Affari di Gola- maggio-giugno 2020

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MAGGIO-GIUGNO 2020

Anno XX n. 2 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ¤ 2,60

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Ripartiamo insieme IMPRENDITORI E CLIENTI UNITI NEL RISPETTO DELLE REGOLE A TUTELA DELLA SALUTE A VANTAGGIO DELL'ECONOMIA

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Oscar Fusini Direttore

BUONA RIPARTENZA

Q

39. Leggere di gusto

36. I vitigni Piwi

34. La ricetta

32. La cultura vien mangiando

30. Tramonti-Bergamo tra pizza e “core”

26. Tutti pazzi per il Bubble Tea

24. Food pairing, il whisky a tavola

23. Quando i casoncelli erano dolcetti

18. I dolci dei ricordi

16. L'intervista a Carlo Petrini

12. Bergamo ha il suo salame tipico

6. Uova: un prodotto versatile

4. Riapriamo in sicurezza

uello che abbiamo vissuto in questi tre mesi non lo dimenticheremo mai. Molti di noi hanno perso almeno un familiare, un amico o un vicino di casa e non abbiamo neppure potuto rivolgergli l’ultimo saluto. Ora però dobbiamo ripartire. Per le nostre imprese e per l’economia di questo territorio che è in ginocchio. Lo dobbiamo fare in sicurezza nel rispetto della legge a tutela dei nostri clienti, dipendenti e familiari. Questa fase è ancora confusa perché non sappiamo ancora come la nostra clientela reagirà. A ciò si aggiunge una sovrainformazione non sempre corretta - complici anche i social network - che non aiuta a rispondere ai nostri dubbi. Tra qualche giorno tutto sarà più chiaro ed emergeranno gli aspetti fondamentali. Rispettiamo le linee guida delle nostre associazioni ed usiamo il buon senso per accogliere e trattare bene il nostro cliente contribuendo al contrasto della pandemia. Questo sarà il nostro compito fino al sospirato vaccino. Forti di quanto è avvenuto, lanciamo un appello: usciamo da un periodo di abbuffata di decreti, leggi e ordinanze – non ne possiamo più - e per il futuro chiediamo poche leggi, meno burocrazia e più semplicità per la gestione delle imprese del terziario. Sembrerebbe una piccola cosa ma è un grande passo avanti. Buon lavoro.

Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

Progettazione grafica: Samanta Cattaneo, Mozzo, Bg

Collaboratori: Lara Abrati, Leonardo Bloch, Marco Offredi, Rosanna Scardi

Abbonamenti: Iniziative Ascom S.p.a. via Borgo Palazzo 137 24125 Bergamo, tel. 035.4120322 - 035.4120182 Registrazione Tribunale di Bergamo – n. 48 del 22 novembre 2001

Pubblicità: Ufficio Marketing Ascom Confcommercio Bergamo, via Borgo Palazzo 137, 24125 Bergamo tel. 035.4120111, marketing@ascombg.it

Presidente: Giovanni Zambonelli

24125 Bergamo

Editrice: Iniziative Ascom S.p.a. via Borgo Palazzo 137,

In redazione: Laura Bernardi Locatelli, Roberta Martinelli

Direttore responsabile: Oscar Fusini

Direzione e Redazione: Iniziative Ascom S.p.a. Via Borgo Palazzo 137, 24125 Bergamo tel. 035 4120322, fax 035 4120182, affaridigola@larassegna.it

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SOMMARIO

EDITORIALE


N

Riapriamo in sicurezza state in realtà fatali per un numero molto alto di imprese della ristorazione, che erano già in grave difficoltà per la lunga sosta e il black out di liquidità. Una su dieci non ha riaperto, ma temiamo che altre attività possano chiudere in corso d’anno per questa grave crisi. Ora la ripartenza richiede senso di responsabilità. Occorrono impegno per evitare incidenti che potrebbero danneggiare il singolo e l’intera comunità. Senza trascurare che il Decreto legge n. 33 del 16 maggio fissa sanzioni pesantissime per le violazioni: da 400 a 3.000 euro fino alla chiusura dell’attività da 5 a 30 giorni.

di Oscar Fusini*

on sminuiamo i rischi di questa ripartenza. Il virus è ancora tra noi e la pandemia potrebbe tornare ad espandersi, con danni ancor più catastrofici di quelli che abbia visto finora. Lo dice Ascom Confcommercio che, insieme alla Confederazione Nazionale e a Fipe, ha ottenuto la riapertura anticipata di bar e risporanti lo scorso 18 maggio. Ricordo infatti che nell’agenda del Governo e del suo Comitato scientifico la scadenza stabilita per il termine del lockdown era il 1 giugno e il risultato portato a casa è di grande rilievo. Due settimane, che potrebbero sembrare brevi, sarebbero

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La partita non deve giocarsi sulla repressione e sulle multe, ma sul buon senso. Ci tengo a precisarlo. Noi non abbiamo solo alzato la voce per riaprire prima della data prevista. Abbiamo lavorato sodo perché questo avvenisse nel rispetto della legge e delle prescrizioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Le nostre Associazioni avevano, nei giorni scorsi, già sottoposto al Ministero della Sanità i protocolli anti contagio realizzati grazie all’impegno degli imprenditori del settore con l’aiuto di esimi virologi, scienziati ed esperti. Avremmo voluto regole certe e uguali per tutte. Il virus è ugual nemico di tutti e la prevenzione avrebbe dovuto essere unica e coordinata. Non è andata così. Lo scontro tra Governo e Regioni ha visto invece lo spacchettamento delle linee guida in tante ordinanze regionali. Le regioni, prima, hanno comunicato un documento con le linee uniche, poi modificate nel nome “io sono più bravo degli altri”. In questo modo ad oggi ci sono molte regioni con protocolli diversi. Il risultato è una comunicazione confusa. Il problema non è solo questo. La spinta alla modifica ha finito per banalizzare in una paginetta le “cose da fare” per evitare il contagio. Giorni di lavoro delle Associazioni buttati via. Il messaggio che sta passando tra gli operatori è deleterio. Il rischio dell’imprenditore non va sottovalutato. C’è in tutti i settori. Alla tutela della salute del lavoratore si somma anche il rischio per la salute dei clienti. Stiamo parlando quindi di persone che potrebbero per sfortuna, casualità ed anche per incuria, ammalarsi, con conseguenze non semplici per il malcapitato datore di lavoro. Solo impostando un corretto piano di prevenzione basato su linee guida chiare, formazione degli addetti e sanificazioni è possibile affrontare questi rischi con la ragionevole certezza di aver fatto tutto quanto necessario per evitare che una persona si ammali in azienda. Le linee guida elaborate per i ristoranti e i bar da Fipe, quelle per gli alberghi confezionate da Federalberghi e quelle per il commercio realizzate dalle singole federazioni di Confcommercio - ricordo tra le più importanti quelle di FedermodaItalia - rappresentano un patrimonio di conoscenze tradotte in comportamenti e azioni realmente necessari al fine di contrastare il Covid. *direttore Ascom Confcommercio Bergamo

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È OBBLIGATORIO PROVARE LA TEMPERATURA PER CHI CONSUMA AL TAVOLO

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STAY HOME IF YOU HAVE A FEVER OR INFLUENTIAL SYMPTOMS

RESTA A CASA SE HAI LA FEBBRE O SINTOMI INFLUENZALI

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Il cartello è scaricabile dal sito www.ascombg.it

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LE REGOLE DA SEGUIRE

Le Associazioni di categoria tra cui Confcommercio, con tutte le sue Federazioni, hanno sottoscritto il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID – 19 negli ambienti di lavoro” del 24/04/2020. Il protocollo individua gli obblighi in capo al datore di lavoro per la prevenzione della diffusione del virus nella sua azienda.

Cosa deve fare l’imprenditore:

1. Prendere visione del protocollo citato.

2. Chiedere alla propria Associazione le linee guida o il protocollo per il proprio settore che stabilisce le buone pratiche. Le linee guida sintetizzano gli obblighi del protocollo per la tutela della salute dei dipendenti con le norme di legge a tutela del cliente. Per il settore ricettivo è valido il protocollo “Accoglienza Sicura” di Federalberghi, mentre per bar e ristoranti sono di riferimento le linee guida Fipe.

3. Leggere con attenzione le linee guida e tradurle in azioni e comportamenti da applicare nella propria azienda a cura del titolare e dei dipendenti.

4. Tradurre in azienda i diversi obblighi: a) informare dipendenti e clienti attraverso appositi cartelli sugli obblighi e i divieti (Ascom Confcommercio Bergamo li mette a disposizione e sono scaricabili dal sito www.ascombg.it); b) stabilire, ove necessario, le modalità di ingresso dei dipendenti, accesso dei fornitori, gestione delle fasi di entrata e uscita, spostamenti interni, riunioni eventi e formazione; c) assicurare pulizia e sanificazione in azienda ricordando che per la sanificazione non è obbligatorio l'intervento di un soggetto esterno ma può essere svolta dal titolare o dagli addetti con prodotti di cui si abbia certificazione (o etichetta), che siano di contrasto al Covid. È consigliato conservare la relativa fattura di acquisto; d) indicare le precauzioni igieniche personali; e) fornire ove necessario i dispositivi di protezione individuale; f) gestire gli spazi comuni in una logica di prevenzione del contagio; g) rivedere l’organizzazione aziendale con le turnazioni che favoriscano il distanziamento tra le persone; h) programmare la gestione di una persona sintomatica in azienda;

i) stabilire la sorveglianza sanitaria da parte del medico competente.

5. Predisporre il "Protocollo anti contagio" da esibire in caso di controlli.

6. Provvedere ad un costante aggiornamento del Protocollo e alla formazione del personale dipendente.

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Uova: un prodotto versatile dal potenziale davvero alto di Lara Abrati

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SONO FORSE TRA I PRODOTTI CHE NON POSSONO MANCARE NELLA DISPENSA DI UNA FAMIGLIA. LE UOVA SONO PER ECCELLENZA TRA LE MATERIE PRIME PIÙ VERSATILI DA UTILIZZARE. ECCO COME SI SCELGONO, MA SOPRATTUTTO, ALCUNI ESEMPI DI ALLEVAMENTO VIRTUOSO CON UNO SGUARDO AL FUTURO.

L

e uova sono una materia prima che non manca mai, sia nelle cucine domestiche che nei laboratori professionali, che siano ristoranti, gastronomie o pasticcerie. È un ingrediente importantissimo che sta alla base di molte produzioni dolci, ma anche salate. L’uovo in cucina è utilizzato per diversi motivi: dalla chiarificazione (che serve a eliminare le impurità) alla gelificazione, ma anche per il suo potere emulsionante e schiumogeno, importante nella realizzazione ad esempio di meringhe o mousse. Svolge un ruolo anche nell’adesione dei vari ingredienti nella preparazione ad esempio di polpettoni o gnocchi, ma anche della panature quando si frigge. Infine, se cosparso e spennellato su altri alimenti e sottoposto a calore rosola e regala una piacevole doratura. Anche usato tal quale regala molte soddisfazioni gastronomiche ed è parte importante ad esempio della cucina del riutilizzo: dalle frittate a cui possono essere aggiunte altre materie prime, fino alle omelette farcite o come legante nelle svariate e creative torte salate. L’uovo permette di giocare molto con la temperatura perché le proteine in esso contenute reagiscono in maniera molto netta e visibile alle diverse variazioni. È famosa l’affermazione “non sa nemmeno cucinare un uovo”, ma in realtà cucinare un uovo nella maniera corretta può diventare anche molto difficile. Considerando il metodo di cottura base, dove l’acqua è la mediazione, si parte dall’uovo sodo, cotto per circa 10 minuti in acqua bollente, dove l’albume non deve mai essere gommoso o asciutto e il tuorlo non deve presentare aloni verdastri, fino all’uovo barzotto, dove l’albume risulta completamente coagulato e il tuorlo è un poco liquido (dopo circa 3-4 minuti di cottura). Il top lo si raggiunge con l’uovo alla coque, cotto per circa 1-2 minuti per ottenere un uovo più o meno liquido in base ai propri gusti in cui intingere ad esempio un goloso stick di polenta croccante. L’uovo è nemico delle alte temperature, infatti se sono eccessive avvengono anche modificazioni a carico di proteine e zuccheri e l’albume assume un colore tendente al bruno caratterizzato anche dall’aroma di tostato.

