Affari di gola ottobre 2014

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Supplemento al n. 37 de “La Rassegna� del 16 ottobre 2014 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. - via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60

ottobre 2014

da trent'anni al servizio della ristorazione



OTTOBRE 2014

SOMMARIO www.affaridigola.it

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PENNA ALL’ARRABBIATA

In co p Mich ertina An ele e Sergi tonella G iu o Pez zotta pponi, della Ros

"Report", non tutte le pizze riescono col buco

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L'APPROFONDIMENTO L'hamburger? Una nuova delizia per gourmet

11 L'ANNIVERSARIO

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Accademia del Gusto, da 10 anni la formazione che punta in alto

16 TRADIZIONI Vino, ma quanto si beveva nei secoli scorsi!

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20 L'AZIENDA Ros, da trent’anni innovazione e qualità al servizio della ristorazione Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@ larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

25 L'INIZIATIVA "Bottega degli Antichi Sapori", la sfida di quattro allevatori

28 FACECOOK Quando l’estero è un'avventura per due

30 TENDENZE Capre, si fa largo la dimensione “industriale”

32 LA NOVITÀ Vino, anche il tappo è una scelta strategica

BETTI è azienda leader nel settore della Distribuzione Beverage. BETTI è azienda all’avanguardia che rende più semplice il lavoro nel suo bar, ristorante o locale pubblico. Seleziona costantemente prodotti di alta qualità. Conserva i prodotti in un magazzino coibentato a temperatura ed umidità controllate. Fornisce e manutiene gli impianti di spillatura. È certificata UNI EN ISO 9001:2008

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"Report", non tutte le pizze riescono col buco di Pier Carlo Capozzi

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i starete chiedendo, amiche e amici golosoni, cosa diavolo mai ci faccia la foto di una pizza bucata in questa nobilissima pagina. Scusate, ma non possiamo rivelarvi l’arcano in partenza: sarebbe come se Hercules Poirot svelasse in anticipo l’assassino e poi ci ricamasse sopra tutta la storia. Impensabile. Quindi, un attimo di pazienza e arriverà anche per voi la risposta al “Buco con la pizza intorno”. Pizza? Abbiamo scritto pizza? Da un paio di settimane non si parla d’altro, in effetti. Da quando quell’eccellenza coraggiosa del giornalismo italiano che si chiama Milena Gabanelli, nella sua prima puntata della nuova stagione di Report, su Rai 3, ha fatto sapere (a chi voleva girare lo sguardo altrove, in verità) tutte le nefandezze che ammorbano il mondo dei pizzaioli di poco scrupolo ed inesistente professionalità, con i rischi del caso per il consumatore finale. Storie incredibili di farine che s’incendiano nel forno, bruciando così il fondo delle nostre pizze con conseguenze visive orribili (le chiazze nere più o meno larghe) e tragiche ripercussioni per la salute (per la presenza di agenti cancerogeni). Per non parlare dei forni che qualche addetto ha definito “autopulenti”. Ma quando mai? E del fumo nero che si addensa sui nostri dischi di pasta, frutto della combustione di truciolati non precisamente adatti alla bisogna. Mentre sentivo descrivere cosa fanno ardere alcuni pizzaioli nel loro forno, mi veniva alla mente, ricordo soave e lontano, la più buona Paella mai gustata, alle porte di Gandìa, regione Valenciana, da uno straordinario ristoratore di origine basca. Patxi, sotto la bocca del forno, teneva accatastata in bell’ordine esclusivamente legna di arancio: questa conferiva alla Paella un sapore che altro legname non avrebbe potuto trasmettere. Per non parlare del pomodoro e della mozzarella adoperati, noi che in Italia abbiamo il vanto sia per il primo che per la seconda. Invece ne facciamo allegro esporto, dando in cambio ospitalità a latte tedesco e pummarola cinese. Il giro, poi, attraverso le pizzerie napoletane, anche tra quelle che dovrebbero seguire un disciplinare ben preciso, è scoraggiante: nonostante le indicazioni, non si usa olio di oliva, ma si preferisce quello di semi di girasole, “perché più leggero”. Dovrebbero dire “perché costa di meno”, ma non gli riesce. Attenzione: Report è un programma d’assalto e, di conseguenza, non fa proprio i conti col bilancino tra gli intervistati. Risulta così che i poco professionali siano in maggioranza,

ma questo non deve far calare il tasso di attenzione. Fatta la tara, il rimanente è triste realtà. Seguendo (atterriti) il programma e sentendo che le farine più usate (zero e doppio zero) sono anche le meno digeribili, c’è subito venuto in mente Alan Sartirani, pizzaiolo lievitista e patron del Ristorante “La Bergamasca” di Osio Sotto, una delle insegne di prestigio nella nostra provincia, soprattutto per la passione che ci mette il suo titolare, anche maestro di corsi di lievitazione. Il suo commento, postato immediatamente anche sul sito della Rai, non ammette repliche: «Non basta fare il pizzaiolo come professione per essere professionista. E se tu non conosci altre farine oltre alla zero e doppio zero, vuol dire che sei ignorante. Nel senso stretto che ignora, non conosce. Ed è un peccato mortale. Dicono di essere pizzaioli da generazioni, ma se così fosse dovrebbero sapere che fino alla fine della seconda guerra mondiale c’erano solo farina da macinare a pietra e lievito madre». La vera tragedia, aggiungiamo noi, è che riusciamo a farci del male da soli anche nelle nostre eccellenze: se usiamo farina non adatta, pomodori non cresciuti sotto il nostro sole e mozzarelle di latte importato, beh, allora ci meritiamo davvero la catastrofe. Avanti di questo passo ci resteranno appena il sole e il mandolino. Ma, considerando il cambiamento atmosferico e la crisi dei mastri liutai, forse nemmeno quelli. A pochi giorni dalla terribile angoscia suscitata da quella puntata di Report, più per necessità contingente che per scelta, siamo entrati in una pizzeria brianzola, che gode tra l’altro di discrete recensioni on line. Dopo considerevole attesa, ecco la pizza che mi è stata servita con un’ostentata indifferenza. Il mio fraterno compagno di tavolo ha sùbito immortalato l’evento col suo cellulare. Rideva, il mascalzone, mentre fotografava la mia pizza “occhiuta”, anche perché la sua era priva del buso. Che, esperienza veneta insegna, può essere meglio del tacòn (rattoppo). La fame era tanta e la pizza, o meglio quello che c’era intorno alla falla, non era male. Considerando però l’esperienza nella sua globalità ci sentiremmo di consigliare ai (reticenti ma simpatici) gestori della pizzeria brianzola un cambio di attività. Potrebbero aprire una pasticceria. Specializzata in ciambelle.

piercapozzi@libero.it

PENNA ALL’ARRABBIATA

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L'APPROFONDIMENTO di Laura Bernardi Locatelli

L'hamburger? Una nuova delizia per gourmet Anche i più grandi chef e macellai l'hanno riscoperto e rivisitato, trasformandolo in una gustosa proposta. Cazzamali: «Il mio "Giotto" è frutto di un lavoro di 15 anni»

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a simbolo dell’imperialismo americano, attentatore della linea ed emblema dell’omologazione del gusto, l’hamburger si fa gourmet. Le guerre al fast-food e al cibo spazzatura non si conducono più con proteste e movimenti, ma si spostano sul piano del gusto con la scelta di materie prime eccellenti, sgomberato il campo da pregiudizi ormai datati. Gli chef stellati si divertono a interpretare il panino famoso in tutto il mondo mettendoci del loro: Massimiliano Alajmo ha fatto del suo Big Max un’icona, dedicando ai burger addirittura un contest all’Abc Montecchia, mentre Andrea Berton nel nuovo locale milanese Pisacco propone l’hamburger che porta il suo nome, con maionese, mix di insalatine e chips croccanti a fianco. I locali che si cimentano nell’interpretazione italiana dell’hamburger di qualità - cui Mc Donald’s risponde con edizioni limitate e prodotti Dop e Igp - continuano ad aprire in ogni città, segno del successo che sta dietro al medaglione di manzo conteso tra Amburgo e Stati Uniti, racchiuso in pane al latte impreziosito da semi di sesamo. Dalla scelta della carne alle salse, dai formaggi alla garniture, dal dibattito sull’opportunità di usare il cheddar per non tradire la tradizione yankee alla tentazione di optare per i grandi formaggi italici, la ricetta perfetta dell’hamburger è racchiusa come in ogni grande piatto in una formula che ognuno tiene per sé. Impossibile strappare qualche segreto, ad esempio, a Franco Cazzamali, leggendario macellaio di Romanengo. Il suo “Giotto”- vietato assolutamente anche solo pensare di chiamarlo hamburger - è frutto di un lavo-

ro di quindici anni per trovare la quadratura del cerchio e garantire la rotondità perfetta di gusto degna dell’artista. “La carne è italiana, piemontese, gli allevatori anche, i macellai pure - spiega Cazzamali -. Non posso accettare di dargli un nome americano. Dietro alla bontà racchiusa nel Giotto sta una selezione delle carni accurata, il giusto di sale e pepe ed un pizzico di segreti. L’unica aggiunta è un po’ di antiossidante - acido ascorbico per garantire la perfetta conservabilità in sottovuoto per quindici giorni”. Perché i Giotto per essere cerchi di carne sempre perfetti vengono confezionati uno ad uno: “L’importante - raccomanda Cazzamali - è rispettare i tempi di cottura: in padella rovente, senza aggiungere altro, richiedono due minuti esatti per lato”. Gli altri grandi della macelleria italiana hanno fatto un ulteriore passo, decidendo di servire i loro hamburger belli e pronti nei loro locali: Dario Cecchini è stato il primo ad aprire sopra la storica macelleria di Panzano in Chianti il Mac Dario; Sergio Motta a Bellinzago Lombardo, a pochi chilometri dall’attività a Inzago, serve l’hamburger di famiglia (“il nostro hamburger”) in versione maxi da 300 grammi. A Bergamo la voglia di hamburger impazza e non mancano nuovi indirizzi del gusto per gli appassionati del genere, dai piccoli locali d’asporto che rispettano l’anima “street” del panino più famoso al mondo ai bistrot dove assaporare ogni boccone, fino ai locali che hanno scelto di dedicare al mitico piatto a stelle e strisce un evento settimanale. Anche chi ha scelto la via vegana o chi è intollerante al glutine può contare su proposte su misura.

Il Big Max di Alajmo

Hamburger di fassona


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Gli indirizzi per gustarli al meglio

Al Carroponte, con "Carro" o "Micro" l’hamburger è sempre d'autore Nel nuovo enobistrot "Al Carroponte", inaugurato da Oscar Mazzoleni e Silvia Mazzoni in via De Amicis - che celebra nella scelta del nome e nella valorizzazione a colpi di design un’ex officina meccanica - l’hamburger gourmet rappresenta il biglietto da visita del locale. Un’architettura del gusto in miniatura: 16 -18 grammi di pane racchiudono un microburger di 25 grammi farcito con

crema di barbabietole, maionese e parmigiano o semplicemente pomodoro e insalata. Un originale benvenuto come amuse- bouche prima di cena o un finger food nell’ora dell’aperitivo, che condensa in versione lillipuziana lo studio e la ricerca del giovane chef Alan Foglieni,

con un curriculum che spazia dall’Anteprima alla Brughiera, dal Clandestino di Moreno Cedroni al Roberto Cavalli Caffè di Beirut. La proposta del business lunch include un Carroburger gourmet del giorno, con garniture che variano in base all’estro e alla stagione: dalla scamorza e melanzane grigliate allo stracchino e pomodoro, dal radicchio, grana e maionese senapata alla classica pancetta con insalata e maionese. E per una cena o uno spuntino fuori orario - il locale è aperto fino all’una di notte - l’hamburger rappresenta una delle scelte più gettonate. Dietro al successo sta la cura nella preparazione, dal pane al latte con semi di sesamo alle salse fatte in casa, dalla maionese di barbabietola all’emulsione di pomodoro fino alla versione mediterranea del ketchup con un pesto di pomodorini essiccati. L’hamburger parla italiano: la carne è di casa e buoi nostri, i formaggi pure, con grana padano e parmigiano che soppiantano il cheddar e stracchino e mozzarella pronti a dare freschezza e rotondità al gusto. L’idea è di ampliare la proposta con hamburger nobili di anatra e pesce, oltre ad inserire un panino a prova di vegetariano. E per chi ha più tempo da concedersi a tavola non c’è che l’imbarazzo della scelta, dai finger food

o piccole proposte (cinque assaggi a 10 euro), ai piatti freddi con Pata Negra ed altri eccezionali salumi e formaggi in enoteca, fino a quello vero e proprio del ristorante con piatti più elaborati, dall’anatra laccata a crostacei, molluschi ed altri piatti di mare. Dietro alla scelta dei vini - 450 etichette - ci sono gli anni di esperienza come maitre e sommelier di Oscar Mazzoleni; gli appassionati di cocktail e long drink possono contare su un barman raffinato come Felice Scala. via De Amicis 4 Bergamo tel. 035 2652180

Beach bar, oltre 10 proposte E c'è pure la "Sfida Stratos" È il locale di riferimento per gli appassionati di moto e celebra in ogni dettaglio il mito americano su due ruote: le birre si spinano direttamente da un motore bicilindrico Harley Davidson e solo da poco lo scooter ha soppiantato - ma solo per la mancanza della patente del nuovo “pony” - l’inconfondibile ruggito nelle vie della città per le consegne a domicilio. Nel menù non poteva mancare l’omaggio al piatto simbolo della cucina stelle a strisce, declinato ogni giorno in decine di ricette, che hanno

La Sfida Stratos

valso al locale l’ingresso nella top-ten delle hamburgherie lombarde. Ogni giorno la carta, anche d’asporto, propone oltre dieci burger dal classico al Jack con salsa al Tennessee whiskey, dal Krucco con crauti e senape al Nostrano con zola, salame e peperoncino. La scelta soddisfa anche i vegetariani con un hamburger a base di proteine di frumento (seitan), pomodoro, insalata e un velo di senape al miele, e anche chi ama il pesce: il Big Fish di merluzzo si sposa con salsa rosa, insalata e un po’

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L'APPROFONDIMENTO di pepe. Ogni giovedì il Beach Bar celebra il mitico panino con la Hamburger Night. La proposta si arricchisce di ricette in omaggio alla cucina di ogni angolo del mondo - dall’hamburger greco (con yogurt, cetriolo, aglio e insalata) a quello Mex con cipolla e fagioli piccanti - per poi omaggiare il territorio con un panino bergamasco: hamburger di coniglio, polenta, Bran-

Massimo Cantoni

zi e funghi trifolati. Non mancano proposte stagionali come il “Summer” con mozzarella di bufala, pomodoro, basilico, olio, sale e pepe o hamburger fuori di testa come il Mad con banane al forno, burro di arachidi e formaggio spalmabile. Il locale si è anche attrezzato per servire hamburger senza glutine. Chi vuole strafare può provare a cimentarsi in una maratona culinaria: dieci piani di hamburger da 150 grammi l’uno da finire in un’ora. Chi si aggiudica la “Sfida Stratos”, degna di Poldo di Braccio di Ferro, si guadagna la cena, oltre a qualche punto di colesterolo in più. Una curiosità: per volontà del patron Massimo Cantoni, purista dell’anima da strada dell’hamburger, è previsto un supplemento per chi chiede le posate. Perché l’hamburger, si sa, si mangia con le mani e chi lo fa con forchetta e coltello si perde di certo qualcosa.

