Affari di Gola dicembre 2009-gennaio 2010

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dicembre 2009 - gennaio 2010

Supplemento al n. 44 de “La Rassegna” del 17 dicembre 2009 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile - Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

LA COPERTINA

Parte da Bergamo la scalata italiana al Bocuse d’Or IL PRODOTTO

IL PERSONAGGIO

L’INTERVISTA

IL RICONOSCIMENTO

Un formaggio al mese, ecco la mini guida

Il farmacista birraio di San Pellegrino

L’esperto svela i segreti del locale di successo

L’omaggio dell’Ascom ai nuovi locali stellati


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DICEMBRE 2009 - GENNAIO 2010

SOMMARIO 5

PENNA ALL’ARRABBIATA Tra pizze, locali stellati e spumanti affrontiamo il 2010 carichi di speranza

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L’EVENTO Parte da Bergamo la scalata al Bocuse d’Or

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IL DIBATTITO Il Valcalepio e il nodo della promozione

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LA PROPOSTA Il calendario del formaggio, ogni mese il suo gran Cru

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L’INTERVISTA “Vi svelo i segreti del ristorante magnetico”

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IL BILANCIO Dieci piatti per dieci emozioni

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TENDENZE Birra artigianale, anche Bergamo ci prende gusto

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IL PREZZO FISSO Al Ponte, la clientela ora la porta anche il tram

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 - 24125 Bergamo Presidente: Ivan Rodeschini Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. - via Giorgio Paglia, 26 24121 Bergamo - tel. 035 213030 fax 035 224572 affaridigola@larassegna.it Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri In redazione: Anna Facci Opinionisti: Pier Carlo Capozzi, Enrico Rota Pubblicità: S.P.M. srl - viale Papa Giovanni XXIII, 120/122 24121 Bergamo - tel. 035 358 888 fax 035 358 753 Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 185 del 20 Febbraio 1950 Collaboratori: Michele Andreucci, Leo Bartoli, Laura Bernardi Locatelli, Pino Capozzi, Ettore Coffetti, Fulvio Facci, Roberta Martinelli, Roberto Morandi, Lelia Parisi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Donatella Tiraboschi, Sara Vavassori Impaginazione: Videocomp, Bg Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

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PENNA ALL’ARRABBIATA di Pier Carlo Capozzi

Tra pizze, locali stellati e spumanti affrontiamo il 2010 carichi di speranza

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oveva ancora iniziare, questo 2009, e già la faccenda si presentava problematica: Fabrizio Del Noce, direttore di rete in diretta televisiva, si presentava sul palco di Carlo Conti, nella festa Rai-uno a Capodanno, con tanto di champagne in mano. Che avrebbe bevuto poi, allo scoccar della mezzanotte, addirittura a canna. Pochi giorni or sono, il ministro delle Politiche agroalimentari, Luca Zaia, a scanso di equivoci, è intervenuto sulla questione: “Ho chiesto alle principali televisioni e radio italiane di scegliere, per il tradizionale brindisi dell’ultimo dell’anno, le bollicine dei nostri spumanti. Sarà un modo per festeggiare insieme non solo il nuovo anno, ma anche uno dei prodotti simbolo dei nostri territori e, con esso, l’agricoltura italiana tutta”. Meno male, almeno lì ci abbiamo messo una pezza. Come per la pizza. E non è un gioco di parole. Perché se quest’anno era cominciato maluccio, ringraziando il cielo sta terminando assai meglio. È sempre di questi giorni, infatti, la notizia che per la “Pizza napoletana” è arrivato il riconoscimento europeo di specialità garantita (Sgt) che la garantirà da falsi ed imitazioni. È una notizia che in Campania attendono da almeno vent’anni e che per l’Italia tutta, a difesa dei suoi giacimenti gastronomici, rappresenta una vittoria dall’altissimo valore simbolico. La garanzia della Pizza napoletana, per cui è stato ringraziato nuovamente il ministro Zaia (un leghista che difende una leggenda partenopea), va infatti molto al di là di qualsiasi confine regionale. In ballo c’è molto di più, c’è la difesa ad oltranza di ogni peculiarità dei nostri territori, troppo spesso minacciati da copioni e mascalzoni oltrefrontiera. Si tratta di un riconoscimento che ha superato, in seno all’Unione Europea, anche i rilievi mossi dalla Germania e le obiezioni da parte della Polonia. Fatemi capire questi qui cosa volevano. Pretendevano forse, i tedeschi, che la Pizza po-

tesse essere un vanto della città di Baden-Baden? E se non avessimo più garanzie sulle nostre specialità, nessuna di nessuna regione, in Polonia che proposito potrebbero covare, magari quello di promuovere gli “Scarpinocc” de Poznan? Ma tra il brindisi sciagurato e il via libera europeo sul disco di pasta più buono del mondo c’è stato ovviamente dell’altro: un anno di contrazione economica che ha messo a dura prova gli operatori del ssettore accoglienza e ristorazione d da una parte e la stessa clientela d dall’altra, impossibilitata a fare eescursioni enogastronomiche a ggo-gò, considerato il momento. IIn diversi hanno chiuso bottega, a anche insegne prestigiose: qualcche analista sostiene che è meglio così e che è proprio nei momenti di crisi che la scrematura lascia a galla i più meritevoli. Non lo sappiamo, non abbiamo alcuna verità in tasca. Certo è che quelli h riusciranno i i che a superare la burrasca (perché finirà prima o poi, porca miseria), si ritroveranno più saggi e fortificati, questo è fin troppo facile da pronosticare e lo possiamo fare anche noi. Nel frattempo la ristorazione bergamasca, ridimensionata leggermente dalle altre due guide, ha ricevuto grande spinta proprio dalla rossa Michelin che, giratela come volete, è quella destinata a far discutere di più, quindi la più golosa in prospettiva. Le tre stelle a Vittorio, le nuove stelle a Roof Garden e Al Vigneto, la riconferma delle altre nostre eccellenze, spingono Bergamo verso un percorso che sarebbe follia non cavalcare con entusiasmo. Nuove iniziative si affacciano e, nell’aria, si avverte una volontà di costruire e promozionare le bontà del nostro territorio, insegne e prodotti, al di là di stupidi steccati che, ovviamente, dividono e indeboliscono. Oltre al nuovo anno che ci viene incontro, zeppo di prospettive e di positività, brindiamo anche a questo palcoscenico rinnovato, agli uomini e alle donne di buona volontà, al nostro domani, personale e lavorativo. E ai nostri figli, certezza di un futuro migliore.

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L’EVENTO di Laura Bernardi Locatelli

Parte da Bergamo la scalata al Bocuse d’Or Servizio fotografico di Paolo Chiodini

Si è messa in moto la macchina organizzativa che il 15 e il 16 marzo prossimi, in fiera, darà il via alle selezioni italiane del più importante concorso gastronomico mondiale. Sedici gli chef a caccia dell’oscar. Il ruolo dell’Associazione Promozione del Territorio e il contributo dell’Accademia del Gusto-Ascom

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più grandi nomi della ristorazione e gli chef emergenti del nostro Paese si danno appuntamento il 15 e il 16 marzo prossimi, alla fiera di Bergamo - in occasione di “Cooking Expo” - per le selezioni nazionali del Bocuse d’Or, il più importante concorso gastronomico del globo, creato nel 1987 da Paul Bocuse, papà della Nouvelle Cuisine e chef-star di fama planetaria. Lione ha scelto Bergamo come luogo dove selezionare il meglio della cucina e del gusto italiani: la Gl Events - Sepelcom, società organizzatrice del Bocuse d’Or, ha assegnato le selezioni italiane alla neocostituita Associazione di Promozione del Territorio, nata per valorizzare i giacimenti golosi, la ristorazione e tutto il mondo imprenditoriale del comparto enogastronomico bergamasco. L’Associazione senza fini di lucro, presieduta da Carlo Spinetti, riunisce Ascom, Camera di Commercio, Confindustria, Ente Fiera Promoberg e Bergamo Fiera Nuova (rappresentate dai rispettivi presidenti) e si avvarrà, nell’organizzazione dell’evento, del contributo e della competenza dell’Accademia del Gusto (la scuola di cucina dell’Ascom) nonché dell’esperienza della Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe), che organizzerà, sempre in occasione dell’evento fieristico “Cooking Expo”, firmato da Promoberg, gli Stati generali della ristorazione italiana. Saranno due giorni intensi all’insegna della sfida per i 16 chef ammessi a partecipare alla manifestazione che, cimentandosi su due temi, l’halibut bianco per il pesce e il vitello svizzero per la carne, a n d ra n n o i n c e rc a della coppia di ricette perfetta per tenere alto il tricolore a Ginevra alle selezioni europee. La sfida del gusto am-

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di Carlo Spinetti*

Un’occasione per impostare

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l 15 e 16 marzo prossimi Bergamo ospiterà la Selezione italiana del Bocuse d’Or, il più importante concorso gastronomico a livello internazionale, e la Lombardia diventerà la capitale dell’alta ristorazione italiana. Questa iniziativa rappresenta una grande opportunità e una sfida per il rilancio della cucina italiana nel mondo; sfida che l’Associazione Promozione del Territorio, in collaborazione con Fipe e Accademia del Gusto, ha voluto cogliere, condividendone le potenzialità con i più qualificati e dinamici operatori economici legati all’alta ristorazione italiana. Promozione del Territorio, con i suoi cinque soggetti che la costituiscono, Camera di Commercio, Ascom, Confindustria Bergamo, Ente Fiera Promoberg e Bergamo Fiera Nuova, vuole proprio valorizzare l’arte della cucina e l’enogastronomia in una logica di filiera produzione-distribuzione-servizi. Pubblico e privato si uniscono per il bene di un intera comunità, valorizzando due tasselli importanti dell’economia nazionale: l’alta ristorazione e l’intera filiera agroalimentare. Quando, durante una visita al Sirha a Lione, ci si è presentata l’opportunità di candidarci per la selezione italiana del Bocuse d’Or non abbiamo esitato, e, forse, mossi anche da una passione personale, da subito abbiamo valutato le nostre possibilità e potenzialità e ci siamo messi in gioco. L’ideale è alto, il podio del Bocuse d’Or, e la strada per raggiungerlo non è semplice, ma le basi su cui poggiamo sono solide a partire dalla presenza di grandi ristoratori nella nostra città, dalla vivacità delle nostre associazioni imprenditoriali e


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mette in Europa un solo candidato per nazione delle 20 partecipanti: il 7 e l’8 giugno la città svizzera svelerà i nomi dei 7 chef del Vecchio Continente che voleranno a Lione, sede della finale dei “Mondiali” della cucina, cui partecipano i migliori chef dei 5 continenti, in programma a gennaio 2011, in occasione del “Sirha” (rendez- vous mondial restauration et hotellerie). “Il Comitato organizzatore, presieduto da uno chef di rango come Giancarlo Perbellini, dovrà scegliere il miglior candidato possibile per salire sul podio a Lione - ha dichiarato Marie Odile Fondeur, direttore del Sirha e di Sepelcom Events nel corso della conferenza stampa di presentazione delle selezioni italiane, svoltasi a Milano -.

Suplisson e Fondeur

L’Italia è patria di grandi tradizioni gastronomiche e depositaria di un patrimonio culinario d’eccellenza, Bergamo ne è una conferma, grazie alla competenza dell’Accademia del Gusto e ad un’Associazione dedicata alla promozione del patrimonio enogastronomico del territorio”. Il concorso creato da Paul Bocuse rappresenta dalla sua istituzione il

sogno di ogni chef in tutto il mondo: “Da più di vent’anni l’evento rappresenta un trampolino di lancio per i cuochi emergenti, è un appuntamento imperdibile per valorizzare la cucina di 24 Paesi e confrontare culture gastronomiche diverse - ha spiegato Florent Suplisson, direttore del Bocuse d’or-. È lo show più bello del mondo, un’occasione d’oro per far brillare la cucina italiana”. Una sfida mondiale che, con disciplina, allenamento ed impegno, potrebbe vedere l’Italia conquistare la vetta della ristorazione:“I Mondiali di cucina rappresentano per noi una bella sfida: la qualità della ristorazione italiana è fuori discussione, ma è anche una caratteristica talmente scontata che non è mai stata comuni-

