Supplemento al n. 39 de “La Rassegna” del 12 novembre 2009 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile - Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
novembre 2009
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
LA COPERTINA
Fusto: “Vi svelo i segreti del cioccolato”
FOCUS
IL PRODOTTO
L’INTERVISTA
PERSONAGGI
La mise en place spiegata dai ristoratori
Il fascino esotico della frutta
Adami (Onaf): “Bergamo leader nei formaggi”
Grassobbio, l’espansione dei fratelli Elzi
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uesto è vino.
Valcalepio Rosso D.o.c. | Valcalepio Rosso Riserva D.o.c. Valcalepio Bianco D.o.c. | Moscato di Scanzo D.o.c. Grappa Moscato di Scanzo Visita il nuovo shop on-line: www.ilcipresso.info
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Eventii Spec cia li
Domenica 15 Noveembre e Domenica 6 Dicem mbre 2009 dalle ore 10,00 alle 13,00 e dalle 14, 4,330 alle 18,00 siamo aperti per la visita a ll lla cantin na e degustazioni
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PENNA ALL’ARRABBIATA Tutto va veloce, per fortuna c’è la galleria dei bei ricordi gastronomici
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FOCUS Mise en place, se ne vedono di tutti i colori. E forme
zzo 137, o Pala via Borg a S.r.l. - € 2,60 Rassegn rice: La DCB Bergamo bile - Edit ma 1, responsa art. 1, com direttore 04 n. 46) e Ruggieri L. 27/02/20 - Giusepp (conv. in mbre 2009D.L. 353/2003 12 nove a” del ento Postale segn onam “La Ras n. 39 de dizione in Abb ento al - Spe Supplem ne S.p.A. Italia Poste
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BOTTA E RISPOSTA Le troppe differenze del Moscato di Scanzo, la replica del Consorzio di Tutela
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LA COPERTINA Gianluca Fusto svela i “segreti” del cioccolato
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IL DIBATTITO Chi criminalizza il vino condanna una risorsa
Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri In redazione: Anna Facci Opinionisti: Pier Carlo Capozzi, Enrico Rota
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PRODOTTI Il fascino esotico della frutta
Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 24121 Bergamo - tel. 035 213030 fax 035 224572 affaridigola@larassegna.it
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IL RISTORANTE “Ai Santi”, l’essenza del gusto
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IL CONCORSO “Merlot e Cabernet insieme”, medaglia d’oro a cinque vini bergamaschi
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L’INTERVISTA Adami:“Bergamo? È una corazzata territoriale del formaggio italiano”
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L’Accademia del Pizzocchero di Teglio premia il ristorante “Al Faro” di Dalmine
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E il gioiellere divenne ristoratore
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I PROTAGONISTI La marcia inarrestabile dei fratelli Elzi
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo Presidente: Ivan Rodeschini
Pubblicità: S.P.M. srl viale Papa Giovanni XXIII, 120/122 24121 Bergamo tel. 035 358 888 fax 035 358 753 Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 185 del 20 Febbraio 1950 Collaboratori: Michele Andreucci, Leo Bartoli, Laura Bernardi Locatelli, Pino Capozzi, Ettore Coffetti, Fulvio Facci, Roberta Martinelli, Roberto Morandi, Lelia Parisi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Donatella Tiraboschi, Sara Vavassori Impaginazione: Videocomp, Bg Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
I NOSTRI INSERZIONISTI 4R, Buona Carne, Cartorobica Poloni, Il Cipresso, La Forchetta d’oro, Gastronomia Verdier, Pastificio Benedetti, Orobica Pesca, Rami, Relux, Ros, Speal, Vini Valoti.
COMUNICARE L’IMPRESA
A CURA DI SPM PUBBLICITÀ
Carta Orobica Poloni, un nuovo show-room L’azienda specializzata nel confezionamento alimentare cambia sede e si sposta a Torre de’ Roveri
Un successo che premia molti anni di lavoro al servizio di grossisti del settore alimentare ma anche di altri generi. Carta Orobica Poloni srl, azienda specializzata nel settore del confezionamento alimentare e nella distribuzione di materiali e accessori per il confezionamento in genere, ha voluto rendere omaggio a tutti i suoi clienti, abituali e non, organizzando domenica 25 ottobre e lunedì 26 una doppia festa per l’inaugurazione della nuova sede a Torre de’ Roveri con musica, buffet e gadget in omaggio a tutti gli ospiti. Già operativo da un paio di mesi, il nuovo magazzino si estende su una superficie di oltre 5 mila metri quadrati, quattro volte più grande di quello di Pedrengo. Un «trasloco» necessario, visti gli ultimi investimenti che confermano la dinamicità dell’azienda bergamasca. Nonostante la difficile situazione economica attuale, infatti, la Carta Orobica Poloni non hai mai perso la propensione a nuovi investimenti che hanno portato l’azienda a rinnovare e ampliare la gamma dei suoi prodotti, soprattutto nel settore alimentare. L’offerta merceologica variegata conta infatti 10 mila articoli, distribuiti negli oltre 5 mila metri quadrati del nuovo magazzino, suddiviso nell’area scorte e in quella espositiva. Nella nuova sede sono ospitati anche gli uffici amministrativi e vendite e un’officina meccanica per la riparazione delle macchine confezionatrici. Oltre a materiale a perdere per confezionamento, carta da imballo e imballaggio, cesti, scatole fustellate da imballo, packing e packaging, detersivi per pulizie ristorazione, comunità e industria, sacchetti industriali per alimenti e negozi, carta e sacchetti per alimenti, Carta Orobica Poloni fornisce su tutto il territorio nazionale anche macchine confezionatrici a film, macchine e attrezzature per l'imballaggio, macchine per il packaging in genere e l’azienda è distributore ufficiale per film termoretraibili Sealed Air Cryovac. Un vasto assortimento che ha contribuito al successo imprenditoriale dell’azienda fondata nel 1987 da Ulisse Poloni insieme alla moglie Carmen Rudelli e all’appoggio dei figli e che oggi conta un team giovane e dinamico formato da 40 persone. Per tutto il mese di novembre, inoltre, proseguono i corsi per il confezionamento rivolti agli esercenti. I corsi proporranno dimostrazioni gratuite per confezionare cesti e pacchi regalo ma anche nel preparare con cura composizioni floreali per tavole e vetrine. Per iscriversi visitare il sito dell’azienda (www.cartaorobicapoloni.net).
Ringraziamo tutti quanti sono intervenuti alla due giorni di inaugurazione: il sindaco di Torre de’ Roveri, Roberto Marchesi, e tutta la giunta comunale, don Elio, tutti i clienti che hanno partecipato con entusiasmo e curiosità e un grazie anche al team al completo dei nostri dipendenti e collaboratori che ogni giorno lavora con passione per la nostra azienda.
Carta Orobica Poloni Srl Via L. Da Vinci, 7 - 24060 Torre de’ Roveri Bg POSIZIONE STRATEGICA A POCHI METRI DALL’USCITA DELLA SUPERSTRADA
ORARI DI APERTURA : Da lunedì a venerdì 8.00 -13.00 14.00-19.00 - Sabato 8.00 - 12.00 APERTURE STRAORDINARIE: Domenica 15 novembre dalle 9.00 alle 13.30
Tel: 035 655271 - Fax: 035 656650 info@cartaorobicapoloni.net - www.cartaorobicapoloni.net VENDITA ALL'INGROSSO PER POSSESSORI DI PARTITA IVA
PENNA ALL’ARRABBIATA di Pier Carlo Capozzi
Tutto va veloce, per fortuna c’è la galleria dei bei ricordi gastronomici
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tanno trafficando, fuori dal mio ufficio. Sono gli elettricisti per le luminarie natalizie. Da ormai tre settimane, appena entrato all’Esselunga col mio carrello sferragliante, al primo giro di scaffali mi trovo in faccia i torroni e i panettoncini. Mentre Nicola, giovane ma già leggendario rappresentante di Majani, prende nota dell’ordine per addolcire le festività in arrivo, mi scappa di considerare che, porca miseria, siamo arrivati un’altra volta tra le renne e le slitte senza accorgersene più di tanto.“Stai zitto - confida Nicola - che sono in giro da un po’ per gli ordini di Pasqua!” Questa nostra frenesia di arrivare presto e di vivere un’esistenza da condannati alla velocità ci sta bruciando i giorni con un sarcasmo beffardo ed impressionante. Siccome questa è l’arrabbiatura, perdonerete se mi concederò una pausa di riflessione, da riempire con i bei ricordi gastronomici di quest’anno che sta per finire e che ha portato una sequenza di dolori che un quarto sarebbero bastati. Pesco così, a caso, nel cesto dei miei ricordi e piazzo subito in classifica la Pastiera del mio amico Ezio Gritti (Osteria di Via Solata), prezioso dono pasquale riservato a pochi privilegiati. Beato, a proposito di privilegi, colui che mette le mani su un Panzerotto barese di mia zia Anna (fritto e ripieno di pomodoro e mozzarella): quest’anno è capitato di rado, ma c’è tutto il 2010 per rifarsi. Una citazione per i Pesciolini marinati di Lorenza Sala (Il Frate di Urgnano), che mi ha viziato anche con i Ravioli di carne col sugo dello stracotto, l’Insalata di pesce spada, una buonissima Paella, un’indimenticabile Finocchiona e una tenerissima Fiorentina coi carciofi fritti (merito di un’escursione toscana di Mauro, maritopatron), oltre ai biscotti, alle meringhe e alle altre portate della cucina di un tempo, quella dei sapori schietti della nonna, chissà perché così difficili, oggigiorno, ad essere ritrovati sulle nostre tavole. Reclama spazio Federico Veronesi, chef e gestore del Rifugio Fos-ce, su a Brentonico, ritiro estivo dell’Atalanta, del quale citerò il Risotto all’aglio orsino e il Filettino di maiale cotto nella senepe e speck, oltre all’ospitalità che fa di lui un indirizzo da non perdere se si capita da quelle parti.
Così come, se vi doveste trovare nei dintorni di Arezzo, non fatevi mancare un salto all’Osteria del Borro, a San Giustino Valdarno: in un borgo completamente ristrutturato brilla questo grazioso ristorante dove siamo stati accolti da un giovane staff molto in gamba. Anche qui bei momenti con Fiorentina e verdure grigliate, brindisi con Borro (merlot, cabernet sauvignon e syrah) e Lamelle (chardonnay) e il tenerissimo ricordo di Peggy che cenava con noi, felice per la sua vacanza toscana. Facile ricordare Stefano Arrigoni e l’Osteria della Brugghiera (Villa d’Almè) per le sue Pappardelle al ragù d’anatra, per i Fritti p ((toscano e di mare), per le Acciughe con c peperoni alla brace e pane toscano al pomodoro, per tante altre cose e per il nuovo Tortino di cioccolato al riso soffiato. Impossibile dimenticare Frosio (Paolo e Camillo, in Almè) e la loro, rispettivamente, cucina e cantina: Tortino di cipolle con tartufo nero di Bracca, le Frittelle di carciofi e burrata, gli Spaghetti con acciughe e briciole di pane, i Petti di quaglia con purea di patate, l’Agnello da latte in manto di olive taggiasche e carciofi, tutto quello che propone Camillo nel bicchiere. E, parlando di Frosio, ecco anche la presidente Nilla e Luisa, su al Posta di Sant’Omobono: Nilla mi vizia e mi fa trovare gli Gnocchi. Anche Peggy andava via bene e tra le polpette valdimagnine col sugo e le crocchette light non aveva dubbio alcuno sulla scelta. Due ricordi di Tagliata con le verdure: uno è di diritto per la Trattoria Visconti di Ambivere (Fiorella con Giorgio e il sempre più bravo Daniele) insieme alla mitica giardiniera di casa. L’altro, recentissimo, è per La Griglia, ristorante di Terranova dei Passerini, nel lodigiano: cioè come mangiare bene a prezzi così onesti da risultare imbarazzanti. Mi mancano le Foiade al ragù e il Fegato con le cipolle rosse di Beppe del Giubì di Almenno San Bartolomeo; la Zuppa di cipolle di Mario e i dolci di Giovanni del Collina, stessa località. Mi manca anche altra roba e, con la promessa che rimedierò se ho dimenticato qualche ricordo, vi invito ad affrontare il prossimo periodo di festività con animo sereno e ricco di buone intenzioni. E con la voglia di dividere insieme momenti di gioia. Se mi avete mandato a quel paese, avete tutta la mia comprensione.