via Palma il Vecchio 18/A Bergamo tel. 035 255238

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Rookie Burger, il panino fedele allo stile americano Marco Zanni e Luca De Stefano hanno unito le loro forze ed energie, insieme alle due lauree in economia, per diventare imprenditori dopo essersi sudati stage senza trovare poi sbocchi lavorativi. Dopo aver lavorato nella ristorazione all’estero, da Belfast a Londra, per sbarcare il lunario e imparare quell’inglese fluente richiesto dalle multinazionali, hanno deciso di aprire a due passi dall’università il “Rookie (slang che sta per “matricola”) Burger”, proprio di fronte alla biblioteca Tiraboschi. La proposta di panini realizzati con ingredienti selezionati, dal pane artigianale alla carne della macelleria di fiducia consegnata ogni giorno, si è rivelata vincente, dalla pausa pranzo fino a tarda sera. L’hamburger del Rookie - nella top ten di Tripadvisor - tiene fede alla ricetta a stelle strisce, innalzando solo la qualità degli ingredienti: in carta non mancano infatti il classico cheese-burger con cheddar e insalata iceberg, che raddoppia nella versione double - e l’intramontabile panino che aggiunge al formaggio una bella striscia di bacon e salsa bbq. In carta anche un panino vegano con lenticchie e spezie e di pollo con la classica cotoletta impanata e fritta al momento. Non mancano proposte stagionali, magari in occasione di eventi particolari: per i mondiali di calcio Rookie Burger le ha provate tutte per sostenere gli azzurri con un panino con cipolle caramellate di Tropea, parmigiano e grana e una salsa con pomodorini, basilico e olive. Il Rookie è specializzato nelle consegne a domicilio, con ceste studiate per mantenere a lungo la fragranza del panino appena fatto, e, tra breve, sarà possibile grazie ad un’applicazione pagare sottocasa anche con Pos. via San Bernardino 67/D Bergamo tel. 035 0601959

Dal "Toscano" al posto del bacon Il locale aperto dal 2011 in via Broseta e nato come pizzeria d’asporto, da quest’estate ha fatto dell’hamburger il piatto forte per pranzi e cene in-

formali e consegne a domicilio. Marco Sensi, “il toscano” di Follonica, ha deciso di puntare tutto sulla qualità della carne, allevata, macellata e selezionata in provincia di Grosseto da un’azienda agricola che garantisce consegne settimanali. Da non perdere l’hamburger di razza Chianina: 200 grammi cotti a puntino e pronti ad essere accompagnati con formaggi, salumi, verdure e salse a piace-


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All'Universo Vegano l'alternativa si chiama Giotto Parlare di hamburger vegano suona strano, ma chi ha bandito dalla propria dieta ogni ingrediente di origine animale può contare su una proposta ad hoc in via Sant’Alessandro. Universo Vegano, locale della catena Veg in franchising, aperto a febbraio da Alessandra Macetti, propone diverse versioni di burger vegani, ribattezzati Giotto, come fece per primo il più famoso macellaio d’Italia Franco Cazzamali. Ai vegani l’imbarazzo della scelta in carta, a partire dal Vegan Bio - un hamburger di lenticchie racchiuso in una focaccia multicereali e farcito con germogli di soia, “formaggio” veg spalmabile e salsa yogurt - o dal più classico hamburger di soia con ketchup, maionese veg e una fetta di “formaggio”. La proposta del “fast food” vegano include una scelta tra quattro “Giotto”: agli champignon, rustico ai cereali e legumi, con spinaci e tofu e, infine, con un mix di verdure

via Sant'Alessandro 13/A Bergamo tel. 035 0603561

c’è il Rigatino del Chianti re. In lista anche l’hamburger scozzese e quello americano, che saranno presto affiancati da quello di pollo e di pesce. Tra le farciture oltre al buon assortimento di formaggi - dalla stracciatella al brie - spiccano i salumi: lardo di Colonnata, finocchiona, porchetta toscana e rigatino del Chianti. La consegna a domicilio è gratuita e grazie ad una particolare confezione take away il rispetto della temperatura è garantito. via Broseta 81 Bergamo tel. 035 2652866

Marco Sensi

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NEWS

Presentato il marchio che garantirà la produzione valligiana. Il 18 e 19 ottobre la sagra a Piazza Brembana

Bollino di Tutela per la mela brembana

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o scorso primo ottobre, alla presentazione della quinta edizione della Sagra della mela, in programma il 18 e il 19 ottobre a Piazza Brembana, è stato apposto per la prima volta il bollino “Mela Valbrembana” su alcuni frutti raccolti nel campo scuola “Arcobaleno delle Mele” di Moio de’ Calvi. Il bollino diventerà una garanzia per i consumatori, un segno di territorialità non negoziabile che segnalerà la qualità e la genuinità delle mele della Val Brembana. La vistosa scelta cromatica mette in evidenza i colori della natura e quelli delle varietà di mela coltivate: Golden, Gala, Red Delicious, Renetta e Topaz. “Sono anche i colori della maschera di Arlecchino - sottolinea il vicepresidente dell’Associazione Frutticoltori e Agricoltori Valle Brembana, Pinuccio Gianati - che è biglietto da visita della Val Brembana e del territorio bergamasco, al punto da connotare logo e comunicazione di Turismo Bergamo”. A livello didattico, l’Afavb promuove attività specifiche presso il campo scuola “Arcobaleno delle Mele”, attivo dal 2012. E’ un luogo ideale per apprendere i segreti della frutticoltura e viene utilizzato dai soci per lezioni di aggiornamento e prove pratiche di potatura, dirado e trattamento.

L’attenzione si è allargata anche ai prodotti collaterali che, valorizzati dal marchio di qualità della Comunità Valle Brembana, possono offrire opportunità commerciali a più ampio raggio. La Sagra infatti, oltre a proporre le cinque qualità differenti di mele prodotte in Valle Brembana, offre una valorizzazione complessiva del territorio unendo l’aspetto gastronomico di vari prodotti, quali formaggi, dolci, salumi, birre, miele e castagne, all’aspetto turistico. Il tutto anche in previsione dell'Expo. Non è un caso che durante la Sagra saranno presentati ai ragazzi delle scuole e ai visitatori i rendering animati dei Padiglioni espostivi dell'Expo. Verranno proposti fra l’altro soggiorni convenzionati con la proposta “Luna di Mele” e itinerari alla scoperta delle bellezze culturali e naturalistiche del territorio. Verrà riproposto il Tour Gastronomico “I Sapori della Valle Brembana”, un itinerario a tema che nel parco comunale di Piazza Brembana offrirà l’opportunità di conoscere o riscoprire i prodotti d’eccellenza della gastronomia locale, oltre ai concorsi per le migliori torte e i migliori frutti, le dimostrazioni di Nordic Walking e tante altre sorprese. Il tutto all'insegna dello slogan "La Mela Valbrembana, il vero peccato… è non mangiarla". In occasione della conferenza stampa di lancio del marchio è stato presentato anche il sito www.sagramela.it che, nell’ambito del più complessivo portale www.afavb.com, propone il programma dettagliato e tutte le attività dei Frutticoltori brembani.


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L’ANNIVERSARIO

ACCADEMIA DEL GUSTO DA 10 ANNI la formazione che punta in alto Nel primo decennio di attività la scuola dell’Ascom ha portato a Bergamo grandi chef e maestri affermati del food and beverage e organizzato manifestazioni di livello internazionale. Vi raccontiamo questa cavalcata in dieci immagini, domande e testimonianze

L'

enogastronomia si stava facendo largo tra le attenzioni di consumatori e media quando l’Ascom di Bergamo, dieci anni fa, inaugurava ad Osio Sotto l’Accademia del Gusto, concretizzando il progetto fortemente voluto dal presidente Paolo Malvestiti e dal direttore Luigi Trigona di una struttura interamente dedicata alla formazione nei settori del food and beverage. Una scelta che, alla luce della forte accelerazione che hanno ricevuto le tematiche legate all’alimentazione e alla buona tavola, non può che dirsi lungimirante, pronta ad interpretare quell’evoluzione del gusto e delle conoscenze cui si è assistito in questo decennio. In ogni stagione formativa l’Accademia è impegnata su circa 160 proposte, tra quelle a catalogo, i percorsi per gli apprendisti ed i corsi aziendali. Significa 1.600 corsi e circa 20mila ore di lezione erogate nei suoi primi dieci anni di attività. La scuola è rivolta ai professionisti, a chi vuole costruirsi opportunità occupazionali e agli appassionati che amano coccolare se stessi e gli amici con piatti e prodotti gourmet. Gli argomenti spaziano dalla cucina - analizzata in tutte le possibili sfumature - alla

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pasticceria, dai lievitati al bar & wine. A caratterizzare l’insegnamento è la scelta di docenti specializzati, con riconosciute competenze professionali ma anche indispensabili capacità di comunicazione e relazione. Aule attrezzate e un approccio estremamente qualificato anche per i corsi per amatori completano il quadro. Questa impostazione ha portato, e porta, in Bergamasca i più grandi nomi della cucina italiana - anche con la formula del lavoro in brigata -, i maestri della pasticceria, gli esperti di ciascun settore. Ma accompagna anche gli operatori bergamaschi (e non solo, visto che il bacino di riferimento è la Lombardia) alla tavola degli chef stellati con le trasferte del Convivium di Stelle. Senza dimenticare le grandi manifestazioni come le selezioni del Bocuse d’Or o le iniziative per il pubblico di Gourmarte, in fiera. Per raccontare questi dieci anni abbiamo scelto tre punti di vista. Quello fotografico, con dieci scatti da ricordare; quello della responsabile di Ascom Formazione Daniela Nezosi, con “dieci domande dieci”; e quello dei corsisti, con dieci testimonianze tra professione e passione.

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L'ANNIVERSARIO

Dieci domande a Daniela Nezosi, responsabile di Ascom Formazione 5

«Un professionista non dovrebbe Dieci anni di Accademia del Gusto, dieci aggettivi per raccontarli

Il momento più esaltante di questo cammino

«Dieci anni costruttivi, impegnativi, arricchenti e coinvolgenti, piacevolmente intensi, qualche volta difficili ma in ogni caso soddisfacenti, professionali, avvincenti, esclusivi».

«Nel 2010 siamo stati scelti dalla Francia per gestire la Selezione italiana del Bocuse d’Or, il più prestigioso concorso di cucina al mondo. Abbiamo profuso energie ed entusiasmo creando un evento di altissimo livello, supportati dalle istituzioni e dai professionisti più rinomati del panorama enogastronomico e siamo stati riconosciuti in ambito internazionale come un’eccellenza nella gestione della selezione».

Se l’Accademia fosse un piatto, sarebbe... 6

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«Dovrebbe unire il gusto di un’ottima cucina tradizionale al sapore delle grandi scuole internazionali; possedere la magia di un lievitato perfetto e l’eccellenza di un dolce equilibrato; caratterizzarsi per il calore e l’avvolgenza di un caffé ben fatto e avere la cremosità di un cappuccino realizzato a regola d’arte; dovrebbe essere presentato con raffinatezza, avere un adeguato food cost, trasmettere l’empatia di chi lo ha preparato, essere servito con passione ed accompagnato da un buon vino. Non potrebbe dunque essere un unico piatto, ma certamente potrebbe essere un menù emozionante, di quelli che ci si ricorda a distanza di tempo».

E se fosse un tweet... «Per lavorare nel settore dell’enogastronomia ci vogliono tanta preparazione e passione. La passione la mettete voi, noi vi aiutiamo ad affinare la preparazione. #farelochefèimpegnativo #ilpasticcierenonimprovvisa #nonècosìfacilegestireunbar #ilvinoèunacosaseria».

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E quello più deludente «Purtroppo coincide con quello più entusiasmante. Abbiamo peccato di ingenuità nel credere che l’esperienza organizzativa, la professionalità, la meticolosità e la passione fossero elementi sufficienti per portare un italiano sul podio. La competizione vede concorrere Paesi che investono ingenti capitali e che selezionano chef dediti esclusivamente alla preparazione del concorso. Noi eravamo ancora lontani da questo traguardo e non abbiamo potuto fare altro che riconoscere sportivamente la superiorità degli altri concorrenti. Ma l’esperienza, durata in tutto tre anni, ha permesso all’Accademia di approdare a Lione, a Ginevra, a Bruxelles e ci ha lasciato un prezioso bagaglio culturale e di rapporti umani».

Il commento da ricordare «Nei nostri uffici in Accademia abbia-

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farsi mancare l’incontro con i grandi nomi» mo affisso all’interno di un armadietto una mail che ci ha inviato una nostra corsista, la signora Valeria, che ha frequentato un corso di pasticceria. Ci ha scritto: “Vi devo ringraziare per questa esperienza e per il vostro lavoro che è quello di creare mondi di conoscenza paralleli. Rientrando al lavoro lunedì mi sembrava di essere stata su un altro pianeta, e tutto ora sembra piccolo e stretto. Si sono allacciate amicizie nuove e, se è vero che ogni incontro è un dono, ognuno di noi è tornato a casa molto più ricco di prima”. È una di quelle testimonianze che ci danno lo stimolo a fare sempre meglio».

Tre buone ragioni perché un operatore dovrebbe investire nella formazione «Il primo motivo è che ciascuno di noi, in qualunque campo e qualunque sia la condizione lavorativa o sociale nella quale si trova, ha il diritto ed anche il dovere di evolvere il proprio sapere. Il secondo motivo è che la formazione in età adulta è un momento gratificante e socializzante, i nostri corsisti creano in Accademia una rete di contatti che non si esauriscono con il termine delle lezioni. Il terzo motivo è che oggi la formazione in Accademia, grazie anche ai contributi della Camera di Commercio di Bergamo e degli Enti Bilaterali, è poco costosa in termini di investimento economico ma ha molto valore in termini di feed back personale».

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L’esperienza che non deve mancare per la crescita professionale di un ristoratore/chef «Credo che ad uno chef non possa mancare il confronto con quelli che sono tradizionalmente giudicati i professionisti dell’alta ristorazione. In Accademia abbiamo visto all’opera i grandi nomi del Gotha enogastronomico. Spesso hanno affascinato e si sono dimostrati generosi nel trasmettere le loro esperienze, quasi sempre hanno convinto ed emozionato, ma è anche capitato, per fortuna raramente, che abbiano deluso le aspettative, soprattutto quando il circo mediatico aveva creato la leggenda intorno alla loro figura. Ma anche questo è stato formativo».

Una ricetta per la Bergamo del gusto «Il dialogo è sempre la ricetta perfetta, anche nel caso del gusto. Per questo suggerisco a chi è cliente di non aspettare di uscire dal locale per sfogare le proprie insoddisfazioni in anonimato su qualche social network. È inutile raddoppiare la frustrazione, che diventa, oltre che a quella di chi scrive, anche quella di chi legge instaurando così un circolo vizioso per nulla costruttivo. Meglio segnalare subito i problemi e magari rimanere sorpresi da come vengono risolti. Allo stesso modo il consiglio per i ristoratori, e in Accademia lo ripetiamo sempre, è quello di ricordarsi che il cliente va educato e va

Daniela Nezosi

ascoltato. Educato al gusto e ascoltato nelle critiche».

La sfida dell’Accademia nei prossimi dieci anni «Abbiamo statisticamente rilevato che chi ha frequentato un corso da noi solitamente torna in Accademia almeno una volta all’anno. In dieci anni siamo cresciuti insieme ai nostri corsisti, alle loro attività, abbiamo assistito e condiviso le loro vicende imprenditoriali. Tra dieci anni, insieme a numerosi nuovi corsisti, vorrei trovare in aula ancora le stesse persone che ci seguono dal 2004, significherebbe essere riusciti a mantenere alto il livello qualitativo della nostra offerta e a proporre novità interessanti con lo stesso entusiasmo di oggi».