una riflessione sulla ristorazione di qualità dall’operosità delle nostre imprese. A ciò si aggiunge il Bocuse d’Or a Lione si svolge all’interno del Sirha anche la presenza di una scuola di grandi ambizioni (rendez-vous mondial restauration et hôtellerie), la See potenzialità come l’Accademia del Gusto, all’avanlezione Italiana si svolge a Cooking Expo, una nuova guardia per quanto riguarda la filosofia didattica, il fiera dedicata all’alta ristorazione e alla filiera agrocorpo docenti e le attrezzature, tanto da riscuotere, a alimentare, in cui sarà possibile valorizzare al mesoli cinque anni dalla nascita, un particolare successo glio l’industria alimentare italiana, il patrimonio e nel mondo della ristorazione non solo lombarda. Da la tradizione enogastronomica del nostro Paese. Tutto Bergamo parte una sfida: vincere il Bocuse d’Or. Ma ciò anche attraverso l’organizzazione mirata di work non è una sfida fine a se stessa. Il Bocuse è solo una shop, seminari, convegni e meeting. Tra gli eventi in tappa, o forse meglio il punto di partenza di un perprogramma anche gli Stati Generali della ristoraziocorso che ha come meta mostrare ne lombarda e italiana. Con Coola cucina italiana in tutta la sua king Expo vogliamo confermare il grandezza; per questo abbiamo ruolo fondamentale che oggi hanchiamato i migliori chef a collano l’industria alimentare e la riborare con noi. Ringrazio a questorazione di qualità, non solo per sto proposito Giancarlo Perbellila grande e prestigiosa tradizione ni, che abbiamo chiamato a preche vantano nel nostro Paese, ma siedere la Selezione italiana. La anche perché sono tasselli fondaSelezione italiana del Bocuse d’Or mentali dell’intera filiera agro-aliè l’occasione per impostare una mentare, sulla quale si investono riflessione seria sul tema della ri- Spinetti, Perbellini e Stoppani sempre più risorse per migliorarstorazione di qualità, delle regone l’efficienza con processi di innole e della disciplina che devono caratterizzare questo vazione all’avanguardia. I settori rappresentati vanno importante settore. Ci siamo chiesti, nel corso di questi dall’arte della tavola alle attrezzature per cucina, sale mesi preparatori alla candidatura, perché l’Italia non e bar (dalle attrezzature più tradizionali a quelle più abbia mai vinto l’ambita statuetta di Paul Bocuse e avanzate) dalla caffetteria alla filiera di produzione, non sia neppure salita sul podio. I nostri chef sono braal food e drink, all’hotellerie, ai materiale d’arredo fivi, la cucina italiana è conosciuta in tutto il mondo no al software per ristorazione e banqueting. Infine, come una delle migliori. Ma cosa ci manca? Forse non voglio dire che la scelta di Bergamo per le selezioni, per abbiamo quella disciplina, quel rigore delle regole che ora limitate all’Italia, del Bocuse d’Or si inserisce bene caratterizza altre nazioni e che le fa eccellere. La nonei programmi dell’Expo 2015, una sorta di anticipo stra è un’ambizione: esaltare, attraverso una maggior di alcuni dei temi che caratterizzeranno il nostro Paedisciplina, la capacità, la creatività, l’intraprendenza, se da qui al 2015. *presidente Associazione Promozione del Territorio il gusto di chi fa già grande la cucina italiana. Come

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L’EVENTO cata e promossa adeguatamente - ha dichiarato Lino Stoppani, presidente nazionale della Fipe -. La cultura dell’impresa familiare ha concentrato le attenzioni sulla cura del cliente e sulla selezione delle materie prime, ma raramente sulla cura della propria vetrina. Se vogliamo dimostrare anche con medaglie e coppe il valore della cucina italiana dobbiamo impegnarci seriamente, altrimenti siamo al paradosso di una gastronomia d’eccellenza riconosciuta a livello mondiale, ma impietosa sulla carta degli albi d’oro di concorsi

come il Bocuse d’Or”. La federazione dei ristoratori supporterà l’organizzazione della competizione in ogni angolo d’Italia, attraverso le 108 associazioni territoriali che segnaleranno i propri candidati. “Vogliamo - puntualizza Giancarlo Perbellini - dell’omonimo locale stellato di Isola Rizza, presidente delle selezioni italiane del Bocuse d’Or - che l’Italia sia protagonista del concorso che vedrà sfidarsi i migliori chef di tutti i continenti. Il nostro sogno è vedere l’Italia salire sul podio a Lione nel 2011”.

L’Accademia del Gusto: una palestra per i migliori chef L’Accademia del Gusto apre la porta agli chef per allenare campioni ai fornelli che si sfideranno per andare a Lione.“Aggiudicandoci le selezioni italiane del più prestigioso concorso gastronomico al mondo, superando l’attento esame della

IL REGOLAMENTO / IL 25 GENNAIO 2010 IL TERMINE PER ADERIRE AL CONCORSO

La sfida si gioca su due temi: halibut bianco e carne di vitello Il concorso è aperto a tutti i cuochi professionisti di ristoranti o hotel, di nazionalità italiana, nati prima del 25.01.1988 (di età maggiore o pari a 23 anni il 25 gennaio 2011), con almeno tre anni di esperienza lavorativa come chef, sous chef o chef di partita. La squadra può essere composta al massimo da 3 persone: lo chef, un assistente di cucina e un allenatore. L’assistente dello chef deve essere nato dopo il 25 gennaio ‘89 (di età minore di 22 anni il 25 gennaio 2011). È prevista l’assegnazione di un trofeo, da parte de “l’Académie des lauréats du Bocuse d’Or” e dell’Accademia del Gusto, per il miglior commis che si esibirà al concorso. Ogni squadra può designare al suo interno un allenatore ufficiale, che sarà autorizzato ad essere presente in scena, ma non potrà accedere alle cucine, né al backstage. Le candidature vanno inoltrate entro il 25 gennaio 2010. Gli chef prescelti dovranno sostenere, entro il 10 febbraio 2010, un colloquio con i componenti del Comitato Organizzatore al fine di raccontare le loro p p esperienze professionali e motivare la loro scelta di

Alberto Capitanio e Stefano Cristini

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partecipare al Bocuse d’Or. Entro il 15 febbraio 2010, il Comitato Organizzatore Italiano selezionerà i 16 candidati che gareggeranno il 15 ed 16 marzo 2010 a Bergamo. • MODALITÀ DI SVOLGIMENTO DEL CONCORSO Le prove del concorso si svolgono in due giornate: 8 candidati gareggiano il giorno 15 marzo ed altrettanti il giorno successivo. La gara prevede la preparazione “a caldo” di due piatti: uno di pesce ed uno di carne. L’inizio delle prove ha luogo la mattina, alle 10.30. I candidati cominciano la loro prova a distanza di 10 minuti l’uno dall’altro. Il primo candidato presenta alla giuria le 14 porzioni a base di pesce 5 ore dopo l’inizio della prova e le 14 portate a base di carne 35 minuti dopo. Gli altri candidati presentano di seguito i loro piatti ogni 10 minuti. • LE REGOLE PER PRESENTARE LE DUE RICETTE Gli chef dovranno cimentarsi su due temi, l’Halibut

Malvestiti, Rodeschini e Ferrari


commissione organizzatrice francese, abbiamo mostrato il nostro valore a livello internazionale - dichiara Daniela Nezosi, direttore didattico e organizzativo dell’Accademia del Gusto di Osio Sotto -. Un risultato importante, frutto di mesi di lavoro intenso portato avanti attraverso una stretta collaborazione con Lione, a partire dalla prima visita al Sirha, che ci riempie d’orgoglio, ma che rappresenta solo il punto di partenza di un percorso di formazione e “allenamento” per portare la nostra cucina nel mondo. I docenti dell’Accademia del Gusto - un parterre illustre di chef - avranno il compito di “vegliare” sulla ristorazione italiana, attraverso la presenza nel Comitato di Sorveglianza e affiancando il

Comitato Organizzatore del Bocuse d’Or presieduto da Giancarlo Perbellini”. Bergamo si prepara a diventare capitale dell’alta ristorazione a marzo:“I più grandi nomi della ristorazione provenienti da tutta Italia si danno appuntamento in Fiera per eleggere il migliore rappresentante del gusto italiano, pronto a competere per il titolo europeo a Ginevra e cercare di aggiudicarsi la finale di Lione - continua Nezosi -. Sarà un’Expo dell’eccellenza della ristorazione italiana che radunerà i più illustri rappresentanti dell’alta cucina delle più importanti associazioni di chef, rappresentate da “Le Soste” e “Le Jeunes Restaurators d’Europe”, per la prima volta unite in una manifestazione”.

per il pesce e il vitello che vengono forniti obbligatoriamente dall’organizzazione. I candidati avranno a disposizione 1 Halibut Sterling bianco intero con testa, di 5/6 kg e 2 decorazioni libere ed 1 carré di vitello “6 coste” di 3.5 kg circa e 2 decorazioni libere; facoltativa la scelta di impiegare anche le frattaglie (testina di vitello rasata disossata o piedini o animelle di vitello per la carne). Tutti gli altri prodotti necessari alla realizzazione delle ricette sono a cura degli chef. Sono tassativamente proibiti i prodotti già preparati, eccezion fatta per i fondi per le salse e le verdure crude pelate, pulite ma non tagliate. Le ricette, per 14 porzioni, devono riportare il titolo, l’elenco degli ingredienti espressi in grammi e centilitri, la descrizione del procedimento per ogni fase di preparazione, le tecniche di cottura, oltre all’elenco degli utensili e delle attrezzature utilizzate e alla scelta del piatto di presentazione (rotondo, 80 cm di diametro; rettangolare 90x60 cm; ovale, 100x60 cm). L’impiattamento avviene secondo le seguenti regole: 10 porzioni sono sistemate sui piatti da presentazione e 4 porzioni sono sistemate su piatti da portata. • VALUTAZIONE Il Bocuse d’Or Europa è attento alle tendenze più attuali della cucina internazionale e vuole p privilegiare il gusto.

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L’EVENTO

bilita su un totale di 60 punti, 40 per la degustazione e 20 per la presentazione. Un voto di “metodologia, pulizia, corretto utilizzo dei prodotti” (massimo 20 punti) è dato ad ogni candidato dal Comitato di Sorveglianza della cucina. Questo voto tiene conto del rispetto dei prodotti, del metodo, della pulizia e della corretta utilizzazione delle merci per limitarne lo spreco. Il voto più basso e il voto più alto non sono presi in considerazione nel conteggio totale. I voti finali risultano dalla somma dei voti ottenuti dai candidati ad ogni prova. • GIURIA La Giuria è composta da venti giurati (dieci per il pesce e dieci per la carne), obbligatoriamente cuochi professionisti di ristorante o hotel. L’intero concorso è presieduto dallo chef Giancarlo Perbellini (presidente del Concorso), che non vota i piatti, ma il cui giudizio, in caso di contestazioni, è decisivo ed irrevocabile.

Il Comitato Organizzatore si pone l’obiettivo di selezionare, per la competizione europea, un candidato che riesca ad esprimere quanto più possibile le peculiarità del gusto italiano. I candidati dovranno evitare qualsiasi elemento decorativo superfluo nella disposizione del cibo nei piatti.Tutti i piatti e le preparazioni devono essere interamente confezionati sul posto e saranno controllati dal Comitato g di Sorveglianza della cucina. La valutazione è sta-

Rodeschini e Prati

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• COMITATO DI SORVEGLIANZA DELLA CUCINA Otto controllori formano il Comitato di Sorveglianza della cucina. Saranno presenti nel backstage per controllare il materiale, i prodotti dei candidati e il corretto svolgimento del concorso. Questo comitato è formato da quattro allenatori di squadra (due per giorno), la cui designazione è sorteggiata e da sei controllori designati dal Comitato Italiano Organizzatore. Il comitato osserverà la metodologia, l’igiene ed il corretto utilizzo dei prodotti. Questa osservazione, che sarà valutata con un massimo di 20 punti, servirà a decretare il migliore in eventuali casi di ex aequo. • CLASSIFICA E PREMI Ai primi tre classificati saranno riconosciuti i seguenti premi: 1° premio 6.000 euro; 2° premio 2.500 euro e 3° premio 1.500 euro. Il primo classificato accede alla selezione europea g del Bocuse d’Or che si svolgerà a Ginevra il 7 e l’8

Sommariva e Venturini


giugno 2010. La partecipazione al concorso di Ginevra e, se classificato, a quello di Lione (25 e 26 gennaio 2010), costituiscono elementi contrattuali imprescindibili al fine di acquisire il diritto alla conservazione del premio.

L’omaggio dell’Ascom ai locali “stellati”

Trigona e Malvestiti premiano Ferrari

A conferma di una eccellenza gastronomica da sempre riconosciuta, Bergamo ha brillato anche quest’anno sulla guida Michelin. A far cronaca, soprattutto, la terza stella al ristorante Da Vittorio di Brusaporto, riconoscimento che proietta il locale di Chicco e Bobo Cerea tra i sei migliori ristoranti d’Italia. Entrano invece per la prima volta nella guida rossa due ristoranti con una stella: il Roof Garden dell’Hotel Excelsior San Marco di Bergamo (già “promessa” nella passata edizione) guidato dallo chef Fabrizio Ferrari - e Al Vigneto di Grumello del Monte, patron Vito Siragusa e chef Simone Scrivo. Con i loro ingressi, salgono a nove i ristoranti stellati di Bergamo. A Chicco e Bobo Cerea e a Fabrizio Ferrari - presenti a Milano alla conferenza stampa sulle selezioni italiane del Bocuse d’Or - l’Ascom, attraverso le parole del presidente Paolo Malvestiti e del direttore Luigi Trigona - ha fatto giungere parole di congratulazione dell’Associazione per i prestigiosi traguardi raggiunti, offrendo in omaggio una composizione floreale.

