Affari di Gola - novembre 2011

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novembre 2011

Supplemento al n. 41 de “La Rassegna” del 17 novembre 2011 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

L’Art Caffè, il buon espresso in città Dalla ricerca del bello e del gusto hanno origine le miscele che dalla torrefazione artigianale di Fornovo San Giovanni arrivano nel locale di piazza Pontida. «Pronti a lanciare il concept anche fuori provincia»

TENDENZE

Spumanti, piccole “perle” crescono

L’ESPERTO

Bozzetti: «Troppe divisioni nel mondo del formaggio»

IL MOVIMENTO

Ecco i “Sovversivi” in difesa dei cibi di qualità

I PRODOTTI

Stoccafisso e baccalà, calano i consumi


Cuvèe Riserva, birra artigianale Italiana.

Riserva invernale. Birra artigianale, integra, non filtrata e senza aggiunta di conservanti, rifermentata in bottiglia. Chiara opalescente, dal profumo agrumato e speziato, dal sapore deciso, dal gusto importante con gradazione non eccessiva.

Q U AT T R O E R R E


NOVEMBRE 2011

SOMMARIO www.affaridigola.it

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PENNA ALL’ARRABBIATA Anche a tavola possiamo dare una mano ai nostri amici liguri

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TENDENZE Spumanti, un mondo in fermento

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L'INTERVISTA "Formaggio italiano in buona salute, ma ritrovi il senso etico"

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I PRODOTTI Stoccafisso e baccalà, i prezzi salgono e le vendite calano

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L'APPROFONDIMENTO Pasta, il piacere che primeggia

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LE BATTAGLIE I "Sovversivi" ci hanno preso gusto

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LA COPERTINA L'Art Caffè, il rito dell'espresso ritrovato

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L'INIZIATIVA Tradizione o innovazione? Le ricette bergamasche si mettono in gioco

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 - 24125 Bergamo Presidente: Ivan Rodeschini Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. - via Giorgio Paglia, 26 24121 Bergamo - tel. 035 213030 fax 035 224572 affaridigola@larassegna.it Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri In redazione: Anna Facci Opinionisti: Pier Carlo Capozzi, Enrico Rota Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo tel. 035/213030 - fax 035/224572 - info@larassegna.it Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 Collaboratori: Michele Andreucci, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Riccardo Lagorio, Laura Bernardi Locatelli, Pino Capozzi, Ettore Coffetti, Fulvio Facci, Alex Gabbi, Roberta Martinelli, Roberto Morandi, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi Impaginazione: Videocomp, Bg Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg

I NOSTRI INSERZIONISTI 4R, l'Art Caffè, Bergel, Brevi due, Il Cipresso, Delizie di Mare, Metalfrigor Arredamenti, Pastificio Benedetti, Pastificio Pigi, La Rocchetta.



PENNA ALL’ARRABBIATA di Pier Carlo Capozzi

Anche a tavola possiamo dare una mano ai nostri amici liguri

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ango e lacrime sulla Liguria, morte e devastazione. “Guardala come arriva guarda com'è com'è/ guardala come arriva guarda che è lei che è lei/ acqua di spilli fitti dal cielo e dai soffitti/ acqua per fotografie per cercare i complici da maledire/ acqua che stringe i fianchi, tonnara di passanti...” Così cantava Fabrizio De Andrè e mai colonna sonora fu più maledettamente azzeccata nei giorni della tragedia e del disastro annunciato. E mi intenerisce il ricordo di un viaggio a Genova, quando attraversai con mio figlio i carrugi tanto amati da Faber, a contatto con un’umanità variopinta e trasversale, alla ricerca di emozioni sbiadite nel tempo, ma che valeva sempre la pena di respirare. Per noi bergamaschi, la Liguria rappresenta da sempre un approdo sicuro: è il mare da bambini, la partenza di una crociera, il mare da grandi, il ricordo di una clamorosa mangiata di pesce, il paesaggio fuori dal finestrino del treno, galleria dopo galleria. È stato terribile vedere la devastazione di Genova, prima ancora delle Cinque Terre, ma anche di Camogli, di Varazze l’anno scorso, tutte località care in cui è capitato di lasciare un pezzettino di cuore. Ci sono gli angeli del fango (la mia generazione ha ricordi di quelli di Firenze) e poi tante belle storie di volontari e di eroi nell’ombra, e poi sottoscrizioni di qua e di là. Noi proponiamo un modo per dare una mano che sposa bene la nostra filosofia di cultori dell’ospitalità e dalla buona tavola: torniamo presto in Liguria, quando la situazione lo permetterà, per una vacanzina veloce, un pranzo memorabile, magari (se i tempi della rinascita saranno brevi) per un inizio d’anno nuovo. Credo che ognuno di voi, per queste eventualità, abbia già i suoi indirizzi. Ci aggiungo i miei, per allargare la conoscenza e, soprattutto, per esorcizzare la paura. A Monterosso al Mare, per esempio, non abbiamo risposta dai telefoni e, quindi, non sappiamo come sia

andata a finire di preciso per molti locali. Ma le agenzie non ci portano conforto, con la notizia che il Ristorante Miky sia stato invaso dalle acque limacciose. Speriamo si rimetta in piedi presto (www.ristorantemiky.it) per tornare a deliziare gli avventori con la sua mitica “Conchiglia con le trenette alla pescatrice”: fatta con la pasta del pane, la conchiglia è cotta separatamente e preparata in modo da conservare le trenette al suo interno. Miky è un locale caratteristico sul lungomare con un delizioso giardino interno e con un grande forno a legna nella sala principale. pr Cucina di mare con le acciughe locali servite in ogni modo, ma anche il “Cappon mam gro” g e deliziosi “Ravioli di pesce al basilico e pinoli”. Buoni dessert e b immancabile bicchiere di Sciaci chetrà, famoso passito delle Cinc que q Terre. Avvicinandovi a Genova, se aveA te la possibilità di fermarvi prima, a San Cipriano troverete il Ristorante Ferrando, (www. ristorante-ferrando.com), famoso per i funghi e per la “Vitella all’uccelletto”, piatto del Buon Ricordo, mentre proprio nel quartiere di Marassi, incredibilmente, Da Edilio non è successo proprio nulla, nonostante la vicinissima e ormai tristemente famosa via Fereggiano. Me lo conferma, con un sospirone di sollievo, la signora Rossella. Come Ferrando, anche Da Edilio (tel.010.811260) ha ospitato spesso la pattuglia di cronisti e fotografi in marcia sullo stadio Ferraris per seguire l’Atalanta: a due passi dalle tribune abbiamo felici ricordi di Acciughe ripiene, Trenette al pesto, Frittatine di gianchetti. A Camogli, invece, alla calata del porticciolo, ricordi di “Acciughe impanate e fritte” servite in barchette di carta matta al Ristorante Vento Ariel (www. ventoariel.it) mentre a Rapallo, in via San Massimo, appuntamento obbligatorio al tempio del fumetto, il Ristorante U Giancu (www.ugiancu.it), per il menù degustazione dedicato al carciofo, per i “Pansoti con salsa di noci” e per il “Coniglio con le olive”. Diamogli il tempo di rialzare la testa e poi andiamo a trovarli. Per una dimostrazione d’affetto e di vicinanza che la gente ligure si merita davvero. piercapozzi@libero.it

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TENDENZE di Giordana Talamona

Spumanti, un mondo in fermento Aumenta l’export, ma a dominare oltreconfine è soprattutto il “metodo italiano”, tra Asti e Prosecco. Il “metodo classico” - con “Trento Doc” e “Franciacorta Docg” leader assoluti - cresce, ma l’82% della produzione viene consumato in Italia. E ora sul mercato si affacciano anche le recenti Docg dell’Oltrepò Pavese e dell’Alta Langa

C

resce il volume d’affari dello spumante italiano all’estero, almeno secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Economico Vini Effervescenti (Ovse), che ha registrato nel primo semestre di quest’anno una crescita dell’export del 21% nei volumi e del 22,5% nei valori. Questi i freddi numeri. Andando nello specifico, tuttavia, l’analisi dimostra che ancora una volta è il Prosecco a trainare questa tendenza, come lo spumante «più gettonato in Italia e all’estero», mentre i metodo classico di Alta Langa e Franciacorta registrano buoni risultati sul mercato nazionale, concentrati per oltre l’82% in nove regioni italiane. Il Trento Doc rimane stabile sul territorio italiano, ma cerca di combattere la crisi, guadagnando più spazio all'estero, con la riduzione del proprio prezzo di vendita. Il metodo italiano, dunque, vince ancora la battaglia dell’export, ma quello che lascia l’amaro in bocca non è che sia il Prosecco Docg a farcela, quanto che fuori dai confini gli spumanti italiani siano «sem-

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Affari di Gola

pre più in crescita, ma sempre più come “generici”», a conferma di quello che tempo fa aveva tenuto a puntualizzare Maurizio Zanella, presidente del Consorzio del Franciacorta secondo cui «lo sbandierato successo dello spumante italiano, analizzando i numeri, è frutto - salvo pochissime eccezioni - di un prodotto assolutamente anonimo che deve le sue performance unicamente a prezzi unitari bassissimi». Gli italiani, se non bastasse, bevono preferibilmente spumante nei tre mesi festivi di fine anno e la destagionalizzazione all’acquisto del metodo classico, tendenza che ha

contrassegnato il settore per qualche anno, si è arrestata con la crisi dei consumi. Questo, permetteteci una breve considerazione, è anche il retaggio di una bassa conoscenza, da parte di un consumatore ancora poco evoluto, del valore aggiunto del metodo classico e della sua abbinabilità a tutto pasto. Eppure, secondo diversi sondaggi, nella scelta di un metodo classico, il consumatore oltre a citare i grandi nomi della spumantistica italiana (i più menzionati sono 4 produttori lombardi e uno Trentino), si spinge volentieri verso il prodotto locale, segno che su tutta la penisola esistono bolli-


cine di livello e nicchie di mercato ancora poco note. I dati sulla spumantistica italiana fotografano, dunque, piuttosto genericamente, un comparto economico dal ragguardevole valore di 2,9 miliardi di euro, con circa 300 denominazioni, Doc e Docg, e 2.110 etichette tra metodo classico, metodo italiano e spumanti dolci. Andando nello specifico, nel 2010, il valore sul mercato nazionale del metodo classico è stato di circa 280 milioni di euro, per una media al consumo di 13,10 euro a bottiglia (contro i 5,80 euro delle bollicine metodo italiano che hanno raggiunto complessivamente i 750 milioni di euro). A spartirsi la fetta più consistente delle bollicine da rifermentazione in bottiglia sono due leader di mercato, Ferrari e Guido Berlucchi, che rappresentano congiuntamente il 40% del mercato nazionale e il 50% dell’export. Si parla di Trento Doc e Franciacorta Docg, dunque. Il Trento Doc, che comprende trentaquattro produttori con 80 etichette differenti immesse sul mercato, ha registrato un giro d’affari di 100 milioni di euro, contro i 120 milioni della Franciacorta. Il Consorzio trentino, tuttavia, in quella che può sembrare una battaglia delle cifre, dichiara che il loro posizionamento nella grande distribuzione li fa attestare come il metodo classico “più bevuto in Italia” con un netto 8%, contro il 6,3% del Franciacorta Docg. Dati alla mano, dunque, i Trento

Doc, grazie ad una presenza capillare nella Gdo, raggiungono più facilmente il grande pubblico con prodotti di livello medio, mentre quelli della Franciacorta, mediamente di costo più elevato, sono venduti in canali settoriali legati prevalentemente alle enoteche e ai ristoranti. La Franciacorta comprende, nei suoi 2.500 ettari destinati alla produzione del metodo classico, 104 cantine che rappresentano ben il 97% dei produttori sul territorio. Come a chiarire, semmai ce ne fosse bisogno, che la rinascita di questa zona, per qualità e successo iniziata negli anni Sessanta, ha letteralmente cambiato la faccia di questo territorio che, da terra di rossi, si è trasformata in terra di spumanti metodo classico

grazie all'impianto di Chardonnay, Pinot bianco e Pinot nero. Le bottiglie di Franciacorta Docg commercializzate l’anno scorso sono state 10,4 milioni contro gli 8,8 del Trento Doc, ma parlare di vendite, fosse anche solo per il 2010, non ci dà la portata di chi vinca il mercato, soprattutto qualitativamente. Esistono numerose tipologie nelle due produzioni, con affinamenti più o meno lunghi g sui lieviti. Nel caso trentirentino il disciplinaree di produzione prevede vede un affinamento minimo sui lieviti inferioeriore (15 mesi) rispetto etto al Franciacorta (18 mesi) che ha anche che rese per ettaro più basse. Quello che, he, semmai, sembra ra interessante analizzare, nel pri-

L’INTERVISTA ALL’ESPERTO

Invernizzi: “Ma in tutta la Penisola spuntano nicchie di sorprendente qualità” Il Metodo Classico in Italia, trainato dalle grandi produzioni di Franciacorta, Trento e Oltrepò Pavese, ha migliorato enormemente la qualità media di produzione su tutto il territorio. Ne è convinto un esperto del settore, il novarese Guido Invernizzi, tra i più attivi relatori dell'Associazione Italiana Sommelier (Ais), fine conoscitore delle produzioni vitivinicole italiane ed estere. L'esposizione al sole, la brezza talvolta incuneata in dolci colline o in pendenze più decise, le caratteristiche geologiche e morfologiche del terreno, oltre ai differenti vitigni utilizzati, fanno esprimere gli spumanti metodo classico in maniera sostanzialmente differente, per caratteristiche organolettiche e piacevolezza gustativa. Ogni zona vocata ha proprie peculiarità, ogni vitigno ha inclinazioni differenti per finezza, potenza o predisposizione all'invecchiamento. “Le bollicine dell'Oltrepò Pavese hanno maggiore struttura - spiega Invernizzi - a causa del Pinot Nero utilizzato, nella cuvée, in percentuale maggiore rispetto agli spumanti della Franciacorta e del Trentino, che hanno caratteristiche più simili, per l'utilizzo dello Chardonnay e del Pinot Bianco che conferiscono maggiore eleganza e finezza gusto-olfattiva". Prodotti versatili, declinati in maniera differente grazie alla componente del Pinot Nero che dà potenza allo spumante, predisponendolo ad un maggior invecchiamento sui lieviti, in rapporto alla quantità utilizzata rispetto