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Con la cottura a bassa temperatura invece è possibile arrivare a risultati sempre più precisi e superare i tre step classici aggiungendo quindi numerosi stadi intermedi. Tutto ciò per dire che forse ci si approccia alla scelta dell’uovo in maniera moto approssimativa, badando troppo spesso al solo costo, senza tenere in considerazione che l’uovo che consumiamo è soprattutto il risultato di scelte effettuate a monte, da chi alleva le galline ovaiole e di cui abbiamo a disposizione molte più informazioni rispetto a ciò che potremmo pensare, basta saperle leggere e scegliere questo prodotto in modo sempre più consapevole.

COME SI SCELGONO LE UOVA

Sono molte le discussioni che in questi anni hanno animato il mondo dell’allevamento delle galline ovaiole che, spesso, avevano bassissimi standard rispetto al benessere animale. La normativa riguardante l’allevamento intensivo ha fatto alcuni passi in avanti, nonostante ci sia ancora molto da fare. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, sono davvero molte le informazioni che abbiamo a disposizione quando

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ci accingiamo ad acquistare le uova. Oltre a tutto ciò che è stampato sulla confezione che offre informazioni in merito alla dimensione, da valutare e guardare bene è la data di scadenza e, ove possibile, quella di deposizione, considerato che secondo la legge l’uovo è fresco fino a 28 giorni dalla deposizione. Questo è un parametro importante da valutare soprattutto per le preparazioni che necessitano dell’uovo crudo. Sul guscio sono stampate lettere e numeri che danno indicazioni precise in merito alla tipologia di allevamento e al luogo in cui sono state deposte. Il numero iniziale serve per determinare se le ovaiole son state allevate in gabbia (3) oppure da allevamento a terra (2), all’aperto (1) o da agricoltura biologica (0). A seguire vi è l’indicazione dello stato di produzione e i successivi tre numeri indicano il comune di deposizione, in base al codice Istat dei Comuni Italiani. E ancora, la sigla della provincia, la sigla dell’allevamento e la data di scadenza. Ma vi sono nuove nicchie di prodotto che stanno prendendo sempre più piede sia nella ristorazione e pasticceria di livello, che nel consumo domestico. Sono le uova prodotte da galline che vivono per davvero libere di razzolare in maniera naturale, magari in un grande appezzamento o addirittura nel bosco, che merita ulteriore approfondimento e conoscenza, entrando così anche nel magico e curioso mondo della biodiversità, sempre più da promuovere e tutelare.

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OGNI RAZZA HA IL SUO UOVO E LE NUOVE TENDENZE DI ALLEVAMENTO

L’azienda si trova nella vicina Valtellina, a Morbegno, in provincia di Sondrio. Le galline razzolano liberamente in uno spazio molto grande: un ettaro di bosco di Castagno, posto a circa 600 m.s.l.m. dove hanno la possibilità, vivendo libere, di comportarsi secondo natura: razzolare, farsi i bagni di sabbia e così via. Come per gli altri progetti, non si utilizza nessuna forzatura, così come non vengono utilizzati sistemi di illuminazione al fine di modificare il fotoperiodo e alterare il ciclo biologico quotidiano. Le galline vengono nutrite con granaglie, frutta e verdura tutte certificate biologiche. www.uovodiselva.it

UOVO DI SELVA, IL BOSCO COME POLLAIO

Le uova che è possibile trovare comunemente in Italia sono quelle con il guscio di colore marroncino, anche se di diversa intensità. Non tutti sanno che il colore del guscio dipende dalla razza della gallina ovaiola che, negli allevamenti intensivi, è costituita spesso da ibridi che ben si adattano allo stare in gabbia e producano più uova possibile al fine di massimizzare la produzione. Nell’allevamento biologico vengono invece scelte razze cosiddette autoctone, che hanno caratteristiche proprie: tra le più conosciute la Livornese, la Padovana, La Romagnola, ma anche razze ancora più rare come la bianca di Saluzzo (Presidio Slow Food) o la millefiori di Lonigo. Razze spesso a duplice attitudine (carne e uova) oppure classificate come ornamentali; queste produrranno annualmente meno uova rispetto alle razze vocate. Ecco che si assiste quindi alla nascita di numerose aziende che si stanno dedicando alla produzione di uova andando oltre la legislazione che regola la produzione biologica, regalando ai propri animali spazi adeguati per vivere e muoversi, per razzolare, per fare i bagni di sabbia, per deporre e dormire, talvolta scegliendo razze specifiche oppure allevando razze tra le più disparate, che richiedono attenzioni e cure talvolta diverse. Si avranno quindi uova dal guscio di colori diversi: da quelli bianchi della Livornese alle uova azzurre della razza cilena Araucana, poi ci sono incroci come la Legbar che produce uova anch’esse azzurre e così via. In Italia sono moltissime le esperienze di allevatori che hanno scelto questa strada, producendo uova uniche e di altissima qualità. Tanti sono ancora gli amatori, alcuni invece hanno deciso di scommettere sulle ovaiole e ne hanno fatto un vero e proprio mestiere. Eccone alcuni esempi.

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A LAZISE, VICINO AL LAGO DI GARDA, NASCE THE GARDA EGG CO.

“L’azienda è molto giovane ed è nata poco più di un anno fa vicino al lago di Garda” racconta Federica Bin, fondatrice di questo progetto ambizioso. Aveva a disposizione il luogo ideale per allevare galline in modo naturale ed estensivo e, dopo aver scoperto le uova colorate, inizia ad informarsi per bene e ad approcciarsi a questa tipologia di allevamento virtuoso: in grandi spazi con il solo utilizzo di granaglie biologiche certificate. “Dopo aver acquistato una decina di galline – racconta ancora Federica – e iniziato i primi test, oggi l’azienda ha raggiunto le 100 galline e a breve arriverà a quota 500 dotandosi di nuove strutture”. Il colore dei gusci ha colori e sfumature diverse. Ogni tipologia ha anche caratteristiche proprie differenti, rendendo ogni uovo più adatto a particolari lavorazioni e cotture. Le razze allevate provengono un po’ da tutto il mondo: dalla Livornese all’Olive Egger, fino alla Marans e molte altre ancora. Le uova sono vendute in botteghe specializzate e ogni confezione ne contiene di diverse, secondo disponibilità. www.thegardaeggco.bio

LE SELVAGGE: UN PROGETTO APPENA NATO

Con questo progetto si torna in terra orobica, in particolare nei boschi di Lonno, dove Marco Rossi e Alessandro Carrara hanno intrapreso questa nuova avventura con le loro galline di razza Livornese. Oltre due anni di lavoro al progetto hanno portato a dare vita alla loro produzione di uova proprio lo scorso febbraio. Un progetto davvero innovativo che rispetta il naturale comportamento delle loro galline. “Abbiamo iniziato ad allevare circa 1000 galline libere di razzolare nel sottobosco, tra faggi, castagni, robinie e pini, beandosi della ricchezza che la terra generosamente offre loro” raccontano i fondatori. Hanno inoltre applicato l’innovazione tecnologica per monitorare lo stato di salute delle singole galline, con

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un sistema di rilevazione costante di alcuni parametri ambientali, comportamentali e fisiologici al fine di tutelare il loro benessere e l’altissima qualità delle loro uova. www.leselvagge.it

DA MURATORE A ALLEVATORE: L’ESPERIENZA DI DARIO CARMINATI

Per verificare la freschezza di un uovo basta metterlo in un bicchiere con dell’acqua salata: se galleggia è da buttare. Questo perché man mano che passa il tempo, la camera di aria interna aumenta favorendone il galleggiamento.

Prima di utilizzarle, è bene lavare il guscio con un po’ di acqua e amuchina. Questa operazione va fatta solo appena prima dell’utilizzo.

Se si ripongono in frigorifero è meglio metterle a “testa in giù” e sul ripiano più alto.

Le uova vanno conservate lontane da insalate, verdure e altri prodotti consumabili senza cottura per evitare contaminazioni e salmonellosi.

CONSIGLI SULL’UTILIZZO E LA CONSERVAZIONE

Una vita dedicata all’edilizia, come molte persone delle valli bergamasche. Questo è ormai il passato di Dario Carminati che, una volta iniziata la crisi del settore in cui operava, ha deciso di ripristinare il vecchio pollaio di famiglia iniziando così ad allevare galline al fine di integrare il reddito. “Ho aperto l’azienda il 25 aprile del 2017 e oggi allevo circa 300 galline che riproduco nell’allevamento” racconta Dario; un’esperienza giovane anche la sua, che sta dando grandi soddisfazioni. Sin dall’inizio Dario si è dedicato solo alla produzione e commercializzazione di uova, allevando le galline libere di razzolare e muoversi, con il pollaio a riparo per la sola notte. L’azienda agricola Val di Piazza si trova a Corna Imagna e vende le sue uova direttamente: in azienda, a domicilio, tutti i sabati ai vari mercati agricoli organizzati in provincia. Facebook: Azienda avicola Val di Piazza

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Non c’è un solo modo per rompere l’uovo, ma meglio batterlo su una superficie piana e poi aprirlo facendo leva con il pollice. Questo evita la creazione di troppi frammenti di guscio e, nel caso di ricette che ne prevedono l’utilizzo fresco, limita il rischio di contaminazione.

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UNA RICETTA GOLOSISSIMA: LE UOVA IN PURGATORIO

Una preparazione molto facile e poco costosa, da accompagnare con abbondanti dosi di pane e che piacerà sicuramente a tutti. Sono le uova in purgatorio, una ricetta che trova le sue origini nella cucina partenopea e che prevede l’utilizzo di due ingredienti principali: le uova e la salsa di pomodoro. Un secondo piatto che può essere considerato un vero e proprio comfort food, da preparare in poco più di mezz’ora. Leggende raccontano che il loro nome derivi dal fatto che l’albume, di colore bianco a rappresentare l’anima, venga attaccato dal rosso del fuoco, a rappresentare l’inferno. Una ricetta leggera facilmente soggetta a diverse variabili e aggiunte: con peperoni, salsiccia, salamino piccante, piselli oppure della mozzarella filante. Si parte con la preparazione della salsa a partire da un soffritto a base di cipolla tagliata fine, aglio a spicchi (da eliminare prima dell’aggiunta delle uova) e olio extra vergine di oliva. Una volta appassita la cipolla, aggiungere la passata o i pomodori pelati, facendoli quindi cuocere per almeno 20 minuti. Regolare di sale e aggiungere spezie a piacere, come pepe nero macinato al momento, peperoncino, origano o basilico. Una volta che la salsa si sarà leggermente ristretta, creare dei piccoli spazi con il cucchiaio e rompere delicatamente l’uovo concentrando albume e tuorlo nelle piccole conche. Il tuorlo deve rimanere rigorosamente integro. Coprire quindi con un coperchio e proseguire la cottura per alcuni minuti, fino a che l’albume risulta rassodato e di colore bianco. In base ai propri gusti, è possibile decidere quanto prolungare la cottura per avere un tuorlo più o meno crudo. Quindi servire e accompagnare con crostoni croccanti. In alternativa alla padella, è possibile preparare questa ricetta al forno: dopo aver preparato la salsa, la si mette in piccole cocotte e si rompe l’uovo. Infornare a 220°C per almeno 20 minuti. Il vero segreto nella buona riuscita della ricetta sta nel preparare una salsa gustosa e saporita e nel non far cuocere troppo l’uovo, che è possibile mangiare direttamente facendo la scarpetta.

