapponese. Cosa le ha insegnato il grande maestro? «A essere diretti, il cliente deve capire attraverso tecniche di alto livello cosa vuoi proporgli. Più il sapore è buono e più se lo ricorderà». I suoi piatti sono composizioni artistiche che stupiscono. Da uno a 10, quanto conta l’aspetto? «Il piatto deve meritarsi un 10 per bontà e un 10 per l’estetica. Suggerisco ai miei chef che devono saper tirar fuori la parte femminile che è in loro, non servono mille guarnizioni o ingredienti. Come diceva Chanel, la chiave di volta dell’eleganza è la semplicità. Vale nella moda come nella gastronomia». Dichiara di non voler nutrire solo stomaci affamati, ma cervelli alla ricerca di nuove sensazioni e di avere come motto, cibo per la mente. Cosa significa? «È riduttivo affermare che faccio da mangiare. Se fosse solo così, avrei già appeso il grembiule al chiodo. Passare quindici ore in cucina non può essere solo un lavoro. È molto di più». Cosa consiglierebbe ai giovani aspiranti cuochi? «Fornirsi di caparbietà e un pizzico di fortuna. Voilà, tout ici».

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L’itinerario di Roberta Martinelli

Piccoli coltivatori crescono Sono giovani e con tanta passione per la terra e gli animali. Hanno avviato o rilevato le imprese a cui hanno dato un forte impulso. Ecco quattro storie emblematiche di un’agricoltura che sta vivendo una stagione incoraggiante

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pesso è frutto di una scelta di famiglia, più di rado di una passione nata per caso. Che sia risultato di un tradizione che richiama gli affetti più cari, della crisi delle professioni, oppure di una ispirazione e determinazione personali, l’agricoltura sta vivendo una stagione positiva nella nostra provincia. Lo raccontano le intense storie di questi quattro giovani che in pochi anni hanno creato o rilanciato aziende non solo solide, ma in continua espansione.

L’Asino del lago

Protagoniste le erbe officinali richieste anche dai birrai L avanda, fiordaliso, erba Luigia, echinacea, camomilla e ancora: achillea millefoglie, aneto, anice verde, arnica, calendula, coriandolo, cumino dei prati, dragoncello, farinello aromatico, fieno greco, ginepro, malva, melissa, menta, rosa canina, rosmarino, salvia, tarassaco, timo, verga d’oro; l’elenco può proseguire fino a coprire mezza pagina. Il

nome non inganni. L’azienda agricola “L’Asino del Lago” di Esmate, frazione di Solto Collina, produce creme cosmetiche a base di latte d’asina e propone passeggiate nei boschi a dorso di somarello che fanno la gioia dei più piccoli, ma è anche una delle pochissime realtà della Bergamasca specializzate nella coltivazione di erbe officinali e aromati-


ottobre 2015 Azienda Agricola Vismara Gianfranco

Tra miele e olio extravergine, ecco la sfida vinta dal filosofo mancato Q uando dopo le scuole superiori si è iscritto a Filosofia, Gianluca Vismara, 32 anni, non pensava che avrebbe fatto l’apicoltore. La crisi e la passione trentennale dei genitori per le api e gli olivi l’hanno portato prima a considerare la possibilità e poi a cimentarsi con questa professione. Gianfranco Vismara Così ha trasformato l’hobby di papà Gianfranco e mamma Liliana in un’attività imprenditoriale. Da sei anni conduce l’azienda agricola biologica Vismara, a Cenate Sotto, alle pendici del monte Misma, e lavora circa 5 ettari di terreni a Cenate Sopra, Cenate Sotto e Scanzorosciate. La produzione di miele di collina avviene nella quasi totalità sui versanti del monte Misma a una altezza che va dai 400 ai 700 metri, nei boschi secolari che ricoprono tutta l’area. Per realizzare i mieli di montagna le api vengono invece spostate sulle fioriture di rododendro, di tiglio e di flora alpina dei pascoli delle alte Valle Seriana e Valle Brembana. La scelta di mieli è varia e soddisfa tutti i gusti: robinia, castagno, melata, rododendro, tiglio, tarassaco, agrumi, eucalipto, timo, corbezzolo, lavanda, miele di alta montagna, millefiori di bosco e poi propoli, pappa reale. «Veniamo da anni di forte moria di api che hanno portato a una riduzione del numero di alveari, ma siamo riusciti ad

andare avanti - racconta Gianluca -. Oggi abbiamo 450 alveari e l’attività è in crescita, oltre ai mieli tradizionali ora produciamo aceti di via Loreto, 63 Cenate Sotto miele, miele con il tartufo, crema di mietel. 035 956050 le, miele con i frutti di bosco e cere per www.olioemiele.it i mobili». Anche la coltivazione degli ulivi e la produzione di olio extravergine sui terreni di Scanzorosciate in una zona vocata al Moscato di Scanzo, danno soddisfazioni. «Produciamo tra i 10 e i 15 quintali di olio all’anno - dice Vismara -. L’anno scorso è stato un anno devastante, ma quest’anno si annuncia una bella annata». Per farsi conoscere Gianluca ha creato un sito internet, avviato la vendita on line e moltiplicato la partecipazione a mercatini e fiere all’estero. Il risultato è che in pochi anni i clienti sono aumentati e i prodotti dell’azienda sono conosciuti e acquistati da privati, negozi, cooperative e gruppi d’acquisto in tutta la Lombardia e persino in Gianluca Vismara Belgio. «Sono soddisfatto della mia scelta - confida -. La filosofia rimane una grande passione che mi ha aiutato ad aprire la mente, a puntare sempre più in alto, a cercare di andare oltre e a innovare. Infatti ora ho in progetto di ampliare il laboratorio».

che. Stefania Savardi, la titolare, e officinali, a Solto Collina, ha da poco rilevato i campi dal in un’area circondata da suocero, Giorgio Lottici che, boschi tra Esmate (600 insieme all’attività, le ha metri in quota) e il monte trasmesso la passione. «Ho Guglielmo (1.400 metri di iniziato a Iseo nel 2009 con altitudine). gli asini - racconta -. Sono Le erbe, una sessantina agronoma e in quel periodo di varietà, vengono raccolte facevo assistenza tecnica e a mano, essiccate, trasforconsulenza agli agricoltori. Un mate in tisane e composti giorno ho deciso di unire la mia aromatici, quindi confezionaStefania Savardi passione al lavoro e ho ritirato dei te in sacchetti, bustine o baratterreni in modo da considerare anche l’aspettoli. La coltivazione segue i criteri dell’agricolto produttivo». tura biologica. I terreni soleggiati di montagna Oggi l’azienda conta 2.000 metri quadrati cole la scelta di aree piccole rendono del resto tivati a ortaggi e peperoncini a Iseo e circa superfluo l’uso di prodotti chimici. La resa è 2.500 metri quadrati fioriti di erbe aromatiche bassa: su 10 kg di prodotto fresco si ricavano

via Cerrete, 6 Solto Collina tel. 347 1492726 www.asinodellago.it

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L’itinerario 7-8 grammi di prodotto essiccato, ma va bene così perché ciò che importa è la qualità. «Ho avviato l’azienda proprio nel periodo di massima crisi ma anno dopo anno cresciamo - racconta Stefania -. Le erbe e in generale il comparto salutistico rappresentano una nicchia di mercato che tiene. Abbiamo sempre più clienti, sia privati che negozi di prodotti biologici in tutta la Bergamasca, nel bresciano e anche qualche intermediario su Milano. Quest’anno abbiamo avuto richieste di un importante birrificio che ha acquistato le nostre erbe per sperimentare delle birre aromatizzate». Ed è proprio sulla proposta delle erbe in cucina che l’azienda punta. «C’è molto interesse - spiega Stefania -. Le erbe insaporiscono e decorano i piatti, riducono l’impiego di sale e rendono i cibi più digeribili. È il caso del levistico montano, una sorta di sedano molto buono che è anche antiacido; dell’aglio orsino ottimo sulle patate lesse e nelle zuppe. Tra le erbe più particolari stanno incuriosendo quelle originarie del Brasile e dell’Argentina come la lippia ar-

gentina, conosciuta come tè degli Inca, molto profumata e buonissima nelle minestre, la verbena odorosa, digestiva-rilassante e la Monarda, un fiore rosso originario del Nord America che può essere usato nei risotti al posto dello zafferano e dà benefici nei casi di mal di testa e di cattiva circolazione. Come aromatiche piacciono molto le combinazioni di erbe e fiori per le grigliate, gli arrosti, i formaggi, le minestre. Tra le erbe officinali classiche, invece, vanno per la maggiore la malva, la camomilla, la calendula, l’echinacea». Nella gestione dell’azienda Stefania non è sola: l’aiutano il marito Matteo Lottici, i genitori, che si occupano dei campi a Iseo, e i suoceri Giorgio e Gabriella che l’affiancano con la loro lunga esperienza nella coltivazione di erbe e fiori a Solto Collina. In cantiere per il futuro ci sono progetti ambiziosi: «La burocrazia come avviene per tutte le piccole imprese ci rallenta ma vorremmo espandere le erbe officinali e proporle non solo per le tisane, avviare collaborazioni con birrifici e produrre confetture aromatizzate alle erbe e composte salate».

Cascina dei Prati

L’agriturismo è anche il regno dei piccoli frutti A Credaro, all’interno del Parco dell’Oglio, Simone Polini, con la sua famiglia, ha creato un piccolo paradiso nel verde. Si chiama Cascina dei Prati ed è un bell’agriturismo ma soprattutto una realtà contadina dove si coltivano piccoli frutti. Nei giorni di raccolta ti accoglie un profumo intenso di more, lamponi e fragole. L’assaggio non delude: ti fa tornare bambino, quando le fragole avevano sapore di fragole e le more di more e ti fa realizzare in modo definitivo che c’è frutto e frutto. L’attività di coltivatori dei Polini si tramanda da tre generazioni. I nonni erano tutti mezzadri nella vicina Villongo. Poi nel ’78 nonno Benedetto, conosciuto tra i compaesani come ‘Berto dei prac’, rilevò una vecchia cascina a Credaro, acquistò i terreni dove oggi c’è l’agriturismo e vi piantò vigneti dando vita anche a un piccolo allevamento di animali da cortile. Dopo nonno Berto, l’azienda è passata a zio Giuseppe quindi, nel 2004, a Simo-

Azienda Agricola Filisetti

La ricetta di nonna Cecilia detta ancora “legge” per i formaggi D

Daniele Filisetti

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aniele Filisetti ha 24 anni e una passione fortissima che trapela dalle parole che usa per raccontare il suo lavoro. Con il padre Dino e il fratello Michele è contitolare dell’azienda casearia Filisetti a Endine Gaiano, un allevamento con circa 80 bovini da latte con annesso caseificio che produce circa dieci tipologie di formaggi. Negli ultimi anni, hanno migliorato sempre più la qualità dei prodotti, a partire dall’alimentazio-

ne degli animali: niente mangimi di spinta e integratori, solo il loro fieno e il mais certificato e garantito di un consorzio di Bergamo. «Abbiamo sacrificato la quantità per la qualità, crediamo sia la strada giusta per differenziarci - dice Daniele -. Oggi produciamo sette quintali di latte al giorno, per ora ne lavoriamo cinque e il resto viene venduto a un caseificio ma il progetto è di arrivare a trasformare tutto il nostro latte in formaggi e prodotti caseari». La produzione si aggira sui 50 chili di forme al giorno: stracchini, formaggelle, primo sale, due tipologie a pasta cotta tra cui il Montegrione, un formaggio a lavorazione