Giancarlo Perbellini Trigona e Malvestiti premiano i Cerea

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L’EVENTO

LA STORIA DEL BOCUSE D’OR

Ha 20 anni. Ed è il concorso più ambito dagli chef Il Bocuse d’Or rappresenta dal 1987 una sorta di Oscar per gli chef: il trofeo della manifestazione dal richiamo hollywoodiano è infatti l’ ambita statuetta d’oro che ritrae Paul Bocuse, celebre per aver rivoluzionato non solo la cucina, ma anche il modo di comunicare e promuovere la buona tavola a tutti i livelli. “Bocuse ha avuto un’idea semplice ma rivoluzionaria: far uscire gli chef dalle cucine per dare vita ad uno show mediatico e ad una sfida che raduna a Lione, al Sirha, i migliori chef dei 5 continenti - spiegano Marie Odile Fondeur e Florent Suplisson di Sepelcom Gl Events, rispettivamente direttore del Sirha e direttore del Bocuse d’Or -. Un laboratorio di tendenze, ricerca e creatività in diretta, con tanto di sfida, con supporters da tutto il mondo e una copertura mediatica degna di un Mondiale, nell’ambito di un salone che mette in mostra il meglio della ristorazione, dell’hotellerie e

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dell’intera filiera agroalimentare”. Stessa spettacolarizzazione e stesso sapore agonistico per la sfida culinaria italiana: gli chef, in un’area appositamente dedicata al concorso nell’ambito di Cooking Expo, dovranno cimentarsi nei box allestiti con le due ricette ideate e cercare di conquistare la giuria, composta da 10 giurati per la carne ed altrettanti per il pesce. Il concorso sarà presieduto da Giancarlo Perbellini, chef dell’omonimo ristorante di Isola Rizza a Verona, insignito di due stelle Michelin. La giuria, presieduta dai fratelli Cerea, Enrico e Roberto, sarà composta da chef delle rinomate associazioni “Le Soste” (rappresentata da Antonio Santini ) e da “Le Jeunes Restaurateur d’Europe”, presieduta da Emanuele Scarello, a cui si affiancheranno Michel Roth (chef del Ritz di Parigi e presidente dell’Accadèmie de Laurèats du Bocuse d’Or) e Sergio Mei, executive del Ristorante “Il Teatro” del Four Seasons di Milano.


IL PUNTO di Daniela Nezosi*

Le magie de “lo Mejor” Ricca di spunti ed emozioni la trasferta dell’Accademia del Gusto al congresso di Alicante Joan Roca

Paco Torreblanca

Quique Dacosta

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rendere un aereo per la Spagna a metà novemcere, ha rivendicato l’importanza del dessert nella ribre significa, per quanti si occupano di alta custorazione e strabiliato il pubblico sviluppando una cina, intraprendere un viaggio per assistere ad creazione di cioccolato intitolata “Ostrica con perla una delle convention gastronomiche più importandi vodka e spuma di mare”, incredibile imitazione ti del panorama internazionale. Fino allo scorso andi una vera ostrica nella sua conchiglia di madreperno la tappa d’obbligo era San Sebastian. Quest’anno la. Roja ha invece presentato la “Sogliola alla piastra, invece il nostro volo ci ha portati ad Alicante, nuova dai sapori mediterranei”. I filetti di sogliola, immersi sede de “lo Mejor de la Gastronomia”. Recarsi a quein una salamoia al 10% per cinque minuti, sono stati sta manifestazione significa poter incontrare in un uniti a due a due, cotti sottovuoto a 55° per 4 minuunico luogo il gotha della ristorazione mondiale e, ti e poi scottati velocemente su brace di legna. Roja li soprattutto, assistere in diretta alle creazioni dei miha adagiati in modo perpendicolare su di un piatto gliori maestri. È come se un tifoso di calcio potesse verettangolare, divisi in cinque tranci e cosparsi, rispetder giocare in un unico stadio i più grandi campioni tivamente, con buccia di arancio confit, fiori di finocdel mondo. Queste le aspettative chio, caramello all’olio d’oliva, che hanno animato la delegaziopinoli crudi e fiori di bergamotne dell’Accademia del Gusto nel to. Accanto vi ha posizionato viaggio iberico. Aspettative un cinque gocce delle diverse emulpo’ disattese nel vedere la nuova sioni. Ogni assaggio provocava sede dell’evento (auditorium posensazioni diverse al palato. Duco confortevole, assenza di trarante il congresso ha ricevuto il duzione simultanea) e nel fare premio per la migliore innovai conti con la regia improvvisazione tecnica e concettuale. “La ta che ha penalizzato l’organizbase dell’alta cucina spagnola zazione. Forse è stato il prezzo ha detto Roja - consiste nell’evoche Rafael Garcia Santos, patron luzione e nella ricerca di nuove Rafael Garcia Santos con Daniela Nezosi della manifestazione, ha dovuto tecniche. Noi siamo stati premiapagare per la brusca separazioti per il percorso che abbiamo ne dall’ organizzazione di San Sebastian. Ma Rafael intrapreso nello studio dell’estrazione degli aromi e ci ha ribadito che il punto di forza de “lo Mejor” restadei profumi”. Tra gli italiani abbiamo assistito all’inno i suoi grandi chef, che si alternano sul palco e iltervento di Paolo Lopriore che ha presentato un petlustrano ricette, tecniche, filosofie. Come dargli torto. to di piccione in “civet”, una preparazione che tende Un giorno, nell’arco di sole due ore, abbiamo assistiad esaltare il fondo di cottura con la quale è preparato agli interventi consecutivi di Joan Roja, Paco Torreta. Un po’ timido il suo intervento sul palco, Loprioblanca e Quique Dacosta. La loro presenza ha annulre sembrava soffrire un po’ la presenza di un auditolato la percezione spazio temporale dell’auditorium: rium così vasto. D’altronde la sua filosofia è che siano un silenzio assoluto ha accompagnato le esposizioni, i suoi piatti a parlare per lui. Ed in questo momento, segno evidente del loro forte carisma. L’ostrica il tema in cui tanti parlano di lui, anche a sproposito, vi inviinterpretato sia da Quique Dacosta sia da Torreblantiamo ad assaggiare le sue creazioni. Non si può comca. Quella di Dacosta era l’“Ostrica Iberica 2009”, un prendere o giudicare uno chef se non si è mai assagpiatto dall’aspetto lunare con gelatina di brodo di giato qualcosa preparato da lui. prosciutto e “rocce” ottenute con l’abbattimento rapi*direttore didattico ed organizzativo dell’Accademia del Gusto do dell’acqua di ostriche. Torreblanca, da abile pastic-

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Il Valcalepio e il nodo della promozione di Enrico Rota

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l Valcalepio oggi è un prodotto conosciuto e affermato. Quindicimila quintali di uva d danno vita ogni anno a 1.400.000 b bottiglie, grazie ai 360 ettari vitati e a oltre 90 aziende che lo imbottialle g gliano. Sono numeri che attestano la dimensione del comparto.Tutto in inizia nel 1976 grazie al decreto d del presidente Leone (dpr del 3 aagosto 1976), con la nascita della d denominazione di origine controlla lata “Valcalepio”. U Un anno dopo, ventidue aziende d decidono di fondare il Consorzio d Tutela, istituzione volontaria che, di

Enrico Rota consigliere delegato e responsabile vendite Italia della QUATTROERRE di Torre de’ Roveri (Bg) Per ulteriori informazioni scrivere a enrico@quattroerre.com

oltre a vigilare sulle disposizioni dettate dalla legge ed esaminare ulteriormente i vini, si deve occupare anche della promozione del prodotto. Promozione che - non dimentichiamolo - è anche nelle mani dei produttori: più vino si vende, più se ne parla, più il marchio si afferma. Quindi la comunicazione di un vino non deve essere un’esclusiva del presidente o del direttore di un Consorzio, ma deve essere compito anche di tutti gli operatori del settore. Con intelligenza e coraggio dobbiamo accettare le critiche espresse da terzi e capire se sono costruttive e poi affrontarle seriamente. Parlare del vino del territorio non è “cosa personale”, è un patrimonio da condividere e divulgare. Nel caso del Valcalepio lo si è capito da tempo.

BOTTA E RISPOSTA

Sul “Valcalepio Moscato passito” parole poco opportune

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entile direttore, Le scrivo in merito all’articolo apparso sul numero di ottobre, a firma Enrico Rota, e alle risposte che ha suscitato e pubblicate sul numero di novembre. Innanzitutto mi permetta di rivolgere al signor Rota i complimenti in quanto raramente mi è capitato di leggere un articolo su un argomento così ostico esposto in modo così chiaro ed esauriente. Purtroppo così non posso dire per le risposte che sono state pubblicate nel numero scorso e

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firmate dai vertici del Consorzio di tutela del Moscato di Scanzo. Non entro nel merito degli argomenti, mi limito ad osservare che i termini utilizzati nel parlare del vino da noi tutelato, il Valcalepio moscato passito, sono, quantomeno, inopportuni se non offensivi. Faccio mia in toto la risposta del signor Rota, ma ci tengo a precisare ulteriormente i termini della questione. Nel 1993, con la modifica del disciplinare del Valcalepio, fu chiesto al Consorzio di Tutela dello stesso di consentire ai produttori

del vino passito ottenuto con le uve Moscato di Scanzo di entrare in questa denominazione di origine. La cosa fu ampiamente dibattuta e si pervenne ad una soluzione piuttosto elaborata. Si creò una tipologia, il Valcalepio Moscato Passito, prodotto con uve Moscato di Scanzo ottenute nei comuni della denominazione Valcalepio. Per alcuni comuni della provincia che vantavano una storicità nella produzione - ed esattamente Cenate, Albano Sant’Alessandro, Carobbio degli Angeli, Gandosso, Grumello del


Abbiamo un Consorzio che raggruppa il 98% dei produttori, promotore di un concorso internazionale e di infiniti interventi sul territorio. Cosa bisogna fare allora per far crescere ulteriormente il nostro Valcalepio? Sostanzialmente sviluppare tre situazioni, dando ovviamente per assodato che prima di ogni azione occorre fare un vino di qualità, che abbia mercato. Primo: bello sarebbe poter utilizzare tutte le leve che il Consorzio di Tutela mette a disposizione ai produttori, a partire, per esempio, con l’adozione dell’emblema del consorzio stesso o con l’utilizzo della bottiglia marchiata che mette in evidenza la denominazione Valcalepio. Secondo: tutti i produttori dovrebbero testimoniare attraverso la propria presenza e il prodotto la credibilità del vino stesso in ogni evento possibile e promuovere, quando possibile, altri avvenimenti. Terzo, e non ultimo per importanza: tutti gli operatori interessati alla promozione del territorio (associazioni, produttori, distributori, ristoratori, albergatori, rappresentanti, giornalisti, etc.) dovrebbero agire in base alle proprie potenzialità nel divulgare e far conoscere uno degli ambasciatori del nostro territorio. Il turista o più semplicemente il consumatore abituale, vuole riscoprire i sapori tradizionali e premierà di conseguenza chi è attento a formulare proposte convincenti. In questo modo è più facile comprendere come ognuno di noi può fare la propria parte con la gradita conclusione di sviluppare un settore che può far leva su numeri importanti ed è fortemente intrecciato al territorio. Auguriamoci di ritrovarci attorno ad un tavolo per brindare al rilancio del nostro territorio, naturalmente con un buon bicchiere di Valcalepio!

Monte, Chiuduno e Torre dei Roveri - si consentì la citazione del comune in etichetta, e per il comune di Scanzorosciate si fece lo stesso restringendo inoltre in questo caso le rese produttive di uva per ettaro. Successivamente, nel 2002, i produttori di Scanzorosciate richiesero una loro denominazione di origine e si pervenne così alla denominazione Scanzo o Moscato di Scanzo, mentre il resto rimaneva inalterato. Questo è quanto ritengo di dover aggiungere, lascio ai lettori ed ai consumatori ogni valutazione successiva. Penso comunque che non sia mai opportuno parlare in termini dispregiativi degli altri, sarebbe, rimanendo nel mondo enologico, come se i produttori del Barolo parlassero negativamente del Barbaresco, ignorando che la madre del loro vino è la stessa, varia solamente il territorio di produzione. Ringraziando per l’ospitalità porgo distinti saluti

IL RICORDO - di Sergio Cantoni*

La preziosa eredità lasciata da Quinzani

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entilissimo direttore, le scrivo questa lettera per ricordare un amico a un anno dalla sua scomparsa. Parlo di Aldo Quinzani, uno dei primi bergamaschi conosciuti quando nel 1978 sono arrivato a Bergamo per iniziare la professione di enologo. Aldo era un vero appassionato, nel suo negozio di ricambi automobilistici nel centro di Bergamo si respirava l’entusiasmo dell’ esploratore, del ricercatore di quel mondo che andava facendo i primi passi e che sarebbe diventato la Valcalepio. Ricordo le discussioni, le degustazioni, i confronti che si facevano periodicamente, la passione che traspirava in ogni giudizio, le sue schede di degustazione, che non mancava mai di compilare ad ogni nuovo prodotto e che, puntualmente, mi inviava quasi a ringraziare di averlo voluto prendere in considerazione. Aldo ci ha lasciato un libro “I vini della bergamasca” scritto nel 1983, quando parlare di vino a Bergamo era quasi un’ eresia e che ha spinto i produttori a migliorarsi, a cercare di rendere i bergamaschi orgogliosi del loro vino. Penso che oggi sarebbe contento dei progressi ottenuti e con il suo stile giornalistico saprebbe stimolare ulteriormente i miglioramenti che ancora ci aspettano. Questo libro rappresenta una pietra miliare per l’enologia bergamasca e un punto fermo per chiunque voglia parlare dei vini di Bergamo. La raccolta dei vini e dei produttori di quegli anni aiuta a ricordare e a non mentire inventando cose che non esistono. In questi giorni ho trovato alcune schede dei vini da lui degustati con alcune foto, ed allora lo voglio invitare ad un brindisi con il vino che più, secondo me, amava e che rappresentava la povertà e la sincerità: la Schiava. E quindi, caro Aldo, in alto i calici, e perdonami se il mio stile non si avvicina minimamente al tuo, volevo semplicemente salutarti *direttore del Consorzio Tutela Valcalepio

