Affari di gola settembre 2013

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Supplemento al n. 33 de “La Rassegna” del 19 settembre 2013 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60

settembre 2013

in rassegna sapori, gusti e piaceri del territorio

Expo, Bergamo prepara il rilancio della “Polenta taragna orobica”


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sommario

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settembre 2013

Suppl ement via Borgo o al n. 33 de Palazz o 137, “La Rassegna” Berga mo Poste del 19 settem Italian e S.p.A. bre 2013 - Giuse Spedizione ppe in Abbon Ruggieri diretto ament o Posta re responsabile le - D.L. 353/20 Editrice: La 03 (conv. Rasse in L. 27/02/ gna S.r.l. 2004 n. 46) art.

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Expo, Berga m il rilan o prepara cio de lla “Polen ta orobic taragna a”

PENNA ALL’ARRABBIATA

Va bene la lotta all’evasione, ma inseguire il panettiere forse è troppo

la proposta

“Polenta taragna orobica”, Bergamo prepara il rilancio

12 il dibattito

Birre artigianali, ma il prezzo è giusto?

16 Posta e risposta Sagre e ristoranti, la polemica torna in tavola

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20 la novità

A Malpaga la locanda dei viaggiatori golosi

22 il confronto

Chef e maître, il “duello” è servito

24 la lente

Consorzio Franciacorta, i distinguo dei piccoli produttori

25 il ProGEtto

La Valle Imagna mette in rete le sue bontà

28 la sfida

Alla ricerca dei semi perduti

32 il prezzo fisso Pochi posti, ma buoni

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamo - el. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Michela Brivio, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg



Va bene la lotta all’evasione, ma inseguire il panettiere forse è troppo di Pier Carlo Capozzi

U

na premessa è d’obbligo: abbiamo rispetto per l’operato della Guardia di Finanza e siamo profondamente convinti che non esista nazione orgogliosa del proprio operato se non quella dove ogni cittadino si comporti da contribuente onesto. Abbiamo invece forti dubbi sul sistema fiscale italiano e sulla politica di repressione nei confronti dei cittadini che hanno un’attività in proprio. Perché di repressione si tratta. E siccome i rilanci mediatici portano a galla sempre le stesse categorie di malfattori (ristoratori e pubblici esercizi in prima linea da sempre), ecco che le perplessità si trasformano in contrarietà, che potrebbe ampliarsi in irritazione, considerando il momento. Lo spunto per queste righe è un recentissimo blitz (!) ai danni di un panettiere che stava effettuando la sua solita consegna ad un ristorante in Val Cavallina. Lo hanno seguito nell’evidente convinzione che il malandrino fosse in combutta col ristoratore (una buona insegna certo, ma un locale a conduzione familiare, non un matrimonificio con numeri da capogiro) e questo mi suona strano perché controllare il rifornimento di pane, latte, brioches e quant’altro di giornaliero per un locale pubblico, è in effetti operazione semplicissima. Perché c’è un contratto (tra fornitore e cliente) all’origine con una firma da applicare ad ogni consegna che rende l’operazione trasparente e verificabile. In Val Cavallina non è andata così e il povero prestinaio, trattenuto come ostaggio, ha dovuto ritardare le consegne, sentendosi pure le “benedizioni” degli ignari clienti entrati in allarme. L’episodio, che non ha prodotto nessun verbale da redigere, ha richiamato alla mente un’impresa analoga, stavolta ambientata in Valle Imagna, nel luglio scorso: protagonista, ancora, un sacchetto di pane, 81 centesimi di valore per l’esattezza, nelle mani di un distinto signore ottantenne che stava uscendo dal panificio. Lo scontrino, anche stavolta, sventolava all’interno del sacchetto. Voi direte: “E tutte le volte che invece hanno pescato i mascalzoni senza ricevuta ? E la storia che, su dieci controlli, quasi sette sono beccati in fallo?” Insisto, qui non è in discussione il principio, le perplessità derivano da come vengono instradate le truppe. E, per ca-

pirne meglio, abbiamo letto gli “obiettivi per i controlli 2013” da parte dell’Agenzia delle Entrate, in sinergia con le Fiamme Gialle. “In particolare - si legge - saranno effettuati 400mila controlli in materia di scontrini e ricevute, con un’accurata pianificazione che tenga conto del luogo (ad esempio prefestivi o festivi, orari pomeridiani e serali, con riguardo ai luoghi di villeggiatura nelle località turistiche) per controllare i contribuenti che risultino avere maggiore propensione alla violazione degli obblighi previsti”. Perché, dunque, stupirsi per le retate eclatanti di Cortina, Porto Cervo, Taormina e Portofino? Un ristoratore sardo ha dichiarato: “Ormai lo sappiamo, in stagione ci capitano tre/ quattro controlli”. In una ricerca precedente ci eravamo imbattuti in due righe terribili: “Nella fase preparatoria al controllo può risultare utile interrogare le inserzioni pubblicitarie su “Pagine Gialle” e “Pagine Utili” e “rilevazione del prezzo medio praticato (a tal fine potrà risultare utile anche la consultazione di guide specializzate del settore)”. A dirla tutta, inizialmente erano specificate la Michelin e la Guida del Touring Club. Nella metodologia di controllo! Va da sé che, se questi sono i criteri, i controllati sono sempre quelli, nonostante sia risaputo che sarebbe più agevole frodare il fisco vendendo la pizza al taglio piuttosto che farlo da ristorante stellato. In una nazione con gli stipendi più bassi a fronte del costo del lavoro più alto, dove dobbiamo lavorare sette mesi senza profitto per salvare le casse dello Stato, ebbene in questa nostra bella Italia avremmo diritto ad un sistema fiscale più equo, a procedure burocratiche più snelle, che non facciano cadere alcuno nella tentazione di pagare in nero. A controlli che non prevedano il “tovagliometro”, acciderba, e che non siano punitivi a prescindere, anche solo per l’atteggiamento. Un panorama nuovo, con maggiore serenità e fiducia, evitando di sbattere in prima pagina i soliti mostri che mostri non sono. Come in un film. A proposito, Burt Lancaster giudicava un ristorante dal suo pane. A patto che il prestinaio riesca a consegnarglielo. piercapozzi@libero.it

penna all’arrabbiata

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La proposta di Laura Bernardi Locatelli

In campo un pool di esperti e produttori con l’obiettivo, in vista dell’Expo, di definire gli ingredienti e rilanciare un piatto che non ha mai conosciuto crisi. Sotto i riflettori lo Spinato di Gandino, il Rostrato rosso di Rovetta e il Nostrano dell’Isola, oltre ai fiori all’occhiello della tradizione casearia bergamasca: Branzi, Formai de Mut Dop e Bitto storico. E dopo la Sagra di Branzi, a fine novembre, la taragna sarà grande protagonista al Palamonti

“Polenta taragna orobica”, Bergamo prepara il rilancio

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vivanda degna, eletta / se col burro è ben confetta / E formaggio si presenta / A gran pranzi la polenta” recitava una filastrocca del 1830 sulle “Magnifiche ed arcipiuchesopramagnificentevolissime stupendevoli proprietà, qualità, nobiltà e virtù della illustrissima signora Polenta”. Un panegirico tra simpatici strafalcioni storici e mitologici, mischiati in rima a dubbie indicazioni terapeutiche per dimenticare il legame tra pellagra e polenta, fino a scomodare dall’Antica Grecia il padre di tutti i medici, Ippocrate, con la sentenza - in improbabile latino “nihil melius quam polenta”. Del resto, se bisognava sorbirsi ogni giorno un rancio a base di polenta e quant’altro offrisse la fortuna - e pica sö, senza tante storie - che almeno la fame fosse condita da un po’ di ironia. Per riscoprire origini e tradizioni della versione più nobile della polenta, la taragna, a Branzi è partito un progetto per valorizzare, in avvicinamento ad Expo, uno dei piatti simbolo del territorio. Non poteva esserci altra patria per la polenta del paese dove venne per la prima volta servita

da “ol tata (il papà, ndr.) della taragna” che, di ritorno dalla Francia, aprì dopo la guerra l’“Albergo Berera” trasformando pugni di farina, acqua di montagna, burro di malga e buon formaggio del casaro in uno dei piatti più richiesti. Oggi, a Branzi, in alta Val Brembana, si rinnova il 28 e 29 settembre l’appuntamento con la Sagra della Polenta Taragna Orobica, giunta alla seconda edizione. Accanto al piatto protagonista, servito dalle Donne di Montagna di Ornica e accompagnato da piatti di cacciagione e selvaggina, i vini del Consorzio Valcalepio, le birre artigianali e la musica folk ricreeranno un’atmosfera di festa e un clima di convivialità d’altri tempi. La taragna orobica mira però dritto al cuore della città, con un grande evento al Palamonti: il format di Branzi sarà infatti ospite della casa cittadina della montagna del Club Alpino Italiano. A fine novembre, una tensostruttura accoglierà a pranzo e a cena fino a 500 persone, mentre gli spazi del Palamonti ospiteranno stand con i migliori prodotti enogastronomici del territorio e una mostra che ripercorre


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Bitto storico

Branzi

Formai de Mut

i 150 anni della storia nazionale del Cai e i 140 della sezione locale. Sarà compito dei ristoratori dare nuovo lustro ad un piatto che nasce dal connubio tra il mais e gli ingredienti dei giorni di festa delle famiglie bergamine, dal burro ai formaggi di malga, che richiama la montagna ed omaggia il territorio, rappresentando un simbolo della nostra tradizione. “La polenta taragna è un piatto che abbraccia tutta la filiera, dalle farine ai formaggi d’alpeggio, valorizzando le nostre montagne che hanno saputo puntare con orgoglio sulle loro risorse e sulla riscoperta della tradizione - sottolinea Petronilla Frosio, presidente del Gruppo Ristoratori dell’Ascom -. La ricetta è solo all’apparenza semplice ed ogni chef ha i propri segreti per realizzarla al meglio”. Per tutelare la ricetta ed omaggiare il territorio, l’Unità di Ricerca per la Maiscoltura di Bergamo del Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura (Cra-Mac), i produttori dei formaggi simbolo della taragna e il Cai di Bergamo hanno dato vita ad un progetto di valorizzazione della taragna, di particolare valore in avvicinamento ad Expo. Un pool di esperti è chiamato a codificare la storia e gli ingredienti in una ricetta per affiancare alla polenta taragna l’aggettivo “orobica” e rilanciare un piatto che non ha mai conosciuto crisi. La sagra della polenta di Branzi dà il "la" a tutti gli eventi in programma per valorizzare quello che forse è l’unico vero piatto tipico delle nostre tradizioni di montagna. “Non si tratterà solo del sedersi a tavola e mangiare la pietanza, ma di scoprire, guidati da esperti e profondi conoscitori, come nasce l’“oro giallo” delle nostre tavole e come si combina con altri alimenti fino a diventare un perfetto connubio di gusti”, sottolinea Francesco Maroni della Latteria Sociale Branzi, nonché presidente della Fiera di San Matteo dedicata alla tradizione e cultura dell’Alta Val Brembana, che anticipa (dal 20 al 22 settembre) la Sagra della taragna. Nel corso dell’evento saranno illustrati i tipi di farina utilizzati per la preparazione, dallo Spinato di Gandino (presidio Slow Food) al Rostrato rosso di Rovetta al Nostrano dell’Isola - rigorosamente bergamasche - al Misto Saraceno della Valtellina, con tanto di laboratorio sul mais. In abbinamento ai mais antichi, oltre al burro di montagna, i fiori all’occhiello della tradizione casearia bergamasca: Branzi, Formai de Mut Valle Brembana Dop, Bitto storico. “La sagra rappresenta una prima occasione di valorizzare un piatto che richiama la nostra montagna, le malghe e il fuoco dei camini, vero e proprio patrimonio di sapori e tradizioni - continua Maroni -. È una ricetta che si presta ad entrare in ogni menù, con la sua semplicità, il suo sapore autentico e, in un periodo in cui tutti sono attenti al food-cost, anche a basso costo. La ricetta tradizionale contempla formaggi semigrassi di montagna, pronti a fondersi in modo omogeneo con il mais e a caratterizzare la densità del piatto finale. I tre formaggi delle Orobie - Branzi, Bitto storico e Formai de Mut - contribuiscono a dare pregio e identità alla polenta taragna che da oggi ha una ricetta che la rende “orobica”, a tutela della nostra tradizione”.

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La proposta

La saga dei Midali: tante ricette, una sola famiglia In Alta Val Brembana la famiglia Midali ha legato indissolubilmente il suo nome alla taragna, quando Gioanì Midali diede origine ad una stirpe di ristoratori per cui la polenta ha sempre rappresentato il piatto forte. Oggi, ogni famiglia custodisce gelosamente i segreti per realizzare l’antico piatto delle feste in montagna. Sul tetto delle Orobie, dal Rifugio Montebello in quota al Ristorante K2 di Foppolo, nato nel 1953 sulla pista delle Foppelle, nipoti e pronipoti del Gioanì rinnovano la tradizione del capostipite. Alessandra Midali - per tutti Nonna Sandra - a 83 anni continua ad essere una presenza insostituibile in cucina per i figli Fulvio, Alessandro - detto Tore - e Gabriella Berera, dividendosi ai fornelli dalle polpette al paruc ai dolci, con una grinta d’altri tempi. Al K2 la taragna viene preparata d’estate solo con il Formai de Mut d’alpeggio, mentre d’inverno nel paiolo finisce esclusivamente il Branzi. La taragna si accompagna a piatti di selvaggina e cacciagione, altra specialità della casa grazie anche al talento e alla passione dietro il mirino di Fulvio Berera. Nel paese della taragna e dell’insostituibile formaggio, l’Hotel Corona di Branzi, uno dei giacimenti caseari più invidiati oltre i confini provinciali, è un indirizzo da non perdere per gustare la ricetta delle sorelle Midali che celebra la tradizione. La polenta è presente in carta sin dall’antipasto, accompagnata da porcini, Branzi o salame nostrano, per farla da padrona nei secondi, a fianco di bocconcini di capriolo in salmì, lombo di cervo con castagne, stinco al ginepro,

brasato con i funghi ed altre specialità. L’albergo-ristorante è nato negli anni Trenta da una vecchia casera dove stagionavano formaggi dai nonni Beatrice e Carmelo Rossi, per poi passare a papà Bruno e mamma Elda, nipote del celebre Gioanì. L’instancabile mamma Elda Midali, presenza ancora insostituibile in cucina e sala, ha ereditato la ricetta dai genitori Romilda e Alessandro, che avevano a Valleve la Trattoria del Centro. Oggi a mandare avanti l’attività di famiglia sono le tre sorelle Emanuela - in cucina con il nipote Andrea - Arianna e Beatrice Rossi, in sala. Ad Alzano Lombardo, alla Bertonella, Alberto Midali, figlio di Gioanì, rinnova con la moglie Ornella la tradizione della polenta taragna, indiscussa specialità della casa. Dopo la gestione per quasi vent’anni del ristorante “Il sole” in Città Alta, lavorando gomito a gomito con il “tata”, il successo al Ponte Merlo a Bracca e alla Trattoria da Ornella in via Gombito, la tradizionale specialità brembana spopola anche in riva al Serio. La ricetta è semplice, ma l’esecuzione rivendica la propria autenticità, al punto d’aver spinto in passato Ornella, di fronte all’inflazione del piatto che veniva ormai proposto in ogni locale, ad un vero e proprio sciopero della taragna. Ma, con la soddisfazione di chi si vede quasi tendere il grembiule a mo’ di preghiera, il paiolo è tornato sul fuoco in meno di una settimana. Per la taragna della Bertonella solo formaggio Branzi, accuratamente selezionato e tanta cura al fuoco, oltre al connubio tra la ricetta del Gioanì e gli