NELLE FOTO

(1) La manifestazione “Il Sapore dei Sensi”, ottobre 2008. Da sinistra: Giorgio Giorilli, Roberto Carcangiu, Francesco Gotti, Daniela Nezosi, Sergio Mei e Antonino Cannavacciuolo; (2) lezione in Accademia con Giovanni Santini e (3) con Andrea Berton; (4) alcuni dei giurati della selezione italiana del Bocuse d’Or del 2010, da sinistra: Arrigoni, Perbellini, Iaccarino, Cerea, Vinciguerra, Berton, Bottura e Mei; (5) Daniela Nezosi e il presidente dell’Ascom Paolo Malvestiti alla finale del Bocuse d’Or; (6) i docenti dell’Accademia Casillo, Ferrari, Pina, Cortinovis e Coria con Alessandro Borghese alla cena di gala del Bocuse d’Or; (7) Convivium di Stelle in Costiera Amalfitana da Gennarino Esposito; (8) a Gourmarte la chef Francesca Marsetti con Oxana Bokta e (9) il dibattito tra Chicca Cerea e Alessandro Pipero; (10) il corso sull’alimentazione con il professor Franco Berrino dello Ieo di Milano

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Dieci corsisti si raccontano

L'ANNIVERSARIO «PRIMA DI APRIRE UN BAR HO SCELTO DI SAPERNE DI PIÙ» L’esperienza nel settore ce l’aveva già, ma quando ha deciso di aprire un bar tutto suo ha pensato che un po’ di formazione in più non guastava. E così Jessica Torri, 25 anni, da poco più di un anno alla guida di “Profumo di Caffè” a Chignolo d’Isola, ha seguito all’Accademia del Gusto i corsi di caffetteria, barman base e gestione del bar. «Il mestiere lo conoscevo – racconta -, ma è sempre utile saperne di più perché si possono mettere a punto alcuni dettagli. La cosa importante però è che sia un’attività che piace, che si fa con passione». «È vero – aggiunge – ci vuole coraggio di questi tempi per mettersi in proprio, ma non posso lamentarmi della scelta. Grazie alla gestione familiare ce la caviamo e, nonostante partissimo da zero, siamo già riusciti a farci il nostro giro di clienti».

«I corsi dell’Accademia? Strautili». Massimo Tagliaferri sintetizza con un’espressione tipica dei suoi 21 anni il giudizio sulla formazione targata Ascom. E sì che di strada deve farne per arrivare a Osio Sotto da Vilminore di Scalve dove è socio e cuoco del risto-

Professionisti o appassionati conquistati dal piacere di apprendere «TANTI GLI STIMOLI, POI BISOGNA CAPIRE COSA PUÒ FUNZIONARE NEL PROPRIO LOCALE» È nato nello stesso anno, l’82, in cui i genitori aprivano a Chiuduno il ristorante "Da Sabi", ma non ha scelto la scuola alberghiera. Quando ha deciso di dedicarsi ai fornelli, l’Accademia del Gusto è stata la soluzione giusta per la sua formazione. Andrea Magoni è un allievo della prima ora e negli anni ha collezionato corsi su corsi, dalle basi della cucina agli approfondimenti monografici, dal vino all’intaglio di frutta e verdura, fino all’esperienza di lavorare nella brigata di grandi nomi come Cerea, Berton o Mei. «È come un vortice – confessa – che ti spinge ad allargare sempre più la visione. Certo poi bisogna capire cosa

può essere trasferito nella propria realtà e impostazione». Lui, ad esempio, ha rilanciato il settore pizzeria del locale creando il panfocaccia sull’esempio delle pizze gourmet: «Una proposta che sta incontrando una buon gradimento». E in tempi di crisi vale ancora di più!

rante di famiglia “Peccati di Gola”. Nonostante abbia terminato da poco i cinque anni di scuola alberghiera continua

a voler imparare. «Mi piace perché si fa molta pratica e si incontrano professionisti di altissimo livello – evidenzia -. Sono corsi veramente tecnici, ricette studiate e provate e i costi di partecipazione non sono eccessivi. Le proposte di cucina le seguo tutte, come i Convivium di Stelle ma ho frequentato anche qualche corso per la sala». «La valle dove lavoriamo è piccola e la proposta del locale non si può stravolgere, diciamo però che siamo sempre più consapevoli di quello che facciamo».

«DAI GRANDI CHEF SPUNTI PER MIGLIORARE ORGANIZZAZIONE E GESTIONE DEL RISTORANTE» Cristian Iuliano, 31 anni, in cucina insieme al padre al ristorante “I Sapori di terra e di mare” a Bergamo, coltiva anche nel tempo libero la passione per cibi e vini. I corsi o le trasferte per i Convivium di Stelle sono perciò per lui l’occasione di unire piacere e aggiornamento professionale. «La nostra realtà non è paragonabile a quella dei grandi chef che ho avuto modo di incontrare – afferma -, ma si può imparare molto lo stesso,

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in termini di organizzazione del lavoro, gestione delle materie prime, conservazione, cotture, tutti aspetti importanti per una piccola attività. Anche le trasferte nei locali stellati sono utili, magari per cogliere degli accorgimenti nel servizio. E poi c’è la possibilità di parlare con gli chef ed entrare nelle loro cucine!». Grazie ai corsi Iuliano ha anche approfondito i temi del pane e della pasticceria nella ristorazione, spesso poco valorizzati.


«SI APRE UN MONDO CHE UNA CASALINGA NON IMMAGINA» Il rammarico di Federica Pontiggia, impiegata di Bergamo con la passione per la cucina e la pasticceria, è di non poter accedere ai percorsi per professionisti. Dal suo primo corso in Accademia – novembre 2008 – ha infatti collezionato tante esperienze da essere oggi tentata di sapere cosa c’è oltre il livello amatoriale. Anche così ha comunque dato una svolta significativa al suo modo di cucinare e fare dolci. «Si apre un mondo che la casalinga non immagina – afferma -. Ingredienti, bilanciamento, temperature, metodi di conservazione, organizzazione, ma anche decorazioni, che poi diventano modi consueti di agire». È così che, pur lavorando tutta la settimana, il sabato riesce a mettere in tavola una cena anche per 20/30 amici e che può sfoderare un dolce ad effetto pur se l’invito è all’ultimo minuto. «Anche se i corsi sono per appassionati – rimarca – ma si impara seriamente».

«IL CONFRONTO CON I DOCENTI È IL VALORE IN PIÙ» «Non farei mai lo chef per professione, mi sembra un lavoro snervante. A me piace mangiare e cucinare, è il mio hobby». L’approccio di Luca Maffeis, 40 anni, di Osio Sopra, che per lavoro si occupa di metrologia nel campo della telefonia, è chiaro. «Ho cominciato con un corso base di cucina – dice – e poi ho approfondito con lezioni su ciò che amo di più, risotti, pesce... Talvolta bastano poche ore e i costi non sono eccessivi. Ho imparato un modo nuovo di cucinare, diciamo che ora è una cucina più raffinata, anche grazie a dei “trucchetti” che cambiano il piatto». «Il valore aggiunto è dato dalla possibilità di interagire con i docenti – sottolinea -. Un conto è leggere una ricetta su Internet o vederla in tv, un altro è assistere alla preparazione e poter chiedere chiarimenti o consigli».

ottobre 2014 DAL CORSO REGALATO DAGLI AMICI AL PROGETTO DI UNA NUOVA ATTIVITÀ

Per Andrea Coppola, 51 anni, informatore medico di Bergamo, tutto è cominciato con un corso regalato da amici, che ora raccolgono i frutti del loro investimento “invitandosi” a cena dall’esperto gourmet. «La passione per la buona tavola è di famiglia

– racconta – ed ho man mano approfondito vari temi, dalla cucina ai lievitati. L’attenzione è, in particolare, agli aspetti professionali». L’intenzione è infatti, «quando si verificheranno tutte le condizioni», di dare vita ad un’attività nel settore dell’enogastronomia. «Se dovessi partire adesso? Punterei su pizza, pane e prodotti da forno – rivela -, perché si sono così banalizzati e impoveriti che hanno bisogno di un rilancio». «Il corso che non c’è ancora? Quello sulle birre, è un mondo vivace e mi piacerebbe conoscerlo meglio».

IL PENSIONATO CHE SFORNA CORSI ALL’UNIVERSITÀ DEL TEMPO LIBERO Non ce la faceva ad immaginare il suo futuro da pensionato sulle panchine del parco e appena venti giorni dopo aver concluso la carriera di dirigente di banca Giovanni Gamba, di Caravaggio, si è iscritto al corso di pasticceria dell’Accademia del Gusto, 80 ore con tanto di stage. Ha seguito anche il percorso intensivo di cucina, con ulteriore stage in un ristorante, per poi mettere a disposizione l’esperienza acquisita all’Università del tempo libero del suo paese, dove ha sino ad ora sfornato corsi per più di 300 persone. «È un hobby – spiega – ma mi ha coinvolto tantissimo, al punto che oggi in casa ho un forno ed un’impastatrice professionali. Le competenze che ho maturato mi hanno anche permesso di seguire master per professionisti, come quello con Iginio Massari, senza sentirmi inferiore».

«C’È ANCHE IL VANTAGGIO DI UNA SEDE COMODA» Poco propensa a sfidare il caos di Milano, Elisabetta Battafarano di Vimercate ha trovato nell’Accademia del Gusto non solo le proposte di formazione che cercava, ma anche una sede comoda, facile da raggiungere e senza problemi di parcheggio. Mamma di due bambine (al tempo del corso con il pancione della seconda) è laureata in geologia ma ha cambiato settore. Attualmente dà una mano nella pizzeria d’asporto

del cognato, che a gennaio aprirà un locale. Sarà allora che, dopo l’allenamento con i dolci preparati per gli amici, potrà mettere in pratica al meglio quanto ha imparato nel corso di pasticceria. «Il corso ha cambiato radicalmente il mio modo di lavorare – afferma -. Ho appreso nozioni e “trucchi” che non avevo mai trovato prima. Il livello dei docenti è ottimo, così come tutta l’organizzazione della scuola».

L’ALLERGIA ALLA FARINA NON FRENA LA VOGLIA DI FARE IL PIZZAIOLO La passione è nata nel locale che, a suo dire, fa la migliore pizza di Londra, da Franco Manca, dove è approdato dopo gli studi superiori alla ricerca di nuove opportunità. «Toccare la pasta, allargarla, “capirla” – dice Cristian Osio, 25 anni di Brembate – mi ha sempre affascinato», tanto da decidere di far diventare la pizza la sua professione nonostante l’allergia agli acari della farina che gli provoca più di un fastidio. «Può sem-

brare una follia – ammette -, ma se devo pensare a qualcosa che so di poter far bene mi viene in mente solo questo». Il corso “Vorrei fare il pizzaiolo” gli ha aperto ulteriori orizzonti, la voglia di sperimentare e saperne sempre di più, «perché la pizza cambia sempre». Oggi fa il pizzaiolo da Joe Koala nel centro sportivo di Osio Sopra, ma l’ambizione è di aprire un’attività in proprio dove «mettere a punto e realizzare la “mia” pizza».

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TRADIZIONI di Leonardo Bloch

Vino, ma quanto si beveva nei secoli scorsi! Se ai nostri giorni la razione annua pro capite ammonta ad una quarantina di litri, in passato si superavano abbondantemente le centinaia. Neppure nei monasteri ci si tirava certo indietro. Tra le ragioni della superiorità enoica sull'acqua, le proprietà terapeutiche attribuite alla bevanda dalle principali scuole di medicina

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el dipingere le carestie di cui furono testimoni, raramente i cronisti medievali si sono curati di non calcare troppo la mano sull’orrido. Nei memoriali sul ventennio di privazioni che nel sesto secolo corrispose alla guerra greco-gotica, l’abitualmente compassato Procopio da Cesarea non glissa ad esempio sulle malefatte perpetrate da una coppia di antropofaghe riminesi che pare uscita da un noir di Pupi Avati, né sui prati disseminati dei cadaveri di coloro che, per lenire i morsi della fame, si mettevano addirittura a brucare l’erba. Il più tardo Rodolfo il Glabro, descrivendo gli stenti dei tribolati decenni successivi all’anno mille, narra invece di camposanti violati da agghiaccianti torme di necrofagi e di pani della disperazione impastati a mo’ di mattonella mescendo argille commestibili alle farine. Tra queste miniature a tinte assai fosche, il resoconto redatto da Andrea da Bergamo a proposito della pur seria carestia che colpì le nostre lande nell’866 rischia di passare per materiale da rotocalco. La più rimarchevole tra le disavventure occorse quell’anno, a giudizio dell’estensore del Chronicon, si consumò infatti allorché, a seguito delle interminabili gelate, “quasi tutte le uve seccarono nelle pianure e il vino ghiacciò dentro le botti, tanto che non usciva niente nemmeno attraverso i fori delle spine”. Un lustro più tardi, in occasione di un altro col-

po di coda dell’inverno, i più accorati crucci del nostro concittadino erano di nuovo rivolti alla ventura vendemmia, ribadendo ancora che “molte viti in pianura e nelle valli si seccarono con tutta l’uva”. Un affrettato giudizio di fatuità, con la velata insinuazione che i rilievi del monaco bergamasco fossero dettati più dalla confidenza con la bottiglia che dall’affezione alla verità storica, non sarebbe invero riguardoso del ruolo fondamentale che il vino ha ricoperto per millenni nella nostra civiltà alimentare, secondo solo a quello dei cereali. A questi ultimi la bevanda era del resto legata da un vincolo di vitale complementarietà, essendo stata per secoli assegnataria della funzione di companatico per antonomasia. È dunque indiscutibile che, rispetto ad oggi, in passato si libasse assai più abbondantemente, più diffusamente ed a partire da soglie d’età ampiamente inferiori. Non è agevole fornire riferimenti quantitativi univoci circa i consumi enoici delle epoche trascorse, che sono ovvia funzione della loro pertinenza geografica. Se ai nostri giorni la razione annua pro capite di vino ammonta ad una quarantina di litri, è altresì vero che solo mezzo secolo fa se ne sorbiva almeno un ettolitro. Queste dosi restano comunque modeste dinnanzi ai duecento litri che si ricavano dai registri delle gabelle della Bologna tardomedievale,

o agli oltre quattrocento che a metà del XIV secolo costituivano la soglia individuale di autoconsumo esente da balzelli per le famiglie degli osti di Prato - includendo nel computo anche i bimbi da tre anni d’età. Neppure nei monasteri ci si tirava certo indietro: il draconiano limite diario di un quarto di litro imposto dalla regola di San Benedetto fu presto innalzato dal Concilio di Aix ad un ben più lasco massimale di 1,8 litri, con licenza di salire addirittura a 3 in occasione delle festività principali. Prescindendo da considerazioni legate alla piacevolezza della beva, le ragioni storiche di così elevate libagioni non risiedono esclusivamente nella connotazione del vino di alimento serbevole e generosamente energetico, derivato per di più da una risorsa agricola abbondante e relativamente al riparo dalle bizze del clima (le carestie della vigna erano infatti più rare di quelle del campo). V’è da tener conto anche delle prerogative di sicura potabilità della bevanda, dato che l’approvvigionamento d’acqua che non fosse contaminata o limacciosa rappresentava sino ad un paio di secoli fa, specie nelle città, un problema di ardua soluzione (emblematico a tale riguardo il marchingegno, citato in un codice leonardesco spurio, che l’inventore fiorentino avrebbe congegnato per scacciare i ranocchi dalle cisterne delle cucine sforzesche).