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del “salam de la bergamasca”, promosso dai nove principali produttori ed evoluzione di quello formalizzato nel 1997 con il marchio “Bergamo città dei mille sapori”. Dopo lunga trafila burocratica- e qualche polemica e tensione- la Regione ha espresso parere favorevole all'Igp, che è stata inviata – l'ultima volta nel 2014- al Ministero delle Politiche Agricole. “Da un anno e mezzo non abbiamo risposte da Romaallarga le braccia Luca Chiesa, amministratore delegato del Salumificio Ibs e presidente della cordata di imprenditori che ha fondato l'Associazione salame bergamasco-. Siamo all'ultimo miglio, ma non riusciamo ad arrivare al traguardo”. Nonostante l'Igp sia arenata al Ministero, dal 2006 a oggi, non si è mai smesso di produrre salame seguendo il disciplinare: “Seguiamo da più di un decennio la logica dell'Igp, senza tuttavia avere il marchio- continua Chiesa-. Tutta la produzione è controllata da un istituto nominato dalla Camera di Commercio. Ma, come tutti i riconoscimenti, l'Igp aggiungerebbe valore al prodotto, anche agli occhi del consumatore, e a tutta la filiera che ha messo da parte sin

di Laura Bernardi Locatelli

Bergamo ha il suo salame tipico Igp all'ultimo miglio

L e origini sono molto antiche e affondano le proprie radici nelle giornate di freddo e nebbia, a cavallo tra autunno e inverno, nei cortili dei casali. Simbolo della gastronomia locale, il salame, nel secondo dopoguerra veniva utilizzato anche come mezzo formale di pagamento. E la cantina era un vero e proprio salvadanaio per le famiglie, oltre che il luogo in cui custodire una fonte insostituibile di grassi e proteine che doveva durare tutto l'anno, a partire dalla primavera. Il prodotto è legato alle particolarità climatiche della nostra provincia, dove la forte umidità ha impedito lo sviluppo di altri salumi. La peculiarità del salame bergamasco è infatti di utilizzare tutte le parti del maiale, anche quelle più nobili che altrove sono utilizzate per i prosciutti, le coppe o i culatelli e di essere stagionato a lungo, anche oltre i tre mesi. Un'ulteriore caratteristica è di provenire da un suino “pesante”, oltre i 160 chili, alimentato esclusivamente con i cereali facilmente coltivati nella zona, come il mais. Nel 2007 è stato avviato un progetto per il riconoscimento dell'Igp, con il disciplinare di produzione

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dall'inizio per il bene dell'associazione interessi particolari”. Per questo l'ultimo atto dell'associazione è stato quello di rinviare tutta la documentazione in Regione, per cercare di sbloccare la situazione. “Un passo necessario per uscire dall'impasse”. In attesa che da Roma arrivi la fumata bianca per proseguire poi il viaggio fino a Bruxelles.

A BERGAMO L'ASSOCIAZIONE PIÙ RAPPRESENTATIVA D'ITALIA DEI NORCINI

I norcini bergamaschi mantengono saldo il rapporto con la tradizione. È insostituibile il loro apporto nella lavorazione artigianale dei circa 5mila suini che ogni anno si macellano ancora nelle nostre cascine. “Una tradizione che resiste nonostante il calo, complice la riduzione degli allevamenti, sia stato progressivo e anno dopo anno il numero si sia quasi dimezzato rispetto a dieci anni fa” come spiega Gualtiero Borella, veterinario Ats, tra i fondatori dell'Associazione dei norcini bergamaschi, che festeggia quest'anno il decimo compleanno. Francesco Pasinetti Con oltre 900 soci è la più rappresentativa in Italia, che conta in tutto 1200 artigiani dei salumi. Grazie alla scuola di norcineria e ai corsi, in questi anni l'esercito di appassionati è cresciuto in modo esponenziale e abbraccia diverse categorie e professioni, dal medico all'operaio, dal giovane all'appassionato e conta sempre più donne. Le logiche della passione e della tradizione non seguono quelle produttive e i norcini vanno ben oltre il disciplinare, utilizzando suini che superano nella maggior parte dei casi i 200 chili, rispettando la tradizione contadina delle “due lune d'agosto” e allevati nella Bergamasca. L'arte della norcineria, che risale al Medioevo, parte dalla valutazione delle carni, oltre che delle condizioni climatiche : “Ogni animale ha le sue caratteristiche, peculiarità che vanno gestite per creare un buon salame, dalla selezione dei grassi alla macinatura per l'impasto- spiega Francesco Pasinetti, presidente dell'Associazione, nonché allevatore, grazie alla passione ereditata dal nonno Alessandro-. La cifra distintiva di ogni norcino è il mix di spezie utilizzate, che ognuno personalizza”. All'insacco e legatura segue l'asciugatura, fondamentale per un buon prodotto: “La prima settimana è decisiva: l'acidificazione, controllabile anche con phmetro, dà il là alla trasformazione dell'insaccato in salume- continua-. Poi la stagionatura fa la sua parte”. E per gli appassionati la media è di due mesi e oltre di cantina.

ONAS LE CARATTERISTICHE DEL SALAME PERFETTO I DIFETTI CHE LA DEGUSTAZIONE NON PERDONA

“La Bergamasca è particolarmente vocata per la produzione di salame- sottolinea Ugo Bonazza, referente Onas Lombardia, l'organizzazione italiana degli assaggiatori di salumi-. La tradizione del territorio è secolare, anche perché era l'unico modo per conservare le carni per tutto l'anno”. Un buon salame si riconosce a prima vista: “Si parte dal salame intero, controllando le muffe esterne, che devono essere bianche o grigio chiaro e mai nere. Non vi devono essere macchie evidenti, né colorazioni anomale”. Arriva poi la resa dei conti, con la prima fetta: “Si taglia l'estremità e si verifica la pelabilità del salame: se è buona, il budello non deve attaccarsi alla carne. È molto comune che la parte più esterna dell'insaccato si disidrati eccessivamente, mentre la parte interna resta molle e di colore più chiaro”. Poi si elimina la “buccia” per non trascinare muffe all'interno e si affetta. E ci si affida allo sguardo: “Il colore deve essere omogeneo, non deve essere mai più scuro all'esterno. Il grasso deve essere ben distribuito e omogeneo, oltre ad avere una certa consistenza. La fetta non deve sbriciolarsi ma nemmeno essere troppo consistente. Non vi devono essere buchi, difetto dovuto alla presenza d'aria, che possono portare a colonie di muffe o fenomeni di irrancidimento”. Prima dell'assaggio vero e proprio, al naso devono arrivare sentori di aglio, pepe nero, cannella, noce moscata, macis e altre spezie. “Non si devono mai percepire odori pungenti, sentori di aceto o rancido. Al gusto vi deve essere un equilibrio perfetto tra dolce, acido, salato. Quest'ultimo non deve prevalere. A livello aromatico Ugo Bonazza si devono ritrovare nel gusto i sapori percepiti al naso, in una perfetta armonia tra olfatto e gusto”. Si valuta poi la masticabilità e la solubilità fondamentali perché come si suol dire “si sciolga in bocca”.

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PROGETTO COVID-19

Enti Bilaterali al fianco di imprese e lavoratori

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14 maggio-giugno 2020

CAMPANA: "SI PARTE DALL'ALLEVAMENTO, CON L'ATTENZIONE AL BENESSERE ANIMALE"

Difficile- se non impossibile- trovare un allevatore che confessi di non volerne sapere di macellazione, figuriamoci delle “sue” bestie. Roberto Campana Roberto Campana, figlio di un allevatore di galline e maiali, ha seguito sin da bambino le orme di papà Lino, tanto da riprenderne l'attività, interrotta con la sua scomparsa nel 2000, a dieci anni di distanza, nel 2010. Nell'allevamento di Mornico al Serio il benessere animale è al primo posto e ci si affida il più possibile alla natura. Gli antibiotici sono messi al bando e i circa 150 maiali di razza Goland, che nascono in cascina (con monta naturale dei due verri) vengono vaccinati nei primi giorni di vita e seguono dopo lo svezzamento dalle scrofe, un'alimentazione naturale, con mais, frumento e orzo coltivati direttamente nei campi vicini. Nelle stalle e box ogni animale può contare su uno spazio di tre metri quadri e su covoni di paglia. Non viene praticato nessun taglio del codino, a differenza degli allevamenti intensivi, e d'estate non vengono usati ventilatori. I maiali vengono macellati raggiunti i 250-260 chili, ad un'età che va dai 18 ai 20 mesi. Ogni anno l'azienda fornisce ad altri norcini e appassionati grazie al passa-parola, circa 250 maiali.

GIUSEPPE OBERTI, IL MACELLAIONORCINO, MAESTRO ASSAGGIATORE CHE FA INCETTA DI PREMI

In paese, a Grone, quando portava i calzoni corti, lo chiamavano il “ragazzino dai mille mestieri”. Giuseppe Oberti, macellaio e vicepresidente del Gruppo Macellai Ascom Confcommercio Bergamo, ha iniziato a fare il norcino a dodici anni, rubando con gli occhi il mestiere a Giosuè Volpi. Figlio di un contadino

Giuseppe Oberti

• Tracciabilità del prodotto

• Stagionatura di almeno 40 giorni

• Le misure del “salam”: forma cilindrica con diametro superiore a 7 cm, peso minimo di 1 kg all'insacco, lunghezza minima 25 cm

• Legatura a mano con spago di lino o canapa

• Vino Valcalepio Dop nell'impasto

• Macina grossa (7-8 mm)

• I tagli di carne sono per il 72-82% magri (coscia, spalla, coppa) e per il 18-28% grassi (sottogola o pancettone)

• I suini devono rispondere alle caratteristiche del prosciutto di Parma (almeno 160 chili di peso)

IL DISCIPLINARE DEL SALAME BERGAMASCO IN PILLOLE

che in Francia aveva trovato fortuna come ristoratore per poi tornare in paese e comprare un grande appezzamento di terra e crescere sette figli, ha respirato sin dalla primissima infanzia il mestiere del copasunì. “In casa l'uccisione del maiale era un momento di festa e socializzazione e noi bimbi stavamo a casa da scuola per assistere all'arte del norcino, che arrivava a piedi o in bici con la cassetta di legno per mischiare la pasta di salame e un sacco pesante, pieno di attrezzi”. Per anni Giuseppe Oberti ha girato le cascine per preparare il salame secondo tradizione, prima di trovare l'occasione, nel 1979, di diventare imprenditore, ritirando da Giovan Battista Consoli la macelleria storica del paese, che ha sede in una torre del Quattrocento. Ma non ha mai smesso di produrre il salame, con cui ha fatto incetta di premi in questi anni, e che stagiona nella sua cantina. “La selezione delle carni è fondamentale e io uso la parte nobile per produrre un salame di qualità- spiega-. Adopero spezie in canna, pepe nero, noce moscata, cannella, chiodi di garofano, che preparo e macino al momento, vino Valcalepio dei vicini Colli di San Fermo e impiego una dose davvero minima di salnitro”. Oltre a salami, Oberti produce pancette, coppe, culaccia e culatello e bresaola bovina. La macelleria, dove lo affianca la figlia Lara, è un vero e proprio punto di riferimento del centro storico, oltre che uno spazio sociale dove scambiare due chiacchiere davanti a un caffè.

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maggio-giugno 2020


L’INTERVISTA

Carlo Petrini:

"Ristoranti, siate alleati dell’economia locale"

maggio-giugno 2020

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a ristorazione sostenibile si realizza rafforzando l’economia locale”. Ne è convinto Carlo Petrini, per molti Carlin, gastronomo, sociologo, scrittore, attivista e fondatore di Slow Food. E chi, se non il patron del movimento internazionale da anni in prima linea per promuovere la qualità e l’eticità in tavola, potrebbe indicare la strada e le evoluzioni che ci attendono in cucina? L’interesse per il cibo non è mai stato così alto come oggi, ma Petrini punta il riflettore in profondità: “Ovunque, dalla tv alla radio fino ai giornali si vede e si parla solo di cibo ma se guardiamo al comparto agroalimentare, inteso come tutte quelle persone che davvero lavorano tutti i giorni per produrre il cibo che mangiamo, è tutt’altro che in salute. Ci siamo mai chiesti davvero quanto questi produttori vengano pagati, come vengono trattati dalle grandi multinazionali e quale rispetto tutti quanti abbiamo per agricoltori, casari, pescatori? A questo si aggiunge l’ipersfruttamento della nostra madre terra. Lo scopo è produrre sempre di più e pagare sempre meno i contadini”.