Le varietà tradizionali di granoturco Bergamo è la patria della polenta: un documento storico, datato 1632, testimonierebbe che proprio in Bergamasca, a Gandino, sia stato per la prima volta in Lombardia (alcuni sostengono il primato addirittura in tutto il Nord Italia) coltivato il mais, da sementi acquistate con ogni probabilità a Venezia, dove i mercanti gandinesi transitavano per i loro traffici. Secondo il documento, a portare per primo il granturco fu un “foresto” che avrebbe coltivato a Clusven, alle pendici del monte Corno, il “melgotto”. Nella terra dei polentoni e ahimè della pellagra, nel 1936 una cordata di imprenditori il-

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luminati inaugurò l’Istituto di cerealicoltura. Il lavoro scientifico dell’Istituto (oggi Cra-Mac, Unità di ricerca per la maiscoltura) ha permesso di compiere importanti ricerche su tutte le varietà di mais della penisola. Dal 1954 la Sezione di Bergamo ha raccolto e catalogato 5mila varietà, di cui 800 di mais italiano (60 lombarde), selezionate attraverso il lavoro degli agricoltori: la più grande banca del germoplasma nazionale, ritenuto il più ampio a livello mondiale sia per apporti originali, sia per differenziazione locale delle forme. Tra queste vi sono varietà autoctone bergamasche da valorizzare,

abbandonate per decenni, da quando negli anni Venti hanno iniziato ad essere introdotti mais ibridi dagli Stati Uniti che hanno mano a mano sostituito - in particolar modo negli anni Cinquanta e Sessanta - le varietà più tradizionali, in virtù della loro maggiore produttività e resistenza a malattie. “Negli ultimi anni - spiega Paolo Valoti - ricercatore dell’Unità di Ricerca per la Maiscoltura - la riscoperta della tipicità e della qualità delle produzioni

alimentari ha stimolato l’attenzione per le varietà tradizionali di mais, dalle caratteri-

stiche eccellenti per l’impiego alimentare”. Nel parco agricolo al Kilometro Rosso si coltiva lo Spinato di Gandino, che ha


settembre 2013 Dall’Hotel Corona, al K2 fino alla Bertonella la tradizione continua. L’avvincente storia del Gioanì

Nonna Sandra del K2

Ornella e Alberto Midali (Bertonella)

insegnamenti della mamma di Ornella, Magdina, con cui ha mosso i primi passi in cucina e conquistato i primi successi al Ponte Merlo. Proseguendo il viaggio lungo la strada della taragna a Valbrembo Antonietta e Cristina Midali hanno dato vita alla Cà della Taragna, mentre a Carona il Rifugio dei laghi Gemelli porta nel dna la tradizione del capostirpe. Ricette e segreti - I segreti che ogni membro della famiglia tiene in serbo ogni sono tanti. Sarà l’acqua, sarà l’aria di montagna, sarà il formaggio, ma di fronte alla semplicità - solo apparente - della ricetta ognuno dice la sua. Su una cosa sono tutti d’accordo: i formaggi non sono più quelli dei tempi del Gioanì. “Anche in alpeggio ormai si usano mangimi e il risultato non è lo stesso, ma anche la mano del casaro è importante. La gradazione di cottura del formaggio è fondamentale: basta un solo grado in più e sforare i 36 gradi per comprometterne la scioglievolezza. Quanto alla polenta, anche l’acqua è fondamentale: il cloro rovina il risultato finale ” sostiene Fulvio Berera del K2 di Foppolo. “Impossibile trovare il formaggio di un tempo, ormai - ammette Ornella Midali della Bertonella - . Le produzioni sono sempre più evolute, ma il latte è diverso, tanto che lo stesso formaggio che abbiamo sempre fatto in famiglia a San Simone è cambiato”.

I luoghi che hanno dato vita alla taragna rivendicano la loro peculiarità: “L’ingrediente segreto della nostra taragna è l’aria di Branzi, la stessa che porta a stagionare le nostre forme, che scegliamo accuratamente. Nella nostra polenta si tuffano a dadini una parte di Branzi stagionato ed una di quello estivo. Al momento del servizio non manca un po’ del sugo del nostro arrosto, mantecato con un filo di panna” spiega Emanuela Rossi dell’Hotel Corona. Ol tata della taragna - La storia della taragna si perde tra Branzi, la Francia e la Valtellina. Gioanì Midali abbandonò il paese in cerca di fortuna per la Francia, trovando lavoro come garzone in una rinomata gastronomia di Parigi, gestita da un russo. Quando, con l’asse Roma-Berlino-Tokyo, essere italiani Oltralpe divenne difficile ed anche il patron russo se la diede a gambe, Gioanì Midali fece il suo fagotto e con mille difficoltà riuscì a ritornare a casa, portando in salvo dall’avidità dei doganieri il gruzzoletto accumulato in tanti anni di lavoro e sacrifici a Parigi. Con tutti i risparmi, nel Dopoguerra aprì a Branzi l’Albergo Berera destinato a diventare presto un punto di riferimento per la ristorazione dell’alta borghesia e della nobiltà in villeggiatura a San Pellegrino, nell’ultimo ventennio d’oro del Grand Hotel e dei suoi fasti, con tanto di dipinto a celebrare la taragna e il suo fautore. Nel 1964 il “tata” portò la taragn a a Bergamo, nel cuore di città alta, inaugurando con la moglie e i sei figli - Giuseppe, Alberto, Marilena, Sandro, Gianluigi ed Angelo, scomparso prematuramente - diciotto anni di successi al Ristorante “Il Sole”, con l’onore di avere al tavolo star del cinema, illustri politici, musicisti, direttori d’orchestra e compositori.

bergamasco ormai creato in Valle una vera e propria filiera integrata dal valore aggiunto rappresentato da qualità e tipicità. Tra il Brembo e l’Adda si coltiva il Nostrano dell’Isola, varietà conservata in purezza dalle caratteristiche particolari e in Val Seriana, a Rovetta, si riporta in vita il Rostrato Rosso. Le farine hanno da tempo iniziato a scendere in città, nella migliore tradizione dei mercanti delle valli. Al Rifugio in città, al Palamonti, si impiega da tempo lo Spinato di Gandino per riportare in tavola la taragna dei nostri nonni. Ecco in sintesi le caratteristiche delle varietà tradizionali di granoturco bergamasco:

• Il mais Spinato di Gandino È il paese del quale si ha notizia della prima coltivazione di granoturco in Bergamasca. È contraddistinto dalla caratteristica granella vitrea con apice “spinato”. Il chicco ha un colore giallo carico, profumo intenso e persistente con note di farina cotta e sapore dolce e gradevole. Utilizzato per farina da polenta e prodotti di forneria, è l’ingrediente del famoso biscotto “Melgotto”. • Il Rostrato rosso di Rovetta È una varietà ancora presente nel paese e nella piana di Clusone, adattata per territori in quota e semina primaverile, perfetta per realizzare polenta e dolci. La granella è rostrata e presen-

ta il caratteristico rampino. Il colore rosso scuro del rivestimento del seme determina una farina integrale gialla con presenza di screziature scure, dal sapore armonioso e gradevole. • Il Nostrano dell’Isola È una varietà di origine sconosciuta coltivata per lungo tempo nell’altopiano triangolare tra i fiumi Brembo e Adda, ma diffusa in tutta la Pianura Padana. La pianta di taglia alta, con spiga di forma cilindrica molto allungata, si adatta sia a terreni irrigui che asciutti. Il colore del chicco è arancio dorato, la struttura adesiva e granulosa, l’aroma delicato, il sapore gradevolmente rustico.

Spinato di Gandino

Rostrato di Rovetta

Nostrano dell’Isola

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L’attività

di Rosanna Scardi

Chiuso il pastificio a Bergamo, Iride Pietra e Laura Zuddas hanno spostato la produzione a Reykjavik. “Il Nord è più curioso, anche di novità gastronomiche”

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I casoncelli sbarcano in Islanda casoncelli vanno alla conquista dell’Islanda. Il merito spetta a due ragazze, Iride Pietra, 39 anni, e Laura Zuddas, 37. Bergamasca la prima, sarda l’altra. Compagne nella vita e socie negli affari. La storia del loro pastificio rispecchia il carattere di due donne determinate. “Nel 2009 abbiamo iniziato a far la pasta per noi - racconta Iride -. Io non conoscevo i culurgiones, pasta tipica dell’Ogliastra, con ripieno di patate lesse schiacciate, pecorino stagionato, uova, cipolla, menta fresca, chiusi a mo’ di spiga. Laura non aveva mai assaggiato i casoncelli a base di prosciutto cotto, mortadella, pangrattato, formaggio e amaretto. Così ci siamo arricchite scambiandoci ricette e tradizioni. Ci abbiamo preso gusto: gli amici che via via provavano le nostre preparazioni le trovavano buone e ci incoraggiavano a continuare. Nel 2010 abbiamo dato vita al progetto “Piano, non spingete - pasta fresca e ripiena fino al 2050 almeno”. Il negozio apre i battenti a Bergamo, in via Pandini. Offre di tutto, dai tortelli di zucca mantovani alle pardule a forma di crateri, dalla pasta lavorata a mano come strichetti e garganelli ai tortellini bolognesi. L’idea è quella di creare uno spazio aperto, dove le persone possano comprare i prodotti, ma anche impastare in autonomia, scambiare saperi, avere consapevolezza sul cibo, prestando attenzione alla provenienza

degli ingredienti, ai metodi di coltivazione e allevamento, a un prezzo equo anche per chi coltiva e trasforma. Ma il sogno delle due ragazze si infrange contro gli scogli della crisi economica. “Abbiamo dovuto fare i conti con la realtà - spiegano le imprenditrici -. Dopo quasi tre anni, ci siamo accorte che

Detto, fatto. Le cuoche si sono trasferite a Reykjavik, in Islanda. Qui hanno già individuato e allestito la sede del loro pastificio. Una volta ottenuta l’autorizzazione dall’Ufficio controllo alimenti, inizieranno a produrre alimenti per i negozi e i privati. Ma non solo. “Terremo corsi di pastificazione e lezioni

Iride Pietra e Laura Zuddas

offrire prodotti validi e avere clienti affezionati può non bastare per tenere in piedi un’attività, per quanto amata, in un periodo difficile e in un Paese come il nostro non sempre attento alle piccole realtà. Quindi, abbiamo deciso di spostarci un po’ in alto, a sinistra, e vedere come vanno le cose da questa parte del mondo”.

di cucina di ogni genere” anticipano. Ma perché proprio l’Islanda? “Il nord è moderno sotto molti aspetti - spiegano -. E poi ci vivono meno di 320mila abitanti: è tutto meno caotico e complicato rispetto all’Italia. Anche i rapporti sono meno formali. La gente è molto più curiosa e ben disposta verso realtà gastronomiche diverse”.

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IL DIBATTITO

Birre artigianali, ma il prezzo è giusto?

di Anna Facci

LA LETTERA

Che sorpresa, meno care le bottiglie belghe Spettabile redazione di Affari di Gola, le vacanze estive mi hanno portato quest’anno in Belgio, dove ho avuto l’occasione di assaggiare alcune delle birre artigianali vanto del Paese. Mi si è aperto un nuovo orizzonte sul mondo della birra, che ho scoperto ricca di sfumature e sapori intriganti. Al ritorno a casa ho cercato nuovamente queste sensazioni (un po’ anche per sentimi ancora in vacanza) acquistando birre belghe in bottiglia e mi sono lasciato tentare anche da alcune produzioni nostrane. Non mi sono sembrate male, ma mi hanno stupito i prezzi, superiori, anche se non di molto, a prodotti ben più affermati e, per giunta, provenienti dall’estero. È questo il famoso chilometro zero? Grazie per l’attenzione F. B. Seriate

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L’ASSAGGIATORE – Giorgio Marconi

«Il problema è anche la qualità» Sui prezzi delle birre al pubblico, Giorgio Marconi, bergamasco, collaboratore della Guida alle birre d’Italia di Slow Food, docente di Unionbirrai e Mobi, giudice nei concorsi nazionali e socio fondatore della Compagnia del Luppolo, fa un primo importante distinguo. «Le differenze tra italiane, straniere e marchi commerciali – chiarisce – vengono praticamente annullate nel servizio alla spina dei locali specializzati, dove i prezzi si aggirano sui 5 euro per tutte. Si tratta di una scelta dettata dalla volontà di far conoscere questi prodotti e creare una clientela affezionata, riducendo i ricarichi, su certe referenze, per favorire un approccio più sereno da

parte del consumatore». Le note dolenti arrivano invece dagli scaffali. «Una birra belga di fascia alta – rileva – costa 2,50/3 euro, un prodotto italiano dello stesso livello 4,50/5 euro. La questione si trascina sin dagli esordi del fenomeno dei microbirrifici, una quindicina di anni fa. Per giustificare i prezzi più alti si fa riferimento al bisogno di ammortizzare gli impianti in tempi rapidi, al peso degli adempimenti in Italia, ma nemmeno chi ha ingranato ha poi abbassato di molto i prezzi. La sensazione è che ci sia stato un assestamento su questi valori e che non ci saranno grandi scostamenti in futuro. Ma il consumatore lo perce-


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I prodotti italiani sono meno competitivi rispetto a quelli esteri ed anche i birrifici bergamaschi lo riconoscono e replicano: «Piccole dimensioni, impianti da ammortizzare, materie prime da importare ed il peso di fisco e burocrazia sono gli ostacoli principali» bbiamo girato gli spunti del nostro lettore ai produttori bergamaschi. Non fanno fatica ad ammettere che i prezzi medi delle loro birre, in linea con quanto avviene per l’intera produzione nazionale, sono più alti rispetto a quelli di altri Paesi, a cominciare da Belgio e Germania, in cui la tradizione è consolidata ed i numeri ben più elevati. Ed è proprio in questa netta differenza di dimensioni e storia che individuano il principale scarto di competitività. Il fenomeno dei birrifici indipendenti, insomma, è talmente giovane (cominciano a sorgere in Italia a metà degli anni Novanta) e ancora ristretto (pare si sia finalmente raggiunta la soglia dell’1% dei consumi di birra, ovvero 30 centilitri dei 30 litri a testa bevuti in media all’anno), da dover essere considerato una start up, un settore che deve ancora fare i conti con i costi di avviamento e con un mercato da conquistare per poter attuare le economie di scala delle grandi produzioni. Se questo è lo scenario generale, le sfumature non man-

pisce – ammonisce -, si rende conto del fatto che i prodotti italiani costano tanto. Il problema sarebbe forse meno sentito se la qualità fosse sempre alta, se i prodotti avessero una costanza qualitativa, ma ciò non succede – svela -. Non ho difficoltà nel dire che ci sono tante birre belghe migliori delle italiane a prezzi più bassi anche della metà». A far prendere al mercato una piega diversa possono essere i consumatori. «L’arma che hanno è la selezione – evidenzia l’esperto -. Si può provare una birra una volta, offrirle anche una seconda chance, ma se poi non convince non la si compra più. Il fatto è che l’educazione in questo settore è scarsa e circoscritta, se si cominciasse a valutare i prodotti in termini reali di rapporto qualità/prezzo,

cano, con aziende che, pur rientrando nella comune definizione di birrificio artigianale, hanno fatto scelte diverse di impostazione, impianti e dimensioni. Così come le birre non sono tutte uguali, nemmeno i microbirrifici, dunque, lo sono e sono probabilmente questi gli assunti da non dimenticare quando si parla di prezzi. «L’Italia si è affacciata da poco su questo settore - racconta Mauro Zilli, uno dei soci del Birrificio Via Priula di San Pellegrino, avviato nel 2010 -, è un percorso ancora tutto da costruire, mentre all’estero c’è una tradizione secolare, aziende storiche, veri colossi e questo si ripercuote sui prezzi. Da noi molti birrifici, ad esempio, devono ancora ammortizzare gli impianti, altri si trovano già a doverli ampliare o rimodulare. Per quanto ci riguarda, siamo una cosiddetta beer firm, abbiamo scelto cioè di affittare l’impianto, la birra ci costa un po’ di più ma non abbiamo spese da ammortizzare. Siamo partiti in questo modo per poter valutare meglio il taglio da dare all’impianto, ma ci

credo che molti birrifici chiuderebbero. Non lo auguro a nessuno, intendiamoci, è una semplice constatazione». La scarsa cultura birraria dei consumatori fa, del resto, il paio con quella dei produttori stessi. «C’è chi ha studiato tanto, ha fatto stage all’estero, chi si è fatto una grande esperienza come homebrewer – dice Marconi – ma non possiamo nascondere che ci sono anche molti birrai improvvisati, che magari hanno fatto due cotte in casa con gli estratti e si sono lanciati in un’attività imprenditoriale cavalcando il boom del settore». E di vero boom si tratta, visto che si è passati da sei microbirrifici nel ’95 ai più di 500 attuali. «La crescita è forte – rileva -, ma la strada verso un mercato preparato e consapevole è ancora lunga».