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FOCUS di Laura Bernardi Locatelli
Mise en place, se ne vedono di tutti i colori. E forme Dai piatti ai calici, dalle tovaglie alle posate, è sempre un festival di geometrie e design. Pezzotta (Ros):“L’ansia di rinnovamento c’è, ma oggi si è ridimensionata”. Ecco le ultime tendenze
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iatti da giganti con geometrie e scanalature che assecondano come un capriccio ogni portata, posate da vatussi e calici da Gulliver abbinati a tovaglie lillipuziane, dall’americana ai runner, che lasciano il tavolo nudo a metà e bicchieri colorati che soppiantano brillanti cristalli per l’acqua. La tavola del nuovo Millennio spesso stupisce, a volte esasperando il design nella ricerca di nuove equazioni della bellezza: dall’alta alla media ristorazione non
esiste sala che non ne abbia subito negli ultimi cinque anni il fascino contagioso. Ma la crisi ha cominciato a portare con sé quel bisogno di rassicurante appiglio al gusto senza tempo che privilegia il semplice al sontuoso, l’elegante all’esibizionista, il duraturo al mutevole. Purché si trovi il giusto compromesso: il classico parli contemporaneo e il designer porti sì innovazione e nuove geometrie, ma con garbo. Sembra ormai archiviata l’era massimalista e frenetica di arricchire di
Ivan Pierinelli
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Sergio Pezzotta
continuo la tavola con complementi di tendenza, dal piattino triangolare a quello quadrato, per stupire la clientela: “Un’ansia di rinnovamento che oggi si è un po’ ridimensionata e, se prima raggiungeva quasi tutti i segmenti della ristorazione, oggi rappresenta un fenomeno d’elite. L’alta e la medio-alta ristorazione continuano ad innovarsi e a cercare soluzioni più congeniali alla presentazione scenografica dei piatti e dai materiali pregiati, dalla Bone-China alla porcellana più fine, senza rinunciare al design - spiega Sergio Pezzotta, amministratore di Ros, azienda di Zanica specializzata nelle forniture alberghiere -. La clientela più attenta a contenere i costi acquista piatti più comuni in porcellana classica che mantengono prezzi davvero competitivi”. Per dare un’idea dei costi, un piatto comune di porcellana da 24 cm di
diametro costa 1 euro, un piatto in Bone-China (porcellana finissima arricchita di frammenti di ossa animali polverizzati che conferiscono un colore avorio naturale) costa 7 euro, cifra che sale a 17 euro per la versione quadrata e fino a 23 euro per quella rettangolare; non mancano piatti particolari pasta-Bowl venduti a 13-14 euro. “Negli ultimi anni il mercato sta evidenziando una spaccatura tra la fascia medio-alta, che continua a migliorare, e la fascia medio-bassa, costretta a “retrocedere” e che per far quadrare i conti sceglie prodotti più pratici. La fascia media sta facendo delle scelte di posizionamento nel mercato che vanno a spezzare in due quello che fino a qualche anno fa rappresentava un tessuto più omogeneo”. Un cambiamento importante riguarda bicchieri e calici:“I bicchieri colorati in vetro soffiato per l’acqua sono una vera e propria tendenza, ma anche i calici da degustazione sono curati sia nell’aspetto estetico che nella funzionalità: non hanno più steli lunghissimi, che li rendevano poco maneggevoli, ma hanno un design più compatto e pratico. C’è più attenzione da parte della clientela al materiale: il “cristallino” (il termine tecnico è “vetro sonoro superiore”) va per la maggiore, a scapito del vetro”. Altro vero e
proprio trend della ristorazione, specialmente del banqueting, è il finger-food assecondato da accessori e contenitori d’ogni sorta:“Per la presentazione dei finger ci sono veri e propri “palchi” ed alzate in plexiglass, piramidi d’acciaio con posate luccicanti dall’effetto-specchio, bicchierini, cucchiai ritorti”. Dopo il sottovuoto sta prendendo piede la cottura in vaso e alla nuova tecnica di cottura s’accompagna la mise en place, con vasi che vengono portati direttamente in tavola, corredati di cucchiaio o posata finger, per ricordare il gesto furtivo di quando si rubava la marmellata alla nonna. Quanto alle posate continuano ad essere più lunghe dell’ombra delle tradizionali per servirsi da piatti diventati sempre più grandi, con dimensioni un tempo riservate solo al segnaposto (31-32 cm) che, per lo stesso gioco di proporzioni, ha diametri importanti, che vanno dai 33 ai 35 centimetri. “L’ultima novità, che ha impazzato ad Host, è il trattamento “pvd” per la posateria - spiega Ivan Pierinelli, direttore vendite di Ros -.A differenza dell’argentatura non è una pellicola che riveste l’articolo, ma uno speciale processo galvanico realizzato in ambiente ad atmosfera controllata che permette al colore di penetrare nella microporosità dell’acciaio. Il risultato è una maggior durezza
della superficie e la possibilità di ottenere colori diversi, lasciando inalterata la lucidità dell’acciaio. Attualmente proponiamo la versione oro, argento e nero, ma la personalizzazione non ha limiti”. In gran auge anche le cloche: “Vengono utilizzate soprattutto per gli aperitivi e amplificano l’effetto sorpresa se, tolto il coperto, si è invasi dal fumo dell’affumicatura espressa o dell’azoto liquido”, aggiunge Sergio Pezzotta.A cambiare totalmente aspetto sono le tazzine da caffè: “I piattini sono diventati mini-vassoi per ospitare piccola pasticceria e cioccolatini; lo stesso cucchiaino da caffè è spesso e volentieri ritorto, appoggiato al bordo della tazza, con l’effetto scenico d’essere sospeso nel vuoto”. Piccola rivoluzione anche nei segnaposto: dalle lastre d’ardesia ai piatti hi-tech con lastra scalda-vivande (alla Ros sono in esposizione dei campioni), fino al ritorno al passato e ai sottopiatti in peltro, con ampia scelta dal più classico al più moderno.Tra gli accessori e i complementi da tavola, vanno alla grande i macina-sale - con tutte le varietà dal nero di Molokai delle Hawaii al rosa dell’Himalaya - e i macinapepe, anche in questo caso rigorosamente trasparenti, in plexiglass o cristallo, per lasciar scegliere al cliente la varietà di sale e pepe preferita.
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La mise en place interpretata da tre Anteprima, vince il classico ma non manca lo stile americano Nulla viene lasciato al caso in questo innovativo tempio della cucina, insignito della stella Michelin. Per creare una perfetta armonia nella sala sono state studiate in collaborazione con gli architetti due mise en place diverse per la sala e l’ambitissimo tavolo all’interno della show-kitchen, un ambiente iper-tecnologico, dal calore e dall’intimità della cucina di casa. Chi ha la fortuna di accaparrarsi il tavolo per due nel regno di Daniel Facen troverà tovagliette americane rosso-bordeaux, in contrasto con il cristallo del tavolo a forma di goccia - motivo che affianca sempre il logo, la A, di Anteprima - e il bianco del pavimento e porcellane studiate per presentare in modo sceno-
grafico e con gusto le portate del percorso creativo show-cooking. Ispirazione più classica per la sala, che si affaccia sulla cucina hitech, cuore del locale: tavoli rotondi con tovaglie in cotone rase al pavimento di colore ecrù, segnaposto in ceramica con lastra di rame dall’effetto cangiante di Rosenthal, che richiama i colori delle lampade dorate di Catellani & Smith e dei vasi di design color oro e rame, con composizioni floreali. Carlo Pierato, maitre, cura in ogni dettaglio la sala: tovagliolo presentato in cesto di vimini, posate in argento, piatti in porcellana bianca o in vetro trasparente, a seconda della portata. Originale il servizio della piccola pasticceria e cioccolateria che accom-
pagna il caffè (servito in tazze a goccia dorate all’esterno, sempre di Rosenthal), all’interno di una scatola a libro con la serigrafia e i colori di Anteprima, chiuso da un fiocco di raso: un omaggio da portare a casa a fine pasto.
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Lio Pellegrini, l’estro di Giuliano si vede anche a tavola Una filosofia post-moderna ben orchestrata quella di Giuliano Pellegrini, che affida al suo gusto personale la direzione dei suoi tavoli, uno diverso dall’altro. “Ogni tavolo ha la sua personalità. Dare ad ogni angolo del mio locale un elemento distintivo è tra i capisaldi della mia filosofia. Lavoro sui dettagli e sui pezzi singoli, con la passione e lo sfizio del collezionista”. Centritavola diversi l’uno dall’altro, secondo la stagionalità e l’estro del momento, segnaposto studiati per ogni tavolo, dall’antica porcellana francese al piatto hi-tech. Così come alle pareti vengono affiancate all’opera fotografica contemporanea carboncini di Pietro Arrigoni e non mancano oggetti e suppellettili della più svariata fattura, posizionati ad arte nel locale. Sempre presenti i fiori: composizioni che seguono la stagionalità, rispettando il design dei vasi, dal moderno all’antico, e le proporzioni del tavolo. Posate d’argento Christofle o di alpaca argentata, tovaglie di lino o fiandra, bicchieri colorati per l’acqua, piatti rigorosamente bianchi, anche se con decori diversi, e calici da degustazione in cristallo. La vera novità di
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Giuliano Pellegrini si scova sul web: il sito del ristorante (www.liopellegrini.it) ospita infatti un negozio on-line dove viene messo in vendita tutto il necessaire per la mise en place, dai piatti ai bicchieri, ai vasi, oltre ad una miscellanea d’articoli che spazia dalla lanterna al corbello in legno, dalla gabbia con mangiatoia alla bussola. È possibile acquistare vasi mono-fiore, in pietra smaltata, in cristallo, damascati, bicchieri in vetro, piatti di Limoges, coppette di Soiz e piatti con testina d’angelo in rilievo. Chi vuol scovare qualche idea bizzarra o originale può farlo con un click comodamente da casa.
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grandi ristoranti Osteria di via Solata, anche i mancini hanno le loro posate Ezio Gritti, supportato dalla sensibilità e dall’occhio femminile e attento di Nadia Capoferri, responsabile della sala, ama curare ogni dettaglio nel suo ristorante. Basti pensare che è l’unico locale in Italia che ha fatto realizzare appositamente da un orafo milanese posate in argento per tutti gli ospiti mancini del ristorante.“È un gesto molto apprezzato da tutti coloro che impugnano la penna con la sinistra, specialmente per alcuni “pezzi” del mio servizio, come il cucchiaio da salsa e il coltello da pesce, che semplificano in modo incredibile la vita a tavola di tutti i mancini”. Ogni tavolo è interpretato dallo chef-patron come se fosse un mondo a sè, garantendo un’armonia d’insieme: così la tovaglia di lino, affianca quella di fiandra e quella impreziosita dal pizzo, all’americana del tavolino per due - il più ambito del locale - per mettere in mostra la bellezza del legno antico. La mise en place è semplice, elegante ed essenziale: segnaposto in argento con centrino in pizzo ricamato dalle suore di clausura di Zogno, tovagliolo in lino chiuso da un nastro di raso (il colore dipende dal periodo: giallo a Pasqua, verde in primavera, bordeaux a Natale, rosso-fuoco a San Valentino) e bicchiere dell’acqua in vetro soffiato “volantino”. Le posate - rigorosamente d’argento - vengono portate solo dopo l’ordinazione, così come i calici da degustazione, abbinati al vino. Semplice ed elegante la scelta delle porcellane, porcellana finissima o bone-China, dal gusto classic.“Il piatto deve essere un supporto neutro” che parla contemporaneo. Non mancano al riguardo dettagli come il vaso ermetico in miniatura usato per servire una bavarese al lime e lampone, il bicchiere in policarbonato soffiato a bolla per servire un gelato al caffè appena montato. Immancabili le composizioni floreali, diverse per ogni tavolo, così come i vasi e le candele (è possibile trovare il candelabro antico come quello moderno). Inoltre, ogni tavolo viene personalizzato a seconda dell’idea del momento: dalle bibbie della gastronomia - da Bocuse a Ducasse - lasciate sul tavolo ai giocattoli in legno a foglie autunnali.
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TOVAGLIE E CORREDI
La comodità e il risparmio del noleggio La scelta di ristoratori e albergatori sposa sempre più frequentemente, per non dire esclusivamente, il servizio di noleggio della biancheria da tavola, che risolve gran parte dei problemi logistici della gestione.
“Dove il lavare è arte” accontenta anche gli audaci La società di Paladina offre un servizio di noleggio biancheria per tutti i gusti, con una clientela che spazia dalla trattoria ai ristoranti stellati. Inaugurata nel 1914, l’azienda propone biancheria per la tavola di cotone, fiandra, misto-cotone, con possibilità di personalizzazione. A linee intramontabili, dai tovagliati semplici di cotone o fiandra in bianco, ai quadrettati per la ristorazione più conviviale, affianca linee di tendenza o filati pregiati realizzati ad hoc. In questo momento riscuotono particolare successo colori naturali come l’avorio e l’ecrù che si sposano perfettamente al bianco, vero e proprio trend dell’interior-design degli ultimi anni. Ma tra i clienti non mancano gli audaci, pronti a stendere con disinvoltura tovaglie dorate o particolari per stupire i propri ospiti. via Ghiaie, 3 - Paladina tel. 035 637552
La Padana “vince” col tris che segue le stagioni La Padana di Bariano è il fornitore leader di pizzerie e trattorie. La proposta che va per la maggiore offre un tris di tovaglie, da cambiare a seconda della stagione: blu (estate), rossa (Natale) e gialla (Pasqua), con tovagliolo e coprimacchia abbinati. Ogni tovagliolo viene imbustato ermeticamente, garantendo l’assoluta igiene. La Padana offre alla ristorazione dei grandi numeri una scelta di tessuti, a seconda delle esigenze: dal cotone puro al cotone poliestere al lino.“Sta riscuotendo particolare successo il cotone-poliestere che offre una qualità visiva migliore e mantiene più a lungo la sua brillantezza - spiega Pino Pisacane -. Quanto all’estetica, si sta tornando alle stampe più classiche, con motivi floreali o geometrici e alla classica tovaglia con fascia rasa bianca”. Quanto ai numeri, invece, la sofferenza della ristorazione alle prese con la crisi, si fa sentire anche sui fornitori: “A parità di clienti registriamo una flessione del mercato pari al 9%. In questo periodo stiamo anche subendo la concorrenza della carta che, pur non garantendo un risparmio considerevole, è in crescita”. via Vecchia Fornace, 24 - Bariano tel. 0363 957522 - 800 825174
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BOTTA E RISPOSTA
Le troppe differenze del Moscato di Scanzo, la replica del Consorzio di Tutela E
gregio direttore il Consorzio Tutela Moscato di Scanzo con il presente intervento prende posizione in ordine all’articolo apparso sulla sua rivista nel mese di ottobre del 2009 a firma di Enrico Rota e dal titolo “Le troppe differenze del Moscato di Scanzo”. Quanto affermato dall’articolista rende necessario un intervento chiarificatore attese le inesattezze dallo stesso esplicitate nel suo intervento. È vero che ognuno può far conoscere la propria opinione e il proprio pensiero in ordine alle tematiche su cui ritiene di intervenire, ma è altrettanto vero che l’organo preposto per legge alla tutela, come nel caso di specie, ha il diritto di replicare evidenziando le inesattezze, a tacer d’altro, in cui è incorso il signor Enrico Rota, le cui affermazioni vanno ricondotte più a un ambito soggettivo che oggettivo. Una corretta informazione nel caso di specie va al di là di una ricerca della verità, atteso che riguarda un prodotto di larga diffusione e consumo, per cui è necessaria una corretta conoscenza da parte del consumatore. È fuori di dubbio che la fase dell’appassimento, per un vino quale il “Moscato di Scanzo” assume un valore focale e baricentrico nella produzione stessa, di qui l’attenzione di studi portati avanti dall’Università di Milano e favoriti e seguiti dallo stesso Consorzio. Le diverse esperienze sono state poi oggetto di confronto e verifica sempre con il solo scopo di ottimizzare una produzione di per sé antica, radicata nel tempo e nelle consuetudini e nella stessa cultura dei produttori. Secondo il signor Enrico Rota l’appassimento “condizionato”, cioè in ambienti ove è controllata la temperatura e l’umidità consente di ottenere un prodotto di più alta qualità. Tale affermazione,