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TENDENZE

ai vitigni vitign a bacca bianca per loro caratteriche, pe conferiscono agli stica, co spumanti maggiore classpumant se e finezza. “Questi tre fine grandi territori hanno fatter to da apripista, negli ultimi aprip decenni - spiega Invenizzi - per la promozione qualitapro tiva del Met Metodo Classico nel nostro P Paese. Saremmo, tuttavia, tuttavia ingiusti con la grande spumantistica grand italiana, italian se ci limitassimo a parlare di Oltrepò Pavese, Franciacorta e Trento come delle uniche produGuido Invernizzi zioni qualitativamente valide in Italia. Esistono, infatti, altri prodotti sul nostro territorio che nulla hanno a che invidiare per potenza, eleganza e finezza”. Dalla Valle d'Aosta alle Sicilia, in zone vitivinicole totalmente differenti, vengono prodotti spumanti di grande livello che esprimono le caratteristiche della terra da cui provengono. “Poco conosciute sono le cosiddette bollicine d’altura - prosegue Invernizzi - prodotte in Valle d’Aosta da uve a bacca rossa come il Petit Rouge, vinificato in rosato, o come il Gamay, con cui si fa uno spumante rosso, da metodo ancestrale (metodo di fermentazione senza l'aggiunta di lieviti selezionati, come nel “classico”, ma con doppia fermentazione naturale a diverse temperature, ndr), molto interessante che può reggere benissimo gli affettati e le carni bianche”. Rimanendo in montagna, ma passando all'Alto Adige con 200.000 bottiglie di Metodo Classico prodotte all'anno, ritorna nuovamente lo Chardonnay come base percentualmente rilevante nelle cuvée, proprio come nel vicino Trento Doc. “Le produzioni altoatesine, tuttavia - spiega Invernizzi hanno una qualità medio/alta assolutamente ragguardevole. Mentre nel Trento Doc, anche a causa dell'alto numero di bottiglie prodotte, si possono trovare spumanti di qualità media, nell'Alto Adige la qualità raggiunge grandissimi livelli”. Anche in Alta Langa, dove nel 2010 sono state vendute circa 160.000 bottiglie di spumante, si trovano prodotti notevoli a base Chardonnay e Pinot Nero.“Esistono dei Blanc de Blanc estremamente fini ed eleganti come il Brut Zero Valentino, Rocche dei Manzoni - continua Invenizzi - o prodotti di straordinaria struttura come il Brut Coppo, Riserva del fondatore”. Scendendo lungo la Penisola, fino a raggiungere l'Emilia Romagna, “possiamo degustare degli interessanti metodo classico da Lambrusco”, o arrivando sino alle Marche trovare “delle buone bollicine vinificate da Verdicchio e Passerina”. Proseguendo verso sud, sino al Sannio Beneventano,“in terreni simili per composizione geologica a quelli della Champagne, ci sono spumanti di alto livello prodotti da Falanghina e Aglianico”, o nella Daunia pugliese,“possiamo trovare dei vitigni autoctoni estremamente interessanti per la spumantistica di qualità, come il Bombino Bianco e il Montepulciano”, o in Sicilia “delle particolarissime bollicine etnee da Nerello Cappuccio e Nerello Mascalese”.

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mo semestre 2011, è la strategia di vendita del Trento Doc che sta puntando su un calo dei prezzi, mentre il Franciacorta, fa sapere il Consorzio, ha un prezzo medio che “va dai 15 ai 35 euro fino ad arrivare ai 100 euro per le Riserve”. Sull’Oltrepò Pavese c’è da fare un discorso a parte. La zona è indubbiamente il grande serbatoio vitivinicolo della Lombardia, con oltre il 60% di produzione, attestatasi coi suoi 13.500 come la terza denominazione italiana per numero di ettari vitati. Di questi circa 3mila ettari sono coltivati, da cinquanta produttori, a Pinot Nero, vitigno base per la produzione dello spumante metodo classico che ha ottenuto la Docg nel 2007. Il Consorzio ha poi costituito, nel 2009, il marchio Cruasé che indica quei metodo classico rosé prodotti da Pinot Nero in purezza, che dovrebbero dare riconoscibilità e identità a tutta la zona. I dati della prima stagione di produzione, 2009-2010, relativi alla nuova denominazione, non permettono al momento di fare statistiche comparative. Nonostante questo, analizzando i numeri del Consorzio scopriamo che il 60% della produzione rimane in regione, il 30% viene venduto nel resto d’Italia e il 10% travalica i confini nazionali. Sul versante della distribuzione la parte del leone la fa, incredibilmente, la ristorazione con


un ragguardevole 35%, le enoteche si attestano al 25%, mentre la Gdo e la vendita diretta si spartiscono un 20% a testa. Anche i metodo classico dell’Alta Langa che da poco hanno ottenuto la Docg, si stanno ricavando una buona fetta di mercato nell’ultimo semestre 2011, nonostante un prezzo medio in enoteca di circa 20 euro a bottiglia. I numeri, rispetto alle grandi produzioni, sono di tutt’altra portata: 11 case spumantiere presenti su 71,66 et-

tari vitati e 160.176 bottiglie prodotte nel 2010. Andando sempre di più nella qualità di nicchia, non si può dimenticare l’Alto Adige con poco meno di dieci produttori e 200.000 bottiglie prodotte all’anno. Si registra, infine, un exploit dell'ultima ora per i prodotti di punta del Gavi Docg metodo classico che, secondo i dati dell’Ovse, si stanno ricavando sempre più spazio e per alcuni Brut emiliani, da rifermentazione in bottiglia, ottenuti dal Lambrusco di Sorbara.

ANNO 2010 CONSUMI BOLLICINE NAZIONALI IN ITALIA E NEL MONDO STIMA/MACROTIPOLOGIE E DENOMINAZIONI milioni di bott/arrotondamento

METODO ITALIANO (Charmat)

ITALIA ESTERO TOTALE

Asti Docg

10.000

64.000

74.000

Conegliano Valdobbiadene Docg/Doc

36.000

18.000

54.000

Spumanti secchi (Do-Igt/Prosecco/ aromatici/vitigno/generici)

52.000

78.000

130.000

Spumanti dolci (VSQ-VS/generici/ vitigno/aromatici)

30.000

64.000

94.000

128.000

224.000

352.000

Totale bottiglie nr

METODO CLASSICO ITALIANO

ITALIA ESTERO TOTALE

Trento Doc

7.500

500

8.000

Oltrepò Pavese, AltaLanga, AltoAdige, Friuli e altri Docg e Doc

1.650

50

1.700

VSQ - VS

4.050

50

4.100

Franciacorta

8.950

850

9.800

22.150

1.450

23.600

Totale bottiglie nr

Fonte: Uffici doganali, Contrassegni Stato, Importatori, Imprese, Consorzi di Tutela e Enti, Istat-Ismea, Ice, Assocameraestero, Istituti di Ricerca, AcNielsen, Iwsr, Justdrinks, Oemv

Le nicchie emergenti secondo Invernizzi - Spumante "Ancestrale" Gamay La Crotta de Vegneron (Valle d’Aosta) - Extra Brut Millesimato – Arunda (Alto Adige) - Metodo Classico Brut Athesis Alto Adige V.S.Q.P.R.D. Kettmeier (Alto Adige) - Pas Dosé 2007 Haderburg (Alto Adige) - Brut Zero Valentino, Rocche dei Manzoni (Piemonte) - Brut Coppo, Riserva del fondatore (Piemonte) - Brut Rosso – Spumante Metodo Classico – Bellei (Emilia Romangna) - Brut Rosé - Dubl Feudi di San Gregorio (Campania) - Brut Rosé – D’Araprì (Puglia) - Brut Riserva Nobile - D’Araprì (Puglia) - Murgo Brut metodo classico (Sicilia)

LA SCHEDA

Così si produce col metodo classico Gli spumanti metodo classico sono prodotti con rifermentazione in bottiglia. Dopo aver prodotto il vino base ed averne deciso l'assemblaggio (la cosiddetta cuvée), si aggiunge “la liquer de tirage”, una miscela di zucchero e lieviti selezionati. Il vino viene imbottigliato e sigillato con un tappo a corona, sotto il quale è inserito un cilindro di plastica (la bidule) che servirà per raccogliere le fecce a fine “remuage”. Le bottiglie vengono accatastate ed inizia la cosiddetta “presa di spuma”: i lieviti trasformano lo zucchero in anidride carbonica, alcol ed altre sostanze. Nell'arco di circa sei mesi i lieviti terminano tutto lo zucchero disponibile e muoiono, dando inizio al processo di autolisi dove rilasciano tutte le sostanze assorbite in fase di fermentazione, più tutte le componenti presenti nelle loro membrane cellulari, arricchendo così lo spumante di profumi ed aromi tipici. Più sarà lunga la fase di “affinamento sui lieviti”, e più lo spumante sarà complesso e ricco di sfumature. Dopo questa fase le bottiglie subiscono il cosiddetto “remuage”: vengono messe in pupitre (cavalletti di legno) o in giropalette e quotidianamente girate fino a passare dalla posizione orizzontale e a quella verticale. In questo modo tutte le fecce scivoleranno lentamente lungo la bottiglia, fino al collo, entrando nella bidule. A questo punto si procede con la sboccatura: il collo della bottiglia viene congelato permettendo, in fase di stappatura, la sola fuoriuscita della bidule con le fecce. Infine, in base alla tipologia di spumante (Non dosato, Extra Brut, Brut, Extra Dry, Sec, Demi Sec), si può aggiungere uno sciroppo di dosaggio e procedere con la conclusiva tappatura a fungo.

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L’INTERVISTA di Leo Bartoli

“Formaggio italiano in buona salute, ma ritrovi il senso etico” Vincenzo Bozzetti, uno dei massimi esperti italiani del settore, conferma che anche le nicchie artigianali-amatoriali trovano sempre più spazi ed apprezzamenti. “Tuttavia, va risollevata la soglia di credibilità del sistema lattiero-caseario”.“A Bergamo? Potrei cenare con tre formaggi nel piatto: il Taleggio di Vedeseta, lo Strachìtunt e un Branzi stravecchio”

I

strionico, volubile, pignolo, di una simpatia contaBozgiosa, ma soprattutto competente. Vincenzo Bo formaggio, zetti è uno dei massimi esperti italiani di formaggi ma è anche un personaggio unico, una bandiera per il comparto: da anni, come docente Onaf (Organizzazion (Organizzazione nazionale Assaggiatori di FormagForma gi), è il severissimo giudice di d centinaia di giurie di concorsi concor caseari di mezzo mondo, mond dagli Usa all’Argentina fino n all’Australia. Nei 40 anni di d attività lavorativa si è occu occupato prima di laboratorio laboratori analisi, di produzione, poi po di forniture di beni e servizi servi per caseifici e centrali d del latte. Lui assaggia, valuta, valut si arrabbia (eufemi(eufem smo) quando quand

certi cru vanno “fuori giri” sul fronte dell’affinamento o della lavorazione, si esalta (con espressioni iper-colorite) quando vede un formaggio fatto ancora a regola d’arte. Direttore tecnico della rivista “Il Latte”, è reduce dalla sua ultima fatica editoriale, il “Manuale Lattiero Caseario” (editore Tecniche Nuove), una sorta di “summa” sulle regole auree del settore, presentato a Parma nell’ambito di “Cibus Tec”. Trovarsi con Vincenzo è un piacere: traspira passione per il formaggio e te lo fa apprezzare da tutte le sue angolazioni: nella sua Casteldidone (Cremona), la patria del filosofo Roberto Ardigò e dei meloni migliori dello Stivale, ha una collezione di libri caseari che spazia indietro di secoli, praticamente unica in Italia.A lui chiediamo lo stato di salute del formaggio in Italia, con alcune incursioni in ambito bergamasco, una terra, quella orobica, che lui conosce bene, perché spesso è venuto in occasione di concorsi, esami Onaf e manifestazioni casearie, citando molti gioielli orobici del palato nella parte italiana curata (solo) da lui del monumentale “Atlante Mondiale dei Formaggi” (sempre per Tecniche Nuove editore). Bozzetti, nonostante la crisi, il formaggio è ancora uno dei punti di forza del made in Italy? “Confermo: il formaggio italiano gode di ottima salute, sotto il profilo della domanda, in Italia come anche all’estero, nonostante la crisi finanziaria internazionale, ed anche sotto il profilo della qualità media, in costante miglioramento. Anche le nicchie artigianali-amatoriali trovano spazi ed apprezzamenti”. Perché in Francia figure come l’affineur sono acclamate da tutti e da noi invece vivono nell’anonimato? “In Italia abbiamo solo una dozzina di affinatori di livello elevato, però non abbiamo la cultura media olfattogustativa dei francesi. Noi apprezziamo maggiormente la struttura, infatti abbiamo i migliori formaggi della categoria “duri” per la grattugia e la regina dell’elasticità, la mozzarella”. I produttori italiani sono sempre in conflitto tra


loro: perché non riusciamo mai a fare gioco di squadra? “Gli italiani sono individualisti, più propensi a differenziarsi che a trovare ragioni per lo stare insieme e fare squadra. Forse un antropologo ci potrà aiutare, personalmente mi limito a prendere atto dei campanili, del palio delle contrade, delle mille caciotte tutte diverse l’una dall’altra…”. Per molti la Dop è la panacea di tutti i mali, per altri è solo fumo negli occhi: cosa ne pensa? “Agli inizi il sistema delle Indicazioni Geografiche dell’Unione Europea dalle quali parte la Dop tutelavano le produzioni, ora tutelano il consumatore dalle imitazioni. Sarebbe auspicabile che il sistema europeo venisse ratificato a livello mondiale”. Lei è l’ideatore di un sistema di degustazione sensoriale per i formaggi a livello soprattutto olfattivo, che comincia ben prima dell’assaggio: ce ne spiega in due parole la filosofia? “Il metodo di degustazione che suggerisco si basa su quattordici descrittori sensoriali tramite i quali si descrivono i formaggi, prima ancora di “giudicarli”. In due parole suggerisco di “ascoltare il formaggio”, capirlo e poi apprezzarne le sue doti. Sparare giudizi dogmatici regala visibilità, non certo equilibrio”. Lei va ai concorsi caseari in tutto il mondo: c’è qualche nazione che sta crescendo nel settore? “Nei prodotti caseari Brasile, Argentina e Stati Uniti stanno facendo enormi progressi sul piano qualitativo. Se invece includiamo il latte alimentare ed i prodotti freschi, India e Cina crescono costantemente”. Ci regali le sue classifiche: i primi tre formaggi italiani e il top in Bergamasca… “Non resisto ad un formaggio stravecchio da meditazione con un bicchiere di vino da uve passite. Non rifiuto una buona Mozzarella aversana di latte di bufala con un buon spumante italiano, come accetto volentieri un bicchiere di vermentino con un pecorino sardo sui due mesi di stagionatura. A Bergamo, potrei cenare con tre formaggi nel piatto: il Taleggio di Vedeseta, al quale affiancherei lo Strachìtunt e un Branzi stravecchio”. Bergamo ha il primato nazionale delle Dop nei formaggi (8) eppure non riesce ad emergere come una delle capitali casearie italiane: non sarebbe il caso di pensare a una fiera, un premio ad hoc? “Bergamo è sicuramente l’alfiere caseario nazionale, ma la sua vicinanza a Milano l’avvantaggia e la penalizza. Oggi, per immaginare un evento come quello di “Cheese” a Bra bisogna mettere a bilancio un preventivo di 2 milioni di euro. Il Trofeo San Lucio di Pandino costa 20.000 euro. In mezzo ci può stare di tutto, se ci sono gli interessi e le volontà: per esempio portare i formaggi di Bergamo a Milano”. C’è una priorità che il settore caseario italiano deve affrontare assolutamente? “Il settore lattiero caseario italiano dovrebbe ritrovare il senso etico del proprio operare. I problemi legati alle quote latte, al latte in nero, al grattugiato tarocco, le microstrutture autoreferenziali, hanno abbassato la soglia di credibilità del sistema latte Italia. Dovremmo ritrovare dignità dal basso: dall’alto non arriva nulla di buono”.