Giorgio Marconi

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IL DIBATTITO

hanno frenato anche le difficoltà burocratiche. Non ci sono infatti ancora regole chiare, si fa riferimento a quelle delle grandi industrie e spesso non c’è accordo tra quanto dice l’Asl e l’Utf. In compenso abbiamo già aperto, un anno e mezzo fa, il nostro locale, il che ci permette di farci conoscere, e stiamo consolidando un parco di clientela che acquista regolarmente». Per i privati che si rivolgono direttamente dal birrificio, i prezzi vanno, per le bottiglie da 33 cl, da 3,10 euro (Pils, ambrata e birra di frumento con lamponi freschi) ai 4,50 della Imperial Stout, per i 66 cl, si va da 5,90 a 8,50 euro. «Accanto a chi sa che la birra artigianale è un prodotto di nicchia e non si fa troppe domande sul prezzo – rileva Zilli -, cresce la schiera di chi ama assaggiare prodotti diversi e si chiede il perché di certe differenze con le birre estere. È una criticità, non c’è dubbio. Qualcosa si sta muovendo, con la nascita di birrifici concepiti in partenza secondo un’impostazione industriale, con maggiori capitali, impianti grandi e una mentalità già rivolta all’estero, capaci cioè di numeri che permettono di abbassare i costi di produzione». Aperto nel 2003, il birrificio Sguaraunda di Pagazzano è uno dei pionieri in Bergamasca. «È vero, produrre in Italia ha costi alti – concorda Massimo Simeone, socio dell’attività insieme a Roberto Furiosi -, eppure sin dall’inizio la nostra scelta è stata quella di tenere i prezzi più bassi possibile perché fosse ac-

cessibile a tutti, a differenza di altri birrifici che ne hanno fatto un prodotto più esclusivo. Negli anni, tra l’altro, nonostante l’aumento delle spese, non abbiamo aumentato i prezzi e oggi acquistare una bottiglia da mezzo litro al nostro spaccio costa ancora 2,50 euro. Abbiamo avviato questa attività perché era la nostra passione ed è con questo spirito che la portiamo avanti». Nel frattempo hanno anche cambiato l’impianto, passando lo scorso anno da uno da 200 litri ad uno da mille. «La richiesta c’è e questo ci conforta – afferma -, una delle maggiori difficoltà quando siamo partiti era far capire cosa fosse la birra artigianale. Ora si può contare su una platea di potenziali consumatori più ampia. Cosa ci penalizza di più? L’accisa, che in Italia è una delle più alte d’Europa e, ma è un discorso che vale per tutti, la pressione fiscale, davvero pesante». A fare qualche conto in tasca ai birrai ci aiuta Renato Carro, che dal 2009 ha aperto ad Endine Gaiano il birrificio Valcavallina. «Un’altra differenza rispetto all’estero, oltre alle dimensioni e alla storia delle aziende – dice –, sta nel fatto che noi dobbiamo importare le materie prime, orzo, malto e luppolo, mentre altri Paesi, come il Belgio le producono. Acquistiamo inoltre in piccole quantità e questo non ci permette di spuntare prezzi competitivi, se poi si aggiungono i costi dell’energia, del fisco e della burocrazia, il quadro è completo». L’accisa, per la cronaca, è fissata in 2,35

IL DISTRIBUTORE – Enrico Rota

«Con la definizione “artigianale” non si può giustificare tutto» L’anomalia dei prezzi sembra essere la punta dell’iceberg di un mondo che ha in sé altre contraddizioni e criticità. Le rileva Enrico Rota, responsabile commerciale della 4R di Torre de’ Roveri, storica azienda di distribuzione di vino, birra e bevande, presente anche nel settore delle birre speciali con un proprio prodotto. «Cosa intendiamo per “artigianale”? – si domanda, tanto per cominciare, Rota -. Che l’opera dell’uomo preva-

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le su quella delle macchine, ma quanto può valere questo concetto per una birra, che ha comunque bisogno di un impianto? Per la legge italiana, del resto, la birra artigianale non esiste: la classificazione merceologica è fatta in base alla gradazione alcolica - dall’analcolica alla doppio malto - non in base al sistema produttivo. Anche all’estero il concetto di artigianale non significa nulla, così come non avrebbe senso per noi defi-

nire un vino artigianale». Non sono perciò le piccole dimensioni o la gestione “familiare” la peculiarità dei questi prodotti, quanto «il non essere fatti in serie – spiega -, la ricerca attenta delle materie prime, a cominciare dall’acqua, per proseguire con i cereali, maltati o no, il luppolo ed i lieviti, fondamentali per tenere sotto controllo la fermentazione e determinare il gusto. Il punto di forza di queste birre sono le sensazioni che san-


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euro per ettolitro prodotto e per grado plato (un’unità di misura degli zuccheri nel mosto), «significa 25-30 centesimi al litro per una birra di cinque gradi, salendo man mano per i prodotti più alcolici – spiega -. Non bisogna dimenticare inoltre che più la birra è alcolica più malto bisogna utilizzare e l’incidenza del luppolo, i cui costi possono andare dagli 8 ai 30 euro al chilo (se ne utilizzano anche 10 grammi per litro ndr.)». Al birrificio Valcavallina la bottiglia da 33 cl costa 2,60 euro, quella da 75 cl 5,30. «Sono poche le persone che si soffermano sul prezzo – sottolinea Carro – in genere è chiaro che cosa differenzia la nostra produzione da quella industriale e, se non lo è, basta spiegarlo. È un po’ come acquistare l’olio extravergine di oliva da un piccolo produttore o da una grande azienda…». Se il problema sono i numeri e le economie di scala, il birrificio Elav di Comun Nuovo, nato nel 2010, si colloca già su un piano diverso rispetto alle altre realtà bergamasche. «Con 30mila litri al mese – evidenzia il titolare Antonio Terzi – la nostra produzione è più ampia di quella di tutti gli altri birrifici bergamaschi messi assieme. Questo, oltre alla scelta di applicare ricarichi molto bassi, ci permette di essere più competitivi». I prezzi vanno dai 4,50 euro per 75 cl di una birra di grado plato basso, ai 7-8 di quelle più alcoliche o particolari. «Le differenze sono dovute anche al

no regalare, che invitano più a degustare che a tracannare. Sono caratteristiche, tra l’altro, che il consumatore non fatica a riconoscere, individuando autonomamente lo scarto rispetto ai marchi commerciali». Insomma è una questione di qualità («con la definizione di artigianale non si può giustificare tutto, anche una birra uscita male», incalza) ma anche di maggiore attenzione al consumatore, «perché alla fine si deve fare una birra che piace e che deve avere continuità di gusto e colore, altra debolezza dei prodotti artigianali». Scavando si arriva ad un altro nodo scoperto, «la mancanza di cultura birraria dei nostri

processo produttivo – precisa -. Per la Imperial Stout impieghiamo ad esempio otto ore di lavoro e dall’impianto di 300 litri ne ricaviamo, alla fine, 180. Alcuni prodotti vengono anche invecchiati in botte e arrivano ad essere venduti dopo un anno e mezzo. Ha ragione – rimarca - chi afferma che la birra deve costare molto meno del vino, ed in effetti è così: una birra di qualità costa sicuramente meno di un vino di qualità». La qualità è, quindi, il vero nocciolo della questione, «non è detto infatti che tutte le birre artigianali debbano essere buone e quelle industriali cattive», sintetizza. All’azienda, che ha complessivamente 25 dipendenti, di cui sette impegnati nella produzione, fanno capo anche due locali, «il che offre un canale di vendita e promozione diretto», nota Terzi. Non mancano nemmeno le nuove prospettive, a cominciare dall’ampliamento dell’impianto (da 300 a 4mila litri), che si realizzerà nei prossimi tre-quattro mesi, sempre a Comun Nuovo («l’acqua che mi piace è qui, non avrei rischiato l’ampliamento in un’altra località», ammette) e la crescita sui mercati esteri. «Siamo presenti in Giappone, Svezia, Finlandia, Belgio, Inghilterra e stiamo sviluppando i rapporti con gli Stati Uniti – racconta –, sono Paesi in cui il pubblico è abituato a questo tipo di birre, l’apprezzamento ci gratifica ma è anche uno stimolo a migliorarci, a fare un prodotto perfetto».

microbirrifici – evidenzia -. Chi fa la birra è almeno un tecnologo alimentare? Come si possono paragonare queste figure ai mastri birrai che all’estero hanno la laurea o ai nostri enologi, che, tra scuola superiore ed università, arrivano anche studiare per dieci anni la materia?». Eppure il movimento sembra crescere, gli impianti si ingrandiscono, c’è anche chi approda all’estero... «Sono numeri ancora poco significativi – sentenzia - e la realtà è troppo frammentata per poter parlare di un fenomeno solido, capace di arrivare al grande pubblico. Una mano potrebbe darla la grande distribuzione». Enrico Rota

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Posta...

Sagre e ristoranti, la polemica torna in tavola

zeria invece Quella piz “tragico” errore un della sagra,o a caro prezzo pagat o Capozzi

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a nostra ultima “Penna all’arrabbiata”, in cui si esortavano alcuni ristoratori ad una politica più attenta invece di lamentarsi della concorrenza sleale delle sagre, ha suscitato un dibattito alquanto vivace. Per noi è una gioia: vuol dire che abbiamo toccato un argomento interessante o, se preferite, un nervo scoperto. E, del resto, non è la prima volta che accade, su queste pagine. Ne parlammo nel numero estivo del 2003, dieci anni esatti or sono, fate un po’ voi. E abbiamo sempre ribadito che le sagre possono esistere a patto che rispettino tutti, ma proprio tutti, i requisiti del caso. Amministrativi, fiscali e sanitari. Appena uscita la rivista, il nostro centralino ha passato i guai suoi e il nostro Direttore ha ricevuto qualche accenno di sintonia e (in percentuale decisamente maggiore) lamentele anche vibranti. Tra le mail arrivate, ne proponiamo quattro, in rappresentanza dei diversi stati d’animo.

Sagra del Pesce 1953

Critiche sacrosante e costruttive

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entile Redazione, sono reduce da alcuni giorni di ferie trascorsi a Bergamo e dintorni, nei quali ho avuto modo di godere delle tante bellezze storiche ed architettoniche del vostro territorio. Essendo un buongustaio, ho sperimentato vari ristoranti di diverse tipologie, dalle sagre alle pizzerie fino a quelli di livello medio-alto. Ho così avuto modo di leggere la vostra bella ed interessante rivista per la quale vi faccio i complimenti. In particolare però mi è rimasto impresso l’articolo di apertura del vostro giornalista Pier Carlo Capozzi che ho trovato davvero pertinente. Ho vissuto infatti la stessa identica esperienza in un ristorante-pizzeria in un paese vicino a Bergamo con conto decisamente esagerato e coperto carissimo: l’unica differenza, rispetto all’articolo sopraccitato, è stata la gentilezza della cameriera, ma in

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compenso la vista era su una trafficatissima strada statale! Al contrario ho cenato anch’io ad una sagra riscontrando un rapporto qualità-prezzo assolutamente corretto. Ho provato dunque grande compiacimento e soddisfazione nel leggere la rubrica del vostro opinionista e sono felice che la vostra rivista dia spazio a queste sacrosante e, si spera benaccolte perché costruttive, critiche. Vi rinnovo le congratulazioni per il vostro bel periodico e vi auguro buon lavoro. Cordialmente. Francesco Colucci Programmista e regista RAI Roma