peraltro sfornita di un qualsiasi riferimento scientifico e probatorio, si baserebbe soltanto su un’esperienza enotecnica e soggettiva dell’articolista. I vini passiti hanno nel processo ossidativo solo uno degli aspetti tipici della loro lavorazione e a nostro parere non è questo quello di particolare importanza. Altre sono le caratteristiche prioritarie, quali la concentrazione degli aromi, delle sensazioni acide e i processi di modificazioni biochimiche che l’appassimento, soprattutto naturale, porta con sé. Questo vale soprattutto per quanto riguarda il “Moscato di Scanzo” che possiede un ricco corredo polifenolico e che non sviluppa particolari sentori ossidativi. Che la fragranza di un vino non dipenda solo dalle ossidazioni è indubbiamente cosa nota, basta pensare alla fragranza che portano tutti quei vini a matrice ossidativa anche molto spinta che fanno parte del panorama enologico mondiale. Ci sentiamo inoltre di affermare che detta sensazione dipende in modo assolutamente trascurabile dalla tecnica di appassimento, e in modo molto evidente dalla successiva tecnica di vinificazione. Ci piacerebbe che la paternità dell’appassimento forzato fosse bergamasca, ma purtroppo non è così; all’inizio della nostra esperienza consortile avevamo visitato (fine degli anni 70) le camere di appassimento dei colleghi produttori di Amarone proprio per cercare di mettere a punto un’efficace tecnica di appassimento per il “Moscato di Scanzo” e prova ne sia che le aziende che
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hanno adottato il sistema “condizionato” si sono rivolte a ditte specializzate di quell’area. Comunque ciò che più sconcerta nell’affermazione dell’articolista è il ritenere il prodotto ottenuto dall’appassimento condizionato superiore a quello ottenuto dall’appassimento naturale. Ci sentiamo di smentire categoricamente le affermazioni del signor Enrico Rota e comunque siamo disponibili, come Consorzio ad organizzare una serata di degustazione alla presenza di enologi, membri dell’AIS, ONAV con prodotti di più annate di diverse aziende e con metodi di appassimento naturale o condizionato; invitando a riconoscere quali dei vini in degustazione derivino da appassimenti condizionati o naturali. Da ultimo, ma per noi di primaria rilevanza, è l’inaccettabile affermazione dell’articolista là dove accomuna il “Moscato di Scanzo”, dal 2007 D.O.C.G, ad altri prodotto definiti “Valcalepio Moscato passito”. E’ bene ribadire, anche in questa sede, e come già ampiamente riconosciuto da sentenze del Consiglio di Stato, che il “Moscato di Scanzo” nulla ha a che vedere con altri prodotti che si fregiano del nome “Valcalepio Moscato Passito”. E’ chiaro, noto e provato, che il “Moscato di Scanzo” ha una sua peculiarità unica e ben diversi sono i prodotti che vanno etichettati con il nome “Valcalepio Moscato Passito”. Il voler accomunare i due prodotti evidenzia un non conoscere in modo approfondito sia sotto il profilo eonologico che sotto quello storico culturale il “Moscato di Scanzo D.O.C.G.” Ringraziando per l’ospitalità si porgono i migliori saluti. Consorzio Tutela Moscato di Scanzo il presidente Paolo Bendinelli
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gregio Direttore mi riferisco all’articolo a firma di Enrico Rota, che compare sul numero della vostra rivista del mese di ottobre. Dopo aver letto l’articolo, ancor più mi convinco che è ancora diffusa l’abitudine di esprimere giudizi sul come dovrebbe essere il Moscato di Scanzo, non suffragando questo loro giudizio di una seria ed approfondita analisi del prodotto. Con questo non intendo affatto togliere la parola a nessuno, anzi, sotto certi aspetti ben vengano le osservazioni e le critiche, ma serie e costruttive, non limitate al solo punto di vista personale, anche se espressa da fonte autorevole, come nel presente caso, che non risulta frutto di una ricerca e da un’analisi professionalmente corretta. La mia
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risposta si limita solo a riportare, in forma riassuntiva, ciò che la Commissione Ministeriale e la Commissione di Degustazione, quest’ultima nominata dall’Ente Nazionale per le Denominazioni di Origine, composta da esperti in materia giunti da tutta Italia, hanno espresso, in sede di riconoscimento della D.O.C.G., dopo l’analisi di tutti i prodotti sottoposti all’esame (cinque bottiglie di tre annate diverse e consecutive 2002,2003 e 2004, per ogni produttore) “omissis...si riconosce che il prodotto ha una sua omogeneità che lo distingue, pur in presenza di particolari variazioni tra zona e zona di produzione e tra azienda e azienda, che lo caratterizzano…”
gregio presidente Bendinelli nel leggere la sua lettera scopro di aver suscitato grande interesse e qualche malumore. Resto convinto di aver semplicemente messo in rilievo un dato che ritengo oggettivo, ovvero le troppe differenze che esistono tra i Moscati di Scanzo, senza aver mai affrontato il tema della qualità stessa, concludendo che le differenze nascono da diverse filosofie produttive dei singoli viticoltori. Ho sempre pensato che l’appassimento fosse solo naturale e che esiste la possibilità di modificare le caratteristiche fisiche dell’ambiente di appassimento, variando la temperatura e l’umidità, solo quando le condizioni esterne lo richiedono (aiutando di conseguenza il produttore a non risentire delle variazioni climatiche anomale), ottenendo quindi un risultato certo. Tralascio il punto di vista enologico non riuscendo a comprendere l’oggetto del contendere e lascio volentieri ad altri lettori la possibilità di dibattere. Mi preme solo puntualizzare che nella ricerca da me effettuata ho potuto rilevare che il Moscato di Scanzo nel 1993 faceva parte della DOC “Valcalepio” con la denominazione “Valcalepio Moscato passito”. Poi, nel 2002, i produttori di Scanzorosciate hanno ottenuto una denominazione autonoma. Non pensavo bastasse questo a rendere i vini così diversi. Ritenevo che avendo la stessa uva di provenienza (il Moscato di Scanzo), qualcosa di simile tra loro ci fosse. Quanto a Lei, direttore Fumagalli, ho letto e riletto la sua replica e non nascondo il mio sconcerto. Scopro infatti di
Ogni giudizio e commento degli esperti, del momento, credo, debba cedere il passo a quanto autorevolmente espresso in quella sede. Ciò non toglie che ogni seria indicazione non sia la benvenuta. Ricordo che il primo a non dormire sugli allori è proprio il Consorzio, di cui sono Direttore, che prosegue, fra l’altro, negli studi verso l’ottenimento di un unico clone di base (oggi sono tre), il tutto per continuare a percorre la strada del miglioramento del nostro Moscato. Nella speranza che la presente venga pubblicata dal suo periodico le porgo cordiali saluti. Consorzio Tutela Moscato di Scanzo il direttore Arch. Corrado Fumagalli
aver espresso “giudizi non sostenuti da una seria ed approfondita analisi del prodotto” e avanzato delle “osservazioni e critiche che non risultano frutto di ricerca ed analisi professionalmente corrette”. Caspita. Dalla mattina alla sera sono diventato impreparato e superficiale, propenso ad esprimere giudizi poco seri e costruttivi, così presuntuoso da non aver “ceduto il passo” al parere della Commissione! Come ho potuto spingermi a tanto, considerarmi un operatore professionalmente preparato, che studia ed esamina il tutto prima di esprimersi? C’è voluto Lei per svegliarmi da questo bel sogno e richiamarmi alla brusca realtà. E pensare che nel mio intervento non ho mai messo in discussione il parere di Commissioni o Enti vari, ma ho solo dato rilievo - come ho già accennato - alle troppe differenze che esistono tra i vari Moscati di Scanzo, argomento sul quale Lei però si guarda bene dal rispondere. Il consumatore merita delle risposte. Questo era il senso del mio intervento. Ribadisco, a lui dobbiamo spiegare la differenza di colori, sapori e prezzi: per chi il mercato lo vive tutti i giorni, come il sottoscritto, questo è fondamentale. Infine, una considerazione sul clone unico: ho sempre pensato che la variabilità all’interno di una specie fosse sinonimo di qualità. Noto invece che la vostra ricerca va in direzione opposta. Ne prendo atto, ma mi sia consentito di non reputarla una scelta vincente. Enrico Rota
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LA COPERTINA di Laura Bernardi Locatelli
Gianluca Fusto svela i “segreti” del cioccolato Maestro riconosciuto della materia, una solida esperienza acquisita in giro per il mondo, il celebre pasticcere fa tappa all’Accademia del Gusto di Osio Sotto. La sua filosofia? Ce la spiega lui in questa intervista
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pensare che l’ambasciatore italiano del cioccolato, Gianluca Fusto, giovane chef pasticcere milanese, classe 1975, impegnato a formare nuovi talenti del dessert in tutta l’area mediterranea, ha finito col subire il fascino dell’“oro bruno” solo da professionista blasonato e non da bambino.“Nel ‘97, lavorando a fianco di Aimo e Nadia Moroni, sono stato contagiato e irrimediabilmente travolto da questa passione che non mi ha mai abbandonato - spiega Fusto -. Ho iniziato ad esplorare l’universo del cioccolato in lungo e in largo. Nel 2000 ho visitato per la prima volta le piantagioni di cacao in Brasile, il primo di tanti viaggi alla scoperta di cru in tutto il mondo. Ho seguito la scuola di Frederic Bau e sono entrato a far parte della famiglia Valrhona con cui ho collaborato per anni, curando la formazione e la ricerca e sviluppo dell’importante maison du chocolat francese. Recentemente ho scelto di mettermi in proprio, fondando la “Gianluca Fusto Consulting”: la mia società fa formazione in 12 paesi diversi, coprendo tutta l’area mediterranea, da Milano ad Abu Dhabi. Una società che spazia dalla consulenza per la carta dei ristoranti ed hotel blasonati fino alla realizzazione di eventi aziendali e che trova nel “fare cultura” sul cioccolato la sua mission”. Ecco, qual è la sua filosofia? “Vivo la pasticceria e l’universo del cioccolato a tutto tondo, con grande rispetto verso questo prodotto. La mia filosofia è quella di celebrare con orgoglio il gusto e la cultura italiana, senza perdere di vista il valore di ingredienti
che scovo o scopro durante i miei viaggi. La filosofia della mia pasticceria poggia su tre capisaldi presenti in ogni mia ricetta: un ingrediente straniero, più o meno esotico, uno italiano, abbinati al cioccolato o ad un terzo ingrediente per trovare la quadratura del cerchio” Che ruolo può giocare il nostro Paese nell’ambito del cioccolato? “Non ci manca davvero nulla. L’Italia è la più invidiata al mondo per la ricchezza, la qualità e la varietà delle sue materie prime. Non esiste regione in Italia che non abbia prodotti eccellenti. Ogni mia ricetta celebra sempre un prodotto italiano, dalla liquirizia calabrese al pistacchio di Bronte, dalle mandorle di Avola alle nocciole romane e all’anice verde marchigiano. Noi abbiamo giacimenti golosi da far invidia a qualsiasi paese della terra e che vanno valorizzati. È questo il mio impegno nella realizzazione d’ogni dessert che non rinuncia ad attingere dal nostro territorio materie prime eccellenti. Oggi sarebbe interessante allargare i nostri orizzonti per cercare nuovi connubi con ingredienti poco utilizzati, ma assolutamente eccezionali. E invece continuiamo a trovare abbinamenti con spezie, frutta fresca, quando sarebbe interessante abbinare rose, violette, tè”. Come si giudica un cioccolato eccellente? “Bisogna sempre tener conto dei precursori aromatici che cerchiamo in un prodotto. È solo assecondando il gusto personale che ognuno avrà il cioccolato soggettivamente eccellente. L’eccellenza oggettiva è prerogativa di
IL CORSO BASE
A dicembre 12 ore di full-immersion Il 2009 si chiude in dolcezza all’Accademia del Gusto con il nuovo “Corso base di cioccolateria” (in ciocc programma il pro 14 e 15 dicembre, per un tobr tale di 12 ore di full iimmersion): viaggio goloso per un viagg desidera realizzare chi desider
con le sue mani cioccolatini e praline. Il cibo degli dei parla così ai sensi e lascia trapelare i suoi segreti. Gianluca Fusto sale in cattedra per mostrare le tecniche di preparazione e presentazione di uno dei prodotti più amati nel mondo, dai tartufi alle praline, dalle tecniche di stratificazione all’esecuzione dei prodotti. Un docente d’eccezione, impegnato a diffondere
12 Affari di Gola novembre 2009
la cultura del cioccolato in tutto il mondo. Fusto inizia il suo percorso professionale a Parigi con l’incarico di commis saucier e garde manager al ristorante Il Cortile dell’Hotel Castille sotto la guida di Alberico Penati. Rientrato in Italia, lavora presso il Bistrot di Gualtiero Marchesi con l’incarico di pasticcere per poi trascorrere circa due anni (dal ‘95 al ’97) al ristorante La
Servizio fotografico Carlo Baroni
qualsiasi prodotto di qualità. Il cioccolato è un prodotto che sa regalare grandissime emozioni. Proprio per questo l’abilità tecnica non può essere disgiunta dalla sensibilità e dalla memoria, l’anima di ogni ricetta”. Quali sono i cru che preferisce? “Venezuela, Santo Domingo, Ecuador e Caribe sono i miei preferiti. Ma adoro il cioccolato in tutte le sue declinazioni. Due anni fa ho riscoperto la bontà del cioccolato al latte... Insomma, la mia è una passione a tutto tondo” Tre parole per descrivere cosa rappresenta per lei il cioccolato... “Emozioni, serenità e piacere”. È famoso il suo impegno per coniugare golosità e benessere, dalle intolleranze alimentari al diabete... “Vengo da una famiglia di diabetici: 4 persone su 5 sono affette da questa patologia, che come tutti sappiamo prevede prove glicemiche da fare ogni giorno, con risultati che variano molto in relazione all’assunzione di determinati alimenti. Così ho deciso di impegnarmi per catalizzare l’attenzione dell’arte pasticcera verso tutte le persone che hanno dei limiti alimentari, per intolleranze od altre patologie. Il piacere e le emozioni che un dessert sa regalare non vanno negati a nessuno. È importante mettere il know-how a disposizione per creare una nuova sensibilità verso queste problematiche”. Quali sono le ultime tendenze della cioccolateria? “La mia collezione di Natale rispecchia appieno la mia filosofia e celebra il minimalismo: ho studiato non solo l’aspetto estetico, ma anche il gusto. Ho fatto realizzare stampi microscopici, da 4,5 a 8,5 millimetri, triangoli, quadrati ed altre forme geometriche per sfaccettare il gusto e per fare sprigionare il piacere che un cioccolatino può offrire. Spezie, the verde, liquori, radice fresca di lemon grass, gomma di caucciù e fava di tonka si sposano a prodotti d’eccellenza italiani, per esaltare cru speciali selezionati in tutto il mondo”. Scaletta di Aldo Bellini a Milano.Tra il 1997 e il 2000 lavora da “Aimo e Nadia”, a Milano. Il percorso di formazione prosegue negli Stati Uniti dove, nel 2001, lavora come chef pasticcere al ristorante “Valentino” di Piero Selvaggio, all’interno del Venetian Resort Hotel di Las Vegas. Con lo stesso incarico si trasferisce all’Hotel Mirador di Mont-Pelerin in Svizzera. Nel 2003 torna in Italia, al Grand Hotel Villa Serbelloni, a Bellagio, e al Ristorante Cracco a Milano. Da gennaio 2004, dopo lunghi mesi di training sotto la guida di Frederic Bau, lavora in esclusiva per Valrhona, coordinando corsi di aggiornamento presso i laboratori e le cucine dei più importanti chef, pasticceri ed artigiani. Oggi, fondata la “Gianluca Fusto Consulting”, offre consulenza e formazione.