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ne. «Abitavo in azienda - ricorda - così dopo gli studi alberghieri è stato naturale per me continuare il lavoro di famiglia». Con l’entusiasmo tipico dei giovani, Simone mette a frutto gli studi fatti e trasforma l’azienda agricola in agriturismo. Il nome è presto trovato: Cascina dei Prati, in omaggio a quel nonno Berto da cui è partito tutto. Ai vigneti e all’allevamento si aggiungono la cucina, gli alloggi e una proposta di laboratori e iniziative didattiche per bambini e adulti. In un secondo tempo arriva la coltivazione di piccoli frutti: ribes, fragole, mirtilli, lamponi, more e bacche di gogji. L’azienda è posta in un soleggiato cascinale con una bella aia affacciata sul verde. I terreni coltivati si estendono per più di 20mila mq e costeggiano il fiume Oglio. I frutti vengono trasformati in confettura, solo una piccola parte viene impiegata per farne succhi. «Facciamo circa 1.500 vasetti all’anno che poi vendiamo a chi viene al ristorante o in azienda nel corso delle iniziative: confetture di frutti di bosco, di fragole, di fichi, tutti coltivati da noi», spiega Simone. Nella condu-

zione dell’agriturismo lo aiutano l’effervescente sorella Barbara e la lunga esperienza dei genitori Carlo e Carla. Nel cassetto della loro madia ci sono nuovi progetti. Negli ultimi mesi hanno allestito delle arnie per

Branzi, l’erborinato Formaggio blu (una sorta di gorgonzola bergamasco) e, da qualche tempo, anche una linea di aromatizzati al pepevia Ziboni, 12 roncino, alle noci, alle olive. «I clienti chiedoEndine Gaiano no soprattutto lo stracchino e la formaggella. tel. 035 826097 Li produciamo da sessant’anni sempre allo stesso modo e con lo stesso gusto, secondo la ricetta di mia nonna Cecilia. Sono i formaggi che ci hanno fatto nascere e crescere, sono un po’ il nostro marchio di fabbrica». Nell’ultimo anno la produzione di formaggi ha fatto posto anche a quella di yogurt e gelati. «Come ingredienti usiamo il nostro latte, la nostra panna e lo zucchero - spiega Daniele -. Proponiamo il gelato in vaschette da un chilo e da mezzo chilo, nei gusti fiordilatte, stracciatella, crema, nocciole e vaniglia. Piace molto, perché è genuino e si sente il gusto del latte». I ricordi di infanzia di Daniele sono tutti legati all’azienda. «Quando si è trattato di scegliere gli studi non ho avuto dubbi - racconta -, mi sono iscritto ad agraria, la

la produzione di miele e aggiunto un impianto di rabarbaro, una pianta aromatica poco conosciuta e valorizzata che dà confetture e succhi molto buoni. Le confetture stanno avendo successo anche come bomboniere e per il prossimo anno via dei Dossi, 23 c’è l’intenzione di Credaro allargare la coltivatel. 035 927325 www.cascinadeiprati.it zione delle fragole e proporle anche come fresco.

mattina studiavo e il resto del tempo lavoravo in azienda con mio papà. È un lavoro di sacrificio, non c’è Natale né Capodanno perché gli animali mangiano anche in quei giorni, ma svegliarmi presto la mattina e andare in stalla non mi pesa». La vendita è diretta, avviene quasi tutta nello spaccio in azienda (dove è possibile vedere l’intero processo produttivo), ma è possibile trovare i prodotti Filisetti anche in poche e piccole botteghe della provincia, nei mercati (il martedì a Bergamo in Piazza Santo Spirito, il giovedì a Costa Volpino, la domenica al Passo della Presolana) e ad alcune sagre di paese. Daniele è stato uno dei pionieri nella Bergamasca di un progetto innovativo firmato Coldiretti: a garanzia di trasparenza e tracciabilità da qualche mese sui suoi formaggi e gelati confezionati si trova un qr-code che permette di sapere, tramite smartphone, come sono realizzati, con quali ingredienti, ecc. Un giorno accanto all’azienda potrebbe nascere un centro benessere dove potersi rilassare in vasche di latte. «È un sogno - dice Daniele - ma io sono tenace, di solito realizzo i miei desideri».

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L’azienda di Mario Sansone

Alimentari Moretti incontra fornitori e clienti

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Il 26 e il 27 ottobre l’evento MoreEat alla Villa Moroni di Stezzano ue giornate, in un’affascinante cornice, per presentare tanti nuovi prodotti a prezzi scontati. È l’evento “MoreEat” che Alimentari Moretti ha programmato per il 26 e il 27 ottobre, dalle 10 alle 19, a Villa Moroni, a Stezzano. Un appuntamento inedito che l’ingrosso di carni, prodotti ittici e alimentari - con sede a Curno e filiale nel Bresciano - ha organizzato aprendo le porte sia agli operatori del settore già presenti nelle anagrafiche dell’azienda, sia ai potenziali nuovi clienti. L’obiettivo? Rinsaldare i rapporti con fornitori e clienti (soprattutto ristoratori, mense, comunità e centri scolastici) ed entrare nello specifico dei prodotti commercializzati con dimostrazioni e degustazioni. Nel corso dell’evento, i riflettori saranno accessi su tutta la gamma, dal salato al dolce toccando antipasti, primi, secondi di pesce e carne, contorni e, novità assoluta, i vini biologici da abbinare ai vari piatti. Due momenti particolari saranno dedicati al comparto macelleria (alle 11,30 e alle 16) con il sezionamento delle carni e la valutazione dei vari tagli e delle loro caratteristiche. L’attenzione sarà rivolta, in particolare, al bovino adulto irlandese e al vitello olandese. Complessivamente è prevista la presenza di una trentina di fornitori da tutta Italia, e anche dall’Europa, con prodotti ed eccellenze anche per la

ristorazione attenta alle novità e alle materie prime di qualità. “Del resto - evidenzia Michela Moretti, responsabile del marketing - il punto di forza della nostra azienda è da sempre la costante ricerca della qualità, che fa il paio con i prezzi competitivi che sappiamo praticare e il servizio accurato. Per fare un esempio, i nostri addetti sono dotati di tablet che permettono l’invio immediato dell’ordine tracciando ogni pezzo grazie al codice a barre, un sistema che velocizza la fornitura e va incontro alle esigenze delle imprese. Ecco perché - aggiunge Moretti - non è un caso se oggi possiamo annoverare tra i nostri clienti alcuni dei migliori ristoratori lombardi e arriviamo con i nostri servizi fino alle porte del Veneto. Il tutto grazie ai mezzi di nostra proprietà, alla nostra organizzazione e, soprattutto, alle nostre risorse umane, a partire dagli autisti, conclude Moretti - che sono tutti nostri dipendenti, pertanto nessuno esterno è a contatto con merci i clienti”. L’Alimentari Moretti, che conta una trentina di dipendenti, effettua il sezionamento e il confezionamento di carni bovine fresche e commercializza carni bovine, avicole e suine, fresche e congelate. Ha man mano ampliato la gamma per offrire un servizio completo, il cosiddetto “catering servito”. Le circa 1300 referenze a listino comprendono sia prodotti freschi che congelati o surgelati. Inseriti anche ortaggi e frutta nonché prodotti etnici. www.alimentarimoretti.it www.facebook.com/AlimentariMoretti


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IL PROGETTO di Lara Abrati

Val Brembana, quante specialità regala lo zafferano! L’iniziativa “Zafferano Oltre la Goggia” ha promosso la coltivazione della preziosa spezia, ma ha anche fatto nascere nuovi prodotti artigianali. Così l’economia di montagna si rilancia e si rafforzano i rapporti tra gli operatori

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ietro a un piccolo fiore c’è una grande ambizione: il rilancio della montagna e della collaborazione tra chi la vive. Accade con il progetto Zafferano Oltre la Goggia, parte di una più ampia azione, stimolata dal Vicariato di Alta Valle Brembana, per ricreare il tessuto sociale che man mano si è perso. È un’iniziativa relativamente giovane, l’idea risale infatti solo a un paio di anni fa. «Zafferano Oltre La Goggia – dice Maria Calegari, una delle coordinatrici – nasce all’interno del progetto “Buone prassi” che mira all’abitare la montagna in modo diverso, stimolando così un ritorno al territorio e alle sue forme di sussistenza». Diverse sono le famiglie e le aziende agricole coinvolte nel progetto, dalla presenza femminile decisiva e vasta. Nell’ambito specifico della coltivazione dello zafferano, si è cercato con successo di dar vita a un processo che va oltre la semplice coltivazione, ma che con azioni su più versanti ha permesso di ricreare una piccola economia locale. Questa sfida è stata sostenuta dall’Associazione Gente di Montagna che, mettendo in campo la conoscenza e l’esperienza dei suoi soci, ha saputo concretizzare l’intuizione. «Circa due anni fa – spiega Davide Torri, responsabile dell’associazione – il Vicariato dell’Alta Valle Brembana ha chiesto alla nostra associazione di fare un convegno e trattare il tema. Dopo esserci incontrati con alcune persone del posto, siamo giunti alla conclusione che un’azione sarebbe stata meglio di un convegno». Ecco che la macchina organizzativa si è messa in moto e, dopo alcuni incontri e dopo la formazione dei futuri coltivatori, nel 2014 sono stati impiantati i primi bulbi che hanno dato il primo raccolto nell’autunno del 2014. Raccolto che è stato utilizzato poi da


il progetto Zogno

La produttrice: «Una coltivazione che

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alcune piccole realtà artigianali locali per delle preparazioni uniche. Sono stati prodotti la birra allo zafferano dal Birrificio Via Priula di San Pellegrino, il pane allo zafferano dal panificio Midali di Branzi e, successivamente, sono stati elaborati alcuni dolci dall’Officina del Dolce di Bergamo della pasticciera Camilla Beltramelli, originaria della Valle Brembana. Diverse sono quindi le famiglie che hanno potuto mettere in produzione terreni inutilizzati, con vantaggi che vanno dall’integrazione del reddito grazie alla vendita dello zafferano alla ricostruzione di relazioni sociali, nell’interesse comune. Esiste solo una varietà botanica di Crocus sativus al mondo. «Le sue caratteristiche – sostiene Sara Boroni, una delle coltivatrici – dipendono dal territorio in cui viene coltivato e da come vengono essiccati i fiori. È una coltura che richiede molta fatica e pazienza, anche perché i bulbi vanno costantemente monitorati e protetti, ma è anche una coltivazione piacevole e imprevedibile». Ogni mattina all’alba non manca una supervisione nei terreni per raccogliere i fiori pronti. Da questi vengono poi sfilati i tre stigmi e, successivamente, fatti essiccare: questa è un’operazione delicata infatti il rischio di bruciarli o, viceversa, di non essiccarli abbastanza predisponendoli alla marcescenza è sempre in agguato. La stagione del raccolto 2015 è arrivata e nei prossimi mesi saranno disponibili i nuovi stigmi. Obiettivi per il futuro? «L’autosufficienza nella produzione dei bulbi e l’aumento della quantità dello zafferano prodotto e delle persone coinvolte - afferma Maria Calegari -, sia per quanto riguarda i coltivatori che eventuali realtà che utilizzeranno questo interessante prodotto».