Il Presidente del Consorzio Tutela Valcalepio Bonaventura Grumelli Pedrocca Aldo Quinzani

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LA PROPOSTA di Leo Bartoli

Il calendario del formaggio, ogni mese il suo gran Cru Per il 2010 proponiamo ai lettori un prodotto al mese, consigliando anche gli abbinamenti di confetture e vini In vista del 2010, l’intenzione di Affari di Gola è di consigliare agli appassionati di formaggi, un popolo che continua a crescere non solo numericamente, ma anche a livello di passione e competenze, un grande Cru al mese, con abbinamenti sia sul fronte di mieli, composte e marmellate, sia su quello enologico. È un gioco che potrà trovare gradimenti e le immancabili obiezioni: cominciamo. GENNAIO Gran Sardo. È uno dei grandi sottovalutati d’Italia: la sua lavorazione a grana, più difficile con il latte di pecora, è di grandissima resa, a patto che l’affinamento sia felice. La pasta è di un bianco paglierino che si fa più intenso con il passare del tempo. La caratteristica granulosità ben si sposa con l’impatto morbido, sontuoso. Il gusto sorprende per la rara dolcezza e l’aroma particolarissimo. Abbinamento: una composta di fichi e zenzero o di cipolla. Vino: Restiamo in Sardegna con un Vermentino. FEBBRAIO Asiago d’allevo Dop. Altro grande cru italiano che paradossalmente è più stimato all’estero che nel Belpaese. L’Asiago d’allevo Dop è il Cru della produzione ed è senz’altro il più vicino ai gusti e alla tradizione dei vecchi montanari altopianesi. E’ detto “di allevo” perché la stagionatura ne costituisce un vero e proprio “allevamento” condotto con cura maniacale dai casari in appositi locali. Si fa utilizzando solo latte di vacca lasciato riposare da sei a dodici ore in apposite vaschette, per permette terne la scrematura. A Abbinamento: miele di castagno. Vino: Se ben stagionato, ci si può spingere fino all’Amarone. MARZO Gruyère Dop. Questo gioiello svizzero a pasta dura cotta ha il pregio di reggere anche 26

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mesi di stagionatura mantenendo la sua consistenza cremosa e nel contempo cristallina. I migliori esemplari si trovano attorno al comune di Bulle (Cantone Friburgo). Vaccino puro, in bocca unisce delicatezza, intensità e un sapore unico. Abbinamento: un outsider come la mostarda di ciliegie. Vino: un calice di Muller Thurgau teme pochi confronti. APRILE Strachitunt. Citazione non casuale perché l’aprile 2010 potrebbe davvero essere, secondo le previsioni, il traguardo per ottenere l’agognatissima Dop per quella che è la gemma più pura dell’intero e ricchissimo panorama caseario bergamasco. Latte vaccino crudo, lavorazione ancora a due paste, gusto unico: il vero papà del gorgonzola è pronto al lancio definitivo in Europa. Abbinamento: vada per la marmellata di p pomodori verdi. Vin restiamo all’omVino: bra delle Orobie, con u bicchiere di Moun scato di Scanzo. MAGGIO Robiola di Roccaverano Dop. Questo portento astigiano, reso famoso dal compianto prete bergamasco don Roberto Verri da Bonate (per tutti era don Caprino) è l’unica Dop di capra che riesce a battere i francesi sul loro terreno. Ricca di aromi e sapori di erbe, timo serpillo, rovi, è fortemente caratterizzata a seconda del tipo di pascolo in Langa.

Abbinamento: tutto piemontese, con la Cugnà, la salsa al mosto d’uva unica nel suo genere. Vino: riscoprire un simbolo di quelle terre come il Grignolino è doveroso. GIUGNO Cantal. È il francese preferito da “Ol Formager” Giulio Signorelli e al suo giudizio ci inchiniamo. Prodotto nella regione dell’Auvergne, ha origini antichissime (ne parlava già Plinio il Vecchio) ed è un vaccino prodotto a freddo e lasciato maturare in grotta. Il suo sapore pungente vi conquisterà. Abbinamento: se lo trovate buono (vi costerà), il miele amaro di corbezzolo sardo è l’ideale. Vino: Un buon passito è il top, andiamo sul sicuro: Pantelleria. LUGLIO Agrì. Torniamo in Bergamasca per questo piccolo grande formaggio brembano. Da queste parti ci sono grandi Cru come il Formai de Mut Dop o caci popolari come il Branzi, ma è questo piccolo bon bon prodotto a mano dai casari di Valtorta e dalla vita brevissima, che diventa la miglior merenda per la stagione estiva: versateci sopra una goccia di olio extravergine e una spruzzata di pepe: sarà irresistibile. Abbinamento: se vi piacciono le sfide, provate una mostarda di fichi op peperone. Vino: il Recioto di Soave sa regalare ulteriori emozioni.


AGOSTO Parmigiano reggiano Dop vacche rosse. Il monarca è sempre lui, immancabile a due condizioni: che sia stravecchio e che sia prodotto nel Reggiano, sulle alture appenniniche che portano a Canossa e rigorosamente da vacche rosse del luogo, che danno meno resa, ma una qualità superba di latte. La piccantezza dell’assaggio e il giallo intenso della pasta sono una festa rispetto alle forme “pallide” che spesso arrivano sulle nostre tavole. Abbinamento: di rigore, aceto balsamico tradizionale di Modena o di Reggio Emilia. Vino: un Sagrantino di Montefalco Rosso Riserva può essere una scelta un po’ diversa dalle solite. SETTEMBRE Provolone del Monaco. Una delle migliori delizie del sud, chiamato così perché i casari sorrentini che lo vendevano al mercato di Napoli, per proteggersi dal freddo, usavano coprirsi con un mantello di tela di sacco simile a quello dei monaci. Pasta filata artigianale, grande sapore e piccantezza unica, viene stagionato anche oltre l’anno.Attenti alle imitazioni. Abbinamento: con la mostarda

cremonese sarà una bella sfida per il palato. Vino: strappiamo un’eccezione al gioco: perché no una robusta birra rossa, magari irlandese? OTTOBRE Fontina Dop. Si fa presto a dire fontina valdostana: per noi quella davvero speciale è soltanto estiva e naturalmente d’alpeggio. In questo caso, sia mangiata “in purezza” che sciolta nella fonduta, magari con una spolverata di tartufo, è tra i più grandi formaggi di montagna al mondo, con quel gusto dolce, quasi soave, che aumenta di intensità con la maturazione. Abbinamento: mostarda di zucca, uno sfizio per pochi. Vino: Restando in zona, consigliabile un Val d’Aosta Chambave Rosso. NOVEMBRE Roquefort Dop. Tra gli erborinati “nobili”, quelli che hanno fatto la storia dei Blu, il Roquefort ha un posto speciale. Latte di pecora crudo, dopo la sgocciolatura e la salatura, viene trasferito nelle grotte famose di Roquefort sur Soulzon, situate alle pendici della montagna di Combalou, un luogo in cui è obbligatorio effettuare la

stagionatura (pena la non concessine della Dop) che gli dona una piccantezza unica e meravigliosa. Abbinamento: la mostarda di anguria bianca è indicata, così come il miele d’acacia. Vino: Naturalmente il Sauternes, sposalizio classico, ma ancora insuperato. DICEMBRE Torta del Casar. Delizia spagnola che arriva dal paesino di Casar de Caceres, in Extremadura. Si tratta di uno dei migliori caci di pecora iberici con una particolarità: dopo la stagionatura, la forma cilindrica mantiene l’alta crosta esterna dura, mentre all’interno il formaggio, se scaldato, si scioglie, diventando un intingolo meraviglioso in cui i ghiottoni spagnoli, come alle prese con una Bourguignonne, immergono dalle carni alle verdure, fino a spalmare pani e focacce. Esperienza unica, ancora poco conosciuta da noi, ma impedibile per gli amanti del formaggio e grande momento di aggregazione. Abbinamento: tutte le verdure e le carni immaginabili. Vino: Pedro Ximenez invecchiato oltre i 15 anni, perché la fiesta sia completa.


L’INTERVISTA di Giuseppe Ruggieri

“Vi svelo i segreti del ristorante magnetico” Si chiama Roberto Brisciani, da 20 anni vive in Spagna ed è un consulente gastronomico apprezzato a livello internazionale. Ora ha scritto un libro, già premiato, in cui spiega come realizzare un locale di successo. Ecco il suo pensiero

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on ha studiato a Harvard. E neppure in altre università prestigiose. È nato in un paesino del Mantovano dove c’erano più vacche che persone e il suo granitico credo è da sempre: “So solo che non so niente”. Attacchereste mai il vostro curriculum con questa sequenza? Immaginiamo di no. Roberto Brisciani - suo il ritratto - l’ha invece fatto.Anzi, non perde occasione per rivendicare il suo “basso profilo” e ribadire che titoli e master servono a poco se alla base non ci sono desideri, obiettivi e volontà ferrea. Materie prime che non gli fanno certo difetto. 43 anni, perito industriale mancato, alle spalle una parentesi poco soddisfacente all’Enel, Brisciani deve in effetti alla tenacia e alla curiosità i traguardi raggiunti in terra spagnola, dove è approdato una ventina di anni orsono per seguire la donna della sua vita. Leggere per credere: il nostro oggi è a capo della “Escuela Nacional de Pizza y Restauración” di Gandia (scuola che ha contribuito a dare vita a centinaia di locali in Europa e in America Latina); è direttore ed editore dell’affermata “Revista de Pizza y Restauración Italiana”; è amministratore delegato del “Gruppo Pizza” (società dedicata alla consulenza e alla realizzazione di ristoranti “chiavi in mano”); tiene corsi e conferenze sulla ristorazione in Spagna ed è anche consulente per le maggiori industrie di pizza in tutta Europa. Non pago, ha trovato pure il tempo per scrivere un libro - El secreto de un Restaurante Magnetico - che ad Alicante, all’ultimo congresso lo Mejor de la Gastronomia, è stato premiato come miglior pubblicazione di settore dell’anno. Il riconoscimento è andato ad un volume elegantemente progettato ma di facile lettura, ricco di consigli per chi vuole aprire un locale di successo. C’è tutta l’esperienza di Brisciani nelle oltre 300 pagine patinate: da quella sul campo, acquisita con l’apertura in proprio della prima pizzeria, appena arrivato in Spagna, a quella teorica guadagnata negli anni grazie alla lunga attività editoriale e di consulenza. Brisciani, come le è venuta l’idea del ristorante magnetico? “Semplice. Ho cercato di dare una risposta alle domande che da anni mi ronzavano in testa. Mi sono sempre chiesto, in effetti, perché alcuni ristoranti fossero pieni e altri no. Perché solo alcuni trionfassero mentre altri

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sopravvivevano quando non chiudevano. Così ho studiato a lungo i locali affermati, ho cercato di capire il loro potere d’attrazione, la capacità di trasformarsi in luoghi magnetici in grado di catturare, oltre al palato, anche la mente e il cuore dei clienti”. E ce l’ha fatta? “Beh, credo di sì. O quantomeno, sono convinto delle teorie che ho raccolto nel mio libro”. Allora, cosa ha scoperto? “Innanzitutto, che dietro l’affermazione di un locale bar, pizzeria o ristorante che sia, non importa - devono essere presenti fattori imprescindibili, direi quasi scontati: la qualità costante della proposta e la capacità di cre-