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IL DIBATTITO di Enrico Rota
Chi criminalizza il vino condanna una risorsa Bisogna smetterla di considerare ubriaco chi ha bevuto appena due bicchieri. Non è con il proibizionismo che si risolve il problema di chi abusa dell’alcol prima di mettersi alla guida
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n queste ultime settimane è tornata d’attualità la questione legata ai limiti del tasso alcolemico nel sangue, in particolare in riferimento al tanto discusso testo unificato sulla sicurezza stradale che di fatto confermerebbe l’attuale limite di 0,5 g/l, azzerandolo per i giovani sino a 21 anni, per i neopatentati e per i guidatori professionisti. Ora, tanto si è detto ed altrettanto si è scritto, alzando a destra e a manca barriere pro o contro, senza però aver attuato una analisi approfondita sugli attori nel mirino, che sono i consumatori. Interessante quindi partire, nella nostra riflessione, da un’intervista rilasciata dal ministro Luca Zaia al mensile Quattroruote: “Bisogna smetterla di considerare ubriaco chi beve due bicchieri: è in atto una criminalizzazione del vino che non ha senso e che sta uccidendo
uno dei comparti più pregiati del made in Italy. Il limite attuale è ragionevole e stradigerito dall’opinione pubblica. Non vedo perché dovrei rinunciare a bere con intelligenza e moderazione perché ci sono irresponsabili che si ubriacano”. Personalmente condivido questa affermazione. Non è con il proibizionismo che si risolvono i problemi. Se così fosse, in Italia non avremmo più tossicodipendenti o rapinatori. Tantomeno serve prendersela con i locali notturni. Si può, anzi si deve, per esempio, insistere nell’educazione al buon bere ed insegnare ai nostri giovani che ci si diverte di più se si è lucidi. Questo senza la presunzione di offrire in modo semplicistico le giuste soluzioni. Il tema è importante e molto grave per alcuni aspetti: va ulteriormente approfondito ed analizzato. Bisogna però pensare che l’attuale limite alcolemico di 0,5 è buono ed abbassarlo ulteriormente non cambierebbe nulla. Lo stesso rettore dell’Università di Verona, il professor Alessandro Mazzucco, ha anticipato alcuni dati di una ricerca che l’Istituto di Medicina Legale sta svolgendo su tutti gli incidenti stradali che si verificano in un anno nella provincia scalige-
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Enrico Rota consigliere delegato e responsabile vendite Italia della QUATTROERRE di Torre de’ Roveri (Bg) Per ulteriori informazioni scrivere a enrico@quattroerre.com
ra, dati che confermano quanto appena detto. Formazione ed informazione sono due grandi soluzioni. Parlare poi di vino quale sinonimo di alcool e quindi additarlo come causa di devastanti incidenti, è semplicemente sbagliato. L’approccio all’emergenza-abuso deve essere culturale, partire dalla famiglia. Poi si può intervenire con impedimenti appropriati, come il divieto di somministrare alcool nei locali pubblici ai minori di sedici anni (anche se poi questo serve a poco o nulla se si permette agli stessi di acquistare i superalcolici al supermercato). Meglio insistere nel far comprendere al consumatore quanto e quando può bere e fargli prevedere gli effetti negativi dell’abuso, il tutto senza demonizzazioni di sorta. Certamente questo è più difficile da costruire e i frutti si possono vedere solo nel lungo termine. Ma - e ne siamo straconvinti questa è la strada che deve essere battuta. Siamo tutti coinvolti, nessuno escluso. Sarebbe un vero peccato se per colpa solo di pochi imbecilli dovessimo bandire il vino dalle tavole dei nostri ristoranti. Quello dei due bicchieri di vino al giorno è un paradigma che nasce dalla filosofia mediterranea, forte di principi che tutto il mondo ci invidia e che dobbiamo difendere, partendo proprio dai nostri locali.
I menù dei ristoranti imparano le lingue Convenzione dell’Ascom per la traduzione delle liste in inglese, francese e spagnolo. Frosio: «Primo passo di un percorso dedicato all’accoglienza della clientela straniera»
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menù dei ristoranti bergamaschi sono pronti a diventare poliglotti, con una “dizione” perfetta dei piatti dall’antipasto al dessert in inglese, francese e spagnolo. È stata infatti siglata dall’Ascom una convenzione con la società bergamasca “Geakoinè” per la traduzione delle carte della ristorazione, così che l’universale bontà della nostra cucina possa presentarsi al meglio ad una clientela internazionale, con la massima cura e professionalità evitando a chi non mastica le lingue straniere la classica figuraccia del “maccheronicenglish”. Il progetto dell’Associazione Commercianti si chiama “Gustyamo in lingua”: le traduzioni dei menù saranno affidate a professionisti madrelingua, specializzati nel settore del “food”. La convenzione prevede, data la stagionalità dei menù, una consulenza per quattro carte all’anno, con prezzi che vanno dai 120 ai 240 euro. Un primo importante passo per accogliere con il tappeto rosso i turisti stranieri, con spiegazioni puntali dei nostri piatti e di specialità che hanno gusto solo se chiamate con il loro nome bergamasco, come gli “scarpinocc” di per sè intraducibili, ma che, se risultano tutto fuorché immediati ad un italiano, figuriamoci a chi viene a visitarci da Londra, Parigi o Madrid. La convenzione per le traduzioni sarà sottoposta agli oltre 500 ristoratori della provincia di Bergamo associati ad Ascom. «I turisti stranieri che visitano il nostro territo-
rio, dalla città alla provincia, sono in costante aumento e i nostri ristoratori non vogliono sentirsi impreparati - commenta Oscar Fusini, responsabile dell’area istituzionale e delle categorie dell’Ascom -. Abbiamo colto una richiesta d’aiuto da parte di alcuni nostri associati e l’abbiamo trasformata in opportunità per tutti». “Gustyamo in lingua” segna l’inizio di una vera e propria politica incentrata sul turismo: «È il primo passo di un percorso che ci vede impegnati nell’accoglienza di clienti stranieri che porterà a proporre a marzo, grazie alla collaborazione con Ascom Formazione, un corso di lingua inglese incentrato sul servizio e sull’accoglienza di una clientela internazionale dal ristorante al bar - spiega Petronilla Frosio, presidente del Gruppo Ristoratori dell’Ascom -. L’attenzione al cliente è da sempre il nostro primo pensiero, ma è bene non trovarci impreparati di fronte ad una clientela sempre più internazionale, grazie alla vicinanza all’aeroporto di Orio al Serio. La nostra città e la nostra provincia hanno grandi potenzialità turistiche e, considerato l’interesse che le istituzioni stanno dando a questo tema, sono certa che il turismo acquisterà un ruolo di primaria importanza.A questo appuntamento non vogliamo trovarci impreparati». Per maggiori informazioni i ristoratori possono contattare il numero 035 4120202.
LA MISSIONE
Vini bergamaschi sulle tavole americane Il tacchino del ringraziamento sulle tavole americane quest’anno potrebbe essere annaffiato anche dai vini della Bergamasca. Il progetto Piazza Italia, sostenuto da Ascovilo (Associazione dei Consorzi Vini Lombardi), dalla Regione Lombardia e dal ministero, ha infatti portato in diversi centri commerciali del New Jersey gli scorsi 4, 5 e 6 novembre
11 cantine e consorzi lombardi. Di scena anche le Denominazioni bergamasche Moscato di Scanzo e Valcalepio, e dietro l’organizzazione della manifestazione alcuni giovani imprenditori orobici: «Siamo molto fieri di aver presentato le eccellenze della Lombardia e del nostro territorio in particolare - dice Cristina Scarpellini della LC International
di Villa di Serio -.Abbiamo riscontrato una carenza di rappresentanza dei prodotti lombardi negli Stati Uniti e pensiamo di aver individuato una formula vincente per offrire ai nostri produttori una “vetrina” d’eccellenza su un mercato statisticamente ancora in espansione e, crisi nonostante, con buona capacità di spesa come quello americano».
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MESTIERI
È di Calcinate il salumiere più preciso E
rano 22, tutti decisi a dare prova della propria abilità professionale davanti ad una maxi mortadella che faceva bella mostra di sé nello stand dei Gastronomi Ascom alla Fiera Campionaria. Una sfida per i salumieri lanciata dalla Pia Unione San Lucio, storico sodalizio tra gli alimentaristi bergamaschi, a tagliare senza l’ausilio di bilancia e affettatrice, ma guidati solo dall’occhio e dall’abilità nell’usare il coltello, una fetta unica che si avvicinasse il più possibile al peso stabilito di 500 grammi. Una gara singolare e appetitosa, con tanto di tifo e goliardici sfottò da stadio,
che non ha mancato di incuriosire i tanti visitatori (contenti anche loro, dopo tanta acquolina, di poter assaggiare alla fine l’oggetto del contendere). L’ha spuntata il giovane Giorgio Dossi, salumiere di Calcinate, che ha tagliato una fetta “quasi perfetta”, del peso di 490 grammi. In seconda posizione i colleghi Enrico Rimoldini di Pedrengo (404 grammi), al terzo posto Lino Ronchi di Treviglio (644). Tra i cinque finalisti anche altri due giovani: Daniel Lanfranchi dipendente di Chiari Formaggi in città e Luca Pelis, allievo dell’istituto alberghiero di Nembro. L’iniziativa ha chiuso il
ricco programma di degustazioni e dimostrazioni che i Gastronomi Ascom hanno proposto nel corso della fiera, una serie di appuntamenti pensati per far conoscere i prodotti del territorio con anche un fine benefico. Alla distribuzione di assaggi e piatti caldi era infatti legata una raccolta fondi per l’associazione InOltre, che si occupa di persone con disabilità. Nella foto i finalisti della gara di taglio della mortadella organizzata alla Fiera Campionaria dall’Ascom. Da sinistra Daniel Lanfranchi, Enrico Rimoldini, Giorgio Dossi, il presidente della San Lucio Pierantonio Chiari e Lino Ronchi
Quattro farine e olio extravergine, ecco il “Pane per Bergamo”
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rofumo intenso, colore dorato, crosta croccante, interno soffice, gusto accattivante ma delicato. È il profilo del “Pane per Bergamo”, il prodotto vincitore del concorso promosso dalla Camera di Commercio in collaborazione con l’Aspan per creare una ricetta-simbolo del territorio e dell’arte bianca orobica.Ad aggiudicarsi il primo premio (la cifra per niente simbolica di 5mila euro) è stato Giacomo Zucca, quarantenne e quarta generazione di una stirpe di fornai a Casnigo, approdato in finale con due ricette e premiato per quella in cui ha miscelato semola rimacinata di grano duro, farina integrale, fumetto di mais (ossia farina gialla sottile ricavata dalla parte più interna del chicco), farina di grano saraceno integrale e olio extravergine di oliva. «Ho puntato su ingredienti di pregio e fatto molte prove – rivela il vincitore – per arrivare al giusto bilanciamento delle farine. Ne è nato un prodotto rustico, anche nella forma, ma allo stesso tempo legge-
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ro, grazie all’impiego dell’extravergine, che ben si accompagna ai pasti e alle farciture sia dolci sia salate». Gli altri finalisti, su un totale di 14 ricette in concorso, erano Ettore Gipponi dell’Antico Forno di Osio Sopra e Marcello Ghirardi dell’omonimo panificio di via Broseta in città. Ora la sfida di Aspan e Camera di Commercio è far adottare la nuova creatura dai panificatori, così che diventi davvero il “Pane di Bergamo”.
Giacomo Zucca ha vinto il concorso di Camera di Commercio e Aspan per la creazione di una nuova ricetta
PRODOTTI di Anna Facci
Il fascino esotico della frutta Non solo cocco, mango, papaia e avocado.Vegetali sempre più “strani” ani” arrivano nei negozi e nei supermercati. I grossisti bergamaschi: «Richiesti soprattutto dalle comunità etniche, solleticano anche cina»». i palati più curiosi e danno vita ad alcune contaminazioni in cucina». Alcuni come lime e ginger stanno guadagnando spazio
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ualcuno è più familiare, qualcun altro è talmente strano che senza le adeguate “istruzioni” non si riuscirebbe a capire cosa farne. Sono i prodotti della globalizzazione: frutti, bacche, verdure, tuberi e radici che negli ultimi anni, complici le migrazioni e l’accelerazione degli scambi su scala mondiale, è facile trovare tra i banchi del supermercato, dal fruttivendolo e nei negozi etnici. I più noti e consumati sono cocco, mango, papaia e avocado (fuori gara banane e ananas che hanno ormai conquistato il loro posto nella borsa della spesa e, per contro, quasi del tutto perso l’aura dell’esotico). Ma ci sono anche i “barbuti” rambutan, la scenografica pithaya, i profumati lime, il nodoso ginger, l’enigmatica yuca e tanti altri ancora: un nuovo mondo di forme e di sapori che non può mancare di incuriosire chi nel cibo cerca anche novità e cultura cultura. La crescita dell’interesse per le varietà che vengono da lontano è confermata da una visita al mercato ortofrutticolo cittadino, ricordando comunque che si sta parlando di una nicchia di prodotti (stimata attorno al 4% dei volumi complessivi di frutta e verdura venduti in
Italia), che solo pochi operatori, operatori i più grandi o chi ha deciso di specializzarsi nel settore, trattano con quantità e assortimenti significativi tutto l’anno. «Da circa dieci anni a questa parte - rileva Angelo Amaglio, socio dell’omonimo gruppo produttore, importatore e distributore di ortofrutta tra i primi in Italia, che produce direttamente ananas e mango e commercializza gli altri frutti esotici con i marchi Sheba e Selita – abbiamo cominciato ad ampliare la gamma dell’esotico, per rispondere soprattutto alle richieste dei cittadini extracomunitari che vogliono continuare mangiare i prodotti dei luoghi d’origine e a preparare i piatti della propria tradizione». È così che le referenze si sono moltiplicate e, in certi casi, hanno guadagnato spazi anche fuori dai gruppi etnici. Come sta avvenendo per il lime «che nei cocktail ha ormai soppiantato il limone», evidenzi evidenzia ginger/ Ottavio Amaglio, o per il ginger r/ zenzero apprezzato in cucina e supermernegli infusi. «Anche supermer rdimostracati e fruttivendoli si dimostra ano più attenti alle novità novittà – continua -. Sì, in n effetti possiapossiaache mo dire ch he
Ottavio e Angelo Amaglio
in tavola sta nascendo qualche contaminazione». C’è poi un periodo dell’anno in cui la frutta tropicale diventa protagonista. «A Natale il cesto esotico è ormai una tradizione – ricorda Angelo Amaglio –. È il periodo di picco nei consumi che corrisponde, tra l’altro, alla stagione di maggiore produttività nei Paesi d’origine e, quindi, a prezzi abbordabili». Ma che fascia di prodotti arriva a noi “dall’altro capo del mondo”? «Nell’esotico – spiega il responsabile qualità e prezzi di Bergamo Mercati, Andrea Chiodi – c’è un’estremizzazione del livello qualitativo. Non avrebbe senso, del resto, sostenere le spese che l’importazione da questi Paesi comporta, dal viaggio alla confezione, per dei prodotti di scarsa qualità. I controlli cui vengono sottoposti sono numerosi, c’è un’alta standardizzazione delle caratteristiche e un packaging molto accurato. Ciò vale soprattutto per la frutta – precisa -, mentre per le verdure, le erbe e le radici utilizzate dai gruppi etnici c’è ancora un po’ di confusione riguardo ai nomi e alle caratteristiche delle diverse tipologie». «È anche per via di questa alta “affidabilità” – prosegue – che la frutta esotica non è tanto abbondante qui al mercato. Il dettagliante, infatti, non ha bisogno di controllare di persona lo stato della merce e spesso gli basta una telefonata al fornitore per effettuare l’ordine».
In Bergamasca c’è però un posto dove l’esotico è protagonista indiscusso.Alla Mc Garlet di Albano Sant’Alessandro, leader nel mercato italiano delle forniture e una delle poche aziende in Europa ad avere rapporti diretti con i produttori in tutti i continenti. Negli uffici una parete occupata da orologi con i diversi fusi orari e nei 3mila metri quadrati di magazzino per la frigo-conservazione colori e forme dal mondo. «L’attenta osservazione dei cambiamenti sociali che stavano avvenendo con l’arrivo di cittadini stranieri, ma anche la maggiore tendenza degli italiani a viaggiare e a cercare di ritrovare i sapori conosciuti all’estero – spiega l’amministratore delegato Luca Garletti – ci ha portato a specializzarci nell’esotico una quindicina di anni fa, fino a diventare, dal 2006 una realtà indipendente rispetto alla storica impresa di famiglia, che opera sul mercato tradizionale». Se l’attività è di nicchia non vuol dire che non Andrea Chiodi possa essere ampliata. La leva su cui puntare sembrano essere le virtù salutistiche dei frutti esotici: «La papaina, enzima di cui è ricca la papaia, ha proprietà digestive – sottolinea Garletti -, la bormelina contenuta nell’ananas ha poteri antinfiammatori, l’avocado è ricco di acidi grassi insaturi e via dicendo. Non che siano solo questi i pregi dei
Conosciamoli meglio Non stupisce che siano così gettonati nei cesti natalizi. Alcuni frutti esotici sono talmente singolari nei colori e nelle forme da creare coreografie di indubbio effetto. Ma poi che sapore avranno? E come mangiarli? Ecco una piccola guida ai “tipi” più strani Rambutan Originario della Malesia, è anche conosciuto come “il litchi peloso”. Può essere facilmente sbucciato per accedere alla polpa, biancastra, traslucida e sugosa che circonda un singolo seme, non commestibile. Il sapore varia da dolce, delicato e fragrante a leggermente acido, a seconda delle varietà.