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i sono trasferita in montagna circa 10 anni fa», inizia così la sua presentazione Sara Boroni, una delle giovani coltivatrici di zafferano. Classe 1981 e originaria di Bonate Sopra, abita con i suoi tre figli a Castegnone, una piccola frazione di Zogno, sopra Poscante. L’amore per la montagna l’ha portata ad allontanarsi dall’Isola bergamasca con il sogno di aprire un’azienda agricola, anche se la sua formazione è legata al mondo

Sara Boroni

Bergamo

Officina del Dolce, le proposte stagionali della pasticciera Camilla

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amilla Beltramelli, originaria della Valle Brembana, è l’anima della pasticceria L’Officina del Dolce di Bergamo. Il suo percorso lavorativo vanta diverse e importanti collaborazioni, dallo chef patissier Ernst Knam alle cucine di alcuni dei più rinomati ristoranti bergamaschi e milanesi. Concorsi internazionali e collaborazioni televisive la portano del 2010 ad aprire il suo piccolo laboratorio di pasticceria in via San Tomaso. Camilla Beltramelli «Ho iniziato a sperimentare un dolce con lo zafferano prima dell’estate – ricorda Camilla –. Siamo abituati ad associare lo zafferano a dei prodotti caldi come i risotti, quindi non è stato semplice, ma l’idea è stata quella di preparare una mousse di yogurt con il frutto della passione e lo zafferano. Quest’ultimo è riconoscibile, ma molto delicato, l’importante è non sovrastarlo con altri aromi e sapori». Ma anche per l’autunno Camilla ha pensato ad un dolce particolare per celebrare lo zafferano prodotto nelle valli bergamasche, sperimentando un abbinamento con la pera, delicata e dolce, e creando un contrasto con il cioccolato al latte, più delicato di altri cioccolati. «In futuro – racconta Camilla – gli abbinamenti e le proposte saranno sempre secondo stagionalità, uno dei cardini della mia pasticceria. Non è detto che proporremo ancora una mousse, ma ad esempio… perché non potrebbe essere una pralina?». Una pralina allo zafferano, che bontà. Via alle sperimentazioni! tel. 035.0348798 – info@officinadeldolce.com


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Branzi

dà soddisfazioni» dell’arte, con un’esperienza di lavoro al fianco di un pittore. Le difficoltà in montagna sono tante, «una delle principali è stata – racconta – trovare dei terreni da coltivare, ma poi ho saputo che vendevano l’attuale mia abitazione, con dei terreni, e ne ho subito approfittato». Due anni fa nasce quindi l’azienda agricola InCanto dove Sara coltiva ortaggi da specie antiche, di cui ha recuperato i semi grazie a scambi con altri contadini. La sua coltivazione si basa sull’autoproduzione dei semi e per il futuro programma di trasformare in loco i suoi prodotti e offrire ospitalità. Oltre che dalla frutta e dalla verdura, si è però lasciata coinvolgere dal progetto Zafferano OLG «perché è una specie che dà molta soddisfazione e poi, dal momento che mi trovo in montagna, non posso coltivare tutto quello che vorrei. Il mio obbiettivo è quello di arrivare ad autoprodurre i bulbi, capire come si potrebbero adattare a questa zona, anche se il rischio di perdita dei bulbi è molto alto, sino al 30-40% all’anno». az.contadinaincanto@gmail.com

San Pellegrino

Il birrificio Via Priula ha creato “Safrà”

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nche nel piccolo birrificio artigianale Via Priula di San Pellegrino la coltivazione dello zafferano ha suscitato interesse. «Stavamo sperimentando per la produzione di una birra in stile saison, un tipo di birra che mi ha sempre interessato – spiega Giovanni Fumagalli, uno dei soci – e un giorno, frequentando il consorzio agrario, mi viene mostrato lo zafferano locale. Ecco l’idea». Lo zafferano è arrivato nel momento giusto ed è stato motivo di ulteriore sperimentazione. È nata quindi una birra in stile Saison belga con radici ben salde in Valle Brembana. «È il risultato di decine e decine di esperimenti – sottolinea Fumagalli – fatti per raggiungere un adeguato equilibrio sia in termini aromatici che di costo». Infatti il rischio era quello di ottenere una birra eccessivamente colorata, speziata e, da non sottovalutare al fine della sostenibilità economica, onerosa. Ma il risultato è stato raggiunto, si chiama Safrà.

Una vera chicca, il pane allo zafferano di Midali

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aldovino Midali tutte le mattine si alza e prepara il pane, è un panettiere. Un panettiere tuttofare perché nella sua vita coltiva tante passioni e attività. È anche fotografo naturalista e regista. «Un bel giorno – racconta – mi è arrivata una richiesta dai coltivatori di zafferano e ho aderito al progetto perché mi interessava far sapere che nella nostra valle si coltiva lo zafferano e che può essere utilizzato anche per fare il pane. Sono convinto che l’unità fa la forza». Midali ha presentato recentemente questo pane in occasione della giornata mondiale del pane a Expo Milano 2015. È un prodotto di nicchia nel vero senBaldovino Midali so del termine, perché non è il pane a cui siamo abituati, ma anche per il suo costo, non certo economico. «Per realizzarlo – spiega Baldovino – prendo gli stigmi, li pesto e li lascio in ammollo in acqua per circa 12 ore. Poi utilizzo l’acqua con lo zafferano per preparare l’impasto». tel. 0345 71034 info@panificiomidali.com

tel. 333 188 3129

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l’accordo

La 4R diventa produttrice di vino: presi in gestione 10 ettari di vigneto

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estate 2015 porta un’importante novità per quel che riguarda il mondo dell’enologia del nostro territorio. Una novità che dimostra che quando alcuni leader si uniscono, i progetti che scaturiscono sono all’avanguardia e decollano velocemente. I protagonisti in questo caso sono due delle realtà più attive per quel che riguarda l’innovazione enologica in Bergamasca: la Cantina Sociale Bergamasca di San Paolo d’Argon e la 4R-Villa Domizia di Torre de’ Roveri. Quest’ultima è tra le aziende commerciali che più spiccano nel mondo della distribuzione di bevande e di vino, in primis per la zona orobica, e da tempo ha sposato la causa del vino del territorio, diventando proGiampietro Rota tagonista, da vent’anni, anche nella produzione con una gamma di prodotti che ha portato l’azienda alla soglia delle 70mila bottiglie all’anno. Dal 1995, la 4R ha iniziato a dar vita a una gamma di vini in bottiglia in gra-

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do di rivalutare il territorio secondo un preciso disegno strategico e progettuale. Il tutto nella consapevolezza delle grandi opportunità offerte dai vini a denominazione di origine e con la voglia di offrire un concreto contributo alla tutela e alla promozione, tanto che il 7 marzo del 2002 la 4R entra a far parte del Consorzio Tutela Valcalepio, che tra l’altro uno dei quattro fratelli Rota, Enrico, presiederà dal 2011 al 2014. «Da allora - spiega Giampietro Rota, presidente della 4R - la nostra passione e ricerca non ha più avuto tregua. E il percorso avviato ci ha portato a concludere anche un accordo storico con il maggior produttore di uve e di vino di Bergamo: la Cantina Sociale Bergamasca. La scelta sulla Cooperativa di San Paolo d’Argon, quale partner di riferimento, è assai facile da spiegare. La Cantina Sociale Bergamasca da sempre rappresenta il fulcro dell’innovazione in Valcalepio e da tempo desiderava intraprendere la strada della produzione biologica. Se a questo sommiamo il fatto che con la dirigenza della Cantina stessa è in atto una forte e motivata collaborazione da ormai 15

anni, diventa scontato comprendere i presupposti della scelta». «Assieme a loro - annuncia Rota - abbiamo dato vita a un progetto ventennale che comprende la ristrutturazione e la lavorazione in comune di un vigneto di quasi 10 ettari nel comune di Scanzo, proprio nel centro di Rosciate. La novità, però, riguarda la filosofia che abbiamo scelto di seguire: il vigneto sarà coltivato allo scopo di ottenere una produzione biologica, nel pieno rispetto di quello che, ad ogni effetto, può essere considerato un vero e proprio giardino in mezzo al centro abitato. Strategie chiare quindi, sempre con una visione lungimirante per anticipare le evoluzioni del mercato, soprattutto quello estero. L’esportazione è diventata per noi parte integrante della nostra missione. I mercati in cui operiamo, dal Lussemburgo al Brasile, dalla Corea del Sud al Belgio, come d’altro canto anche gli altri, sono assai sensibili alla produzione biologica». L’intenzione è quella di produrre vini quali Valcalepio Bianco Doc, Valcalepio Rosso Doc, Terre del Colleoni Incrocio Manzoni 6.0.13 Doc e


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QUATTROERRE via Marconi, 1 Torre de’ Roveri tel. 035 580701 fax 035 580782 info@quattroerre.com www.quattroerre.com

Alleanza strategica con la Cantina Sociale Bergamasca per ristrutturare e rilanciare, per 20 anni, un terreno nel centro di Rosciate. La produzione comprenderà i Valcalepio Doc, Terre del Colleoni Incrocio Manzoni 6.0.13 Doc e Terre del Colleoni Incrocio Terzi Doc. Giampietro Rota: «Tutto sarà all’insegna del biologico» Terre del Colleoni Incrocio Terzi Doc. Proprio questi ultimi due vitigni sono oggi ancora poco coltivati a Bergamo e il problema dell’approvvigionamento di queste uve sta diventando assai serio, motivo in più per scegliere di gestire direttamente la produzione di uva. «Senza contare un altro aspet-

to che ci ha spinti a questa scelta - conclude Rota -, ovvero il contributo alla riqualificazione del territorio: abbiamo sempre insistito sull’importanza del rispetto di quella che è una grande peculiarità dell’enologia in Bergamasca, quella vicinanza ai centri abitati che fa della Valcalepio il

Giardino di Bergamo. Quella del biologico è una sfida che in pochi hanno accettato nella nostra provincia e noi, assieme alla Cantina Sociale, siamo lieti di fungere ancora una volta da volano per quello che riteniamo essere un plus produttivo importante da presentare sul mercato».

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Formazione

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Al via i corsi di cucina dell’Accademia del Gusto l mondo del cibo e del vino è in continua evoluzione. Non meno della moda, presenta ogni anno nuove tendenze che mutano il nostro gusto a tavola. Chef e appassionati fanno a gara nella ricerca della presentazione d’effetto e nello studio di proposte consone alle nuove abitudini alimentari. Le cucine senza glutine e vegane sono diventate un must, sull’onda di un cultura sempre più salutista. Si affacciano nuove professioni e nuove specializzazioni, che permettono di differenziarsi e di essere competitive rispetto agli altri locali. Il nuovo calendario dell’Accademia del Gusto di Osio Sotto raccoglie tutte queste tendenze e restituisce una proposta di corsi che puntano sulla crescita della cultura del cibo e stimolano ristoratori e baristi ad aprirsi verso nuovi orizzonti per stare al passo con l’evoluzione dei consumi e degli stili di vita. Dalle ricette per il brunch domenicale ai piatti della tradizione giapponese, ai laboratori su pietanze a base di fiori e germogli, ai corsi di street food, a quelli per diventare idrosommelier, una nuova competenza per chi lavora in sala che permette di creare e proporre accanto alla carta dei vini, una carta delle acque minerali.