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Quando il troppo stroppia

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gregio signor Capozzi, Non le nego che al solo pensiero di scriverle mi tremano un poco gli indici delle mani (io utilizzavo due dita con la macchina da scrivere e con le stesse uso la tastiera del computer, è una questione di coerenza), ma con il coraggio che da sempre mi accompagna mi trovo a dissentire su un suo articolo apparso nel numero di luglio/agosto di “Affari di Gola”. In quell’articolo lei ha sicuramente fatto fare una gran bella figura alla categoria degli Alpini, ma gli Alpini sono unici e inimitabili, la loro perfezione organizzativa, che io conosco benissimo per motivi professionali, è encomiabile, ma è l’eccezione che purtroppo non conferma la regola, una regola che pochissimi rispettano, anche solo per autodisciplina personale. Mi riferisco ai tanti, troppi personaggi che sotto la definizione di volontario, si immergono in quintali di costine, salamelle, spiedini, maneggiando il tutto con scarsa eleganza (per usare un eufemismo). Ma, gentile signor Capozzi, non è questo il punto del contendere. Le scrivo all’indomani di una scialba serata trascorsa nel mio locale, il fatto sinceramente mi ha un poco allarmato, anche perché non mi voglio incensare ma, grazie anche alla politica del mangiare semplice, genuino e con un prezzo equo, posso dire di riuscire a sopravvivere degnamente. Anche in mezzo a tutto questo allarmismo mediatico, che ti propina crisi in ogni salsa, io rimango convinto che chi ha seminato bene e onestamente negli anni passati ora ne raccoglie i frutti perché ha ottenuto la fiducia dei clienti. Però lei, nel suo articolo, parla di sagra del pesce in una località lacustre, e ci sta benissimo la sagra del pesce a Sarnico piuttosto che a Iseo; ci sta altrettanto bene la sagra della taragna in una qualsiasi località della Valle Brembana, ma allorquando in un paese limitrofo a Bergamo ti trovi a combattere con due notti bianche (una nel mio paese e una nel comune vicino) e una festa di partito sempre nel mio paese, sfido chiunque a riuscire a tener testa a una simile situazione. Quanto illustrato sopra è solo un episodio di una sera, perché lei deve sapere che solo nel mio comune si organizzano feste con inizio la prima settimana di giugno e con fine ad agosto inoltrato. Le feste sono le più svariate, si passa dalla classica festa dell’oratorio a quella della famiglia, si prosegue con quella missionaria, e si va agli alpini e ai cacciatori, mettiamoci anche una festa (l’unica con un vero significato e con una vera ragione di esserci) per la raccolta di fondi, quella per la “Paolo Belli”, aggiungiamoci le feste di partito, il tutto moltiplichiamolo (festa più, festa meno) per i 5 comuni confinanti con il mio, calcolando che ogni manifestazione dura mediamente 15 giorni, tiriamo le somme e lei vedrà che forse qualche incazzatura da parte dei tanto vituperati piccoli-medi ristoratori ci sta. Questo mese è il mese delle quattordicesime (ho chiesto ai miei collaboratori se erano interessati ad un inquadramento “da volontario” visto che ultimamente anche la mia attività è no profit, il mio unico scopo è lavorare per riuscire a pagare lo stato, ma non vogliono capirla), poi ci sono i mesi degli F24 (che non sono i fratelli minori degli inutili aerei F35), e poi c’è l’Inail, e poi gli studi di settore, e per finire a settembre per i ristoranti si parla di periodo difficile, poiché la gente non spenderà in previsione di un inverno duro e difficile. Lascio a lei le conclusioni di uno sfogo come il mio che, visto il disinteresse totale delle organizzazioni di settore, pare tanto il lancio di un sasso in una profonda gola senza sentirne il rumore del fine corsa, quella che purtroppo per tanti sta per avvenire e per altri è già arrivata con la chiusura sistematica dei locali. Comunque sia, viva la sagra del pesce! Cordialità. Gianni Cisotto Trattoria Al Santuario Stezzano

Va bene stare in compagnia, ma le feste sono senza regole

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aro Pier Carlo Capozzi, ho letto il suo articolo sulla rivista “Affari di Gola” del mese di luglio. Io ho un’attività da 9 anni e faccio il pizzaiolo da 15 anni. L’unico modo con cui sono in grado di affrontare la vita è con passione, dedizione ed entusiasmo. Il mio locale mi rispecchia: si trova in un piccolo paesino della Bergamasca, dove nello stesso e nei dintorni le feste sono a dozzine. Io sin dall’inizio ho cercato di distinguermi e puntare tutto sulla qualità, nella ricercatezza e la cura del dettaglio. Il mio impasto di base è di farina biologica 0 con doppia lievitazione e con una maturazione superiore alle 72 ore. Inoltre ho impasti di kamut farro lievito madre ed integrale. Con gli anni ho sviluppato tecniche e studi che mi permettono di essere sempre in continua evoluzione. Inoltre nel mio locale si possono trovare piatti interamente fatti a mano, come tagliatelle e casoncelli. L’idea portante è quella di soddisfare sia chi ha esigenze particolari con prezzi un poco più alti, ma non eccessivi, sia chi vuole gustare i miei prodotti senza spendere molto, anche meno di 10 euro a persona. Il suo ragionamento non è così campato in aria, ma aggiungerei che in alcune sere la voglia di compagnia e di festa ti fa tradire il tuo locale preferito. Questo alla lunga crea un danno che sommato alla crisi rischia di diventare letale. La regolamentazione delle feste non è adeguata. Le imprese che sostengono lo Stato rischiano di saltare. Io sono giovane e determinato, con tanta voglia di emergere e di farmi conoscere. Se cadrò, sarà solo dopo aver fatto tutto il possibile. Effettivamente il conto che le hanno portato era un po’ troppo alto, anche se tutto però dipende dalla qualità. Grazie per l’attenzione. Alessio Casanova Rovetta

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La sagra famiglia

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i inserisco nel dibattito per proporre alcune mie riflessioni su sagre e concorrenza sleale nei riguardi della ristorazione. Da fine primavera all’autunno inoltrato, nel Belpaese si diffonde a macchia d’olio una particolare refezione a “cielo aperto”, si accompagna a sagre e feste di paese, sforna milioni di porzioni di cibo ‘sottocosto’, sfama, edizione dopo edizione, affezionate turbe indifferentemente assortite di locali e villeggianti. Sono occasioni, molto spesso a lungo attese. per sciamare con famiglia ed amici in situazioni conviviali poco impegnative nel portafogli e nelle pretese alimentari, caratterizzate da menù improbabili, servizio approssimato, effluvi di olio fritto e rifritto, diluvi di plastica che compongono desolate ammucchiate di sacchi e sacchi di spazzatura indifferenziata, che rimangono quale inosservato monito dei nostri stili consumistici poco rispettosi innanzitutto di sé stessi. Il problema non credo risieda nella negligenza di norme igieniche o fiscali, generalmente osservate con un certo scrupolo. Né più né meno che nei ristoranti. Le recenti e ricorrenti ‘retate’ dei Nas dimostrano che nella penisola anche nei locali deputati al consumo di cibo non tutto va come deve. Anzi. Lo stesso dicasi per le, ahimé, sofferte questioni fiscali: ricevute non rilasciate, personale sottopagato o pagato in ‘nero’ non sono così rare. Anzi. Evasione ed elusione non sono mezzi per resistere a tassazioni certo proibitive: abbiamo il costo del lavoro più alto d’Europa e i salari tra i più bassi. C’è un ingolfamento normativo e burocratico strutturale a livello fiscale che va sanato, con i leciti mezzi della politica e dell’impegno sociale, non con le furbizie personali o con l’autoriduzione! Chiusa la parentesi. La questione dirimente credo risieda nella qualità dei cibi delle sagre. Qualità intrinseca, qualità della filiera di provenienza, qualità di servizio e consumo in situazioni spesso congestionate, rumorose, in siti ai ‘confini della realtà’. Mi è facile gioco richiamare in contrapposizione gli eventi, grandi e piccoli, targati Slow Food. Sono caratterizzati e qualificati dalla presenza dei produttori con vendita diretta e dalle performance ‘fuori sede’ di chef professionisti, ingaggiati dall’Associazione, spesso supportati e coadiuvati da valenti staff degli Istituti Alberghieri locali. Anche in questi eventi si possono consumare piatti cucinati e offerti con costi inferio-

ri alla norma poiché vuoi il contesto, vuoi l’enorme apporto dei volontari permettono, così come nelle feste di paese di contenere i costi. Ma sulla qualità non ci sono compromessi possibili. I morsi della crisi non possono indurre ad abbassare i livelli di guardia, il cibo deve essere buono e gustoso, rispettoso dell’ambiente e della dignità di chi lo produce, consumato in contesti decorosi. Spendiamo troppo poco per il cibo, ed è un risparmio illusorio. Ne paghiamo i costi altrove, in salute e in danni ambientali che ci affliggono e presentano conti ben più salati altroquando. L’attuale momento di sofferenza della ristorazione, per quanto non equamente suddiviso, ci interroga su una cultura alimentare spesso inadeguata nei clienti, ma anche su un necessario rinnovamento della ristorazione che meritano disamine approfondite non esauribile in poche battute. Torno al tema clou. Esistono situazioni, sagre e feste, dove il felice connubio tra situazione popolare e cucina professionale si esprimono a meraviglia con soddisfazione reciproca: un modo per stare all’aperto in piacevole convivialità allargata ma con occhio vigile alla qualità. Molti ristoratori e cuochi sono disponibili ambasciatori di competenza, rispetto delle materie prime, tradizione ed innovazione gastronomica anche fuori casa. Basta farne tesoro. Così come della possibilità di offrire serate ‘low budget’ per introdurre anche i più restii ai tesori della buona cucina. Chiuderei con due sommessi appelli, uno minimal e uno più complesso. Torniamo a chiedere patatine fritte ottenute da patate fresche, tagliate a coltello, fritte in olio d’oliva italiano, servite su porcellana o mater-bi: un piccolo gesto di civiltà in un paese che ha le tradizioni gastronomiche tra le più antiche ed insigni al mondo. Basta consumarne un vassoio di meno per avere un’offerta di qualità adeguata. Anche sotto una tensostruttura. Collochiamo Sagre e Feste nelle miriadi di castelli, ville padronali, cascine, officine in disuso, piazze e chiostri di cui è popolato il nostro paese. Contesti di pregio spesso chiusi, inutilizzati, quando non cadenti che meritano l’attenzione dei più perché ci si riappropri, anche in momenti conviviali, di una storia e di una bellezza diffusa che il mondo ci invidia. Lorenzo Berlendis Slow Food Lombardia

... E Risposta

N

on avrò un carattere morbidissimo, ma non credevo di incutere addirittura timore, così come confessa il signor Cisotto. Che, tra l’altro (ma credo lui non lo sappia), è il patron di un locale che ogni tanto frequento con buona soddisfazione. Sulla questione degli Alpini, ai quali avrei fatto fare bella figura, riporto solo la battuta di uno di loro, tra gli organizzatori della menzionata Sagra di Costa Valle Imagna che, all’ennesima richiesta di salsicce, avrebbe esclamato agli altri: “Adès, però, basta pubblicità…” Il signor Cisotto lamenta un proliferare di tendoni e costine in un fazzoletto di territorio e questo è un evidente nodo da sciogliere. La vedo dura in una provincia dove ogni paese ha voluto il suo Palazzetto dello Sport e adesso fanno fatica a mantenerne i costi. Ma averne uno che serva quattro

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paesi limitrofi, non se ne parla nemmeno… Resto però dell’idea che se un locale lavora bene (e la Trattoria Al Santuario è uno di questi) difficilmente può aver paura della sagra dell’oratorio. A Francesco Colucci può andare solo il nostro ringraziamento, particolarmente gratificato dal ruolo televisivo che riveste e dall’amore che manifesta per il nostro territorio. Ad Alessio un grande augurio perché tenga duro, nella certezza che la sua continua ricerca di qualità e di allargamento dell’orizzonte non potranno non premiare la sua ferrea volontà di affermarsi. A Lorenzo Berlendis, oltre ai complimenti per come ha titolato la lettera, posso dire che condivido gran parte del suo scritto, in modo particolare quando parla di “costo del lavoro

più alto d’Europa con salari tra i più bassi”. A volte, ringraziando il cielo, si può anche dissentire, ma resta il fatto che Slow Food, con i suoi presìdi e le sue iniziative, è un punto di riferimento davvero prezioso per il nostro panorama enogastronomico. Non tutte le sagre però sono quel girone dantesco che Berlendis descrive, mentre trovo deliziosa l’idea di collocare questi appuntamenti in contesti dismessi o poco valorizzati. I Comuni sarebbero chiamati nel caso a fare la loro parte. Sulle patate tagliate a coltello e fritte in olio d’oliva, Berlendis scocca il suo ultimo e micidiale dardo, una specie di guanto di sfida. Ci indichi data e luogo e noi ci faremo trovare. Mi basta sapere cosa dovrò portare tra patate, coltello, olio e padella. Pier Carlo Capozzi


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La novità di Leo Bartoli

A Malpaga la locanda dei viaggiatori golosi Da poche settimane, il maniero che fu quartier generale del Colleoni, ospita un ristorante. Ai fornelli lo chef Bruno Ferrari. “La mia cucina? Semplicità, materie prime di qualità e rispetto della tradizione”

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alpaga rinasce. E lo fa non solo con la maestosità delle sue vestigia e il suo carico di storia, ma con un progetto che vede come apripista un’irresistibile offerta per il palato. Tra i torrioni del maniero che fu il quartier generale di Bartolomeo Colleoni ha infatti aperto da poche settimane la Locanda dei Nobili Viaggiatori, ristorante che già ora, ma sempre di più in futuro, sfrutterà le materie prime di una produzione agroalimentare che oggi definiremmo con l’ormai abusato termine dei “Km Zero” (con tanto di orto e animali da cortile), ma che in verità ricalca quell’economia chiusa che era stata fin dalla sua nascita una scelta ben precisa: quella di rendere il castello autonomo anche sul fronte delle scorte di derrate alimentari e vettovaglie, permettendo ai suoi ospiti e alla guarnigione di soldati di reggere ad assedi e carestie. Emblema di questo tuffo nel

passato è la ghiacciaia, splendidamente recuperata nelle viscere del locale: un tuffo in un’altra dimensione, un luogo magico dove negli anni del Colleoni veniva sepolto nel gelo il vero tesoro del castello: appunto le scorte di cibo per l’inverno. “Con l’apertura della locanda - precisa Claudia Cividini, responsabile marketing della società che cura la rinascita del castello - si realizza la prima attività commerciale del progetto “Per Malpaga”, che intende restituire all’antico feudo Colleonesco e al suo bellissimo castello un ruolo di spicco nell’ambito storico-artistico del nostro territorio, secondo un modello di autosostenibilità ambientale ed energetica, anche in proiezione Expo 2015. La ristrutturazione dei caseggiati esistenti destinerà strutture ricettive, residenziali e terziarie mirate a valorizzare e far rivivere il borgo, creando un’esperienza unica per i visitatori”. Il nuovo corso punta a una cucina territoriale molto vivace, accompagnato dall’ospitalità del B&B, con 5 camere, una diversa dall’altra, dai nomi altisonanti quali furono gli ospiti che dimorarono al castello ai tempi del condottiero e che si calano nella filosofia di un luogo unico, dove tutto assorbe i ritmi della natura e lo stress cittadino finalmente batte in ritirata. Secondo l’architetto Stefano Guarnieri che ha curato il recupero, “la nuova locanda si presentava come un edificio che aveva già una sua conformazione ben definita: questo ha permesso un approccio originale alla progettazione che si è ispirata al triplice aspetto di funzionalità, tutela dell’antico e utilizzo di tecniche e materiali riproposti anche in chiave moderna. Credo che il risultato finale sia la testimonianza di come “antico e moderno” si possano integrare in armonia, riuscendo a fondere in un tutt’uno soluzioni d’arredo, materiali e tecnologie che siano belli da vedere, toccare e vivere, senza rinunciare al sapore dell’edificio antico e alla luminosità degli spazi”. Senza trascurare quindi la storia, si comincia a prendere i turisti per la gola, offrendo un menù che pesca sicuramente nella tradizione,


settembre 2013 ma che sa unire all’esecuzione di alcuni piatti una certa fantasia e leggerezza che premiano il palato. Prendiamo i casoncelli, o casunsei come recita la tradizione: qui la croccantezza della pancetta si sposa con il delicato ripieno esaltando un piatto che in troppi locali è stato banalizzato. Nella Locanda a conduzione familiare, domina, accanto alla delicatezza di Alice in sala, la cucina dello chef Bruno Ferrari: i suoi genitori avevano un ristorante in Francia, lui fa da sempre banchettistica con la sua società “Alice banqueting” e ristorazione con il suo locale di Urgnano “La Locanda del Brol”. “La mia cucina? Semplicità e materie prime di qualità - spiega lui -, scelta di prodotti genuini, accostamenti inaspettati ma equilibrati, armonia tra dolce e salato, esaltazione del morbido e del croccante contrapposti”. Ferrari ama sperimentare per esempio attraverso frutta e verdure disidratate e ristretti, ma al tempo stesso è rispettoso della tradizione facendo tesoro dell’esperienza familiare, dalle paste fatte in casa ai dessert rustici preparati con passione. Così è stato facile accettare una sfida come quella di Malpaga: “L’opportunità di gestire la locanda in un luogo cosi magico e antico - spiega ancora lo chef - si sposa perfettamente col nostro stile e le nostre convinzioni. Ci piace l’idea di contribuire alla vita di questo feudo medievale, lavorando in un contesto che ammalia ogni visitatore: naturalmente ci auguriamo che anche sul fronte del palato le sensazioni possano essere altrettanto piacevoli”.