Pithaya Detta anche “frutto del dragone” è una particolare specie di cactus. Ne esistono due varietà, la gialla originaria della Colombia e la rossa proveniente dall’Asia.Tagliata a metà per la lunghezza, si consuma al naturale raccogliendo la polpa con un cucchiaino oppure con zucchero e limone o qualche goccia di liquore. Ha consistenza morbida e un gusto dolce ed aromatico.
Mangosteen Originario del Sud Est asiatico ha una buccia liscia, spessa e dura di colore rosso violaceo che racchiude una polpa bianca striata di rosa e lucida, divisa in sei-otto spicchi, succosa, profumata e dolce.
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prodotti tropicali, intendiamoci. Guastare questa frutta è prima di tutto un piacere. Se poi è un piacere che fa bene, meglio ancora». Sottolineare il valore salutistico può essere un modo per far passare in secondo piano il fattore prezzo? «Che l’esotico sia caro per via dei trasporti e della logistica è una leggenda da sfatare – dice senza mezzi termini -. I minori costi di produzione (nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente) consentono di contenere i prezzi. Nella nostra azienda abbiamo messo a punto un sistema di pesi garantiti e precise unità di misura che ci permettono di porre Luca Garletti in vendita giuste quantità a prezzi accessibili a tutti». Prontamente ribattuta anche la filosofia del “chilometri zero”. «Sulla sicurezza dei prodotti non ci sono dubbi – afferma –. Sono tutti controllati, certificati e trattati secondo i più avanzati sistemi di qualità. Per sapere, poi, se fa meglio alla nostra economia consumare solo cibi locali oppure no, basta guardare il peso dell’export alimentare italiano». Il vero handicap della frutta esotica è semmai la scarsa conoscenza «da parte dei consumatori, ma anche di chi vende», fa notare Garletti, per questo l’azienda non lesina sul materiale informativo, con accurate schede su origini, caratteristiche, utilizzo dei prodotti e ricette. In attesa di una crescita complessiva degli appassionati del genere, ci sono alcuni target ai quali il prodotto-servizio può presentarsi con maggiore appeal. «Pensiamo ai vegetariani, che in Italia sono un milione – rileva Garletti –, e ai celiaci, categorie che immaginiamo ben felici di trovare nuove proposte per la loro dieta».
In arrivo il primo negozio specializzato Un’idea della Mc Garlet di Albano, azienda leader nell’importazione e distribuzione Uno degli ostacoli al consumo dell’esotico è individuato nella scarsa conoscenza dei prodotti e capacità di proposta da parte del dettaglio, per questo la Mc Garlet ha deciso di occuparsi anche degli ultimi anelli della filiera rivolgendosi direttamente al consumatore finale con un locale dove proporre frutta esotica «come sappiamo fare noi». L’amministratore delegato Luca Garletti non svela troppi dettagli, anche se il progetto è omai al via. Si chiama Bananito, come il simpatico frutto, ed è un negozio con anche spazi per la degustazione e il consumo sul posto, con arredi che giocano sui toni naturali. Il prototipo aprirà nella sede di via Calipari ad Albano Sant’Alessandro, da dove potrebbe partire lo sviluppo di una catena. «Spiegare e far provare: così frutta e verdura tropicale possono conquistare nuovi estimatori», dice il promotore. «Si tratta solo di rendere familiari i prodotti così da riuscire poi a rendere accessibile un nuovo universo di sapori e cultura con cui arricchire la nostra alimentazione, la nostra cucina e la nostra ristorazione».
Meno appariscenti della frutta, le radici, i tuberi e le verdure utilizzati dalle comunità di immigrati possono rivelarsi ingredienti in più in cucina Manioca Conosciuta anche col nome di “yuca” o di “cassava” è una radice dalla forma allungata con buccia sottile. Fonte di carboidrati, si cucina come la patata, ma contiene più fecola. Può essere preparata lessa per accompagnare carne e pesce, oppure fritta, in deliziose crocchette.
Igname Chiamato anche yam, è il tubero d’una pianta rampicante. È uno degli alimenti più consumati nel mondo. Può essere di forma rotonda o oblunga. Si consuma come la patata.A seconda della varietà, la polpa, una volta cucinata, diventerà cremosa o rimarrà soda. Nel gusto è simile a determinate varietà della patata dolce, anche se è più terroso.
Okra Baccello di una pianta della stessa famiglia della malva e dell’ibisco, è coltivato anche in Italia. Il suo sapore sottile può essere confrontato a quello della melanzana. È utilizzato nelle minestre e negli stufati, una volta tagliato produce infatti una sostanza appiccicosa che funziona da addensante naturale.
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IL RISTORANTE di Lelia Parisi
“Ai Santi”, l’essenza del gusto
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Il locale di via Borgo Santa Caterina propone una cucina classica collaudata, forte di pochi ingredienti e di una preparazione che elimina tutto ciò che appesantisce il piatto. Daniela e Nicola Zanini:“Amiamo i sapori puliti”
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asta talvolta anche solo un piatto a rivelare lo stile di un locale. All’Osteria Ai Santi di Bergamo è così. Prendete la crema di zucca gialla con cozze tarantine. Ve la figurate ancora prima di vederla, con i suoi colori che virano dal giallo intenso all’arancio caldo al nero. Zucca gialla e cozze. Potrebbe essere il titolo di un quadro di De Pisis. La stessa forza evocativa condensata in forme stenografiche. Non capita spesso di rasentare la perfezione con così pochi, umili mezzi. Eppure, questo piatto ci riesce. C’è una forte assonanza tra il luogo e il cibo che gusterete ai Santi. In questo luogo di pietra, legno e mattoni, dove il rosso, il giallo e il bruno tingono di luce calda l’ambiente e la tavola, il menù diventa una narrazione d’autunno, ogni piatto il detonatore di una piccola emozione. È un’allegoria dell’autunno la millefoglie croccante su cipolle rosse al balsamico, le sfoglie sottilissime che si frantumano come foglie secche, il cuore nascosto di morbida ricotta di capra al timo quasi fosse un ultimo brivido di vitalità trattenuta. Come non pensare agli ultimi frutti che la terra regala in un soffio estremo di vita prima di spegnersi nella morsa dell’inverno? Profuma di nostalgia, di autunni piovosi vicino al caminetto la polenta concia (condita con burro, salvia e parmigiano), servita fumante con porcini trifolati e uova di quaglia.Vi riporterà invece ai fumiganti paesaggi di torbiera la salsiccetta
nostrana servita in porzioni monodose su “isolotti” di rösti di patate, galleggianti su una distesa brunita di miele d’acacia spruzzata di sesamo. Uno scenario gastronomico lambito a tratti anche dal mare. Quello lontano degli anemoni di mare (invertebrati di consistenza gelatinosa dall’intenso sapore di mare), provenienti dalla Spagna, abbinati a un risotto Carnaroli della Cascina Salera di Garlasco e mantecati con sola erba cipollina. E quello più vicino delle alici fresche sfilettate che sguazzano in sapida compagnia di peperoni e pecorino romano tra gli spaghetti dell’azienda Mancini, o dei gamberi rossi di Sicilia e calamari proposti in una frittura leggerissima (forniti da Orobica Pesca).
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AI SANTI OSTERIA VINERIA via Borgo Santa Caterina 90/a Bergamo tel. 035 225049 chiuso il sabato a pranzo e la domenica
Oppure, se preferite, quello nordico del merluzzo “alla moda del Tigullio”, con patate, olive taggiasche e pesto leggero. Uno scenario che resta in prevalenza ancorato alle origini, rispettivamente bergamasche e piemontesi, dei titolari del locale, con la linea di terra a dettare il passo tra carni bovine, come nella costata di manzo di razza Scottona alla griglia, e suine di alta qualità, dove domina il maiale iberico allevato allo stato brado - lo stesso utilizzato per il Patanegra -, dalle caratteristiche carni marmorizzate per via del grasso intramuscolare frutto dell’alimentazione a base di ghiande, e dall’aroma mandorlato. A cavallo tra tradizione e innovazione, la cucina dei Santi si muove all’interno del concetto minimalista del “less is more”. Via tutto il superfluo, fino ad arrivare al nervo scoperto del gusto. È l’istinto innato per le forme e i sapori essenziali di questa giovane coppia di titolari, compagni nella vita e nel lavoro, a dettare la linea del locale. Figlia d’arte, Daniela Della Giovanna ha lavorato nel ristorante dell’albergo di famiglia, il Miramonti di Rota Imagna, e si occupa ora del servizio in sala. Nicola Zanini, dopo aver collezionato esperienze di sommelier a Londra e poi alla Taverna del Colleoni, è stato dal 2001 al 2003 primo sommelier all’Albereta di Gualtiero Marchesi. Lo stesso istinto li ha spinti nel 2004 a scegliere quale sede della loro prima attività da “registi” proprio questo locale, che ne-
IL GIUDIZIO AMBIENTE
8/10
Gli archi a sesto ribassato in mattoncini, le colonne in pietra e le travi a vista, si entra subito in sintonia con l’ambiente di questo locale accogliente e rassicurante, forse grazie anche a un arredo elegante ma molto minimal che lascia spazio all’architettura rustica, in apparenza vecchia di qualche secolo. Sessanta i coperti, a cui se ne aggiungono altri 35 all’esterno nella stagione estiva. In caso di problemi di parcheggio, è consigliabile posteggiare l’auto nella vicina via Milazzo.
Nicola Zanini e Daniela Della Giovanna
CUCINA
gli anni Settanta e Ottanta ha assistito alla fortunata parabola della Trattoria Carbone. “Amiamo i sapori puliti - ci spiegano -. La nostra è una cucina semplice, composta di pochissimi ingredienti, leggera e priva di grassi. Ci piace eliminare tutto ciò che appesantisce il gusto e non gli consente di esprimersi. Proponiamo sostanzialmente piatti classici, ma cerchiamo di trovare sempre una nuova chiave di lettura, costruendo un abbinamento inusuale, ma congruente, magari anche solo variando un ingrediente o aggiungendone uno non previsto nella ricetta originaria”. In questa loro idea di cucina, Daniela e Nicola hanno trovato un prezioso alleato nel 33enne cuoco bergamasco Maurizio Bonomi, dal 2006 chef del ristorante, capace di trasformare le idee in piatti di forte impatto emotivo e gustativo. Un cuoco fantasioso e molto preparato, in grado di tramutare ogni esperienza, in particolare quella dei suoi frequenti viaggi, in una fonte di ispirazione per nuove creazioni, come nel timballo di quinoa alla cannella (souvenir di un viaggio in Perù) abbinato alla capasanta spadellata, oppure meticciando con esiti felici prodotti in apparenza inconciliabili. E che è altrettanto abile come pasticciere, basti citare leccornie come la millefoglie con fragole e crema alla vaniglia o la cupola di cioccolato ripiena di cocco. Forse non è un caso che di qui siano transitati personaggi come Ermanno Olmi e Alessandro Bergonzoni, che per definizione e per professione vanno diretti al cuore delle cose, sensibili a tutto ciò che sa di autentico. Senza dimenticare poi l’aspetto non secondario del prezzo, che fa salire gradimento di un locale l’indice di gradime peraltro già ben frequentato: tra euro per un pasto i 35 e i 40 eu completo ssenza vini, con la possibilità di scegliere la formula del vino a bicchiere in un’ampia selezione lezion di prodotti di qualità. qual
21/30
Alta qualità delle materie prime, lavorazioni minime, cura estrema del design del piatto sono il filo conduttore della cucina di Ai Santi. Una cucina dallo stile quasi rasoterra, che nasce dalla volontà di non affollare troppi ingredienti sul piatto, pena la perdita di riconoscibilità del prodotto. Siamo qui al gusto liberato dal superfluo e da ogni residuo di barocchismo culinario. È una cucina classica rivisitata in chiave moderna quella di Ai Santi, con piccole ma significative variazioni su temi conosciuti, una cucina dove anche i piatti della tradizione del territorio (come il coniglio con polenta) vengono reinterpretati e alleggeriti, e mai riproposti pedessiquamente. Veloce la rotazione del menù, che varia ogni 50 giorni.
CANTINA
16/20
Con un sommelier del tenore di Nicola Zanini la carta dei vini non poteva essere più accurata. Sono 300 le etichette, molte delle quali, a Bergamo, figurano solo sulla sua lista. Nicola ama scoprire nuovi produttori di qualità per portarli per primo a conoscenza dei clienti e in questa ricerca predilige piccole aziende che lavorano vitigni autoctoni. Ben rappresentate tutte le regioni d’Italia e molti i prodotti francesi. Buoni i ricarichi (si parte dai 12 euro) e soprattutto lodevole la decisione di focalizzarsi sulla fascia tra i 15 e i 22 euro, la più rappresentata in lista. Anche se non mancano (e sono tante) le vere e proprie chicche per intenditori.
SERVIZIO
8/10
Veloce e accurato il servizio, puntuale l’arrivo dei piatti in tavola. Sia Nicola che Daniela amano dedicarsi agli ospiti, prodigandosi in spiegazioni sulla composizione dei piatti e in preziosi suggerimenti sull’abbinamento dei vini.
COMPETENZA
7/10
A 33 anni Maurizio Bonomi, dal 2006 ai Santi, coadiuvato in cucina dal giovane Mattia Giupponi, è già un veterano dei fornelli. Sin da giovanissimo ha affiancato l’attività di studio presso la Scuola Alberghiera di San Pellegrino alla pratica sul campo, iniziando 16enne al Tre Corone e alternando brevi periodi alla Cantalupa, lavorando in seguito anche come pasticciere al Tasso. Piglio deciso, vorace lettore di libri di cucina di ogni genere, attento a tutto ciò che si muove e fa notizia nel mondo culinario, Maurizio sembra avere idee chiare sull’impostazione della sua cucina. “Cucina povera di grassi, equilibrata e leggera, con lavorazioni minime del prodotto. Sì alla creatività, ma solo se produce novità valide dal punto di vista dei contenuti. No se finalizzata solo a far scalpore. Sì alla rilettura di piatti classici per assecondare l’evoluzione del gusto improntato alla ricerca di cibi sani oltre che buoni”. E per quanto riguarda l’estetica del piatto? “Fondamentale. È il modo in cui lo chef trasmette la propria passione al cliente, il rispetto e l’attenzione nei suoi confronti”.
RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO
8,5/10
Considerata la qualità delle materie prime, la perizia nelle preparazioni e la cura nella mise en place i circa 35/40 euro per un pasto completo sono senza dubbio buoni. Buono in particolare il rapporto qualità/prezzo di antipasti e primi. Stesso livello di qualità anche nel pranzo di lavoro, dove bastano 14-16 euro, comprensivi di coperto, acqua e calice di vino, per una sorta di piatto unico da scegliere tra 4 proposte fisse e altre variate ogni giorno. p.s.