“L

di Roberta Martinelli

DALL’IMPEGNO PER DIFENDERE I CONTADINI AI MERCATI DELLA TERRA, IL PATRON DI SLOW FOOD RACCONTA LE CONTRADDIZIONI DEL CIBO E L’IMPORTANZA DI UTILIZZARE I PRODOTTI LOCALI

®Ezio Zigliani

Come influenzerà i trend alimentari l'attenzione per l'ambiente? Purtroppo non ho la sfera di cristallo, ma mi auguro vivamente che la influenzino! Questo in tutta la filiera sino ad arrivare all’imballaggio. Quindi avremmo più verdura e legumi e meno carne allevata in modo intensivo, più prodotti comprati sfusi nella bottega sotto casa. Cibo buono, pulito e giusto. Cosa significa? Sono i tre aggettivi che ci accompagnano ormai da più di 30 anni, che hanno connotato e continuano a connotare i nostri progetti, le iniziative, indicando la direzione in cui vogliamo andare. Buono dal punto di vista organolettico, pulito per l’ambiente e i territori e giusto per chi lo produce. A questi abbiamo recentemente aggiunto anche sano, sempre rispetto a chi lo consuma e chi lo produce. Contadini e terra sono state le grandi battaglie di Luigi Veronelli. Che ricordo ha di lui? Gino è stato un filosofo, un grande intellettuale, che, un po’ per gioco e un po’ per vocazione, ha dedicato la sua vita a raccontare la terra e il lavoro dei contadini. È stato un innovatore almeno in tre campi: l’impegno nella valorizzazione dei prodotti tipici, la diffusione della cultura gastronomica e la creazione di un linguaggio nuovo. È stato il primo a livello mondiale, a metà degli anni Sessanta, a creare un sistema di valutazioni in punteggi delle tante bottiglie che assaggiava. Aveva una visione umanistica dell’agricoltura: alla teoria produttivistica, che cercava di uniformare le differenze espresse dalla nostra viticoltura, Veronelli contrapponeva concetti come il valore del cru, della denominazione comunale, dell’artigianalità. A Bergamo ci sono prodotti che vanno difesi? In tutto il mondo troviamo prodotti da tutelare e da difendere e la Lombardia non è sicuramente da meno! In provincia di Bergamo possiamo menzionare i Presìdi dello Stracchino all’antica delle valli orobiche, la Capra orobica, il melone di Calvenzano, l’agrì di Valtorta. Quali sono le nuove ‘battaglie’ di Slow Food? Ci attendono mesi molto impegnativi sotto tanti punti di vista: in primis perché dall’8 al 12 ottobre abbiamo a Torino una nuova edizione di Terra Madre Salone del Gusto, l’evento biennale che riunisce migliaia di agricoltori, pescatori, casari e produttori di piccola scala da tutto il mondo. Un’occasione unica per confrontarsi e individuare insieme sfide e soluzioni per il futuro. In particolare quest’anno stravolgeremo l’idea della manifestazione come l’avete sempre conosciuta, ma per ora non vi svelo di più. Accanto all’evento, continuano le nostre battaglie quotidiane. Ad esempio abbiamo appena rilanciato un’iniziativa dei cittadini europei per tutelare le api. E poi ovviamente ci sono le iniziative che la nostra rete in 160 Paesi porta avanti ogni giorno, dai Mercati della Terra agli eventi dedicati alla pesca sostenibile, fino a quelli organizzati dalla rete indigena. Insomma, è un mondo in continuo movimento e in continua evoluzione, diciamo pure che i progetti e le idee non ci mancano!

CIBO BUONO, PULITO E GIUSTO. SONO I TRE AGGETTIVI CHE CI ACCOMPAGNANO ORMAI DA PIÙ DI 30 ANNI. BUONO DAL PUNTO DI VISTA ORGANOLETTICO, PULITO PER L’AMBIENTE E I TERRITORI E GIUSTO PER CHI LO PRODUCE

Cosa significa difendere la qualità alimentare oggi? Ecco, difendere la qualità significa proprio scendere in campo per difendere i diritti dei produttori che in tutto il mondo non solo fanno sì che noi troviamo i prodotti che desideriamo, ma che tutelano ecosistemi, ambienti, vallate, fiumi, mari da inquinamento, sovraproduzione e si battono per mantenere un equilibrio, producendo cibi sani, senza pesticidi, che siano buoni al palato e buoni per la salute. Movimenti come quello di Greta possono cambiare le cose? Il futuro dell’agricoltura può essere sicuramente roseo se tutti ci impegniamo e cerchiamo di influenzare il mercato con le nostre scelte. Dobbiamo indirizzare il consumo verso un’altra direzione, verso quei modi di produzione, distribuzione e trasformazione che rispettino l’ambiente. Naturalmente anche la politica deve intervenire al più presto con provvedimenti incisivi a tutela dell’ambiente, del commercio. Deve sapere anche ascoltare. Non può trascurare movimenti come i ragazzi del Fridays for Future, perché sono i giovani ad avere le chiavi del nostro futuro e vogliono davvero far sentire la propria voce per invertire la rotta. Sono preparati, non si limitano a protestare, ma sono propositivi, a cominciare dal loro stile di vita. Perché sono davvero coscienti del fatto che se continuiamo così non ci sarà nessun pianeta per loro nel 2050. Cosa pensa della gastronomia italiana? E della ristorazione? Noi di Slow Food da sempre puntiamo sull’educazione dei consumatori e da sempre sosteniamo quanto i cuochi abbiano un ruolo fondamentale nel diffondere la cultura di un cibo buono, pulito e giusto. Hanno la possibilità di raccontare al cliente da dove vengono i prodotti e le storie di chi produce la materia prima che loro trasformano, possono farsi promotori di un’economia locale. Ecco perché nel 1999 abbiamo dato vita all’Alleanza Slow Food dei cuochi, una rete che si impegna a inserire in menù piatti creati con i Presìdi Slow Food e promuovere prodotti e ricette locali. Come si realizza una ristorazione sostenibile? Sicuramente rafforzando l’economia locale. Abbiamo appena presentato uno studio che confronta le emissioni di CO2 di un ristorante convenzionale e uno che utilizza prodotti locali, di stagione e a basso impatto. I risultati sono sorprendenti! L’impatto di chi fa scelte sostenibili in cucina e in sala è inferiore del 50% rispetto a quello di chi fa ristorazione in maniera “convenzionale”. L’altro passaggio è di evitare gli sprechi. Come consumatori cosa possiamo fare per contrastare la crisi climatica e avere un futuro migliore? Beh, innanzitutto fare la spesa in modo consapevole, per noi consumatori (o coproduttori, come ci piace chiamarci), parte tutto di lì! Niente fragole a gennaio, niente arance ad agosto, niente alimenti che devono fare chilometri prima di atterrare sul nostro tavolo o che hanno distrutto l’ambiente dove vengono allevati o coltivati, come ad esempio i gamberetti!

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maggio-giugno 2020


di Lara Abrati

CINQUE CUOCHI BERGAMASCHI RIVIVONO, NEL LORO DOLCE DEL CUORE, SAPORI E PROFUMI D’INFANZIA

I dolci dei ricordi

18 maggio-giugno 2020

l fatto che ognuno di noi sia la somma delle proprie esperienze è un assunto per molti scontato. Soprattutto

se si tratta di stimoli sensoriali che inconsciamente si sono impressi nella memoria. La cucina svolge un

ruolo importante in questo, infatti è facile scoprire che ogni persona possiede un proprio dolce del cuore,

spesso un ricordo di infanzia. Il processo creativo di molti cuochi di ultima generazione passa proprio da qui:

dall’esperienza vissuta, dal ritorno alle proprie origini e la successiva re-interpretazione di suggestioni soggettive. I dolci

I

assumono un ruolo importante soprattutto nel periodo dell’infanzia: dal dolce quotidiano immancabile al momento

della merenda, ai dolci casalinghi preparati per le ricorrenze. Anche al ristorante, dulcis in fundo, si lascia sempre un

posticino per qualcosa di importante e speciale, a chiudere l’esperienza gustativa. È l’ultima portata, quella decisiva

nella formulazione di un’opinione e di un giudizio rispetto a quanto mangiato.

Il dolce rappresenta lo sfizio, il peccato di gola a cui non si vuole rinunciare. Quella portata che fa tornare un po’

bambini, che coccola. Anche i professionisti della ristorazione sono stati bambini; ecco alcuni dei loro dolci del cuore

La giovane chef è titolare con Alan Foglieni del ristorante One Love; si occupa del servizio in sala e in particolare dei dessert. “Io sono nata in Albania – racconta Nafi – e ho vissuto i miei primi anni di vita in un contesto molto diverso da quello attuale. Vivevo in mezzo alla natura, con tutti i miei parenti. Tutto ciò che finiva sule nostre tavole era prodotto da noi”. E poi, l’arrivo in Italia, la mamma che inizia a lavorare in un ristorante e lei, che casualmente sceglie questo percorso mettendo in rilievo poi la sua vocazione. “Il dolce che tutt’ora viene preparato dalla mia famiglia è il baklava, una delle poche ricette dolci tradizionali, infatti in Albania non c’è una vera cultura dei dessert come in Italia – spiega Nafi –. Si prepara nelle occasioni di festa perché considerato di buon auspicio”. Un dolce molto lungo e complesso da preparare formato da tanti strati di pasta sfoglia e burro (una sorta di pasta fillo), alternati da noci tritate e zucchero, il tutto poi ricoperto di sciroppo e cotto a lungo in forno. “Una ricetta molto dolce, che richiede molto tempo per la sua preparazione e che era uno dei pochissimi dolci preparati in famiglia e solo per importanti ricorrenze” racconta infine Nafi.

NAFI DIDZARI: "IL BAKLAVA È IL RICORDO PIÙ DOLCE"

che, in un certo senso, hanno contribuito a stimolare la loro creatività e a renderli ciò che oggi sono.

FILIPPO CAMMARATA: "LA MAGIA DELLA GRANITA DI MAMMA"

Un vero amante del buon cibo e, ammette, anche dei gelati lo chef e socio del nuovissimo ristorante Bolle. Filippo Cammarata è un ragazzo dalle origini siciliane, ma nato a Bergamo, che ogni estate durante la sua infanzia passava i mesi di vacanza a Castelvetrano (in provincia di Trapani), paese di origine dei genitori. “Ricordo che durante il periodo passato dai miei nonni in Sicilia – racconta Filippo – a tutte le ore del giorno passava il gelataio che aveva delle strepitose brioches con la granita al limone, preparata con pochi ingredienti: succo di limone, acqua e zucchero”. Per chi non la conoscesse, la granita siciliana è qualcosa di diametralmente opposto a ciò che si può trovare a Bergamo; una crema ghiacciata ben amalgamata che spesso si mangia nella brioche: piccoli panini dolci e molto morbidi tagliati e farciti. “Quando ho voglia di mangiare una buona granita chiedo a mia madre di prepararmela, io sono troppo tecnico e non sarebbe la stessa cosa. Mi perderei la magia della mano casalinga. – racconta ancora Filippo – Io al massimo la aiuto a fare i panini”. Questo dolce non è mai stato in carta al ristorante “ma verrà proposto in un contesto particolare, che svelerò presto” racconta infine Filippo.

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maggio-giugno 2020


FEDERICO COLOMBINI: "LA TORTA DI RISO DELLA NONNA HA ISPIRATO DUE PIATTI"

TOMMASO SPAGNOLO: "QUELLE MERENDE CON LA TORTA DI MELE"

Sardo nel cuore e per l’origine della sua famiglia, Stefano Zanda è in realtà nato a Bergamo e attualmente è proprietario (insieme alla compagna) e cuoco del Burro ristorante di Alzano Lombardo. Nella sua cucina si percepisce in maniera chiara la sua dedizione alla tradizione della sua terra d’origine, la Sardegna, che come molti figli di emigrati, ha frequentato durante ogni vacanza estiva. Lui racconta di un dolce preparato dalla sorella maggiore Silvia “una zuppa inglese che preparava in casa principalmente in occasione delle feste, con una ricetta leggermente modificata: con Alkermes e i pistoccus”. Questi ultimi sono dei savoiardi di origine sarda, molto simili agli originali, ma con l’aggiunta di zucchero in superficie. “Essendo molto più grande di me, quando uscì di casa non l’ho mai più mangiata e, soprattutto, non l’ho mai provata a rifare a casa e nemmeno al ristorante perché ho il terrore di rovinare questo bellissimo ricordo” racconta ancora Stefano. Ovvio che di zuppe inglesi Stefano ne ha preparate a più non posso, ma mai nella versione del ricordo, dedicata totalmente alla sorella Silvia.