Roberto Brisciani premiato da Rafael Garcia Santos per il suo libro


are un’equipe solida e motivata. Quanto all’ubicazione è sì un elemento importante, ma non decisivo. Così pure per gli investimenti in strutture e infrastrutture. L’arredamento conta, d’accordo, ma non fa la differenza”. E cosa fa la differenza? “L’energia, quel mix che noi amiamo chiamare “chimica”, quell’insieme di elementi intangibili che producono un valore in più capace di attrarre e fidelizzare il cliente”. In altre parole? “Diciamo la capacità di trasmettere emozioni, vibrazioni. Se consideriamo che il 99% degli acquisti che facciamo vengono decisi dalla nostra sfera emotiva, comprendiamo come aprire un ristorante non significhi solo vendere un piatto di pasta. Sarebbe un approccio errato”. E qual è quello giusto? “Quello che io definisco un ristorante magnetico deve saper raccontare una storia, parlare al cuore dei clienti attraverso tanti dettagli in grado di creare la giusta condizione ambientale”. Facile a dirsi... “Guardi è meno difficile di quel che si può immaginare. Certo, per raggiungere l’obiettivo sono indispensabili una grande passione e una vision chiara. Il cliente percepisce la “tensione positiva”, il progetto del ristoratore e partecipa emotivamente se si sente elemento fondamentale del disegno e non solo un numero”. Bando all’improvvisazione, insomma.. “Evidente. Ora immagino che non mancheranno gli scettici, chi, preso dalle mille incombenze quotidiane, leggendo queste parole prenderà sotto gamba le mie teorie. Ma posso assicurare che si sbagliano. L’estrema semplificazione nasconde un argomento complesso, ricco di sfaccettature e sfumature”. Proviamo a sintetizzarle? “Di solito mi affido a tre concetti basilari”. Partiamo dal primo... “Bene. Chi punta al locale di successo deve assolutamente avere un’idea forte di quel che vuol fare, un concetto chiaro, che sia traducibile sul campo e percepibile dal target a cui ci si rivolge. In altre parole, deve saper creare un’esperienza emotiva unica al proprio cliente”. Poi? “Bisogna essere diversi dalla massa, chiedersi perché un cliente dovrebbe scegliere il locale che si ha in testa. È un passaggio decisivo per definire l’offerta vincente. Faccio un esempio: i vertici di Burger King si sono contrapposti a McDonald´s puntando sul sapore dei propri hamburger cotti alla brace, dunque, secondo loro, migliori. È una differenziazione marcata. Per ottenere risultati è tuttavia decisiva la coerenza tra concetto/idea e pratica.Tutti gli elementi che andranno a determinare la nuova offerta, dalla qualità al servizio, dovranno essere privi di contraddizioni fra loro. Il cliente le percepisce e si allontana”. Terzo elemento? “Una forte attenzione a quello che io chiamo il Si-

stema operativo. Come in un computer, occorre una modalità d’azione che faccia funzionare bene il locale. Quante volte, per esempio, siamo andati a mangiare in un ristorante e ci siamo accorti dai piatti che uno degli chef non c’era. Ebbene, un locale che funziona, e che emoziona, sa garantire la stessa qualità in ogni condizione, deve avere una costanza qualitativa che prescinde dall’assenza di una o più persone. Occorre allora mettere a punto un’organizzazione efficiente in modo da poter governare ogni evenienza e mantenere gli standard elevati”. Serve per forza un consulente? “Non necessariamente. Guardi, uno dei consigli che do spesso è quello di viaggiare, ma con un’idea in testa. Quando giri il mondo e osservi la realtà con un obiettivo già chiaro vedi cose che altrimenti non vedresti. Carpisci segreti, scopri modelli acquisibili e funzionali alla tua futura attività”. Qualche esempio pratico di locale magnetico? “Le cito l’ultimo che ho seguito a Granada. Lì, pochi mesi fa, abbiamo inaugurato “El Deseo”, un ristorante che fonde la cucina laziale con quella granadina, la qualità a prezzi medio bassi. I piatti che abbiamo elaborato sono originali e sorprendenti, così pure l’offerta enoica studiata per coinvolgere il cliente”. Ovvero? “Beh, su ogni bottiglia abbiamo deciso di aggiungere, a seconda del vitigno e della struttura del vino, una striscia con diverse scritte: seduttore, afrodisiaco, unico, attrattivo, simpatico, aristocratico e via a seguire. Chi lo desidera può scegliere il vino della serata in base al proprio umore, alla circostanza, senza per questo togliere nulla al ruolo del sommelier e al confronto sulla proposta, che resta basilare per rafforzare il concetto di interattività”. Il risultato? “Siamo più che soddisfatti”. Conosce la ristorazione bergamasca? “Non così a fondo da poterne tracciare un giudizio. Da quel che leggo mi pare di buon livello, senza contare Da Vittorio dove ho pranzato di recente. Davvero un’esperienza unica per il gusto”.

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IL BILANCIO di Lelia Parisi

Dieci piatti per dieci emozioni Con l’ultimo numero dell’anno, ecco una carrellata delle proposte che più ci hanno colpito nelle nostre recenti degustazioni

Tartare di salmerino crudo con crema acida al formaggio e yogurt del caseificio Monte Bronzone di Vigolo Un piatto verticale, che dalle profondità del lago risale la montagna delle antiche tradizioni casearie (quelle di Vigolo hanno radici lontanissime). Un piccolo miracolo di equilibrio tra la nota acidula della crema di formaggio e yogurt e quella delicata del pesce crudo di lago, un ingorgo di tradizione lacustre e innovazione. Ristorante Zu (Riva di Solto) Mezzelune di branzino con asparagi di mare Una proposta che fonde bellezza, semplicità e rigore, dove l’insieme è molto più della somma delle sue parti. Un piatto che è l’espressione compiuta di una cucina classica mediterranea giovane, eppure già consolidata, perturbata solo da alcuni fermenti creativi, abile nel potenziare l’espressività della materia, a perfetta misura di un ristorante fresco di stella Michelin. Ristorante Al Vigneto (Grumello del Monte)

Guancetta di vitello brasata con polenta e verdure Per la serie, come fare di un brasato, di un taglio povero e di ortaggi umili un piatto di sublime sapore e consistenza. Un saggio della capacità di questa cucina di rinverdire una tradizione acquisita come dato genetico con l’ausilio delle nuove tecniche, depurandola di tutto ciò che appesantisce per lasciare solo il piacere del gusto. Ristorante Posta di Frosio (Sant’Omobono Imagna)

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oveva essere la “rossa”, con la sua pioggia di stelle, a ricordarci che la cucina del nostro territorio è tra le più dinamiche e in buona salute di Lombardia? Una vera e propria standing ovation quella tributata alla cucina bergamasca (due nuovi locali stellati e una fulgente terza etoile a un bistellato), che avrà risvegliato sicuramente qualche rancore nelle confinanti province, a strattonarsi in nove, poverette, le rimanenti tre nuove stelle. Eppure, a ben guardare, al di là del riconoscimento del suo indiscutibile valore, in fondo neppure le stelle (Michelin) sanno dirci cos’è oggi la Bergamo gastronomica. Per questo vogliamo raccontarlo attraverso i suoi piatti, eclissandoci, e dando loro voce. Perché raccontino se stessi e attraverso di sé raccontino anche di noi. Perché, se sappiamo ascoltare un piatto, scopriremo che in esso ci può essere un mondo intero, come un ologramma. Il cibo non è fatto solo di sapori e odori. È un garbuglio di esperien-

Il Giro degli antipasti Peperoni con salsa al tonno, sformatino di asparagi o porri, coppa e salame di Palazzago, carciofi e uova, paté di fegatini di coniglio nostrano. Il tipico è davvero mitico qui a Palazzago, minuscola enclave che vanta un concentrato di micro-produttori. Poetica della semplicità e sapori rullanti in queste deliziose miniature di tradizione valligiana. Osteria Burligo (Palazzago)

Gnocchi di pane conditi con ricotta e burro grasso di malga Siamo alla tradizione allo stato puro. I ricordi di un’infanzia povera filtrano da questo piatto, in origine preparato con gli avanzi di pane che mai si buttavano e col burro comprato alla stalla più vicina. Era una


ze, ricordi, emozioni, sentimenti, errori e ripensamenti. Va solo districato. E quando troviamo il filo, quel filo ci condurrà nella personalità, nella storia, nella cultura di chi l’ha ideato. Ma non dimentichiamo. Il piatto ci parla solo se è un piatto riuscito. Un piatto che non ci dice nulla è perché non ha niente da comunicare. Ci è rimasto estraneo. Così come un piatto troppo cerebrale ci respinge, lo sentiamo artefatto, vuoto, senza anima. Ecco, tutti i piatti che seguono hanno una storia, un colore, sono l’espressione della personalità di chi li ha creati, del luogo in cui sono nati. Non solo. Ogni interazione che abbiamo col cibo è un’esperienza unica perché il cibo non è riproducibile come qualsiasi altra cosa. Nessun piatto è uguale a un altro. Gli ingredienti non potranno mai essere gli stessi. Se è vero quello che diceva Walter Benjamin, che nella nostra epoca la creazione artistica originale è impossibile perché tutto è riproducibile, allora l’unica arte originale è quella culinaria. Quelli che abbiamo selezionato sono piatti che disegnano lo scenario della nuova cucina bergamasca. Piatti che parlano una lingua raffinata, colta, ricca di citazioni, ma anche umile, persino vernacolare. Creazioni dove la sperimentazione interseca la tradizione, il passato feconda il presente. E che riverberano una cucina matura, vivace, multiforme, e, finalmente, pienamente consapevole dei propri mezzi e delle proprie possibilità.

povertà che aizzava la fantasia e che ha partorito molti dei nostri migliori piatti cosiddetti regionali. Una commovente sonata della nostalgia. Ristorante Al Museo (Castione della Presolana)

Porci con le ali, ovvero maialino da latte farcito con crostacei Come mettere insieme carne e pesce e scovare nuovi algoritmi del gusto, giocando la carta dell’ironia. Sì perché è proprio la leggerezza dei crostacei a far “volare” il maialino. Una cucina intellettuale, ma non cerebrale, sottilmente provocatoria. Che ama le lunghe gittate. Forse è anche per questo che ha afferrato la stella Michelin. Ristorante Roof Garden (Bergamo)

La Ricciola In uno dei santuari della cucina d’avanguardia ecco un piatto classicissimo, che non sfonda certo le linee della geometria euclidea, come è costume per questo locale. Carpaccio di ricciola con tartufo di Norcia, olive Piano Grillo, mozzarella di bufala. In cima, in precario equilibrio, una piccola bolla trasparente e fluida che, spezzata, feconda magnificamente il tutto con essenza liquida di pomodoro. Se ben assestato, basta un cenno di creatività ad aprirci un mondo intero. Ristorante Anteprima (Chiuduno)

Risotto mantecato con astice e asparagi di Albenga Virtuosismi grafici, rigore, ferrea disciplina, materie prime indiscutibili. Siamo ai piani nobili del sapore.Tutto perfetto, tutto calcolato, eppure così convincente da sembrare improvvisato lì per lì. L’astice che affiora, morbido e sapido, tra un chicco e l’altro, l’asparago a cordializzare il tutto. Un tempo la chiamavano sprezzatura. L’arte di nascondere l’arte. Ristorante Il Saraceno (Cavernago)

Lombatina di cervo speziata su purea di zucca con mirtilli Cotture (a basse temperature) controllate e sapori ben torniti per questo classico che reimpagina la tradizione con sapori speziati di antica memoria e trova il punto d’incontro (non facile) tra il dolciastro della zucca e l’acidulo del mirtillo, tra l’ortaggio più grande e il frutto più piccolo. Una carne tenerissima che si scioglie liberando tutti i suoi succhi e tutte le sue virtù. Ristorante del Bobadilla (Dalmine)

Torta di pere In questa torta di pere, semplicissima, servita nuda (ma non cruda) sul piatto, per un attimo cogliamo istintivamente la verità del dolce di pere in senso kantiano. E cioè, il dolce di pere nella sua essenza e nella totalità delle sue condizioni. Capace di riappacificarci col mondo. Dolce come il bacio di un bambino. Ristorante Nosh (Treviglio)

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I DATI SUI PRIMI NOVE MESI DELL’ANNO / LA LOMBARDIA LIMITA I DANNI

Imprese, bilancio in rosso per bar e ristoranti Nei primi nove mesi del 2009, il saldo tra imprese avviate e imprese cessate è stato negativo per 634 unità. Si tratta di un dato “storico” per i pubblici esercizi perché mai si era registrato un bilancio negativo su un arco temporale di circa un anno. I deboli segnali di ripresa, da più parti annunciati, non trovano riscontro, dunque, nella realtà delle piccole imprese che vivono

di consumi interni. Soltanto in sei delle venti regioni italiane, in prevalenza meridionali, il bilancio è stato positivo. Preoccupante, al nord, il dato dell’Emilia Romagna (-189 imprese), al centro del Lazio (-158 imprese) e al sud della Sicilia (-216 imprese). Il turnover imprenditoriale si dimostra particolarmente elevato in Lombardia dove, in nove mesi, hanno chiuso circa 2.500 im-

Barcode

prese, anche se il saldo è stato positivo per 140 unità. La mortalità è stata pesante anche in Piemonte, Veneto e Lazio sebbene una natalità altrettanto elevata abbia consentito, in queste regioni, di contenere le perdite. “Al di là del segno negativo del saldo, che comunque deve suscitare forte preoccupazione per aver invertito un ciclo di espansione che durava da decenni, occorre

Il “212 Barcode” (ex Nazionale) passa ancora di mano

Il locale sul Sentierone sarebbe in procinto di passare ad un imprendotore di Terno d’Isola. Dolazza (“035”) apre un suo bar in zona ospedale e l’Opera Buffa diventa 30&Lode Cafè

S

e il calciomercato è concentrato in alcuni periodi predefiniti, per le gestioni dei bar il mercato è sempre aperto e quello che sta per terminare è un anno di grandi mutamenti nella guida di tanti locali a Bergamo e provincia.Anche il 2010 si annuncia ricco di altri cambiamenti significativi.Alla fine della scorsa estate, una nuova società composta da 5 ragazzi milanesi (che nel capoluogo lombardo hanno lo Stardust) ha rilevato uno dei caffé più importanti della città, il Gran Café Suite di viale Papa Giovanni XXIII. Molti lo ricordano ancora come Dessert, legato alla famiglia Vavassori. Dopo un ul-