IL LIBRO

La sua ultima fatica editoriale è il “Manuale Lattiero Caseario” Il Manuale Lattiero Caseario, edito da Tecniche Nuove, è stato presentato lo scorso 21 ottobre a una platea di esperti al salone Cibus Tec di Parma. L’autore Vincenzo Bozzetti si è avvalso di una schiera di esperti in ogni singolo passaggio della filiera. Il libro si rivolge a tutti gli operatori del settore, offrendo loro uno strumento pratico, di elevato profilo tecnico-scientifico e di facile consultazione. Il testo è diviso in cinque sezioni: • la prima, di carattere generale, dopo alcune note di storia ed economia lattiero casearia tratta la produzione del latte, i suoi componenti, il latte alimentare, l’igiene e la disinfezione, l’aria e l’acqua in uso nei processi di lavorazione; • la seconda, altamente specializzata, è dedicata alle principali tecnologie di caseificazione di formaggi italiani e mondiali; • la terza descrive altri prodotti derivati del latte, quali il burro, la ricotta, il mascarpone, il gelato e il siero; • la quarta approfondisce gli aspetti legati al packaging e alla distribuzione, al controllo di gestione dei costi delle trasformazioni lattiero casearie e alle modalità di certificazione; • la quinta e ultima sezione, corredata da un ricco apparato iconografico, rende il Manuale unico nel suo genere offrendo una trattazione vasta e approfondita, dedicata all’impiantistica, che descrive le tecnologie di base ed esamina le infrastrutture di processo, generali e specifiche.

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LA LETTERA

Caro “Ristoratore da sempre”, ecco come possiamo differenziarci L dai venditori di effimero

PENNA ALL’ARR

ABBIATA

di Pier Carlo Capo

zzi

Quanti rinca Forse è l’ora deri dietro al bancone! l ggiusto o compromesso

LA

C

aro Ristoratore da sempre, complimenti per la tua bella lettera, le argute argomentazioni e l'intelligente ironia. Anch'io come "ristoratrice da sempre" - anche da prima di nascere, perché il mio ristorante, aperto dai miei nonni, nel 2010 ha comcom piuto 100 anni - e come responsabile della categoria dei Ristoratori Ascom mi sono sentita immediatamente

coinvolta dalle tue riflessioni. Inoltre, questo incarico mi ha resa più sensibile a tutte le tematiche e problematiche che si nascondono dietro ad un'insegna e non solo la mia. Come uscire da queste criticità da così bene descritte che ci cointe cos volgono tutti, ora come non mai? volgo do da chi ha sempre le soluDiffid zioni in tasca e da chi fa facili e roboanti proclami. roboa questo argomento un interesSu qu sante spunto di riflessione l'ha dato il presidente della Fipe (la Federazione dei pubblici esercizi Feder aderenti a Confcommercio) Lino adere Stoppani, nell'assemblea dello Stopp scorso 27 settembre in occasione della Giornata Mondiale del Turiha sottolineato smo. L'intervento L come la ristorazione al di là dei numeri, in termini di occupazionume ne, Pil Pi etc., ha una funzione che va oltre lla somministrazione di pasti e può giocare un ruolo fondamennella riscossa dell'immagine tale n Italia. del Sistema Si È da questa consapevolezza che dobbiamo partire perché qualcodobbi cambi. sa cam Innanzitutto noi ristoratori da Innan sempre abbiamo la capacità semp l’allenamento per guardare e l’al non all'immediato, ma ad una prospettiva più lunga, sapendo prosp aspettare risultati migliori nel aspe rispetto delle regole verso clienti, rispe collaboratori e fornitori. colla Allora penso che paradossalAllo mente dobbiamo tornare alle me nostre origini: non eravamo no solo "osti" ma punto di riferisol mento per la comunità. Questo me quello che ci differenzia da è q

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di Pier Carlo Capozzi

e vacanze, per chi le ha potute fare, sono un ricordo lontano. O meglio, tanti ricordi lontani: una sequenza di antipasti in riva al mare, disuna visita alla cattedrale, una corsa sulle strade scarpisestate che attraversano ulivi e vigneti, una di nata in montagna insieme al cane, un brindisi agli scamezzanotte in crociera, una visita guidata vi, una nuotata solitaria in piscina, una spaghettain bici ta con gli amici del campeggio, una sudata

L

su e giù per le colline. nella Ognuno di noi ha le sue fotografie impresse memoria e nel cuore, immagini che ci aiuteranno a tirare avanti. a distesa di campaIn compenso sono suonate una nelle e sono ricominciate le scuole. L’autunno che incombe è anche questo. I miei inizi di scuola da bambino,

stati del 53,7% riducendo così il potere d’acquisto delle famiglie del 39,7%. partire Tutti abbiamo un colpevole da indicare, a gialli di dall’euro, il maggiordomo che di solito, nei via in una volta, era indiscutibilmente da portare manette. Noi crediamo che un periodo di sperimentazione fatto (con la doppia valuta) più lungo non avrebbe stato un male, così come siamo straconvinti che sia cartaerrore fatale la mancata introduzione della moneta da 1 euro. 208%, Certo, anche la penna a sfera è aumentata del penperò i dati relativi ai bar e ai ristoranti fanno sare. sar E siamo al punto, al ritorno cioè dell’attività commerciale: ci che fare, coi venti che tirano non certo a favore? Ritoccare i prezzi all’ingiù? Sacrificare lità di servi d

La lettera di Petronilla Frosio risponde all'intervento di un ristoratore pubblicato sul numero scorso e alle sollecitazioni lanciate da Pier Carlo Capozzi nella rubrica Penna all'Arrabbiata di settembre. Sul sito www.affaridigola.it è possibile leggere le "puntate precedenti" del dibattito accedendo all'archivio

chi si improvvisa, da chi vuol fare subito cassa, da chi fa una sleale concorrenza. A questo punto diventano fondamentali: * qualificazione professionale * specializzazione * coordinamento tra pubblico e privato: il far parte di associazione di categoria per unire le forze per promuoversi e promuovere il territorio e far sentire il proprio peso alle istituzioni. Credo che noi "ristoratori con questi requisiti da sempre" abbiamo il compito di trasmettere questi valori mettendo a disposizione la nostra professionalità e memoria storica affinché anche le generazioni future abbiano un giorno l'orgoglio di firmarsi "ristoratore da sempre". Colgo l'occasione per salutare gli amici ristoratori e ringraziare Pier Carlo Capozzi per i suoi articoli capaci di focalizzare di volta in volta pregi e difetti di questo complesso mondo della ristorazione. Petronilla Frosio


EMOZIONI DAL MONDO Enrico Rota e Sergio Cantoni

Rota:“Confermato il salto di qualità del Valcalepio” Il presidente del Consorzio di Tutela: “Il concorso ha avuto buone ricadute sul territorio”

D

ieci delle 56 medaglie d'oro assegnate al termine del settimo concorso internazionale «Emozioni dal mondo: Merlot e Cabernet insieme» sono andate ad altrettanti vini bergamaschi. Eccoli: Serafo 2007 e Satiro 2007 dell’azienda agricola Tallarini; Rosso della Bergamasca 2009 di Cà del Manet; Donna Marta 2005 di Tenuta Le Mojole; La Rocchetta Riserva 2006 - Valcalepio rosso; Monte Tre Croci 2007 - Valcalepio rosso di Ronco della Fola; “Bergamasca rosso 2010” della Cantina sociale bergamasca; Valcalepio rosso 2008 dell'azienda La Tordela; Elogio 2008 Rosso della Bergamasca dell'azienda Magri Eligio; Cantoalto riserva 2007 - Valcalepio rosso dell'azienda agricola Cascina del Bosco di Lorenzo Bonaldi. “Un risultato di tutto rispetto - evidenzia il presidente del Consorzio Tutela

Valcalepio, Enrico Rota - che deve far riflettere tutti gli operatori. Il risultato ottenuto dai produttori bergamaschi in uno dei quattro concorsi internazionali che l’Italia ospita decreta in modo definitivo il lavoro fatto negli ultimi anni, elevando in modo evidente l’aspetto qualitativo che oggi ci permette di non temere più nessun confronto”. Quanto alle due Gran Medaglie d'oro, una è andata al Merlot Cabernet Sauvignon Constantini del 2006 prodotto dalla slovena Constantini Vina; l'altra al Cabernet Alto Mincio Val di Pietra del 2009, dell'azienda italiana Tenuta Maddalena. Ben 201 sono stati i vini da tutto il mondo (15 i Paesi rappresentati) messi in concorso in questa settima edizione e sottoposti al giudizio di giudici di varia estrazione (tecnici e giornalisti) altamente

qualificati, provenienti da 18 nazioni. Giuria che ha confermato come inizi a evidenziarsi un gradimento crescente per i vini meno strutturati e muscolosi, ma più freschi e morbidi. “Abbiamo già più volte ribadito - spiega Rota - che il vino deve essere fonte di emozioni ma senza l’obbligo di doverlo descrivere scientificamente. L’aspetto conviviale e di appagamento devono rimanere prioritari. Non a caso i consumatori sembrano non amare più vini con sapori e gusti standardizzati, mentre ricercano quelli in grado di esaltare il vitigno e il suo territorio”. “Grazie all’internazionalità del Concorso - conclude il presidente - l’evento ha creato una grande visibilità al nostro territorio e ha permesso pure la valorizzazione delle produzioni tipiche locali, rafforzando la loro conoscenza e diffusione”.

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I PRODOTTI di Laura Bernardi Locatelli

Stoccafisso e baccalà, i prezzi salgono e le vendite calano Orobica Pesca e Bergel-Vivamar confermano i dati Ismea 2010 che registrano il calo di consumo tra i prodotti ittici secchi, salati e affumicati. A Bergamo il merluzzo salato o essiccato resta ancora il piatto ideale per rispettare le consegne della Quaresima

È

sempre stato tradizionalmente il “pesce” dei bergamaschi, assieme a quello nostrano di laghi e fiumi. Stoccafisso e baccalà, alla faccia dei tremila chilometri di viaggio dai Mari del Nord e a dispetto della filosofia del kilometro zero, sono stati storicamente gli unici piatti di mare proposti in terra bergamasca, quasi esclusivamente nella versione nostrana del “fish and chips” impanati e fritti. A portare l’alimento principe dei vichinghi in Italia fu, o così vuole la leggenda, il capitano

veneziano Pietro Quercini che naufragato nel 1432 in Norvegia sull’ isola di Rost, a sud delle Isole Lofoten che sul merluzzo hanno costruito la propria fama - imparò a nutrirsi di stoccafisso e portò nella Repubblica i grossi pesci fatti essiccare ai venti del Nord. E curiosamente lo “stocco” riuscì a farsi largo tra i pesci del nostro mare, diventando un elemento prezioso di molte cucine regionali, in particolar modo al sud, con Napoli a farla da padrona, e perfino nelle isole, Sicilia in testa. Cucinato in

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tutto il Triveneto, tradizionalmente considerato un piatto povero e popolare, lo stoccafisso venne sempre amato in segreto anche da signori e nobili. Se altrove, lungo tutto l’Appenino in Centro Italia e al Sud, è protagonista della tavola sotto Natale, a Bergamo è ancora il piatto ideale per rispettare le consegne della Quaresima, periodo durante il quale si registrano le vendite maggiori. Se le frittelle di baccalà - chiamato in dialetto bertagnì - vengono ancora oggi vendute al mercato e proposte in gastronomia specialmente il venerdì, al ristorante compare tutt’altro che di frequente nei menù e a casa si cucina sempre meno. Le vendite di stoccafisso e baccalà sono in calo a causa dei prezzi elevati che ne fanno oggi un piatto tutt’altro che povero, mentre va forte la proposta di baccalà dissalato, congelato, pronto all’uso, dai costi decisamente contenuti. Sono queste le tendenze rilevate da


“Orobica Pesca”, tra le principali realtà in Italia nella commercializzazione e distribuzione di prodotti ittici, e dalla “Bergel-Vivamar” di Zanica, specializzata nella vendita all’ingrosso e al dettaglio di prodotti alimentari. Il dato rilevato dagli specialisti bergamaschi del settore appare in linea con quello nazionale: i dati Ismea 2010 relativi al consumo di pesce da parte delle famiglie italiane rilevano tra i prodotti ittici meno acquistati siano quelli secchi, salati e affumicati. Tra i trasformati, se cresce il salmone affumicato (+14,1% rispetto al 2009), il baccalà evidenzia una diminuzione dopo il +4,7% dell’anno scorso. Eppure stocco e baccalà, estremamente versatili in cucina, rappresentano una risorsa preziosa: garantiscono disponibilità di pesce tutto l’anno e sono un alimento ricchissimo dal punto di vista nutrizionale. Da questo punto di vista, lo stoccafisso è un alimento unico: un chilo equivale a circa 5 chili di pesce fresco e nessun altro alimento conosciuto contiene una simile concentrazione di

proteine, oltre ai preziosi Omega 3 e a un buon concentrato di vitamina B. Insomma, un prodotto tutto da scoprire e che in tavola non annoia mai o quasi: basti pensare che in Portogallo ogni massaia ha a disposizione la bellezza di 366 ricette per portare in tavola ogni giorno dell’anno, ivi compresi quelli bisestili, il “bacalhau” .

