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Supplemento al n. 41 de “La Rassegna” del 14 novembre 2013 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - ? 2,60
novembre 2013
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
Mele,
la Val Brembana ci crede sempre di più
L'INTERVISTA Luca Monica (Peck): «Così cambia la gastronomia»
IL PRODOTTO Da Morlacchi il panettone con le “super-uova”
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SOMMARIO
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Supple mento via Borgo al n. Palazz 41 de “La Rasse o 137, gna” Berga mo Poste del 14 novem Italian e S.p.A. bre 2013 - Giusep Spediz pe Ruggie ione in Abbon ri ament direttore respon o Postal sabile e - D.L. 353/20 Editrice: La 03 (conv. Rasse in L. 27/02/ gna S.r.l. 2004 n. 46)
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IL PROD OTTO Da Mo il pane rlacchi tto le “supe ne con r-uova”
PENNA ALL’ARRABBIATA
La lotta alla disoccupazione passi anche dalle cucine. Ma eliminando un equivoco
FOCUS
Val Brembana, stregati dalle mele
13 LA POLEMICA
Franciacorta, dal Consorzio di Tutela parte la diffida ai produttori “ribelli”
14 LA "LEZIONE"
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Sadler: «Gli chef in tv messaggio fuorviante per i giovani»
16 FORMAGGI
La ventennale “battaglia” del Bitto
19 L'ITINERARIO
Val Camonica, uno scrigno pieno di bontà
22 IL PRODOTTO
Burro della Normandia e uova di Parisi, ecco il super-panettone “Regale”
24 FACECOOK
«Un po’ di Bergamo riesco a portalo in tavola anche a Beirut»
28 L'INTERVISTA
«Ecco le nuove tendenze della gastronomia»
31 LA NOVITÀ
Al “22c” scegli, scaldi e mangi
Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Michela Brivio, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
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La lotta alla disoccupazione passi anche dalle cucine. Ma eliminando un equivoco di Pier Carlo Capozzi
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l motivo dell’arrabbiatura, stavolta, è che non siamo più nemmeno in grado di indignarci. La percentuale di disoccupazione giovanile, arrivata al 40,4%, la più grave dal 1977, non sembra costituire una notizia particolarmente fastidiosa per un’opinione pubblica anestetizzata. Siamo ormai assuefatti, ci facciamo passar sopra ogni genere di sciagura, aspettando che qualcuno ci risolva il problema. Si sente parlare di ripresa, ma, pur non vedendone gli effetti, qualcosa nel nostro sistema ci suggerisce un minimo di ottimismo. Uno dei fenomeni più clamorosi degli ultimi tempi risulta essere infatti la ricerca di un posto di lavoro nelle cucine della Penisola, quindi l’iscrizione a scuole alberghiere e corsi di formazione per uscirne provetti chef, in dignitosa linea con coetanei universitari. Con una grande differenza rispetto ad un recente passato: che adesso i ragazzi che vogliono percorrere l’arduo cammino sono motivati, a differenza di molti studenti dell’epoca che fu, arrivati all’alberghiera come ultima scelta, non sempre precisamente desiderata. Nella nostra provincia ne sappiamo qualcosa: fin quando c’è stata San Pellegrino come unica sede (contando anche il distaccamento di Nembro) e le iscrizioni erano bloccate, la preparazione era di alto livello, tanto da competere con sedi prestigiose quali Stresa e Bordighera, e la selezione piuttosto rigorosa. Già all’epoca però erano troppo pochi, in percentuale, i ragazzi che, usciti col diploma, si potevano trovare ancora nel mestiere qualche anno dopo. Con l’allargamento e l’apertura di altre opportunità didattiche, pur con la comodità di sedi più facilmente raggiungibili, era pressoché inevitabile l’abbassamento della qualità formativa. Le testimonianze, dirette, ci arrivano dai maître d’hôtel e dai capocuochi che, negli anni 90, si vedevano arrivare ragazzi con una preparazione professionale vieppiù da completare. In generale, poi, lavorare nella ristorazione e nell’hotellerie non era visto come uno sbocco prestigioso. Celebre la domanda che si poneva alle mamme sul possibile impiego delle figlie. Giammai “cameriere”, volesse il cielo “hostess”. Praticamente cameriere tra le nuvole.
Sorprendentemente il panorama s’è ribaltato e, attualmente, lavorare in sala o, meglio ancora, tra i fornelli, è diventato il desiderio di moltissimi. Ci gioca anche un ambiente leggermente drogato da un bombardamento mediatico senza precedenti. Noi ricordiamo, con nostalgia, ma anche con ammirazione e rispetto, i pochi volumi di ricette che, anni or sono, si trovavano in libreria e le trasmissioni televisive antesignane condotte da personaggi del calibro di Mario Soldati e, successivamente, Gino Veronelli e Ave Ninchi. Ora non esiste vetrina che non porti via un terzo di spazio a improbabili ricettari e biografie di grandi chef, mentre in tivù impazzano reality che, come ingrediente principe, non hanno l’olio d’oliva ma una sequela di urla villane e tristissimi improperi. Questo andazzo, se da un lato ha favorito l’interesse per una professione considerata fin lì poco appetibile, dall’altro ha fatto perdere la consapevolezza di cosa sia lavorare in una cucina: un impegno pesantissimo, in termini di ore e di fatica, e un continuo aggiornarsi per restare al passo. La stella Michelin, parafrasando Cronin, per intanto resta a guardare. Ma a noi interessa che sia tornato entusiasmo per questo settore (e dati recenti lo confermano) e che l’energia sia ripresa a circolare, perché ne abbiamo un gran bisogno e i nostri figli molto più di noi. Dobbiamo solo aiutarli a sgombrare il campo dagli equivoci, perché la vita, e con lei le arti ed i mestieri che la popolano, non sono un reality, ma qualcosa di tremendamente più serio e più impegnativo. Sottolineando che Gualtiero Marchesi non alza mai la voce. Magari, capito tutto questo, ci potesse essere davvero un rilancio occupazionale in grande stile sul terreno dell’accoglienza e dell’enogastronomia! Quante volte abbiamo sentito il mantra che l’Italia dovrebbe vivere solo di turismo e cucina? Che le ricchezze culturali che abbiamo noi non le possiede alcun altro al mondo? Che la nostra tradizione a tavola è un autentico, infinito tesoro? Sotto coi ferri, quindi, che solo un piatto di spaghetti cucinati con arte può calmarci (per un po’) l’indignazione.