STEFANO ZANDA: "LA ZUPPA INGLESE DI MIA SORELLA È INSUPERABILE"

Un dolce che Federico Colombini, chef del Rustikal di Sorisole, ricorda in modo molto lucido e convinto. “Ricordo quando c’era il pentolone sul fuoco e, con il cucchiaio, rubavo assaggi del dolce in cottura” racconta Federico. Un dolce preparato dalla nonna a base di riso bollito nel latte con l’aggiunta di zucchero e cannella. “Praticamente era una zuppa asciutta di riso e latte – spiega ancora Federico – a cui mia nonna aggiungeva le uova e successivamente veniva infornata. Il risultato era una torta molto compatta e a tratti stopposa e ben caramellata all’esterno che mangiavo a cubetti intingendola nella panna montata. Da questo dolce sono nati due dolci serviti al ristorante. “Uno è molto simile alla torta di mia nonna, - racconta ancora Federico – ma dal risultato più morbido, visto che non stracuocio il riso e lo manteco con il burro. La scotto leggermente e la servo con un crumble di noci e nocciole e del gelato al latte di capra: che mi ricorda la panna e l’odore della stalla e del fieno”. L’altro è invece un dolce al cucchiaio, il risotto e latte al Vermouth, impiattato proprio come un risotto, “mi riporta a quando toglievo la torta di riso dal pentolone in cottura” ricorda infine lo chef.

Il ricordo della torta di mele della nonna, che per Tommaso Spagnolo, chef e proprietario del NOI restaurant, scandiva il tempo della merenda. “Il suo profumo inebriante, che inondava la casa, è per me indimenticabile; – racconta Tommaso ricordo che all’epoca rimasi stupito del fatto che tra i segreti di questa ricetta, la nonna aggiungeva sempre un pizzico abbondante di sale nell’impasto. Non oserei mai, perché sarebbe totalmente privo di senso, cercare di replicare quel dolce, ma il bel ricordo di quella sensazione è stato un ottimo spunto, oggi, per elaborare un dessert che avesse la mela renetta come protagonista”. Oggi, insieme a Gabriele Rossi e Andrea Rota, Tommaso è riuscito a condensare le sue emozioni in un suo dessert, la torta di mele renette, crema cotta e caramello salato. Quattro strati di forma circolare: una pasta frolla bretone, la crema cotta alla vaniglia, a seguire un cremoso al caramello e un disco di mela renetta cruda marinata. Servita con caramello liquido, una scaglia di sale maldon, yogurt greco al naturale e uno spicchio di mela renetta caramellato al momento.

20 maggio-giugno 2020

Dulcis in fundo

8 CONSIGLI PER CREARE UNA PERFETTA CARTA DEI DESSERT AL RISTORANTE

A

La carta dei dessert deve prevedere 5/6 referenze (non di più, non di meno)

La proposta dei dolci deve garantire varietà. Non devono mancare:

7

5

4

Il titolo del dolce e la descrizione devono trasmettere emozioni

I

VIN

8

Evidenziare i vini consigliati

In linea devono sempre essere presenti come variazioni costanti: frutta fresca e gelato, ma non vanno esplicitati in carta.

Non allineare i prezzi dei dolci in colonna, metterli alla fine della spiegazione del dolce ed eliminare il simbolo della valuta

6

Mettere in evidenza i dolci raccomandati dal locale

SPECIALITÀ

nche dopo un pranzo sostanzioso è difficile che i clienti resistano ad una allettante proposta di dolci, soprattutto se il cameriere porta al tavolo un menù dedicato, ben fatto, curato nel dettaglio e soprattutto con una varietà di proposte ben concepita. E non importa se nella vostra cucina non c’è un pasticciere super qualificato, la regola vale sempre, anche se acquistate i prodotti dolci fuori casa. Abbiamo parlato con Giacomo Pini di GP Studios ed ecco i suggerimenti per una perfetta carta dei dolci.

1 2

• 1 dolce al cucchiaio

• 1 dolce semisecco (frolla, torta della nonna) • 1 dolce best seller nei trend nazionali (tiramisù) • 1 dolce al cioccolato • 1 dolce a base frutta • 1 dolce vegano • 1 dolce per intolleranti al lattosio

Proporre l’abbinamento con caffè o tè speciali

Non dovendo superare le sei proposte, alcune tipologie di dolci vanno raggruppate (ad esempio il dolce vegano è già naturalmente privo di lattosio, il tiramisù è già un dolce al cucchiaio).

3

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maggio-giugno 2020


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22 maggio-giugno 2020

TRADIZIONI

ricettario del Cocho Bergamasco, nel periodo a cavallo tra XVII e XVIII secolo, evidenzia come nella nostra città le ricette fossero state profondamente rielaborate. In particolare nel ripieno dei fiadoni, pur mantenendo una chiara intonazione dolce e l’utilizzo di materie prime casearie, si aggiungevano biete tritate e pistacchi pestati, mentre nella farcitura delle offelle il formaggio era rimpiazzato da mandorle e pinoli. Potrà invece destare sorpresa apprendere che tra la fine del medioevo e gli albori dell’età moderna i casoncelli, per i quali Bergamo ha fama, non fossero dei tortelli di carne come li conosciamo oggi, bensì dei dolcetti ripieni di marzapane, pere e scorza candita di cedro. Per quanto singolare possa apparire, le paste ripiene cominciarono ad assumere la loro morfologia attuale proprio in quel periodo storico, allorché si iniziò a sottoporre a cottura per ebollizione dei fagottini che precedentemente venivano fritti o infornati. E molti di questi avevano una chiara nota zuccherina, della quale oggi si serba ancora traccia nei tortelli cremaschi e, con modalità un po’ più criptiche, anche nei casonsèi di casa nostra.

di Leonardo Bloch

Quando i casoncelli erano dolcetti ripieni di marzapane, pere e canditi

S

e oggigiorno le dolci tentazioni che si offrono a Bergamo portano il nome di torta Donizetti o di polenta e osei, il viaggiatore goloso che cinque secoli fa si trovasse a passare dalle parti della torre del Gombito doveva invece scegliere tra fiadù, ofèle e casonsèi. Dei tre dolciumi scrive il poeta cinquecentesco Giovanni Bressani in un componimento vernacolare, lasciando intendere che all’epoca fossero questi i cavalli di battaglia della pasticceria bergamasca. Fiadoni ed offelle non erano certo una tipicità locale, ed oggi verrebbero classificati come dei mini-cheesecakes. I primi, che nel medioevo avevano una diffusione paneuropea, erano dei panzerotti ripieni di formaggio grasso zuccherato e speziato. Le offelle recavano invece impresso un più chiaro marchio lombardo e segnatamente milanese (ofelée nel vernacolo meneghino designa il pasticcere), e dai fiadoni si distinguevano principalmente per l’utilizzo della pasta sfoglia nella confezione dell’involucro. Per quanto si trattasse di preparazioni di fatto forestiere, il

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maggio-giugno 2020


di Marco Offredi

Food pairing,

V

Oltre alle serate di food pairing nei ristoranti, memorabile quella andata scena alla

IL CLAN DI BERGAMO

un valore aggiunto. I palati più tradizionalisti sono avvisati: non è un discorso di cucina fusion o fornelli sofisticati. Anzi: anche un bollito, una cassuola, una pecora bergamasca o un maccherone possono «sposarsi» con un distillato come il whisky, inedito armonizzatore di sapori. L'obiettivo non è solo quello di trovare gli abbinamenti giusti, ma anche di creare una partita in cui food e whisky si esaltano a vicenda tirando fuori l'uno dall'altro sfumature inattese. Via libera quindi a whisky con pesce di lago, formaggi, selvaggina: abbinamenti che aprono a nuovi orizzonti di sapori, con le note fruttate o affumicate degli whisky che offrono un’esperienza di degustazione davvero particolare.

la sfida del whisky a tavola ANCHE IN ITALIA SI STA DIFFONDENDO L’ARTE ANGLOSASSONE DI ABBINARE IL CIBO A UN DISTILLATO D'ANNATA

ino, birra? No grazie. La vera novità è il whishy. Provare per credere recita il detto e da un po’ di anni a questa parte a tentare di sovvertire le regole del convivio all’italiana ci sta pensando il Whisky Club Italia, realtà che dal 2014 è impegnata a riportare in auge la cultura del distillato a base di orzo (e non solo) e a renderlo protagonista anche nei ristoranti, interpretandolo nel modo più conviviale possibile e senza troppe noie tecniche. Si chiama “food pairing” ed è l’arte anglosassone di abbinare il cibo ad uno spirit come il whisky. Alle nostre latitudini può sembrare un azzardo, soprattutto in un Paese come l’Italia in cui domina la cultura del vino a tavola, ma se l'abbinamento viene creato su parametri come la stagionalità delle materie prime, la contrapposizione dei sapori o, al contrario, la loro similitudine ecco che gli spirits a tavola diventano

24 maggio-giugno 2020

Trattoria Visconti di Ambivere l'anno scorso, l’obiettivo del Whisly Club Itala è quello di creare – e formare - una rete di professionisti italiani con conoscenze o competenze nel mondo dei distillati. La passione non manca e trova riscontro nei numeri del Club che conta oltre 11 mila appassionati, più di 240 eventi organizzati nel 2019 con 5000 partecipanti, 12 corsi di degustazione di cui 2 online, 24 Clan (gruppi locali), 4 gite in Scozia. E proprio i clan sono le “sedi” sul territorio, i motori delle iniziative del Club che nel 2019 ha inaugurato il suo Clan di Bergamo come ci racconta il referente provinciale Emanuele Birocchi: “Il nome rende omaggio alla tradizione scozzese: i clan sono infatti pensati per avviare collaborazioni e sinergie con i locali del territorio nell’organizzazione di corsi ed eventi come degustazioni e food pairing. Ogni regione ha almeno un clan e in Lombardia i primi sono nati a Milano e a Como. Nel 2019, in occasione della serata alla Trattoria Visconti, abbiamo presentato il Clan di Bergamo, che è il 23° in Italia”. Sia chiaro: per far parte del Clan non serve alcuna quota associativa ma solo voglia di conoscere il mondo del whisky: “Che sia di terra o di mare il whisky è difficile da capire e degustare. È un distillato borderline che piace o non piace - prosegue Emanuele -. Anche nelle serate di food pairing non esistono regole da seguire. È sempre chi ci ospita a proporci il menù, che noi andiamo ad assaggiare a sorpresa un po’ prima dell’evento per decidere gli abbinamenti. Portiamo un kit di basi diverse dei whisky (più o meno torbato, fruttato, floreale, speziato), così da avere tutte le tipologie a disposizione”.

ABBINAMENTI INASPETTATI

L'abbinamento con il cibo rivela sempre delle sorprese inaspettate ed è questo il bello (e il buono) del food pairing. Un conto è bere un bicchiere di whisky da solo, un altro è sposarlo al meglio ad un piatto. “Così come accade per il vino, un abbinamento può risultare perfetto solo con una profonda conoscenza delle varie tipologie di whisky, della loro provenienza, degli ingredienti e delle modalità di distillazione – ricorda Emanuele -. Per questo abbiamo alle spalle tanti giorni in Scozia dove abbiamo visitato distillerie e appreso i segreti locali che ci hanno consentito di partecipare a eventi e festival bevarage con whisky selezionati e imbottigliati da noi. Abbiamo creato anche un e-commerce del club dedicato principalmente alle nostre selezioni perché nel mondo del whisky prezzo ed età di una bottiglia non sono valori assoluti. Non c'è, infatti, un diktat nella scelta di un whisky o un altro se non quello di divertirsi e mettersi in gioco con i nostri sensi”.

IDEE PER IL FUTURO

Sperimentazione che è anche il filo conduttore delle serate di degustazione whisky-birra: “L'abbinamento è interessante perché ci sono diverse affinità: dai malti utilizzati all'assonanza da invecchiamento nelle stesse botti - sottolinea Birocchi -. E poi c'è il terroir che nel whisky si fa sentire, eccome: ci sono esempi di produzione 100% in farm, come Springbank in Scozia dove tutto il processo produttivo, orzo compreso, è in casa”. La passione non manca, insomma, e il clan bergamasco ha in serbo diverse idee per i prossimi mesi a cominciare da una degustazione whisky-ostriche e whisky-grani (orzo, segale, mais). “Nel primo caso l'idea è abbinare tre tipologie di ostriche con relativi whisky e giocare sulle affinità legate alla sapidità, oppure proponendo whisky più speziati passati in botti di sherry - conferma Emanuele -. Per la serata di food pairing con i grani stiamo valutando di abbinare piatti a base di diversi tipi di grani con bourbon americani, ovvero whisky che hanno più del 50% di mais o i rye whisky che contengono invece segale. L'obiettivo è quello di esaltare il grano nel piatto e nel bicchiere”. E che food pairing sia!