Alice, anima e cuore della Locanda

Lo chef Bruno Ferrari all’opera nella sua cucina

Simposio l’8 ottobre

I formaggi orobici protagonisti a BergamoScienza Il latte bergamasco con le sue innegabili proprietà e i formaggi orobici famosi per la loro originalità e genuinità entrano in BergamoScienza. E lo fanno dall’ingresso principale, con un convegno ad hoc riservato proprio al settore lattiero caseario, alla presenza di illustri docenti e organizzato in collaborazione con l’Onaf nazionale (Organizzazione assaggiatori di formaggi) e l’Istituto Natta di Bergamo. Martedì 8 ottobre, dalle 9, all’ex Borsa merci, è infatti in programma il simposio dal titolo “Bianco latte ed il piacere del formaggio”. Diversi i quesiti da cui si dipanerà la discussione: A cosa serve la pastorizzazione del latte? Quali sono le virtù nutrizionali del latte e del formaggio? Esperti e docenti presenti al dibattito accompagneranno il consumatore a riflettere sul valore della sicurezza alimentare e sul significato della qualità del settore lattierocaseario in Italia e in Bergamasca. È previsto un excursus sulla qualità da un punto di vista sanitario (igienico, nutrizionale) e tecnologico per giungere poi al concetto di qualità come garanzia controllata di sensazioni gustative e alla qualità riconosciuta in funzione della diversità delle caratteristiche organolettiche e sensoriali del prodotto formaggio. Ci si soffermerà sul gusto come espressione della cultura e della tradizione agroalimentare di un

territorio e su come l’uomo può modificare l’ecosistema microbico di una matrice alimentare a volte in modo inaspettato solo cambiando alcuni parametri produttivi. L’incontro, moderato dal giornalista de L’Eco di Bergamo (e assaggiatore Onaf) Maurizio Ferrari, vedrà tra i relatori Armando Gambera, coordinatore della Commissione Tecnico-scientifica dell’Onaf (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggio) e docente di tecnica d’assaggio di formaggi; Erasmo Neviani, Università degli Studi di Parma-Dipartimento di Scienze degli alimenti; Silvia Tropea Montagnosi, storica della cultura enogastronomica Bergamasca e Augusto Enrico Semprini, Immunologo. Inoltre, gli studenti dell’istituto Natta presenteranno una ricerca sull’attività di laboratorio microbiologico legata al latte crudo. L’obiettivo del seminario è accompagnare il consumatore a riflettere sul valore della sicurezza alimentare e sul significato della qualità del latte e dei formaggi.

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Il confronto di Laura Bernardi Locatelli

Chef e maître, il “duello” è servito Il 9 dicembre, alla Fiera di Bergamo, faccia a faccia tra Alessandro Pipero (Rex di Roma) e Chicco Cerea (Da Vittorio). Il rapporto tra le due figure? Non sempre idilliaco. Il cuoco bergamasco: “Le ripicche non mancano, come le comande tutte diverse o le mance non divise con la brigata”. La replica: “La sala è importante e può salvare un piatto mal riuscito”

S

Alessandro Pipero

ala-cucina, palla al centro. Il confronto, almeno sulla carta, è impari, con chef star da una parte e maître in cerca della riscossa dall’altra. Ma si

Chicco Cerea

sa che il campo riserva sempre delle piacevoli sorprese. Il match tra le due categorie, legate dal canonico rapporto di amore e odio, è atteso in Fiera,

nell’ambito di Pianeta Gourmarte, il 9 dicembre. La sfida è tra due pezzi da novanta della categoria: lo chef di rango Chicco Cerea, che ha portato

Accademia del Gusto, i corsi fino a dicembre Ad inaugurare l’anno scolastico all’Accademia del Gusto è lo chef Yoji Tokuyoshi, dal 2005 sous-chef di Massimo Bottura, pronto a svelare la filosofia alla base della cucina dell’Osteria Francescana di Modena, insignita di tre stelle Michelin (lunedì 14 ottobre, dalle 15 alle 18 ). Dopo il successo delle edizioni precedenti, l’anno accademico prosegue con il corso intensivo - da lunedì a venerdì, dalle 19 alle 23 - dedicato a chi intende avvicinarsi alla professione di pizzaiolo, “Vorrei fare il pizzaiolo” in programma dal 14 al 25 ottobre. Il seminario “Torte salate innovative” di Luca Montersino, pasticcere mediatico di fama internazionale, rappresenta un viaggio alla scoperta della pasticceria salata e di nuovi modi di proporre quiche e torte (in programma il 28 ottobre dalle 9 alle 18). Per gli

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chef non manca l’aggiornamento su “Le nuove tecniche in cucina” di Fabio Tacchella (in calendario il 12 novembre). Per gli chef che intendano cimentarsi nell’arte bianca ecco il corso “Il cestino del pane al ristorante” il 18 novembre. Il seminario “Come utilizzare addensanti e gelificanti” (19 novembre) rivolto ai professionisti della ristorazione mostra come semplificare il lavoro in cucina. Sul fronte bar&wine, ai corsi base sulla miscelazione (dal 28 ottobre all’11 novembre) e sul vino (dal 30 ottobre al 4 dicembre), si affiancano il corso dedicato alla caffetteria, dal caffè alle decorazioni (4 incontri dal 18 al 21 novembre) al seminario della “Latte art: le decorazioni del cappuccino”(il 25 e 26 novembre). L’anno si chiuderà con il corso “Pane, pizze e focacce: tutti i segreti”, dal 16 al 18 dicembre.


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da Vittorio nel Gotha della ristorazione italiana con la terza stella Michelin, e Alessandro Pipero, vero fuoriclasse della sala, proprietario di Pipero al Rex di Roma, una stella Michelin, eletto maître dell’anno da Identità Golose. Sul controverso rapporto tra cucina e sala c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi quello vuoto. “Nella ristorazione moderna il rapporto tra cucina e sala non è forse idilliaco ma buono - sostiene Pipero -. Come in ogni altro settore, se si ama il lavoro che si sta facendo si va d’amore e d’accordo, se ci sono insoddisfazioni di fondo, il conflitto prende il sopravvento”. Con sano realismo Chicco Cerea allarga le braccia: “Costruire un rapporto equilibrato e quasi perfetto è davvero difficile. La base di tutto, come in qualsiasi rapporto interpersonale e basato sulla fiducia, è il rispetto tra le persone. Bisogna valorizzare il ruolo di ognuno nel perseguire un obiettivo comune”. I dissapori tra sala e cucina non mancano, rincara Cerea: “Il nostro è un lavoro pesante e la stanchezza e il nervosismo a volte hanno il sopravvento. Il più classico dei battibecchi è quando arrivano in cucina comande con quattro piatti diversi in ogni tavolo. Spesso sono vere e proprie ripicche da parte di chi sta in sala”. Su un punto sono d’accordo entrambi: sull’evidente dominio della scena degli chef. “Lo chef è leader e star. L’80% dei curri-

culum che riceviamo è per la cucina, solo il 20% ambisce alla sala” rileva Alessandro Pipero. “Anche lo chef migliore al mondo non può fare a meno di chi valorizzi la sua cucina - ammette Chicco Cerea - . Negli ultimi anni invece di maître si parla di camerieri, un termine improprio. Chi sta in sala deve parlare perfettamente le lingue straniere, deve essere a modo e sapersi porre nel modo migliore con qualsiasi tipo di interlocutore, deve conoscere nel dettaglio l’etichetta che vige a tavola, oltre a saper presentare alla perfezione i piatti, per non parlare dei vini se sommelier. Non è un mestiere che si impara dall’oggi all’indomani, ma a suon di corsi ed esperienza che vanno ad arricchire un savoir-faire innato”. Come nella più classica delle sfide, ognuno cerca di guadagnare più punti possibili: “L’arte vera sta in sala ed è racchiusa nell’accoglienza, nel tatto, nella sensibilità di saper dominare ogni situazione e nel sapersi porre nel modo migliore a seconda di chi ci si trova di fronte - sottolinea con orgoglio Pipero -. Perché il cameriere è anche un po’ psicologo, oltre che, come si dice a Napoli, “cazzimmo”, ossia svelto ed in grado di trarre in proprio favore ogni cosa. Nei grandi ristoranti gli ospiti sono a contatto esclusivamente con la sala per almeno un quarto d’ora. Se il maître non intuisce subito chi si trova di fronte sono guai. Lo chef può fare un piatto sbagliato,

ma solo se ha qualcuno in sala che fa di tutto perché l’errore venga perdonato”. L’attacco della sala si fa sempre più pesante: “Solo una mentalità retrograda vede in chi sta in sala un porta-piatti. Ci vogliono maggiore selezione e preparazione, a partire dalle scuole alberghiere. Un maître deve imparare un numero di termini tecnici e nomi indefiniti, che rende il nostro vocabolario più difficile di quello di un veterinario” continua Pipero. Ed ecco il colpo ad effetto: “Il nostro è il mestiere più bello del mondo, non mi stanco mai di ripeterlo. In cucina si suda, si corre qua e là, ci si macchia e si sta sempre in mezzo a profumi e odori. In sala si sta in giacca e cravatta, si sta a contatto con la gente, ma soprattutto si vedono tantissime belle donne”. Ma Cerea non manca di mettere in luce una scomoda realtà: tanti dissapori potrebbero comunque esser risolti se oltre a dividere gli oneri e le fatiche di tutti i giorni, sala e cucina smezzassero anche gli onori: “In sala bastano un sorriso ed una gentilezza in più per conquistarsi la gratificazione finale della mancia, alla faccia della brigata che si fa in quattro in cucina. Ci sono locali dove si divide, ma in molti non è ancora così. Anche se non tutti lo ammettono candidamente, questo dà inevitabilmente adito a dissapori e alimenta eventuali ripicche”. Alla fine un pareggio per questa volta crediamo possa far contenti tutti.

In trasferta, tra Convivium visite e Pianeta Gourmarte Il 27 novembre l’Accademia del Gusto fa tappa a Milano. Dalle 10 alle 12 è in programma l’incontro tra gastronomi e ristoratori da Peck, tempio della gastronomia italiana dal 1833. Dalle 12 alle 18 a Milano si terrà il primo appuntamento del Convivium di stelle, alla corte di Carlo Cracco, nel ristorante che porta il suo nome, insignito di due stelle Michelin. La scuola di alta cucina Ascom sbarcherà il 7 e il 9 dicembre sul Pianeta Gourmarte, kermesse dedicata alle eccellenze enogastronomiche in programma in Fiera a Bergamo. Il 7 dicembre si terranno i corsi “Il cake decorating” con Catia Cavani, i corsi per appassionati “Stupiscili con piatti da chef” con Francesca Marsetti in cattedra e “I segreti per deliziose pizze gourmet” di Tiziano Casillo. Lunedì 9 dicembre si terrà un incontro dedicato al controverso rapporto tra Tripadvisor e i ristoratori, in programma dalle 10 alle 12.30. Nel pomeriggio sarà la volta del confronto tra sala e cucina, con Chicco Cerea e Alessandro Pipero, prima di dare spazio al seminario dedicato alle “Strategie di vendita per il ristorante”.

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La lente di Riccardo Lagorio

L’esigenza di avere visibilità e non esser penalizzati dal richiamo dei big sta coalizzando diverse cantine con iniziative autonome. E gli equilibri vacillano

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Consorzio Franciacorta, i distinguo dei piccoli produttori inutile nascondercelo di fronte all’evidenza: il mercato del vino, al pari di tanti altri settori, sta vivendo nel nostro Paese momenti difficili. Pochi produttori non sono coinvolti dal calo dei consumi. La modesta crescita, se non stagnazione, di mercato si è riflettuta nella recente vendemmia anche in Franciacorta (forse una delle aree che meglio ha saputo rispondere di fronte all’impasse internazionale) dove le pregiate uve sono state battute al prezzo irrisorio che si aggira intorno all’euro per chilogrammo. Pur essendo da diverse stagioni calmierati i nuovi impianti, l’allargamento della base associativa, impennatasi numericamente da poco più di una trentina di componenti a oltre un centinaio negli ultimi lustri con l’accrescimento delle superficie vitate, può avere giocato un ruolo negativo su tale andamento. Senz’altro ha però avuto anche risvolti positivi come l’affacciarsi di piccole entità nel panorama vitivinicolo, dando slancio ed opportunità lavorative a figure professionali ricercate come l’enologo o nell’ambito familiare con lo sviluppo dell’agriturismo e della micro ricettività legata al ruolo principale della cantina. Ovviamente l’ampliamento della base associativa porta con sé conseguenze che si ripercuotono sugli equilibri in seno al Consorzio: le istanze e le esigenze di piccole (e nuove) realtà non sempre coincidono con quelle in capo

ai nomi più affermati e da anni catalizzatori del mercato. Proprio perché il momento è difficile per tutti, alcune realtà di piccole e medie dimensioni hanno cercato già negli scorsi mesi di accaparrarsi un posto al sole e guadagnarsi una propria visibilità organizzando per esempio una riuscitissima iniziativa natalizia in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, che ha coinvolto negozi e ristoranti del salotto meneghino. L’articolazione delle esigenze degli associati si percepisce anche dai toni di una nuova interessante iniziativa, che si colloca all’interno del Festival del Franciacorta, in programma il 28 e 29 settembre. Alcune cantine, consce del fatto che il gruppo fa visibilità, si sono date appuntamento nella

storica sede del Festival, la prestigiosa Villa Lechi di Erbusco, dove proporranno in mescita i propri Franciacorta. Anche in questo caso si tratta di realtà tendenzialmente di medie e piccole dimensioni, quelle che il gourmet alla ricerca di novità è sempre lieto di incontrare, talvolta impossibilitate ad accogliere adeguatamente nelle proprie strutture i visitatori e che giocoforza nelle ultime edizioni del Festival finivano per essere penalizzate (la stragrande maggioranza dei consumatori dirigendosi verso cantine e centri di vista strutturati, etichette note e alla moda). Così l’appuntamento di fine settembre, segnando un nuovo e rilevante distinguo tra le diverse anime del Consorzio, garantisce peraltro i consumatori di una rinnovellata democraticità, offrendo opportunità di conoscere nuove e micro realtà franciacortine. Queste hanno organizzato degustazioni guidate a cura dell’Onav (Associazione Nazionale Assaggiatori di Vino) con prodotti locali di grande pregio come il Nostrano Valtrompia Dop (unico formaggio esclusivamente bresciano), ma anche di respiro internazionale come il caviale iraniano Beluga, da anni introvabile sulle pur ricche tavole di chi è in grado di permetterselo. Che ciò prefiguri anche collaborazioni commerciali tra le singole aziende per realizzare la necessaria visibilità che garantisca la sopravvivenza in momenti di crisi?