ottobre 2014 A tali elementi d’ordine pratico si sovrapponevano fattori di più stretta matrice culturale: sin dall’antichità grecoromana si fece infatti largo la nozione, rafforzatasi con il cristianesimo, che rispetto all’acqua il vino fosse dotato di più elevate - se non addirittura sacrali - virtù. Del resto, chiosavano i predicatori nell’età di mezzo, se la prima fosse stata preferibile al secondo, il miracolo delle nozze di Cana avrebbe dovuto compiersi al contrario. Tra le ragioni dell’asserita superiorità enoica risaltavano in particolare le proprietà terapeutiche attribuite alla bevanda, asseverate sino all’età moderna dalle principali scuole di medicina. Non sorprende dunque che il vino rappresentasse l’indiscussa base della farmacopea medievale, o che nel XVI secolo il fiasco costituisse ancora il

l’arco di oltre mille anni - da San Gregorio di Tours nel VI secolo all’agronomo Giovanni Battarra nel XVIII - documentano l’emergenziale ricorso dei fornai a vinaccioli e sarmenti per la preparazione degli impasti. L’inconsueto paesaggio estensivamente vitato che fra’ Andrea descriveva nel IX secolo osservando la piana tra Adda e Serio è probabilmente la più antica attestazione del rango di distretto vinicolo di primaria importanza che per quasi un millennio - dal IX al XVII secolo - connotò l’attività agricola nel circondario bergamasco. Se la vigna nell’alto medioevo s’era propagata su prevalente impulso ecclesiastico, in età comunale furono soprattutto le autorità municipali a incentivarne la diffusione: hanno infatti risalto le ordinanze duecentesche di Bergamo per

pianura - ancora alla fine del cinquecento è documentata la presenza di estese aree vitate nella zona dell’Isola ed a Morengo - si attestasse su livelli qualitativi di modesto pregio. Già nel tredicesimo secolo il preclaro agronomo Pier de’ Crescenzi certificava comunque l’esistenza di una viticoltura d’eccellenza nelle parcelle bergamasche più vocate, menzionando un’originale modalità di impianto degli arbusti - a stelo basso con i tralci accomodati a campana rovesciata - che era chiaro indice del radicamento di competenze tecniche di distinzione. Fu quest’ultimo segmento a reggere meglio le spallate delle profonde recessioni demografiche assestate dalla peste nera del 1348 e da quella bubbonica del 1630, che a loro volta indussero l’espianto in massa dei vi-

principale strumento di somministrazione dei trattamenti presso l’ospedale parigino dell’Hôtel-Dieu. Vale inoltre soggiungere che le utilità alimentari della vigna non si esaurivano certo con la vinificazione delle uve. Mosto cotto ed agresto - ricavato quest’ultimo dal succo degli acini acerbi - rappresentarono per lungo tempo i condimenti di cucina di maggior popolarità. Nel corso delle carestie più severe la vite assumeva poi il ruolo di autentico albero del pane, dato che plurime testimonianze lungo

la piantumazione della vite lungo la strada che conduceva a Seriate, e di Vertova per l’impianto dei vigneti negli appezzamenti demaniali dati a fitto con estensione di almeno tre pertiche. Il frutto di una così alacre attività di promozione - annotava lo storico ottocentesco Gabriele Rosa - fu che nel XVI secolo il nostro contado giungeva a produrre vino per tre volte il proprio fabbisogno annuo, indirizzando le eccedenze principalmente verso Milano e Cremona. È evidente che l’offerta enoica della

gneti a vantaggio di altre colture. Già a metà del XIX secolo Gabriele Rosa constatava con rammarico che dai tini della nostra provincia non uscisse ormai vino a sufficienza per soddisfare neppure la domanda locale. La ritirata della vite dal circondario di Bergamo è quindi proseguita ininterrotta sino ai nostri giorni, ai quali basta peraltro una vendemmia disgraziata per dimostrare che le carestie della vigna non sono solo un ricordo di epoche remote. Historia se repetit, chioserebbe serafico fra’ Andrea.

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APPUNTAMENTI FINO AL 26 OTTOBRE

Castanea, a Pradalunga si riscoprono sapori e cultura della castagna TORINO

La Doc Terre del Colleoni approda al Salone del Gusto All’interno di quella grande kermesse che è il Salone del Gusto e Terra Madre di Torino dal 23 al 27 ottobre a Lingotto Fiere e Oval – anche il Consorzio di Tutela Valcalepio può contare su uno spazio di promozione. Dopo la collaborazione a Cheese, Slow Food ha infatti coinvolto il Consorzio in un evento che si svolgerà domenica 26, alle 18.30, dal titolo La Cucina del Recupero “con quel che resta del Salone”. Sarà condotto dalla referente dell’Educazione di Slow Food Piemonte, Marlena Buscemi, e i piatti proposti saranno accompagnati dai vini bergamaschi. In particolare si è deciso di puntare l’attenzione sulla Doc Terre del Colleoni, la cui prima annata di spumanti è stata presentata in anteprima al Vinitaly di quest’anno. La scelta non è casuale, si è voluto infatti dare spazio a questa nuova produzione tutelata e promossa dal Consorzio per ribadire che la Denominazione di origine è fondamentale indice di sicurezza per il consumatore. Quanto al Salone, temi di questa edizione sono l’Arca del Gusto e l’agricoltura familiare. L’Arca, lanciata nel 1996 per catalogare i prodotti a rischio, è il progetto di Slow Food più rappresentativo per la tutela della biodiversità, mentre l’agricoltura familiare sale sul palcoscenico nell’anno in cui la Fao la celebra in tutto il mondo. Saranno presenti oltre 1.000 espositori da più di 100 Paesi, tra cui 200 Presìdi Slow Food italiani, 400 Comunità del cibo provenienti da 100 Paesi e, di queste, 120 Presìdi Slow Food internazionali. Tutti gli appuntamenti sono pubblicati e prenotabili su www.slowfood.it.

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Castanea è la manifestazione con la quale i Castanicoltori del Misma, impegnati nel recupero dei boschi e della castanicoltura, promuovono la riscoperta del frutto autunnale per eccellenza, che tanta parte ha avuto nell’alimentazione della montagna e della collina bergamasche. A Pradalunga ogni fine settimana di ottobre è dedicato a qualche attività, dalle cene con specialità a base di castagne alla “Giornata nel castagneto” con passeggiate nel bosco, aperitivo e grigliata, fino alle immancabili caldarroste, proposte in più appuntamenti. Quest’anno si terrà anche (venerdì 24 ottobre all’oratorio di Pradalunga) la prima degustazione provinciale di quattro varietà di castagne, guidata da

Ocildo Stival. Il costo è di 10 euro con rilascio dell’attestato di partecipazione e caldarroste. Domenica 26 “Castanea in piazza” chiude il programma con un’intera giornata dedicata alla cultura e ai sapori della castagna in piazza Mazzini. Ci saranno una mostra, stand di prodotti tipici, folclore, caldarroste e altre specialità e, alle ore 15, “Favole sotto il castagno” per i bimbi. Funzionerà anche un servizio ristoro curato dall’Associazione dei commercianti e artigiani di Pradalunga e Cornale, che ha anche promosso per tutto il periodo della manifestazione l’allestimento di vetrine a tema e la proposta di prodotti tipici. Info: castanicoltorimisma@gmail.com

DAL 15 AL 17 NOVEMBRE

Le bontà d’Italia in passerella a Golosaria “La vita come gusto, il gusto come stile di vita” è il tema della nuova edizione di Golosaria Milano, la manifestazione che fa incontrare di persona i volti della guida "Il Golosario" di Paolo Massobrio, in uscita puntualmente ogni autunno. L’appuntamento sarà ancora al Superstudio Più di via Tortona, dal 15 al 17 novembre, e vedrà la presenza di oltre 300 produttori provenienti da tutta Italia, con molte proposte al debutto, tra food e wine. Il tema della kermesse si lega all’Expo e cerca di dimostrare come l’attenzione allo stile di vita «non significhi rinuncia, bensì conoscenza, tensione a ricercare ciò che fa bene ed è anche buono». Dopo l’avvio dello scorso anno, il progetto “A’mati, curarsi mangiando” si presenterà con altre iniziative e ci saranno almeno 30 show cooking, fra cui quelli dedicati all’arte del barbecue, quelli per chi vuole diventare cuoco e quelli per conoscere a fondo determinati prodotti. Non mancheranno degustazioni guidate di vini e dei prodotti migliori del Golosario, ma anche proposte imperdibili di street food. L’ingresso è a pagamento, per chi si iscrive on line sono previsti alcuni vantaggi. Info: www.golosaria.it


ottobre 2014 15 E 16 NOVEMBRE

Milano, il Whisky Festival fa spazio anche al rum Per la nona edizione, il Milano Whisky Festival fa spazio anche al rum e diventa “Milano Whisky Festival & Fine Rum”, in programma all’Hotel Marriott il 15 e 16 novembre. Uno spazio esclusivo ospiterà una selezione di rum di qualità, con 10 grandi distillerie e selezionatori provenienti da tutto il mondo, mentre, come da tradizione, nella sala dedicata al Single Malt appassionati, curiosi ed estimatori potranno degustare i whisky provenienti non solo da tutte le distillerie scozzesi, ma anche da Giappone, Taiwan, Italia e Stati Uniti, per un totale di oltre 2.000 etichette. Declinate sia sul versante dei rum sia su quello del whisky le degustazioni libere, le masterclass e agli accostamenti food. Per quanto riguarda il whisky, quest’anno saranno presenti anche tre isole destinate alle miscelazioni, per assaggiare gli accostamenti e i cocktail più originali. Saranno inoltre allestiti un angolo food, dove assaggiare e acquistare prelibatezze tipiche delle Highlands e degustare ostriche e salmone, un mini shop dedicato ai capi d’abbigliamento scozzesi e un corner di birre scozzesi. Confermato il Premio Best Whisky: durante la kermesse sarà possibile provare le bottiglie vincitrici delle tre categorie, selezionate dopo degustazioni blind da parte di una giuria di esperti. Il costo d’ingresso è di 10 euro e comprende bicchiere da degustazione, portabicchiere, guida whisky 2014 by Milano Whisky Festival e due gettoni per le degustazioni Info: www.whiskyfestival.it

DAL 31 OTTOBRE AL 2 NOVEMBRE

Pizzighettone, nelle mura mostra enogastronomica e sagra dei “Fasulin” Nelle suggestive Casematte delle Mura di Pizzighettone (Cr) va in scena dal 31 ottobre al 2 novembre la 14esima edizione della mostra enogastronomica BuonGusto. Si tratta di viaggio tra artigiani, consorzi di tutela, produttori, aziende agricole, vitivinicole e commercianti specializzati provenienti da tutta Italia che, insieme alle eccellenze locali e ai sapori tipici lombardi, si snoda negli antichi ambienti a volta di botte all’interno delle mura. La manifestazione, ad ingresso gratuito, si svolge in contemporanea con la 22esima edizione di “Fasulin de l’öc cun le cudeghe”, degustazione (con bis l’8 e 9 novembre) del piatto pizzighettonese tipico delle solennità dei defunti, ospitata anch’essa all’interno delle antiche mura, per l’occasione riscaldate dai grandi camini d’epoca e trasformate

in un’osteria d’altri tempi. Per la preparazione della ricetta si utilizzano gli ingredienti e le dosi tramandate: oltre ai Fagioli dall’Occhio riscoperti e coltivati localmente, cotenne morbide di maiale, salamelle di pasta fresca, carni di manzo e di maiale, verdure di stagione, olio di oliva e brodo di carne. Info: www.pizzighettone.it

FINO AL 30 NOVEMBRE

Brianza, in 14 locali la rassegna dei menù tipici Promuovere la tradizione culinaria locale e i ristoranti della zona. È l’obiettivo di RistoBrianza, l’iniziativa gastronomica in programma dall’1 ottobre al 30 novembre in 14 locali del Meratese e della Brianza. La rassegna - che nasce dalla collaborazione tra Confcommercio Lecco, Associazione cuochi e Camera di Commercio ed è pensata anche in chiave

Expo – offre la possibilità di degustare menù e piatti tipici al costo di 30 euro, bevande incluse. Le proposte spaziano dalla terra al lago. Sfogliando i diversi menù, si susseguono missoltini con polenta, frittatine all’erba amara, mortadella di fegato calda, cassoeula, risotti con zafferano e salsiccia o con filetto di pesce persico, papardelle con i funghi porcini, coniglio, brasati, guanciale di maiale, ma anche lavarello, per finire con torta di mais, russumada ghiacciata, semifreddo alle castagne e molto altro. Queste le insegne che partecipano: Al Bistrot (Santa Maria Hoè), Osteria dello Strecciolo (Robbiate), Tartaruga (Merate), Al Toffo (Brivio), Le Palme (Olgiate Molgora), Passone (Montevecchia), Tre (Merate), Il Bugigattolo (Costamasnaga), Osteria degli Angeli (Missaglia), Del Pino (Lomagna), Tetto Brianzolo (Perego), Marion 1920 (Costamasnaga), Agriturismo Terrazze di Montevecchia (Montavecchia) e Al Rustico (Montevecchia). Info: www.ascom.lecco.it

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L'AZIENDA di Leo Bartoli

da trent’anni innovazione e qualità al servizio della ristorazione

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Dal rifugio di montagna allo chef stellato: 5mila clienti in tutta Italia hanno scelto di affidarsi alla società di forniture di Zanica. Pezzotta: «Ogni anno facciamo centinaia di test per capire il gradimento, allargando sempre di più i confini e cercando di anticipare le mode» «Tra i ricordi più cari la dedica di Bottura» Adesso che siamo fuori dal tunnel lo possiamo dire: è stata dura. Ma la nostra professionalità, la voglia di andare a cercare prodotti sempre innovativi per differenziarsi dalla concorrenza e il rapporto speciale costruito con i clienti ci hanno permesso di venire fuori bene da quel tritacarne che è stata questa lunghissima crisi». Parla con orgoglio della sua Ros, il fondatore Sergio Pezzotta, oggi 51enne. La sua creatura proprio in questi mesi compie i trent’anni di attività e ormai da lustri è un punto di riferimento nazionale per la grande ristorazione italiana e i bar più esclusivi, grazie a oltre 12mila articoli capaci di soddisfare ogni esigenza e un fatturato che quest’anno chiuderà con un +10%. Così, lo showroom di Zanica è diventato nel tempo non solo uno scrigno di prodotti esclusivi per la tavola, la cucina e la ristorazione-bar in genere, ma anche un laboratorio di idee per testare prodotti, sperimentare tendenze che poi hanno trovato applicazione nei locali più fashion. Non a caso il motto che contraddistingue questo 30esimo anniversario, ben visibile anche sulla home page del sito aziendale è: “In tanti anni sono cambiati gli stili, le forme e i materiali, ma non la continuità del nostro assortimento”. Una vita trascorsa tra i casalinghi, quella di Pezzotta, che già da ragazzino aiuta nel negozio all’ingrosso di papà Luigi, ma che ben presto ha un’intuizione: siamo

agli inizi degli anni Ottanta, il mondo della ristorazione è in ascesa, perché non creare una linea ad hoc per ristoranti e chef? Detto, fatto. Si fa aiutare dal padre e con un cugino nel 1984 fonda in città (via Moroni) la Ros. Partire così, a soli vent’anni, poteva sembrare da incosciente: «Ma io non ho mai avuto paura di niente – spiega -, sapevo che il mercato si stava allargando ed esigeva una sempre maggiore specializzazione. Così mi sono buttato». Tre i dipendenti che danno una mano a Sergio in quegli anni (oggi sono 16) e tra i clienti si fanno avanti subito i titolari di trattorie e di ristorantini di tendenza. «Sono anni dove per fidelizzare nuovi clienti facciamo di tutto. Mi ricordo che un giorno l’oste di una baita sul Monte Pora ci ordina un grosso forno da cucina, il guaio è che siamo alla vigilia di Natale e in Alta Val Seriana c’è un metro di neve sulle strade – aggiunge il patron -. Non ci perdiamo d’animo e con una motoslitta, dopo un viaggio avventuroso, riusciamo a portare a destinazione quell’enorme forno, che però non entra dalla porta dell’osteria: abbiamo dovuto tirar giù gli stipiti per sistemarlo in cu-

cina!». Il giro d’affari cresce e Pezzotta decide di fare il salto in avanti decisivo: «Nel 1990 apriamo la sede di Ranica, con 2.400 metri quadrati, ma soprattutto uno shooroom da 400 mq dove concentriamo, tra i nostri 5mila prodotti di allora, le novità più originali che il mercato offre in quel momento». È a questo punto che anche i grandi chef, dopo un incessante passaparola tra gli addetti ai lavori, cominciano ad arrivare in Ros: «Il primo ad averci dato fiducia è stato Pierangelo Cornaro della Taverna del Colleoni – ricorda -. È arrivato in punta di piedi, ha voluto visionare il campionario, ha scelto cose raffinate. E non ci ha più abbandonato. Dopo di lui altri grandi che hanno fatto la storia della cucina a Bergamo: da Pino Capozzi a Stefano Cardaci, fino a Vittorio Cerea». Oggi nello showroom di Zanica capita spesso di vedere vip: «Vissani è venuto più volte – racconta Sergio -, di recente è passata Cristina Parodi appassionata di una linea di piatti esclusiva, mentre uno tra quelli che considero i più grandi chef del mondo, Massimo Bottura, è capitato qui, alla disperata ricerca di un servizio di posate da ab-