L’agenda propone 87 titoli (più di mille ore di formazione). Tra i 30 chef in cattedra ci sono alcune eccellenze come Gennaro Esposito (La Torre del Saracino di Vico Equense), Mauro Uliassi (Ristorante Uliassi di Senigallia), entrambi due stelle Michelin, Riccardo Camanini (Lido 84 di Gardone Riviera, una stella Michelin), Enrico Cerea e Sergio Mei. I corsi in programma sono suddivisi nelle sezioni: cucina per professione, bar & wine, lievitati, convivium, pasticceria e cucina per passione. Nella sezione del beverage è in pro-

gramma lo stile americano al bar e si impongono i distillati polinesiani. Per gli aspiranti pasticceri uno dei corsi più nuovi si chiama “Sweet table” e insegna come allestire tavole di dolci, caramelle, confetti, torte, pasticcini. Rimangono in calendario, come da tradizione, tutte le lezioni, sempre molto richieste, sulla professione del pizzaiolo e sull’uso delle farine. Ritorna anche il tradizionale appuntamento con “Convivium”, le lezioni-pranzo in locali importanti della ristorazione italiana quest’anno si volgeranno ai “Tre Cristi” dallo chef Paolo Lopriore a Milano e all’Enoteca Pinchiorri di Firenze. A fine novembre, dal 28 al 30, l’Accademia del Gusto si trasferirà in Fiera a “Gourmarte”, con l’intervento di noti volti televisivi, tra cui Mirko Ronzoni, che è in Accademia da cinque anni e vi ritorna quest’anno da vincitore della seconda edizione di Hell’s Kitchen Italia. Infine, nella sezione dedicata alla cucina per passione, le proposte sono le più varie: dal corso ‘Imparare a cucinare’, alla creazione di piatti gluten free, dalle zuppe, alla cena in 10 minuti fino alla realizzazione di una cena afrodisiaca per San Valentino.

Il 29 ottobre l’incontro con lo chef Gennaro Esposito “Quando gusterete in un mio piatto la polpa di un riccio di mare, la ricotta di una fuscella, la pasta mista, la foglia di una zucchina, il baccello di un pisello, un piccolo pesce di scoglio, il limone, la provola e perfino il riso o l’ostrica, che non appartengono a questo territorio, voi mangerete Gennaro Esposito e le mani ed i piccoli gesti ripetuti di centinaia, migliaia di persone e la terra, la pioggia, il sole, il fieno, il muggito di una mucca, la luce di una lampara, la sirena di una fabbrica”. Giovedì 29 ottobre, all’Accademia del Gusto, Gennaro Esposito, chef del ristorante La Torre del Saracino di Vico Equense, due stelle Michelin, spiega la sua filosofia di cucina che ripercorre i sentieri del passato per approdare al presente. Un incontro a tu per tu anche per riflettere cosa su significa essere chef oggi.

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Riflessioni

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di Enrico Rota

L’

Bergamo, l’Expo e le occasioni mancate avventura di Expo Milano 2015 sta giungendo al termine, si può quindi tracciare un primo bilancio di quest’appuntamento di grande rilevanza internazionale. Innanzitutto, è fondamentale precisare cosa effettivamente sia Expo. In molti, infatti, soprattutto in fase preparatoria, hanno frainteso lo scopo fondamentale di questo evento. Expo è, prima di tutto, un’esposizione e come tale rappresenta una vetrina e non un banco di vendita. Il visitatore di Expo arriva a Milano per vedere cose nuove, scoprire realtà che non conosce, incontrare culture diverse, entrare in contatto con il tema della manifestazione. Il vero successo è in capo a chi ha saputo mettersi in mostra, farsi vedere e, di conseguenza, ricordare. Chiarito questo punto fondamentale, è interessante osservare anche il target del visitatore. In fase di organizzazione si parlava di grandi gruppi di stranieri che avrebbero dovuto soggiornare sul territorio italiano, usando come pretesto per il viaggio Expo e avendo come intenzione la visita alle regioni limitrofe; è stato invece osservato che la maggioranza dei visitatori dell’esposizione è stata italiana e che la loro visita si esauriva all’interno dei cancelli di Rho. Da qui sorge la prima domanda: era davvero imprevedibile questa situazione oppure bastava uno sguardo agli altri svolgimenti dell’Universale per capire cosa sarebbe successo? Essere ottimisti è fondamentale, creare false speranze o attese, no. Entrando nel merito vitivinicolo, il Consorzio Tutela Valcalepio, conscio della realtà di un’Esposizione Internazionale, ha approfittato di tutte le opportunità di partecipazione che gli sono state offerte. Ha scelto poi di essere presente nel polo dell’enologia italiana: il Padiglione Vino, e, naturalmente, di partecipare al Padiglione Lombardia. Sul Padiglione Vino le aspettative erano ben diverse, in primis l’affluenza. Si poteva gestire in modo diverso? Sì, e con il senno del poi, tutto diventa facile. Meno facile è spiegare a chi ha partecipato, investendo risorse, il mancato raggiungimento dell’obbiettivo. Immaginavo la possibilità di far vedere e comprendere ai visitatori cosa rappresenta il vino per l’Italia, partendo magari dall’emozione che tale padiglione doveva suscitare, in modo da essere ricordato e successivamente, perché no, divulgato.

Expo ha poi avuto la forza di catalizzare la maggior parte di eventi regionali, trasferiti per la circostanza a Milano. L’inevitabile conseguenza è stata l’impoverimento delle proposte nel resto delle province lombarde. Questo è stato uno dei motivi che ha condotto una parte di produttori vitivinicoli bergamaschi, in capo alla Vignaioli Bergamaschi, a mantenere a Bergamo l’undicesima edizione del Concorso enologico internazionale Emozioni dal Mondo e non solo. I Fuori Expo a Bergamo per il Consorzio Valcalepio sono stati molti e non a difesa del classico campanilismo che contraddistingue il nostro paese, ma quale grande opportunità per far conoscere un territorio ricco di storia e cultura. Cosa si poteva fare di diverso? Probabilmente in fase di organizzazione essere meno schizofrenici e ponderare meglio la partecipazione cercando di lasciare una immagine del nostro territorio al visitatore. Occorreva forse una riflessione ed una ricerca di questa identità. Non sono comunque pessimista, la cosa si può ancora fare e le occasioni continuano a proporsi, basta coglierle.

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La novità di Rosanna Scardi

Matè, il ristomarket che fa cucinare il cliente Nel locale appena aperto a Treviglio, si possono acquistare gli ingredienti e prepararsi il pranzo nell’area show-cooking. Forte attenzione alle intolleranze alimentari

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atè come Madre terra è il nuovo ristomarket di Treviglio che trasforma il cibo in esperienza di vita. Per la prima volta, nella Bergamasca sbarca una formula innovativa: oltre alla forte attenzione alle intolleranze, i prodotti possono essere acquistati nella bottega del locale e cucinati dallo stesso cliente nell’area “You cook”. Alla base del progetto c’è una filosofia salutistica, concetti come la nutraceutica e la nutrigenomica che spingono a consumare alimenti che ci fanno stare meglio e, in alcuni casi, ci aiutano a guarire. «Nei prossimi anni, la scienza riuscirà a mappare il genoma del cliente ottenendo informazioni preziose per fargli assumere ciò di cui necessita», spiega Fabio Duca della società Treverde che ha ottenuto lo spazio nell’ex Upim dopo essersi aggiudicata il bando comunale. Per rifornire il locale è nata la cooperativa agricola Cascine nelle terre di ghiaia con una decina di soci tra Arzago, Pandino, Treviglio e Pontirolo. I loro prodotti sono in vendita, dalle 8 alle 20, nella bottega. Si possono trovare carne bovina romagnola e marchigiana, pasta fresca, verze, patate e la zucca dalla buccia verde scura, oltre a valeriana, soncino e lattuga garantiti dalle estese serre.

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Dopo aver fatto la spesa, il cliente può decidere di cucinare per 14 suoi ospiti nell’area show cooking: al centro ci sono i fornelli, attorno i commensali che assistono alla preparazione. Si può provare l’esperienza affiancati da uno chef dell’Abf di Castel Rozzone oppure delegare al cuoco ogni mansione. Lo chef di Maté è Roberto Raimondi. Scegliendo dal menù su tablet si possono gustare le sue prelibatezze, le torte e i pasticcini di carne di Gio Fenili, il gelato fior di mucca ottenuto da latte appena munto, la birra prodotta da Heineken a Comun Nuovo, non pastorizzata e con solo 4,8 gradi o scegliere tra 25 etichette del distributore piemontese Vino libero. A metà novembre comincerà la lezione alimentare “Bella bimbi”, il sabato e la domenica a pranzo. I ragazzi, sempre più bombardati da spot di merendine, avranno davanti a loro un buffet ricco di tentazioni: chi sceglierà le combinazioni più bilanciate sarà premiato. Il 10 novembre debutta “Sit Down”: ogni martedì, alcuni bambini si trasformeranno in camerieri per far riflettere sulla loro patologia. I posti sono 115 all’interno, altrettanti fuori d’estate. Prezzi per tutte le tasche, dai 9 ai 15 euro a pranzo fino ai 45 per la cena.


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TENDENZE di Laura Ceresoli Consumi e stili di vita cambiano e i panettieri si adeguano. Ampliando la gamma dei prodotti da forno, certo, ma proponendo anche caffé, piatti per un pranzo veloce e aperitivi. Ecco la nuova sosta in panetteria

Non di solo pane

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l buongiorno si vede dal mattino. Fin dalle prime ore dell’alba il profumo di pane si sprigiona dalle principali fornerie di Bergamo. Vetrine stipate di croissant alla crema, tortine di frutta appena decorate o muffin cioccolatosi ben lievitati risvegliano all’improvviso l’appetito un po’ sopito dalla frenesia lavorativa. Qualcuno, con aria trafelata, si ferma di fronte al panificio, dà un’occhiata all’orologio e pensa che, in fondo, cinque minuti per una pausa golosa se li può anche ritagliare. Meglio ancora se il peccato di gola è accompagnato da un buon caffè. Oggi, infatti, la colazione non si fa più solo al bar. Da qualche tempo alcuni storici panettieri orobici, da Rota a Tresoldi, stanno allargando il loro assortimento proponendo all’interno delle loro botteghe angoli per la somministrazione di bevande calde. E così, nel cuore della settimana, le panetterie sono piene di studenti con cartelle a spalla, colletti bianchi in giacca e cravatta o mamme con la borsa della spesa che approfittano del servizio di caffetteria offerto dai fornai per gustare brioche e focacce ancora calde, comodamente accomodati tra sgabelli e tavolini. «Il contesto sociale in cui viviamo è cambiato rispetto a un tempo – spiega Roberto Capello, presidente dell’Aspan di Bergamo e presidente regionale e nazionale dei panificatori –. Per i lombardi la cucina in casa sta diventando quasi inutile: da lunedì a venerdì la maggior parte della gente consuma la colazione e il pranzo fuori, mentre la cena è diventata il pasto principale. Lo street food è aumentato e le panetterie hanno cavalcato questo nuovo trend allargando l’offerta. Non più solo

pane, quindi, ma un prodotto corredato da un servizio. Non si tratta di ristorazione pura. Si dà l’opportunità al cliente di sedersi velocemente nella pausa lavoro. Le liberalizzazioni per la somministrazione non assistita introdotte con la legge Bersani hanno agevolato questo processo». Verso mezzogiorno, lo scenario cambia di nuovo. Frolle e pasticcini cedono il posto a pizzette, ciabatte imbottite, focacce ripiene, insalatone multivitaminiche e persino lasagne, tortellini, gnocchi impastati a mano. Qualche massaia chiede di impacchettare porzioni di cibi pronti da portare a marito e figli. Gli impiegati che lavorano negli uffici del centro, invece, si fermano volentieri sul posto per assaporare tranquillamente un piatto di pasta casereccia o una fresca insalata di farro: «Una volta il pane era l’alimento principale – prosegue Capello –, ora accompagna il cibo. La quantità di consumi di pane è calata perché l’uomo consuma meno energie, non fa più lavori di fatica ma impieghi sedentari. I panettieri hanno quindi capito che devono adeguarsi alle esigenze se vogliono campare. Pur continuando a vendere prodotti con base pane, hanno aggiunto altri gustosi ingredienti per rendere il tutto più appetibile. Molti fanno gastronomia con primi strutturati come lasagne, pizzoccheri, tortellini. Da Tresoldi ho trovato persino la paella. Introdurre piatti elaborati che costano di più del semplice pane significa garantire guadagni maggiori ai panificatori. Però bisogna scegliere il luogo giusto, gli indirizzi produttivi vanno accompagnati a un adeguato bacino di utenza. Quello che funziona a Milano magari non va a Bergamo.