PENNA ALL’ARRABBIATA
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piercapozzi@libero.it
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FOCUS di Anna Facci
Val Brembana, stregati dalle mele I frutti vanno a ruba e i coltivatori sono sempre più appassionati. Così sta decollando l’iniziativa nata per sottrarre i terreni montani all’abbandono. Gianati (Afavb): «Siamo tutti hobbisti, ma sono state messe a dimora altre piante e nei prossimi anni la produzione aumenterà». E per garantire provenienza e qualità si pensa a un marchio
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n Val Brembana è scoppiata la “melamania”. Produttori sempre più appassionati e consumatori in trepidante attesa di portarsi a casa il nuovo raccolto sono le due anime di un fenomeno che, partito come sfida all’abbandono del territorio, cresce e guadagna consensi anno dopo anno. Tanto che ora comincia fare i conti con i “tentativi di imitazione”, in fondo il più chiaro segnale del successo di un’iniziativa. L’Afavb, Associazione Frutticoltori ed Agricoltori della Valle Brembana, promotrice della riscoperta, sta infatti pensando di dare vita ad un marchio di riconoscimento per i frutti dei propri associati, garanzia di una produzione locale e del rispetto di certi parametri di qualità. Prima di parlare degli sviluppi, conviene però ricordare da dove si è partiti. Era il 1993 quando Davide Calvi, sindaco di Moio de’ Calvi allora come oggi (ha raggiunto i sette mandati, interrotti per forza di legge da una legislatura con carica di vicesindaco) cominciava a proporre l’acquisto collettivo di piante da
frutto tra gli abitanti della Valle e incontri tecnici per la conduzione dei frutteti, un modo per ridare vita a terreni incolti e, al tempo stesso, per coinvolgere ed aggregare la popolazione. Nel 2007 il movimento si è dato la forma dell’Associazione, per promuovere meglio la diffusione della coltivazione di mele, la formazione e l’aggiornamento dei produttori e la conoscenza di questa realtà da parte del pubblico. Quattro anni fa è nata la Sagra della Mela di Piazza Brembana (un fine settimana a fine ottobre dove i frutti vanno a ruba), lo scorso anno è stato inaugurato a Moio de’ Calvi il campo scuola “Arcobaleno delle Mele”, utilizzato per le dimostrazioni ai neofiti, la sperimentazione di nuove tecniche e varietà e le visite delle scuole. Sempre l’anno scorso è arrivato il marchio della Comunità Montana. «Oggi l’Afavb conta circa 250 associati in tutta la Val Brembana – racconta il vicepresidente Pinuccio Gianati, che coltiva circa 500 meli a Olmo al Brembo e Isola di Fondra -.
L’ideatore del progetto CALVI: «IL NUOVO SOGNO? UN Per capire lo spirito che anima Davide Calvi, “papà” delle mele della Val Brembana, si può ricordare un’altra sua piccola-grande impresa, la battaglia per mantenere attiva la cabina telefonica a Moio de’ Calvi, di cui è sindaco da quasi quarant’anni. «Se Telecom l’aDavide Calvi
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vesse portata via, avrebbe dovuto farlo con me dentro» afferma con decisione e spiega, al di là dell’episodio: «In montagna abbiamo talmente poco che non possiamo permettere di lasciarlo andare, per questo mi batto per mantenere dei servizi e delle opportunità».
novembre 2013 Siamo tutti hobbisti, con frutteti che vanno da una decina di piante a numeri più consistenti, anche 800, mille esemplari». È però difficile fare una stima della produzione. «Certo, di piante in questi anni ne sono state acquistate molte – evidenzia -, ma poi le colture vanno seguite e, al momento, non sappiamo quante di quelle impiantate continuino a dare frutti. Qualcuno pensa che sia sufficiente avere a disposizione un po’ di terreno, mettere a dimora qualche pianta e aspettare settembre per cogliere i frutti. Non è così, occorrono anche tempo e passione. Le piante vanno potate, concimate, difese dalle malattie, si comincia a lavorare a fine febbraio e si finisce a ottobre. Ciò che cerchiamo di fare ora è anche promuovere questo cambio di mentalità». La dimensione del fenomeno sfugge anche perché la produzione è destinata all’autoconsumo, in famiglia o nella cerchia di amici e colleghi. La parte che arriva ai consumatori è quella che gli associati - i più assidui e partecipi - conferiscono in occasione della Sagra della Mela.
arrivino – rivela Gianati -, per questo stiamo pensando ad un marchio. È un percorso impegnativo, dovremo cominciare con una ricognizione delle piante effettivamente produttive e poi fissare degli standard per la coltivazione, ma l’obiettivo è ben chiaro, stimolare sempre di più la ricerca della qualità». «Pur se l’attività è in espansione – precisa – non immaginiamoci comunque di arrivare a estensioni come in Val di Non o in Valtellina, i meleti in Val Brembana occupano soprattutto spazi marginali, il più delle volte bisogna andarci a piedi». Le mele rappresentano la più grossa fetta, circa l’85%, della produzione dei frutticoltori brembani, che coltivano anche pere, ciliegie e piccoli frutti. «La scelta delle mele è legata soprattutto ad un fatto pratico – racconta il vicepresidente -, si conservano infatti anche per tre-quattro mesi e quindi il raccolto si può gestire con tranquillità, a differenza di altri frutti che devono essere consumati o trasformati nel giro di poco tempo e che richiederebbero, quindi, un’organizzazione più complessa». Ma in questo caso la necessità
«Lo scorso anno le mele a disposizione sono andate esaurite prima della conclusione della manifestazione – ricorda Gianati -, quest’anno ci siamo organizzati per soddisfare tutte le richieste. Al momento, però, le quantità disponibili non vanno più in là di questo e il ricavato della vendita delle mele durante la manifestazione non basta nemmeno per coprire le spese per la pubblicità dell’evento, naturalmente tutto basato sul volontariato». Ma il futuro è di crescita. «La produzione è destinata ad un incremento significativo – annuncia - perché ultimamente sono state messe a dimora molte piante, possiamo stimarla attorno al 60% in più nei prossimi tre o quattro anni». E proprio in vista di questo boom, l’associazione vuole farsi trovare preparata. «Già oggi vediamo in vendita “mele della Val Brembana” che non sappiamo esattamente da dove
fa il paio con la virtù, «la mela di montagna – evidenzia Gianati - grazie al terreno e all’esposizione, è più dolce e saporita rispetto a quella coltivata in pianura». Ma ai consumatori piacciono anche perché sono prodotti locali, colti vicino casa, fragranti perché non hanno affrontato troppi passaggi. Le varietà principali coltivate sono Golden, Gala, Red Deliciuos, Renetta, Florina e Topaz. Meno note, le ultime due sono resistenti alla ticchiolatura, malattia dovuta ad un fungo, e al palato sono croccanti, succose e leggermente acidule. «Al di là dei numeri della produzione – tiene a sottolineare il vicepresidente – credo che con la nostra attività qualcosa stiamo dimostrando, che i terreni della nostra montagna, soprattutto oggi che le fabbriche chiudono, sono ancora quelli che ci possono garantire un litro di latte e una mela da sgranocchiare…».
Il vicepresidente dell’Afavb, Pinuccio Gianati
LABORATORIO PER LA TRASFORMAZIONE» E non gli basta che il recupero del territorio attraverso la frutticoltura, partito come una sfida all’inizio degli anni Novanta, abbia conquistato l’interesse di produttori e consumatori e sia oggi in espansione. Alza ancora l’asticella. «Un impulso maggio-
re all’attività potrebbe darlo un laboratorio per realizzare prodotti a partire dalle mele, come succhi di frutta, aceto, grappa, fettine essiccate da mangiare come patatine – dice -, questo creerebbe qualche opportunità di lavoro, preziosissima per convincere i gio-
vani a non andarsene. So che servono risorse e che il momento non è favorevole, ma bisogna sempre avere almeno delle idee e cercare di progredire, lo dobbiamo ai nostri giovani – ribadisce -, dobbiamo dare loro coraggio e prospettive perché non mollino».