30&lode Caffè

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teriore restyling, il Gran Café si ripropone con un nuovo servizio per la ristorazione con il marchio Panino Giusto e si offre come punto d’incontro per il centro città con lungo orario d’apertura: dalle 4 e mezza del mattino alle 2 di notte, tutti giorni. “La prima cosa che abbiamo osservato a Bergamo - annota - Marco, uno dei soci - era la totale mancanza di un bar aperto anche la notte e posizionato nella via principale della città. Con i nostri orari d’apertura pensiamo di offrire un valore aggiunto anche per il turismo”. Chi invece abbandona il centro e il bar dove collaborava, lo 035 Caffè, per aprire un suo locale è uno

Suite

Single Caffè


riflettere - sostiene la Fipe Confcommercio - sulle dimensioni che il turnover imprenditoriale assume nel mercato dei pubblici esercizi. Un comparto che mostra elementi di fragilità che dovrebbero far riflettere sui costi sociali ed economici che da ciò derivano. L’instabilità delle imprese genererà reazioni a catena lungo tutta la filiera in termini di insolvenza finanziaria, di riduzione degli ordini e degli investimenti senza contare, poi, il disorientamento che si alimenterà tra i consumatori. Con consumi in discesa o, nella migliore delle ipotesi, stagnanti come quelli che ci attendono nei prossimi due/tre anni sarebbero opportune politiche commerciali tese a razionalizzare l’offerta e non a frammentarla ulteriormente come oggi, purtroppo, avviene”. dei barman più apprezzati e conosciuti in città. Mauro Dolazza ha infatti rilevato il Birichito di via XXIV Maggio, al numero 19 (zona Ospedale) e lì porterà il suo stile e un nuovo nome: Caffé Cuveè. Dopo aver diretto il mitico ex Nazionale sul Sentierone, che ora si chiama 212 BARcode in puro stile newyorkese, il barman Gabriele Aresi con la moglie Rossana Cortinovis ha rilevato l’ex Opera Buffa, in via dei Caniana al numero 3. Il moderno ed elegante locale, situato di fronte all’Università, ha cambiato in onore della locazione la denominazione in 30&Lode Cafè, con una sala fumatori e tante iniziative: dai corsi per barman, alle cene a tema fino al prossimo appuntamento con l’aperitivo in musica del giovedì sera in collaborazione con i pr del Bar Fly di Rovato. Quanto al 212 BARcode, ci sono contatti per l’ingresso di una nuova proprietà e “rumour” insistenti segnalano l’ingresso un imprenditore del settore di Terno d’Isola. L’accordo per il passaggio di mano del locale sarebbe già cosa fatta. Movimenti anche in provincia. A Ponte San Pietro, il bar principale che ha fatto la storia del paese (prima Lux e ultimamente Claro) è da pochi mesi gestito da due simpatiche ragazze, Mirella Losa e Sarah Malerba. Invitante e intrigante il nuovo nome “Single cafè”. E sempre a Ponte, la gestione del bar delle Palestre Victoria di Luca Messi, è da pochi giorni passata a Gianni Lai, uno dei quattro fratelli che a Bergamo hanno il sushi bar Tsunami. In questo periodo congiunturale non certo invitante per nuove avventure (i primi dati del 2009 segnalano che nell’anno in corso per la prima volta i pubblici esercizi chiusi supereranno le nuove aperture) c’è anche chi accetta la sfida di debuttare con un bar nuovo di zecca. Sempre a Ponte, in via Piave (zona scuola elementare) da pochi mesi è stato inaugurato Mamadà caffetteria e panineria, con annessa sala per le scommesse sportive. A Dalmine, Marco Ceresoli è ritornato alla gestione del suo storico locale, il New Happy di viale Brembo, dopo la parentesi con il nome “La Flaca”: ora si chiama “...Brazà...” e oltre a bar-birreria propone specialità di carne e pesce ovviamente alla brace.

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Fabrizio Pirola

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CLIC & CHEF

Il Saraceno, dodici mesi da gustare Roberto Proto e la moglie Maria Morbi hanno dato alle stampe il tradizionale calendario da omaggiare ai clienti. Foto d’autore a cura di Paolo Chiodini

È

il quinto anno consecutivo che il ristorante Il Saraceno rende omaggio alla propria clientela con la pubblicazione di un calendario d’autore. Il desiderio di Roberto Proto e della moglie Maria Morbi è quello di donare ai clienti affezionati qualcosa che li accompagni piacevolmente per un intero anno. Il tema del 2010 è legato alla cultura, dodici scatti di food realizzati in “libreria”. La realizzazione creativa e fotografica è stata affidata, come da tradizione, a Paolo Chiodini e Lorenzo Manzoni.“Il calendario - spiega Proto - è frutto di lunghe serate trascorse dopo il servizio ad argomentare di cucina con l’amico Paolo. È da quelle conversazioni che nasce l’idea da sviluppare”. Quest’anno l’interpretazione del calendario è duplice: da una parte l’abbinamento cibo e cultura, dall’altra l’abbinamento tra il piatto e le doti

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che i grandi chef dovrebbero possedere. E così da gennaio a dicembre troviamo: l’ispirazione (capacità di prendere spunto dai grandi chef), la selezione (scelta accurata delle materie prime e dei collaboratori), l’evoluzione (la ricerca continua della perfezione), la scoperta (desiderio di stupirsi e di trovare nuovi stimoli), l’amore (per il proprio lavoro e per gli affetti), la disciplina (il rispetto delle regole), lo studio (curare la propria formazione), il gioco (non perdere il divertimento nel creare un piatto), l’estro (il coraggio di osare), la personalità (affermazione delle idee anche se controcorrente), il confronto (aprirsi agli altri), l’orizzonte (inteso come ampiezza di vedute). Inutile dire che, se è vero che ci sono i libri, è anche vero che le assolute protagoniste del calendario sono le creazioni dello chef Proto.


LA POSTA

I ricordi a tavola di un lettore fedele C

aro Direttore, ho letto con attenzione l’articolo di Pier Carlo Capozzi e la sua galleria di ricordi gastronomici. L’ho trovato un modo simpatico per fermare nel tempo le esperienze a tavola e per mandare a memoria un anno che sta per esaurirsi. Le chiedo quindi la possibilità, limitata, di proporre anch’io qualche ricordo personale. Comincio con un primo e un secondo gustati recentemente alla Taverna del Colleoni dell’Angelo in Bergamo alta: “Ravioli di zucca all’amaretto con scampi dorati al pane dolce” e “Petti di quaglia glassati al forno, foie gras e crema di marroni”. Proseguo con la “Catalana di aragosta e crostacei nazionali” di Lio Pellegrini per terminare con il “Risotto alla scogliera con frutti di mare morbidi” di Vittorio alla Cantalupa. Questi sono i miei ricordi 2009 a tavola e approfitto dell’occasione per inviare a lei e ai suoi collaboratori cordiali auguri di liete festività. Christian Belloni

A

ccidenti, mio caro Belloni, è proprio il caso di dire che lei non bada a spese! Mi faccia scherzare un po’, dai… Però mi indica tre preziosissimi templi dell’enogastronomia che, tra l’altro, non erano annoverati, e non certo perché manca loro la mia stima, nella mia pagina di novembre. Quindi le sono doppiamente grato: per l’attenzione e per l’integrazione.Anzi, dato che ci sono e che, sotto le feste, il Direttore è particolarmente ben disposto, aggiungerò un altro ricordo dei miei. Eravamo diretti a Sondrio, io ed Enrico Sarti, amico quasi fratello, in visita a Tiziana, moglie dell’indimenticabile Lino Cao, per anni nostro compagno di viaggio e di vita. Ebbene, a venti minuti dalla meta, in località Forcola, sulla statale dello Stelvio, ho visto la scritta “La Brace” sul muro, a sinistra, ho girato l’auto e ci siamo infilati nel parcheggio. Cercavamo un panino, giusto un boccone, e ci siamo diretti al bar di un bel complesso che prevede anche albergo e ristorante. Ci hanno fatto accomodare in una saletta rustica col camino. Cercavamo un panino, ma la signora ci ha detto che avevano appena cucinato i Pizzoccheri. Ce li hanno portati fumanti nelle scodelle di terracotta e li abbiamo insaporiti con la pestèda, condimento aromatico tipico di Grosio. Sarà stata l’occasione, emozionante di per sé, sarà stata la compagnia di mio “fratello” Enrico, sarà stata la pestèda, resta il fatto che quei Pizzoccheri de “La Brace”, anno di grazia 2009, resteranno per sempre uno dei piatti del mio buon ricordo. Pier Carlo Capozzi

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TENDENZE di Anna Facci

irra artigianale, anche Bergamo ci prende gusto Nuovi birrifici, ma anche locali specializzati ed eventi: cresce l’interesse per le piccole produzioni, originali e creative

I

numeri sono contenuti, ma è una crescita continua quella che investe il mondo della birra artigianale e che vede la Lombardia, con 46 birrifici su un totale di 270 in tutta Italia e un aumento del 15% nell’ultimo anno, recitare un ruolo da protagonista. Anche la Bergamasca, forse un po’ attardata rispetto ad altre realtà lombarde, non si sottrae alla tendenza, che proprio in questi ultimi tempi sta registrando una significativa accelerata. Un nuovo microbirrificio, il Valcavallina a Endine Gaiano, si è infatti aggiunto da ottobre ai tre già presenti in provincia (in ordine di “anzianità” Maivisto a Sedrina, Sguarunda a Pagazzano e Maspy a Ponte San Pietro), in primavera è annunciata l’apertura di un’altra attività a Grassobbio e qualche altra idea è in fase di definizione. Ma aumentano anche l’interesse e gli eventi. E così può capitare in un freddo fine settimana d’autunno inoltrato la festa della birra che non ti aspetti, con ben sei birrifici artigianali tra i più quotati dagli intenditori (il Birrificio Lambrate, il comasco Bi-du, l’Orso Verde di Busto Arsizio, Menaresta di

Simone Casiraghi

Carate Brianza,Toccalmatto di Fidenza e il nuovo La Buttiga di Piacenza) riuniti sotto lo stesso tendone in piazza a Suisio per iniziativa della dirimpettaia “Locanda del Monaco Felice”, locale aperto tre anni fa da Claudio Capelli e Carla Minelli, che con le sue 120 etichette è considerato un “faro” dagli appassionati. Oppure può anche nascere il primo festival “Bire de Nadal”, tre giorni di degustazioni di una cinquantina di produzioni di stagione, per lo più belghe ma anche italiane, in programma dal 18 al 20 diMarco Giannasso e Claudio Capelli

Giovanni Fumagalli di San Pellegrino è un appassionato produttore “casalingo”

La birra del farmacista Il ricordo, quasi mitico, del nonno Ermanno Bonapace, farmacista come lui e inventore della famosa Magnesia San Pellegrino, che si faceva la birra in casa è stato il sottofondo alle sue ricerche e sperimentazioni e oggi Giovanni Fumagalli, terza generazione di farmacisti in San Pellegrino, è un appassionato interprete di una pratica che si diffonde e guadagna consensi anche in Bergamasca, quella della produzione casalinga di birre o homebrewing, come le esperienze già avanzate di altri Paesi hanno portato a definire il “fenomeno” anche in Italia. «Era una curiosità che nutrivo da sempre, forse perché vicina in qualche modo all’attività di laboratorio – ricorda Fumagalli –, e l’avvento di

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Internet a metà degli anni Novanta mi ha finalmente messo a disposizione informazioni, notizie e contatti per avvicinarmi a questo mondo». Fatto qualche tentativo con quelli che definisce i «famigerati» kit, «le possibilità – dice - erano solo due: rinunciare o mettersi a fare le cose sul serio». Il farmacista ha optato per la seconda ipotesi decidendo di partire dal malto in grani e di curare in prima persona ogni passaggio della produzione, dalla macinatura all’infusione alla bollitura con il luppolo alla fermentazione con il lievito. Ha anche risolto uno dei problemi più tipici dell’homebrewer, la difficile convivenza negli spazi domestici di attrezzi e pentoloni, allestendo un locale dove dedicarsi all’attività

insieme con gli amici che nel frattempo ha “contagiato”. «Chi produce birra in casa – precisa – non lo fa certo per risparmiare, ma per creare un prodotto di altissima qualità, veramente personale. Grazie a Internet è possibile acquistare materie prime per tutti i gusti, anche rare e costose, che poi possono essere accostate a ingredienti più legati al proprio territorio dando vita ad un’infinita varietà di colori, profumi e sensazioni». Ma non è così facile realizzare birre originali e nello stesso tempo equilibrate ed armoniche «è un po’ come il lavoro di un cuoco – spiega - che deve stare attento a dosare bene le diverse componenti. I flop – ammette - non mancano, ma fanno ugualmente parte del gio-


cembre prossimi a The Dome di Nembro, recente creatura di Michele Galati dell’Abbazia di Sherwood di Caprino, che per l’occasione di avvale della collaborazione dell’associazione culturale La Compagnia del Luppolo. «In poco più di dieci anni – spiega Marco Giannasso, responsabile culturale di Unionbirrai, associazione che riunisce microbirrifici artigianali e produttori casalinghi – il movimento nel nostro Paese è cresciuto in maniera esponenziale passando da una trentina di attività alle quasi trecento di oggi. Ma, cosa che più conta, si sta affermando un “gusto italiano” molto apprezzato all’estero. A caratterizzare le nostre produzioni è infatti uno stretto legame con i prodotti del territorio, le castagne solo per fare un esempio, che conferiscono alle birre un’identità precisa che si sta affermando nel panorama internazionale». Ma chi sono i produttori? Il loro percorso è spesso simile ed è guidato per lo più dalla passione. È successo a Renato Carro, 42 anni, titolare del Birrificio Valcavallina, che dopo una decina di anni di birra fatta in casa e collaborazioni con birrerie nel milanese ha deciso di trasformare l’hobby in una professione (è partito con tre tipologie, il mercato di riferimento è quello della Bergamasca, del lago d’Iseo e del Milanese), ed è la strada scelta anche dal giovane Simone Casiraghi, 28 anni e un lavoro nell’informatica. Casiraghi aprirà un piccolo laboratorio (stima in 200 ettolitri la produzione annua) nella zona industriale di Grassobbio. Anche lui può contare sull’esperienza di homebrewer: «Fino ad ora – dice – ho fatto birre per me, la svolta sarà riuscire a mettere a punto prodotti che incontrino il favore di un pubblico più ampio. Oggi in Italia – rileva – il consumo di birre artigianali rappresenta solo l’1% del totale, lo spazio per crescere c’è senz’altro».