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tendenze Una forneria-caffetteria non va bene, per esempio, nei paesi dormitorio perché non c’è passaggio. Occorre valutare anche gli orari. In generale si lavora bene nei giorni feriali, mentre nel weekend è difficile perché gli uffici sono chiusi». Oltre allo stile di vita, anche i gusti della clientela si stanno piano piano evolvendo e affinando. C’è infatti molta più attenzione alla salute e agli ingredienti contenuti nei cibi che si consumano. Non è più solo la farina bianca a farla da padrone, ma cereali come il grano saraceno, il farro, il kamut, la quinoa o i prodotti a kilometro zero, come avviene nelle panetterie Zero Bakery di via Palazzolo e via Masone. Per non parlare del recente boom del pane nero al carbone vegetale (vendutissimo anche in provincia come al panificio Ghisoni di Ponte San Pietro), capace di stimolare la digestione e persino di ridurre i gonfiori intestinali: «Il pane non è più solo un alimento ma un’esperienza – conferma Capello –. Il panettiere oggi cerca di soddisfare il palato del consumatore con farine diverse, creando un alimento esteticamente bello oltre che buono. Il cliente vuole assaggiare, vedere, provare nuovi gusti. Anche il food design sul pane va di moda. Per esempio a pranzo una michetta imbottita è troppo semplice oltre che scomoda da addentare per strada. Per questo si prediligono i panini bassi, come la ciabatta, che sono più gestibili per il nuovo modo di consumare fuori casa». Ci sono però anche alcuni casi in cui la panetteria si è trasformata in un vero e proprio locale che fa ristorazione con diverse proposte per ogni momento della giornata. È il caso di Tresoldi 1938 che, con le sue otto vetrine all’angolo tra via Petrarca e via San Michele, ha praticamente assunto le sembianze di un bistrot alla francese. C’è poi Trex, la panetteria-caffetteria nell’area della stazione di servizio di via Gavazzeni, che fa capo all’azienda Italo Tresoldi, altra famiglia storica in fatto di pane. Anche in questo caso oltre a caffé con brioche e spuntino a base di pizza e focacce, vengono proposti pasti accompagnati da vini selezionati. Ma il presidente Aspan mette in guardia i fornai: «Molti panettieri bergamaschi hanno lavorato sodo per generazioni, sfornando pane artigianale e di qualità. Queste nuove tipologie di locali rischiano di cancellare in un colpo anni di tradizione e di lavoro. Ho iniziato a preoccuparmi quando ho sentito alcuni giovani paragonare i fornai storici a semplici bar. Bisogna sempre ricordare da dove siamo partiti e tenere ben salde le nostre radici, altrimenti il panettiere classico rischia di destrutturarsi completamente, trasformandosi in una caffetteria o in una gastronomia in cui il pane diventa un dettaglio».

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PREMIATA FORNERIA ROTA

I primi a scommettere sulla A l mattino il banco della Premiata forneria Rota è un tripudio di sapori. Più di una cinquantina di tipologie di pane e una ventina di prodotti da forno, tra brioche, plum cake, muffin e frolle, attirano l’attenzione dei più golosi che a stento riescono a resistere alla tentazione di una gustosa colazione. Nato nel 1950 dall’esperienza di Gianfranco Rota, dal 1990 il panificio è guidato dal figlio Alberto che non ha mai smesso di modernizzare e potenziare la sua

attività. Oggi la forneria vanta quattro punti vendita in città e uno a Gorle. Nella sede di via Spaventa è attivo dal 2004 un servizio caffetteria e tavola calda dove poter degustare, in un ambiente accogliente, una vasta gamma di specialità realizzate con metodi naturali. «E pensare che quando abbiamo iniziato a introdurre anche caffè e cappuccini c’era un po’ di scetticismo tra la clientela – spiega Alberto Rota –. L’idea è nata parecchi anni fa a Milano. Mi capitava spesso di gi-

PANIFICIO ALGISI / Osio Sotto

La caffetteria ha conquistato U n anno fa al panificio Algisi di Osio Sotto sono spuntati tavolini, sedie alte e cappuccini per la colazione, suscitando le perplessità di parecchi abitanti della zona. Sì, perché in provincia queste nuove tipologie di fornerie-caffetterie si contano sulle dita di una mano. Ma i detrattori hanno presto dovuto ricredersi: «Il fatto è che qui la gente

è abituata a bere il caffè soltanto al bar – conferma il titolare Daniele Algisi –. Quando abbiamo deciso di affiancare la caffetteria alla vendita di pane e dolci c’era tanta diffidenza e spezzare l’abitudine con un locale controcorrente non è stato semplice. A Bergamo questo fenomeno è più diffuso, qui invece siamo in un paesino ed è stato più difficile


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somministrazione: «Una scelta vincente»

Lo staff con il fondatore Gianfranco Rota rare per i locali del centro meneghino per trarre ispirazione dalle novità che periodicamente prendevano piede. Ricordo che rimasi colpito dalle numerose panetterie con caffetteria che già all’epoca erano presenti in zona Duomo. Così ho pensato di creare una

realtà simile a Bergamo. All’inizio ho dovuto scontrarmi con lo scetticismo della clientela più conservatrice, invece già dopo 6 mesi abbiamo riscosso un grande successo. Dopo due anni abbiamo ampliato ulteriormente il reparto caffetteria con una saletta

al piano superiore della forneria di via Spaventa, mentre la panetteria di Gorle ha un piccolo angolo per la somministrazione». E a mezzogiorno arrivano sul bancone anche i prodotti per il pranzo, dai classici panini alle focacce, dalle insalate ai primi piatti che variano ogni giorno per non annoiare i clienti più fedeli: «Siamo aperti 6 giorni su 7, dalle 7 del mattino alle 19.30 con orario continuato – dice Rota –. In via Spaventa ci sono cinque persone in servizio la mattina e altrettante nel pomeriggio, mentre nella pausa pranzo ne servono nove. Si può mangiare sul posto oppure chiedere il take away. La mattina presto funziona bene la panetteria, dopo le 8 la caffetteria, poi verso le 11 arrivano le signore di una certa età che vengono a comprare il pane e che, invogliate dai piatti di gastronomia, chiedono di portare via due belle porzioni di pasta, così hanno già il pranzo pronto con meno di 10 euro. I lavoratori che escono dagli uffici arrivano su tre turni, tra mezzogiorno e l’una e mezza, e si siedono ai nostri tavolini. Poi alle 4 si riparte: è il momento della merenda con le mamme e i bambini».

o il forno “di provincia” far accettare la novità». Eppure, a un anno di distanza, Algisi può dirsi soddisfatto della sua intuizione: «Abbiamo aggiunto la caffetteria per sopperire al calo dei consumi e oggi i numeri ci danno ragione. Nel mio locale ho l’autorizzazione per fare servizio sia al banco che al tavolo e così, superato il periodo di rodaggio, abbiamo cominciato a incrementare il nostro giro d’affari. Sono stati introdotti prodotti adatti a ogni palato: pani ai cereali con farine

particolari, macinate a pietra, kamut, grano saraceno vanno per la maggiore. Per arricchire le colazioni o le merende pomeridiane abbiamo affiancato alla classica brioche la biscotteria e prodotti da forno, dalle crostatine ai plum cake. Il consiglio che mi sento di dare ai colleghi panettieri è diversificare per attirare un crescente numero di clienti. Sui pranzi, invece, non puntiamo molto, non facciamo gastronomia, solo tranci di pizza. Siamo un negozio a gestione

familiare e non riusciamo a stare qui tutto il giorno. Verso le 14 chiudiamo per una pausa e poi riapriamo per le merende dalle 16 alle 20».

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tendenze ZERO BAKERY

Con la farina del territorio, protagoniste sono C on il suo grembiulino, il cappello da cuoca e la sua contagiosa simpatia, Valentina è ormai diventata la mascotte di Zero Bakery. Di anni ne ha solo quattro, ma appena esce dall’asilo non vede l’ora di aiutare la mamma a preparare pane e dolcetti. D’altronde non potrebbe essere altrimenti visto che la sua maestra di cucina è la panettiera Irene Gabucci, 38 anni, titolare dal 2013 di Zero Bakery di via Don Luigi Palazzolo e, dall’anno scorso, di un omonimo secondo punto vendita in via Masone. Qui il pane viene sfornato utilizzando farina macinata a pietra, 20 ore di lievitazione, oppure quella della varietà Senatore Cappelli. La pizza sfogliata

è fatta con solo il 15% di margarina; il pane arabo è senza strutto; le ciabatte sono al farro monococco e farro d’avena. Anche le focacce di zucca, di patate, con gorgonzola e con barbabietola sono una vera delizia. Per non parlare del reparto gastronomia. Sul bancone si alternano lasagne al ragù, al radicchio o con ricotta e spinaci, carciofi al forno, peperoni ripieni, polpette di zucchine, gnocchi, crocchette di pollo: «Manca solo la pasta fresca all’uovo che non posso produrre per una questione di limiti sanitari sugli ingredienti imposti dalla Asl – racconta Irene –, però gli gnocchi li preparo io. Ho deciso di puntare sulla farina a kilometro zero, in particolare la tipo

1 e tipo 2 del nostro territorio. Tra i prodotti che vendo di più c’è la ciabatta, anche se all’inizio ho faticato

TRESOLDI OGGI – LA BOTTEGA DEL PANE

Appena rinnovato, il n Q uella di Tresoldi è una storia lunga e appassionante che inizia a metà del secolo scorso. Era la fine del secondo conflitto mondiale e per Giuseppe Tresoldi e la moglie Elena si presentò la possibilità di acquistare un vecchio panificio in via Gombito nel cuore di Bergamo alta. Quello fu solo l’inizio di una tradizione che prosegue ancora oggi in città con

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le verdure un po’ perché i clienti non erano abituati a 250 grammi di pane: era troppo grande. Ora invece va per la maggiore. Vendo bene anche le focacce, il pane di segale, i grissini con il mais Spinato di Gandino, le schiacciatine all’orzo, alla cipolla, lisce o ai cereali. Sta riscuotendo successo anche il mio biscotto proteico perché è molto salutare: contiene infatti farina di farro, carrube, canapa, olio di cocco, semi di lino e non ha conservanti». Il pane viene preparato con ingredienti genuini nel laboratorio di via Palazzolo, seguendo un attento processo di lievitazione

naturale. E per garantire al cliente un prodotto fragrante in ogni momento della giornata, vengono programmate più sfornate nell’arco della giornata: «Sono partita praticamente da sola nel 2013 con l’aiuto di una sola commessa e oggi ho cinque dipendenti divisi tra i miei due negozi. Siamo aperti tutto il giorno e conciliare famiglia e lavoro non è semplice. Ho anche una figlia di 4 anni che vedo pochissimo, ma faccio di tutto per riuscire a portarla a scuola e quando vado a prenderla facciamo dolcetti e muffin insieme. È la mascotte nel negozio».