Da sinistra: Massimiliano Ongis (Vendite), Antonella Giupponi (Responsabile Amministrativa), Ivan Pierinelli (Responsabile Vendite), Sergio Pezzotta (Patron), Andrea Piffari (Vendite) e Michele Pezzotta (Vendite) Servizio fotografico di Maria Zanchi

binare a uno dei suoi piatti leggendari, il baccalà nero. Alla fine da noi ha trovato quello che cercava: posate nere in acciaio inox di grande effetto, trattate in modo particolare, cangianti, molto raffinate. Simpatico e geniale, Bottura le ha volute testare, ci ha invitato nel suo locale di Modena, La Francescana. Alla fine le ha scelte e mi ha fatto pure una dedica, che conservo tra i miei cimeli più cari». Accanto agli chef stellati, negli anni ecco arrivare a Zanica le grandi catene alberghiere, da Sheraton a Blu Hotels, da Holiday Inn a Novotel, poi la ristorazione collettiva con Sodexo e i locali fashion più di tendenza della movida milanese, dall’hotel Bulgari ai ristoranti di Armani e Dolce & Gabbana, al recentissimo “Ceresio 7” (degli stilisti di Dsquared). Oggi il portafoglio clienti, nonostante la crisi, sfiora ormai quota 5mila, sempre a caccia dell’ultima novità, dai materiali più innovativi alle ultime tendenze del design. «Per questo non possiamo mai abbassare la guardia – aggiunge il patron -, restando sempre aggiornati sugli ultimi gusti del mercato non solo nazionale, ma internazionale. Ogni anno facciamo centinaia di test per capire il gradimento della clientela, allargando sempre di più i confini e cercando di anticipare le mode in cucina». Così la Ros ha abbracciato in passato e tuttora le nuove tendenze

legate per esempio ai calici da degustazione, con le varie associazioni di sommelier a fare proseliti ovunque, esigendo sempre nuove soluzioni legate al bicchiere. Oppure creando divise da chef o per il personale in sala sempre più sofisticate, con particolari raffinati nel segno della moda made in Italy, tanto da far quasi sembrare dei damerini i cuochi della novelle vague. Quella di Zanica è stata poi tra le prime aziende in Italia a cavalcare l’onda, ormai inarrestabile, dei finger food, «con un campionario infinito, che peraltro si aggiorna più volte in un anno – spiega Michele Pezzotta, il figlio di Sergio che partendo dalla gavetta, è, grazie ai suoi 23 anni, la persona che interpreta meglio i gusti giovanili -. Siamo passati ai pentolini in porcellana, poi ai piccoli vasetti di vetro, fino ad arrivare anche al legno. Oggi un pezzo cult è il cestellino canestrato in inox per i piccoli fritti, sia di pesce che di verdure: il design dev’essere moderno, ma a volte deve richiamare valori antichi, come i piccoli paioli per le polente». Michele è l’ultimo a essere entrato nella cabina di pilotaggio dell’azienda di Zanica («devo ancora imparare tanto, mio padre non mi affianca direttamente, ma standogli accanto, ogni giorno, in questi miei tre anni in azienda, ho appreso cose nuove»). Oltre alle due generazioni Pez-

zotta, in Ros ci sono altre figure chiave, come Ivan Pierinelli, da 22 anni braccio destro di Sergio e responsabile vendite, con un “fiuto” particolare per le tendenze che diventeranno moda negli anni successivi: «Oltre a scovare idee nuove – spiega Pierinelli -, oggi la cosa più importante è far andar d’accordo la qualità con un prezzo ragionevole: devo dire che, a giudicare dal consenso dei clienti, a noi l’accoppiata riesce spesso». Altra colonna Ros è Antonella Giupponi, storica responsabile amministrativa che ha seguito l’avventura societaria fin dall’inizio: «Lei sta dietro le quinte – spiega Sergio – ma è preziosissima: oltre a gestire la parte contabile, ha dedicato tanto tempo all’informatizzazione dell’azienda, che ha rappresentato un passaggio cruciale per noi, al punto che il canale di vendita on line è in continua ascesa». E per il futuro Ros cos’ha in serbo? «Specializzarsi ancor di più sul servizio – spiega il fondatore -, continuare ad affiancare, consigliare, proporre nuove soluzioni ai nostri clienti: vederli soddisfatti per noi è la gratificazione più importante».

PER FESTEGGIARE, UN LUNGO OPEN DAY CON DIMOSTRAZIONI E SHOWCOOKING Trent’anni da festeggiare, per continuare a mantenere saldo quel feeling con i clienti che è il vero segreto del successo di Ros. Il primo evento è andato in scena il 6 ottobre in quel di Lallio, Casa Agnelli, uno dei fornitori storici dell’azienda di Zanica. Un focus sulle pentole professionali, quelle a induzione, con lo chef bergamasco Francesco Gotti a spiegare tutti i segreti legati alla cottura delle sue celebri ricette a un folto numero di clienti Ros. Clienti che saranno protagonisti anche negli appuntamenti “clou” di questo trentennale, un lungo “Open day non stop” in pro-

gramma tra la fine di novembre e i primi di dicembre nella sede di Zanica. «Per due settimane – spiega il patron e fondatore della Ros Sergio Pezzotta –, dal 24 al 28 novembre e dal 2 al 5 dicembre, il nostro showroom ospiterà ogni giorno un’azienda che proporrà, attraverso dimostrazioni live e showcooking, i prodotti più innovativi e inediti presenti oggi sul mercato. Gli incontri avranno tre temi centrali: la tavola, la cucina e la preparazione dei cibi. È un regalo che vogliamo fare a tutti i nostri clienti che invitiamo numerosi per festeggiare insieme il nostro anniversario».

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IL PREZZO FISSO di Fulvio Facci

Alla Trattoria Le Sorelle non c’è la carta ma solo pranzi e cene tutto compreso. «Una scelta che permette di gestire al meglio le materie prime ed i costi». E lo staff è di sole donne, «a sottolineare la proposta casalinga e familiare» La titolare Susan Raimondi

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Treviglio, nel locale tutto al femminile il “re” è il menù fisso all’esperienza di vent’anni nella gestione di ristoranti e locali, Susan Raimodi ha condensato nella Trattoria “Le Sorelle” – aperta da tre anni a Treviglio in viale Partigiano, angolo via Roma, 38/A – una chiara idea, quella di un locale tutto al femminile, mandato avanti solo da donne sia in cucina sia in sala. «In realtà sorelle non siamo – precisa -, ma il nome vuole essere un rimando all’atmosfera di famiglia, alla cucina casalinga e a quel tocco in più nell’accoglienza che un team affiatato di “ragazze” può offrire». «Per me è un po’ la realizzazione di un sogno – aggiunge -. Sono impegnata da vent’anni nel settore ed ho gestito anche grosse realtà (tra cui il Doppio Senso a Verdello, nel centro Francesca ndr.), seguendo tutti gli aspetti dell’attività, compreso l’aiuto in cucina. Ora ho scelto di dedicarmi prevalentemente ai fornelli, che è anche ciò che mi piace di più, forte del lavoro al fianco di chef esperti, da ognuno dei quali ho appreso qualche segreto. Diciamo che ho avuto ottimi maestri sia per i piatti di terra sia per quelli di mare, che propongo entrambi qui a Le Sorelle». Piccola ma non piccolissima - trenta posti all’interno, arredato con molto buon gusto, e più o meno altrettanti all’esterno,

ben fruibile anche d’inverno con ottime strutture mobili -, la trattoria oltre che declinata al femminile ha un’altra caratteristica: propone solo menù fissi. Il classico menù per il pranzo, a 10 euro, va dal lunedì al sabato. Dal martedì al sabato sera (con le dovute eccezioni che vedremo) e la domenica a pranzo c’è il menù completo a 20 euro che comprende un tris di antipasti, un primo e un secondo a scelta, buffet di verdure, acqua, vino sfuso, caffè della moka e limoncello fatto in casa. Nei primi e nei secondi a scelta c’è sempre un piatto di mare. Le eccezioni di cui dicevamo si aprono con la “serata cinema” del mercoledì: visto che le sale della città propongono il biglietto a prezzo ridotto, anche la trattoria con 10 euro offre la possibilità di consumare una cena sulla falsariga del menù di lavoro del mezzogiorno. Al venerdì, per 20 euro, su prenotazione, c’è la serata dedicata al mare, mentre al sabato sera e alla domenica a pranzo, sempre su prenotazione e sempre per 20 euro, ci può immergere nella proposta della polenta taragna con arrosti, brasati e contorni. Per la serie non facciamoci mancare niente, alla domenica si può scegliere la cena veloce, articolata come

il menù del mezzogiorno e allo stesso costo: 10 euro. Una sfida coraggiosa quella di fare solo menù fissi. «Volevo un locale nel quale tenere un po’ tutto sotto controllo e la scelta ci sta premiando – spiega Susan Raimondi -. Non avere la carta ci consente di migliorare la gestione della cucina e delle materie prime, che così sono sempre fresche, e al contempo di contenere i costi. La nostra è una proposta casereccia e genuina, con un ingrediente che per me è fondamentale, la passione per questa professione, l’amore direi. Ravioli, pasta e dolci (questi ultimi non compresi nei menù fissi ndr.) li facciamo in casa. Polenta, polenta taragna e zuppetta di cozze non mancano mai. Poi i classici della cucina casalinga appunto, come gli arrosti, i brasati, il fegato, i funghi, tutto ciò che si abbina bene con la polenta». Ma c’è anche il pesce. «Le proposte più frequenti - ricorda - sono la paella, la zuppa di pesce, il fritto e comunque offriamo la possibilità di degustare diverse specialità». «La semplificazione dell’offerta è legata anche al momento economico – conclude –. Qui non si paga il coperto e, a meno di extra, si sa già quanto si spenderà, cosa che oggi rassicura la clientela». Trattoria Le Sorelle viale Partigiano, angolo via Roma 38/A Treviglio tel. 0363 43057 cell. 392 0808510 chiuso il lunedì sera

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L'EVENTO

ottobre 2014

Foresto Sparso, i tre traguardi di “Gira”

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Festa con tanto di Fanfara per gli 80 anni del fondatore del ristorante “Il Platano”, i 50 di matrimonio e i 40 di attività he Livio Freti, la sua famiglia e il ristorante che gestiscono a Foresto Sparso siano un’istituzione lo ha confermato la calorosa partecipazione alla festa che lo scorso 14 settembre ha celebrato tre traguardi insieme: i suoi 80 anni, i 50 di matrimonio con Anna e i 40 del loro locale, “Il Platano da Gira”, dal grande albero che domina l’ingresso e dal soprannome con cui Livio è più conosciuto. La mitica Fanfara dei congedati della Brigata Alpina Orobica, di cui Freti è orgogliosissimo componente, ha portato, a sorpresa per i festeggiati, il proprio omaggio musicale. C’erano poi i compagni con cui ha condiviso diverse missioni di volontariato in Brasile e - oltre naturalmente a parenti e amici - clienti e fornitori che non hanno voluto far mancare una testimonianza di affetto. Presidente per 15 anni del Gruppo Alpini del paese e sempre impegnato nelle attività sociali, il personaggio pubblico è lui. Alla moglie Anna Cinesi si devono invece la concretezza dei piatti e l’accoglienza capace di far sentire tutti a casa. E pensare che erano partiti quasi per scommessa, rilevando un locale che esisteva dai primi del ‘900. «Eravamo ancora nel pieno dei lavori per rimettere in sesto la struttura – ricorda Anna – e un autista, passando al mattino, mi ha detto: “Prepara una La famiglia Freti: da sinistra Paola, Livio, Alessandra, Eraldo, Lorena e Anna

pasta per mezzogiorno, io compro le bistecche”, così è cominciato tutto». La signora, attingendo alle ricette di famiglia, ha reso il locale un punto di riferimento per piatti senza tempo come il coniglio, le polpette, il minestrone, ma anche per gli uccelli, la pasta con la lepre, l’anatra con le verze, il capretto. I figli Eraldo e Lorena sono cresciuti nel locale e hanno aggiunto il proprio contributo. Eraldo è l’esperto pizzaiolo e Lorena, oltre a sovrintendere con attenzione al servizio in sala, ha cominciato a seguire la cucina, mentre sua figlia Paola e la cognata Alessandra, anch’esse impegnate in sala, hanno sviluppato il settore dei dolci, tutti preparati in casa. «La tradizione ed i prodotti locali sono la nostra forza – commenta Lorena -, ma cerchiamo anche di crescere e proporre qualcosa in più».

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LE AZIENDE INFORMANO

Prendi parte al progetto Stage Europe 3000

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urope 3000 con sede a Bergamo è un’agenzia di selezione del personale specializzata nell’organizzazione di tirocini formativi per ragazzi provenienti da istituti alberghieri e università turistiche di tutta l’Unione Europea. Il Progetto Stage Europe 3000 è nato dalla collaborazione tra scuole straniere e italiane al fine di permettere a tanti giovani talenti della ristorazione di fare pratica in Italia, il Paese che più rappresenta l’enogastronomia nel mondo. Gli stagisti che aderiscono al Progetto oltre a crescere a livello professionale, con questa esperienza potranno arricchire anche il proprio bagaglio culturale, imparando a conosce ed utilizzare i prodotti culinari italiani per promuoverli poi anche sul proprio territorio. Gli albergatori e i ristoratori, che partecipano al Progetto, accogliendo i ragazzi stagisti, hanno la possibilità di inserire nel pro-

prio team una persona nuova, preparata e motivata a svolgere la mansione a lei assegnata. Normalmente i ragazzi impiegati in sala e in reception hanno una buonissima conoscenza dell’inglese e di una seconda lingua. Tutti i tirocinanti, inoltre, sono disponibili sul lungo periodo, dai 3 ai 6 mesi consecutivi, alla fine dei quali rientrano tutti gratificati nel proprio paese di provenienza. Le strutture che ospitano questi ragazzi diventano il punto di partenza per tutti i giovani del settore, che oggi devono essere il valore aggiunto non solo della nostra società, ma di tutta l’Europa. L’Agenzia Europe 3000, gestisce con passione e dedizione ogni fase del tirocinio, mettendo in collegamento scuole straniere e italiane, e in seguito accogliendo e assistendo i ragazzi per tutto il loro percorso formativo propedeutico. La passione e l’entusiasmo di Europe 3000 permettono di creare un’atmosfera speciale con i “propri” ragazzi fino a farli sentire parte della grande famiglia della ristorazione. Si tratta di un’esperienza unica e completa, con risultati comprovati nel corso degli anni. Infatti sempre più albergatori e ristoratori richiedono gli stagisti selezionati dalla Europe 3000 per diverse stagioni, in quanto sono soddisfatti del buon lavoro e del grande impegno dei ragazzi.