Affari di Gola novembre 2009 21
IL CONCORSO
“Merlot e Cabernet insieme”, medaglia d’oro a cinque vini bergamaschi
I
gt Bergamasca Cabernet Sauvignon Satiro 2006 della Tallarini di Gandosso; Valcalepio Doc Montecroce 2007 della Bertoli Angelo di Castelli Calepio;Valcalepio Doc Riserva Rossa Passione dell’azienda La Collina di Grumello del Monte; Valcalepio Doc 2001 Riserva della Costa della Cantina Sociale Bergamasca di San Paolo d’Argon; Valcalepio Doc Barbariccia 2006 dell’azienda Castello degli Angeli di Carobbio degli Angeli. Questi i cinque vini bergamaschi che - grazie a un punteggio compreso tra 85 e 90/100 - hanno conquistato la Medaglia d’oro all’ultima edizione del Concorso internazionale «Emozioni dal mondo: Merlot e Cabernet insieme» tenutasi nelle scorse settimane al Palamonti di Bergamo. Lo stesso premio è andato ad altri 53 tagli
bordolesi (33 italiani, 8 croati, 4 austriaci, 3 argentini, 2 serbi e uno ciascuno per Sudafrica, Turchia, Israele, Francia, Malta, Slovacchia, Germania e Australia) mentre la Gran Medaglia d’oro è stata assegnata al «Colli Aprutini Igt Merlot Marina Cvetic 2006», vino prodotto dall’azienda Masciarelli di San Martino sulla Marrucina (Chieti). Se i numeri servono per valutare il successo di una manifestazione, quelli della quinta edizione confermano il trend di crescita del concorso bergamasco. Sono stati infatti ben 204 i campioni iscritti al concorso, 198 i campioni ammessi (provenienti da 16 Paesi: Italia, Sudafrica, Serbia, Croazia, Argentina, Turchia, Slovacchia, Malta, Francia, Israele,Australia, Germania , Austria, Spagna, Cile, Repubblica Ceca), 65 i commis-
LA TESTIMONIANZA - di Pierluigi Saurgnani
Io, per la prima volta giudice, sorpreso dalla severità del concorso
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ensavo di concedermi in tutto relax un’allegra degustazione chiacchierando amabilmente con gli altri commissari d’esame e mangiucchiando salatini e tartine. Niente affatto. Il Concorso internazionale “Emozioni dal mondo: Merlot e Cabernet insieme”, tenutosi in ottobre a Bergamo, cui ho preso parte per la prima volta (e, con tutta probabilità, anche l’ultima) in veste di giudice, è tutto fuorché una spensierata rimpatriata tra compagni di bevute. È una cosa molto seria. Il regolamento dei concorsi internazionali patrocinati dall’Oiv, l’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin, è infatti rigidissimo, le regole sono ferree e guai a disattenderle. Si è trattato di un vero e proprio “tour de force”, iniziato alle 9 del mattino e terminato alle 14 con due sole brevi pause. Ognuna delle commissioni, guidata ciascuna da un severo e compunto presidente, ha assaggiato qualcosa come 34 campioni di Merlot e Cabernet più un’aggiunta di altri 7. E nella sala del Palamonti
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scelto come sede del concorso regnava un’atmosfera austera, con i commissari scrupolosamente e silenziosamente concentrati sui loro assaggi. Si doveva provare i campioni di vino e compilare velocemente articolate schede di analisi sensoriale che prevedevano valutazioni sulle sensazioni visive (aspetto, limpidezza), olfattive (franchezza, intensità e qualità), gustative (franchezza, intensità, persistenza, qualità) e retrolfattive, per concludere con un giudizio complessivo finale. Non era concessa la minima distrazione, per non perdere il ritmo delle degustazioni. Io purtroppo, l’ho perso e, nel marasma, ho consegnato due schede (per fortuna non troppo diverse tra loro) su uno stesso vino. Sbagli che possono fare i debuttanti. La mia presidente – un’argentina – mi ha fatto notare l’errore, ho balbettato qualche giustificazione e sono stato perdonato, più che altro perché, in fondo, non ero un assaggiatore professionista ma solo un intruso semianalfabeta in fatto di degustazioni. De-
sari che hanno composto le sette commissioni provenienti da 20 Paesi, 59 le medaglie assegnate con molti vini arrivati ad un punteggio superiore ad 85 punti ma che non sono arrivati alla medaglia per la severità del regolamento che prevede il premio solo al 30% dei campioni partecipanti. Entrando più nel dettaglio, per la prima volta nella breve storia del Concorso, una Gran Medaglia d’oro premia il lavoro dei viticoltori del centro Italia, l’Abruzzo, mentre le 58 Medaglie d’oro distribuite a ben tredici nazioni testimoniano l’internazionalità dell’evento. I sommelier del concorso
vo confessare, da non esperto, un mio certo turbamento e imbarazzo ad esprimere valutazioni tanto complesse e accurate di vini su ciascuno dei quali al massimo avrei potuto dire:“Mi piace, non mi piace”. E invece - come mi hanno spiegato gli organizzatori della manifestazione - era proprio questo che si chiedeva al giornalista non assaggiatore professionale, ma solo semplice bevitore. Aggiungere cioè al giudizio competente dei “professori della degustazione” anche una valutazione più terra terra, quasi a compensare e a bilanciare qualche tecnicismo di troppo.“In fondo – hanno aggiunto alcuni produttori di vino – il giudizio che più ci interessa è se il vino piace alla gente comune, al di là della valutazione tecnica degli esperti, comunque importante. Perché se è giudicato piacevole dai consumatori abituali, il vino ha più possibilità di essere venduto”. Mi sono tranquillizzato. In ogni caso, per non sbagliare, mi sono tenuto alla larga dai giudizi troppo estremi e poi, lo confesso, di tanto in tanto ho sbirciato le schede di un assaggiatore tedesco che mi sedeva non lontano e che aveva l’aria di saperla lunga, con il quale ho inoltre furtivamente scambiato – senza farmi vedere e sentire da nessuno dato che il regolamento lo vietava – alcune veloci opinioni sui vini in concorso. Ma, nonostante ciò, alla fine, mi è rimasto comunque l’atroce dubbio di avere osannato un vino disprezzato dagli esperti. Ma forse è questo il bello dei concorsi internazionali.
Affari di Gola novembre 2009 23
L’INTERVISTA di Leo Bartoli
Adami:“Bergamo? È una corazzata territoriale del formaggio italiano” L’Onaf compie 20 anni. L’occasione per il presidente nazionale Piercarlo Adami di fare un bilancio generale e rimarcare la “grande risorsa dei prodotti orobici” che vantano già 8 Dop.“Il vostro Strachitunt è un portento”. In fase di studio un rapporto più stretto con gli enti camerali
“I
l for ma ggio bergamasco? Una grande risorsa. Le nuove Dop? Vedo lo Strachitunt in pole position”. Così il presidente nazionale dell’Onaf (Organizzazione nazionale assaggiatori di formaggio) Piercarlo Adami, piemontese, parla della terra orobica, così feconda di tesori lattiero-caseari al punto da strappare qualche anno fa il primato delle Dop proprio alla “sua” Cuneo. “Sì lo so - abbozza il presidente -, Bergamo vanta attualmente 8 Dop
contro le 7 di Cuneo, ma è una concorrenza leale e tutta improntata all’eccellenza. Prendiamo il vostro Strachitunt, che potrebbe diventare la nona Dop nel 2010: un portento. Anche se pure il Piemonte ha tesori di inestimabile valore: basti pensare al Castelmagno mentre anche noi aspettiamo l’ottavo formaggio a marchio europeo, che dovrebbe essere il tomino di Melle della Val Varaita. Diciamo che insieme, Bergamo e Cuneo, rappresentano la vera corazzata territoriale del formaggio
Piercarlo Adami
LA DELE DELEGAZIONE BERGAMASCA
Marti Martinelli: “Siamo cresciuti, ora speriamo nei giovani” ma o Fino a qualche qua anno fa era tra delegazioni più numerole delega se d’Italia d’Ita (oltre 200 soci). Recentemente è in corRecen un ricambio generaso u zionale, ma l’Onaf di zion Bergamo, fondata nel Be 2000 e che vede delegato provinciale da sempre Bruno Martinelli (già vice presidente nazionale) resta un punto di riferimento, un approdo sicuro
Bruno Martinelli
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per l’associazione. Il fatto di essere la provincia che vanta più formaggi Dop a livello nazionale (ben 8,Taleggio, Gorgonzola, Quartirolo, Formai de Mut, Bitto, Provolone Valpadana, Grana Padano e Salva) carica l’associazione di ulteriori responsabilità. Tante, in passato, le iniziative intraprese da Martinelli e il suo direttivo: dai corsi di primo livello (tutti condotti da docenti di grande competenza), alle giurie nei concorsi provinciali, agli educational in alpeggio, fino alle innumerevoli serate di degustazione che in questi anni hanno visto protagonisti l’eccellenza dei formaggi nazionali e internazionali presentati da esperti del settore e abbinati a vini di grande suggestione. “In effetti - spiega l’infaticabile Martinelli - l’attività in questi anni è stata quantomai variegata e ha per-
italiano”. Un’organizzazione, l’Onaf, nata nel 1989 a Cuneo (la sede ufficiale si è poi spostata nel castello di Grinzane Cavour, a pochi chilometri da Alba) che ormai ha superato il traguardo dei 12mila soci, con 40 delegazioni sparse in tutta Italia. “Quest’anno abbiamo festeggiato il ventennale della nostra nascita – ricorda il presidente – con un matrimonio speciale: l’abbinamento tra tartufo bianco d’Alba e mozzarella di bufala Dop che ha avuto riscontri su tutti i media, anche all’estero. Devo dire che la crescita dell’Onaf in questi anni è stata costante: sempre più appassionati, soprattutto giovani, si accostano ai nostri corsi di primo e secondo livello per diventare assaggiatori. La cultura casearia è ormai patrimonio comune non solo delle nostre tavole, ma chi ama il formaggio vuole anche conoscere cultura, storia e tradizione di ogni singola tipologia, senza contare gli abbinamenti sempre più fantasiosi con i vini più o meno conosciuti”. Tra le delegazioni più vivaci ci sono quelle lombarde (“con Milano che ha ritrovato l’antico smalto”) e a sorpresa anche alcune del sud. “C’è grande entusiasmo – conferma Adami – una voglia che fa
messo a centinaia di appassionati di conoscere meglio tutti gli aspetti legati a quel mondo affascinante che gira attorno al formaggio. Ora sarebbe bello che qualche giovane si facesse avanti per affiancare i veterani del direttivo e per assicurare un futuro a un’associazione che in questi anni è sempre stata considerata un punto fermo per il territorio”. Dal prossimo mese l’Onaf orobica potrebbe anche avvalersi di un nuovo spazio per appuntamenti legati al mondo del cacio: è infatti attivo il Cheese-bar che il componente del suo direttivo Giulio Signorelli, al secolo Ol Formager, ha aperto a fianco del suo rinnovatissimo negozio di piazza Oberdan.
ben sperare anche per il ricambio della nostra associazione”. A livello politico, entro fine 2009, è in arrivo una grande novità:“Stiamo perfezionando – spiega il presidente – un accordo tra Onaf e Unioncamere che ci permetterà di stringere vincoli molto stretti con le Camere di commercio dove è presente una nostra delegazione. Questo porterà indubbi vantaggi per entrambi, tra cui anche quello dell’ubicazione delle nostre sedi, che dovrebbero essere ospitate all’interno delle Camere. Nel vostro caso so che l’ente di largo Belotti ha sempre visto con favore la promozione dei formaggi locali e per una divulgazione più puntuale e precisa, avere un partner come l’Onaf potrà diventare un vantaggio”. La crisi però non sembra abbandonare il lattiero-caseario: “Con il prezzo del latte ancora troppo basso - spiega il presidente Onaf - tutta la filiera ne risente e ha bisogno di aiuti concreti dal governo: qualcosa è stato fatto, ricordiamoci che il mondo dei formaggi è ancora una delle realtà nazionali che tutti ci invidiano: perderne qualche pezzo per strada sarebbe un disastro”. Sempre parco nei giudizi, invitiamo Adami a darci qualche personalissimo consiglio della spesa. “Volete conoscere il formaggio che più adoro? Beh, io ho un debole per il Murazzano, formaggio di Langa molto
sottovalutato, ma che sa regalare grandi emozioni. Poi naturalmente non posso prescindere dal Re Parmigiano, mentre in Lombardia, oltre al Bagoss, ho seguito i progressi che i piccoli produttori di capra, sia bergamaschi che varesini, hanno fatto in questi ultimi anni, unendo rigore, qualità e un grande sforzo di fantasia”. Proprio il fronte caprino è quello che per i consumi ha ancora grandi margini di miglioramento, “basta vedere - ricorda Adami - gli strepitosi risultati raggiunti dalla Robiola di Roccaverano, nella Langa astigiana, capace di battere anche i francesi in molti concorsi ufficiali, scrollandosi di dosso quell’inferiority complex nelle lavorazioni lattiche e presamiche che i nostri produttori hanno sempre avuto verso i cugini d’Oltralpe”.Tra le mission dell’Onaf che verrà è prevista anche la valorizzazione di tante professionalità che gravitano attorno al mondo del formaggio che oggi non hanno ancora ottenuto la giusta consacrazione. “Penso ad esempio agli stagionatori - puntualizza Adami -: in Francia gli affineur sono figure di grandissimo prestigio, ascoltati quasi come oracoli nelle loro lezioni. Da noi invece chi si occupa di formaggio, chi lo cura durante tutte le sue fasi per farlo rendere al meglio sulle nostre tavole, è ancora colpevolmente sottovalutato”.