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FOCUS
I produttori: «Una L’attività è amatoriale, ma c’è voglia di mettersi alla prova, ampliare i frutteti e sperimentare varietà diverse. «La soddisfazione? Cogliere una mela senza difetti»
È
una voglia crescente di mettersi alle prova che accomuna i produttori di mele della Val Brembana, che sono sì hobbisti, ma si sono dotati di sistemi di irrigazione e antigrandine, sono intenzionati ad ampliarsi, a sperimentare varietà diverse, a cercare di produrre frutti sempre più belli e buoni, stimolati anche dal confronto reciproco e dallo scambio di esperienze. Giovanni Pesenti, 49 anni operaio, ha un centinaio di meli a Stabello di Zogno, dai quali quest’anno ha ottenuto sette quintali di mele. «La passione è cominciata quando avevo vent’anni – racconta –, sulle orme di mio padre che già aveva piante da frutta. Continuavo a cambiare gli impianti, ma lasciavo crescere le piante senza trattamenti e così di mele non ne venivano o, se c’erano, non erano belle. Quando ho saputo dell’Afavb, mi sono avvicinato e sono arrivati i primi risultati. Probabilmente i vecchi
metodi andavano bene anni fa, oggi se non le curi, queste piante si ammalano e muoiono. Nel tempo ho introdotto e ruo-
passione che tiene impegnati da fine inverno fino alla raccolta. Cosa me lo fa fare? Vedere la frutta che ho fatto cresce-
Giovanni Pesenti
tato più varietà, ho messo l’impianto di irrigazione e le reti antigrandine ed ora sto già pensando di aumentare i filari. È una
Domenico Milesi
re, la soddisfazione di cogliere una mela senza difetti». A San Giovanni Bianco Domenico Milesi
La curosità ALLO STUDIO LA CREAZIONE DEL SIDRO Le mele della Val Brembana potrebbero diventare anche un’inedita bevanda made in Bergamo: un sidro. Ci sta lavorando il Birrificio Via Priula di San Pellegrino, già propenso a legare le proprie birre al territorio, caratterizzandole con ingredienti locali, dai lamponi alle erbe di montagna. «Siamo ancora in una fase sperimentale – dice Marco Orfino, uno dei soci di Via Priula -, abbiamo fatto dei tentativi l’anno scorso e li abbiamo ripresi quest’anno con il nuo-
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vo raccolto. Si tratta di una proposta interessante, che in Inghilterra, ad esempio, ha un buon consumo e una buona gamma di sfumature. Anche un birrificio come Baladin produce sidro, è una bevanda da compagnia, adatta per l’aperitivo o il dopocena con gli amici, che gli italiani oggi conoscono forse solo come prodotto industriale. La nostra idea è di realizzare un sidro piuttosto secco, beverino, non abbiamo però ancora trovato la ricetta che ci convince e,
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passione che cresce sempre più» ha invece 200 piante, per un raccolto, quest’anno, di 15 quintali. «Sono pensionato – dice – e per me è un passatempo. Coltivo mele da 7-8 anni, mi sono accostato per caso ed ho imparato seguendo i corsi tecnici organizzati dall’Associazione con esperti della Valtellina. Le consumiamo in famiglia o le diamo ad amici e parenti, a questo livello non è certo un’attività che può dare un ritorno economico – nota -. Se vendessi ad un euro al chilo i
cassette piene e sapere che puoi essere d’aiuto ai giovani se vogliono intraprendere questa strada». Ha l’anima dello sperimentatore Paolo Milesi, 53 anni, autista. Nel suo frutteto a San Giovanni Bianco, frazione Cornalita, ha infatti 18 varietà diverse di mele, tra cui Jubilee, Jeromine, Braeburn, Ambrosia ed anche piante antiche di Renetta Champagne. «Mi piace provare, capire come vanno coltivate e scoprire gusti diversi
Paolo Milesi
miei 15 quintali, ne ricaverei 1.500 euro, che non bastano neanche per le spese. Le soddisfazioni sono altre, vedere le tue
Andrea Salvi
– spiega -. Ho 230 piante di mele ma non dico quanto ho prodotto quest’anno perché farei una brutta figura. Non so cosa
sia successo, ci sono annate storte e bisogna accettare anche questo». Coltiva anche kiwi, pesche (in questo caso il raccolto è stato gratificante), prugne, albicocche, noci e nocciole. «Un altro mio “pallino” sono le ciliegie – aggiunge –, ho una ventina di piante, ma si fa fatica qui in montagna ad avere buoni risultati, però insito finché troverò la varietà più adatta». Vivace promotore di assaggi di spicchi di mela al banco della Sagra, Andrea Salvi, operaio in pensione, ha 180 piante a San Pellegrino, in località Mulino. «Avevo le mucche – esordisce – ma richiedevano troppo tempo e così sono passato alle mele. Per la verità non è che sia cambiato molto, il lavoro c’è anche ora, non è difficile, ma il frutteto è da seguire. Si comincia con la potatura, poi con i trattamenti in primavera e bisogna assicurare anche l’irrigazione, altrimenti il calibro resta piccolo. Per fare una mela bella così – ne afferra una rossa, lucida senza ammaccature e con tutte le curve al posto giusto – ci vuole un lavoro costante, tutti i giorni». E poi c’è l’impegno con l’Associazione. «Tutti i mesi c’è una riunione e in vista della Sagra gli incontri aumentano. Non è semplice, ma ognuno ha il suo compito e ci diamo tutti da fare per portare avanti un progetto in cui crediamo».
Marco Orfino, del birrificio Via Priula. La mela è una “campionessa” da 860 grammi
come facciamo con le birre, finché non piace a noi non usciamo. La produzione è differente da quella della birra, ma è comunque una fermentazione, in particolare stiamo valutando le tipologie di mele brembane che si prestano meglio (in Inghilterra si coltivano mele da sidro) e l’abbinamento con i lieviti». Chi ama le novità, sappia che intanto sono salite ad otto le etichette del birrificio, con Melafoi, una tripel di 9,5 gradi alcolici, speziata con Achillea Millefoglie, erba utilizzata negli amari prodotta dall’azienda agricola Settimo Cielo di Camerata Cornello, e che è in arrivo un ulteriore omaggio alla Val Brembana, una birra con aggiunta di zafferano, coltivato a Dossena.
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L’EVENTO
Dal 7 al 9 dicembre, la manifestazione organizzata da Promoberg e dedicata al meglio della produzione e cultura enogastronomica lombarda
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Torna “Pianeta GourMarte” In fiera è tempo di sapori er tutti gli appassionati della buona cucina, si rinnova l'appuntamento con Pianeta GourMarte, la manifestazione organizzata da Promoberg dedicata alle eccellenze enogastronomiche in Lombardia. L'evento avrà luogo dal 7 al 9 dicembre prossimi alla Fiera di Bergamo. Tra gli stand ci sarà solo l’imbarazzo della scelta, con un’unica certezza: poter gustare le migliori specialità a un prezzo conveniente.