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ASSAGGIATORI SI DIVENTA

Tutto nasce dalla formazione dei palati perché come per il vino c'è whisky e whisky. Dal single malt non torbato al whisky con torba marina o di terra, dal whiskey irlandese, il primo nella storia (senza nemmeno un disciplinare), al bourbon americano, fino al whisky giapponese che, dicono, sia il migliore al mondo. «Il mercato del whisky è ormai da diversi anni in fermento – ricorda Claudio Riva, presidente del Whisly Club Italia -. I consumatori sono sempre più giovani e non si limitano più solamente a consumare il prodotto, ma vogliono conoscerne la storia e le tecniche di produzione. E sono pronti a sperimentare l'accostamento whiskycibo come un'opportunità». Ecco spiegato anche il successo dei corsi del Whisky Club Italia organizzati su e giù per lo Stivale. «Abbiamo avuto oltre duemila corsisti in tre anni e mezzo - conferma il presidente del Whisly Club Italia Claudio Riva -. Ci interessa attirare più persone e non siamo un club elitario ma inclusivo. Il whisky è un distillato difficile per i palati standard e occorre un approccio diverso, una nuova cultura».

maggio-giugno 2020


Tutti pazzi per il Bubble Tea di Rosanna Scardi

IL DRINK HA PORTATO ALL’APERTURA DI DIVERSI LOCALI IN CITTÀ E PROVINCIA

26 maggio-giugno 2020

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la, il preferito dai giovani habitué, ma anche ai fagioli rossi, ai lychee, al melone. Piace anche il tè aromatizzato allo zenzero, al gelso, alla guava rossa. La specialità più profumata è a base di taro, un tubero dal delizioso gusto di biscotto. Gli studenti si ritrovano da Sisi nella Galleria Fanzago 8/10: qui tutti i Bubble Tea sono proposti con le perle di tapioca che possono essere sostituite da palline di frutta o gelatine: tra i più particolari quello con pudding, al cioccolato, all’anguria. Il bar propone anche fruit soda, drink arricchiti di soda, a base di arancia, kiwi, mango, blu curacao e limone, pompelmo rosso, mango passione, oltre a una varietà di dolcetti tradizionali. “Abbiamo aperto a maggio, da noi si ritrovano molti ragazzi, ma anche bambini accompagnati dai genitori felici di gustare un drink che somiglia a quelli dei cartoni animati e richiama il mondo dei manga”, spiega Sifan Liao, titolare con la sorella Sisi. Il Bubble Tea si può gustare anche da Panda, fast food cinese in via Sant’Alessandro 26/A come tè al latte ai diversi tipi di frutta. “Ma è difficile che venga richiesto, come abbinamento ai nostri ravioli - sorride il personale -. Più facile che sia scelto come bevanda da passeggio tra una vetrina e l’altra”. L’istituzione in materia è la catena Frankly Tea & Coffee che ha aperto a dicembre un punto vendita a Oriocenter: da provare il gusto nutella, caffè e latte. E tra i topping, le gelatine di aloe e cocco, i semi di chia e i marshmallow.

IL NOME DEL DRINK, INVENTATO NEGLI ANNI ’80 A TAICHUNG, CITTÀ NELL’ISOLA DI TAIWAN, VIENE ASSOCIATO ALL'IDEA DI “BOLLA”. IN REALTÀ, DERIVA DA UNA STORPIATURA DI “BOBA”, TERMINE TAIWANESE USATO PER INDICARE LE PERLE DI TAPIOCA, SUO INGREDIENTE TRADIZIONALE

olcissimo, colorato, divertente, da bere rigorosamente con una cannuccia grande per gustarsi le palline sul fondo in bicchieroni di plastica. Il Bubble Tea, la bevanda da masticare come fosse uno snack, conquista Bergamo. Il nome del drink, inventato negli anni ’80 a Taichung, città nell’isola di Taiwan, significa bolla ed è associato alla gomma che fa fare i palloncini. In realtà, deriva da una storpiatura di “boba”, termine taiwanese usato per indicare le perle di tapioca, suo ingrediente tradizionale. Il Bubble Tea originario è a base di tè nero (oppure un mix con latte). Dulcis in fundo, nel vero senso della parola, si trovano le palline gommose chiamate topping e possono essere: le boba o pezzetti di tapioca (un tubero originario del Sudamerica dal colore nero, di consistenza gelatinosa e gluten free, quindi via libera anche per i celiaci), striscioline di gelatina aromatizzata e trasparente prodotta dalla fermentazione dell’acqua di cocco o le cosiddette “popping boba”, perle trasparenti ripiene di sciroppi cremosi e dolcissimi, pronte a esplodere sul palato. Preparato al momento, il drink può essere gustato caldo o freddo shakerato con ghiaccio e ha un costo che varia dai 3,50 ai 5 euro a bicchierone. A Bergamo c’è un locale dedicato alla novità orientale in posizione centralissima, il Tai Wan Bubble Tea di via XX Settembre, al 5. Molto piccolo, di tipo take away, presenta una grande varietà di combinazioni. Il tè può essere nero o verde, al latte e con frutta come frago-

ANCHE IL BAR TRADIZIONALE SPOSA LA NUOVA TENDENZA

Per provare un buon Bubble Tea e lasciarsi trasportare da una ventata asiatica bisogna spostarsi a Treviglio e fare un salto al Caffè Rimembranze. “Volevamo introdurre un drink che piacesse ai giovani, dagli 8 ai 18/20 anni, l’idea me l’ha data mia cognata che è filippina – racconta Sara Redaelli, titolare con Andrea Bertelli -. L’ho sperimentato ed è richiestissimo e ognuno può scegliere la sua combinazione”. Si dividono in fresh tea e milky tea, il primo consigliabile freddo, l’altro caldo. Tra i freschi piace il green apple a base di profumatissimo matcha, ricco di vitamine, minerali, polifenoli, è il tè con la maggior percentuale di antiossidanti (anche superiore a quello verde), con jelly pearls e mela verde boba e l’hibiscus con karkadé e mirtillo boba. Solo nel locale trevigliese c’è il gusto violet (milky tea) con tè, violetta, tapioca pearls e jelly. Unico neo, le calorie che abbondano. In linea di massima, un bicchiere da 200 millilitri ne contiene dalle 300 alle 500. Per chi vuole mantenere la linea al Rimembranze preparano anche una versione senza zucchero.

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I FRATELLI MANZONI ALL’OSTERIA DEGLI ASSONICA Un locale storico, quello di Sorisole, che nei primi giorni di febbraio ha iniziato una nuova vita con i fratelli Manzoni al timone. Alex e Vittorio provengono da esperienze importanti e hanno deciso di mettersi in gioco insieme. Alex non è uno chef qualunque, ha infatti lavorato per grandi nomi della cucina italiana, in ultimo al Casual in città alta, ristorante una stella Michelin di Enrico Bartolini. Umile e assolutamente riservato, la sua è una cucina fine ed elegante. Il fratello Vittorio invece ha lavorato nei templi della carne, dove ha potuto affinare conoscenza e tecnica di lavorazione della materia prima e non solo. In sala, Giovanna Danzo, cordiale, competente e precisa.

Ristorante Al Tram Via Roma, 1 - Sarnico (Bg) Tel. 035 910117 E-mail: info@ristorantealtram.com

Osteria degli Assonica Via Don Santo Carminati, 9, 24010 Sorisole BG tel. 035 412 8398

Un tempo era il capolinea della tranvia che a fine Ottocento univa Bergamo a Sarnico. La facciata del ristorante Al Tram conserva la forma di una vecchia stazione e fino a poco tempo fa a ricordare le sue origini c’era proprio il tram all’esterno. Da poco ha riaperto con un'immagine totalmente nuova. La famiglia Plebani, che lo gestisce dal 1951, ha investito in un progetto importante: alla sala principale si sono aggiunte altre tre sale arredate da un designer e l'effetto è davvero d'impatto. Bellissima la “cantina” all'ingresso con le bottiglie alle pareti e un lungo tavolo centrale dove piccole compagnie possono fare degustazioni del vino prodotto nell'azienda di famiglia, Il Calepino. Da lì si può continuare la serata nella raccolta sala ristorante collegata con un romantico camino. Con l'arrivo delle giornate calde la storica terrazza esterna ombreggiata da un secolare glicine è la scelta più romantica. La cucina è curata e mediterranea. In abbinamento sono proposti i vini prodotti da loro.

NUOVO LOOK E SPAZIO DEGUSTAZIONE AL TRAM, IL RISTORANTE STORICO DI SARNICO

NOVITÀ

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LA SECONDA STELLA AL DA VITTORIO ST. MORITZ

Leonardo Belotti, 23enne titolare dell’azienda agricola Mondo Asino di Olmo al Brembo, ha conquistato l’Oscar Green, il premio all’innovazione promosso da Coldiretti e da Campagna Amica. Dal latte delle sue trenta asine che pascolano liberamente in montagna, cibandosi di erbe fresche, fiori e arbusti, Belotti è riuscito nell’impresa di produrre un formaggio. Una vera e propria impresa, considerata la quantità esigua di latte che le asine producono, oltre ad avere un periodo di lattazione ridotto. Grazie all’aggiunta di latte di capra e di mucca, le incredibili proprietà del latte d’asina vanno in stagionatura, donando a questo gustoso prodotto una qualità incredibile.Oltre ad Arlecchino, l’azienda produce, sempre con il latte delle sue asine, il formaggio dei Tasso,un liquore, perfetto come digestivo, dolci, gelato e una linea cosmetica naturale e biologica.

OSCAR GREEN PER L’ARLECCHINO DI OLMO AL BREMBO

COMPLIMENTI

Nuovo riconoscimento per i fratelli Cerea. Il Da Vittorio al Carlton di Saint Moritz ha conquistato la seconda stella Michelin nella guida 2020 dedicata alla Svizzera. Da Vittorio Saint Moritz è il primo 2 stelle della famiglia Cerea fuori dall’Italia. Ora le stelle dei locali di proprietà della famiglia bergamasca sono diventate sei: tre al ristorante di Brusaporto, due a Saint Moritz e una a Shanghai. Il ristorante svizzero aveva conquistato la sua prima stella nel 2014, dopo una sola stagione invernale dalla sua apertura. Aperto nel 2012 all’interno dell’Hotel Carlton, è guidato dello chef Paolo Rota, da sempre a fianco di Chicco e Bobo Cerea (di cui è anche cognato) nella gestione fine dining del Gruppo. Accanto a Paolo Rota, nell’avventura elvetica, ci sono il maître Giulio Bernardi e il sommelier Giorgio Spartà.

IL BUGAN TEAM TRIONFA AL SIGEP

Il Bugan Team, la squadra di baristi allenata dal bergamasco Maurizio Valli, e dalla sorella Sonia, ha vinto tre titoli assoluti al Campionato Italiano Baristi che si è disputato al Sigep di Rimini. Il premio più prestigioso è quello di miglior barista d’Italia, vinto da Daniele Ricci, 22enne bresciano, che ha convinto la giuria utilizzando un caffè dell’Equador, il "Finca la Florida" coltivato nella regione di Loja e selezionato proprio da Maurizio Valli e tostato da Roberto Breno. Ecco gli altri premi conquistati dal Bugan Team: Elisa Urdich prima classificata nel campionato Brewers Cup, Andrea Villa vincitore della categoria Coffee in Good Spirits, Federico Pinna è il quinto miglior barista in Italia nella categoria Latte Art. In squadra anche Francesco Stabile. Villa parteciperà ai mondiali a Varsavia a giugno, mentre Ricci rappresenterà l’Italia ai mondiali di Melbourne in Australia tra il 4 e l’8 maggio prossimo. Una competizione a cui parteciperanno tutti i migliori baristi che provengono da oltre 60 nazioni.