Irene Gabucci con la figlia Valentina

egozio piace anche per l’happy hour lavoro perché non possiamo più vivere di solo pane. Il pergrande impegno e con il coraggio di adattarsi alle nuove sonale è aumentato, circa 24 dipendenti ruotano intorno tendenze per non soccombere alla crisi. Dallo scorso agoalla nostra azienda che, dal 2008, ha come base il laborasto il negozio di viale Papa Giovanni è così diventato “Tretorio di Azzano San Paolo progettato per la realizzazione di soldi Oggi”, un locale goloso con una vetrina in continua pane surgelato e precotto da distribuire nei negozi a livello evoluzione che si adatta a ogni momento della giornata. di food service. Portiamo il pane fino in Svizzera. In città Oltre ai classici panini con farine speciali, alle pizze farsiamo aperti dalle 7 del mattino per le colazioni, poi precite e alle tortine di ogni sorta, vengono preparati piatti pariamo numerosi piatti gastronomici per tutti i per i pranzi veloci, rigorogusti: insalate di pollo, samente in piedi. Infine polpo, arrosti, verdula sera, dalle 17.30 fino re miste, casoncelli, alle 20.30-21, puntialasagne, cannelloni, mo sull’aperitivo. Molti parmigiana di melanstudenti prenotano per zane sono soltanto festeggiare i loro comalcune delle pietanze pleanni qui da noi con che si possono gustaun happy hour tra amici. re sul posto o portare I risultati sono buonissia casa. «Da quando lo mi. Chi vuole può portascorso agosto abbiare via i piatti così ha già mo rinnovato il locale il pranzo pronto e non – spiega Mario Tresoldeve spadellare. Una di di – abbiamo cambiaDario Tresoldi con il suo staff queste è mia moglie». to il nostro sistema di

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IL RISTORANTE di Fulvio Facci

Pampero, la brezza marina che spira sul lago di Endine via Nazionale, 229 Ranzanico al Lago tel. 035 811304 www.ristorantepampero.com chiuso il lunedì e martedì a mezzogiorno

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Con attenzione alla ricerca e all’evoluzione della proposta, il locale dei fratelli Ferrari si conferma un punto di riferimento per i piatti di pesce. Una precisa scelta di campo portata avanti da quasi quarant’anni. Lo chef Tiziano: «È perché credo in una cucina fatta al momento, con tempi di cottura ridotti, ripulita dal superfluo e con meno grassi possibile» orse è solo una sensazione personale, ma il nome Pampero, associato ad un ristorante, evoca l’immagine di un locale nel quale sia la carne, magari un asado argentino, e non certo il pesce di mare a farla da padrone. Nel caso del Pampero di Ranzanico al Lago, in via Nazionale 229, la chiave corretta di lettura viene offerta dal dorso di un’elegante brochure edita nel 2007 in occasione del trentesimo anniversario di attività: Pampero è il vento rinfrescante delle pampas sudamericane che addolcisce i picchi torridi estivi, è una brezza di rinnovamento. E il senso di freschezza, ma anche di particolare cura, è quello che accoglie non appena si entra nel parcheggio incontrando un graziosissimo laghetto artificiale con ninfee e germani reali che sembra voler lanciare una sua sfida personale al lago di Endine appena al di là della strada. Quasi quarant’anni portati egregiamente è il minimo che si può dire del Pampero, spazioso per i suoi circa cinquanta coperti e arredato con sobria eleganza, mentre per l’estate c’è an-

In cantina oltre 800 etichette. A sorpresa dominano i grandi rossi Con le sue oltre ottocento etichette, la carta dei vini del Pampero si propone come una delle più corpose ed interessanti offerte dal panorama della ristorazione provinciale. Cantina a temperatura e umidità controllate, selezione che spazia tra i rossi, i bianchi, le bollicine e i distillati nazionali e stranieri per offrire un’ampia e qualificata scelta a clienti del ristorante, ma anche a quanti sono alla ricerca di qualche prodotto d’eccellenza da degustare magari a casa in compagnia di amici. Anche un servizio di enoteca, quindi, dietro al quale è evidente come l’attenzione vada oltre gli interessi strettamente commerciali rivelando un’autentica passione. «Abbiamo curato la cantina sin dall’inizio della nostra attività ed è un settore al quale, personalmente, tengo molto – racconta Celestino Ferrari che nella conduzione del ristorante si occupa della sala –. Per le nostre esigenze forse sarebbe bastato anche meno, visto che la nostra è una cucina a base di pesce ed una buona selezione di vini bianchi sarebbe anche potuta bastare.


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Tiziano e Celestino Ferrari che la terrazza con vista sul lago. Un locale di livello, come conferma anche la segnalazione nella guida Michelin. I fratelli Tiziano e Celestino Ferrari avevano rispettivamente 21 e 23 anni quando sono partiti da Fino del Monte e hanno iniziato questa avventura nel 1977, giovani ma con le idee molto chiare. «Il locale era un bar quando lo abbiamo rilevato – racconta Tiziano che è lo chef – poi siamo cresciuti piano piano sino a raggiungere la struttura attuale e a consolidare la nostra presenza come punto di riferimento per la cucina di mare. Abbiamo puntato sin dall’inizio sul pesce». Pesce di mare in riva ad un lago, forse un controsenso? «Nel cuore e nella testa ho il mare perciò il pesce è indiscutibile protagonista della mia cucina – dice senza esiMa, come si suol dire, al cuor non si comanda ed è così che siamo arrivati a numeri e a nomi decisamente importanti». La passione per il vino Celestino l’ha coltivata anche attraverso costanti aggiornamenti dopo aver frequentato i tre corsi annuali organizzati dall’Ais, l’Associazione Italiana Sommeliers. «La presenza delle etichette di tutti i grandi vini rossi italiani e francesi è frutto soprattutto dei miei interessi – confessa -. Per molti dei grandi bianchi e dei grandi rossi possiamo proporre una selezione che spazia a ritroso nel tempo per le dieci annate indicate come migliori. È notevole nella nostra cantina anche la presenza della bollicine con diverse marche di champagne ed i produttori nazionali più importanti. Sì, con un certo orgoglio posso affermare tranquillamente che i grandi classici soprattutto piemontesi e toscani ci sono tutti, con qualche presenza anche di eccellenze delle altre regioni». E per la serie che il Pampero non lascia mancare nulla, un bello spazio lo hanno anche i distillati. «Sono per il piacere del dopo tavola – suggella Celestino –. Abbiamo gli whisky più pregiati di diversa provenienza e poi rum, cognac e Bas Armagnac. Ma non ci facciamo prendere da manie esterofile: abbiamo infatti una buona serie di grappe italiane».

tazione -. L’ho scelto perché credo in una cucina fatta al momento, con tempi di cottura ridotti, ripulita dal superfluo e con il meno possibile di grassi. Una cucina naturale che valorizzi la qualità della materia prima». “Poco ma pensato” è il motto che sembra suggerire il menù del Pampero, che in una pagina condensa le proposte della cucina, riservando comunque per ogni portata almeno due voci ai prodotti della terra, con piatti che, tra l’altro, suonano più che stimolanti, come i tortelli ricotta e paruch di montagna o il rognoncino di vitello con crostini di polenta e senape. Sei antipasti, cinque primi e cinque secondi costituiscono invece l’orizzonte nel quale spaziare alla ricerca del piatto di pesce più gradito, magari lasciandosi consigliare da Celestino Ferrari. Fin dalla descrizione emerge la costante ricerca e la cifra di una cucina in evoluzione. Un buon modo per apprezzarla può essere il menù degustazione di pesce, proposto a 63 euro a persona, dolce, caffè e vino compresi. Tartar di ricciola, filetto di tonno rosso con agretto di lampone e salmone marinato agli agrumi, trilogia di mare in cotture diverse quali antipasti. Risotto al basilico, granciporro e zucchine croccanti come primo seguito da boccon di pescatrice su battuta di funghi porcini e vaniglia, per dessert pesche caramellate all’amaretto. Il Pampero aderisce anche all’iniziativa trentacinqueuro.it con un interessante menù guidato al prezzo, come vuole il circuito, di 35 euro per un minimo di due persone. E non mancano serate speciali e a tema. «Mi aggiorno continuamente confrontandomi anche con i colleghi – conclude Tiziano Ferrari – e definisco la mia cucina classica con innovazione ma soprattutto grande attenzione alla qualità degli ingredienti. Del lago? Apprezzo in modo forse non del tutto consueto quello che mi offre: la selvaggina e i funghi quando ci sono. Cucino per passione, per trasmettere emozioni». Nel 1999 i fratelli Ferrari hanno coronato un altro dei loro sogni tornando a Fino del Monte, all’Hotel Ristorante Garden dove opera personale di piena fiducia sotto la loro diretta supervisione.

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NEWS

Val Brembana, dal rilancio di mele e mais nascono due nuovi dolci S

i chiamano “Nostrana” e “Brembana” e sono due nuovi dolci che celebrano le coltivazioni della Valle Brambana, rilanciate in un’ottica di recupero del territorio e dell’economia montana: le mele dell’Associazione

frutticoltori e il Mais Nostrano Orobico, antico seme recuperato a Lenna e ora adottato da una serie di piccoli coltivatori. Sono state presentate in anteprima all’Expo in una giornata al Cluster Cereali e Tuberi dedicata alle biodiversità con la regia della Comunità del Mais Spinato di Gandino, che del Cluster è partner scientifico. La “Nostrana” è una torta creata da Andrea Midali, titolare a Piazza Brembana della gastronomia “Pasticci e Capricci”. Bassa e dal colore scuro, nella preparazione richiama l’antica “Scarpascia” delle valli, arricchita dal gusto della mela Topaz e, in futuro, della varietà tipica della Valle Brembana, cui l’Associazione dei frutticoltori sta lavorando. Francesco Zurolo, titolare a San Pellegrino di “Dolce & Salato” e docente all’Istituto Alberghiero della cittadina, è invece l’autore della “Brembana”, una torta con mele in diverse consistenze, cotta in una crosta di pasta al mais.

il concorso

Villa Sparkling Menu, vince il ristorante “Aqua Crua” L’