OROBICA PESCA

“Pesano i costi, ma anche una cultura non del tutto favorevole al prodotto” “A Bergamo lo stocco si chiama baccalà e il baccalà è stato ribattezzato bertagnì, da Bertagnino, considerata la migliore varietà sul mercato che arrivava a Bergamo da Genova in grosse botti di sale - tiene a precisare Giovanni Cacciolo Molica, titolare di Orobica Pesca, ripercorrendo la nostra storia e tradizione gastronomica - .Un tempo era il cibo dei poveri, oggi è un piatto da ricchi, considerato che lo stocco viene venduto a 20/25 euro, che salgono a 30/40 euro al chilo per il “Ragno”, lo stoccafisso più pregiato, venduto con le sue uova. Dopo esser stato opportunamente battuto, una volta reidratato, un chilo di stoccafisso arriva anche a pesare 2 chili e mezzo, per cui il prezzo si abbatte notevolmente”. Ma a negare fama e popolarità a stoccafisso e baccalà non è solo il prezzo: “Qui non c’è cultura di stoccafisso e baccalà, a differenza di Napoli o della Sicilia, per non parlare del Portogallo, che è il più grande consumatore di “bacalhau” al mondo - continua il titolare di Orobica Pesca -. Se altrove stoccafissi giganti di enorme pregio del peso di cinque, sei e addirittura otto chili hanno fortuna e si prestano a svariate ricette, qui non vengono impiegati: a Bergamo la ricetta principe del baccalà è im-

IL DIZIONARIO

Stesso pesce, due tipi di conservazione Nasce merluzzo e poi diventa stoccafisso o baccalà. Si tratta, infatti, sempre di merluzzo ma a seconda della conservazione diventa stoccafisso (merluzzo essiccato) ovvero baccalà (merluzzo sotto sale). Quello migliore è a detta degli esperti quello norvegese pescato nei mari delle Isole Lofoten. Altra cosa è il "nasello", vale a dire il merluzzo del Mediterraneo, che si consuma fresco o surgelato e non si conserva per salagione od essiccazione. Nel Triveneto e nelle altre aree dell'antica Serenissima Repubblica di Venezia il termine "baccalà" ancor oggi identifica comunemente lo stoccafisso. Stoccafisso o stocco: è il merluzzo atlantico conservato mediante l'essiccamento all'aria. Il nome stoccafisso proviene dall'olandese antico "stokvisch", che significa pesca bastone o seccato sui bastoni, perché il merluzzo viene seccato su bastoni posti al vento di mare sui pescherecci o nelle spiagge. Baccalà: è il merluzzo decapitato, aperto e conservato disteso in appositi barilotti sotto sale. Il nome si è diffuso grazie ai pescatori baschi, da "bacalao".

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panato e fritto; impossibile realizzare questa ricetta con merluzzi colossali essiccati, con carni dallo spessore notevole”. L’andamento delle vendite di stoccafisso e baccalà non è dei migliori:“Negli ultimi dieci anni, complice anche la sostanziale triplicazione dei prezzi al chilo, le vendite hanno subito un calo drastico. Un tempo era un cibo povero, come lo era l’aringa, oggi i prezzi sono tutt’altro che contenuti.Anche se non mancano ristoranti che lo inseriscono in menù, resta un prodotto ittico che fatica a incontrare un successo popolare e ad entrare a far parte della tradizione gastronomica locale e nelle nostre cucine. E non incidono sulle vendite i tempi lunghi necessari per la preparazione, dalla dissalatura alla battitura e reidratazione: da sempre prepariamo su richiesta sia stocco che baccalà, che proponiamo tutto l’anno”.Totalmente diverso il legame con il prodotto ad altre latitudini del nostro Paese:“In Sicilia la fama e popolarità dello stocco ebbe origine per necessità dal devastante terremoto, seguito dal maremoto che mise a soqquadro le coste nel 1908. A Messina, letteralmente rasa al suolo, i primi soccorsi alla popolazione arrivarono da una nave militare russa che in cambusa aveva scorte di stoccafisso. Nacque così il piatto tipico di Messina,“pisci stoccu a ghiotta”: la ricetta prevede la cottura dello stoccafisso in umido in un tegame di terracotta, con patate, capperi, sedano e uva passa”.

BER.GEL/VIVA.MAR

Ma quello congelato e dissalato vive una stagione più felice “Negli ultimi anni registriamo un vero e proprio incremento nella vendita di baccalà. Da quando lo proponiamo già dissalato e congelato, quindi pronto all’uso, con un prezzo all’ingrosso di 6-8 euro abbiamo un ottimo riscontro di vendite - dichiara Giovanni Pezzotta responsabile acquisti Ber.gel di Zanica -. Sono molte le gastronomie e i ristoranti che lo propongono e tantissimi gli ambulanti che preparano le classiche frittelle di baccalà, che nella Bergamasca si conferma la ricetta più largamente impiegata”. Decisamente meno popolare, in primis per i prezzi, lo stocco:“Lo stoccafisso ha sempre i suoi estimatori, specialmente nella versione nobile

16 Affari di Gola novembre 2011

della qualità “Ragno”, che indica la prima scelta, e resta senza dubbio il prodotto più pregiato, che esalta le carni del merluzzo fatte essiccare per mesi, esposte ai venti del Nord e all’aria norvegese. Il prezzo indubbiamente è tutt’altro: si va dai 32 ai 35 euro al chilo (27-28 euro all’ingrosso). È vero che un chilo di stocco ha una resa pari al doppio del suo peso, una volta reidratato, ma il prezzo al chilo è sempre di gran lunga superiore al baccalà, sia dissalato che sotto sale (venduto a circa 9 euro al chilo)”. Se nel resto d’Italia, specialmente a Napoli, vera e propria patria tricolore di stoccafisso e baccalà, sotto Natale ci si sbizzarrisce con le ricette come tradizione impone, a Bergamo il picco delle vendite è in periodo di Quaresima:“Sia all’ingrosso che al dettaglio è in questi quaranta giorni il periodo in cui, specialmente lo stoccafisso, gode di maggior popolarità ed è più presente nei menù dei ristoranti e nelle tavole dei bergamaschi. Il baccalà già pronto per l’uso si può dire abbia contribuito a destagionalizzare il suo impiego in cucina, confermandosi in alcuni indirizzi un cavallo di battaglia dei locali. È vero che non sono molti ad inserirlo tutto l’anno in menù, ma i ristoratori che lo propongono hanno un ottimo riscontro. È un piatto che piace ed è un prodotto che si presta a svariate ricette in cucina, come mostrano i ricettari portoghesi, che vantano 366 ricette di “bacalhau”, una al giorno anche negli anni bisestili. Un prodotto di qualità, disponibile sul mercato ad un prezzo interessante, che merita forse maggior attenzione da parte non solo della ristorazione ma anche dei privati, visto che davvero pochi lo portano in tavola”.


L’APERTURA

A pesca nel banco freezer I

l pesce risale il Serio. Non si tratta di qualche intrepido salmone, ma di un nuovo punto vendita in grado di offrire prodotti ittici, e non solo, davvero per tutti i gusti. Ad aprirlo – ed è qui, visti i tempi, che sta il coraggio – un giovane che ha trovato il progetto giusto per lanciare la sua sfida imprenditoriale. Si tratta di un negozio a marchio “Delizie di Mare”, un gruppo d’acquisto presente soprattutto nel centro e nord Italia che propone un’innovativa formula self service di prodotti congelati freschi: con guanti, sacchetto e dosatore ogni cliente prepara da sé le proprie porzioni, che pagherà alla cassa. L’attività è stata inaugurata a luglio. Si trova ad Albino in via Marconi 5, lungo la provinciale della Valle Seriana, e su una superficie di 170 metri quadrati dà la possibilità di “pescare” nei grandi banchi freezer tutto quanto può servire, nelle giuste dosi, per la scorta familiare o per un menù particolare. «Ho sempre avuto l’ambizione di mettermi in proprio – racconta Francesco Feola, 31 anni, di Cornale di Pradalunga, un passato da lavoratore dipendente – ed avevo già valutato qualche idea, ma questa è quella che mi ha convinto a partire, dopo un po’ di esperienza nel settore in Maremma».Tra i punti di forza, Feola sottolinea la novità dell’offerta (presente in Bergamasca solo in pochi esercizi, anche di una diversa insegna, e comunque non in Valle) e la semplificazione della gestione grazie al self service. «Avere alle spalle un grande gruppo è un supporto, ma – precisa - bisogna comunque metterci molto del proprio ed essere in grado di sbrigarsela da soli». Nelle ordinate vaschette di “Delizie di Mare” si può trovare dal pesce intero ancora da pulire al filetto, dal trancio al misto già preparato per la zuppa o il risotto, dai molluschi ai crostacei, dal pesce azzurro a quello di acqua dolce, dagli spiedini ai pastellati. L’universo del

congelato è completato da verdure in tutte le varianti, comprese le immancabili patatine da friggere, da piatti pronti, carni alternative come cervo e lepre, da pane e pizze fino ai dolci, mentre sugli scaffali ci sono latte, pasta, scatolame, vini e birre. «In effetti – dice ancora il titolare – è un minimarket dove è possibile fare buona parte della spesa alimentare. Naturalmente il ruolo da protagonista è quello del settore mare e la carta vincente è l’ottimo rapporto tra qualità e prezzi. Il pesce, per la maggior parte di provenienza atlantica e mediterranea, viene infatti congelato a bordo delle navi o lavorato in unità produttive nelle vicinanze delle zone di pesca, il che fa in modo che conservi al meglio le sue proprietà, ed è venduto senza ulteriori passaggi alla rete dei negozi. Anche la possibilità di trovarlo già pronto è un plus, rappresenta infatti una soluzione per un pranzo o una cena da preparare all’ultimo momento». Il debutto del negozio è stato positivo. «D’estate – continua Feola - abbiamo lavorato bene anche grazie ai turisti che salgono verso la montagna, ma i bergamaschi non sono da meno e dimostrano, pure in Valle, di apprezzare il pesce. Non si fermano alle proposte più semplici o diffuse, ma si buttano volentieri su filetti di scorfano, gallinella, San Pietro, su pesci interi come mormora od ombrina o sulle ali di razza. A differenza di chi vive sul mare, non hanno quell’immediatezza nel capire come potranno cucinarlo ed hanno bisogno di qualche suggerimento, ma sono attenti, anche alla riscoperta del pesce “povero” e meno blasonato, e curiosi». Proprio per facilitare il passaggio dal banco freezer alla padella,“Delizie di Mare” di Albino potenzierà i ricettari che mette a disposizione dei clienti affiancando ad ogni tipologia i suggerimenti per la preparazione, mentre a Natale regalerà un calendario di buone idee da realizzare mese dopo mese.

Bastano guanti, sacchetto e dosatore per portarsi a casa le “prede” preferite, congelate a bordo delle navi. Ad Albino l’iniziativa di un neoimprenditore con il marchio “Delizie di Mare”

DELIZIE DI MARE - via Marconi 5 - Albino - tel. 035 760179 www.deliziedimarealbino.com Affari di Gola novembre 2011 17


LA NOVITÀ

In via Verdi, a Bergamo, la nuova scommessa dello chef Luca Brasi

Civus, la cucina d’autore alla portata di tutti D

al 3 novembre scorso, Luca Brasi, 42 anni, chef dai trascorsi stellati con il suo ristorante La Lucanda, prima a Osio Sotto e poi al Devero Hotel di Cavenago, è sceso in campo con un format che punta a innovare la cucina di qualità mettendola alla portata di tutti. I frettolosi in pausa pranzo, gli obbligati al panino in ufficio, gli svogliati in casa senza alcuna intenzione di mettersi ai fornelli possono oggi contare su Civus, un bar pasticceria con cucina che propone tre tipologie di servizio: un veloce e curato self service assistito, un servizio di piatti d’asporto infagottati con una pratica tovaglietta, la consegna a domicilio (anche per i prodotti di pasticceria) sia a pranzo che a cena. Una formula - quella inaugurata a Bergamo in via Verdi 3 - che il suo ideatore intende replicare con l’ambizione di realizzare una catena di locali non solo trasversali a tutti i target, ma anche pensati per andare incontro ai diversi momenti di vita delle persone, giovani compresi. si. Perché Civus? “Il nome - afferma Luca Brasi - è nato o per caso, dalla mia curiosità nei confronti del latino, la lingua da cui trae origine la nostra cultura. Una combi-inazione di suoni e parole: cibus, citus, civis. Richiami al cibo, al movimento, al cittadino di oggi, di ieri, di semmpre. Sembra che nel Medioevo qualcuno pronunciassee la parola “cibus”“civus”, forse per errore, per caso, non n si sa. Lo chiamano il fenomeno del “betacismo”. Al di là di questi intellettualismi che non mi appartengono, mi stuzzicava l’idea di dare al mio progetto un nome nuovo o dalle radici antiche. Un’interpretazione fusion della paarola cibo. È così che nasce Civus, il cibo a modo mio”.Ad d assistere Brasi in questa scommessa ci sono la mogliee Cinzia Bosio e Corrado Denti, 26 anni, pasticceria nel el sangue, formatosi all’Ipssar di Sanpellegrino Terme ed esperienze anche da Peck. Una squadra affiatata, scesa in campo con la convinzione che la cucina di qualità debba essere fruibile anche attraverso canali più informali che meglio si adattano ai diversi momenti di vita del consumatore. Non a caso Civus è un luogo che mette a proprio agio il cliente grazie

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Corrado Denti, Cinzia Bosio e Luca Brasi

a una ricercata semplicità negli arredi, al servizio e alla presentazione dei piatti. “Un mood casalingo - spiega ancora Brasi - che il cliente respira fin dal suo ingresso nel locale, da quando, cioè, si trova davanti ad un bancone realizzato interamente in stoffa, con una texture che richiama lo strofinaccio da cucina, e a decori in pizzo realizzato giocando con minuziosi incastri di utensili e prodotti alimentari”. L’offerta suddivisa in due sezioni, salato e dolce (oltre alla bottega dove si possono trovare prodotti alimentari selezionati) è tarata su prezzi che vanno in media dai 4 agli 8 euro. Per quanto riguarda il servizio a domicilio, è possibile ordinare al telefono le pietanze scelte (a breve sarà possibile ordinare anche on line). I costi? La consegna è gratuita per chi ordina entro le 11 a pranzo, entro le 18 a cena e per chi effettua ordini superiori ai 30 euro. L’ordine minimo è fissato in 20 euro.