Idee
Il biglietto unico, al costo di 20 euro (15 prenotando sul sito www.pianetagourmarte.it), darà infatti la possibilità ai visitatori di assaggiare tutti i 200 prodotti in degustazione. Per questa seconda edizione, GourMarte ripropone le sue due aree principali: la prima dedicata all’Esposizione e alla Degustazione; e la seconda riservata al “Ristorante Pianeta GourMarte”. Nel primo caso, i visitatori conosceran-
no i prodotti dei “Maestri del Gusto”, ovvero aziende che si sono messe in luce per l’elevata qualità, l’etica e le capacità imprenditoriali e progettuali (per questa categoria, hanno già confermato la loro presenza Barone Pizzini, Bellavista, Berlucchi e Contadi Castaldi per il Franciacorta Docg; Bisi e Frecciarossa per l'Oltrepo pavese; Taddei per il Taleggio, CasArrigoni per il Roccolo; la Latteria Sociale di Bran-
di Rosanna Scardi
Dal Paruch alla “Liquimela”,
Da imprenditore nel settore degli utensili pneumatici ad agricoltore, Della Fara fa crescere a San Giovanni Bianco erbe spontanee con cui realizza pesti e salse. E nelle confetture di frutta spazio ad abbinamenti insoliti e dolcificanti naturali Ma mi mancavano il tempo da trascorrere con i miei figli, il contatto con la natura e un po' di tranquillità. Al giro di boa del mezzo secolo ho capito come volevo vivere». Cinque anni fa, Della Fara inizia a raccogliere semi e a sperimentare, fino ad arrivare alla giusta combinazione che dà origine a un'erba preziosa, il Buon Enrico o Paruch. «Il nome è stato coniato in onore di Enrico IV nel 1753, è un'erba che cresce nelle zone alpine dagli 800 ai 2.500 metri e contiene vitamine, ferro e sali minerali – spiega -.
Recuperare il paesaggio campestre delle nostre montagne attraverso la coltivazione di ricercate erbe spontanee. Questo l'obiettivo di Italo Della Fara, cinquantunenne che, da imprenditore con aziende in Italia e Albania, si è inventato agricoltore. Nel 2012 la nascita dell'omonima azienda a conduzione familiare a San Giovanni Bianco, in via Arlecchino, frazione Bosco. «Dal 1987 fabbricavo e vendevo utensili pneumatici, come macchine sparachiodi, graffe e punti metallici – racconta -. Italo Della Fara
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zi per il Branzi FTB). Ci sono poi i “Custodi del Gusto” - ovvero contadini, allevatori, artigiani e vignaioli che hanno mantenuto viva una tradizione strettamente legata al territorio e al modo di interpretarlo - dove saranno certamente presenti il Bitto Storico dei produttori delle Valli del Bitto della Val Gerola; i salumi di Migliorati di Cremosano e di Carlo Casati di Sartirana di Merate; il Bagoss della Cooperativa Valli di Bagolino; la Brisaola di Madesimo del laboratorio Ma! Officina gastronomica; il Moscato di Scanzo Docg di Biava di Scanzorosciate; lo Strachitunt della Cooperativa Agricola Sant'Antonio di Valtaleggio, il Salame ecumenico della Corte dell'Oca di Gioachino Palestro e la cotognata di Andrini di Gottolengo. E infine gli “Esploratori del Gusto”, le aziende con base in Lombardia che si sono distinte per l’opera di divulgazione di prodotti particolarmente ricercati e rigorosamente provenienti e selezionati nei territori d’origine: in questa sezione si potranno assaggiare il Pata Negra Domeq importato da La Fenice di Grassobbio; il caviale Calvisius di Calvi-
sano; i Barolo di Bussia Soprana; i grandi vini rossi Doc Orcia del Podere Forte di Castiglion d'Orcia; i formaggi di latte di bufala del caseificio Quattro Portoni di Cologno al Serio.
La zona Ristorazione sarà invece appannaggio degli “Interpreti del gusto”: cuochi e ristoratori che hanno contribuito a elevare e divulgare il buon nome della ristorazione lombarda. Nelle cucine (a vista, in stile show cooking), gli Interpreti prepa-
reranno in diretta i piatti che li hanno resi famosi. Hanno già confermato la loro presenza: Gualtiero Marchesi; i fratelli Cerea del ristorante da Vittorio di Brusaporto; Claudio Sadler del ristorante Sadler di Milano; Philippe Leveillè del Miramonti l'Altro di Concesio; Fabio Pisani e Alessandro Negrini del Luogo di Aimo e Nadia di Milano; Enrico Bartolini dell'omonimo ristorante al Devero Hotel di Cavenago Brianza; Giancarlo Morelli del Pomiroeu di Seregno; Andrea Mainardi dell'Officina Cucina di Brescia; Stefano Masanti del Cantinone di Madesimo; Vittorio Fusari della Dispensa Pani e Vini di Adro; Matias Peri dello Chalet Matias di Livigno. Dall'estero, il tristellato Umberto Bombana del Ristorante 8 ½ di Hong Kong, Mario Gamba dell'”Acquarello” di Monaco (recentemente duplicato anche a Città del Messico) e una selezione di chef (e produttori) del Canton Ticino. E poi i grandi pasticceri, tra i 100 migliori al mondo secondo la prestigiosa Relais Desserts, come Iginio Massari della Pasticceria Veneto di Brescia e la Pasticceria Giovanni Pina di Trescore Balneario.
i vasetti creativi di Italo
In montagna tutti la conoscono come spinacio selvatico, in città o pianura è assente». Il neoagricoltore coltiva secondo i canoni delle piantagioni selvatiche, lavora e trasforma il Buon Enrico: 500 i chili prodotti quest'anno. Il risultato sono 9mila vasetti di una salsa dal sapore unico destinata ai negozi con alimenti di nicchia a Bergamo, Brescia e della Valtellina. «In realtà – dice -, è un pesto, composto con l'aggiunta di aglio, sale, olio, pepe. Un modo per potenziare le qualità di quest'erba». Due le varianti disponibili: una semplice, l'altra con porro che ne addolcisce il sapore. Non contiene esaltatori di sapidità, la conservazione è ottenuta senza conservanti e antiossidanti, ma con il metodo della pastorizzazione. La ricerca dell'azienda agricola bergamasca continua con il recupero di un'altra erba, l'aglio orsino. Così chiamato perché in primavera costituiva il primo alimento di cui si nutrivano gli orsi uscendo dal letargo. «Appartiene alla famiglia dell'erba cipollina e si trova nei prati e nei pressi di ruscelli fino a mille metri – precisa -. Possiede proprietà depurative ed
è più delicato e digeribile rispetto all'aglio comune». Per creare la salsa, l'agricoltore non usa il bulbo, bensì lavora foglie, stelo e fiore, aggiungendo poi noci, olio, sale e pepe. Un migliaio i vasetti preparati. «Non sono semplici condimenti da versare, ma prodotti che danno un tocco in più a pasta, gnocchi, riso, per accompagnare bolliti, patate, formaggi e farcire tartine. Qualche esempio: il risotto con salsa paruch al porro e taleggio o spaghetti all'aglio orsino, peperoncino e pomodorini». Nel futuro ci sono anche marmellate, oggi prodotte in piccole quantità, come “Estasi di fragole” con il 78% di frutta, “Liquimela” con un 10% di polvere di radice di liquirizia o “Caffèmela” con 3% di caffé, tutte preparate con eritritolo e stevia, dolcificanti naturali che non vengono assorbiti dall'organismo. Non solo. «Voglio coltivare il carciofo di montagna – annuncia - e la cicerbita, una sorta di radicchio alpino difficile da realizzare. Non mi resta che indossare gli scarponi da montagna e avventurarmi nella speranza di imbattermi nei preziosi semi».