IL PROGETTO

settembre 2013

di Lara Abrati

La Valle Imagna mette in rete le sue bontà Sul sito agrimagna.it riunite le offerte (e le storie) di dieci piccoli produttori. Un unico punto di riferimento per fare provviste di formaggi, vini, frutta, ortaggi, uova e conserve. Invernizzi: «Obiettivo rendere sostenibili le attività agricole per garantire il mantenimento del territorio montano»

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a Valle Imagna è la conformazione valliva più ad ovest della provincia di Bergamo, ai confini con il territorio lecchese, che confluisce nella limitrofa Valle Brembana. Nata dallo scorrere del torrente Imagna, presenta suggestivi luoghi verdi incontaminati, potenziale attrazione per turisti e visitatori alla ricerca di tranquillità e natura. Di dimensione notevolmente più ridotta rispetto alle altre due vallate bergamasche, offre un vasto e interessante patrimonio culturale. Negli ultimi tempi nell’area è vivace il confronto sulle possibilità di sviluppo locale, al fine di rendere sostenibili i vari aspetti della vita in valle e nelle zone rurali e montane. Il progetto Agrimagna è una piccola parte, ma fondamentale, di un piano più vasto che mira al mantenimento del territorio e alla sua vivibilità. «Agrimagna – dice Giacomo Invernizzi, vicesindaco di Corna Imagna e responsabile del progetto – ha come obiettivo dare dei criteri di sostenibilità alle produzioni agricole e di conseguenza garantire il mantenimento del territorio montano». Si inserisce nel progetto “LavorinValle”, che mira a sostenere i progetti imprenditoriali locali, un vero e proprio piano di

rilancio dell’economia, attraverso un’analisi del passato e la creazione di percorsi concreti per costruire opportunità future. Un’iniziativa dell’Azienda consortile Imagna Villa e della Comunità Montana Valle Imagna, che ha reso necessaria la collaborazione di altre realtà del territorio, desiderose di trovare delle risposte concrete alla crisi occupazionale, in primis coinvolgendo gli attori locali e poi le istituzioni provinciali e regionali. Si è individuato nella filiera agricola una grandissima risorsa. L’idea, nel concreto, è nata grazie all’attività dell’associazione “Cittadinanza Sostenibile”, attraverso il progetto Mercato e Cittadinanza. Il mercato agricolo organizzato ormai da diverso tempo a Corna Imagna è stato un luogo «che ha stimolato numerose e diverse riflessioni e in un certo senso è stato il nostro punto di partenza», spiega Giacomo Invernizzi. «Abbiamo chiesto poi la collaborazione alla Coldiretti e alla Camera di Commercio di Bergamo, quest’ultima ci ha supportato fornendoci i contatti per lo sviluppo web del progetto». Ecco quindi che, attraverso il coinvolgimento di dieci aziende agricole della valle, qualche mese fa è nata la rete

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Il progetto che è stata poi subito affiancata dal sito web e dalla struttura logistica che permetterà l’attuazione dell’e-commerce, ad ora organizzato in prova per i soli Gruppi di Acquisto Solidale, ma a breve anche per gli acquirenti singoli. Il sistema organizzativo è in fase di test. Il fine ultimo è la commercializzazione, ma a monte il lavoro è più ampio e gli obiettivi più vasti: «In un ambiente dove l’agricoltura è ancora l’attività dominante – evidenzia Invernizzi – siamo partiti da essa per ricreare un’economia di territorio al fine di valorizzarlo e conservarlo». Uno degli obiettivi intermedi è anche quello di dar vita a un modello organizzativo che funzioni, che, perché no, potrebbe anche essere esportato altrove. Altro aspetto innovativo e interessante di Agrimagna è quello relativo all’utilizzo del web. Infatti le aziende utilizzano un sito web come luogo virtuale dove incontrare gli interessati e permettere loro di acquistare le proprie produzioni attraverso un sistema di e-commerce la cui logistica ora è gestita dalla cooperativa Oikos di Villa d’Almè. L’obiettivo è anche quello di favorire e facilitare la comunicazione tra i “gasisti” e i referenti aziendali, nonché di stimolare la visita alle aziende e l’incontro con i produttori, dando un piccolo “assaggio” delle loro storie e delle loro produzioni. Sul sito www.agrimagna.it è possibile avere tutte le informazioni riguardo alle possibilità di acquisto. «Per il futuro – afferma Invernizzi – l’idea è quella di costituire in valle un distretto agricolo, che si potrebbe caratterizzare, ad esempio, attraverso un marchio e attraverso altre azioni simili». Quindi diventa fondamentale il sostenere le aziende agricole creando nuove opportunità per i giovani e per l’aumento di esse, solo così si potrà mantenere vitale il territorio montano e della valle.

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I protagonisti

Oikos

«Il web è

Villa d’Almè

Cà Verde

Almenno San Salvatore

Pizzagalli Riccardo

Sant’Omobono Terme

La Selva dei Fungu’

Sant’Omobono Terme

I prodotti principi dell’agricoltura di montagna bergamasca sono solitamente latticini e salumi. Le aziende della rete Agrimagna rispondono invece alle esigenze dei consumatori di disporre di un’offerta diversificata, rendendo così ancora più valido il progetto perché capace di rispondere efficacemente e velocemente ai bisogni di Gas e quanti interessati all’acquisto. «Il fatto di esserci messi in rete – spiega Mauro Villa dell’azienda Cà Verde – ha portato numerose piccole aziende a rispondere alla necessità delle famiglie, vendendo un prodotto di qualità e riducendo i tempi relativi al reperimento, essendo possibile fare la spesa in un ordine solo». Si può partire dai formaggi, prodotti da tre diverse aziende; la cooperativa Il Tesoro della bruna, che comprende dieci soci, di cui sette allevatori di bovini di razza bruna alpina, il Comune di Corna Imagna, un commerciante della zona e il Centro Studi Valle Imagna. La cooperativa produce diverse tipologie casearie, innanzi tutto lo Stracchino all’antica delle Valli Orobiche, presidio Slow Food, poi il cornèl, prodotto unendo le due cagliate, quella della mattina e quella della sera, il quartì, il cui nome deriva dalla sua dimensione: un quarto di stracchino, il formagì e lo yogurt. I formaggi sono prodotti anche da altre due aziende agricole, Pizzagalli Riccardo e Locatelli Osvaldo. Entrambe preparano lo stracchino e altre tipologie casearie, come formaggella, ricotta, erborinato, yogurt, primo sale e altri ancora. L’azienda agricola L’Orso Biodinamico produce confetture e succhi a partire dai piccoli frutti coltivati in azienda con metodo biodinamico. Anche Le Trubine si occupa della coltivazione di piccoli frutti che in parte vende freschi e in parte trasforma in confetture, succhi e composte. Non mancano le aziende che producono frutta e verdura; in particolare, Il Giardino della Frutta da alcune generazioni si occupa della coltivazione di mele di diverse varietà, dalle comuni golden, stark, renetta, ruggine e fuji alle varietà antiche del territorio. In azienda sono prodotte anche altre tipologie fruttifere e ortaggi di stagione


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la strada del futuro» e parte della produzione è trasformata in confetture, conserve, succhi e nettari. L’azienda Sant’Anna, anch’essa produttrice di frutta e ortaggi, si è dedicata alla coltivazione in particolare di pesche, ciliegie, albicocche, pere e fragole, ma anche lamponi, amarene, fichi, nespole, kaki, prugne, noci e nocciole. L’azienda dispone di un laboratorio multifunzionale di trasformazione dei prodotti freschi in confetture e conserve. «Anche se non è stato facile per alcuni di noi approcciarsi al web - spiega Matteo Locatelli dell’azienda agricola Sant’Anna – lo reputo un mezzo molto comodo e a mio avviso potremmo riuscire ad utilizzarlo molto di più, ad esempio ideando un’applicazione per smartphone ad hoc e dei sistemi per velocizzare la comunicazione tra i produttori della rete Agrimagna».

Sant’Anna

Entrambe le realtà hanno scelto la strada del biologico. La prima è una cooperativa sociale che si occupa di reinserimento lavorativo e socio occupazionale di persone in situazione di svantaggio sociale o economico. I vitigni coltivati sono Merlot e Cabernet, atti alla produzione di Valcalepio rosso Doc, ma anche Merlot della Bergamasca Igt. La seconda produce Valcalepio rosso Doc, rosso della Bergamasca e vino rosato della Bergamasca. «Fare conoscere il nostro prodotto – spiega Mauro Villa di Cà Verde – è importante per avere un canale di vendita. Attraverso il web possiamo comunicare al meglio e con costi più contenuti rispetto ai metodi tradizionali. Purtroppo produrre prodotti di qualità non fa vendere in automatico. La nostra grande scommessa è arrivare anche al consumatore

Il Giardino della Frutta

Corna Imagna

Sant’Omobono Terme Anche la castanicoltura ha avuto spazio in questo progetto. Una coltivazione che in passato è risultata fondamentale per il sostentamento delle popolazioni di montagna, ma che ora è poco considerata. L’azienda La Selva dei Fungu’ ha ripreso la coltivazione del castagno e produce crema di castagne. Non solo, coltiva erbe aromatiche e alleva conigli di razza rossa della Neo Zelanda e galline e polli di razza Livornese (con la conseguente produzione di uova fresche). Possiede un piccolo laboratorio di trasformazione in cui lavora le erbe aromatiche, produce diverse confetture e la crema di castagne. In ultimo, ma non per minore importanza, il vino, che viene prodotto dalla cooperativa sociale Oikos e dall’azienda agricola Cà Verde.

Il Tesoro della Bruna

Corna Imagna

Locatelli Osvaldo

Corna Imagna

privato e non solo ai Gas. Il web per questo è molto utile, è la strada del futuro. Arriverà il momento in cui tutti lo utilizzeranno indistintamente e con semplicità». Prima di effettuare qualsiasi ordine, è possibile richiedere una cassetta degustazione al costo di 15 euro. La cassetta conterrà un piccolo assaggio di tutti, o quasi, i prodotti acquistabili al fine di non effettuare ordini alla cieca e di acquistare in totale consapevolezza. Il percorso è ancora lungo, come sostiene Matteo Locatelli dell’azienda Sant’Anna: «siamo ancora all’inizio, stiamo affinando l’organizzazione interna e ci stiamo dando delle regole, operazione essenziale, ma tutt’altro che facile. Siamo però sulla buona strada!».

Le Trubine

L’Orso biodinamico

Locatello

Brumano

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La sfida di Giordana Talamona

Il gruppo bergamasco di “Civiltà Contadina” è impegnato nella rilancio delle antiche coltivazioni come la Sigaretta di Bergamo, il Fasoi del Tone, la Zucca Tromba ed altri ancora. Sironi: “Negli Orti Biodiversi Caravaggini stiamo ottenendo dei buoni risultati e abbiamo riscoperto antichi ortaggi quasi totalmente estinti”

Alla ricerca dei semi perduti

“L

a biodiversità dev’essere legata alle ricette locali, altrimenti si trasforma in pura coltivazione d’élite”. A parlare è Adalberto Salvatore Sironi, vicepresidente e coordinatore del gruppo Bassa Bg-Cr-Mi di Civiltà Contadina, associazione no profit che sta riscoprendo le antiche coltivazioni quasi del tutto scomparse. Coltura e cultura si fondono per trasformare la biodiversità in un mezzo di rievocazione dei sapori e delle antiche ricette locali, patrimonio custodito ancora da pochi anziani. “La biodiversità delle colture è andata persa - afferma Sironi -. Non

Adalberto Sironi

si coltivano più dei prodotti per il loro legame col territorio, perché costituiscono la base delle ricette locali o perché richiamano la tradizione delle feste. Tutto è ormai disponibile durante l’intero arco dell’anno. Questo non ha portato solo all’estinzione di alcune colture autoctone a bassissima resa, ma ha anche trasformato o cancellato alcune ricette locali”. Ma per fortuna, non tutto è perduto. L’associazione, nata nel 1996, ha tra i suoi obiettivi la riscoperta e la salvaguardia delle colture tipiche italiane. Tra le azioni di Civiltà Contadina c’è la

custodia dei semi di antiche varietà di ortaggi, cereali e legumi con l’obiettivo di salvaguardarne l’integrità per le future generazioni. Come seed savers (conservatori di semi) scelgono i semi antichi non ibridati, né modificati geneticamente. Un patrimonio conservato, ma non infruttuoso. Al contrario, Civiltà Contadina ne promuove l’utilizzo prestando i semi ai propri soci, a patto che li restituiscano in quantità doppia a fine stagione. Un atto di salvaguardia per il futuro che non si traduce nella creazione di un archivio crioconservato, perfetto e sterile,

Le Biodiversità in via Sigaretta di Bergamo Peperone molto allungato e appuntito, quasi cilindrico. Recuperato da un socio del Gruppo di Bergamo-Groppello. Viene allevato in Bassa bergamasca dal 2006. È ottimo sott’aceto. Satela de Careas (Melone Cantalupo) Melone che ricorda nelle fattezze e dimensioni una zucca. Molto profumato e saporito, ha una buccia spessa e una polpa liquescente (da qui il nome Satela, femmina di rospo). Gli Orti Biodiversi stanno cercando di ricreare questa varietà dal 2006 incrociando tre cu-