Aqua cotta di Giuliano Baldessari, del ristorante Aqua Crua di Barbarano Vicentino, in abbinamento al Villa Franciacorta Cuvette Brut 2007, ha vinto l’undicesima edizione del concorso che premia la creatività in cucina È questo l’esito del viaggio nei sapori italiani che l’azienda Villa Franciacorta ha proposto ospitando la finale dello Sparkling Menu, il concorso che da undici edizioni premia l’estro della cucina in abbinamento all’eleganza e alla freschezza del millesimo simbolo del brand franciacortino: Villa Cuvette Brut. Una finale che ha visto protagonisti cinque chef: Giuliano Baldessari, appunto, Carmelo Sciarabba (Castello di Casiglio), Alberto Riboldi (Castello Malvezzi), Luca Bellanca (ristorante Metamorphosis) e Teo Farnetich (ristorante San Rocco). I piatti che si sono contesi la vitto-

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ria, votati da una giuria composta da oltre settanta giornalisti, sommelier e opinion leader, sono stati l’Aqua cotta e la pancetta di maiale senese con variazione di patate e profumo di nocciola di Luca Bellanca (Metamorphosis). La differenza di punteggio tra questi due piatti è stata minima ma il primo ha conquistato definitivamente la giuria per inventiva e fantasia. Un piatto virtuosistico, goloso e leggero, che è in grado di esaltare al meglio il variopinto acquarello di sensazioni di Villa Franciacorta Cuvette Brut 2007, nel cui profumo si ritrova la dolcezza dell’estate che con armonia sposa i caratteri più introversi dell’autunno. «Cinque grandi chef si sono sfidati con cavalleria, aiutandosi vicendevolmente nei vari passaggi delle singole preparazioni - sottolinea Roberta Bianchi di Villa -. Onore alla professionalità che ha saputo sopperire

alle inevitabili difficoltà dell’operare fuori dalla propria “culla” dimostrando così quanto l’amore, la passione, la voglia di mettersi in gioco e sperimentare, ma ancora di più l’esperienza, abbiano dato origine a 5 preparazioni di altissima qualità, delle vere eccellenze».


ottobre 2015 Il progetto Veg+ di Ascom e Lav

Ristoranti, torna il percorso per la certificazione vegana

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opo la positiva esperienza del primo circuito bergamasco di ristoranti con proposte vegane, sviluppato nel biennio 2014-15, Ascom e Lav, la Lega Antivivisezione, riaprono le operazioni per l’assegnazione della certificazione Veg + 2016. Il percorso sostiene quei ristoranti che vogliono introdurre preparazioni vegane - che non prevedono cioè l’utilizzo di materie prime di origine animale -, affiancandole alla loro tradizionale offerta gastronomica. Per aderire al circuito è necessario partecipare ad uno specifico corso di formazione, predisporre un menù ed offrirlo a condizioni stabilite. Ciò che rappresenta un elemento di forte efficacia verso il segmento dei vegani, in forte e continua crescita in Italia, è l’attenersi alla filosofia e alle tecniche di preparazione di questo tipo di cucina. Per questo il corso di formazione “certificarsi Veg più” è organizzato ai massimi

livelli e prevede quattro incontri (il 28 ottobre e il 2, 16 e 23 novembre) di tre ore ciascuno all’Accademia del Gusto di Osio Sotto con il docente Sauro Ricci, chef di partita del Joia di Milano, tempio della cucina naturale. Le lezioni daranno indicazioni su come preparare un menù equilibrato, sui principi della scelta vegana e le aspettative dei clienti, sulla realizzazione delle ricette e la pasticceria. L’adesione al circuito è gratuita, mentre il corso di formazione è finanziato dal bando formazione della Camera di Commercio di Bergamo. Agli interessati basta telefonare all’Ascom (tel. 035 4120111) o inviare una mail a info@ ascombg.it: saranno contattati da Lav per una illustrazione del progetto. Per i ristoranti già aderenti è previsto un solo incontro di aggiornamento, ancora da definire.

Grumello del Monte, un fine settimana a tutto cioccolato Gli amanti del cioccolato e tutti coloro che non si accontentano di una semplice tavoletta possono trovare l’evento che fa per loro a Grumello del Monte, dove nel fine settimana del 14 e 15 novembre c’è ChocoLab, manifestazione dedicata al cioccolato in tutte le sue forme, rivolta a grandi e piccini. L’appuntamento è al palafeste, in via Kennedy 70, per sperimentare degustazioni di diversi tipi di cioccolato con una gradazione crescente, laboratori ed intrattenimenti e assistere a dimostrazioni di modellazione del cioccolato e perfino di massaggi al cioccolato. Preciso obiettivo della rassegna è coinvolgere tutte le fasce d’età proponendo attività su misura, dai laboratori interattivi per i gruppi scolastici alle iniziative per i ragazzi, alle degustazioni per gli adulti. ChocoLab è a cura della pro loco di Grumello del Monte con il patrocinio del Comune, l’organizzazione è stata affidata a 3MENDI Events. Per il programma si può consultare la pagina Facebook CochoLab.

Cremona, la Festa del Torrone raddoppia Nell’anno di Expo la Festa del Torrone di Cremona raddoppia. I consueti 9 giorni di manifestazione, che andranno dal 21 al 29 novembre, verranno anticipati il 24 e 25 ottobre da un’anteprima che permette di legare l’evento all’esposizione milanese, ancora in corso. La manifestazione riunirà in piazza espositori di torrone provenienti da tutta Italia e dall’estero, ma anche di cioccolato e dolciumi. Accanto alle loro proposte tante occasioni per conoscere la città e fare esperienze insolite. L’appuntamento clou è la rievocazione del matrimonio tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, per il quale la storia vuole si stato preparato per la prima volta il torrone, dolce che è diventato il simbolo della città. Il fastoso corteo sfilerà eccezionalmente dall’Expo nella mattinata del 25 ottobre, mentre nel pomeriggio percorrerà le vie della città fino alla piazza del Comune. www.festadeltorronecremona.it

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Il locale

via Montegrappa, 57 Boltiere tel. 035 881406

“Al Cantinone”, il regno del pesce fresco

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social network, reti pervasive e dibattute dell’era contemporanea, la promozione l’hanno già sancita. Tanto da far emergere del “Cantinone” il ritratto nitido di un locale ben inserito nell’affollato e competitivo mercato della ristorazione. Basta del resto scorrere le recensioni su Tripadvisor, quasi tutte tra il molto buono e l’eccellente, e i commenti positivi sulla pagina Facebook (oltre mille i “like”) per avere un’dea del locale di Boltiere. Il merito? È di una famiglia, quella dei Lorusso, che della ristorazione ha fatto una passione. A partire da Giancarlo, 61 anni, brindisino di origine, sin da piccolo col pallino dei fornelli, “contaminato” dal papà pasticciere e dal fratello cuoco. Un autodidatta - come si definisce che ha “rubato” il mestiere in famiglia coltivando il sogno di aprire un ristorante tutto suo. Il desiderio l’ha accompagnato per anni, dalla gavetta in Puglia alle esperienze in vari locali, soprattutto nel Milanese, e si è concretizzato nel ‘99, quando, insieme alla moglie Nadia (scomparsa 7 anni fa), ha rilevato la “Trattoria Liliana” a Boltiere. Per Giancarlo è la scommessa della vita. Cambia insegna al locale e sceglie “Al Cantinone”, il nome del ristorante dove ha mosso i primi passi. Con il supporto della moglie - che si occupa dell’accoglienza e della gestione della sala - punta soprattutto sul pesce, lui uomo di mare, e l’esperienza gli suggerisce le carte

Da dicembre il ristorante di Boltiere è in una nuova sede, più elegante e accogliente, tappa obbligata per chi ama la cucina di mare

Giancarlo Lorusso con il figlio Michele da giocare. «Genuinità e qualità - spiega -, ovvero materie prime freschissime e trattate in modo da esaltarne le caratteristiche peculiari». La filosofia viene apprezzata dalla clientela, che cresce negli anni e segue Giancarlo anche nel nuovo locale, inaugurato nel dicembre scorso, sempre in via Montegrappa, a poche centinaia di metri dalla vecchia sede. Location che si caratterizza per lo stile minimal e per le quattro sale capaci di ospitare una settantina di coperti (40 quelli all’esterno nella bella stagione).


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Ad Astino

Bergamo “capitale dei formaggi” li mette in mostra come opere d’arte

© Matteo Zanga

È una svolta. Cambiano la struttura e lo stile - basi per un ulteriore salto di qualità -, ma non la linea, basata sempre sul pesce di mare fresco che Giancarlo seleziona al meglio grazie a una rete di contatti collaudata e consolidata. In cucina si destreggia - con il supporto di due aiuti nei momenti più caldi - tra il piatto più richiesto dai clienti, le crudité di mare, e quelli da lui consigliati, come i tagliolini all’astice e l’aragosta alla Catalana. Proposte che arricchiscono una lista che contempla piatti classici come l’impepata di cozze, il ricco antipasto con tris di carpacci, ostriche, capasanta e polipo, lo spaghetto alle vongole, i paccheri con la gallinella, i ravioli ai crostacei e i tagliolini allo scoglio (tutte le paste, come pure i dolci, sono fatti in casa) o, ancora, la grigliata mista di pesce e i gamberoni spadellati al Calvados. Su richiesta e prenotazione le zuppe di pesce e piatti a base king crab. Non manca la carne, limitata tuttavia a poche proposte con tagli classici come il filetto e la tagliata. In sala la regia è nelle mani sicure del figlio Michele, 31 anni, supportato da due addetti nei fine settimana. A lui è affidata anche la carta dei vini, in tutto 25 etichette, soprattutto bianchi di provenienza italiana, con ricarichi corretti. Per un pasto completo si spendono in media 45/55 euro, vini esclusi, un rapporto qualità/prezzo più che buono. Alla domanda secca «Perché scegliere Al Cantinone?», la risposta di Giancarlo è senza tentennamenti: «Per il piacere di consumare del buon pesce fresco come se foste a casa vostra».

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l progetto Forme, fuori Expo dedicato a quell’unicum di Dop (nove) e altre eccellenze casearie che fanno di Bergamo un’autentica capitale dei formaggi, si conclude con un ampio evento all’ex monastero di Astino che ha al centro una singolare mostra. Si chiama “Formae – Bonum, pulchrum, verum” e fa assurgere le nostre tipicità (le denominazioni Taleggio, Salva Cremasco, Quartirolo, Grana Padano, Gorgonzola, Bitto, Provolone Valpadana, Formai de Mut e Strachitunt e i “Principi delle Orobie” Bitto Storico, Branzi Ftb, Agrì di Valtorta, Stracchino, formaggi di Capra orobica) al ruolo di opere d’arte, inserite in teche e in dialogo con altrettanti capolavori internazionali dell’arte contemporanea, già protagonisti nei principali musei del mondo, da New York a Venezia. Oltre l’esposizione, si prosegue con un percorso sensoriale dove il visitatore è portato a conoscere il mondo dei formaggi partendo dagli elementi fondamentali della natura, la terra, il fieno, il latte. Un’esperienza che coinvolge vista, tatto, olfatto, udito (i rumori dell’alpeggio che dialogano con la musica) e solo alla fine il sapore, con la degustazione dei formaggi orobici. La rassegna è voluta dall’associazione “San Matteo – Le Tre Signorie” di Branzi, dalla Camera di Commercio di Bergamo e da Regione Lombardia. È in calendario fino al 31 ottobre e si completa con iniziative gastronomiche (cene, tra cui quella con ospite Gualtiero Marchesi) ma anche artistiche, musicali, poetiche, filosofiche, con incontri, corsi per assaggiatori ed educational per le scuole. www.progettoforme.eu

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Tradizioni di Leonardo Bloch