Per ulteriori informazioni contattateci allo 035.242990 o scriveteci ad info@europe3000.it

EUROPE 3000 Srl - Ricerca e Selezione Risorse Umane

Via Malfassi, 3 - 24125 Bergamo - skype: europe_3000 - www.europe3000.it Aut.ne n. 0059 - Id. 1086510/2011


L'INIZIATIVA

ottobre 2014 di Lara Abrati

"Bottega degli Antichi Sapori", la sfida di quattro allevatori

iamo a Nasolino, una frazione di Oltressenda Alta. Qui lo scorso 3 agosto ha avuto luogo l’inaugurazione della Bottega degli antichi sapori. Un luogo nato dalla volontà comune di più attori, l'Amministrazione comunale e alcuni giovani agricoltori. Ci troviamo in alta Val Seriana, con un’agricoltura di montagna che sta subendo un lento, ma progressivo, abbandono. Si parla di Val Seriana, ma più nel dettaglio il contesto in cui si inserisce la Bottega è la Valzurio. Una piccola e affascinante valle caratterizzata dalla presenza di borghi e contrade rurali. Importante e ricercata meta per gli escursionisti, grazie allo splendore naturale che regala durante una qualsiasi visita. È meta ideale anche per un turismo “di giornata”. La Bottega degli antichi sapori è uno spazio comune e condiviso in cui è possibile assaggia-

Augusto Chioda

"Mi sono messo in gioco e i risultati arrivano" Con il papà Costantino conduce l’azienda agricola di famiglia che conta circa 40 capi allevati. Classe 1982, Augusto Chioda ha lavorato per circa 12 anni come operaio, ma all’età di 28 anni, stufo del lavoro come dipendente, ha iniziato ad affiancare il padre. I bovini, tutti di razza pezzata rossa, sono allevati nella stalla di Valgoglio nel periodo invernale. Nel periodo estivo invece ad Oltressenda. La sua produzione verte in particolare sulla formaggella, lo stracchino, la ricotta e il formaggio di monte stagionato. Tutto prodotto a partire da latte crudo. “La formaggella - dice Augusto - la produciamo a partire da latte semi-grasso. Lo riscaldiamo a circa 35°C e aggiungiamo il caglio di vitello. Una volta rotta la cagliata con lo spino, la riscaldiamo a 40°C. Estraiamo la cagliata e la mettiamo in forma. La commercializziamo dopo 15-20 giorni di stagionatura”. Ad Augusto piace molto sperimentare e provare a lanciare

prodotti nuovi, ma anche riproporre quelli vecchi, quasi dimenticati o sconosciuti. “È un creativo, ma non lo da a vedere - sostiene il collega Giacomo Perletti parlando di lui -. Augusto infatti mi racconta di un prodotto che a lui piace molto, ma non è commercializzato. Si chiama fiurìt e in quelle zone era molto utilizzato in abbinamento con la polenta o, semplicemente, bevuto come latte. Si raccoglie durante la preparazione della ricotta. Quasi raggiunta la temperatura di affioramento della ricotta, se ne raccoglie il “fiore”, cioè il primi fiocchi che vengono a galla. Ne risulta una bevanda liquida perché contiene molto siero. Anni fa era una produzione particolarmente conosciuta ed apprezzata in zona". Tornando alla bottega, “per me è stata una prova - spiega Augusto -. Mi è stata proposta e ho accettato. Sono molto contento, anche perché la bottega mi ha dato l’opportunità di far conoscere e vendere i nostri prodotti, ma non solo. Ho avuto modo anche di conoscere le molte persone arrivate a Oltressenda”. Az. agricola Chioda Augusto tel. 340 2905794

I protagonisti

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Inaugurato a Nasolino di Oltressenda Alta lo spaccio per la vendita diretta dei prodotti: formaggi, ma anche salumi, miele, piccoli frutti e confetture

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L'INIZIATIVA re, acquistare e vivere un pizzico di montagna come la vivono i giovani allevatori che hanno dato vita a questo progetto. La struttura è di proprietà comunale. “Era una vecchia cantina oramai adibita esclusivamente a deposito - spiega il sindaco Michele Vanoncini -. Lo spazio è gestito da tutti i produttori coinvolti come se fosse un mercato. L’ambiente è rustico, caratterizzato dalle bellissime e caratteristiche volte tipiche delle cantine di un tempo. Arredato con dei semplici scaffali in legno e un banco frigo in cui

dandoli poi in comodato d’uso gratuito agli allevatori. “La speranza è quella di ricreare un punto di riferimento e di ritrovo per i produttori, ma anche per tutta la comunità di Oltressenda alta - dice ancora il sindaco -. L’apertura della Bottega è stato un piccolo passo a cui ne dovranno necessariamente seguire molti altri, ma la parola d’ordine è: avanti tutta!”. In bottega è possibile acquistare i formaggi prodotti dai quattro allevatori locali: Giulio Baronchelli, Giacomo Perletti, Davide Buelli e Augusto Chioda.

tenere i prodotti freschi. Il retrobottega è visibile grazie a una grande vetrata ed è stato trasformato in una vera e propria cantina, ripristinando il primario uso di quell’ambiente". L’Amministrazione comunale ha da subito trovato interessante questa iniziativa tanto che si è fatta carico dei lavori di ripristino e ristrutturazione dei locali,

Ma non solo. “Abbiamo sentito l’esigenza di differenziare l’offerta introducendo anche i salumi, il miele, i piccoli frutti e le confetture”. I salumi sono prodotti dall’azienda agricola Cavagna Mauro di Spettino, frazione di San Pellegrino, una piccola azienda agricola che possiede un macello aziendale e una zona adibita alla trasformazione delle carni suine,

I protagonisti

Giulio Baronchelli

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"Così valorizziamo la produzione casearia e sosteniamo l'economia del territorio" Ha 46 anni ed è la persona che ha stimolato maggiormente la Bottega nella fase iniziale del progetto. “Un giorno sono venuto a conoscenza della possibilità di aprire uno spaccio simile ad un mercato, senza vincoli burocratici e fiscali tra noi. Ho presentato quindi il progetto all’amministrazione comunale che l’ha accolto con entusiasmo”, racconta Giulio Baronchelli, che segue l’azienda agricola familiare allevando

bovine, ovine ed equine. Le confetture, i piccoli frutti e il miele invece sono prodotti dall’azienda agricola Agrigiò di Gandellino, che ha subito aderito ufficialmente al progetto. La bottega non offre solo la possibilità di acquistare i prodotti, ma anche di assaggiarli. Si possono gustare degli abbondanti taglieri di salumi e formaggi, accompagnati da un bicchiere di vino prodotto dall’Azienda vitivinicola “La Collina” di Grumello. Il vero e proprio banco di prova del progetto è stato durante il mese di agosto, in cui la bottega è rimasta aperta tutti i giorni. Numerose le persone che sono passate, che hanno assaggiato e acquistato. I produttori raccontano di un bel riscontro e della ferma volontà di continuare con il progetto. Il riscontro arriva anche dai produttori come Agrigiò che hanno deciso di sposare il progetto e da altri agricoltori che ufficializzeranno presto il loro ingresso. Non più quindi solo quattro produttori: in circa un mese sono diventati ufficialmente cinque, ma aumenteranno molto presto. Intanto i protagonisti di questo progetto sono i fondatori, piccoli produttori locali, con le loro formagelle e i loro stracchini. Sono tutti e quattro giovani e vogliosi di far conoscere le loro produzioni casearie e il loro territorio. Si potranno trovare tutti i fine settimana in bottega, disponibili a raccontarsi e a raccontare il proprio territorio. bottegadeisapori.oltressenda@gmail.com Aperture: il sabato e la domenica dalle 10 alle 19


ottobre 2014

L'ultimo arrivato ha un obiettivo in più: ridare vita alla Contrada Bricconi Giacomo Perletti è il più giovane tra i produttori, nonché l’ultimo arrivato in Valzurio. 27 anni, originario di Grumello del Monte, a seguito degli studi in Agraria e della passione per la montagna e l’allevamento, ha preso in gestione Contrada Bricconi con un grande e ambizioso progetto: ridonarle vitalità. Alleva alcuni capi di razza Grigia e dallo scorso aprile produce formaggelle e stracchini a munta calda, non riscaldando cioè il latte, ma lavorandolo subito dopo la mungitura. Nel futuro, saranno molte le novità per questa neonata azienda che da qualche mese ha accolto anche Matteo Trapletti, classe 1989 e fidato aiutante di Giacomo. “Siamo molto contenti dell’inizio di

quest’esperienza - spiega Giacomo -. Il mese di agosto sono passate tantissime persone. L'obbiettivo è quello di attirare visite durante il fine settimana, infatti la bottega resterà aperta il sabato e la domenica”. Un progetto molto ambizioso quello intrapreso da questi giovani agricoltori, un percorso ancora tutto da costruire e da alimentare. Tanta la voglia di fare e la buona volontà, con la speranza che questi territori mantengano vitalità e non vengano definitivamente abbandonati.

Matteo Trapletti e Giacomo Perletti

I protagonisti

Giacomo Perletti

Az. agricola contrada Bricconi tel. 334 8219494

Davide Buelli

Dalle capre alle mucche, il sogno di fare l'allevatore s'è avverato Una bella storia quella di Davide Buelli, 32 anni. Un sogno, quello di fare l’allevatore, che si realizza. “Da bambino volevo fare questo mestiere - spiega - ho iniziato quindi ad acquistare le prime capre e pecore e nel 2000 la prima vacca. Si chiamava Castagna”. La sua stalla è a Villa d’Ogna e produce formaggelle, stracchini e formaggi di monte stagionati. Nel periodo estivo si sposta in alpeggio a Colle Palazzo, dove ha una baita in cui produce i suoi formaggi con il latte dei bovini al pascolo. Il lavoro di caseificazione avviene subito dopo ogni mungitura a partire da latte crudo che, per la produzione delle formaggelle, viene riscaldato fino a 37°C circa. Poi viene ag-

giunto il caglio e una volta formata la cagliata, essa viene rotta fino ad arrivare a una dimensione “a nocciola”. La particolarità è che la pasta viene poi cotta a differenti temperature. “Se le vacche hanno mangiato fieno, nel periodo invernale, la cuocio a 40°C, mentre nel periodo estivo la temperatura è un poco più alta di qualche grado” rimarca Davide, che possiede circa 30 capi, di cui circa 15 in lattazione. Az. agricola Buelli Davide tel. 333 4337645

circa 25 animali di razza Bruna. D’estate i suoi animali sono in alpeggio con un altro allevatore. Nel periodo invernale invece li segue direttamente lui e con il loro latte produce il formaggio, in particolare formaggella e formaggio stagionato. “La mia formaggella - spiega Giulio - è prodotta riscaldando il latte a circa 35°C, aggiungendo il caglio e, una volta affiorato il formaggio, la taglio molto fine. Successivamente la riscaldo a temperature maggiori dei miei colleghi, fino a quasi 45°C, come il formaggio da stagionare. Questo mi permette di aumentare i giorni di affinamento, lasciando stagionare le mie formaggelle anche due o tre mesi”. Anche per Giulio l’obbiettivo è quello di poter valorizzare la produzione casearia locale e il territorio stesso. Az. agricola Baronchelli Giulio tel. 338 3630253

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FACECOOK

alla scoperta dei social chef

di Laura Ceresoli

I fratelli Franco e Darix Cinesi, di Piangaiano, hanno preso la valigia giovanissimi. Dal 2008 sono a Bath, in Inghilterra, dove con il loro Rustico Bistro sono ai primi posti della classifica di Tripadvisor

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Quando l’estero è un'avventura per due ono nati e cresciuti a Piangaiano, piccola frazione di Endine, nel cuore della Val Cavallina. Ma ai fratelli Franco e Darix Cinesi quel paesino di un migliaio di anime ha cominciato ben presto a stare stretto. Erano poco più che adolescenti quando, sfidando la sorte, decisero di fare le valige e partire per Birmingham per imparare l’inglese. Loro, d’altronde, avevano una

mentalità aperta e una decisa propensione a girare il mondo. Quello fu solo l’inizio di una lunga avventura culinaria che, dalla prima gavetta nei pub britannici fino alle esperienze più consolidate nei locali caraibici, prosegue ancora oggi. Franco, 42 anni, e Darix, 46, sono infatti i titolari del Rustico Bistro, piccolo locale che fa capolino nella città termale di Bath, in Inghil-

terra. Mattoni a vista, sedie rustiche in legno e menù tipicamente casalingo caratterizzano questo ristorantino dall’atmosfera raccolta e familiare. Un insolito tocco di orobie nella contea di Somerset dove fish and chips e hamburger cedono il passo a penne con pomodoro e basilico, salsiccia di cinghiale con fagioli o antipasti a base di salame, mozzarella e bresaola.

L’INTERVISTA / FRANCO CINESI

«Ora gli inglesi stanno imparando ad apprezzare la vera Com’è nata la sua passione per la cucina? «Avevo 16 anni quando ho deciso di lasciare Piangaiano e partire per Birmingham, in Inghilterra, per imparare l’inglese. Poi, tramite conoscenze, io e mio fratello Darix siamo andati a lavorare ai Caraibi: prima alle isole Cayman, per tre anni io e cinque Darix, e poi alle Bermuda (12 anni io e 16 Darix). Nel mezzo abbiamo anche fatto ritorno a casa per aprire una birreria con cucina a Sovere con altri due nostri fratelli: qui sono rimasto tre anni e Darix uno solo, ma è stata un’esperienza molto positiva. Quindi siamo tornati alle Bermuda e, dalla fine del 2008, ci siamo trasferiti a Bath, seguendo il consiglio di vari amici italiani che dalle Bermuda si erano trasferiti qui in Inghilterra». Oggi gestite insieme il Rustico Bistro, nel cuore di Bath… «Sì, siamo entrambi maître di sala ma quando i due nostri chef sono di riposo, Darix si mette ai fornelli». Riuscite a far conoscere la cucina bergamasca agli inglesi? «Non è sempre semplice. Per esempio la polenta nel Regno Unito è usata più per fare dolci che altro. Comunque ci proviamo a inserirla in piatti come il cappone o la selvaggina». È vero che gli stranieri hanno una visione stereotipata della cucina italiana? «Sì, hanno una visione distorta. A volte addirittura non apprez-