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L’Accademia del Pizzocchero di Teglio premia il ristorante “Al Faro” di Dalmine È
il secondo ristorante a livello nazionale, dopo quello premiato a Roma, ad essere inserito nell’Albo dell’Accademia del Pizzocchero di Teglio, sodalizio nato otto anni fa per difendere ed esaltare il piatto tipico valtellinese e che raggruppa i ristoranti tellini paladini della tradizione. Un traguardo di cui Caterina Moraschinelli, originaria dell’ Aprica, e il marito nonché chef Celeste
Passera - insieme alla guida del ristornate “Al Faro” di Dalmine - vanno più che fieri. E non potrebbe essere altrimenti viste le origini valtellinesi mai dimenticate, anzi rilanciate nel locale aperto nel 2001 nella frazione Brembo (in via Bernareggi 6) grazie ad una proposta gastronomica legata a doppio filo alla terra d’origine. Il menù classico a base di pesce e specialità della cucina ber-
Da sinistra Celeste Passera, la moglie Caterina Moraschinelli e i figli Alessandra e Luca
gamasca (a mezzogiorno la proposta è modulata sui pranzi di lavoro e anche sulla pizzeria) la sera amplia il ventaglio di sapori sconfinando volentieri in Valtellina, con in testa gli immancabili pizzoccheri presenti nel menù della casa sin dagli anni 70 quando all’Aprica fu avviata la prima attività di ristorazione. Sono preparati così a regola d’arte, nel solco della tradizione, da aver attira-
DI FABRIZIO PIROLA
E il gioiellerie divenne ristoratore Marco Cornali, dell’omonima oreficeria, ha aperto a Dalmine l’ “Osteria del Conte”. In cucina Fiorella Freschi
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l titolare lo dichiara simpaticamente: “Sì, mi sono fatto il ristorante sottocasa”. Considerazione assolutamente veritiera, visto che Marco Cornali (uno dei due titolari, l’altro è Tiziano Brembilla), abita al piano superiore del condominio dov’è ubicato il locale. Frutto, diciamolo subito, di un’idea coraggiosa, visti i tempi, e che dimostra come in un certo tipo di proposta ancora qualcuno per fortuna intende investire. Il nuovo ristorante l’“Osteria del Conte” è a Dalmine, in via J.F. Kennedy 18. Il nome Cornali nella nostra provincia è da sempre abbinato al mondo dell’orologeria e gioielleria, ma Marco non ha mai nascosto il suo interesse anche per i piaceri enogastronomici della tavola. “La buona cucina è sempre stata una mia passione - ci dice - e quando mi si è presentata l’opportunità di rilevare una struttura vicina alla mia abitazione ho deciso di entrare in questo nuovo mondo e ho costruito uno staff che ritengo professionalmente qualificato”. Il ristorante - realizzato dall’ar-
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chitetto Luigi Baroli in stile moderno ed elegante, con il bianco come colore predominante e dalle originali maniglie alle porte a forma di forchette - dispone di circa 50 posti spaziosi e comodi. La tipologia di piatti presenti nel menù non concede certo spazio alla tendenza “molecolare e sperimentale”, ma come afferma Fiorella Freschi, che cura la cucina coadiuvata da Valentina Cortesi, affonda le radici “nel nostro territorio, con i suoi prodotti, i suoi vini, le sue tipicità e la sua fedeltà alle radici”. “Ho fatto una scelta di campo ben precisa - puntualizza Fiorella puntando su una tipologia di carne, il fassone piemontese che recepiamo dalla prestigiosa macelleria Cazzamali di Romanengo (in provincia di Cremona), che mi permette di offrire ai nostri clienti il massimo dalla qualità, certificata e garantita all’origine”. Ed il fassone infatti è il vero protagonista della tavola, essendo presentato in molteplici varianti: dalla battuta al coltello alle tagliatelle al ragù di fassone fino alle bistecche
PREMIO
MERCURIO D’ORO
di Agnelli Lucia Amabile & Salimusaj Rexhep Rexhe
COMMERCIO ATTREZZATURE USATE E NUOVE to l’attenzione dell’Accademia, che il prossimo 20 novembre conferirà l’attestato di partecipazione all’Albo nel corso di una cerimonia ufficiale che verrà organizzata nel locale bergamasco.“Il riconoscimento - spiega il vicepresidente dell’Accademia del Pizzocchero di Teglio, Luciano Giacomo Andreoli - verrà assegnato dopo aver sancito che la ricetta proposta dal ristorante Al Faro rispetta in tutto e per tutto i dettami della nostra tradizione”.Ad accogliere gli ospiti anche i 2 figli,Alessandra “regina” della sala e Luca al forno delle pizze.
con l’osso, al filetto o al brasato. La riscoperta di alcuni piatti è il fiore all’occhiello dell’Osteria del Conte, tutti cucinati secondo i più classici dettami. Ed allora ritroviamo il margottino con la crema di branzi, gli ortaggi ed erbe d’orto croccanti, il risotto con salame fresco e fagioli, i casoncelli della tradizione ed il coniglio fritto con le sue verdure. Deliziosa la selezione di formaggi come pure la carta dei dolci dove Fiorella Freschi riscopre i piaceri golosi delle sue origini fiorentine. “Aprire un nuovo ristorante può apparire azzardato, ma per noi è anche un motivo per dar fiducia a Dalmine e a tutto il tessuto imprenditoriale della nostra zona - conclude Marco Cornali - sperando di intercettare il buon gusto della nostra gente”. In sala il servizio è curato Massimo Brumana (che suggerisce anche il giusto abbinamento dalla carta dei vini dove spiccano alcuni interessanti produttori) e da Marianela Zambrano. Per un pasto completo si spendono circa 50 euro, vini esclusi. Non si paga il coperto.
SETTORE RISTORAZIONE E SETTORE ALIMENTARE
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Da sinistra Marianela Zambrano, Fiorella Freschi, Massimo Brumana e Valentina Cortesi
Affari di Gola novembre 2009 27
I PROTAGONISTI di Emanuele Falchetti
La marcia inarrestabile dei fratelli Elzi Dopo l’affermazione della pasticceria e l’apertura di una caffetteria a Grassobbio e di un business-restaurant vicino all’aeroporto, Marco e Alfredo hanno preso in gestione anche Porta Osio, a Bergamo. Un percorso che ha fatto tesoro della tradizione di famiglia, già titolare di un forno nel centro del paese
B
uon sangue non mente. Una volta si diceva così. E il richiamo alla tradizione in questo caso, nel caso degli Elzi, non è assolutamente fuori luogo. Perché loro, Marco e Alfredo, 44 anni il primo, 40 il secondo, in fondo nel progettare questo piccolo grande sogno fatto di alta pasticceria, ottimo caffè e adesso anche ristorazione, non hanno fatto altro che voltarsi e guardarsi alle spalle. Hanno cioè guardato a quel forno che papà Carlo negli anni Cinquanta aveva aperto con i genitori in centro a Grassobbio.Allora di tutte le industrie che oggi fanno la fortuna di questo paesone dell’hinterland non c’era neanche l’ombra. Solo campi e contadini.Al forno la farina arrivava ancora nei sacchi di juta e quello del fornaio era un mestiere da non augurare a nessuno: si lavorava quando gli altri dormivano, come del resto oggi, in condizioni però ancora più pesanti rispetto a quelle attuali. E di questa etica del lavoro, dove l’impegno corrispondeva però anche a grandi soddisfazioni, i due fratelli, ma anche la sorella Francesca che si occupa di un centro estetico, hanno fatto tesoro.Testa bassa e pedalare. Con la capacità di tanto in tanto di alzarla e guardare avanti. Il primo passo è stato proprio la pasticceria, là dove un tempo si trovava il forno del padre che, attorno alla metà degli anni Settanta aveva deciso di cambiare attività, buttandosi nel commercio degli alimentari. «Era il 1988 - ricorda Marco Elzi - e dopo il mio apprendistato in uno dei migliori laboratori cittadini (la pasticceria Locatelli di Longuelo, ndr) decidemmo di metterci in proprio». Da allora gli Elzi non si sono più fermati seguendo un po’ la vocazione paterna, un po’ la voglia di affrontare sempre nuove sfide. Con una suddivisione dei compiti che sin dall’inizio è stata sempre molto chiara: Marco a dirigere il laboratorio e Alfredo con un ruolo per così dire più organizzativo e commerciale. Una formula che sembra funzionare bene. Così dopo il successo della pasticceria, che in quattro e quattr’otto è riuscita a farsi conoscere ben oltre i confini del comune, ecco la Caffetteria, allestita di fianco al laboratorio. «La somministrazione dei nostri prodotti artigianali - aggiunge Alfredo - è stato un passaggio quasi naturale, che si è rivelato particolarmente apprezzato». Quali prodotti? Prima di tutto le brioche, che con la classica tazzulella di caffè si sposano che è una meraviglia. A proposito: proprio le brioche hanno rappresentano a lungo il filo che ha legato l’attività dei figli a quella del padre. Perché pane
28 Affari di Gola novembre 2009
Alfredo Elzi, il papà Carlo e il fratello Marco
L’ultima idea? Un regalo-cena sotto l’albero di Natale Una cena sotto l’albero? Perché no. La proposta è firmata Porta Osio, il ristorante di Alfredo e Marco Elzi, che per le prossime festività ha ideato questa iniziativa davvero singolare. Grazie a un voucher ad hoc recapitato dallo stesso ristorante sarà così possibile regalare a parenti e amici un menù degustazione a base di patanegra e di tutte le altre prelibatezza in cui lo chef Nicholas Angeloni e il sommelier Pierre Aresi sono specializzati. Ma questa è solo una delle idee che lo staff di Porta Osio ha messo a punto per la nuova stagione. Oltre alle consuete serate organizzate in collaborazione con le migliori case vinicole italiane - in genere con piatti appositamente pensati per i vini proposti -, nei prossimi mesi si punterà anche su ciò che offre il territorio con menù di volta in volta impostati su un singolo prodotto: dai funghi a un determinato formaggio a qualche ortaggio di stagione. Per informazioni: 035.219297
e croissant in comune non avranno granché a livello di gusto, ma almeno per i tempi di lavorazione più o meno ci siamo. Cosa che, per tanti anni, ai due fratelli è costata, e in parte costa ancora, levatacce a orari antelucani. Giornata lunga quella degli Elzi: dalle stelle alle stelle. Prima in pasticceria, poi al bar e poi ancora in pasticceria. E siccome, si diceva, ogni tanto ai due piace fermarsi, alzare la testa e guardare avanti, nel 2002 è arrivato «L’altro caffè», un business-restaurant, a due passi dall’aeroporto, che in pochi anni è diventato uno dei più frequentati della zona grazie a una formula lunch all’insegna della cucina veloce, ma allo stesso tempo leggera, della qualità e di un prezzo competitivo. «Siamo stati tra i primi a pensare dei menù a pacchetto – aggiungono gli Elzi – e cioè calibrati sulle esigenze di quanti lavorano e sono costretti tutti i giorni a mangiare fuori casa». Chiaro però che a questo punto non può più pesare tutto sulle spalle di due sole persone e, così, oltre a una buona squadra di dipendenti, ecco da un lato l’affidamento in gestione della caffetteria e dall’altro la «promozione sul campo» di un prezioso collaboratore - Vittorio Cortesi - che diventa una vera e propria colonna per L’altro caffè. Una, due, tre attività nel giro di un quindicennio. Perché non la quarta? Già perché? Di motivi validi, conoscendo i due fratelli, non ce ne sono proprio: serve solo un po’ di tempo. Per la precisione otto anni: e infatti dallo scorso marzo gli Elzi sono titolari anche del ristorante enoteca «Porta Osio», in via Moroni a Bergamo. «Dopo la prima esperienza con il businnes restaurant - continua Alfredo - abbiamo maturato l’idea di affrontare un altro tipo di ristorazione di livello più alto; l’occasione si è presentata quando un nostro fornitore e cliente, Bepi Bellavita titolare di un’azienda che si occupa di importazione di prodotti di alta gastronomia, ci ha proposto di rilevare Porta Osio. Non ce la siamo lasciata sfuggire e ora eccoci qui alle prese con questa nuova avventura. L’idea è di mantenere la stessa impostazione di qualità con i punti forti dei salumi spagnoli, un’ottima carta vini, compresi alcuni champagne d’importazione diretta, abbinati però a una riscoperta dei prodotti locali, il tutto prestando attenzione anche alle tasche dei clienti. Il prezzo dovrà essere interessante, adeguato all’offerta». Anche questo un insegnamento che arriva da lontano. Che arriva dal forno di Carlo. Buon sangue, si diceva, non mente.
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Qualità a portata di tutti Affari di Gola novembre 2009 29
IL PREZZO FISSO di Fulvio Facci
In via Camozzi il sapore della vera trattoria Da maggio il piccolo locale in città è gestito dai fratelli Alicino, originari della Puglia. «Non ci definiamo trattoria per snobismo, basta guardare i prezzi per capirlo»
L’
impressione è che per il menù a prezzo fisso di mezzogiorno stia passando una specie di messaggio trasversale, un orientamento non dichiarato che sta emergendo negli ultimi test e che, in un periodo di crisi come questo, può anche apparire anomalo. In sintesi il messaggio è questo: meglio un paio di euro in più ma a beneficio di una maggior qualità. Questo non significa che col prezzo più o meno standard delle proposte per la pausa pranzo, fissato attorno ai dieci euro, si mangi male, ma che con 12 o 13 euro si possono trovare soluzioni più curate, nei vini, ad esempio, o nelle mise. La tendenza ovviamente appare più diffusa in città, dove la clientela è più articolata e comprende persone con budget e abitudini diverse rispetto ai più classici fruitori di questo tipo di offerta, abitualmente inquadrati
negli stereotipi di operai, muratori e autisti, categorie per le quali uno dei requisiti più importanti rimane ancora la rapidità del servizio. Un’ulteriore conferma del nuovo orientamento si può trovare alla Trattoria Camozzi, in città in via Camozzi 73. Decisamente piccolo (una trentina di coperti in tutto) ma anche con un minuscolo esterno per la bella stagione, il locale è gradevole e accogliente. Il valore aggiunto sono la cordialità e l’ospitalità dei titolari, i fratelli Vincenzo e Lino Alicino: Vincenzo, lo chef, con le sue benevole occhiate dalla cucina praticamente a vista e Lino (Natale all’anagrafe) con una premurosità quasi maniacale in sala. E si vede da lontano che sono dei professionisti di lungo corso. Originari della Puglia, i fratelli Alicino sono giunti a Bergamo nel 1985. «La nostra è stata una trafila classica –
racconta Lino, 41 anni –, la scuola alberghiera, il tirocinio sulle navi da crociera, le esperienze all’estero, la scuola dei grandi chef, il tutto accompagnato dalla nostra grande passione.Attorno ai 25 anni con mio fratello ci eravamo già messi in proprio. Con questa trattoria coroniamo il sogno di lavorare insieme con la massima autonomia. Tranne che per la presenza in cucina di un aiuto cuoco, per il resto facciamo tutto noi e la cosa ci gratifica molto». La loro gestione è iniziata il primo maggio di quest’anno e i risultati sono stati molto incoraggianti. «Abbiamo fatto un po’ di pubblicità, questo era necessario – spiega invece Vincenzo, 46 anni – e siamo soddisfatti della risposta. A mezzogiorno viaggiamo già a pieno regime, ma ce la caviamo bene anche alla sera.Abbiamo adottato una linea molto chiara, non ci definiamo trattoria per snobi-
LA PROVA
Tre le proposte per la pausa pranzo
TRATTORIA CAMOZZI via Camozzi 73 - Bergamo tel. 035 248808 chiusa la domenica 30 Affari di Gola novembre 2009
In termini di prezzo, il menù fisso per la pausa pranzo si articola su tre proposte: 13 euro per il pasto completo, composto da primo, secondo, contorno, acqua, vino e caffè, 11 euro se si sceglie solo il secondo, 9 euro se si opta solo per il primo; acqua, vino e caffè sono sempre compresi. La lista del mezzogiorno ricorda anche i dolci del giorno, proposti a 2.50 euro: strudel della casa ai frutti di bosco, mousse al cioccolato e mandorle, le indicazioni in occasione della nostra visita. I “consigli” del giorno erano invece questi: risottino con moscardini, sedanini al pomodoro fresco con acciughe e capperi, bavette al pesto tra i primi. Orata al vapore, filetti di cernia ai carciofi, petti di pollo al pro-
Vincenzo e Lino Alicino
Ripresentiamo alcuni aspetti della nostra Azienda. I vini provengono dalla produzione con autocisterne della portata di 30.000 litri. smo, siamo veramente una trattoria con prezzi da trattoria anche se, lasciatemelo dire, sull’ambiente e sulle mise en place ci abbiamo lavorato parecchio». E la cucina? «Non abbiamo fatto grandi sforzi di fantasia – conclude Vincenzo –, ma abbiamo puntato molto sulla qualità delle materie prime. La nostra è veramente la classica cucina mediterranea. Cerchiamo di far coesistere tutti i sapori della nostra terra, anzi delle nostre terre, da Nord a Sud, pasta e fagioli e sarde in saor compresi, tanto per fare degli esempi. Siamo pugliesi, un occhio in più per il pesce l’abbiamo, ma non ci fermiamo lì e cerchiamo di offrire un buon assortimento». Oltre al menù fisso di mezzogiorno, la Trattoria Camozzi propone menù di pesce o di carne a prezzo fisso anche alla sera. Ma anche la carta è molto invitante e ci hanno colpito, in particolare, il gran misto di mare alla mediterranea, gli spaghetti di farro con gli scampi e gamberoni caramellati: piatti che lo chef ci ha indicato come tra i più gettonati e che noi abbiamo notato per i prezzi da trattoria.
fumo di mirto e crudo di Parma con carciofi le proposte per il secondo piatto. Polenta, insalata mista, patate e cornetti al vapore i contorni. Pochi indugi nella scelta, puntiamo su un menù di pesce con il risottino con moscardini e l’orata al vapore. In effetti per secondo avevamo scelto i filetti di cernia ai carciofi, ma su suggerimento di Lino Alicino, che opera in sala con molta attenzione anche ai minimi particolari, abbiamo scelto l’orata fresca che poi ci è stata cucinata con i carciofi. Vino di buona qualità servito dalla bottiglia. Un buon pranzo, con un eccellente rapporto prezzo/qualità anche per quanto riguarda i dettagli.