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LAITINERARI POLEMICA
Franciacorta, dal Consorzio di Tutela parte la diffida ai produttori “ribelli” di Corso Donati
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rediligere la forma o fare prevalere la sostanza? Da millenni l’umanità si dibatte intorno a queste due modalità di atteggiamento anche nei confronti della vita stessa. In maniera rozza e certamente poco rispettosa delle infinite diversità che caratterizzano le società, questo dualismo fa sì che gli esseri umani possano essere divisi in due categorie: coloro che si accapigliano intorno a questioni formali (o di forma, appunto) e chi invece è pago al raggiungimento di un certo obiettivo. La vicenda che ha interessato il Consorzio Tutela del Franciacorta (Ctf) ed il Consorzio Cantine Franciacortine (Ccf, costituito nel settembre scorso da circa 30 aziende e di cui Affari di Gola ha riferito nel numero di ottobre) rappresenta bene questa dicotomia. In data 18 ottobre lo stesso presidente del Ctf, Maurizio Zanella, ha preso carta e penna ed inviato una diffida indirizzata ai soci del Ccf sia per l’utilizzo del termine Franciacorta sia per le modalità con cui il consesso si era costituito, ovvero la forma consortile,
chiedendo la cessazione immediata anche della denominazione "Consorzio". Vengono a tale riguardo chiamati in causa gli articoli 17 e 26 del Decreto Legislativo 61 del 2010: il primo elenca una serie di finalità affidate al Consorzio riconosciuto, il secondo inibisce
l’utilizzo della denominazione protetta nella ragione o denominazione sociale di una organizzazione diversa dal Consorzio di tutela. Lasciando il campo delle controversie giuridiche a chi se ne sta interessando, la vicenda ha comunque fatto emergere la pragma-
tica capacità organizzativa del Ccf per il raggiungimento degli scopi che si era proposto. Ovvero: sollevare le questioni di rappresentatività in seno al Consorzio di Tutela e spingere quest’ultimo ad essere più attento alle esigenze dei produttori dalle dimensioni più contenute. Avere "costretto" ad un tavolo di lavoro e riflessione gli organi del Ctf da parte del neonato Consorzio Cantine Franciacortine è senz’altro un esempio di opportunità democratica interna che, qualora non fosse stata attuata, avrebbe potuto avere imprevedibili sviluppi. Bisogna solo attendere per capire, anche alla luce della diffida datata 18 ottobre, quanto il Consorzio Cantine Franciacortine - che al momento di andare in stampa sta per cambiare denominazione - avrà ancora la forza per esprimere la propria opinione in merito alle scelte operate dal Consorzio di Tutela e fare emergere diversità di opinione e di progettualità. Le quali sappiamo, al di là dei tecnicismi e degli aspetti formali, hanno sempre contribuito al progresso.
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LA “LEZIONE” di Giordana Talamona
Il bistellato milanese ha dato alle stampe il suo Manuale che insegna, passo dopo passo, le basi della cucina moderna. «Spesso i ragazzi scelgono la carriera di cuoco per inseguire il miraggio del facile successo, ma questa non è una professione facile, soprattutto se si aspira a raggiungere alti livelli»
Sadler: «Gli chef in tv messaggio fuorviante per i giovani»
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n manuale per appassionati e frane in cucina. Claudio Sadler, due stelle Michelin, ha dato alle stampe la sua ultima fatica letteraria, il “Manuale dello chef”, con una certezza in più: «Sono convinto che questo libro potrà dare a chiunque delle buone basi per cucinare», poi aggiunge con una risata amara: «e non solo agli appassionati, ma anche a certi professionisti che avrebbero bisogno di qualche dritta in più per migliorare la propria tecnica». L’ABC dello chef, si potrebbe dire, dove Sadler prende il lettore per mano spiegando, passo dopo passo, come scegliere gli utensili più adatti, fare la spesa in maniera intelligente, addentrandosi nelle tecniche del taglio, nella cottura e nella conservazione dei cibi. «L’abbattitore non dovrebbe mai mancare nella cucina di un appassionato – sottolinea –. L’investimento iniziale viene ampiamente ripagato nel tempo, perché non solo permette di conservare i cibi senza alcuno spreco, ma consente di gestire razionalmente gli acquisti nel medio e lungo periodo. Se trovo un pescato del giorno particolarmente conveniente, per esempio, posso acquistarne più del previsto, abbatterlo e tenerlo da parte per una prossima cena». Con questo manuale c’è spazio per tutti in cucina, anche per gli imbranati senza speranze, capaci di bruciare una sogliola surgelata, perché persino da uno sbaglio può nascere grande piatto. «Gli errori in cucina capitano, eccome. Ma proprio da un abbinamento bislacco può capitare qualcosa di straordinario. Un esempio? Un fico d’india caduto per sbaglio dentro a in risotto mantecato, ci ha regalato una grande sorpresa gustativa», ricorda Sadler. Un cocktail di creatività e approccio scientifico, questa la chiave del successo dello chef milanese, che ama
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Un tempo erano le nonne a custodire e a tramandare i segreti e le ricette regionali. Oggi che questo sapere ha saltato una o due generazioni, si assiste, paradossalmente, a un ritorno della passione per la buona tavola
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reinterpretare le ricette regionali, senza stravolgerne la tradizione. «L’esasperazione della cucina odierna porta alla realizzazione di piatti che non hanno radici nella tradizione. Questo approccio non fa per me, perché ho sempre bisogno di partire da un piatto tradizionale per poi rielaborarlo in chiave nuova. Anche la cassoeula può essere realizzata in maniera diversa, col pesce, per esempio». In un mondo che corre veloce, perdendo pezzi di conoscenza ai margini delle generazioni, il Manuale dello chef tenta un’operazione culturale mettendo a disposizione di gourmet e appassionati le tecniche di base
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I suoi piccoli ma preziosi consigli Frittura
► La pastella deve essere sempre freddissima, così come il cibo da friggere. In alcuni casi è bene avere il prodotto congelato. ► Aggiungete qualche goccia di aceto nella pastella e mettete il sale solo all’ultimo momento. ► L’olio non deve essere né extravergine di oliva né di semi vari: meglio un olio di semi di arachide, girasole o di vinacciolo.
Bollitura
► Se volete preparare un buon bollito, immergete la carne nell’acqua già a bollore. ► Non prolungate eccessivamente la bollitura per non impoverire il cibo. ► Se per un bollito occorre partire con l’acqua bollente, per un buon brodo si parte, invece, mettendo la carne nell’acqua fredda.
Brasatura Claudio Sadler
della cucina moderna. «Un tempo erano le nonne a custodire e a tramandare, di generazione in generazione, i segreti e le ricette regionali – evidenzia -. Oggi che questo sapere ha saltato una o due generazioni, si assiste, paradossalmente, a un ritorno della passione per la buona tavola». Ma se gli appassionati in cucina sono aumentati, diventando foodblogger, concorrenti di programmi tv, aspiranti cuochi, opinion leader e chi più ne ha, più ne metta, anche il pianeta degli chef ha avuto la sua metamorfosi. Figura quasi mitologica, metà uomo, metà tubo catodico, lo chef moderno è sempre più spesso davanti alle telecamere che tra i fornelli. «Nonostante non sia contro chi va in televisione, cosa che farei anch’io se mi capitasse l’opportunità, trovo che tutta questa attenzione dei media per gli chef veicoli un messaggio forviante per i giovani – conclude Sadler –, che spesso scelgono la carriera di cuoco per inseguire il miraggio del facile successo. Non è affatto così. Al contrario ci vuole tanta conoscenza e abnegazione, serve un’intelligenza viva e buono spirito d’adattamento. Questa non è una professione facile, soprattutto se si aspira a raggiungere alti livelli». Una sensazione che viene confermata dai dati recentemente pubblicati da Coldiretti sulle iscrizioni alla scuola secondaria, secondo i quali un iscritto su dieci ha scelto gli Istituti professionali dedicati all'enogastronomia e all'attività alberghiera. Un’escalation inarrestabile di aspiranti cuochi, due per ogni operaio, che rappresentano oltre il 9% del totale degli iscritti al primo anno delle scuole secondarie. Se son cuochi, fioriranno.