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zano le cose fatte bene e amano la pasta annacquata di crema o piatti che in Italia proprio non esistono. La colpa è di tanti ristoratori che pur di lavorare hanno arrangiato le nostre ricette ai gusti locali. Questa è una cosa che noi odiamo ma purtroppo avviene. Poi qui in Inghilterra è pieno di grandi catene che si spacciano per italiane come Ask, Strada, Pizza express, Carluccio’s, ma di italiano hanno solo il nome. Per fortuna, con l’avvento dei voli low cost, gli inglesi viaggiano di più e possono assaggiare in Italia la nostra vera cucina. Così, quando tornano a casa, vanno alla ricerca di ristorantini a conduzione famigliare dove la pasta è servita al dente e il tiramisù è fatto con il mascarpone e non con la crema pasticcera, come fanno molti qui. In America è anche peggio». A quali chef vi ispirate? «A nessun cuoco famoso ma a vari colleghi che abbiamo visto all’opera. Due su tutti, Max Olivari di Brescia e Luca Beccalli di Lecco». Vi piace pubblicizzare i vostri piatti e la vostra attività attraverso i social network? «Abbiamo una pagina Facebook e un sito con foto, menù e informazioni varie». Cosa ne pensate delle recensioni di Tripadvisor? «Un po’ per mancanza di tempo, un po’ perché siamo poco av-


ottobre 2014 E nelle giornate più fredde, accanto ad un piatto di selvaggina fumante, Franco e Darix aggiungono sempre un po’ di polenta, pietanza regina della tradizione bergamasca. All’interno di una carta semplice, ma golosa e ruspante, spiccano poi i grandi classici della cucina italiana, dalle lasagne alla bolognese agli gnocchi di patate, dai calamari fritti alla porchetta, dal fegato alla veneziana ai saltimbocca di maiale, il tutto accompagnato da croccanti bruschette. C’è infine la torta tiramisù servita con una pallina di gelato alla panna. Il Rustico è talmente apprezzato dai palati britannici che su Tripadvisor si è già piazzato all’undicesimo posto su 443 ristoranti recensiti a Bath. «Piccolo ma bel ristorante gestito da simpatici italiani. Ambiente confortevole e pulito. Noi, con bambini al seguito, abbiamo optato per le ottime bistecche di carne. I prezzi sono nella norma. Se capitate a Bath è un posto sicuramente consigliato», scrive Bobalik da Porto San Giorgio. «Ottimo servizio, ottima cucina, atmosfera calorosa e staff gentile. Ci

sono andata spesso quando vivevo a Bath», conferma Aleksija85 di Trieste. Grazie ai 363 commenti quasi tutti positivi, quest’anno il locale ha ricevuto da Tripadvisor l’ambito Certificato d’eccellenza. D’altronde, per ben 270 utenti il Rustico è “eccellente”, “molto buono” per 60 navigatori e nella media per 16 clienti. Solo sei hanno azzardato uno “scarso” e due hanno dato un voto “pessimo”. Alla tavola dei due bergamaschi non sono mancati gli ospiti illustri. Nella foto di apertura Darix (a sinistra) e Franco (a destra) con l’attore Henry Winkler, il Fonzie di Happy Days Qui sotto, fuori dal loro locale

cucina italiana» vezzi a queste cose, abbiamo deciso da subito di non rispondere mai alle recensioni che compaiono su Tripadvisor, né a quelle belle né a quelle brutte che, per fortuna, sono pochissime». Cosa ne pensate di chi cucina in televisione? «La ristorazione è cambiata molto e credo che i media abbiano fatto la loro parte, specialmente con programmi come Masterchef e simili. Oggi accendi la tv e vedi qualcuno che spadella dalla mattina alla sera, ma in un ristorante tradizionale è cosa ben diversa. I media possono essere utili per farsi conoscere e tenere i clienti informati su novità, eventi, nuovi menù, ma spesso contribuiscono a dare una visione distorta della vera cucina. Il nostro non è affatto un lavoro semplice come può sembrare in televisione. Saper trasformare cibi in piatti raffinati e gustosi, tenendo conto della stagiona-

lità dei prodotti e della loro provenienza, è una vera scienza». Torna spesso nella sua terra natale? «Un paio di volte all’anno torno a trovare mia mamma e i miei fratelli». E che sensazione prova quando torna a casa? «Viaggiando molto, ho potuto capire come funziona la cucina di altri Paesi. Così, quando torno a casa e assaporo i nostri cibi e le nostre tradizioni, mi mangio il fegato perché penso sempre che dovremmo essere il miglior Paese al mondo, e per alcune cose lo eravamo, e invece siamo solo così così». Ha mai pensato di ritornare a Bergamo? «Chi lo sa? In futuro magari tornerò a vivere a Bergamo, ma non a fare questo mestiere».

Firme on line

Pizza e birra, due petizioni per difenderle

Gli appassionati dell’accoppiata pizzabirra (e non sono pochi) sono chiamati a dare il proprio supporto in difesa dei due prodotti firmando una petizione on line. Quella sulla pizza è promossa dall’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio e chiede che la Commissione italiana per l’Unesco proponga l’inserimento dell’Arte della Pizza nella “Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità”. Il riconoscimento vuole proteggere la pizza, e l’economia ad essa legata, dal fenomeno dell’Italian sounding e salvaguardare il made in Italy. Il dossier era già stato presentato ufficialmente nel marzo del 2011, ma dal 2012 l’Unesco ha cambiato procedura e chiede ai singoli paesi di segnalare una sola proposta ogni anno per il patrimonio immateriale. La petizione – che ha raccolto ad oggi 25mila firme – chiede che nel 2015, anno dell’Expo, sia il progetto sulla pizza ad essere portato avanti. Anche la Fipe sostiene l’iniziativa e pubblica un banner su proprio sito (www.fipe.it) da cui accedere alla piattaforma per la firma on line. Sulla birra è scesa invece in campo AssoBirra, l’associazione dei produttori industriali, per convincere il Governo e il Parlamento ad annullare l’aumento delle accise previsto a gennaio 2015 e a ridurre la pressione fiscale sulla birra. La campagna, forte oggi di 110mila sostenitori, ha già ottenuto il congelamento dell’aumento previsto il primo marzo di quest’anno. «Se l’aumento previsto a gennaio 2015 entrerà in vigore, quasi un sorso su due della nostra birra se ne andrà in tasse – denuncia l’associazione -. È una situazione insostenibile, per i 35 milioni di italiani che hanno il piacere di bersi una birra, per gli oltre 500 produttori italiani e per le 140.000 persone che lavorano con e nel settore». www.salvalatuabirra.it

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TENDENZE di Riccardo Lagorio Il prezzo del latte all’ingrosso è in crescita e sta portando alla nascita di allevamenti in pianura, con anche 300 capi in lattazione, che conferiscono ai grandi caseifici. Morali: «Un tempo chi acquistava formaggi caprini cercava sapori forti, oggi ci si avvicina di più a prodotti aromatizzati o che “non hanno l’odore di capra”»

Capre, si fa largo la dimensione “industriale”

L

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e differenze gastronomiche e culturali disegnano paesaggi agricoli molto diversi tra loro e configurano modalità organizzative e tecniche di allevamento altrettanto distanti. Basti pensare all’immagine stereotipata e bucolica degli allevamenti bovini da carne in Francia, che avviene su grandi spazi all’aperto (estensivi), e quanto accade in pianura padana dove i bovini sono allevati prevalentemente per la produzione di latte, al chiuso di stalle e capannoni (allevamenti intensivi). La diversità è ancora più tangibile per gli allevamenti caprini, attività ancora in via di sviluppo nel nostro Paese e correlata in generale all’idea di zone degradate o marginali. Qualcosa è andato però cambiando dagli anni Novanta ad oggi. Nel volgere di circa vent’anni il concetto di allevamento caprino si è trasformato:

da comparto marginale ha finito per assumere il carattere di settore fortemente innovativo, interpretando peraltro tratti distintivi moderni sotto il profilo sociale ed economico. E di conseguenza ambientale. In Lombardia dal censimento Istat dell’Agricoltura del 1990 a quello del 2010 si evidenzia, in particolare, un continuo incremento del patrimonio di capi, in via di leggero rallentamento nell’ultimo decennio. Varese, Brescia e soprattutto Bergamo sono le aree di maggiore concentrazione di tale patrimonio. A differenza delle Regioni meridionali ed insulari, dove il consumo di carne di capra è più frequente e distribuito durante tutto il corso dell’anno, in Lombardia il consumo di carne di capra si concentra durante il periodo natalizio e pasquale. Così il latte rappresenta, sotto il profilo economico, la

principale produzione fornita dall’animale, costituendone i quattro quinti del reddito. La destinazione preminente è la trasformazione casearia mentre il consumo diretto di latte, particolarmente indicato nell’alimentazione infantile, è ancora trascurabile. «In generale negli anni il numero di allevamenti è in costante ascesa, anche come soluzione alternativa per coloro che allevavano bovini e si sono trovati a dovere far fronte al problema delle quote latte - dice Demetrio Cerea della Coldiretti di Bergamo -. Per chi possiede un allevamento di capre diventa poi pressoché necessario aprire un agriturismo, anche per la stagionalità della produzione di latte, in genere indisponibile tra novembre e gennaio, e quindi poco remunerativo su base annuale». Ma, soprattutto, gli allevamenti di capre


ottobre 2014

richiamano l’attenzione da parte dei giovani. Non sono infatti rari i casi di ritorno alla campagna da parte di soggetti con buona qualificazione intellettuale, come Paolo Rotoli di Clusone, che ha trasformato la propria passione in lavoro all’inizio del corrente decennio. Nonni contadini, genitori fagocitati dall’industria nascente degli anni Sessanta in Val Seriana, ha realizzato da perito informatico il controesodo: dal terziario alla terra. «Sono partito con pochi animali, cinque capre, un paio di maiali, qualche pollo e qualche coniglio – racconta -. Ma, grazie all’apertura dell’agriturismo mi sono adeguatamente specializzato: ora produco mezza dozzina di tipologie di formaggio: stracchino, caprino fresco, formaggella, formaggio aromatizzato, con timo, peperoncino o sesamo. Poi bisogna occuparsi delle api e curare le piante dei frutti di bosco: lamponi, mirtilli, more e ribes. Il solo allevamento di capre non sarebbe sufficiente a garantire un reddito necessario a vivere. In breve, non ripago la stalla vendendo formaggi, ma facendo accoglienza nell’agriturismo», rivela. Inoltre si è avuta un’erosione del margine di guadagno abbastanza consistente negli ultimi sei anni. il prezzo medio del formaggio è salito da 11 a 12 euro al chilogrammo, ma un quintale di mangime costava 27 euro e ora ne costa 40… C'è anche l’esperienza di Lucia Morali, di professione maestra, che 26enne negli anni Novanta decise di aprire, tra le prime esperienze in provincia di Bergamo, un allevamento di capre. «Vent’anni fa il formaggio di capra era un bene raro e pochi lo consumavano – ricorda -. Si era legati al concetto di formaggio per generazioni passate. Oggi è più semplice venderlo, le tivù, i medici persino lo consigliano per il basso contenuto di colesterolo, ma nel frattempo anche i pro-

duttori sono aumentati… Ma soprattutto il consumatore di formaggio di capra è cambiato rispetto a vent’anni fa. Lo acquistava chi pretendeva gusti forti; ora l’acquirente è di due tipi: chi continua a volere quel formaggio forte e chi chiede formaggi aromatizzati magari al mirtillo, alla curcuma, alle noci. Ma non solo: la clientela premia chi offre prodotti insoliti come blu di capra e formaggelle che... non hanno l’odore di capra, come i primo sale. Molto spesso assistiamo al passaggio dalla seconda categoria alla prima, dopo un periodo di “prova”». Andamento a due velocità, talvolta ambiguo, che trova riscontro nelle parole di Fabio Carlo Bencetti, veterinario libero professionista, che collabora con l’Associazione Provinciale Allevatori di Bergamo e Milano-Lodi proprio nell’ambito ovicaprino. «Si è assistito ad un incremento molto rapido di capi allevati all’inizio degli anni Novanta sino a metà del decennio, grazie all’apertura di nuove aziende agricole – rileva -. Gli allevamenti caprini di cui si parla sono però intensivi: le capre non pascolano come avviene ad esempio in Valtellina e devono essere considerate come se fossero vacche da latte. Poi la nascita di allevamenti ha avuto un rallentamento intorno ai primi anni Duemila, ma oggi ci troviamo di fronte ad un avvenimento nuovo e per certi versi inaspettato». Bencetti si riferisce all’insediamento, in aree di pianura facilmente raggiungibili da parte dei grandi caseifici industriali, di allevamenti di grandi dimensioni, con anche 300 capi in lattazione. Sino a un lustro fa i fornitori di latte di capra per la trasformazione industriale erano Paesi Bassi, Spagna e Germania. Il costo di un litro di latte si assestava intorno al mezzo euro, che escludeva di fatto la possibilità per la nostra agricoltura di com-

petere, in considerazione degli alti costi fissi di gestione. L’arrivo sui mercati internazionali di Russia e India ha determinato due conseguenze, correlate l’una all’altra. «La prima è l’impossibilità di fornire latte di capra in quantità adeguata al mercato italiano da parte dei Paesi produttori – evidenzia -, ma soprattutto l’incremento dei prezzi all’ingrosso per litro di latte. In questo modo imprenditori agricoli che crescevano bovini hanno diversificato l’offerta, inserendo capre nei loro allevamenti poiché nel frattempo la richiesta di latte di capra aveva fatto schizzare il prezzo di un litro di latte sino a 0,75 centesimi, con punte di 0,80 centesimi negli ultimi tre anni». A differenza delle aziende di montagna o di collina, questi grandi allevamenti non offrono una filiera corta, ma solamente immettono latte nella catena produttiva e la trasformazione avviene da parte dei caseifici. «Per queste aziende destagio-

nalizzare i parti è la regola: i grandi caseifici non ammettono l’interruzione fisiologica di fornitura di latte. Interi greggi o parti consistenti di essi vengono quindi portati in asciutta tra luglio ed agosto, quando il mercato preferisce frutta e verdura. Il timore è che l’entusiasmo provochi eccessi e, poiché il mercato di latte caprino si satura con facilità, quando la domanda tornerà ai livelli fisiologici, potremmo assistere a pesanti débacle», è l’avvertimento dell’esperto. L’allevamento caprino in Lombardia ed in provincia di Bergamo gode quindi nel breve periodo di buone prospettive, vista la tenuta dei mercati esteri che impediscono l’arrivo di latte in Italia. E di conseguenza buon reddito ai produttori locali. Ma è un po’ lo specchio del Paese: difficile fare programmi e previsioni con un’economia che non ha certezze nel futuro.

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LA NOVITÀ di Giordana Talamona

Vino, anche il tappo è una scelta strategica Un ditta trentina ha brevettato un metodo che potrebbe eliminare il rischio di contaminazione da TCA. Nell'attesa della svolta, Sergio Cantoni, direttore del Consorzio di Tutela del Valcalepio, fa il punto sulle chiusure, dove nella scelta non mancano problemi culturali e di marketing

È

tutto italiano il brevetto che “dovrebbe” risolvere il problema del sentore di tappo nei vini. Il condizionale è d’obbligo, perché non è la prima volta che un’azienda del settore dichiara d’aver trovato la panacea per uno dei fenomeni più temuti dai produttori di vino. Secondo la ditta trentina Brentapack, del gruppo vicentino Labrenta, questa sarebbe la volta buona, grazie allo studio portato avanti col dipartimento di Fisica dell'Università di Trento. La nuova tecnica di sanificazione delle chiusure in sughero andrebbe quindi a eliminare il rischio di contaminazione da TCA, il temuto tricloroanisolo, composto responsabile del fastidioso odore gusto di tappo. Un problema tutt’altro che trascurabile, che interessa almeno il 2-3% dei tappi, e di conseguenza dei vini immessi in com-

mercio. Anche per questo, al classico tappo monopezzo in sughero naturale, si sono affiancati in questi anni altre chiusure, come il tappo tecnico, in silicone, a vite e in vetro. La scelta della chiusura di una bottiglia, dunque, si rivela strategica da molti pun-

Sergio Cantoni

ti di vista. A confermarcelo è anche Sergio Cantoni, enologo e direttore del Consorzio di Tutela del Valcalepio, che già da tempo ha scelto metodi di chiusura alternativi per i vini del territorio. “A parte il Valcalepio Doc, per il quale è previsto specificamente nel disciplinare il tappo di sughero, per gli altri vini del territorio non c’è questa prescrizione, tanto che ogni azienda è libera di fare scelte diverse. Per l’Igt Bergamasca, per esempio, vengono utilizzati quasi sempre i tappi in polietilene, materiale che non ha mai dato alcun problema su vini da consumarsi abbastanza velocemente. Mentre nel caso della Doc Terre del Colleoni ci siamo indirizzati subito verso i tappi tecnici, utilizzati anche per i Valcalepio bianchi e rosati, vini più sensibili al sentore di tappo perché il TCA si solubilizza

I sapori liguri conquistano Villa d’Ogna Menù e prodotti tipici, artigianato, storia e tradizioni alla Festa della Natura che ogni anno porta in piazza le specialità di una diversa regione d’Italia