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Folade e casonsei, viaggio nella storia con tappa in Medio oriente ishta wa calsones: vale a dire, traducendo con esiti sorprendentemente letterali dall’ebraico al vernacolo, folade e casonsei. Verrebbe da pensare ai cavalli di battaglia di una trattoria bergamasca a Gerusalemme. Ma Claudia Roden, magistrale scrittrice di gastronomia giudaica e mediorientale, ragguaglia che si tratta invece di una pietanza in voga presso l’enclave di fede mosaica della città siriana di Aleppo. Nello stesso piatto si servono ravioli al formaggio, assai simili ai nostri scarpinòcc, frammisti a delle fettuccine in un abbinamento che, al gusto odierno, suona piuttosto eccentrico. La Roden azzarda che la singolare ricetta possa essere giunta nel vicino oriente assieme ai fuggiaschi della comunità sefardita partenopea dopo la cacciata degli ebrei dal Regno di Napoli del 1533. A chi scrive sovviene piuttosto la folgorazione dei cento calderoni fumanti pieni di casoncelli, maccheroni e folade racchiusi nel Baldus di Teofilo Folengo. L’impareggiabile cantore maccheronico del rinascimento padano pare suggerire che anche dalle nostre parti, cinque secoli or sono, fosse invalso l’uso di cucinare e servire, assieme ai tortelli, altri formati di pasta. Questa prassi mostra peraltro intrinseca coerenza con l’imperativa parsimonia dei tempi andati: dalla preparazione dei ravioli finisce inevitabilmente per avanzare un po’ di sfoglia, per propria natura rapidamente deperibile, ed in passato sarebbe

stato del tutto impensabile non prevederne l’immediato riutilizzo. L’inciso folenghiano induce dunque a supporre che la pietanza possa essere approdata in Siria facendo vela forse da Venezia, che parimenti albergava una popolosa enclave giudaica, piuttosto che dall’Italia centromeridionale. In fin dei conti, nella tradizione gastronomica napoletana la pasta ripiena come la si intende oggi - ovverosia da cuocersi in mezzo umido non ha mai conosciuto grandi fortune, ne’ in epoche recenti, né tantomeno nel XVI secolo. La decifrazione dell’appellativo assegnato alla ricetta sefardita rivela come nessuno dei due termini che lo compongono risulti di irrefutabili origini ebraiche. Rishta è fedele impronta del calco persiano reshteh. E del resto negli idiomi giudaici anche altre voci abitualmente utilizzate per designare la pasta alimentare - lokshen ed itriyot - evidenziano stretti legami con antiche radici farsiaramaiche - rispettivamente lakhshah ed itriya. Questo fil rouge lessicologico dà risalto ad uno dei principali assi di propagazione di vermicelli e fidelini nel bacino mediterraneo, lungo il quale ha assunto cruciale rilievo il ruolo intermediario svolto dalle popolazioni di ceppo semitico. Di probabili origini persiane, già in età antica la pasta elaborata a partire dalla farina di grano si era infatti conquistata un posto di elevato peso nella cucina


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d’Israele. Se ne trova menzione nel Talmud di Gerusalemme del IV/V secolo, che lascia intendere si trattasse di un alimento diffuso presso ogni focolare. Ad onor del vero, anche nella gastronomia della Roma imperiale facevano comparsa alcune preparazioni con caratteristiche tutt’altro che dissimili. Ha in particolare spicco quel laganum che vantava stretti vincoli di parentela con il laganon ellenico - a propria volta possibile bottino culinario delle scorribande alessandrine nell’impero achemenide. Consta però che greci e latini fossero per lo più inclini a friggere o infornare la loro sfoglia, mentre in Palestina ed in Persia si usava cuocerla in acqua bollente, esattamente come lo si fa oggi. Se non di quello di inventori della pasta, è dunque incontrovertibile che gli ebrei possano almeno fregiarsi del titolo di mangiamaccheroni con sette secoli di anticipo sui siciliani - ed addirittura una dozzina sui napoletani. Quanto ai calsones, non v’è dubbio che il terreno storico-lessicale in cui questi affondano le proprie radici si collochi ben più ad occidente. Diverse fonti riferiscono del calzone in area pugliese-campana sin dal basso medioevo. Sembra che in origine si trattasse di un panzarotto composto da un boccone di salsiccia avviluppato in una sfoglia di pasta di pane e quindi fritto. Chi ha letto delle antiche vicende del casoncello sul numero di AdG dello scorso maggio, forse ricorda come una vivanda del tutto speculare - l’artibotulo menzionato da Castello Castelli - fosse in voga anche dalle nostre parti nel XIV secolo, accreditando l’assunto di remote ascendenze federiciane per il raviolo bergamasco. Parrebbe pertanto che, anche nella diatriba sulla genealogia dei rishta wa calsones, la partita debba considerarsi definitivamente risolta a favore dei partenopei. In realtà la tesi delle origini veneto-lombarde non ne esce del tutto affossata. Già nel XII secolo è infatti documentata nella Serenissima la preparazione di tortelli ripieni di marzapane denominati calisoni, scissi tanto nella morfologia quanto nell’etimo - in nessun modo legato ad un indumento - dalla quasi omonima pietanza meridionale. Con l’incedere del tempo, l’arcaico raviolo ha finito per evolversi in un dolcetto alla mandorla - ne sopravvive tutt’oggi una celebre declinazione occitana nei calissons di Aixen-Provence. Ma con certezza ne sono germinate anche propagazioni a farcia salata, quali i cjalsons di Carnia o i kalitsounia dell’isola greca di Creta - storico avamposto veneziano nel Mediterraneo orientale. Non sorprenderebbe affatto se, giunta dalle terre di San Marco all’Egeo, la pietanza possa essersi successivamente spinta sino in Siria. Oggi Aleppo è ridotta ad un cumulo di macerie. Anche il suo leggendario suq - forse il più pittoresco dell’intero Medio Oriente - è andato irrimediabilmente distrutto. Chissà poi che ne è stato della minuscola comunità israelitica che vi risiedeva, ridotta già prima dello scoppio della guerra civile ad un pugno di ultraottuagenari. In un così fosco scenario, l’ormai chimerica immagine dei vecchietti dell’enclave sefardita, chini alla moda dei nostri avi sulle scodelle colme di folade e casoncelli, non può che apparire ancora più struggente.

Cresciuto del 6,5% l’export nel primo semestre

Vino, all’estero si beve sempre più italiano

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ll’estero bevono sempre più volentieri il vino italiano. I dati di Assoenologi sul primo semestre 2015 certificano la crescita dell’export: +6,5% in valore rispetto allo stesso periodo del 2014, un mercato da 2.542 milioni di euro. Diminuisce il volume dell’esportato (-1,67%), compensato dall’aumento del valore medio unitario (vmu) di venti centesimi al litro (da 2,40 a 2,60 euro). Non tutte le regioni italiane sono ugualmente virtuose. Il Veneto è ancora sul podio con un valore di 855,4 milioni di euro e una crescita del +11%. Medaglia d’argento per il Piemonte con 436,3 milioni e un trend stabile -0,6%. Ma la vera reginetta dell’export continua a essere la Toscana: il valore export è cresciuto del 25,8%: merito dei vini rossi Dop toscani (270 milioni di euro), più ricercati di quelli bianchi Dop (10,5 milioni). Momenti negativi per le cantine di Lombardia (-7,5%), Emilia Romagna (-14,9%) e Marche (-10,7%). Non sono gli europei i principali clienti. Il mercato cresce veloce soprattutto in Asia centrale (+17%) e Nord America (17%). L’export verso i Paesi terzi corre quattro volte più veloce che nell’Unione Europea, +10,8% contro il +2,6%. Il differenziale è di appena 36 milioni di euro tra le due aree, dovuto al diverso vmu: in Ue questo valore è di 1,96 euro/l, negli altri Paesi è di 3,90 euro/l. La Svizzera registra uno dei vmu più alti: 6 euro/litro. Assoenologi conclude il report con un commento ottimista: «Il primo semestre dell’anno si chiude in maniera brillante per il vino italiano, grazie alla capacità delle imprese che hanno saputo cogliere le opportunità della domanda internazionale. Si delineano nuovi scenari per l’offerta enologica italiana in un’evoluzione continua che ridisegna il ruolo crescente di alcune aree commerciali nel panorama globale. L’effetto combinato del successo internazionale di Expo 2015 e della fase espansiva delle principali economie faciliterà l’espansione della presenza del vino italiano nei mercati internazionali».

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Pagine di

Gola

di Roberta Martinelli

Dal 23 al 25 ottobre a Montecatini Terme si terrà la terza edizione del festival “Food&Book, la cultura del cibo, il cibo nella cultura”. La rassegna ospiterà noti scrittori che raccontano il cibo e cuochi stellati che raccolgono le loro ricette in libri di successo. Nella nostra provincia, a Scanzorosciate, fino al 30 ottobre, viene proposta invece la seconda edizione di “Ottobre letterario”, rassegna di autori e libri legati al vino che vedrà ospiti firme che hanno saputo unire alla conoscenza del mondo vitivinicolo la capacità di scriverne sia nella forma del saggio che in quella del romanzo. Ci sembra la giusta occasione per inaugurare questa nuova rubrica nella quale consiglieremo libri, saggi e romanzi che ci sembrano interessanti, curiosi o belle idee regalo. Perché la cultura del cibo si fa anche così. In questo numero parliamo di tappe goderecce su e giù per lo Stivale, cibi strani, salute in tavola e pure di alici.

Racconti e incontri di cucina Roberto Perrone, gourmet giornalista del Corriere della Sera con la valigia sempre in mano, raccoglie le centinaia di scorribande raccontate negli anni e aggiornate. Un’Italia gastronomica fatta di volti, storie, passioni che intrecciano la tradizione culinaria. In più segnala le mete più golose della Penisola, oltre 300. Una guida da consultare per regalarsi una sosta golosa mentre si viaggia ma anche da leggere con passione. Roberto Perrone

Manuale del viaggiatore goloso 544 pagine - Mondadori 2015

Viaggio tra i cibi più assurdi del mondo La geofagia può essere davvero nutriente? È più “strano” mangiare la carne di cavallo o quella di coniglio? E così via, passando per le immancabili frattaglie ma anche per florifagia e frugivorismo. Oltre 300 pagine di aneddoti e riflessioni in cui si passa da una tavola stellata a uno spuntino a base di formiche. Carlo Spinelli

Bistecche di formica e altre storie gastronomiche 352 pagine - Baldini & Castoldi

Il prodotto Non è solo una piacevole guida per imparare a conoscere, degustare e cucinare l’acciuga in modo creativo, con il corredo di immagini evocative e inedite. È anche la storia di una famiglia e di un mondo straordinario, fatto anche di piccoli gesti, che rendono grande la cultura gastronomica italiana nel mondo. Il libro è completato da una ricca appendice di ricette del patrimonio gastronomico italiano che valorizzano il gusto e la versatilità dell’acciuga. Irene Rizzoli

Alice o Acciuga? 189 pagine - Mondadori Electa

Cucina e salute Sessanta ricette facili e veloci da realizzare che uniscono il benessere del corpo con il piacere del palato, con proposte gastronomiche gustose ed efficaci, apprezzabili anche da chi non è affetto da alcuna patologia. Renato Bernardi

Altra Cucina - La salute a tavola e il piacere di ricette facili dalla Dieta Mediterranea 184 pagine - d’Amore&Italia

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