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Tramonti-Bergamo tra pizza e “core” IN CITTÀ TRIONFANO I SAPORI DELLA COSTIERA AMALFITANA

di Laura Bernardi Locatelli

30 maggio-giugno 2020

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attuale di “Capri-Da Nasti”, la storica Trattoria Emiliana, aperta dal 1850. Oggi il locale, recentemente ristrutturato, con la gestione di Carmine del fratello Gino e di figli e nipoti, omaggia Tramonti dal motto “Intra montes ubertas” (ovvero terra fertile tra i monti) impresso sul bancone, alle piastrelle dipinte a mano che affiancano la pizzeria e il suo forno, alla scritta sul muro della sala. Ci sono poi altre dieci famiglie a portare i sapori della Costiera Amalfitana in città. Con poca, o addirittura nessuna esperienza nella ristorazione, ma un bel bagaglio di cucina casalinga e tanta voglia di fare. “Quasi ogni famiglia tramontina – ricorda Carmine Nasti- aveva infatti in casa il forno a legna per sfornare il pane biscottato di farina integrale ed era un rito fare la pizza con lo stesso impasto profumato con finocchietto selvatico e condirla con pomodori sponsilli, tenuti in conserva sotto i porticati, olio di oliva, aglio, origano”. Dal 1970, “Il Vesuvio”, in Borgo Santa Caterina, che si appresta a festeggiare i 50 anni di attività, porta avanti con Salvatore Ferrara e i fratelli Teresa, Alfonso e Luigia, la tradizione inaugurata da Giovanni, ex dipendente statale nel corpo di Guardia Forestale, che accettò la scommessa di diventare imprenditore. Anche Antonio Giordano decise di diventare pizzaiolo nel 1985, aprendo la Pizzeria “Marechiaro” di Via Borgo Palazzo (all'angolo con Via Camozzi), gestita dal figlio Domenico. Gli altri indirizzi dove la pizza ha il sapore della Costiera sono “Piccolo Mare” in Via Angelo Maj, “La Torre” in Viale Muraine, “Le voci del mare”, in Via San Bernardino, “La Grotta Azzurra” in Via Ruggeri da Stabello, “Furore” in Via Tasso, e Novecento, in Via Statuto. E per una buona pizza senza orario c'è il "Velvet Pub - La Bella Napoli" in Via Camozzi, aperto da Vittorio Nasti, fratello di Carmine e Gino.

PER IL PRIMO ANNO LA NOSTRA CITTÀ HA OSPITATO IL TRADIZIONALE CONVIVIO ANNUALE DEI PIZZAIOLI DI TRAMONTI. UNA DINASTIA DI IMPRENDITORI CHE HA PORTATO LA PIÙ CELEBRE SPECIALITÀ CAMPANA NEL MONDO

l 2020 segna i quasi sessant'anni di presenza della grande dinastia di pizzaioli di Tramonti a Bergamo. Dal comune sparso e diviso in tredici frazioni nella vallata dei Monti Lattari, perle della Costiera Amalfitana, negli anni del boom economico partirono infatti tanti “paesani” pronti ad abbandonare l'agricoltura per inseguire il loro sogno imprenditoriale e diventare ristoratori. Bergamo e Tramonti non avevano nulla in comune eppure sono riuscite a scrivere insieme una storia di successo, con ben 12 pizzaioli in città, provenienti quasi tutti da Campinola. Per il primo anno la nostra città ha ospitato, Da Nasti in Via Zambonate, il tradizionale convivio annuale dei pizzaioli di Tramonti, provenienti da tutta Italia. Una dinastia di imprenditori che ha portato la più celebre e invidiata specialità campana al Nord e nel mondo. La concentrazione di pizzerie tramontine a Bergamo e, più in generale, al nord è dovuta al “Caseificio Giordano” di Oleggio, in provincia di Novara, fondato da Amedeo Giordano che, lasciata Tramonti nel 1946, nel 1955 ottiene la licenza per la lavorazione del latte, iniziando così a produrre la “mozzarella fior di latte” secondo la migliore tradizione dei Monti Lattari. Il nome di queste montagne è dovuto ai pascoli di mandrie di vacche e greggi di capre, da cui si munge un latte dalle qualità organolettiche e nutritive straordinarie. Il fior di latte da qui si è diffuso nel mondo come latticino d’eccellenza, a partire dalla celebre pizza offerta nel 1889 alla Regina d'Italia Margherita in visita a Napoli. Dal surplus di produzione delle mozzarelle, ancora poco conosciute in Piemonte come in Lombardia, Amedeo Giordano lancia l'idea ai compaesani di Tramonti di aprire dei locali al nord e così, tra il 1960 e il 1990, l’azienda conosce un successo strepitoso, iniziando a servire un numero sempre maggiore di pizzerie, la cui fortuna va di pari passo con quella dell'azienda casearia. Risale al 1953 la gustosissima "invasione" del Nord Italia con la pizzeria Marechiaro di Novara, fondata da Luigino Giordano.

IN CITTÀ SONO 12 LE PIZZERIE TRAMONTINE

A Bergamo negli anni Sessanta il capostipite dei “tramontini”, più precisamente della frazione di Campinola, è Umberto Mandara che apre nel 1963 “L'Ancora”, in Via San Lazzaro e poi in Via Quarenghi nell'attuale sede. “All'Ancora” passa poi alla famiglia Tagliafierro: 1971 Ezio ritira la pizzeria e il figlio Roberto con la moglie Filomena Buonocore, anche lei di Campinola, porta avanti da anni l'insegna. Giovanni Nasti sceglie Bergamo nel 1967, dopo l'esperienza di una pizzeria a Busto Arsizio: apre un primo locale in Via San Bernardino e poi ristruttura in Via Zambonate, nella sede

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©Bibliosteria Cà Berizzi

La cultura vien mangiando VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEI LOCALI IN CUI LETTURA E CIBO FORMANO IL CONVIVIO PERFETTO di Marco Offredi

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utrire spirito e pancia all’insegna della condivisione. Della lettura e del cibo. Davanti a una tazza di caffè, a un bicchiere di vino ma anche a un buon brasato con polenta. E spesso al binomio cibo-cultura si aggiunge qualche elemento in più: laboratori, reading, concerti, spazi per conferenze. In provincia si contano sulle dita di una mano e, del resto, lo dice anche il proverbio: meglio pochi ma buoni. Uno tra i primi a crederci e a proporre quel mix di cultura, gastronomia e accoglienza è stata la Bibliosteria Cà Berizzi a Corna Imagna, un’antica dimora nobiliare del XVIII secolo con la tipica architettura fatta di pietra e di tetti in piode e che dal 2016 ospita un’osteria con camere e biblioteca.

BIBLIOSTERIA CÀ BERIZZI

Ideata dal Centro Studi Valle Imagna, la Bibliosteria in estate riaprirà i battenti con un evento-aperitivo aperto a tutti. Sarà una festa nella festa che apre infatti a nuovi orizzonti: per l’occasione sarà presentato il nuovo sito internet arricchito di contenuti e, soprattutto, si festeggerà l’arrivo del piccolo di casa e il rientro tra scaffali e tavoli di mamma, Valeria Offredi, la bibliostessa di casa. L’idea di un connubio tra una biblioteca e un’osteria è venuta proprio a Valeria, 33 anni di Berbenno e con due lauree (una in Scienze politiche e una in Musicologia): dalle prenotazioni ai menù, dal servizio a tavola all’accoglienza vera e propria, dai social network all’organizzazione degli eventi, ogni attività passa dalle sue mani, tranne che per la cucina in cui regna sovrana sua mamma Rosaria Salvi. “La struttura è un vero e proprio centro polifunzionale - spiega Valeria che nel 2018 ha sposato il progetto del Centro Studi Valle Imagna e l’idea di intrecciare cultura e gastronomia creando una fusione di saperi e memoria vincente -. Cà Berizzi è infatti una biblioteca dove poter consultare l’archivio storico, letterario e musicale della Valle Imagna, è una sala multimediale per incontri, conferenze, corsi di formazione ed eventi, è un’osteria dove poter degustare un’offerta enogastronomica legata principalmente alla tradizione culinaria locale e, infine, dispone di camere da letto ad uso foresteria”. L'atmosfera di calma bucolica si respira in ogni angolo a cominciare dalle stanze dove si trovano dei fondi librari con temi differenti: da quello donato dal giornalista Pino Capellini e dedicato alla montagna, alle pubblicazioni del noto fotografo bergamasco Pepi Merisio, per la prima volta raccolte in un unico ambiente. E poi l’emeroteca con le riviste d’epoca, libri e tesi di laurea (circa 8 mila, molti dei quali inseriti nel Sistema bibliotecario nazionale) fino alla musica, una vera miniera per i più appassionati con archivi di spartiti e libretti musicali, di documenti audio e video. “Chi vien qui può decidere di sfogliare i libri stando comodamente seduto ad un tavolo dell’osteria, oppure gustare i piatti della nostra tradizione magari mentre è in corso un evento per poi accomodarsi nella propria stanza – spiega Valeria -. La nostra proposta enogastronomica si fonde senza soluzione di continuità con l’anima più culturale e storica di Cà Berizzi e i commensali possono ordinare gustosissimi taglieri di salumi e formaggi accompagnati da polenta e vino, tutti rigorosamente bergamaschi. A fianco dei taglieri largo alle specialità

valligiane, dalla torta smaiasa alla rosomada e i nosecc secondo piatto della tradizione gastronomica bergamasca a base di foglie di verza e carne: tutti cucinati sulla base delle ricette tradizionali contenute nei ricettari firmati Centro Studi Valle Imagna. Ovviamente non mancano risotti e scarpinocc della mia mamma: tutto cucinato con ingredienti locali”.

SPAZIO TERZO MONDO A SERIATE

Meno osteria e più enoteca, non biblioteca ma libreria indie vera e propria, anche lo Spazio Terzo Mondo ha abbracciato la vocazione letteraria con la cucina. La storica libreria-caffetteria di Seriate, infatti, da ormai quindici anni ha aperto uno spazio di ristorazione con enoteca. Qui si servono prodotti biologici e del commercio equo e solidale, con particolare attenzione ai piccoli produttori che si distinguono per l’alto livello qualitativo della produzione nel rispetto dell’ambiente, della cultura e delle tradizioni enogastronomiche come spiega Riccardo Bonfanti, che si occupa con Alex Chiesa dell’enoteca: “Il nostro è un angolo cucina ridotto, non facciamo certo grandi numeri ma nemmeno piadine e panini. Puntiamo invece sulla qualità delle materie prime, a cominciare dai salumi e dai formaggi delle nostre valli. Proponiamo sempre 3-4 piatti del giorno, insalate, mozzarelle, torte salate. Nel menù non mancano mai pasta e vellutate, così come le lasagne sia classiche che frutto della creatività dello chef Francesca Bertoli”. Il piatto forte però si sorseggia. Lo Spazio Terzo Mondo è infatti un’enoteca molto frequentata con più di 200 etichette soprattutto italiane e francesi. “Come con i nostri lettori ci piace avere un rapporto diretto con il fornitore-vignaiolo – prosegue Riccardo, socio della libreria insieme a Giorgio Personelli, Lorita Biffi, Antonio Donghi, Chiesa e Bertoli -. La scelta dei vini in carta si è orientata verso piccoli e medi produttori, non presenti nella grande distribuzione e legati il più possibile ad una produzione naturale del vino nel rispetto del territorio di provenienza e della specificità dei vari vitigni. Nella maggior parte dei casi i vini provengono da agricoltura biologica e in alcuni casi sono legati a metodi di coltivazione e vinificazione biodinamici in senso stretto. Insomma vini autentici specchio del terroir e che vogliamo far conoscere al pubblico con degustazioni, corsi e gruppi di acquisto”.

NEL SEBINO

Promuovere la cultura del territorio, offrire nuove opportunità di svago e scambio culturale e proporre corsi per il tempo libero e di formazione professionale è anche l’obiettivo dell’Emporio delle Idee a Costa Volpino, spazio dedicato a chi ama leggere ma non solo. Aperto nel 2017 è una biblioteca dove sono stati raccolti più di 4000 volumi in consultazione e prestito, ma è anche una libreria, un’edicola, una sala di lettura e una caffetteria dove sui tavoli libri, piatti e bevande formano il convivio perfetto. Non vi basta? E allora varcate i confini bergamaschi e approdate a Iseo dove in piazza Garibaldi dal 2015 il Caffè Letterario Eden è diventato ritrovo di letterari e creativi che oltre a uno spazio culturale possono contare su una cucina creativa a base di pasta fatta in casa, pesce, pizza e tante altre prelibatezze.