CIVUS via Verdi 3 Bergamo tel. 035 242093 aperto da lunedì a sabato dalle 7.30 alle 20.30 domenica chiuso www.civus.it


L’APPROFONDIMENTO di Riccardo Lagorio

Pasta, il piacere che primeggia

L’

ambiente ed il clima hanno ovviamente influenzato la diversità di culture della pasta lungo lo Stivale. La semola di grano duro con la quale la pasta veniva comunemente preparata nel Meridione (i Romani importavano il grano dall’Egitto e dalla Sicilia) era infatti raramente reperibile nelle regioni del nord, a causa del clima più umido e freddo, favorevole piuttosto alla colti- che lo rende simile a un puzzle di culture che veleggia vazione del grano tenero. Ancora oggi in pianura padana nel Mediterraneo, a un Paese dalla gastronomia mutante è molto più lecito aspettarsi durante un banchetto l’arri- come la pelle di un camaleonte che si adatta all’ambienvo di pasta di grano tenero impastata con uova e magari te circostante. Come le torte o i pasticci o pastelli, manufatti alimentari tanto semplici quanto geniali, dal duplice ripiena di carni varie e verdure, piuttosto che pasta scopo di contenere e cuocere un ripieno, di grano duro impastata con semplice magari preparato sbarazzandosi del acqua e farina e poi essiccata. Ripiena, essiccata, in brodo formaggio in eccedenza duranE neppure irrealistico sarà te i banchetti del padrone, pensare che la pasta ripieo asciutta: comunque sia, siamo di fronte mischiato ad erbe di campo na verrà servita in brodo ad un puzzle culturale. Dove non mancano o di rivo. Esattamente come piuttosto che con ragù. Testimone Boccaccio le “contese” come sui casoncelli, la cui paternità formalizzato nei tortelli con la coda di Vigolzone, nel Decamerone, nella nel Piacentino, o nei culurnovella di Calandrino è rivendicata sia da Bergamo giones barbaricini e ogliae l’eliotropia: …genti che che da Brescia strini ripieni di menta e patate, niuna altra cosa facevano che aglio e formaggio cuciti a mano a forma far maccheroni e raviuoli e cuocerli di spiga. E, per attenersi alla Lombardia, nei tortelli di in brodi di capponi. A differenza di quegli agnolotti di cui all’inizio, ripieni di brasato, un’idea di formag- zucca al pomodoro di Piadena. Attualmente in Provingio e verdure e innaffiati da un bagno di barbera o freisa, cia di Cremona, ma storico crocevia che ha come apici oppure serviti nature in un candido tovagliolo come av- del triangolo città importanti per tradizione gastronomiviene in Piemonte. Insomma un mondo di pasta, anzi di ca come Mantova, Brescia e Cremona, gli aspetti della paste, che accomuna il nostro Paese e al tempo stesso sua cucina sono un insieme sistematico di aspetti che

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raccontano questa sua posizione geografica e degli avvenimenti storici avvenuti. Nel tortello di zucca al pomodoro convivono infatti elementi culturali diversi. Il ripieno di zucca e mostarda di mele campanine, non è dissimile da quello di certi borghi mantovani, il condimento di pomodoro li accumuna con l’estremo sud Bresciano, la tradizione liturgica li rende simili ai marubini in brodo della città di Cremona, poiché in origine venivano consumati il giorno della Vigilia di Natale e del santo protettore (Sant’Antonio, protettore degli animali, che in una civiltà rurale aveva il compito di tramandare la vita stessa della comunità in Piadena; Sant’Omobono nel capoluogo). Il Mantovano vanta una radicata tradizione di pasta ripiena, i tortelli di zucca, talvolta conosciuti come ravioli di zucca. Cotta in forno e tagliata a pezzi, la zucca viene passata al setaccio e vi si aggiungono amaretti tritati, mostarda sminuzzata fine, formaggio grattugiato, buccia di limone, noce moscata, pepe e sale. Il ripieno deve riposare almeno una notte, trascorsa la quale se ne fanno sfere da adagiare su una sfoglia tirata sottile. Chiusa su se stessa, la pasta è ritagliata a forma rettangolare con l’apposito utensile, va lessata e infine condita a strati con burro fuso e formaggio grattugiato. Diffusi nella parte meridionale della Provincia, i cappelletti sono comuni anche a buona parte del Reggiano: tassativamente da servirsi in brodo di gallina, si distinguono dai più diffusi tortellini emiliani per l’assenza di carne nel ripieno. Se Cremona e Mantova si contendono in Lombardia la supremazia per la pasta ripiena in brodo (la prima caratterizzata dai marubini, dalla forma della pasta ad anello con il ripieno di brasato di manzo, vitello e suino e immersa in tre brodi mischiati tra loro; i cappelletti del nord Mantovano caratterizzati dalla pasta chiusa su se stessa con la farcia di stracotto di

manzo, salamella, formaggio grattugiato e uova, serviti in brodo di gallina a cui si aggiunge un buon bicchiere di lambrusco). Brescia e Bergamo si contendono la paternità dei casoncelli, da portare in tavola asciutti. Esistono a tale riguardo citazioni da entrambe le sponde: alla trecentesca Cronaca di Bergamo di Castello Castelli fanno eco 200 anni più tardi il Baldus di Teofilo Folengo e La massera da bè di Galeazzo degli Orzi. Il loro condimento di burro soffritto, aromatizzato con foglie di salvia e spolverata di formaggio grattugiato, è il filo rosso che li associa, declinato magari con un minuscoli tocchetti di pancetta, d’obbligo nel Bergamasco. Le varianti del ripieno sono invece numerosissime. Dipendono non solo da borgo a borgo, ma anche dalla creatività di qualche ingegnoso abitante che è diventata infine tradizione. Nella più accreditata versione tradizionale dei casoncelli bergamaschi il ripieno può essere composto, tra gli altri ingredienti, da carne di manzo, salsiccia, amaretti, uva passita e scorza di limone; mentre a Brescia compaiono la salsiccia, il formaggio grattugiato, mollica di pane imbevuta nel latte e bietole. Diventano caicc a Breno in Valcamonica e casunziei a Cortina d’Ampezzo dove la farcia è composta da barbabietole, ricotta, pangrattato e semi di papavero, in omaggio alla cultura alimentare centroeuropea ben presente nel territorio. A Pavia, specie nell’Oltrepò, la vicinanza con la cultura piemontese ha dato vita agli agnolotti, piatto d’osservanza della tradizione natalizia. La farcia prevede che si prepari uno stufato di manzo con abbondanti spezie (cannella, noce moscata, chiodi di garofano), venga opportunamente macinato e vi si aggiungano uova, formaggio e pane grattugiato. Gli agnolotti vanno consumati preferibilmente in brodo d’oca o asciutti versandovi il sugo dello stesso stufato.

Tra casoncelli, bigoli e rigatoni sfila la cultura italiana

D

alla A degli agnolotti alla Z degli ziti, siamo di fronte a un abbecedario goloso che si snoda tra bucatini e rigatoni, bigoli e paccheri, attraverso l’Italia agitando casseruole e tegami e stringendo a sé sughi intrisi di sole, grassi brodi, salse profumate. L’idea della pasta scatena un valzer di metafore ed espressioni figurate. Gramigna, risoni e sedani dalla botanica; capel-

li d’angelo e strozzapreti da motivi religiosi; farfalle, conchiglie, lumaconi, vermicelli dalla zoologia. Non mancano arguti riferimenti a costumi sessuali… La pasta, insomma, è il riflesso della cultura italica. Questo magico termine deriva dal greco pastà, ovvero farina mista a liquido. Non è a caso che l’esistenza di un tipo di preparazione abbastanza simile all’odierna sfo-

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glia è attestata duemilacinquecento anni fa con il termine làganon, lenzuolini di pasta larghi e piatti, tagliati a strisce sottili. Vocabolo che troviamo pari pari (làgane: pasta fresca dalla forma irregolare da consumare sia in brodo sia con sugo, il più tradizionale dei quali è a base di carne di capra) ancor oggi nelle aree influenzate dalla cultura greca della Calabria e della Puglia. Ma anche Apicio ed Orazio cantano le lodi della pasta: l’uno nel De Coquinaria prevede che le sfoglie di lagane siano alternate a carne, pesce, uova e condite con olio d’oliva e pepe (parenti lontane delle lasagne, quindi); l’altro nelle Satire non vede l’ora di accomodarsi accanto alla propria scodella di porri, ceci e lagane. In attesa che la pasta si potesse condire con il pomodoro, 1800 anni più tardi… Se per la buona riuscita di un prosciutto il segreto risiede nella stagionatura, per la pasta questo segreto è da cercarsi nei metodi di essiccazione e nella porosità della superficie. Per questo ultimo aspetto ci viene in aiuto il vecchio caro mattarello: la pasta tirata a mano assorbe più acqua una volta nella pentola, e nel piatto richiama a sé più condimento, che si attarda sulle minuscole rughe e penetra tra le microscopiche fessure. Per quanto riguarda l’essicazione furono invece gli Arabi a intuire i benefici pratici della conservazione, in assenza di acqua per preparare alimenti freschi ogni giorno. Concetto molto ben descritto dal geografo Al Idrisi nel 1154 nel suo Libro per chi si diletta di girare il mondo, scritto per Ruggero II di Sicilia: l’esposizione al sole è necessaria per la pasta prima di affrontare anche viaggi verso destinazioni lontane senza deteriorarsi. Sfatata quindi la leggenda che vorrebbe Marco Polo, di ritorno dalla Cina nel 1295, colui che introdusse la pasta in Occidente. Tanto che tra le meraviglie del mondo descritte nel Milione, cita le lasagne dicendole buone quanto quelle che ho mangiato tante volte in Italia. Dal Medioevo la pasta inizia ad essere definita con il nome di maccheroni, dal siculo maccari, schiacciare, l’energica azione di pressione che richiede la semola di grano duro per essere impastata. Nel XVIII secolo i maccheroni erano a tal punto simbolo di raffinatezza da dare il nome a uno dei più esclusivi club londinesi, il Macaroni Club, i cui appartenenti si distinguevano nell’alta società del tempo.

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IL TOUR GASTRONOMICO

Tre locali dove togliersi lo sfizio

Proprio perché in cucina l’estro italiano si esprime al meglio, le tradizionali ricette per preparare paste ripiene hanno subito trasformazioni, anche sostanziali. Come all’Antica Osteria dei Camelì di Ambivere (telefono 035908000) dove Camillo Rota racconta con meritata enfasi la genesi degli sfoglioni di scamorza affumicata e zucchine (nella foto), uno dei piatti simbolo del locale e da anni presente nel menù. Il ripieno si prepara con cipolle rosolate nel burro a cui si aggiungono fette sottili di zucchine, opportunamente speziate, che diventeranno croccanti. Su di esse si accomoda la scamorza affumicata, fatta a cubetti e spellata. A seguire, la mortadella a piccoli cubetti per dare gusto e sapore ai profumi già intensi. La mattina successiva si prepara la sfoglia, anzi gli sfoglioni, facendone un cerchio e piegandolo su se stesso. Poiché si vuole che il gusto della farcia sia protagonista del piatto, al burro sciolto in un pentolino si aggiungono sottili strisce di bucce di zucchine. Giganteschi, gli sfoglioni vengono serviti due a due, a ricreare quel cerchio primigenio. Anche a Breno, dove si cucinano i caicc, il numero di questi che entra nel piatto è necessariamente contenuto, vista la dimensione di ciascuno. Alla Trattoria Cà Bianca (telefono 0364320059) Grazia Ducoli ha rinverdito la tradizione tirando una pasta spessa e riempiendola di salame, arrosto di maiale, mortadella, formaggio Silter, noci, biete, pangrattato e amaretti. Amalgamati tra di loro e lasciati riposare per qualche ora gli ingredienti, se ne fanno sfere che farciscono la pasta, cucita a mano. Conditi con tanto burro fritto e salvia, sono serviti con della polenta accanto! In una tradizionale osteria di paese, con vini in mescita e tavoli consunti dalle giocate a briscola all’ingresso, Dell’Alba, in località Vho di Piadena (telefono 037598539) si possono assaggiare invece i tortelli di zucca al pomodoro, una fusione di profumi e sapori che caratterizzano questa terra di frontiera tra Mantova e Cremona. La farcia, che va preparata il giorno prima di essere utilizzata nella pasta, oltre alla zucca di varietà delica, prevede l’utilizzo di uova, mostarda di mele campanine, formaggio grattugiato, amaretti e noce moscata. I tortelli vengono poi serviti con un sugo di pomodoro, dopo che avere soffritto nel burro della cipolla o dello scalogno.


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LE BATTAGLIE di Giordana Talamona

I “Sovversivi” ci hanno preso gusto Il movimento in difesa delle produzioni di nicchia, nato nel Bresciano, si sta trasformando in Associazione. Oltre un centinaio gli aderenti, due i libri fotografici. Liloni:“Il nostro disciplinare è rigido. Nessuna distribuzione nella Gdo, garanzie certificate e controllo metodico sulla quantità produttiva”

C

h e vogliano rovesciare un ordine precostituito, è quanto mai chiaro dal nome che si sono dati, che desiderino promuovere la ricchezza delle piccole produzioni, è oltremodo lampante dalle numerose iniziative che hanno realizzato. “I sovversivi del gusto” stanno nascendo ufficialmente, come associazione, in queste settimane, ma portano già con sé una consolidata storia di conoscenza del territorio che ha permesso loro, ormai da qualche anno, di salvaguardare e rendere accessibili alcune produzioni di nicchia, altrimenti condannate alla scomparsa. Anima del movimento è Adriano Liloni, vulcanico ristoratore bresciano della Valle Sabbia che, nel 2005, ha creato una prima embrionale rete di contatti tra le aziende montane della sua zona ed alcuni ristoranti. Da quell'iniziale progetto, grazie a due libri fotografici, alle sei “Giornate sovversive nazionali” e al “Treno dei Sapori”, appuntamenti di conoscenza sensoriale delle eccellenze di nicchia, i produttori sono saliti a un centinaio e i sostenitori dei Sovversivi, tra chef, giornalisti, fotografi ed appassionati, sono diventati oltre cinquecento. La “Nicchia dei Sapori” di Milano è, da circa un anno, il primo cen-

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tro distributivo dei prodotti dei Sovversivi sul territorio nazionale, mentre nel dicembre prossimo, a Dusseldorf, sarà presentata la prima sede “Internazionale sovversiva del gusto”, progetto che sarà esteso, nel 2012, anche alla città di Vienna. “Più che di una sovversione - spiega Liloni - auspichiamo che un giorno si possa parlare di un'inversione di tendenza, di un ritorno a quei prodotti di qualità che, disgraziatamente sempre di meno, arrivano sulle nostre tavole. I piccoli produttori non hanno la forza e i mezzi per farsi conoscere, schiacciati dalla grande distribuzione e da una crisi che, oggi più che mai, rischia di farli scomparire”. Un'interessante ipotesi di riscoperta del gusto, che si fonda su un'unione di intenti e di filosofie produttive promosse collettivamente, perché, questa è la morale, nessuno si salva da solo. Ed è anche grazie a questo sotteso messaggio che il secondo libro dei Sovversivi ha vinto, a Parigi, il Gourmand Best in the Word 2010 per la fotografia nel settore “salvaguardia e ricerca gastronomica”. “È un viaggio fotografico nel mondo dell'enogastronomia che resiste - spiega il fotografo Marco Salzotto che con l'autore dei testi, Michele Marziani, ha realizzato il libro vincitore del


premio -. Abbiamo cercato di raccontare il lavoro di queste persone, la fatica, la passione che ci mettono, ogni giorno, per realizzare i loro prodotti”. A gennaio 2012 uscirà il

terzo volume dei Sovversivi del Gusto con nuovi produttori associati ed un compendio delle aziende presenti nei primi due libri. “I produttori Sovversivi - spiega

Liloni - hanno un disciplinare molto rigido: nessuna distribuzione nella Gdo, garanzia autocertificata sui prodotti, visite a sorpresa in azienda e controllo metodico sulla quantità produttiva con limiti massimi assolutamente rigorosi. In base a questo disciplinare, che stiamo ultimando per la costituzione dell'associazione, abbiamo altri 40 produttori in attesa di entrare nel gruppo ed un centinaio già presenti che realizzano farine di montagna, oli, mieli, vini, carni e formaggi”. Al momento, spiega Liloni, nessun produttore della provincia di Bergamo si è avvicinato al progetto, ma “sono certo che nella Bergamasca esistano produzioni di nicchia, dal grande valore aggiunto, che potrebbero diventare sostenitori dei Sovversivi”.