co». Fumagalli intanto un riconoscimento ufficiale delle sue capacità l’ha ottenuto, classificandosi al quinto posto su 36 partecipanti al concorso “Una birra per l’estate” di Piozzo (Cn), promosso nel luglio scorso dal mitico birrificio Le Baladin di Teo Musso in cui si chiedeva di riprodurre la birra “Open” del maestro. «Un risultato inaspettato – commenta -, che è uno stimolo in più a continuare in questa attività». Da buon farmacion si sbila l nc la n ia ssu eventuali presta no non sbilancia salutis i tici della birra b gi salutistici - con l’alcol mezzo bisogna sempre di mezzo atten fare attenzione -, una cosa ò ha constatato freperò quen quentando il mondo de homebrewer: degli «p «produrre birra dà bu umore». buon da sinistra Marco Orfino, Giovanni Fumagalli e Mauro Zilli

L’APPELLO

«Un birrificio per dar lavoro alle persone con handicap» Un microbirrificio può diventare anche un progetto di integrazione lavorativa e sociale per persone con handicap e un’occasione di coinvolgimento dei giovani. È l’idea nata dall’incontro di tre professionalità ed esperienze diverse, quella di Luca Curioni, 27 anni, educatore del consorzio di cooperative Solco, di Emanuele Arioli, 38 anni, psicologo dello sport, e di Omar Magoni, 33 anni, assessore ai Servizi sociali di Calcinate, che hanno sviluppato nei dettagli il piano di fattibilità dell’iniziativa fino ad arrivare ad un passo dal lancio. La crisi, che ha portato il finanziatore a rinunciare all’investimento, ha purtroppo bruscamente interrotto il loro programma, ma non hanno voluto richiudere nel cassetto quello che, per l’evidente valore aggiunto dell’operazione, è diventato un ideale da realizzare e sono pronti a rimettersi all’opera se qualcuno fosse interessato a condividerlo. Il progetto si articola su due versanti: un microbirrificio artigianale dove dar lavoro a persone con disabilità e una birreria collegata, gestita dai giovani del paese e pensata come un’opportunità di socializzazione ed educazione al divertimento responsabile. Curioni, che già conosce il mondo delle birre artigianali e per hobby le fa in casa, ha messo a punto gli aspetti della produzione, prendendo contatti con i mastri birrai e individuando le mansioni degli addetti, che vanno dalla tappatura all’imbottigliatura alle consegne. «Il contenuto sociale dell’iniziativa – precisano – non fa passare in secondo piano quello che deve essere il fondamento dell’attività, ossia un prodotto buono e di qualità, che è stato messo al centro dell’attenzione». Con cura sono stati valutati anche gli aspetti commerciali individuando, oltre al canale diretto, la possibilità di distribuzione nelle varie realtà del consumo critico, dai gruppi di acquilidale alle botteghe del commercio equo, fino sto solidale ste «che potranno essere occasione per far coalle feste re e apprezzanoscere re un modo diverso di beree birra». ea coragUn’idea giosa «ma possibile», sottolineano.

da sinistra Omar Magoni, Emanuele Arioli e Luca Curioni

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IL PREZZO FISSO di Fulvio Facci

Al Ponte, la clientela ora la porta anche il tram

U

n locale storico in piena salute. L’immagine del ristorante pizzeria Al Ponte, ad Albino, in via Stazione al numero sei, si rispecchia in questa definizione. Al Ponte non si va mai in ferie e la chiusura settimanale è limitata al mercoledì sera, come dire: il lavoro non manca, e di riflesso, pensiamo, anche le soddisfazioni. Prima era “il Bettinelli” poi “da Tommaso” ora, da oltre vent’anni, “Al Ponte”. In ogni caso, dal dopoguerra il locale ha sempre funzionato bene pur variando nel tempo, ovviamente, il tipo di proposte. «Siamo venuti qui il primo di dicembre dell’88 – racconta Massimo Rossi che con la sorella Rachele è contitolare del ristorante – con tutta la famiglia, mamma Antonia e papà Vincenzo. Siamo originari di Pradalunga a poca distanza. Non avevamo una grande esperienza nel settore, avevamo solo gestito un bar in città. Quando siamo subentrati - ricorda -, il locale aveva già un buon avviamento per il pranzo di mezzogiorno, il nostro compito principale era quello di lanciarlo anche per la sera. Non è stato facile ma ci siamo riusciti. Da tempo ormai nei fine settimana la prenotazione è veramente consigliata». La capacità dei fratelli Rossi è stata quindi soprattutto quella di proporre qualcosa di nuovo nella zona puntando in particolare sui piatti di pesce. «Devo dire con un certo rammarico – continua Massimo Rossi, che con il cognato si occupa della cucina mentre la sorella segue la sala – che abbiamo tentato più volte di proporre piatti più elaborati,

Il locale di Albino ha scoperto con piacere i benefici, non solo viabilistici, della nuova tranvia. «Abbiamo già un buon giro, questa è un’occasione in più» ma la clientela ha dimostrato di non gradire particolarmente. Forse sarà dipeso anche da noi – ammette -, ma le scelte finivano immancabilmente sul classico, è così la cucina tipica mediterranea è diventata il nostro cavallo di battaglia. Il pesce ha comunque rappresentato un po’ una novità nella zona e il merito di questo sviluppo va anche al mio padrino Ermanno che ha lavorato a lungo in una grossa azienda che commercializza pesce e mi quindi ben indirizzato. E poi c’è la pizzeria che funziona a pieno ritmo». Primi rigorosamente fatti in casa (quali ravioli di branzino e gnocchi della Versilia, ad esempio), capriolo con polenta taragna e involtino di salmone marinato con agrumi e gamberi sono le proposte che colpiscono in un menù ben strutturato e - nel rispetto di quelle che, come detto, sono risultate le esigenze della clientela - con poche concessioni alla fantasia. «La nostra è una clientela molto articolata anche dal punto di vista geografico – spiega Rossi -, non è solo

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Massimo Rossi

locale ma arriva anche dalla città e dall’hinterland. Sono clienti affezionati, vorrei dire storici, e questo significa che condividono le nostre scelte». La provenienza variegata è strettamente legata alla posizione del ristorante che, tanto per dare qualche rifermento, è praticamente adiacente alla sede territoriale dell’Asl, è posto all’inizio di una lunga e molto frequentata pista ciclabile e con l’arrivo del nuovo tram è molto vicina al terminal dello stesso. Intuibili perciò i flussi che la collocazione può generare. Se a questo si aggiunge che il locale è stato per anni il punto di riferimento per la ristorazione delle squadre calcistiche locali, compreso sino a poco tempo fa l’Albinoleffe, e delle squadre che venivano ospitate, si può ben capire come il lavoro, per i meriti ovviamente dei titolari, non manchi. «Sì, sono situazioni che ci hanno dato una mano – conclude il titolare – magari offrendoci qualche occasione in più. In uno di questi fine settimana, ad esempio, abbiamo ospitato una ventina di giovani portatori di handicap.Avevano preso il tram e sono venuti da noi. Senza questa nuova linea probabilmente non sarebbero arrivati al nostro ristorante: tocca poi a noi fare la nostra parte. Un impegno che portiamo avanti ancora con molto entusiasmo».


LA PROVA

La vittoria del “classico” Al ristorante pizzeria Al Ponte la proposta per il pranzo di mezzogiorno è articolata su due menù: uno fisso al costo di dieci euro, l’altro definito turistico che ne costa 15. I piatti di quest’ultimo sono diversi da quelli del menù fisso, non c’è nessuna correlazione tra le due liste, ma si rifanno comunque ai classici con l’aggiunta magari di un pizzico di ricercatezza in più. Del menù turistico ricordiamo ad esempio gli gnocchi della Versilia ai frutti di mare e la grigliata con braciola, bistecca e salsiccia. Il nostro obiettivo resta comunque il menù fisso “classico” che, con un’ampia rotazione di piatti nel corso della settimana, offre quotidianamente una buona scelta. Fusilli asparagi e salmone, spaghetti al pomodoro, maccheroni all’ortolana, penne all’arrabbiata e tortellini in brodo le proposte per i primi. Calamari fritti, medaglioni di vitello al forno, paillard ai ferri, braciola alla griglia, grigliatina mista, roast beef all’inglese e insalata fantasia costituivano invece la lista dei secondi piatti. Contorno, acqua, vino e caffè sono, come ormai da formula consolidata, compresi nel prezzo. Originali e molto buoni i maccheroni all’ortolana che abbiamo scelto: un sapore nuovo, almeno per noi, morbido e delicato, classica e ben riuscita la frittura di calamari. Le mise sono essenziali ma funzionali mentre il servizio è veramente molto attento pur tenendo conto della caratteristica essenziale che per molti clienti è la rapidità. Abbiamo mangiato bene e con un buon rapporto qualità/prezzo.

Ristorante Pizzeria Al Ponte via Stazione 6 - Albino tel. 035 751026 chiuso il mercoledì sera Affari di Gola dicembre 2009 31


Osteria San Giorgio «coccolare il cliente è la nostra missione» Reduci da un’esperienza in Inghilterra, Gabriele Pezzotta bano e Giusy Capasso sono da un anno alla guida del locale di Albano Sant’Alessandro, di proprietà di Fabio Cantoni. La loro linea è chiara: «Le proposte della cucina devono sposarsi con accoglienza e servizio» Un locale accogliente, dove potersi sentire come a casa propria e dove poter gustare piatti appetitosi e di qualità. L’“Osteria San Giorgio”, ad Albano Sant’Alessandro, con il cambio di gestione ha rinnovato la sua offerta cercando di accontentare tutti i palati ma anche tutte le tasche. Il marchio Pamir del titolare Fabio Cantoni è sinonimo di qualità e di affidabilità, requisiti che i gestori del ristorante, Gabriele Pezzotta (chef) e Giusy Capasso (restaurant manager), mantengono ad alto livello. Materie prime selezionate e grande attenzione anche al “customer service”, appresa da Gabriele e Giusy durante l’esperienza in Inghilterra, che ha dato loro molto dal punto di vista professionale e che li ha fatti anche incontrare e innamorare. Tornati in Italia, da circa un anno gestiscono il locale: una sfida da affrontare con una grande passione per questa attività. «Come punto di partenza c’è stato il rifacimento della cucina – evidenziano -, che è a vista sulla sala da pranzo e questo in-

Gabriele Pezzotta, Giusy Capasso e il titolare Fabio Cantoni

curiosisce molto i clienti». L’offerta dell’Osteria San Giorgio si differenzia tra pranzi di lavoro e menù serali. La capienza è di una trentina di posti, per i banchetti si arriva anche a cinquanta persone ed in questi casi il menù è fatto su richiesta. Il prezzo per i pranzi di lavoro varia dai 7 ai 12 euro e comprende un’ampia scelta di primi e secondi piatti con contorno. Mentre per la sera vengono proposti piatti più particolari. Tutto viene fatto in casa, dalla pasta ai dolci. Lo chef, che adora i primi, ci ha dato alcuni suggerimenti sui piatti da assaggiare: tra gli antipasti noci di capasanta, come primi fregula sarda con zucca e taleggio e paccheri secondo l’oste (con polpo, guanciale e pomodorini), per i secondi di pesce filetto di rombo e, se si preferisce la carne, una grigliata mista servita sulla piastra di ardesia, o in alternativa filetto di scottona steccato al pepe nero e guanciale. Senza dimenticare i dolci, tra cui lo strudel di mele con zabaione al rum e il delicato semifreddo alla liquirizia. La carta dei vini presenta scelte nel solco della tradizione, con case vinicole di tutta Italia e diverse fasce di prezzo. Per stuzzicare ulteriormente i palati, ogni mese lo chef propone un menù tipico regionale: «Siamo partiti con questa iniziativa da poco, da novembre, ed abbiamo iniziato questo particolare giro d’Italia con la Lombardia, e con piatti tipici bergamaschi – spiega Gabriele Pezzotta –. Dicembre invece è il mese del Veneto, con piatti della tradizione come crostini di paté di fegato e radicchio trevigiano e baccalà alla vicentina.