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LA RICETTA

Prodotto a km zero

L a pecora gigante bergamasca, l'ovino più mastodontico del globo e dalle carni eccellenti, è già a bordo dell'Arca del Gusto di Slowfood nel novero dei prodotti del pianeta assolutamente da salvare. Forte di un passato glorioso, quando la pastorizia era la prima “industria” delle Valli e di una fama internazionale, è stata riscoperta di recente. Le carni hanno un impatto ambientale prossimo allo zero: le greggi tengono in ordine aree abbandonate e gli animali si cibano di erbe di montagna e bevono acqua di fonte. La ristorazione si è lasciata in fretta conquistare dal sapore unico della razza ovina autoctona. Da anni la premiata officina gastronomica “Al Gigianca” in Via Broseta, ne ha fatto uno dei capisaldi del suo menù, impegnato per vocazione a esaltare i migliori prodotti del territorio. La pecora gigante bergamasca grass-fed ha conquistato anche lo chef Massimo Bottura, che la propone all’Osteria Francescana di Modena, 3 stelle Michelin. A fornire lo chef è l'Azienda Agricola Maroni di Ranzanico (www.agricolamaroni.it), dove è possibile acquistarla anche on-line, nei tagli più disparati, dal cuz agli arrosticini, dalla lombata alle costolette. Ci sono pure hamburger e salamelle. Fiore all'occhiello dell'azienda agricola, i salumi di pecora, grazie alla collaborazione di Vanni Forchini norcino della Vallecamonica.

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Preparazione

Procedimento Scottare per quattro minuti le foglie di verza in una pentola con abbondante acqua salata, scolare, raffreddare in acqua fredda e porre ad asciugare su un canovaccio. Eliminare la costola centrale. Schiacciare il pane ammollato con una forchetta riducendo il tutto ad una poltiglia omogenea unendo l’uovo, la carne trita, il formaggio, le spezie, il prezzemolo e 1 spicchio d’aglio tritato. Aggiustare di sale. Formare dei cilindri e avvolgerli bene aderenti alle foglie di verza. Cuocere in forno con un filo d’olio e sale a 140° per 20 minuti. Soffriggere 1 spicchio d’aglio in olio EVO, aggiungere i pelati, portare a cottura quindi frullare e passare al setaccio per eliminare eventuali semi (in alternativa utilizzare una passata di pomodoro di qualità). Stendere su un piatto un cucchiaio generoso di salsa di pomodoro, tagliare i Nosécc in più sezioni ponendoli sul letto di pomodoro, finire il piatto con un filo d’olio extravergine del Sebino DOP.

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4 g 400 di carne trita di Pecora Gigante Bergamasca 4 foglie intere di una verza 4 2 panini morbidi ammollati nel latte 4 1 uovo 4 g 100 di Grana Padano grattugiato 4 noce moscata qb 4 pepe qb 4 prezzemolo qb 4 2 spicchi di aglio 4 g 400 di pomodori pelati

Per 4 persone:

chef Alessia Mazzola Al Gigianca, Bergamo

Nosécc di Pecora Gigante Bergamasca in umido

Ingredienti


Piwi: l’inizio di una moda o il futuro della viticoltura? di Lara Abrati

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di cui 3 non sono aziende, ma appassionati. In provincia di Brescia il movimento è davvero attivo, ma anche in bergamasca, con b 3 aziende che hanno deciso di investire in questa direzione. Sulle colline di Cenate, sono ben due le aziende che coltivano vitigni resistenti, mentre la terza ha sede a Nembro. Il pioniere è Alessandro Sala, che nella sua azienda Nove Lune di Cenate Sopra (nell’Oasi naturale Valpredina) produce ben 4 vini esclusivamente da vitigni resistenti. Un bianco, 310, prodotto con Solaris, Bronner e Johanniter; Rukh, un orange wine sempre biologico prodotto da uve Bronner e Johanniter. Il vino passito Theia, prodotto con uve Helios, Solaris e Bronner e, infine, un vino ancestrale (HeH) prodotto vinificando al 100% uve Solaris. Dopo la messa in bottiglia di questo vino, la fermentazione continua senza aggiunta di zuccheri e di solfiti, regalando così al vino una naturale torbidità. Altre due aziende hanno impiantato i vitigni PIWI autorizzati, ma al momento non sono ancora in produzione: Pietramatta di Cenate sotto e l’azienda agricola Giuseppe Orsini di Nembro. La coltivazione di questi vitigni resistenti è quindi un’ottima opportunità per il futuro del vino cosiddetto artigiano, che sposa appieno la direzione in cui il settore della vitivinicoltura e dell’enogastronomia più in generale sta andando: quella della massima sostenibilità, nella coltivazione e produzione, ma anche nella trasformazione. Soprattutto nelle zone alpine, l’attenzione verso i vitigni PIWI è maggiore, questo soprattutto per le condizioni ambientali particolari in cui viene coltivata la vite. Vini prodotti con metodi che vanno davvero oltre il BIO: zero trattamenti fitosanitari vuol dire anche assenza di passaggi con il trattore e molte meno spese di produzione. Il risultato? Un vino prodotto senza chimica, che permette la giusta remunerazione per chi lo produce e il giusto prezzo per chi lo acquista.

LA NUOVA FRONTIERA DELLA SOSTENIBILITÀ NEI VIGNETI. A BERGAMO LA PRESIDENZA DELL'ASSOCIAZIONE CON SEDE A CENATE

a sostenibilità ambientale di azioni, coltivazioni e produzioni è un argomento che in questo periodo è giustamente all’ordine del giorno. Sono molte le attenzioni e i cambi di tendenza rispetto a consuetudini considerate assolutamente normali fino a poco tempo fa. Anche e soprattutto l’agricoltura ne è coinvolta e, ormai, si può dire che il livello di qualità di una materia prima o di un prodotto enogastronomico è misurabile anche dalla sostenibilità della sua produzione e lavorazione; in maniera diretta per quel che riguarda l’ambiente e, in maniera indiretta, per quel che riguarda noi tutti. La Lombardia e la provincia di Bergamo sono territori molto popolati, dove l’agricoltura è in un certo senso cittadina. Anche per questo motivo è sempre più necessario convivere con essa limitando il rischio di subire danni causati dall’impiego di fitofarmaci e non solo. La direzione intrapresa è quella che stimola l’applicazione di metodi di agricoltura biologica, ma spesso non basta. Quali opportunità quindi per una viticoltura sostenibile? La risposta potrebbe arrivare dai vitigni PIWI (dal tedesco pilzwiderstandfähig che significa viti resistenti ai funghi). Vitigni nuovi, mai coltivati in passato “che permettono di eliminare del tutto o quasi i trattamenti anticrittogamici. Vitigni che per le loro caratteristiche vengono anche soprannominati super-bio e consentono di produrre vini di altissima qualità senza inquinare l’ambiente” racconta Alessandro Sala, presidente dell’associazione PIWI Lombardia, nata a Cenate Sopra nel 2017 come costola della più grande PIWI International. In realtà la ricerca su queste varietà è iniziata decenni, se non secoli fa, attraverso continui re-incroci tra diverse varietà. Ma qualsiasi nuova cultivar viticola, prima di essere coltivata, deve essere autorizzata e iscritta nell’apposito registro: ecco che dal 2013 in alcune regioni d’Italia è stata autorizzata la coltivazione dei vitigni PIWI e, dal 2017, anche in Lombardia. Alcuni produttori hanno iniziato con entusiasmo ad avvicinarsi a questa nuova opportunità: produrre vini ad impatto zero sull’ambiente, costi minori di coltivazione e vini nuovi e unici, con caratteristiche gustative tutte da scoprire.

I NUMERI E I NOMI DEI PIWI: L’INIZIO DELLA RIVOLUZIONE

Oggi sono venti le varietà iscritte nel Catalogo Nazionale, undici a bacca bianca (Bronner, Helios, Johanniter, Solaris, Muscaris, Souvignier gris, Fleurtai, Soreli, Sauvignon kretos, Sauvignon nepis, Sauvignon rytos) e nove a bacca rossa (Regent, Cabernet carbon, Cabernet cortis, Cabernet eidos, Cabernet volos, Prior, Julius, Merlot kantus, Merlot khorus), anche se la sperimentazione e la ricerca in tal senso sta proseguendo a grande velocità. In Lombardia, sono solo sette al momento le varietà autorizzate. L’associazione PIWI international conta oggi 560 membri distribuiti in 17 nazioni, di cui ben 74 in Italia. Attualmente in Lombardia ci sono 19 soci,

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© Matteo Zanardi

LEGGERE DI GUSTO

E OGGI COSA MANGIAMO? RICETTE DA LUNEDÌ A DOMENICA

Oggi cosa mangiamo? La domanda assilla quotidianamente moltissime famiglie e i meno organizzati finiscono con il ritrovarsi a cena più o meno sempre con la ‘solita minestra’, ovvero con i soliti 4/5 piatti. Questo libro è un vero e proprio salvagente per chi si ritrova in questa situazione: propone 80 ricette, una al giorno, equilibrate e ispirate alla tradizione. I piatti sono facili, descritti passo passo e raramente superano i cinquanta minuti di preparazione (solo i piatti proposti per il fine settimana richiedono più attenzione e tempo). Gli ingredienti sono facili da trovare e hanno costi contenuti. La prima parte del libro tratta argomenti generali come la dispensa, la tavola, l'acqua, il sale, l'olio, lo zucchero; la seconda riporta le ricette per le quali sono indicati ingredienti, tempo di preparazione, parte pratica, valutazione nutrizionale, calorie e foto del piatto. Per i piatti che contengono carne o pesce è proposta l’alternativa vegetariana. È un libro ideale per chi ha poca fantasia in cucina perché permette di cucinare in modo variegato i cibi di ogni giorno e un bel libro anche da regalare. Utilissima la copertina su cui è riportato il calendario 2020.

Il maestro della pasticceria italiana racconta la sua storia, partita da un piccolo panificio di Brescia, fino al Gran premio come Miglior Pasticciere del Mondo. Tra ricordi, aneddoti e ricette si dipana un percorso di 20 dolci legati agli affetti più cari che ripercorrono i momenti salienti della sua vita: dalla sacher viennese ai macaron parigini, dalla pastiera napoletana al mitico panettone milanese.

In cucina con Harry Potter. Il ricettario non ufficiale di Dinah Bucholz Vallardi Editore - 2019

Un libro divertentissimo con tante ricette per realizzare i piatti presenti nella saga, dedicato agli amanti di Harry Potter. Un tuffo tra pietanze fatate, dolcetti stregati, stufati portentosi e tortini prodigiosi. Per ogni ricetta è presente il riferimento al volume in cui è citata ed un box di approfondimento, molto utile anche a chi voglia conoscere meglio la cucina anglosassone.

Gli eroi bevono vino di Laura Pepe Laterza - 2020

Speciali algoritmi per approfondire la scienza che regge la percezione dei gusti e dei sapori, traducendo poi le proprie ricerche in formato visivo, una sorta di grafica, decifrabile e soprattutto consultabile. A passare sotto la "lente" di Briscione sono oltre 150 materie prime. Una pubblicazione rivolta a professionisti per scoprire inaspettati abbinamenti d’ingredienti e creare piatti unici.

La matrice dei sapori

di James Briscione e Brooke Parkhurst. Illustrazioni: Andrew Purcell Bibliotheca Culinaria - 2019

a cura di Roberta Martinelli

Attorno a questa bevanda ruotano miti, regole di galateo, filosofie antiche. Nella Grecia classica il vino, ad esempio, è il fulcro attorno al quale ruota il simposio, quella 'bevuta collettiva' in cui si rafforzano i vincoli d'amicizia, si intrecciano discorsi. Senza contare che il vino è il dono di un dio. Laura Pepe firma un libro interessantissimo e divertente di grande bellezza che insegna la cultura antica attraverso il vino.

ALMANACCO ALIMENTARE 2020 DI MARCO CONSENTINO, ALESSANDRA GIGLI E LUCA PIRETTA. FOTOGRAFIE DI DOMENICO DODARO CAIRO EDITORE - 2019

Il lato dolce. Ricette e racconti di una vita di Iginio Massari Solferino – 2019

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maggio-giugno 2020


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