► Fate sempre stufare le verdure molto bene, con pochissimo olio e abbondante acqua, in modo che rilascino il loro umore perdendo l’acidità. ► Fate cuocere il brasato o lo stufato sempre col coperchio: si recupera così il massimo del calore e del vapore che, formatosi sul coperchio, tornerà a sgocciolare sulla carne in cottura, garantendo alla fine una carne molto succosa. ► Una volta cotta, la carne del brasato va avvolta nella carta forno in modo da evitare che secchi.
Forno
► Ricordate che il forno elettrico è più sicuro e regolabile di quello a gas. ► Se usate il forno a vapore, fate sempre molta attenzione nell’aprire la porta del vano cottura. Aspettate che il vapore sia fuoriuscito prima di introdurre i cibi con le mani: potreste rischiare un’ustione. ► Introducete le preparazioni nel forno solamente quando ha raggiunto la temperatura prestabilita.
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FORMAGGI
Lo scontro tra "Storico" e "Istituzionale", ossia tra due filosofie di produzione diverse, s'è riproposto anche all'ultima Mostra di Morbegno. Ciapparelli: "L’attribuzione della Dop andava gestita meglio. Ora a rimetterci è il consumatore, che si ritrova disorientato" Paolo Ciapparelli
di Giordana Talamona
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La ventennale “battaglia” del Bitto
ltima battaglia di una guerra ventennale. Così potrebbe intitolarsi lo scontro tra Bitto storico e “istituzionale” che si è consumato in conclusione della 106esima Mostra del Bitto di Morbegno. Michele Corti, del Consorzio di salvaguardia del Bitto storico, si è pronunciato contro le parole espresse da Renato Ciaponi, presidente del Consorzio turistico Porte di Valtellina, accusandolo di aver attribuito al Bitto prerogative tipiche del Bitto storico. Nel comunicato di Corti si legge che “alla presentazione della Mostra del Bitto 2013, Renato Ciaponi, dimenticando di rappresentare anche l'istituzione locale (ovvero tutti), ha attribuito al Bitto del consorzio Ctcb meriti che sono del Bitto storico. Non ci indignamo tanto per questi comportamenti (ai quali negli anni ci siamo abituati), quanto per il fatto che nessuno in Valtellina, ancora oggi, alzi la voce per contestarli”. Un’annosa questione quella delle differenze tra i due Bitto nella quale si sono inseriti, negli anni, innumerevoli tentativi di “strizzare” l’occhio ai simboli stessi del Bitto storico, confondendo
le acque tra una produzione e l’altra. Precisa il comunicato: “Siamo stati rimproverati di essere “trogloditi” perché, nel duemila, utilizziamo ancora il calecc. Da chi? Da chi ha poi riprodotto il calecc sulla pelure del Bitto non storico e abusa di questo simbolo in ogni salsa. Non parliamo dei volgari stratagemmi commerciali per spacciare per Bitto storico del Presidio Slow Food quello che non lo è. Passi. Nel commercio di frodi ce ne sono tante”. Accuse che si aggiungono alla ventennale “guerra del Bitto” la cui storia non vuole avere pace. Da tutto questo bailamme, a cui non sono mancate le repliche, chi sembra uscirne perdente è il consumatore che si trova a non capire più cosa si trovi nel piatto. “È verissimo, purtroppo sono i consumatori a farne le spese, ma se le Istituzioni avessero gestito meglio l’attribuzione della Dop, non saremmo arrivati a una guerra ventennale - sottolinea Paolo Ciapparelli, presidente dell’associazione Produttori Valli del Bitto -. La verità è che prima del 1997, in Valtellina, non è mai stato prodotto un chilo di Bitto fuori dalle Valli di Al-
baredo e Gerola. Le altre zone in cui si produceva Bitto storico erano la provincie di Lecco e Bergamo. Non a caso su quattordici alpeggi in cui ancora oggi si produce Bitto storico, uno è nella provincia di Lecco e cinque in quella di Bergamo”. Slow Food ha fatto propria la battaglia dei “ribelli del Bitto” sin dall’inizio. “Non eravamo contro l’estensione della Dop al di fuori alla produzione del Bitto, nonostante si trattasse di un chiaro falso storico. La nostra battaglia è iniziata quando nel disciplinare hanno cambiato il metodo di produzione, buttando all’aria secoli di tradizione”. L’antico metodo di lavorazione del Bitto è stato tramandato di generazione in generazione, nell’arco dei secoli. La parola Bitto "Bitu", ovvero perenne, la si deve ai Celti che in queste terre allevavano il bestiame sfruttando la fertilità dei pascoli. “La produzione del Bitto storico non può, innanzitutto, prescinde dalla lavorazione a caldo del latte, entro appena trenta minuti dalla mungitura. Per questo si utilizzano i calecc (costruzione in pietra fissa coperta da un telo mobile, ndr.), che permettono di
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La scheda
Come si produce lo “Storico” Formaggio d’alpe grasso a pasta semicotta, di media durezza e media stagionatura. Maturo si presenta in forme cilindriche regolari con diametro di 40-50 cm, altezza di 9-12 cm e un peso variabile dai 9 ai 20 kg. La pasta, compatta, di colore variabile dal bianco al giallo paglierino a seconda della stagionatura, presenta occhiatura rara ad occhio di pernice. Le varie fasi produttive si svolgono nel periodo compreso fra il primo di giugno ed il 30 settembre. Il latte di vacca appena munto aggiunto a quello caprino (10-20%), ottenuto dalla razza orobica (razza autoctona a rischio di estinzione), è immerso nelle tradizionali caldaie in rame a forma di campana rovesciata, dove è portato a una temperatura di 35-37°C. Si aggiunge in seguito il caglio di vitello. La cagliata è rotta finemente e in appena due ore viene portata alla temperatura finale di 50-52°C. La pasta viene quindi posta in fascere in legno che conferiscono il caratteristico scalzo concavo. Si utilizza il legno per le sue caratteristiche di porosità e di traspirabilità, che permettono al formaggio di asciugare e di respirare. La maturazione inizia nelle "casere d'Alpe" e si completa negli stabilimenti di fondovalle sfruttando il naturale andamento climatico della zona di produzione. La maturazione deve essere protratta per almeno settanta giorni. Dopo almeno un anno di stagionatura il prodotto può essere utilizzato grattugiato come condimento. La stagionatura può protrarsi anche per diversi anni, senza alterare le caratteristiche organolettiche e strutturali del formaggio.