I SOVVERSIVI DEL GUSTO ADRIANO LILONI Gavardo (Bs) 0365 372719 www.sovversividelgusto.it

Adriano Liloni

I PROSSIMI APPUNTAMENTI * Domenica 27 novembre presentazione del libro di Michele Marziani presso la Trattoria Pegaso di Gavardo a cui seguirà una cena con i prodotti dei Sovversivi del Gusto

* Sabato 3 dicembre al Teatro Litta di Milano: Popogusto il mercato va a teatro, in collaborazione con Radio Popolare. In quella sede il gruppo sarà presente tutto il giorno. L'appuntamento sarà trasmesso in diretta da Radio Popolare.

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APPUNTAMENTI

25 NOVEMBRE

Prosciutti crudi a confronto nella “Notte in Rosa” di Calcinate Con il patrocinio dell’assessorato all’Urbanistica e Agricoltura della Provincia di Bergamo e del Comune di Calcinate, l’Associazione Norcini Bergamaschi organizza il primo evento promozionale dei salumi italiani di eccellenza, tra cui il nostrano crudo “Il Botto” di Ardesio, dal titolo la “Notte in Rosa”, tutta dedicata al maiale. L’appuntamento è venerdì 25 novembre alle 20.30 a Calcinate (via Dante Alighieri, 2 - auditorium del Centro culturale San Rocco ). L’iniziativa “Il Re dei Salumi in Degustazione” presenta, con la guida esperta di un Maestro degustatore, quattro prosciutti crudi italiani: Parma Dop (della ditta Pedrazzoli di San Giovanni del Dosso), San Daniele Dop (Morgante di Romans d’Isonzo ), Prosciutto Crudo della Bergamasca “il Botto” (Ims di Ardesio) e Culatello Cremonese “la Culaccia” (prodotto da Cagna-

na di Trescore Cremasco). Ai salumi vengono abbinati vini Rosé presentati da un sommelier (Radijan Ronco Calino Franciacorta rosé - Brolese Franciacorta Docg rosé extra brut, Tenuta villa Crespi - Champagne Pouillon Rosé brut - Chiaretto Doc cdf, della Riviera del Garda Bresciano - Anemone Igt Bergamasco rosato dell’Azienda Agricola Cattaneo di Zandobbio - Matis, moscato rosso aromatico della Cantina Bergamasca). Per completare la serata verrà servito un piatto caldo di prosciutto crudo e gambero e un semifreddo alle fragole. Il costo della serata è di 25 euro. La prenotazione è obbligatoria (Marco 035 841024; Gualtiero 380 3346144 oppure info@norcinibergamaschi.it).

DAL 24 NOVEMBRE ALL’11 DICEMBRE

Trento sfoggia le sue bollicine Tre settimane all’insegna dello spumante metodo classico Trentodoc. Dal 24 novembre all’11 dicembre l’Enoteca di Palazzo Roccabruna propone “Bollicine Trento”,, un su Trento programricco program ma di eventi eenogastronomici, nogastronomici degustazioni e incontri incontr

per conoscere i prodotti e il territorio. La manifestazione dà innanzitutto la possibilità di degustare in enoteca la collezione del Trentodoc, propone inoltre tavole rotonde e talk show (“Trentodoc, la sostenibile eleganza delle bollicine” il 25 novembre; la presentazione del libro “Trentodoc. Quando la montagna diventa perlage” il 26) e laboratori come “Super-riserve... over 60 mesi” (26 novembre), “Perlage d'autore. Quando il Trentodoc non è dosato” (il 27),“La fisica delle bollicine” (1 dicembre) o gli appuntamenti curati dalle cantine.

Nei fine settimana la nuova cucina di Palazzo Roccabruna ospita poi chef da tutta Italia e trentini che propongono menù in abbinamento al Trentodoc. “Trentodoc on the Road” è invece l'iniziativa delle Strade del vino e dei sapori del Trentino che porta l’evento nel resto del territorio provinciale coinvolgendo direttamente gli operatori della ristorazione e dell’accoglienza, i wine bar, le enoteche e le cantine con menù degustazione, incontri con i produttori e aperitivi (fino all'8 gennaio 2012). www.enotecadeltrentino.it

DAL 27 AL 30 NOVEMBRE

Gelato artigianale, a Longarone la Mostra internazionale È la più antica tra le manifestazioni di settore, espressione di un territorio che già a metà del 1800 vedeva partire i primi gelatieri alla conquista delle princi-

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pali capitali europee. Mig, la Mostra Internazionale del Gelato Artigianale di Longarone (Belluno), taglia il traguardo della 52esima edizione e da domenica


3 E 4 DICEMBRE

Nel Modense si cuoce in piazza il “Superzampone” La definizione non potrebbe essere più azzeccata per quella che a tutti gli effetti è un’impresa da record. Il “Superzampone” è un gigantesco insaccato che la prima domenica di dicembre di ogni anno i maestri salumieri di Castelnuovo Rangone (Modena) preparano e offrono gratuitamente a migliaia di persone. Viene cotto in piazza in un’enorme zamponiera di acciaio inox: la preparazione dura circa tre giorni e il peso dell’insaccato aumenta ogni anno. La festa è organizzata dall'Ordine dei Maestri Salumieri di Modena insieme alle associazioni di volontariato e al Comune. L'evento è accompagnato da una serie di attività collaterali, dalle visite guidate di carattere storico e culturale alle iniziative legate all’enogastronomia del territorio. www. winefoodfestivalemiliaromagna.com

27 a mercoledì 30 novembre farà spazio a 230 marchi aziendali - di cui una settantina esteri provenienti da 15 Paesi -, affermati in campo internazionale nei settori macchine, attrezzature, semilavorati, materie prime, arredamenti e accessori per la gelateria. Incontri, dibattiti e le assemblee delle principali associazioni di gelatieri che operano all’estero

Rassegne gastronomiche, ecco tre proposte Chi ama lasciarsi guidare, tanto negli itinerari quanto nei menù, può scegliere in questo periodo tra ben tre rassegne gastronomiche che invitano a scoprire luoghi e sapori. Quella che terminerà per prima è “A Tavola con la Tradizione Cremasca”, in programma fino al 4 dicembre in nove ristoranti, che propongo ad un prezzo fisso (dai 30 a 35 euro tutto compreso) emblemi della tavola locale come i tortelli tradizionali e il formaggio Salva Cremasco Dop, ma anche intriganti piatti a base di anatra, faraona, oca, rane, lumache, senza contare i salumi.Tra i locali che partecipano anche quelli che hanno ricevuto nella scorsa edizione il riconoscimento per il miglior tortello dall’Accademia del Tortello Cremasco. I menù in dettaglio sono pubblicati sul sito www. nonsolovino.it. Prosegue invece fino a marzo “Un Po di gusto”, proposta dalla Strada del Po e dei Sapori della Bassa Piacentina. Le insegne aderenti sono 14 e anche in questo caso non mancano le golosità, dai salumi piacentini Dop (coppa, salame e pancetta) insieme al grass pist (trito a base di aglio bianco, lardo e prezzemolo) al culatello piacentino, al fiocchetto, al salame gentile, alla mariola, al miglior cotechino artigianale d’Italia – da accompagnare con pane casereccio e con burtleina o gnocco frit-

to – fino ai formaggi come il Cacio del Po, seguiti dai tipici anolini o da pisarei e fasò e magari da un fritto d’acqua dolce con anguilla, pesce gatto e rane. Quest’anno i locali propongono anche un piatto “speciale” realizzato con prodotti provenienti esclusivamente dalle aziende associate alla Strada. (www.stradadelpo.it). Sono infine ben 72 (di cui 16 in provincia di Bergamo, da Sarnico a Torre Pallavicina) i ristoranti, le locande, le osterie e gli agriturismo lungo il fiume Oglio che fino a fine marzo propongono menù tipici a prezzi speciali nell’ambito de “Il percorso del gusto della Valle dell’Oglio”, che coinvolge, oltre alla Bergamasca, i territori di Brescia, Cremona e Mantova. L’idea di seguire il corso del fiume e scoprire come variano le specialità enogastronomiche è suggestiva e basta un’occhiata al volantino che raccoglie tutte le proposte (scaricabile dal sito www.parcoglionord.it) per rendersene conto. Dai casoncelli si passa ai tortelli di erbe o di zucca, dal coniglio ai bolliti, fino alle diverse interpretazioni del pesce di acqua dolce. Ma è davvero difficile sintetizzare il tutto e la personale rilettura di piatti e prodotti da parte dei singoli ristoratori aggiunge dettagli golosi.

arricchiscono il programma insieme con i concorsi ormai entrati nella storia della manifestazione come la “Coppa d’Oro”, che vedrà i concorrenti cimentarsi quest’anno su un gusto tradizionale come la nocciola;“Gelaterie in web”, riservato ai migliori siti internet delle gelaterie; nonché il premio “Mastri Gelatieri”. www.mostradelgelato.com

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L’Art Caffè, il rito dell’espresso ritrovato Nelle tazzine nel locale di piazza Pontida la passione per il bello e il buono che parte dalla torrefazione artigianale di Fornovo San Giovanni. Da questo mese si tosta anche un Presidio Slow Food del Guatemala e sugli scaffali in esclusiva per Bergamo le specialità gastronomiche firmate Alajmo

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n gesto quotidiano come quello del caffè può svelare un nuovo mondo quando dentro la tazzina c’è una precisa filosofia. È quanto accade a l’Art Caffè, il locale di piazza Pontida a Bergamo dove hanno trovato concreta realizzazione le competenze e la passione di Erminia Nodari e del marito Tullio Plebani nella selezione, torrefazione, miscelazione e somministrazione. La loro “missione” è stata ben chiara sin dall’inizio, «diffondere la cultura del caffè e stimolare un consumo consapevole basato sulla ricerca di qualità, freschezza, artigianalità». E così dopo l’apertura, nel 2000, del laboratorio di torrefazione a Fornovo San Giovanni, nel 2006 hanno cominciato a confrontarsi in prima persona con il consumatore finale. «Oggi si parla molto, anche troppo e non sempre con cognizione, di concept – evidenzia Erminia Nodari-. Sei anni fa, con l’apertura in piazza Pontida, da perfetti sconosciuti, dovevamo farci conoscere e l’unica maniera era presentarci attraverso un “concetto”, un’identità unica, un filo magico che permettesse di farci riconoscere attraverso uno stile, il nostro, che parte dalla torrefazione, il “laboratorio delle idee”, ed arriva in piazza Pontida, il “laboratorio della verifica”. L’Art Caffè piazzapontida è il nostro “modo”, il nostro concept». «Tutto ciò che si trova nel locale – spiega –, dall’arredamento ai prodotti al servizio, è stato pensato e

realizzato per dare una forma alla nostra idea di ospitalità, per comunicare pochi concetti, che ognuno può cogliere secondo la propria sensibilità per quei pochi istanti in cui si ferma da noi per consumare o acquistare. La riconoscibilità e l’identità del posto, le nostre scelte, sono difficilmente imitabili, senza cadere nell’ovvietà». A dominare la scena è naturalmente il caffè. Ogni giorno, da sei anni, si può scegliere tra cinque proposte. Sempre presenti sono l’Espresso Professional Blend e la sua variante decaffeinata. Si tratta di una miscela di 17 caffè, tostati in monorigine e miscelati a freddo, nella quale l’azienda riflette la propria idea di espresso. Una complessa architettura, quindi, che dà origine ad una tazzina perfetta, senza difetti e che mantiene il proprio equilibrio grazie ad una sapiente “correzione” delle percentuali e della lavorazione al

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variare dei raccolti. Ogni mese ruotano poi altri tre diversi espressi – in miscela, cru o monorigine -, che conducono alla scoperta di tutte le sfaccettature di cui è composto l’universo del caffè. «È una specie di gioco – racconta la titolare –, una continua sollecitazione nei confronti dei nostri clienti ad affinare gusti e conoscenza sensoriale. Non è di certo un percorso facile, perché per apprezzare i monorigine, ad esempio, oltre a specifiche competenze nella preparazione, occorre anche un diverso approccio del consumatore nella degustazione. Eppure i

L’Art Caffè torrefazione via delle industrie, 4 Fornovo San Giovanni tel. 0363 351960 L’Art Caffè piazzapontida piazza Pontida, 27 Bergamo tel. 393 0483992 info@artcaffe.com www.artcaffe.com

Tullio Plebani (servizio fotografico di Michele Stroppa)


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bergamaschi ci hanno sempre seguito ed è loro che dobbiamo ringraziare se oggi possiamo dire di essere vicini a chiudere il cerchioÂť. L’obiettivo dell’Art Caffè è infatti arrivare a collocare l’intera produzione della torrefazione esclusivamente in locali “a marchioâ€?, concept appunto, in grado perciò di interpretare appieno i valori della torrefazione e di ampliare il vitale dialogo con i consumatori in modo diretto, anche al di fuori dei confini provinciali. Oltre agli espresso, tutti macinati al momento, nella lista hanno un posto d’onore le bevande a base di caffè, classiche o rielaborate. E, visto che tutto quanto si trova nel locale non è presente per caso nĂŠ per fare semplicemente cassetto, anche tè e cioccolata sono selezionati e ad accompagnare l’aperitivo non ci sono le solite patatine ma taglieri che privilegiano i piccoli casari dei presidi bergamaschi. Scelti in base al medesimo criterio di qualitĂ e coerenza, compaiono poi sugli scaffali vini, distillati, confetture, biscotti ed altre eccellenze da acquistare e portarsi a casa, senza dimenticare, ovviamente, tutti i caffè della torrefazione, disponibili in grani, macinati per la moka o per la macchina, in cialde e in capsule. La fine dell’anno porta due novitĂ . Una è l’arrivo in esclusiva per Bergamo dei prodotti “In.gredientiâ€? firmati da Massimiliano Alajmo, lo chef tristellato delle Calandre, nel Padovano. Si potranno trovare confetture, biscotti, cioccolata e, per la prima volta nella storia del locale, qualche sconfinamento nel salato con le paste (come quella al caffè) e le mostarde: idee ghiotte e raffinate anche per un cesto natalizio, nel quale non mancherĂ nemmeno il panettone. Da circa un mese, l’Art Caffè si sta inoltre dedicando alla torrefazione del caffè delle Alte Terre di Huehuetenango, Guatemala, Presidio storico Slow Food che per la tostatura e la diffusione viene affidato a piccoli torrefattori scelti sul territorio nazionale. ÂŤA novembre è in programma il primo assaggio da parte dell’associazione – ricorda Erminia Nodari -, se sarĂ conforme alle aspettative, il prodotto riceverĂ la “chiocciolaâ€? e potrĂ essere messo in vendita, supportando i programmi internazionali di Terra Madre. Per noi si tratta di un’altra occasione per coniugare la qualitĂ con l’attenzione all’etica e alla responsabilitĂ Âť. Tutti i prodotti Art Caffè si possono acquistare anche on line nella sezione e-shop del sito www.artcaffe.com.