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gini Cantalupo: Rospo di Bologna (seme di Civiltà Contadina), Prescott Fond Blanc (seme proveniente dai Seed Savers Canadesi) e Popone Zatta (Seme proveniente dalla ARSIA Toscana). Eccezionale col Salame di Caravaggio, ma anche degustato in purezza. NB: Si segnala che questo melone è citato dal poeta milanese Carlo Porta in una sua poesia. Fasoi del Tone Fagiolo recuperato negli anni 2004 a Fiorano al Serio dal socio Michele Girardelli. È stato


settembre 2013 ma che riporta i semi alla campagna e alla sapienza contadina. Una sorta di rinascimento della cultura rurale, come l’associazione ama definirla, che riporti sulle tavole gli antichi sapori del passato. “Negli Orti Biodiversi Caravaggini stiamo ottenendo dei buoni risultati - spiega Sironi -. Coltiviamo da più di quattro anni dei piccoli terreni in comodato d’uso, nei quali abbiamo riscoperto antichi ortaggi della Bassa bergamasca, quasi totalmente estinti”. La Sigaretta di Bergamo, il Fasoi del Tone, la Zucca Tromba ed altri ancora. “Il pomodoro Corno Andino, chiamato localmente òl Cornu de Tempestìì, ha una forma a corno di capretto. Molto versatile in cucina, ha la particolarità di poter essere sbucciato come una banana, quando arriva a maturazione. Il peperone sigaretta di Bergamo è eccezionale messo sott’aceto. La pianta, alta un metro e mezzo, produce peperoni lunghi, grossi e molto appuntiti. Abbiamo anche riscoperto una coltivazione pressoché estinta da quasi quarant’anni. Si tratta del Fasoi del Tone, un fagiolo bianco, grosso come un bulbo oculare, ideale nella trippa”. La coltivazione di questo fagiolo ha permesso di rispettare integralmente l’antica ricetta della “trippa dei morti” di Caravaggio che tradizionalmente prevedeva proprio l’utilizzo di un fagiolo bianco di grosse dimensioni. Un lavoro di pazienza certosina, minuzioso nello studio delle tradizioni, scrupoloso nella coltivazione, complicato ulteriormente dal difficile reperimento dei semi. Se infatti impiantando il seme di un’antica coltura la sua rinascita è certa, la sua mancanza

fa diventare l’impresa ancor più ardua. “Stiamo cercando di recuperare la Satela de Careas, un melone che nelle fattezze ricorda una zucca bitorzoluta, contraddistinta da una pronunciata e deliziosa liquescenza. Si tratta di una varietà antichissima, citata addirittura dal poeta milanese Carlo Porta in una sua celebre poesia - spiega Sironi -. Non avendo recuperato il seme, ma conoscendone il sapore e la forma grazie alle testimonianze degli anziani, abbiamo cercato di ricrearlo attraverso degli incroci. Abbiamo scelto tre varietà di meloni Cantalupo, quelli che secondo noi si avvicinano di più alla Satela de Careas, e da quattro anni stiamo lavorando perché la coltura si stabilizzi. Si tratta di un lavoro di pazienza, perché di volta in volta si deve giocare sull’ibridazione tra le tre varietà”. L’ultima delle sfide è la coltivazione della Zucca Tromba, tipica della Bassa, per poter preparare la tradizionale “Zucca in carpione”, piatto anticamente abbinato al Taleggio o al Salva. Tra le ultime sperimentazioni culinarie c’è, inoltre, la polenta fatta col Mais Rostrato Rosso originario di Rovetta. La pianta è alta 4 metri, mentre il chicco del mais è contraddistinto da un’unghia rossa. “È adatto per preparare una polenta dal gusto particolare - conclude Sironi - più pastosa e grassa al palato per la presenza nel mais di una percentuale più alta di olii”. Ma non finisce qui, perché negli Orti Biodiversi si coltivano altre antiche colture come la rapa dal colletto rosso, la melanzana bianca, lo zucchino nero di Milano, lo zucchino di Napoli, l’anguria da marmellata e molto altro ancora.

L’antica ricetta

La zucca tromba in carpione Preparazione della zucca Tagliare a rondelle spesse 3-4 millimetri la parte piena della zucca tromba. Togliere la buccia e fare asciugare su un panno. In una padella mettere a scaldare l’olio, poi aggiungere poche fette alla volta, facendole dorare parte per parte. Scolarle su carta assorbente disponendole su un piatto di portata. Preparazione del carpione Fare soffriggere, nello stesso olio di cottura, uno spicchio di aglio e aggiungere un bicchiere di aceto bianco sino a portarlo ad ebollizione. Preparazione finale del piatto A bollitura dell’aceto bianco versare il carpione, ancora caldo, direttamente sulle fette di zucca tromba disposte sul piatto di portata. Aspettare qualche ora e servire. La zucca tromba in carpione cosi cucinata è molto semplice, povera e versatile. Potete servirla come antipasto, come contorno con bolliti oppure accompagnarla a dei formaggi freschi come crescenza, taleggio o stracchino.

di stabilizzazione impiantato nella Bassa bergamasca ed è tuttora il fiore all’occhiello degli Orti Biodiversi Caravaggini. Ottimo in insalata con prezzemolo e cipolla, magnifico nelle minestre invernali e sublime nella Trippa (Buseca) dei Morti. Aglio Rosso Un recupero biodiverso che dà lustro alla zona, dato che era uno dei bulbi più apprezzati dai Caravaggini. Dal momento che il vecchio tipo non esiste più, lo si sta tuttora recuperando con studio e pazien-

za. Si tratta di un aglio rosso proveniente dalla Siberia che si è adattato al suolo e al microclima orobico. Saporito, non piccante, è molto versatile in cucina. Delizioso anche crudo. Zucca Tromba Difficilissima da mantenere poiché, a causa dell’ibridazione fin qui avuta, ha cambiato forma e sapore. La sperimentazione che si sta effettuando su questo tipo di zucca prevede l’impollinazione manuale. Si tratta di un progetto ancora in nuce.

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Appuntamenti 28 E 29 SETTEMBRE Degustazioni ed eventi nelle cantine del Franciacorta

28 E 29 SETTEMBRE

Villa d’Ogna, fine settimana con i sapori valdostani

P

er due giorni (il 28 e 29 settembre) Villa d’Ogna diventerà un’enclave valdostana in occasione della “Festa della Natura”, manifestazione organizzata dal C’Entro Parrocchiale Ogna che ogni anno porta in paese i sapori, l’artigianato, le tradizioni e il folklore di una regione d’Italia. Dopo il Friuli e le Marche, tocca alle specialità della “Vallée”, accuratamente selezionate dal comitato organizzatore con la collaborazione della Regione Valle d’Aosta. L’appuntamento è in crescita e quest’anno si sviluppa su due giornate anziché una, con sfilate, spettacoli e aperitivi già dal sabato. Vere chicche sono gli stand dei prodotti enogastronomici e degli antichi mestieri valdostani, scelti secondo i criteri dell’autenticità, se non addirittura unicità, e della qualità. Anche il pranzo della domenica è tutto all’insegna della regione

ospite, basti pensare che anche la farina per la polenta (azienda Bonne Vallée di Donnas), l’acqua (sorgenti del Monte Bianco di Morgex) e il pane di segala (Frassy Ettore di Arvier) provengono dalla Val d’Aosta. E poi lardo d’Arnad Dop, Salame cru d’Arnad, Vallèe d’Aoste jambon de Bosses Dop e l’erborinato Bleu d’Aoste, come primo la Seupa à la Vapelenentse (una “lasagna” formata da strati di pane ammorbidito dal brodo di carne, fontina e verza, terminando con la fontina), per secondo la Carbonada Valdostana, preparata con fesa di vitello sotto sale, per finire con torcetti e tegoline e Torta la Flantze, caffè o grolla. Il costo è di 22 euro, vini esclusi, per i quali si può seguire un percorso consigliato di abbinamenti. Per informazioni e prenotazioni: centroparrocchialeogna@virgilio.it

Sapori, arte, musica ed emozione. Sono quattro i temi portanti del Festival del Franciacorta in Cantina 2013, il calendario di eventi promosso dalle aziende vitivinicole nel week end del 28 e 29 settembre. Le aziende organizzeranno visite con degustazione delle differenti tipologie di Franciacorta prodotte, in abbinamento ai piatti e ai prodotti tipici del territorio – e non solo -, ma si potrà anche scoprire la passione di alcuni produttori per l’arte o partecipare ad appuntamenti che uniscono la degustazione di un calice del rinomato metodo classico alla musica. Chi ama “sperimentare” potrà trovare qualche spunto originale grazie ad alcune aziende che propongono degustazioni insolite: un coinvolgimento multisensoriale, con spazi e divertimento dedicati anche ai più piccoli. La prenotazione della visita è obbligatoria, contattando direttamente le cantine. www.festivalfranciacorta.it

DAL 17 AL 19 OTTOBRE Torna la sfida tra Merlot e Cabernet di tutto il mondo È in programma dal 17 al 19 ottobre la nona edizione del Concorso Enologico Internazionale “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet Insieme”, l’ormai consolidato appuntamento internazionale che porta a Bergamo centinaia vini. La sede scelta per le degustazioni delle commissioni è Villa Redona a Entratico, il banco d’assaggio dei vini vincitori, aperto al pubblico, sarà invece in piazza Vecchia, in Città alta. Tra le novità di quest’anno, la decisione dei promotori Consorzio Tutela Valcalepio e Vignaioli Ber-

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gamaschi - di selezionare 21 giudici tra i consumatori per inserirli nelle giurie di degustazione. La proposta è stata lanciata nell’ambito dello scorso Vinitaly. I giurati avranno la possibilità di prendere parte alle sessioni di degustazione e premiare il “Vino del Consumatore”, un nuovo riconoscimento, che si aggiunge a quelli attribuiti dai tecnici e dai giornalisti e che porta in primo piano il gusto e il giudizio degli appassionati. Le cantine interessate a partecipare devono inviare la domanda entro il 30 settembre. www.emozionidalmando.it


19 E 20 OTTOBRE

Branzi (BG) 27/28/29 Settembre 2013

A Piazza Brembana la sagra delle mele

SAGRA DELLA POLENTA TARAGNA OROBICA

La Valle Brembana sta diventando una piccola patria delle mele in Bergamasca grazie all’Afavb, Associazione Frutticoltori ed Agricoltori Valle Brembana, che raggruppa oltre 230 soci ed ha come principali obbiettivi il recupero e la coltivazione del territorio in abbandono, la diffusione della cultura della frutticoltura e una produzione sana per l’uomo e l’ambiente. Queste attività hanno da quattro anni a questa parte anche una bella vetrina nella “Sagra della Mela e dei prodotti tipici brembani”, che per due giorni invade la via centrale di Piazza Brembana con stand e mercatini di mele e prodotti della Valle, assaggi, degustazioni, concorsi. In passerella, accanto alle regine della sagra, ci saranno formaggi, marmellate, biscotti, salumi, miele e castagne. L’appuntamento è sabato 19 e domenica 20 ottobre. Per l’occasione saranno proposti pranzi convenzionati nei ristoranti di Piazza Brembana, dei paesi vicini e dei soci di Altobrembo www.afavb.com

Come i Ristoranti Valle Brembana Esposizione, degustazione e venditadella prodotti tipici interpretano Menu Polenta Taragna Orobica con abbinamenti tipici la polenta taragna Come i Ristoranti orobica Percorso “La strada dei vini”, Brembana con degustazioni della vini e Valle birre artigianali Agriturismo Alle Baite interpretano Intrattenimento “Gli Alègher” di Dossena la polentaPolenta taragna taragna orobica con bocconcini di manzo al ginepro orobica CLUB ALPINO ITALIANO Unione Bergamasca delle Sezioni e Sottosezioni

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Polenta taragna orobica Polenta taragna orobica con coniglio arrosto al profumo di timo con bocconcini di manzo al ginepro

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dell'Alta Valle Brembana

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Alta Val Seriana, tour tra i menù d’autunno di dieci hotel

PI TA L F I TÀ D I F Agricola Agr itur is Cooperativa t ic a Donne di Montagna - Ornica US

I ristoranti di dieci alberghi dell’Alta Valle Seriana sono protagonisti dal 20 settembre al 29 novembre di altrettante serate gastronomiche nell’ambito di “La tradizione d’autunno nelle nostre cucine”, prima edizione di una rassegna organizzata dall’Astra (Associazione seriana turismo e ristorazione alberghiera) per valorizzare i prodotti tipici e stagionali e la capacità degli chef di interpretarli. L’appuntamento è ogni venerdì (tranne il primo novembre) in un locale diverso. Le serate prevedono un vero e proprio incontro con i protagonisti della cucina attraverso momenti di “show-cooking” che presentano la preparazione dei piatti e promuovono la cultura della tavola. Il costo del menù è di 30 euro. Si comincia all’Hotel Europa di Clusone (20 settembre), per proseguire con l’Hotel Vecchio Mulino a Rovetta (il 29), Miralago a Bossico (4 ottobre), Hotel Ambra a Clusone (11 ottobre), Hotel Libia a Fino del Monte (18 ottobre), Bussola a Clusone (25 ottobre), Belvedere a Parre (8 novembre), Betulla a Onore (15 novembre), Commercio a Clusone (22 novembre) e Hotel Gromo a Gromo (29 novembre). In occasione delle serate le strutture proa Agricola Agr itur ist i ca i en d Az pongono anche pacchetti speciali per il soggiorno. www.astraseriana.com

Ristorante Branzi Ristorante Corona Via Umberto I, 23 - BRANZI - Tel. 0345.71121

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Ristorante K2 Albergo Carona

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Polenta taragna orobica Polenta taragna orobica con costolette di cervo e pinoli con salsiccia e funghi

Ristorante K2 Via Foppelle, 42 - FOPPOLO - Tel. 0345.74105

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Consorzio Operatori Turistici

Polenta taragna orobica con costolette di cervo e pinoli

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IL PREZZO FISSO

Sette tavoli per una ventina di coperti. Le piccole dimensioni della Trattoria “Come una volta” di Albino legate alla scelta dei titolari di fare tutto da sé, dalle paste al pane, dai sottoli ai dolci. Tra i punti di forza le serate a tema

Walter Brambilla si occupa della cucina, in sala la compagna Susi

di Fulvio Facci

A

Pochi posti, ma buoni

l ristorante “Come una volta” in via Roma 76 a Desenzano di Albino ci eravamo fermati per caso circa un anno fa per il pranzo di mezzogiorno. Ci aveva un po’ sorpreso il fatto che ci fossero solo due clienti, anche se il locale è molto piccolo: sette tavoli, più o meno 20 posti in tutto. Il costo era un po’ più alto della media delle proposte a prezzo fisso, 12 euro, ma ce lo ricordiamo come un buon pranzo. «Proviamo a tenere duro ancora un anno – ci aveva raccontato allora il titolare – poi vedremo come andranno le cose».

Ora Walter Brambilla, milanese da tempo trapiantato nel bergamasco e nel settore, che gestisce il locale con la compagna Susi, è veramente molto soddisfatto. «Siamo qui dall’inizio del 2011, ormai, quindi, più di due anni e mezzo – rileva infatti – e le cose adesso stanno andando bene. A mezzogiorno abbiamo ingranato, anche se a volte c’è qualche flessione, mentre alla sera siamo aperti al venerdì e al sabato e su prenotazione gli altri giorni. Basta essere almeno in dodici per avere il locale in esclusiva».

Ci sarà una motivazione senz’altro per la scelta di un locale così piccolo. «È perché voglio fare tutto io – dice chiaramente Walter, che sta in cucina, mentre Susi è in sala -. Non entra un grammo di pasta, la facciamo tutta noi con la farina del mulino a pietra di Cerete. Facciamo anche il pane e poi tutti i sott’olio e sott’aceto, soprattutto in agrodolce, che serviamo con gli antipasti sono di nostra preparazione. Adesso, ad esempio, sto preparando la mostarda di fichi e quella di pomodori verdi che saranno pronte quando

LA PROVA

Nell’offerta anche piatti da portar via Per il menù a prezzo fisso all’ora di pranzo, dal lunedì al sabato, il costo è su tre livelli: otto, nove e dodici euro. Tutte le combinazioni comprendono vino, acqua e caffè. Sono quindi otto euro per il primo, nove euro per il secondo con contorno, dodici euro per il pranzo completo.