lavorare immediatamente il latte, nonostante ci si trovi lontani dalla baita. Nel disciplinare, al contrario, hanno permesso la lavorazione del latte dopo 4-5 ore, oltre all’aggiunta di fermenti lattici. Si tratta di modifiche che cambiano radicalmente il prodotto, perché influenzano l’invecchiamento del formaggio. Lavorando il latte a caldo, senza aggiungere fermenti lattici, il Bitto può essere invecchiato sino a dieci anni, al contrario esprime il suo massimo entro il primo anno”. Nel disciplinare della Dop è consentito l’uso di mangimi e non è più obbligatorio l’utilizzo del latte di capra. “Una scelta folle, che avrebbe distrutto il pascolo e l’erba. Per secoli nelle valli del Bitto abbiamo avuto un sistema di pascolo turnato e razionato, che permetteva di avere l’erba migliore, preservandola per l’anno successivo. Non dimentichiamo che le caratteristiche organolettiche del Bitto storico sono influenzate direttamente dall’erba mangiata dal bestiame, che rende differente ogni produzione da un alpeggio ad un altro. È chiaro che il Bitto prodotto senza seguire l’antico metodo sia un diverso formaggio d’alpeggio, che nulla ha a che fare col Bitto storico”. Mille forme all’anno da 10-12 chili l’una, esportate in tutto il mondo a
16 euro al chilo. “È incredibile pensare che il Bitto storico, proteggendo la tradizione e il pascolo, non solo è diventato mediaticamente importante, ma è riuscito a spuntare il doppio del prezzo rispetto a quello “istituzionale”. E tutto questo senza alcun contributo economico da parte dello Stato, al contrario degli altri, che hanno potuto contare su aiuti di tutto rispetto”. Una produzione piccolissima, ma come tale inestimabile, richiesta con larghissimo anticipo dai mercati di tutto il mondo, dalla Francia all’Australia, passando per Singapore. Settantaquattro persone in quattrodici alpeggi, con un passaggio generazionale già avvenuto. “I nostri giovani hanno già preso il posto dei padri - conclude Ciapparelli - quindi siamo sereni sul fatto che la produzione del Bitto storico potrà continuare nel tempo. Lo dico spesso, se il nostro formaggio è diventato così famoso, non è solo per la bontà. Sono tanti i formaggi buoni in Italia. Quello che ci ha differenziato è che, in maniera seria, abbiamo difeso la nostra tradizione. La cosa amara è che se avessimo le Istituzioni dalla nostra parte, questo territorio potrebbe diventare famoso come la regione dello Champagne, facendo da traino per tutta la Valtellina”.
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Cuvèe Riserva, birra artigianale Italiana.
Riserva invernale.
Birra artigianale, integra, non filtrata e senza aggiunta di conservanti, rifermentata in bottiglia. Chiara opalescente, dal profumo agrumato e speziato, dal sapore deciso, dal gusto importante con gradazione non eccessiva.
Q U AT T R O E R R E
L'ITINERARIO
di Lara Abrati
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ITINERARI
È
Val Camonica, uno scrigno pieno di bontà una delle valli alpine più estese, infatti ha origine indicativamente dal passo del Tonale e arriva fino al lago d’Iseo. Supera i 100 km di lunghezza e racchiude un vasto patrimonio culturale ed enogastronomico, spesso poco considerato e conosciuto. La Val Camonica - è di lei che parliamo - si caratterizza soprattutto per le incisioni rupestri o per località sciistiche, pochi invece la considerato dal punto di vista gastronomico ed enologico, nonostante ci siano parecchi prodotti in grado di stuzzicare le papille gustative del visitatore, anche quotidiano, alla ricerca di prelibatezze. C'è chi in questi anni sta lavorando per promuovere ulteriormente il turismo in valle. Come il Gal di Valle Camonica e Val di Scalve, che sta portando avanti i progetti della “Strada del vino” e della “Strada della castagna”, presentati recentemente in un convegno all’interno del cofanetto “Itinerari in Valle Camonica e in valle di Scalve”. In alta, media e bassa Valle Camonica sono molti i prodotti agricoli e gastronomici a cui dedicare attenzione. A partire dalle diverse tipologie casearie per passare alla produzione vitivinicola, ai salumi e, da poco, alla birra. Tra i numerosi formaggi vaccini e caprini, prodotti sia in valle sia nelle malghe e negli alpeggi estivi, meritano menzione sicuramente il formaggio Silter, prodotto a partire da latte vaccino, il Fatulì, formaggio caprino affumicato (Presidio Slow Food) e il “Bazena”, prodotto nell’omonima località sopra Breno, che si può reperire da un affinatore locale, proprietario del marchio stesso. E poi formaggi stagionati, formagelle, burro d’alpeggio e, per citarne uno famoso, il formaggio Rosa camuna
A pochi chilometri da Bergamo, merita un tour questa lunghissima vallata che racchiude un interessante patrimonio enogastronomico prodotto da Cissva. Come in tutte le località montane che si rispettino, diviene difficile catalogare l’immensa varietà casearia presente. Anche alla produzione vitivinicola si sta dedicando sempre più attenzione, sia attraverso il Consorzio che tutela i vini Valcamonica Igt, sia attraverso eventi del mondo enologico come “Sciòr del torcol”, giunto ormai alla decima edizione, o l’appena nata manifestazione “Gli estremi del vino”, svoltasi nei mesi estivi a Pisogne. Meritano poi menzione anche altre produzioni del territorio; da quelle più radicate, come i salumi (famosa la slinzega), i liquori del Liquorificio Alta Valle Camonica di Edolo. Ma anche la produzione di farine, macinate con mulini a pietra come quello visitabile di Bienno, non è da meno. Una produzione insolita per le aree di montagna, ma che in Valle Camonica esiste, è quella relativa all’olio extravergine di oliva. L’azienda Agricola Scraleca di Angolo Terme produce olio nella zona del lago Moro, in una posizione caratterizzata da un’altitudine significativa che arriva a superare in alcune zone anche i 500 metri sul livello del mare. Infine, non va dimenticata la castanicoltura, che ha permesso nel corso degli anni il sostentamento e la sopravvivenza di molte persone. In valle si è pensato quindi di valorizzarla anche attraverso la produzione di una birra alle castagne, la “bilinia”, prodotta ora dal neonato birrificio camuno Balanders di Sellero. Per una tour gustoso in valle, abbiamo selezionato alcune tappe meritevoli di attenzione.