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L’INIZIATIVA

Tradizione o innovazione? Le ricette bergamasche si mettono in gioco Alla Campionaria quattro ristoranti a confronto sulla preparazione originale e su una variante “moderna” di altrettanti piatti

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anno attraversato indenni i tempi ed ancora oggi i piatti della tradizione sono in grado di incarnare, sia per i bergamaschi sia per i turisti, il sapore del territorio. Ma, per quanto buoni, non si vive di soli casoncelli e la ricerca di nuove interpretazioni delle ricette tipiche può essere importante per valorizzare l’enogastronomia locale al pari dell’assoluto rispetto dei canoni tramandati di generazione in generazione. “I mille sapori tra tradizione e innovazione. La cucina bergamasca è uno spettacolo” era il titolo della tavola rotonda organizzata dalla Camera di Commercio nell’ambito della scorsa Fiera Campionaria, che ha invitato quattro ristoranti bergamaschi a giocare tra classico e variazioni sul tema. L’iniziativa rientrava nel progetto “Ristorante dei Mille sapori”, il riconoscimento di qualità e la guida promossi dalla Camera di Commercio che oggi raccolgono quasi una settantina di insegne in grado di offrire menù e piatti tipici tutto l’anno.

Il pesce di lago in due varianti Per aprire il menù, Roberto Gambirasio del ristorante Cadei di Villongo ha preparato “Piccolo persico in carpione e pesciolini in cónsa con rondelle di polenta”, secondo l’antica ricetta che permetteva di conservare il pesce di lago. I piccoli persici del Sebino ed i pesciolini sono stati infarinati e fritti in olio extravergine di oliva Dop dei laghi Lombardi. I persici sono stati poi cosparsi con un carpione realizzato facendo soffriggere aglio tritato, cipolla e carote ad anelli, sedano, prezzemolo, una foglia di alloro, aggiungendo un bicchiere di aceto bianco e uno di Valcalepio bianco e facendo ritirare sul fuoco. Lo stesso procedimento, ma con un carpione aromatizzato solo con aglio tritato, cipolle, prezzemolo e alloro, è stato usato per i pesciolini. Entrambe le preparazioni richiedono un riposo di 12-24 ore al fresco. Di per sé già poco consueto, l’antipasto è stato riletto da Nicola Bonzi, del Roof Garden di Bergamo, che ha proposto di cuocere sottovuoto il persico sfilettato, dopo averlo lasciato macerare per circa un’ora in una riduzione di aceto e vino bianco. Le verdure vengono invece saltate a parte e affiancate al pesce ben croccanti. Il procedimento innovativo, oltre ad eliminare la frittura, riduce i tempi di preparazione. La cottura sottovuoto a 65 gradi richiede infatti solo 3-4 minuti ed il gusto del carpione è restituito dalla marinatura.

Brasato, la cottura sottovuoto ha un sapore antico La tecnica del sottovuoto è stata utilizzata dallo chef stellato del Roof Garden Fabrizio Ferrari per dare una veste nuova al brasato, realizzato da Marcello Baratella e Nicola Bonzi e servito accompagnato da una polentina di farro. Gli ingredienti sono quelli della tradizione: aglio, cipolle, carote, sedano rapa, alloro, rosmarino rosolati e con l'aggiunta successiva di Valcalepio rosso, per la marinata nella quale lasciar riposare la carne (cappello del prete sgrassato) per una notte. A variare è la cottura. Il sottovuoto a bassa temperatura per un lungo periodo permette alla carne di mantenere al meglio succhi ed aromi. È una tecnica nuova, ma è suggestivo il rimando alla vecchissima cottura con la brace (da cui il termine brasato) del camino messa sia sotto la pentola sia sopra il coperchio, anch’essa lunga e in grado di conservare gli umori.

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(servizio fotografico di Yuri Colleoni)


LA PUBBLICAZIONE

La smaiassa diventa un piccolo cono La smaissa o maiassa è un dolce a base di farina di mais cotta nel latte, cui si aggiungono mele a fette, fichi secchi sminuzzati, noci e chicchi di uva americana (ma le varianti familiari sono numerose) e che viene poi passata nel forno. Paolo Frosio dell’omonimo ristorante di Almé (una stella Michelin) l’ha trasformata in una sorta di cono gelato, realizzando una cialda con burro morbido, zucchero, farina, albume e farina di mais rostrato rosso, dove ha introdotto un sorbetto preparato con succo cotto di uva americana dei Colli. La farina per la polenta è diventa il contenitore, che può essere arricchito, nel solco della ricetta originaria, con noci, nocciole o pezzetti di mela inseriti sul fondo.

Risotto, dal classico al destrutturato Due sapori emblematici della tavola bergamasca, Taleggio Dop e löanghina, ossia salsiccia, erano gli ingredienti principali del risotto che Stefano Asperti, Francesco Sala, Edoardo Bescapé del ristorante Il Gourmet di Città alta hanno realizzato in diretta. Spellata, sgranata e rosolata a parte, la salsiccia è stata aggiunta al riso a metà cottura insieme con il Taleggio a pezzetti e a un rametto di rosmarino. Il tutto è stato mantecato con burro, Grana padano Dop e olio. Paolo Frosio ha suggerito una variante destrutturata con un risotto alla parmigiana, accompagnato da una salsa cremosa al Taleggio e al centro un ragù di löanghina.

«Così la tipicità continua a stupire» «L’iniziativa – commenta Silvia Tropea Montagnosi, storica della cucina che ha condotto la tavola rotonda – dimostra che quella bergamasca è una cucina che funziona. Senza troppe stravaganze ma grazie all’utilizzo di tecniche nuove e soprattutto alla grande creatività che li ha sempre contraddistinti, i nostri cuochi e ristoratori sono stati in grado di proporre piatti di eccellenza, capaci di stupire nel rispetto delle materie prime e del senso dei piatti della tradizione».

Serina recupera i sapori di un tempo Ogni anno il Comune di Serina sponsorizza una pubblicazione sulla storia locale, vallare o di più ampio respiro, che distribuisce gratuitamente alla popolazione in occasione delle festività natalizie. Quest’anno il tema è la cucina bergamasca, raccontata in un volume dal titolo “Profumi e sapori di un tempo”, curato da Cristian Bonaldi ed edito da Corponove. La pubblicazione riunisce 285 ricette della tradizione, spesso raccolte dalla viva voce degli anziani, oltre ad approfondimenti su prodotti tipici locali e sulle erbe commestibili dei nostri campi. C’è inoltre una serie di detti e proverbi bergamaschi sul tema del cibo ed il tutto è corredato da foto d’epoca e contemporanee che ritraggono la vita familiare contadina e la preparazione delle ricette. La prefazione è di Bruno Agazzi, duca di Piazza Pontida, e del giornalista enogastronomico Elio Ghisalberti mentre l’introduzione è affidata al cantautore e poeta dialettale Luciano Ravasio. L’iniziativa è patrocinata e sponsorizzata da Regione Lombardia, Provincia di Bergamo e Comunità Montana Valle Brembana e patrocinata da enti ed associazioni bergamaschi. Il libro sarà a disposizione dalla metà di dicembre presso il Comune (per informazioni è possibile contattare la segreteria).

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IL PREZZO FISSO di Fulvio Facci

Due chef al prezzo di uno Al Vicolo Antico di Urgnano i due giovani titolari si sono divisi i compiti, ma sono entrambi cuochi. «Un conto è quando il piatto lo serve un cameriere, altro quando lo presenta chi lo ha cucinato». Ed ora sono pronti a lanciare il servizio a domicilio e quello di banqueting

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er chi punta a qualificare il proprio locale, probabilmente la prudenza non è mai troppa. Ecco, quindi, che al Vicolo Antico di Urgnano invece di un solo chef ce ne sono addirittura due e sono contitolari. Il ristorante-pizzeria sostanzialmente è piccolo (una settantina di posti in tutto anche se per la prossima stagione estiva dovrebbe arrivare il dehor) e curare i minimi dettagli in cucina e in sala diventa un obbligo per fidelizzare la clientela. Con questo obiettivo Giovanni e Oscar riescono ad operare in piena sinergia con le loro esperienze professionali integrandosi secondo necessità. In realtà Giovanni Coter è lo chef titolare che qualche volta dà una mano in sala («Un conto – dice - è quando il piatto lo serve un cameriere, altro quando lo serve chi lo ha cucinato»), mentre Oscar Redolfi è prevalentemente in sala, ma non ha certo dimenticato come si cucina. Entrambi hanno trent’anni, hanno iniziato insieme questa avventura sei anni fa ed il conto è presto fatto: si trattava di ragazzi intraprendenti di 24 anni,, ora hanno un bel locale avviato. viato. La “famiglia”, per la verità, è più ampia, visto che i nostri cuochi partecipano rtecipano anche alla società proprietariaa dell’Extè di Zanica con Donatella Pezzotta otta ed Evandro Lodetti, a loro volta comproprietari mproprietari del Vicolo, che avevano aperto rto nel 2004 trasformando un classico bar di paese. «Ci scambiamo qualche favore quando serve – racconta Oscar scar – ma operiamo tutti in piena ena autonomia e con la massima ma armonia. Del resto erano o loro i titolari del Vicolo che ci hanno coinvolti in questa nuova esperienza».

Il ristorante è in centro al paese, in una zona che nel fine settimana viene chiusa al traffico. Bisogna quindi conoscerlo ed andarci apposta. L’interno è curato e di sobria e moderna eleganza come del resto le mise en place, aspetti importanti certamente, ma non quanto lo è la cucina. «Ho scelto una linea semplice – spiega Giovanni Coter – perché ritengo che alla cucina si debba dare del tu e non del lei. Mi spiego, bisogna conoscerla a fondo, avere confidenza con le materie prime, con i tempi di cottura. Ma sono per una cucina semplice, non modificata. Il cliente deve capire cosa sta mangiando. Noi ci stiamo affermando in zona come locale che propone il pesce. Ci fa piacere, la nostra pentolaccia (un gran misto classificato sotto la voce antipasti ndr.) è conosciutissima, ma andiamo avanti lo stesso con nuove proposte. Se finora i classici erano le orate e i branzini ora puntiamo sulle ricciole o sui dentici. Questa è la nostra idea di novità». La carta del Vicolo è comunque equamente divisa ed anche i piatti di terra hanno pari spazio e dignità. Dovendo p p g scegliere, ad esempio, tra i tortelli al nero di seppia con code di

Giovanni Coter e Oscar Redolfi

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LA PROVA

Il pesce non manca mai Nell’evoluzione della proposta per il menĂš a prezzo fisso di mezzogiorno quello che pochi anni fa era impensabile ora è diventato una costante: parliamo dei “mezzi menĂšâ€? che vanno incontro alle esigenze sia di linea sia di portafoglio di quanti sono piĂš o meno obbligati a scegliere il ristorante per la pausa pranzo.Anche al Vicolo Antico, quindi, il menĂš completo - primo, secondo, contorno, vino, acqua e caffè - costa dieci euro ma si può scendere a sette con primo e contorno oppure con il secondo piatto. Con otto euro c’è il menĂš pizza con bibita piccola e caffè e con sette euro ci sono le insalatone. Si cerca, insomma, di andare incontro a tutte le esigenze. Quattro primi, quattro secondi e quattro contorni costituiscono la minicarta del prezzo fisso.Troviamo: pasta al pomodoro, ravioli alla bolognese, fusilli pancetta e porcini e penne fantasia di mare tra i primi. Bistecca, fesa di tacchino ai ferri, bocconcini al vino rosso e spada alla siciliana sono invece le proposte per i secondi piatti. Completano la lista i contorni: insalata mista, pomodori e cipolle, zucchine soutè ed erbette al grana. Nel complesso c’è un giusto mix di piatti classici e consueti per quanto riguarda la ristorazione veloce insieme a piatti di una certa ricercatezza e fantasia. Un piatto di pesce è in lista tutti i giorni. Noi andiamo a tutto pesce: penne fantasia di mare e spada alla siciliana mentre per contorno scegliamo le erbette. Si va di lusso su tutte le proposte, con una particolare citazione per il primo piatto. Ottimo comunque complessivamente il rapporto prezzo-qualitĂ per una cucina che non lesina la cura e la ricerca di aromi e profumi particolari, anche nel contesto di un menĂš dal costo contenuto.

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gambero in salsa aurora e una tagliata di tonno per secondo oppure un risotto alle erbette mantecato con strachitunt ed una fiorentina qualche attimo di imbarazzo ci può stare. ÂŤCi abbiamo messo quasi tre anni per far marciare il locale come volevamo, un tempo accettabile tenuto conto anche della posizione che non è di grande transito. Ăˆ un primo traguardo – ha concluso Oscar Redolfi –. Ora siamo pronti per una nuova iniziativa. Il nostro menĂš, tale e quale comprese le pizze, vogliamo portarlo nelle case con un servizio a domicilio. Abbiamo giĂ pronto il materiale promozionale. Parallelamente nasce anche il nostro servizio di banqueting. L’esperienza l’abbiamo e poi‌ siamo due cuochiÂť

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Dietro La Rocchetta si cela una grande emozione.