Roberto Bonalda con gli allievi della scuola alberghiera di Clusone

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La piccola piazza di Ogna, in comune di Villa d’Ogna, da quattro anni a questa parte diventa per un fine settimana un’enclave di sapori e delle tradizioni di una regione italiana. Accade per la “Festa della Natura” organizzata dall’associazione Csi C’entro parrocchiale Ogna, che dopo aver fatto assaggiare le specialità del Friuli, delle Marche e della Valle d’Aosta, quest’anno ha acceso i riflettori sulla Liguria. Nel fine settimana del 27 e 28 settembre, grazie al Gruppo Storico Sestrese, il borgo si è animato di un mercato tardomedievale ligure, con l’oste, il fornaio con tanto di focaccia, gli ortolani intenti a preparare il pesto nel mortaio, i pescatori, ma anche il cambiavalute, lo scrivano, la merlettaia con il prezioso macramé, la candelaia. Accanto a loro, gli stand delle produzioni artigianali di oggi, quella del vetro soffiato, della filigrana, delle sedie chiaverine e poi salumi, formaggi, dolci e olio (dell’azienda Novaro, famiglia che ha fondato l’Olio Sasso). Il tutto accompagnato dalla musica, dalle danze e dai canti tradizionali, oltre che da un suggestivo omaggio ai cantautori genovesi. Il clou per i più golosi era rappresentato dal pranzo della domenica, per un massimo


ottobre 2014 meglio a freddo. Per il Valcalepio rosso, invece, siamo ancora sul sughero monopezzo”. Il cosiddetto tappo in silicone, in realtà fatto in polietilene, è costituito da un nucleo centrale in schiuma, mentre il tappo tecnico è composto da sughero frantumato, poi sanificato, che viene ricomposto utilizzando il 30-35% di polietilene espanso. Va da sé che il sentore di tappo impatta economicamente sulle aziende vinicole, costrette spesso a ritirare parte del vino in commercio. “Le aziende produttrici di sughero si trincerano dietro alla garanzia del 97-98% di prodotto non contaminato, con tutto quello che ne consegue per i produttori di vino. Capita spesso evidenzia Cantoni - che, a fronte di una bottiglia dal sentore di tappo, un ristoratore si faccia sostituire l’intero cartone. E d’altra parte l’ipotesi che le rimanenti bottiglie abbiano quel difetto non è tanto lontana dalla realtà, perché quando la plancia di sughero è contaminata, è probabile che tutti i tappi prodotti siano stati smistati nello stesso sacchetto”. Senza contare che il tappo di sughero costa mediamente di più, rispetto ad altre chiusure alternative. Un tappo monopezzo va dai 16 e i 40 centesimi al pezzo, in base alla qualità del sughero, al diametro e alla lunghezza. Poi c’è il birondellato, ossia quel tappo tecnico che ha due rondelle di sughero per lato, il cui prezzo può aggirarsi sugli 8-15 centesi-

mi. A scendere troviamo l’agglomerato che si aggira sui 5 centesimi e che oggi, rispetto al passato, è ricomposto con il polietilene. Negli ultimi anni, anche per questo, più di un tecnico ha proposto l’utilizzo del tappo a vite Stelvin, composto da una capsula di metallo a vite, che permette la facile chiusura e la riapertura della bottiglia. E come la mettiamo con la microssigenazione del vino garantita, a quanto pare, dal tappo di sughero? In realtà più di uno studio metterebbe in dubbio quello che, per anni, è stato venduto agli appassionati con sacralità estrema e che, diciamocelo chiaro, ha rappresentato la fortuna delle aziende produttrici di sughero. In altre parole l’evoluzione del vino attraverso la porosità del sughero sarebbe un falso mito. “È vero che col tempo il vino tende a ossidarsi, ma non tanto per la porosità del sughero - spiega Cantoni - quanto per l’ossigeno che ha recepito nel tempo. Se passa l’ossigeno attraverso la chiusura, significa che il tappo si è seccato, ma questo vale sia per una chiusura in sughero, che in altro materiale”. Qualche anno fa, non a caso, una ricerca dell’Old Bridge Cellars Australian Wine Research Institute aveva provato come il tappo a vite avesse conservato meglio, rispetto qualunque altra chiusura, delle bottiglie di Semillon per oltre 125 mesi. Se dunque anche il mito della microssi-

di 150 persone, con piatti e prodotti esclusivamente liguri, compresa l’acqua, delle Fonti Bauda di Calizzano. «Ogni anno e per ogni regione – spiega il presidente dell’Associazione Severino Legrenzi - lavoriamo attentamente sulla selezione, provando più prodotti e ricette fino a che il menù non ci sembra in grado di rappresentare al meglio i sapori del territorio protagonista. La manifestazione è nata per animare il paese e richiamare visitatori, abbiamo però voluto differenziarci dalle consuete sagre offrendo l’opportunità di conoscere le tipicità di cui l’Italia è ricca. È una formula che sta incontrando molto gradimento e che cercheremo di sviluppare ulteriormente». Ai fornelli lo chef Roberto Bonalda docente dell’istituto alberghiero di Clusone e i suoi allievi. L’antipasto ha portato in tavola acciughe delle Cinque Terre, la “prosciutta” Castelnovese, il salame di Sant’Olcese, la focaccia di Recco e un perfetto tortino di polpo alla genovese con olive taggiasche. A seguire le trofie al pesto nella ricetta originale che prevede anche patate e

genazione del sughero è crollato, perché non passare ad altre chiusure alternative, come il tappo a vite? D’altra parte anche il decreto del 16 settembre 2013, che ha modificato le norme Ue sulle etichettature dei vini, ha cancellato la regola generale che prescriveva l’utilizzo del sughero per le Docg, come Brunello, Barolo e Amarone. “I consumatori non sono pronti - conclude Cantoni -. Nonostante i tecnici siano tutti concordi sul fatto che il tappo a vite sarebbe la migliore soluzione in assoluto, anche per i vini da lungo invecchiamento, gli appassionati l’associano a prodotti di scarsa qualità. Lo stesso dicasi per il bag in box, tra i migliori contenitori per chi vuole bere vino tutti i giorni: è riciclabile, costa meno e garantisce un’ottima tenuta del prodotto”. Problema culturale e di marketing, non c’è dubbio. D’altra parte se il tappo di sughero e la bottiglia di vetro incidono sul costo finale, c’è da chiedersi quale “nettare pregiato” possa esserci in prodotti venduti a prezzi irrisori. La ritualità della stappatura di una bottiglia non pareggia il conto con la delusione per aver aperto un prodotto scadente o, peggio, carissimo ma che sa di tappo. La magia dovrebbe cominciare nel bicchiere, non prima. Ma tant’è, il nostro Paese vive spesso di miti che non possono essere messi in discussione. Peccato che non ci sia futuro nel passato, neanche per il vino.

fagiolini e i pansotti di borragine con salsa alle noci, la cima di vitello ripiena accompagnata da spinaci alla ligure e sformato di porcini, per chiudere con una mousse di amaretti di Sassello e pasticceria ligure. Per valorizzare i vini – tutti liguri e selezionati da un sommelier – si è scelto di non servire la classica caraffa ma di allestire una piccola area enoteca dove acquistare la bottiglia preferita da portare in tavola. Quale sarà la prossima tappa di questo giro d’Italia gastronomico? «Probabilmente ci spingeremo a Sud», anticipa il presidente. "Affaridigola La Rivista" per le immagini della manifestazione

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ottobre 2014

La cena di Tiatò Onlus

A

Cervella, rognoni e stinco. E la solidarietà fa centro nche quest’anno i soci della "Tiatiò Onlus Luca Scarpellini" si sono messi ai fornelli, supportati dall’amico e maestro delle carni, Franco Cazzamali da Romanengo. È accaduto lo scorso 20 settembre all'oratorio di Borgo Santa Caterina, a Bergamo, dove con la cena "Ve a fa ol canù" è stata riaccesa la "connessione" tra palato e cuore. Il primo deliziato da un menù d'altri tempi, grazie a proposte come rognone, cervella fritte, nervetti, arrosto di stinco al barolo, cannelloni alla ricotta (per citare alcuni esempi); il secondo, il cuore, appagato dalla finalità solidale dell'evento. Come tradizione, infatti, Tiatiò devolve il ricavato delle manifestazioni all’associazione Paolo Belli, a

sostegno della ricerca sul cancro. Al succulento invito settembrino hanno risposto in quasi 350, in coda sin dalle 19,30 per assaporare i piatti dispersi della tradizione bergamasca. Numero che è andato ben oltre le previsioni della vigilia. Merito di una organizzazione che non ha lasciato nulla al caso. Come spiega il presidente di Tiatiò, Vincenzo Coppola - avvocato e cuciniere cucina jazz, come ama definirsi - "la differenza tra questa e le altre sagre sta nella sostanza, nella materia prima della massima qualità, offerta ad un prezzo accettabile. Così, godendo assieme dei piaceri della gola, è stato facile condividere i nobili fini della Onlus".

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FUORIPORTA

ottobre 2014

Bergamo mette a confronto le cucine regionali di Trento e Alghero

G

li addetti ai lavori le chiamano "contaminazioni" culturali, un circolo virtuoso, per dirla in altri termini, che attraverso lo scambio di esperienze può favorire la difesa e la valorizzazione del nostro ricco patrimonio enogastronomico. Un concetto caro anche alla bergamasca Marinella Argentieri, che ne ha fatto uno dei valori portanti dei "Ristoranti Regionali – Cucina DOC", l' associazione che guida ormai da anni. L'ultimo esempio è di pochi giorni fa, quando, all’Hotel Carlos V di Alghero, ha fatto incontrare e confrontare l' enogastronomia trentina e sarda, nel corso di una serata che ha visti impegnati i ristoranti "Da Pino" di San Michele all’Adige e "Del Emperador" di Alghero. Realizzata con il contributo della Fondazione M.E.T.A, l'iniziativa ha permesso agli ospiti di assaggiare i piatti della tradizione trentina e algherese abbinati ai vini dell'azienda agricola Zeni e della Cantina Santa Maria la Palma, la più importante produttrice di Vermentino dell’isola. Il tutto arricchito, alla vigilia, anche da due "fuoriprogramma": il primo all'agriturismo S’ena Frisca di Tissi (ottimi la ricotta con crema di mosto, il crudo con fichi d'India, la fregola con verdure e il porcetto), il secondo al ristorante La Speranza, sulla spiaggia di Pollina, regno incontrastato di Tonino Demartis. Eccellenti sia i quattro antipasti algheresi sia le bavette agli scampi, per citare alcune proposte. Il gemellaggio vero e proprio è stato aperto dall'aperitivo con Akenta Brut a base di Vermentino (l’ultimo nato nella Cantina Santa Maria la Palma, battezzato con l’acronimo dell’augurio sardo “A kent’annos”) servito sulla terrazza panoramica del Carlos V in abbinata al Trentingrana Dop. Quindi gli chef Giuseppe Prencipe per il Trentino e Mauricio Marra per la Sardegna hanno avviato le danze. Il menù che ha "unito" le due regioni ha proposto in sequenza: l'insalata di porcini su cotechino di coniglio sfumato all'aceto di mele e l'orzotto mantecato al rosmarino e affogato di Sabbionara da parte del ristorante Da Pino e Rotolo di maialino con cavolo verza, purea di melanzane e patate al forno e Panadas di pecorino e fichi d'India con abbamele per il "Del Emperador". Ora toccherà ai sardi ricambiare la visita con una trasferta in Trentino.

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NELLE FOTO 1) Gli chef Giuseppe Prencipe del ristorante "Da Pino" di San Michele all’Adige e Mauricio Marra (con la divisa nera) "Del Emperador" di Alghero 2) Marinella Argentieri (al centro) consegna a Riccardo Piras e alla moglie Alessia, dell'agriturismo S'ena Frisca, la targa dell'Associazione 3) La consegna della targa "Ristoranti Regionali – Cucina DOC" a Tonino Demartis del ristorante La Speranza

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L’ANGOLO

DEL SINGLE di Marco Bergamaschi

Bucatini alla romana

INGREDIENTI PER 1 PERSONA

PREPARAZIONE

100 grammi di spaghetti 80 grammi di guanciale 50 grammi di pecorino romano olio extravergine di oliva sale e pepe

Fate scaldare in una padella tre cucchiai di olio extravergine di oliva. Aggiungete il guanciale tagliato a listarelle piccole e lasciatelo rosolare fino a che non diventi croccante e il grasso non si sia sciolto nell’olio. Fate cuocere i bucatini in acqua salata e scolateli al dente, tenendo da parte un bicchiere di acqua di cottura. Versate la pasta nella padella col guanciale e amalgamate bene aggiungendo pecorino, pepe e un po’ d' acqua di cottura per creare l’emulsione. Impiattate, cospargete ancora con pecorino grattugiato e godetevi un primo davvero gustoso.

CURIOSITÀ Qualche giorno fa mi sono ritrovato per lavoro a Roma e tra un appuntamento e l’altro, la padrona di casa del B&B dove soggiornavo mi ha cucinato questa semplicissima ricetta. L’ho trovata così buona, gustosa e veloce da realizzare, che ho subito pensato di condividerla con voi. In realtà questo piatto è conosciuto con il nome di “pasta alla gricia” o come “amatriciana in bianco” e possiede delle origini geografiche precise: è nato ad Amatrice in provincia di Rieti, una piccola cittadina al confine con l'Abruzzo grazie ai pastori locali che, con i pochi ingredienti a disposizione, sono stati capaci di creare una ricetta deliziosa. Il guanciale di maiale è mediamente disponibile al banco dei maggiori supermercati e sempre nelle salumerie più fornite della città. Se invece volete utilizzare il “guanciale di Amatrice” doc, è un altro paio di maniche: di solito è necessario prenotarlo. Se non avete in casa il guanciale o non lo trovate, un’alternativa è la pancetta affumicata tagliata a dadini; lo so che rischio di essere considerato un “eretico”, ma il risultato finale, seppur diverso, risulta comunque gradevole. Le differenze tra guanciale e pancetta? Il primo si ricava dalla guancia e da parte del collo di un maiale che abbia almeno nove mesi e la sua particolarità risiede nel fatto che viene condito

esternamente con sale e pepe e spesso anche con aglio, salvia e rosmarino (almeno nel Lazio) e lasciato stagionare minimo tre mesi. La pancetta, che è reperibile più facilmente, si ottiene invece dal tessuto adiposo sottocutaneo dell’addome del maiale. La diversità sta anche nelle calorie: 100 grammi di pancetta contengono 458 calorie, il 45% di grassi, lo 0,66% di carboidrati, l’11,6% di proteine e il 40% di acqua, mentre 100 grammi di guanciale contengono 655 calorie, il 70% di grassi, il 6,4% di proteine e 22% di acqua. Infine è bene dirvi che alcune persone preferiscono non usare l’olio, ma solo il grasso del guanciale sciolto in una padella antiaderente, aggiungendo poi un cucchiaino di aceto bianco per smorzare il sapore forte del grasso di maiale. Ho provato questa variante e non è male, soprattutto se il piatto in questione deve essere consumato alla sera: risulta sicuramente più digeribile e leggero, sempre che di “leggero” si possa parlare.

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Dalla Padella alla Brace La cucina dell’Osteria “Dalla Padella alla Brace”, sempre aperta fino a tarda serata, propone, a chi desidera un pasto non impegnativo, i propri piatti freddi come il “Tagliere di affettati” oppure il “Tagliere di formaggi”, piatti che possono essere accompagnati dal vino della casa. Il menù vero e proprio è molto più ricco e spazia dagli antipasti, in cui spiccano i prosciutti di alta qualità tagliati a mano, ai primi tipici della tradizione bergamasca (casoncelli di carne, gnocchi, tagliatelle al salmì di lepre...) fino ai secondi piatti di carne assortiti secondo la stagione. Ogni giorno potete poi trovare un “piatto del giorno” che rappresenta la nostra proposta per uscire dal quotidiano.

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