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Affari di Gola novembre 2009 31
questa tazzina non è solo rossa
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Xel, a Seriate ci si diverte al ristorante
Il locale multifunzionale abbina intrattenimento (musica e cabaret) alle proposte enogastronomiche. Un giusto mix per chi cerca qualcosa di diverso
È
aperto da oltre un lustro, è vicino alla città e ha saputo abbinare l’intrattenimento alla ristorazione. Stiamo parliamo dell’Xel di via Levata, a Seriate, locale fashion multifunzionale disposto su due piani e appena rinnovato e reso ancora più accogliente grazie ai lavori eseguiti la scorsa estate.Al piano terra si trova un importante spazio dedicato all’intrattenimento musicale, con programma settimanale diversificato, mentre al piano rialzato è stata ricavata l’area dedicata esclusivamente alla ristorazione. Le proposte gastronomiche spaziano dalla tradizionale pizza cotta nel forno a legna per arrivare alle specialità di carne. Dalla grigliata mista fino alla fiorentina, tutto rigorosamente preparato su pietra lavica, le carni rimangono il punto di riferimento dell’Xel. Particolare attenzione viene dedicata alle comitive: svariati menù concepiti per più persone sono infatti la vera sorpresa dell’offerta culinaria. Gianni Trussardi, responsabile del locale nonché direttore artistico, sottolinea quanto “siano fondamentali un’ attenta politica dei prezzi in grado di soddisfare tutte le esigenze, senza dimenticare l’aspetto qualitativo della cucina e dello svago”. Il palinsesto dell’intrattenimento inizia il martedì sera con musica latino americana, continua il giovedì con live music con importanti autori, mentre il venerdì è dedicato alle serate a tema con musica a trecentosessanta gradi con band dal vivo.Al sabato due dj coinvolgono il pubblico, animando la sera-
ta. La domenica, infine, è dedicata al cabaret con artisti provenienti da palchi come Zelig (inizio spettacolo alle 22). Insomma, questo locale multifunzionale permette di trascorrere serate dove cucina e svago sono assicurati. Feste per circostanze particolari o situazioni private, con tanto di servizio fotografico offerto, trovano in questo ambiente la loro naturale espressione. Al banco dei miscelati troviamo Claudio, esperto barman, mentre Francesco è il riferimento per tutti gli ospiti che desiderano cenare. Mino e Massimo invece si occupano della gestione gastronomica. Il locale apre alle 20 e rimane aperto sino alle 3, con ingresso libero. Speciale attenzione è dedicata anche alle aziende: durante i giorni di chiusura è possibile affittare il locale per meeting e cene.
XEL via Levata 18 - Seriate tel. 035 4523586 e 328 9286664 www.xelseriate.it chiuso lunedì e mercoledì Affari di Gola novembre 2009 33
APPUNTAMENTI
DAL 26 NOVEMBRE AL 13 DICEMBRE
Trento rende omaggio alle sue bollicine Non solo mercatini di Natale. Una visita a Trento in questo periodo può essere l’occasione per conoscere meglio gli spumanti metodo classico Trentodoc. Dal 26 novembre al 13 dicembre torna “Bollicine ssu Trento”, manifestazione organizzata dalla Camera di Commercio niz di Trento e da Trentino Spa che animerà le sale dell’Enoteca proa vinciale del Trentino a Palazzo Roccabruna con eventi enogastronomici, degustazioni e approfondimenti. Il 27 novembre 27 locali della città ospiteranno un produttore di TrentoDoc D per un brindisi collettivo. Lo stesso giorno è in programma
una tavola rotonda sul legame prodotto-territorio con la partecipazione di giornalisti e opinion leader nazionali. Ospite d’onore dell’edizione 2009 sarà il Teatro stabile di innovazione “L’Uovo” de L’Aquila che proporrà una pièce teatrale dal titolo “Bollicine”: un mix di luce, colori, musiche e coreografie ispirate ai brindisi più celebri della storia del cinema che nel periodo dell’evento coinvolgerà gli spettatori in un percorso lungo le sale del Palazzo, concluso da degustazioni di TrentoDoc e piatti della tradizione aquilana. Il tutto sarà realizzato in collaborazione con gli chef abruzzesi i cui locali sono stati colpiti dal sisma. Non mancherà poi la possibilità di degustare autonomamente tutta la collezione del TrentoDoc, comprese le più recenti novità.
Nei ristoranti di Varese e Crema è tempo di rassegne gastronomiche Con la terza edizione della Rassegna Gastronomica dei Sette Laghi, organizzata dall’Associazione Provinciale Ristoratori Uniascom Varese, in quaranta ristoranti della provincia fino al 30 novembre si possono gustare dei menù speciali, con la proposta di prodotti tipici del territorio, dalle castagne al miele, abbinati con il riso. L’opuscolo realizzato per la rassegna (disponibile all’Ufficio Turistico di Varese) oltre all’elenco completo dei ristoranti e dei menù, contiene anche una sezione pensata per i clienti: “L’angolo delle ricette”,
con i consigli degli esperti per preparare piatti a base di riso di facile esecuzione. Fino al 30 novembre continua anche “Family Food”, la proposta tagliata su misura delle famiglie che consumano pranzo o cena nei locali aderenti, con uno o più figli sotto i 12 anni, a cui si applica il 10% di sconto sul conto totale. Anche nel cremasco è tempo di rassegne gastromoniche. Fino al 29 novembre “A Tavola con la Tradizione Cremasca” è un’occasione per far incontrare la ristorazione con i prodotti tipici. Nei
locali aderenti si possono trovare alcuni dei cavalli di battaglia della gastronomia locale, che la manifestazione, iniziata nel 1993, ha contribuito a riportare all’attenzione: i Tortelli Cremaschi, il Salva Cremasco Dop, i piatti a base di pollame nobile da cortile (anatra, faraona, oca), i salumi locali, vere chicche diverse per stagionatura e impasto a seconda del el paese di produzione. L’elenco dei ristoranti e i menù sul sito www.nonsolovino.it
Torrone, menù “m “musicali” e bollito: l’autunno goloso di Cremona Dal torrone al bollito passando per i menù “musicali”. Ce n’è per tutti i gusti a Cremona tra novembre e dicembre. Si può cominciare con una visita alla tradizionale Festa del Torrone che nei giorni 20-21-22 novembre propone degustazioni, mostre, rievocazioni storiche, spettacoli e un ricco programma di iniziative, quest’anno incentrate sul tema “il gioco”. Oppure
34 Affari di Gola novembre 2009
NEI FINE SETTIMANA
“November Porc”, nella Bassa Parmense il maiale è protagonista Il sottotitolo è “Speriamo ci sia la nebbia!”, sufficientemente evocativo dell’atmosfera che la manifestazione vuole creare. Il resto lo svela il nome:“November Porc”, una staffetta in quattro comuni della Bassa Parmense che per ogni fine settimana di novembre proporranno mercati di prodotti tipici, attrazioni di musici e artisti di strada, stand gastronomici, concerti e naturalmente la carne di maiale e i salumi della tradizione. Dopo la prima tappa a Sissa, il 14 e 15 novembre l’appuntamento è a Polesine Parmense con le iniziative denominate “Ti cuociamo Preti e Vescovi”. Il week end successivo a Zibello sarà la volta di “Piaceri e delizie alla Corte di Re Culatello” manifestazione che vedrà, tra i vari eventi, la produzione del Salame Strolghino più lungo del mondo, che sarà poi distribuito gratuitamente, mentre il 28 e 29 novembre toccherà a Roccabianca chiudere la manifestazione con la mostra mercato intitolata “Armonie di Spezie e Infusi” e la gigantesca cicciolata accompagnata da una bella fetta di polenta calda. In tutte le località sarà in funzione il takeaway “McPorc” che proporrà hot dog e hamburger “nostrani” accompagnati da birra e ci si potrà dilettare con “Il Tiro al Salame” il gioco ufficiale della manifestazione. Con la lotteria “La giostra del maiale” sarà possibile vincere succulenti premi e ci si potrà anche avventurare in golose escursioni naturalistiche con “A piedini nella Bassa”. Nei ristoranti associati per tutto il mese sarà proposta la rassegna “A Tavola con November Porc” con menù a tema dedicati a sua maestà il maiale. Info: www.novemberporc.it
fare visita a uno dei ristoranti che aderiscono al “Festival del Gusto in musica” (in programma fino al 13 dicembre) e che propongono serate con menù speciali e accompagnamento musicale. O infine ritrovarsi nell’incantevole Cortile Federico II domenica 29 per “Il piacere della Carne-Il Gran Bollito Cremonese in piazza” dove, con la collaborazione del Gruppo Macellai Ascom, sarà possibile degustare tutti i tagli del classico Gran Bollito Cremonese, accompagnato da mostarde.
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A novembre degustazione sidro e birra telefonate per informazioni
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Affari di Gola novembre 2009 35
L’ANGOLO
DEL SINGLE di Marco Bergamaschi
Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina
Capita a tutti nella vita di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo mo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.
Insalata di riso rosso Ingredienti per 1 persona 70 g di riso rosso 40 g di prosciutto cotto 2 cucchiai di mais in scatola 1/3 di cipollotto 1 ciuffo di rucola 2 pomodori pachino olio di oliva extravergine a piacere sale e pepe
Preparazione Bollite il riso, scolatelo al dente e fate raffreddare. Tagliate il prosciutto cotto a dadini, i pomodorini a piccoli tocchi e tritate il cipollotto dopo averlo privato dello strato esterno. Scolate e sciacquate il mais dall’acqua di conservazione e tagliate finemente la rucola, dopo averla lavata ed asciugata. Unite tutti gli ingredienti, riso compreso, in un piatto fondo e condite con sale, pepe e olio. Lasciate insaporire la pietanza per circa 20 minuti prima di gustarla.
LA CURIOSITÀ Il riso rosso è un prodotto integrale e quindi ricco di fibre: la sua piantina cresce allo stato selvatico e predilige terreni ricchi di argilla e di ferro. Ha chicchi di dimensione media, profumo particolarmente aromatico e si caratterizza per il colore rosso brunito. Speciale è il suo grande aroma e il gustoso sapore dolce. È un alimento sano, nutriente e altamente digeribile e possiede un eccellente valore nutrizionale: molto ricco di sali minerali, in particolare di selenio, supera per ricchezza di vitamine, oligoelementi e sali minerali ogni altro riso. Possiede un alto contenuto di antiossidanti e la medicina tradizionale cinese lo usa per diminuire e normalizzare i livelli di colesterolo nel sangue. Inoltre non contiene glutine, dettaglio che lo rende un cibo ideale nella dieta delle persone celiache. È ottimo saltato con verdure, spezie e condimenti. Cotto si conserva in frigorifero anche per più giorni e può essere poi usato per cucinare insalate e mi-
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nestre. L’unico neo è il tempo di cottura: come tutti i risi integrali richiede più tempo e se si ha fretta è meglio optare per un’altra varietà di riso. Il riso rosso è reperibile nei maggiori supermercati e nei negozi di alimentazione biologica e naturale. E più costoso del riso normale, ma i suoi chicchi particolarmente appetitosi e fragranti fanno presto dimenticare questo piccolo particolare. Negli ultimi anni molte case europee hanno cominciato a coltivare e vendere il riso rosso; particolarmente apprezzato è il riso rosso della Camargue, coltivato biologicamente nella regione francese. Infine, il riso rosso comincia ad essere usato anche nei matrimoni come simbolo di buon auspicio. Sempre più sovente, infatti, al classico riso bianco si preferisce quello colorato e il colore rosso, oltre ad essere portatore di allegria ed abbondanza, è da sempre collegato alla passione dei sensi. A buon intenditore… poche parole.
di Pino Capozzi
Al Settecento di Presezzo primeggia il pesce Quello azzurro protagonista invece alla Caprese
I
Gourmet dell’Accademia Degustateur - presenti anche il Gran Maestro dei Cavalieri della Polenta, Piero Ricci e il presidente del Club dei Buongustai di Bergamo, Ernesto Tucci - si sono dati appuntamento nei giorni scorsi all’hotel Settecento di Presezzo per una serata conviviale. Ad accoglierci, all’interno della dimora storica settecentesca sapientemente recuperata, è stata Alessandra Gotti, componente della famiglia titolare del locale. Menù a base di pesce: ostriche, code di gamberi, filettini di branzino e dolce di zabaione proposto dalla brigata di cucina. In particolare dello chef Antonio Cuomo abbiamo apprezzato le “Code di gamberi alla maggiorana su letto di finocchi e pomodori secchi”. Sempre a base di pesce, questa volta “azzurro”, un’altra serata alla “Caprese” di Mozzo guidata da Bruno Federico.A illustrare i benefici di questa risorsa di cui i nostri mari sono ricchi è stato Lucio Lorusso, specialista in Scienze dell’alimentazione, il quale ha spiegato che con il termine “azzurro” vengono indicati quei pesci che presentano una colorazione dorsale compresa tra il blu scuro e il verde-blu, mentre il ventre tende a presentarsi argento. Di questo pesce ha citato altresì l’ottimo rapporto qualità/prezzo, soffermandosi poi in particolare sulle caratteristiche nutritive, le percentuali di grassi, i benefici per lo sviluppo cerebrale, i protettori per cuore e arterie e l’alto contenuto di vitamine e sali minerali. Tra le varietà di pesce azzurro presenti sul mercato i più diffusi sono: la sardina, l’alice o acciuga, lo sgombro, l’aguglia, lo spratto o papalina, l’alaccia, il lanzardo, la costardella, il suro o sugherello. Le carni sono generalmente molto digeribili con prevalenza di grassi insaturi, in particolare del tipo omega 3. Anche per questo il consumo di pesce azzurro è consigliato nelle diete nelle quali sono da evitare i grassi saturi presenti in altre specie animali.
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Affari di Gola novembre 2009 37
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