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Val Brembana, la castagna protagonista in 15 ristoranti In Val Brembana torna “Sapori & Cultura”: un invito a scoprire il patrimonio culturale e museale del territorio all’imbocco della Valle, gustando i prodotti della tradizione nei 15 ristoranti aderenti all’iniziativa. La rassegna, alla terza edizione, si sviluppa quest’anno nell’ambito del Distretto del Commercio “La porta della Valle Brembana” (che coinvolge i comuni di Zogno, Brembilla e Sedrina) e animerà la Valle sino alla fine di gennaio. Quest’anno il tema scelto per l’iniziativa gastronomica è la castagna, che gli chef esalteranno nei menù, proposti al prezzo di 25 euro (coperto e bevande incluse). Al prodotto simbolo dell’autunno, da sempre risorsa preziosa dell’alimentazione bergamasca, sarà dedicato un seminario tenuto da Elio Ghisalberti dal titolo “La càstegna frutto del castagno”, in programma il 3 dicembre alle 15.30 al Museo della Valle di Zo-

I locali che aderiscono all’iniziativa A Zogno: Breve Respiro, Casa Baggins, Da Gianni, Da Tranquillo, Maglio, La Staletta,Tavernetta, La Torre,What’s Up; a Brembilla: Il Forno, Fino, La Costa, La Rua,Trota; a Sedrina: La Lanterna

gno. Nella contrada di Castegnone di Poscante, patria della castagna, in collaborazione con l’U.S. Poscante e l’“Associazione Castanicoltori Orobici” sarà organizzata il 27 novembre una vista guidata al “Secadur” con assaggio gratuito di prodotti tipici ed esposizione di prodotti locali. La vigilia di Santa Lucia si terrà la tradizionale festa con l’anteprima della sagra dei “Biligocc” e con la presenza di un villaggio Natalizio attivo sin dall’inizio di dicembre con eventi ed intrattenimento. Nel Comune di Brembilla si terrà l’8 dicembre una visita guidata alla “Azienda Agricola Rota Ilario”, per scoprire come nascono prelibati prodotti derivati dal latte e frutto della tradizione. In concomitanza si svolgerà un appuntamento particolare ”Lo sconto lo decidi tu”, il centro della cittadina si trasformerà in una grande piazza con negozi aperti e sconti speciali.

Ristorante il Saraceno, convince il pesce a “teatro” Il pesce crudo conferma il suo valore anche a “teatro”. Scampi, gamberi, alici, ostriche, tonno si sono infatti rivelati “attori” consumati, padroni del “palco”, nell’opera in sei atti messa in scena a fine ottobre al ristorante “Il Saraceno” di Cavernago. Alla regia, lo chef Roberto Proto, aiuto-regista la moglie Maria, in sala, autori del “Teatro del pesce Crudo”, “spettacolo” che ha convinto per più di un motivo, a partire dall’indubbia capacità di Proto di trattare la materia prima e dal servizio accurato in sala per finire con il valore indiscusso del co-protagonista della serata, lo Champagne Deutz. Ecco lo svolgimento dell’opera, dopo il Crudo di Alici di Cetara in carrozza che ha dato il benvenuto agli “spettatori”: scena: trittico di scampi (scampo, lasagnetta di scampi al lime, tartar con crudo di porcini). scena: elogio al gambero rosso (gambero, mezza sfera di gambero e burrata con sale di Trapani, battuto di gamberi con salsa allo zabaione e tartufo nero).

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le ostriche Fines de Claires e Tsarskaya III escena: intermezzo con l’uovo e il salmone. Tutte e tre le proposte sono state annaffiate dallo Champagne Brut Classic. scena: mezzi paccheri con sushi di ricciola e spremuta di pomodoro. scena: fusilloro selezione Verrigni con cime di rapa, crudo di calamari e limone d’Amalfi (Entrambi i piatti abbinati allo champagne Brut Rosé). scena: Tonno croccante con salsa di lamponi e zenzero, abbinato al Blanc de Blanc 2004.

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Gran finale con carosello di piccola pasticceria. Sei proposte convincenti, caratterizzate una tensione costante e da una nitidezza e da un equilibrio io dei sapori davvero notevoli.

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RISTORANTE IL SARACENO piazza Verdelli, 2 Cavernago tel.035 840007 Affari di Gola novembre 2011 35


I corsi dell’Accademia del Gusto I risotti Il riso è protagonista all’Accademia del Gusto di due corsi tenuti dallo chef Francesco Gotti, pronto a svelare i segreti dei risotti della tradiseg zione e di d risi e risotti innovativi. Tradizionali - Il viaggio nel Tra mondo dei risotti per conoscere le varietà, apprendere i metodi di cottura e preparare i condimenti più adatti è in programma giovedì 24 novembre dalle 20 alle 23. Si andrà alla scoperta di un piatto della tradizione, la cui difficoltà di esecuzione richiede un bagaglio carico di abilità, e di qualche idea nuova e creativa che stupisca i propri ospiti. Ciascun partecipante realizza direttamente in aula le ricette: le tipologie di riso classiche, le tecniche di cottura, lo sviluppo e presentazione di piatti tradizionali non avranno più segreti. ..e innovativi - Dopo aver appreso le tecniche base di preparazione di un buon risotto, un corso dedicato ad abbinamenti e tipologie di riso insoliti e creativi provenienti da ogni angolo del mondo. Il corso - in programma mercoledì 30 novembre dalle 20 alle 23 - prevede la realizzazione in aula delle ricette illustrate.

Pane, pizza e focacce: tutti i segreti Il piacere di preparare il pane in casa, il profumo di una pizza zza e di una focaccia appena sforfornate. Un laboratorio teorico ico e pratico, tenuto da Luciano ano Passeri – in programma il 28, 29 e 30 novembre dalle 19 9 alle 23 - per imparare a realizzare a regola d’arte pane, pizze e focacce in teglia. Con consigli sui metodi di impasto e ricette per i condimenti e le farciture.

La selvaggina di Sergio Mei Un corso dedicato alle carni nere con in cattedra Sergio Mei, uno chef la cui storia è strettamente con-

Il filosofo nel piatto, esperienza di sapori e di pensieri Quali misteri nascondono le spezie e come possono insegnarci qualcosa sulla globalizzazione? Quali storie si nascondono dietro il viaggio della patata dall’America all’Europa e da qui alla Londra dell’Ottocento? “Il filosofo nel piatto”, Gianluca Bocchi, cercherà di rispondere a queste ed altre domande, ma sarà un’occasione anche per porne delle nuove, per stimolare i partecipanti a una riflessione più generale su cibo, storia e cultura. Le due serate conviviali - in programma dalle 20 alle 23 mercoledì 23 novembre e il 6 dicembre - porteranno non solo alla creazione e alla preparazione di ricette “a tema”, ma anche alla degustazione e alla contemporanea riscoperta della storia dei nostri piatti e del grande legame che è sempre esistito tra cibo e cultura.

nessa con quella della cucina italiana. Il seminario, rivolto ai professionisti del settore, è in programma il 29 novembre dalle 10 alle 17 e permetterà di scoprire i segreti delle tecniche di lavorazione che rendono eccellenti le preparazioni dei piatti nobili prep di sselvaggina e cacciagione, un tempo cucinati solo nelpiù grandi corti d’Europa. le p

Nuove ricette N p per il menù di Natale Un menù per la festa più importante dell’anno, un giorno speciale in cui il piacere del gusto si unisce a quello della convivialità e dello stare insieme. Un laboratorio – in programma dalle 20 alle 23 il 7 e il 14 dicembre - pensato per chi vuole stupire i propri cari con ricette raffinate, che sapranno favorire un clima di serena convivialità. Ciascun partecipante realizza direttamente le ricette in aula, per apprendere al meglio i segreti dello chef Roberto Carcangiu.

L’Accademia del Gusto è a Osio Sotto in piazzetta Don Gandossi 1, Tel. 035 4185706; info@ascomformazione.it; www.ascomformazione.it

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“RISTORANTI REGIONALI - CUCINA DOC”

Lombardia, Sardegna e Piemonte unite all’insegna della buona tavola I vini di Bera e di Santa Maria la Palma a confronto con le cucine di Matteo Scibilia (Osteria della Buona Condotta) e Luigi Giudici (Iseolago Hotel)

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ifendere la vera tradizione enogastronomica italiana e valorizzare i ristoranti che ancora oggi lasciano ampio spazio alla buona cucina. Sono questi gli imperativi che spingono l’azione dell’associazione “Ristoranti regionali - Cucina Doc” (www.ristorantiregionali.it) guidata dalla bergamasca Marinella Argentieri. È da ormai circa 40 anni che il movimento si impegna su questo fronte, favorendo anche l’incontro tra realtà regionali differenti. Gli ultimi casi sono recentissimi e hanno avuto come protagonisti due ristoranti lombardi e due produttori di vini, uno piemontese e l’altro sardo. I vini di Bera e la cucina di Scibilia Il 28 ottobre scorso, all’Osteria della Buona Condotta di Ornago, Valter Bera, enologo e titolare dell’omonima azienda vitivinicola di Neviglie (Cn), ha presentato alcuni suoi vini in abbinamento al menù proposto da Matteo Scibilia, chef-patron, insieme alla moglie Nicoletta, del locale brianzolo. Presidente dell’Associazione Cuochi e Ristoratori di Lombardia, alla guida di un locale ricavato in un cascinale degli inizi del secolo, con una grande cucina, una sala per 50 coperti, arredata con mobili d’epoca e un piccolo giardino estivo, Scibilia ha preparato un menù ispirato alla cucina tradizionale piemontese: un tortino

Luigi Giudici

di funghi porcini su fonduta al profumo di tatufo bianco; lingua lessa con peperoni arrostiti e bagna all'acciuga; antico risotto alla luganega e rum; muscolo di fassone della Granda cotto nell'olio con tre salse tradizionali piemontesi. Infine torta di nocciole delle Langhe con mousse allo Chardonnay di Bera. In abbinamento il Rosèlena 2010 (rosato da barbera e nebbiolo), il Sassisto 2008 Docg (barbera, nebbiolo e merlot), il Barbaresco 2007 Docg e il Moscato d’Asti 2010. Vini in cui si è percepito il rigore e la filosofia produttiva rispettosa della tradizione e del territorio. Iseo incontra Alghero All’Iseolago Hotel, il 12 novembre scorso, è stata la volta della cucina bresciana, che si è confrontata con i vini di Alghero. Il ristorante l’Alzavola ha infatti proposto la “Festa della selvaggina” in abbinamento ai vini della Cantina Santa Maria la Palma. Lo chef executive Luigi Giudici, forte di un menù che segue il ritmo stagionale, valorizza sia il lago - per esempio con i tagliolini all’astice di lago, il salmerino ai ferri con patate cotte sotto la cenere, secondo la tradizione bresciana - sia la "terra" con il salame in punta di coltello di Mangala (maiale e pecora), gli gnocchi di patate e zucca, l’anitra con le verze e la polenta. La serata dedicata alla caccia s’è aperta col paté di beccaccia ed è proseguito con le pappardelle al salmì di lepre per continuare con le costolette di cervo al ginepro con purè di castagne e topinambur e concludersi con la crostata ai mirtilli. La Cantina Santa Maria la Palma di Alghero ha abbinato alla cena alcuni suoi vini della linea Grand Cru: Papiri - il Vermentino di Sardegna Doc che ha ricevuto l’ambito premio Oscar al recente concorso enologico piemontese “Douja D’Or”, il Cagnulari Alghero Doc, un rosso corposo prodotto dall’omonimo vitigno autoctono, e il Soffio di sole, un vino da dessert ottenuto da uve bianche lasciate appassire al sole e affinato in carati di rovere. Da sinistra Nicoletta Rossi, Riccardo e Valter Bera, Matteo Scibilia

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L’ANGOLO

DEL SINGLE di Marco Bergamaschi

Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina

Capita a tutti nella vita di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo mo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.

Torta alla marmellata di lamponi Ingredienti per 1 persona 120 g di burro 120 g di zucchero 140 g di farina 2 uova

marmellata di lamponi granella di zucchero a piacere un pizzico di sale

Preparazione lo allo zucchero in un Fate sciogliere nel micro-onde (o nel forno normale) il burro, quindi unitelo una terrina e mescolate vigorosamente fino a che non diventa spumoso. Aggiungete quindi le uova, la farina e un pizzico di sale e continuate a mescolare. Versare il tutto in una tortiera di silicone (pratica perché il fondo non va imburrato né infarinato). In un piatto versate mezzo vasetto di marmellata, uniteci un cucchiaio di acqua calda e mischiate, in modo che la marmellata si ammorbidisca e possa essere spalmata con facilità. Cospargete l’impasto con la marmellata, i granelli di zucchero e mettete in forno a 180° per 20-25 minuti. Lasciatela raffreddare e gustatela come dessert insieme ad un buon caffè e, se avanza, alla mattina accompagnata ad una tazza di latte o di tè, a seconda delle personali abitudini

LA CURIOSITÀ Una delle certezze culinarie che caratterizzano la vita dei single è che il dolce lo si acquista in pasticceria, perché è l’unica opportunità per poterlo mangiare. Se è già faticoso immaginarsi tra i fornelli alle prese con la preparazione di un primo o un secondo piatto, il mondo del dessert rimane un terreno sconosciuto, che si preferisce non esplorare. Per tali ragioni e soprattutto per sfatarle, ho deciso di proporre una torta, veloce e semplice nell’esecuzione, che piacerà a tutti. È una ricetta che ho ereditato e che negli anni è stata poi tramandata ad amici e conoscenti, accompagnandola sempre con l’espressione “facile da preparare”. La ricetta è fatta con la marmellata di lamponi, frutto che amo molto per il suo gusto inconfondibile, il colore rosso e le innumerevoli proprietà benefiche. Considerato un diuretico, depurativo e lassativo, è un frutto estivo dal sapore dolce e dal gradevole profumo, che grazie alla bassa percentuale di zuccheri è un alimento "autorizzato" per chi soffre di diabete. Da molto tempo poi i lamponi, grazie al loro contenuto di vitamina C, sono noti per le proprietà antinfiammatorie delle vie respiratorie e negli ultimi tempi hanno destato enorme interesse i risultati di alcune ricerche scientifiche che confermano le pro-

38 Affari di Gola novembre 2011

prietà antitumorali di questo squisito frutto, grazie alla presenza dell’acido ellagico, un potente antiossidante con la capacità di inibire l'alimentazione delle cellule tumorali, in particolare a livello intestinale. Ma i lamponi contengono anche potassio, magnesio, provitamina A, una piccola quantità di calcio e vitamina A, vitamine B1, B2, B3, B5, B5, vitamina C,Vitamina E, K e J. Siamo quindi alla presenza di un frutto non solo squisito, ma foriero di innumerevoli benefici per l’organismo. Infine inutile sottolineare che potete cucinare questo dolce con marmellate di gusto differente a seconda delle preferenze personali; io consiglio sempre di utilizzare una marmellata biologica o se ne avete la possibilità, una di quelle fatte in casa, dal gusto impareggiabile. Non vi resta che sbizzarrirvi: una variante golosa è quella con la marmellata di fichi e un’altra sorprendente possibilità è quella con la marmellata di arance amare. E se volete sperimentare sapori nuovi, ma molto gustosi, preparate la torta mescolando insieme la marmellata di limone con quella di fragole. State certi che lascerete di stucco i vostri invitati e voi stessi. Non mi resta che auguravi buon appetito.


Caffè del Largo - Bergamo, largo Belotti

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