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Quest’idea nasce dalla nostra passione di ricercare piatti della tradizione nei diversi luoghi d’Italia che visitiamo. Ci piace viaggiare e nei paesi dove ci troviamo andiamo a caccia delle trattorie tipiche». Tra le caratteristiche del ristorante c’è la speciale importanza riservata al servizio: tutti i clienti devono essere “coccolati”, e questo significa avere piatti “a misura di bambino” ma anche andare incontro alle necessità di chi è celiaco o ha intolleranze oppure allergie. L’Osteria San Giorgio è un ristorante adatto alle famiglie, ma l’atmosfera si addice anche ad una piacevole serata a due. Sara Vavassori

Ristorante “Osteria San Giorgio” via S. Giovanni Bosco, 24 (entrata su via Tonale) Albano Sant’Alessandro chiuso il lunedì sera e il martedì per informazioni e prenotazioni: 348 7625804 – 392 9852561


Ristoratori, gli auguri nel piatto Al Gourmet di Città alta il tradizionale incontro promosso dall’Ascom in occasione delle Feste. Nel menù le proposte di cinque locali

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rima di lanciarsi in uno dei periodi più impegnativi dell’anno, è tradizione dei ristoratori bergamaschi incontrarsi per lo scambio degli auguri di Natale. Un appuntamento puntualmente riproposto dal presidente onorario del Gruppo ristoratori Ascom, Pino Capozzi, che ha riunito al ristorante Gourmet di Città alta colleghi, addetti ai lavori e autorità per una serata all’insegna dell’amicizia e dei piaceri della tavola. Fedele ad una formula consolidata, la cena è stata scandita dalle portate di cinque diversi locali a comporre una piccola escursione tra le proposte della ristorazione orobica e le diverse interpretazioni degli chef: Bruno Federico della Caprese di Mozzo, Pino Capozzi dell’Agnello d’oro di Città alta, Federico Coria dell’Antico ristorante del Moro di Bergamo, lo stellato Paolo Frosio dell’omonimo ristorante di Almé e Stefano Asperti, chef del Gourmet dei patron Aldo Be-

retta e Gianni Cornacchia. Bergamaschi anche i vini, della Brugherata di Scanzorosciate. Ben rappresentato il panorama istituzionale e associativo, con il presidente della Camera di Commercio Roberto Sestini, il segretario generale Emanuele Prati, l’assessore alle Attività produttive del Comune di Bergamo Enrica Foppa Pedretti, il presidente e il direttore dell’Ascom, Paolo Malvestiti e Luigi Trigona, e la presidente dei ristoratori Petronilla Frosio. La cena seguiva di pochi giorni due importanti eventi per la gastronomia bergamasca, la conquista della terza stella Michelin da parte del ristorante Da Vittorio e l’assegnazione alla città delle selezioni italiane del prestigioso concorso Bocuse d’Or: due traguardi che, a detta di tutti, aprono importanti prospettive per l’affermazione della Bergamo del gusto in campo nazionale e internazionale e sono da stimolo alla crescita di tutto il settore.

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Niniva, il locale poliedrico

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ulla di casuale, nessuna scelta fatta per il semplice gusto di tentare.Al Niniva restaurant and music fashion bar di Almè si respira tutta l’impronta dei sui creatori che dal marzo 2007 lo gestiscono anticipando stili e tendenze. Manuela e Fabio Vanini hanno voluto un locale che si adatti alle diverse fasce orarie e quindi alle diverse esigenze di una clientela più che mai eterogenea. Disposto su un piano, il Niniva offre un’area ben arredata, ricca di particolari che sanno coinvolgere: dall’originalità dell’ambiente fino al servizio. L’apertura è alle 5,30 per accogliere chi deve affrontare anzitempo la prima colazione. A mezzogiorno la prima trasformazione. Il locale diventa tavola calda capace di ricevere oltre un centinaio di clienti ai quali viene proposta una cucina creativa a prezzi in linea con la pausa pranzo. Nel pomeriggio, sino alle 17,30, il Niniva diventa luogo ideale per chi è alla ricerca di una giusta miscela di tè (48 i gusti a disposizione) o più semplice-

È aperto sette giorni su sette e nel corso della giornata si trasforma da tavola calda a sala da tè, da bar per l’happy hour a ristorante. Senza dimenticare la solidarietà mente di una fumante cioccolata disponibile in 36 tipologie.A partire dalle 18 ecco l’ora dell’aperitivo: un happy hour modaiolo, apprezzato da giovani e giovanissimi che posso approfittare di un ricco buffet e di buona musica. Oltre 80 le etichette di vino a disposizione per la degustazione. Particolarità del cibo offerto è la selezione di formaggi tipici dell’alta Valle Brembana.Alle 21 nuovo cambiamento ed il locale diventa un music bar. Ampia la scelta dei cocktail con particolare attenzione a quelli innovativi a base di birra. La musica durante la settimana è soft, mentre il venerdì, sabato e domenica la proposta diviene da ballo. Ad impreziosire l’offerta sono le tante feste a tema che variano per frequenza e giorno. Fisso invece è l’appuntamento di ogni ultimo giovedì del mese dedicato a tributi di grandi autori.Anche il sociale riveste un ruolo importante per questo locale: ogni anno viene realizzato un evento con l’intero incasso devoluto in beneficenza.

NINIVA via Milano 42/a - Almè orari: dalle 5.30 alle 2 - chiusura: mai telefono 035 638123 - www.niniva.it 34 Affari di Gola dicembre 2009


Alla pasticceria Salvi la sosta è ancora più golosa La Pasticceria Salvi, storica insegna di via Torquato Tasso, in città, è l’indirizzo ideale per il rituale del tè, una sosta relax con infusi e tisane e una pausa golosa con cioccolata e creme. Due le nuove liste del locale con 32 gusti di cioccolata e creme - dallo zabaione allo whisky alla vaniglia - e 48 varietà di tè da tutto il mondo. I cultori potranno rinnovare il rituale Zen degustando il mitico “cerimonial tea”, affiancato da tè verdi, neri e bianchi provenienti da ogni angolo del globo; non mancano 18 tè freddi shakerati: dai classici alla frutta, alla liquirizia ai fiori egiziani al “paradise ice”. Anche per le cioccolate non c’è che l’imbarazzo della scelta: cioccolate alla frutta, al latte, alla mandorla, alla nocciola, gianduja e marron glacè e cioccolato bianco affiancano la classica extrafondente. Per rendere la pausa ancora più golosa sono stati inseriti percorsi di degustazione, accompagnati da frutta, pasticcini, candele e cioccolato. Un servizio per due, con simpatiche e golose varianti, come la ciocco-dama: una scacchiera con pedine-biscotti per fare a gara a chi riesce a mangiare più pedine all’avversario, gustandosi con calma la cioccolata preferita. Non mancano tris, con la possibilità di scegliere tre tipi di cioccolate accompagnate da pasticcini, magari puntando sulla scelta di cioccolate d’altri tempi, ispirate ai salotti parigini del Settecento ed Ottocento. Pasticceria Salvi via Tasso, 48 – Bergamo tel. 035 243623.

I sapori della caccia tornano in tavola Per gli appassionati di selvaggina un appuntamento da annotare. Dal 15 al 21 febbraio prossimi, con la possibilità di proroghe in vari ristoranti della Bergamasca, torna “Caccia in cucina”, la rassegna dedicata alla valorizzazione della gastronomia venatoria promossa da Anuu Migratoristi con la collaborazione dell’Ascom, in programma, oltre che a Bergamo, in altre otto province lombarde (Brescia, Como, Cremona, Lodi, Milano, Monza e Brianza, Pavia e Varese). Nei ristoranti sarà possibile trovare piatti o interi menù a base di cacciagione abbinati ai vini più adatti, un’occasione per scoprire, o riscoprire, ricette “classiche” o nuove interpretazioni degli chef e, più in generale, i prodotti del territorio. L’elenco dei locali sarà pubblicato sul sito www.ascombg.it

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I GRANDI VINI ITALIANI

Il “San Leonardo” tiene banco Ai Santi Ai vini italiani capita di frequente di raccogliere risultati sorprendenti nelle degustazioni alla cieca, anche battendo case francesi blasonate. Ne sa qualcosa la Tenuta Guerrieri Gonzaga di Avio. Con il suo pregevole “San Leonardo”, la casa trentina è riuscita a surclassare vini blasonati come il celebre Château Petrus, le cui bottiglie hanno un costo almeno 20 volte superiore. Si comprende allora l’orgoglio del marchese Carlo Guerrieri Gonzaga e del figlio Anselmo per questo felice uvaggio di Cabernet Sauvignon (60%), Cabernet Franc (30%) e Merlot (10%), che da anni raccoglie consensi tra guide e consumatori. Un taglio bordolese poderoso (si sente la mano di Tachis) che affascina per eleganza e compiutezza. E che anche recentemente, in deIL CONVEGNO - di Pierluigi Saurgnani

Valtellina, là dove i vini sanno “Voltolina come detto valle circondata da alti e terribili monti fa vini potenti e assai”. Lo sosteneva, nel 1490, nel Codice Atlantico, un certo Leonardo da Vinci. Il quale, dunque, oltre che artista e scienziato eccelso, può essere considerato a buon diritto, se non proprio un enologo, un fine intenditore di vino. Altre epoche. Con inverni rigidissimi, in cui la coltivazione delle uve era veramente, come si dice oggi,“eroica”. E con un prodotto che rispecchiava, nelle sue caratteristiche, la durezza di quei terribili inverni. Oggi le cose sono cambiate.A cominciare dal fatto che, negli ultimi 15 anni, i vini valtellinesi si sono potuti avvantaggiare di quell’aumento delle temperature della terra che viene additato da più parti come il responsabile di tanti sconvolgimenti naturali, dal ritiro dei ghiacciai alla desertificazione e alle alluvioni. Per Sassella, Inferno e Sfursat, invece, l’incremento delle temperature è stato un toccasana, perché ha esaltato quell’“acidità fresca” che è la peculiarità tipica dei vini valtellinesi. Si è parlato di questo e altro al convegno “Dal bicchiere alla vigna” promosso dal Consorzio tutela vini valtellinesi al Grand Hotel Bagni Nuovi di Bormio. Ma perché, innanzitutto, quel titolo “Dal bicchiere alla vigna”? Non dovrebbe essere il contrario? Il capovolgimento è stato spiegato da Giacomo Mojoli, della Facoltà di Scienze Gastronomiche dell’Università degli Studi di Milano:“Non vogliamo oggi soffermarci su ciò che c’è dentro il bicchiere, ma andare a vedere ciò che sta al di fuori di esso, esaminando le caratteristiche specifiche generate dalla peculiarità del versante retico valtellinese. In questa degustazione il vino vuole diventare uno strumento per affermare un’identità territoriale molto forte”. Attraverso il vino, cioè, si può “leggere”

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gustazione al ristorante “Ai Santi” di Bergamo, non ha mancato di affascinare i numerosi buongustai.Tre le annate in mescita (2001, 1999 e 1996), tutte convincenti e sapientemente abbinate alle proposte degli chef Maurizio Bonomi e Mattia Giupponi che affiancano Daniela e Nicola Zanini da sei anni alla guida del locale. Come hanno illustrato il direttore vendite dell’azienda, Fulvio Rimini, e la rappresentante per Bergamo e provincia Anna Maria Belotti, le annate ‘99 e 2001 hanno ancora ampi margini di invecchiamento, possono subire tranquillamente quella lenta maturazione che ha reso il San Leonardo uno dei grandi vini rossi italiani.A completare la gamma della Tenuta trentina anche il Villa Gresti (assemblaggio di Merlot 90%, Carmenère 10%) e il Terra di San Leonardo, classico taglio bordolese.

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“raccontare” il territorio il territorio vinicolo, e quello della Valtellina presenta una combinazione unica di fattori: terrazze vitate, terreni di origine morenica, altitudine tra i 300 e i 700 metri, esposizione a Sud, clima endoalpino, forte frazionamento della produzione, scelte agronomiche peculiari, presenza di un unico vitigno, il Chiavennasca, che ha assunto nei secoli caratteristiche proprie pur mantenendo i caratteri di base del Nebbiolo.Tutto ciò rende unici i vini valtellinesi. Ciò che è nel bicchiere ha quindi uno stretto legame con il concetto agronomico e con fattori come quello di altitudine, di radiazione solare, di caratteristiche legate alla tipicità anche morfologica del territorio e alle diverse espressioni che trova qui il vitigno. Ecco perché per il futuro si vuole dare un ruolo di primo piano a quanto avviene in vigneto rispetto alla cantina, puntando sulle caratteristiche che si formano in vigna (le note varietali o aromi primari che si formano nella bacca e influiscono sulla qualità finale del vino in bottiglia).“Il futuro del vino valtellinese sta nella capacità di legare ciò che c’è dentro il bicchiere con le specificità del proprio territorio vinicolo e del proprio vitigno”, ha concluso Mojoli. Un concetto di “percorso inverso” ripreso da Osvaldo Failla, dell’Università degli Studi di Milano: quando si assaggia un vino, si cerca di trovare la matrice ambientale e varietale da cui deriva, il nesso tra suolo e clima e i profili sensoriali di un certo vino. Mentre l’enologo Claudio Introini ha sottolineato il fatto che i produttori in Valtellina hanno dovuto fare all’inizio un grande sforzo sugli aspetti enologici, seguiti da quelli fatti in vigneto, in un territorio che basa la sua produzione su piccoli viticoltori che detengono il 60% della produzione complessiva: 40mila ettolitri, vale a dire cinque milioni di bottiglie.

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