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Pappardelle al sugo di calamaro, gnocchi di patate fatti in casa conditi con gorgonzola, ragù o pomodoro, risotto alla parmigiana mantecato allo stracchino la lista dei primi. Frittelle di merluzzo (“sottotitolate” Bertagnì, a ricordare uno dei pochi piatti di pesce del-

la tradizione bergamasca), arrosto di costato di manzo, “ciareghì” con polenta e stracchino e frittata con catalogna le proposte per i secondi piatti. Abbondante la scelta tra i contorni, soprattutto verdure cotte. Visto che tutta la pasta è fatta in casa, abbiamo scel-

to le pappardelle al sugo di calamari e le frittelle di merluzzo. Contorno di coste e catalogna. Un pranzo tra i migliori dei nostri test. Il piatto da asporto, nell’occasione, era rappresentato dal Bertagnì, un’idea in più per una pausa pranzo diversa dal solito.


settembre 2013 arriverà il momento delle serate a tema con i lessi». «Abbiamo una carta abbastanza ampia – interviene Susi che si occupa anche delle pubbliche relazioni – incentrata prevalentemente sulle nostre paste fatte in casa e le carni, tutte a lunga cottura. Ci piace mettere nei piatti una certa ricercatezza e curiamo la scelta delle materie prime. Per quanto possibile, cerchiamo di muoverci a chilometro zero, tranne che per il pesce, ovviamente». Ma punto forte della trattoria sono le serate a tema: si va dal gran fritto di paranza, tutto con pesce fresco, alla cena medievale, al gran bollito, fino quella denominata “Ritornar bambini”, dove si mangia con le mani, senza posate. E poi si seguono le stagioni. Il prezzo medio si aggira sui 25 euro, quello massimo sui 35. I vini sono bergamaschi con uno loro gradualità nel prezzo, anche i dolci, su tutti le torte della nonna, sono fatti in casa. «È stata dura – conclude Susi –, ma abbiamo fatto un buon lavoro per farci conoscere. Siamo stati presenti a manifestazioni con degustazioni gratuite, facciamo pubblicità tramite Internet, sms e con la vendita appunto in Internet di prenotazioni scontate. Siamo recensiti su Trip Advisor ma fondamentale è il passa parola. Abbiamo dei piatti per celiaci e ottime combinazioni anche per i vegetariani. Un’altra mano ce l’ha data l’introduzione dei piatti da asporto, almeno un paio al giorno, facciamo anche i baratti con i nostri fornitori abituali. Non sono grandi numeri ma per una trattoria delle nostre dimensioni fanno presto a diventare importanti. Sono benvoluti anche i cani». Insomma, tante piccole attenzioni, curiosità e accorgimenti che regalano al locale un carattere distintivo.

Trattoria “Come una volta” via Roma 76 - Albino aperta a pranzo da lunedì a sabato e le sere di venerdì e sabato (le altre sere su prenotazione, anche in esclusiva) tel. 035 751929 www.trattoriacomeunavolta.com

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settembre 2013

Quattroerre

Salgono a 5 le medaglie d’oro per le grappe firmate Villa Domizia L’ultimo riconoscimento, al concorso “Alambicco d’oro”, è andato alla Gaudes Moscato da unico vitigno

E

nnesimo riconoscimento per l’azienda bergamasca Quattroerre di Torre de’ Roveri. I titolari, i quattro fratelli Rota, agguantano infatti l’ennesimo titolo nazionale grazie alla medaglia d’oro ottenuta dalla grappa da unico vitigno Moscato - Gaudes Villa Domizia al XXXI° concorso nazionale Alambicco d’Oro (concorso organizzato dall’Associazione Nazionale Assaggiatori di Grappa ed Acquaviti). La grappa, in commercio da pochi mesi, è stata presentata ufficialmente alla fiera internazionale di Verona lo scorso aprile. Il successo si aggiunge alla doppia medaglia d’oro ottenuta sia nel 2012 che nel 2011 nei concorsi nazionali dell’Anag e in quello internazionale di Termeno Acqueviti d’Oro. Non solo. L’azienda di Torre de’ Roveri ha ulteriormente impreziosito il suo palmarès di vini e distillati grazie anche alla medaglia d’argento ottenuta lo scorso giugno al 19° Concorso Mondiale di Bruxelles con il Valcalepio Rosso Gaudes Ri-

serva 2007. Riconoscimento internazionale che si aggiunge al premio della stampa, sempre con il Valcalepio Gaudes “Villa Domizia”, ottenuto nel 2011 alla settima edizione del concorso enologico internazionale “Emozioni dal Mondo”, quale miglior

mo rifarci, come produttori e commercianti, per avere indicazioni circa la bontà del nostro lavoro, sia sempre e solo il consumatore. Ecco, non perdendo mai di vista questo semplice ma essenziale concetto, noi produciamo vini, grappe e birre che

vino a taglio bordolese presente al concorso. “È nostra ferma convinzione - sostiene Giampietro Rota presidente della società bergamasca - che, nonostante l’importanza giocata da questi concorsi negli ultimi anni, il giudice più severo, ma anche quello al quale dobbia-

devono trovare riscontro nelle persone che consumano tali prodotti. Se poi, come è successo negli ultimi tre anni, riceviamo riconoscimenti nazionali ed internazionali, questo non può che farci felici”. Seguendo la filosofia che ha portato all’affermazione i vini Villa Domizia, anche le

grappe Gaudes hanno come denominatore comune la piacevolezza, senza perdere di vista quindi le aspettative di chi consuma tale prodotto. “Oggi l’attenzione che il pubblico e gli operatori hanno nei confronti dei prodotti del territorio - continua Rota - sono più che una moda. Sono la consapevolezza che, se vogliamo distinguere i nostri prodotti dal resto che il mercato offre, dobbiamo continuamente insistere su quel valore aggiunto legato alla tipicità della zona di produzione. Ragione valida e lungimirante che con grande caparbietà vogliamo perseguire nel futuro immediato; motivo per cui, entro fine anno, verrà presentata una nuova grappa barricata”. La grappa Moscato Villa Domizia è definita da unico vitigno in quanto è ottenuta esclusivamente con vinacce dello stesso vitigno e, come tutti i distillati prodotti dalla Quattroerre, viene prodotta utilizzando piccole caldaiette di rame a vapore con metodo discontinuo.

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settembre 2013

Alessandro Luzzago

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Valtènesi Doc compie un anno ed arriva sul mercato con la vendemmia 2012: un ritorno atteso, specie dopo il forte consenso riscosso all’ultima edizione del Concorso enologico nazionale dedicato all’autoctono Groppello ed ospitato nei giorni scorsi dalla tradizionale Fiera di Puegnago del Garda (Bs). “È un risultato estremamente importante, che incoraggia il lavoro che il Consorzio ha intrapreso sull’identità

Valtènesi Doc, sul mercato arriva la seconda annata dei propri vini – afferma il presidente del Consorzio Valtènesi, Alessandro Luzzago -. Davvero non poteva esserci premessa migliore per il ritorno del Valtènesi ad un anno dal suo debutto ufficiale”. Per l’annata 2012, che come previsto dal disciplinare di produzione può essere commercializzata a partire dal primo settembre, il Valtènesi Doc - vino rosso di territorio imperniato sul vitigno Groppello - arriva sul mercato

con un quantitativo potenziale di quasi mezzo milione di bottiglie, oltre che con una superficie rivendicata salita a 114 ettari dai 91 dell’anno precedente: segnali di crescita per una tipologia che, affiancata al Valtènesi Chiaretto, completa il profilo di una denominazione entrata in vigore nel 2011 con l’obiettivo di conferire ai vini di questa porzione della costa gardesana un’identità più definita e meglio comunicabile al mercato.

Il 6 e 7 alla Villa Foscarini Rossi (Stra di Venezia)

Spumanti, il punto al Forum nazionale di ottobre Il consumo mondiale del vino continua a premiare i vini effervescenti, soprattutto quelli italiani. “Bollicine” il focus-forum sui vini spumanti italiani a villa Foscarini-Rossi a Stra di Venezia, il 6 e il 7 ottobre prossimi, presenta le migliori produzioni in previsione dei brindisi mondiali di fine anno. Presenti giornalisti e operatori da tutta Europa. Per la tappa in Veneto, la scelta è caduta su importatori ed esportatori più sensibili e vicini, dalla Lituania alla Ucraina. I paesi dell’Est-Europa sono molto attratti dalle bollicine: vini freschi, moderni, meno alcolici, ideali per ogni cucina, ottimi a tavola e fuori pasto, il miglior rapporto fra identità/valore. Gli operatori economici ospiti avranno a disposizione una area business per poter degustare con una guida personale i vini, per incontrare i produttori. Sono rappresentanti dei canali horeca, dal retailer al diplomatic store, distributori in grandi alberghi e grocery, provenienti da Estonia, Lituania, Lettonia. Dall’Ucraina saranno presenti i 3 più grandi importatori di vini di alta gam-

ma, grazie anche alla collaborazione con la CdC Italo-Ucraina. Gli stessi importatori-esportatori stranieri potranno avere gli ultimi aggiornamenti economici e produttivi sui vini italiani. Ampio spazio viene dato alla diffusione della cultura del vino con laboratori di analisi sensoriale guidati da Marco Sabellico (direttore guida Gambero Rosso), Luca Gardini (sommelier Ais), Nicola Frasson (Guida vini d’Italia). Dalle 11 alle 20, tutti i giorni, sarà possibile degustare BtoC, nelle sale della villa, circa 300 etichette provenienti da tutta Italia. Ogni Distretto produttivo ha una sala dedicata per favorire conoscenza e identità al consumatore finale. Inoltre, per i produttori presenti sono previsti due incontri formativi sull’internazionalizzazione delle imprese, curati da Giovanni Veronese e Marco Broianjgo proprio per conoscere il percorso più semplice e sicuro per arrivare con le bollicine su mercati lontani ma di prospettiva commerciale, come Corea, Cina, Russia, Indonesia, Australia.

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L’angolo

del single di Marco Bergamaschi

Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina

Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.

Hamburger al marsala Ingredienti per 1 persona 1 confezione di 2 hamburger di manzo (circa 200 g) 1 cucchiaio di farina 200 cc di latte intero

20 gr di burro 2 cucchiai di olio extra vergine d’oliva 50 cc di marsala secco sale a piacere

Preparazione In una padella mettere l’olio e gli hamburger. Cuoceteli a fuoco medio sui due lati, 3 minuti per parte. Togliere dal fuoco la padella, prendete gli hamburger e riponeteli su un piattino. Nella stessa padella mettete ora il burro e la farina e tostate a fuoco medio, rimestando per un minuto. Aggiungete un pizzico di sale ed un poco di latte e continuate a rimestare; quando il latte è stato assorbito dalla farina, aggiungetene ancora affinché venga nuovamente assorbito e così fino alla fine. In tutto ci vorranno cinque - sei minuti. Spegnete il fuoco, rimettete gli hamburger nella padella, coprendoli con la crema appena preparata e lasciateli riposare per altri cinque minuti; aggiungete quindi il marsala, rimettete la padella sul fuoco medio e rigirate gli hamburger per farli insaporire sui due lati per circa un minuto. Togliete la padella dal fuoco e versate nel piatto hamburger e crema compresa. Curiosità Non ho mai capito veramente il perché, ma quando si è single (e si ha una vita poco casalinga), arrivata l’ora della cena, si opta quasi sempre per un primo: ed è la pasta, nelle sue mille accezioni, a farla da padrona. Veloce da preparare, consumata con uno dei tanti sughi già pronti in commercio, rappresenta un escamotage che piace a tanti. Ma è anche vero che ci sono valide alternative, altrettanto veloci e sicuramente più gustose di un sugo già pronto. La proposta di questo mese è un piatto di carne, ricco di proteine, insaporito da una salsa sfiziosa. Saporita e nutriente, la carne di manzo contiene poca acqua e una buona quantità di grasso ed è un’ottima fonte di aminoacidi essenziali, oltre che di vitamine del gruppo B. In commercio è possibile trovare hamburger di marca già confezionati, anche se personalmente preferisco quelli di macelleria, a mio avviso molto più gustosi. Alle volte costano qualche centesimo in più, ma è tutta un’altra cosa. Per la salsa utilizziamo il marsala, un vino liquoroso che non dovrebbe mai mancare nella dispensa di casa; non solo perché è saporito, ma anche perché rappresenta una risorsa in cucina: io infatti lo utilizzo per preparare le scaloppine, lo zabaione e altri piatti sfiziosi. In commercio lo si trova di diversa tipologia a seconda del residuo zuccherino: “secco” (con zuccheri inferiori a 40 gr. per litro), “semisecco” (con zuccheri su-

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periori a 40 gr. per litro e inferiori a 100 gr. per litro) e “dolce” (con zuccheri superiori a 100 gr. per litro); per la nostra ricetta è necessario acquistare del marsala “secco”, disponibile sui banchi di tutti i supermercati della città a circa 7 euro. Una volta aperta la bottiglia, questo vino deve essere conservato in un luogo buio e fresco (14-21°C), in posizione orizzontale; gli esperti consigliano poi di tenere la bottiglia lontano da odori forti che potrebbero interferire sul suo delicato aroma. Nel caso in cui non sia possibile conservare il marsala in queste condizioni, è consigliabile consumarlo entro il più breve tempo possibile. Infine, un consiglio d’obbligo: una volta preparato il piatto, non dimenticate di passare nella padella una fettina di pane per catturare tutto il condimento restante; non sarà certo molto “bon ton”, ma ne vale veramente la pena. Vi auguro buon appetito.


BRACCA Domenica 29 settembre 2013

Comune di Bracca

SALA POLIVALENTE

ALLA SCOPERTA

DEL

TARTUFO NERO DI BRACCA

PROGRAMMA ore 10.00 ore 10.15 ore 11.00 ore 11.15 ore 12.00 ore 12.30 ore 13.00

Inaugurazione ufficiale Apertura mostra mercato e banchi vendita Apertura Convegno: “Il Tartufo Nero di Bracca” - Sig. Giuseppe Ciocchetti Pres. Ass. Tartufai Bergamaschi Specie di tartufo presenti in Val Serina Sig. Virgilio Vezzola Pres. Associazione Tartufai Bresciani - Tartufi e Tartuficoltura. L’importanza degli ecotipi locali. Analisi sensoriale comparativa di alcune specie di tartufi Possibilità di degustare gratuitamente diversi tipi di tartufo Abbinamento Tartufo Nero della Val Serina con vini locali

PRANZO CON MENù A BASE DI TARTUFO NERO (presso i Ristoranti aderenti - obbligatoria la prenotazione)

ore 15.00 ore 15.30 ore 16.30 ore 17.30 ore 17.45

Educazione sensoriale al cibo per bambini - “Slow Food” Visita ad una tartufaia della zona e dimostrazione con cani Dimostrazione con i cani per bambini e adulti della ricerca del tartufo nero Utilizzo in cucina e conservazione del Tartufo Nero Dimostrazione pratica della preparazione del risotto al Tartufo Nero di Bracca e degustazione

RISTORANTI ADERENTI (prenotazione obbligatoria)

Trattoria Dentella Via Cav. A. Dentella, 25 - Bracca (BG) - Tel. 0345 97105 Trattoria La Tavernetta Pregaroldi Bracca (BG) - Tel. 0345 97172 Ristorante Pizzeria Rondi Via Centro, 28 - Bracca (BG) - Tel. 0345 97023 Ristorante Pizzeria Genzianella Via Bruga, 5 - Bracca (BG) - Tel. 0345 97001 Pizzeria Frozen Via Ca. A. Dentella, 9 - Bracca (BG) - Cell. 340 5575121

gratuita del risotto



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