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L'ITINERARIO ARTOGNE
Le Frise valorizza il formaggio Fatulì (presidio Slow Food) PIAN CAMUNO
Antichi Sapori Camuni, è qui il regno della “Slinzega” Salendo verso Montecampione, dopo alcuni tornanti, si arriva all’azienda Antichi Sapori Camuni. «L’idea di aprire questa azienda - spiega il conduttore Maurizio Alberti - è dei miei suoceri. Volevano una stalla per i cavalli, la loro passione, pian piano ai cavalli abbiamo aggiunto le altre attività. Io facevo il commerciante di salumi e formaggi, ho venduto tutto è mi sono messo a loro disposizione». Nata nel 2007, l’azienda produce in particolare salumi, confetture e succhi di frutta attraverso il moderno laboratorio di trasformazione. Un complesso impianto permette la lavorazione della frutta coltivata in azienda per la produzione di succhi, in particolare a base di mela. Una parte di questi viene poi utilizzata per la produzione di confetture sottovuoto. «Lavoriamo in questo modo - spiega
L'azienda "Le Frise" è nata dal casaro Gualberto Martini nel 1982 quando ha iniziato l’allevamento di capre di razza Camosciata delle Alpi e la conseguente produzione di formaggio. Ci si arriva affrontando una stradina stretta lunga qualche chilometro che vale assolutamente la pena di intraprendere. «Inizialmente - dice Gualberto - in azienda producevamo i tipici formaggi camuni, poi abbiamo iniziato un percorso di ricerca che ha portato all’attuale offerta casearia diversificata in relazione ai vari affinamenti». Nel 1989 è nata l’attività agrituristica in locali perfettamente ristrutturati, in cui predominano legno e pietra. «Nell'attività agrituristica - spiega Martini - utilizziamo le nostre produzioni nel limite del possibile, infatti alleviamo diversi animali per le loro carni e per la produzione di salumi. Quello che non produciamo lo acquistiamo da aziende locali. Ad esempio abbiamo le etichette di tutti i produttori di vino camuni». Per quanto riguarda l’allevamento caprino, nel 2007 il Parco dell’Adamello ha intrapreso un progetto di recupero della razza “Capra Bionda dell’Adamello”. Gualberto e il figlio Luigi hanno quindi iniziato a sostituire le Camosciate con la razza locale sposando anche un altro progetto, quello della valorizzazione del formaggio Fatulì, ormai presidio Slow Food. È un formaggio di forma cilindrica, del diametro di 10-12 cm, con uno scalzo di circa 4-5 cm. La buccia è di colore aranciato grazie al fatto che viene sottoposto ad affumicatura a freddo (senza il fuoco) attraverso l’utilizzo di essenze non resinose (come trucioli di rovere di faggio, etc.) unite a bacche di ginepro. In questo modo è possibile ottenere un’affumicatura delicata e morbida. In generale l’azienda produce decine di tipologie di formaggi, affinati in modo diverso. Nel caseificio insieme a Gualberto lavora Regine, l’aiuto casaro. Per quanto riguarda la stalla, vengono allevate ormai 50 Bionde dell’Adamello e 10 Camosciate delle Alpi, che man mano verranno ridotte. Degli animali si occupa Luigi, titolare dell’azienda, con l’aiuto di Shan. via Plagne 12, loc. Rive dei Balti, Artogne, tel. 0364 598298 www.lefrise.it
Maurizio - per non sottoporre i prodotti alle alte temperature. Questo ci permette di mantenere intatte le qualità organolettiche della frutta». Altra grande produzione aziendale è quella dei salumi. «Grazie alla collaborazione del norcino Vanni Forchini, in azienda produciamo salumi a partire da carni di capra, pecora, asino, manzo e maiale». Di ottima qualità la "slinzega", tipico salume di montagna originario della Valchiavenna, prodotta attraverso la lavorazione manuale di carne di manzo, capra, pecora o asino. Con le stesse tipologie animali vengono prodotti anche i salami, utilizzando in via esclusiva grasso di suino. L’azienda possiede circa 33 ettari di terreno compresi i boschi e alcune malghe. via Fane 50, Piancamuno, tel. 0364 590086 www.antichisaporicamuni.it
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Gualberto Martini
DARFO
Togni, il viticoltore di montagna che esalta È sempre un piacere fare visita e Enrico Togni, giovane viticoltore di montagna, come lui si definisce. Abbandonato il percorso dedicato alla giurisprudenza, ha preferito continuare a coltivare le vigne del nonno. «Quando ho iniziato - racconta - convivevano i diversi vitigni impiantati da mio nonno. Ho cercato di identificarli e così ho avuto una piacevole sorpresa, questo vitigno locale, molto rustico». Enrico si riferisce dell’Er-
banno, un vitigno che da studi genetici è risultato molto simile al Lambrusco Maestri. Dal grappolo molto compatto, è un vitigno rustico. Enrico crede molto in questo vitigno e lo scorso 2012 ha presentato il primo vino prodotto esclusivamente utilizzando il vitigno Erbanno: il San Valentino. Un vino di carattere, che rappresenta a pieno la personalità di Enrico, adatto a subire un medio invecchiamento. Un vitigno insomma
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PONTE DI LEGNO
Balanders serve anche la birra alle castagne
Caseificio Bezzi, Silter e Tonalina la fanno da padrone
Nuovissima realtà per la valle Camonica, inaugurato lo scorso 14 settembre, il birrificio Balanders è nato dall’idea di tre giovani amici d’infanzia appassionati di birra: Germano Squaratti, Giampietro Parolini e Gottardo Ferrati. La sede operativa è a Sellero, dove lavora il mastro birraio Alessandro Natali, nato come “home brewer” e ora felice di aver trasformato la sua passione nel suo attuale lavoro. Ad ora sono due le birre prodotte: la "Pitota”, una Blonde Ale ad alta fermentazione, e la “Stria”, una Special Bitter ambrata ad alta fermentazione. Entrambe le birre non sono filtrate e pastorizzate. Le birre sono commercializzate esclusivamente nella bottiglia da mezzo litro e in fusti. «Il birrificio è entrato in produzione ai primi di agosto - spiega Germano Squaratti e abbiamo ancora molti progetti per il futuro. Stiamo predisponendo un locale da adibire alla mescita, in questo modo potremo fare assaggiare le nostre birre anche nel birrificio. Il nostro è il primo e unico birrificio camuno». Al birrificio Balanders viene inoltre prodotta la birra alle castagne per il Consorzio della castagna di Valle Camonica.
Se si è alla ricerca di bontà e semplicità, ci si può recare da Andrea Bezzi con la priorità di lasciarsi trasportare dalle tante cose che egli stesso ha da condividere. Produce formaggi, in particolare il Silter, ma anche delle creazioni tutte sue, come il formaggio Case di Viso o la formaggella Tonalina. Produce inoltre
via Ert 8, Sellero www.balanders.it
MALONNO
Salvetti, fermata obbligatoria per assaggiare la Spongada Nella salita in valle, merita una sosta golosa la forneria-pasticceria Salvetti, con sede a Malonno. Si possono assaggiare diversi dolci della tradizione camuna, tra questi la famosa Spongada, dolce della Pasqua prodotto con ingredienti semplici e poveri quali: farina di frumento, uova, latte, zucchero, burro, sale e lievito.
ricotte, burro e yogurt. D’estate lo si può incontrare a Case di Viso, piccola località del comune di Ponte di Legno, a 1.753 metri d'altezza, senza i servizi comuni a cui siamo abituati: non c’è elettricità né metano, manca anche il segnale del telefono. Andrea d’estate vive, con la moglie e le due piccole figlie, in questo piccolo borgo da cui partono numerosi sentieri, costituito da piccole case in pietra. Non si pensi sia una persona con uno stile di vita eremitico, l’esatto opposto! Nella stagione invernale lo si può trovare invece a Ponte di Legno, dove ha un altro piccolo caseificio e lo spaccio.
via Nazionale 93, Malonno, tel. 0364 65303 www.salvettibakery.com vicolo Plaz dell’orto 15 Ponte di Legno, tel. 0364 92446
l'Erbanno
Enrico Togni
dalle grandi potenzialità. L’azienda Togni - Rebaioli produce anche altre tipologie di vino con gli altri vitigni coltivati: Merlot, Barbera, Nebbiolo e Marzemino. I vigneti sono ubicati alle pendici del Monte Altissimo, in una zona soleggiata e ventilata al punto di garantire un buon microclima per la coltivazione della vi-
te con il metodo scelto da Enrico: «Voglio intervenire sempre di meno, per questo credo molto nell’Erbanno, un vitigno molto resistente e perfettamente adattato al nostro clima». Ne vale una visita e, perché no, un assaggio! via Rossini 19, Darfo Boario Terme, tel. 339 4986463
Andrea Bezzi
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IL PRODOTTO di Leo Bartoli
Celebre per il torrone, la pasticceria Morlacchi di Zanica sforna una nuova chicca, che punta tutto sull’eccellenza della materie prime
Da sinistra: Sergio Soldo, Gianni Morlacchi e Dario Soldo
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Burro della Normandia e uova di Parisi, ecco il super-panettone “Regale” n evento da festeggiare nel migliore dei modi. Per celebrare la nomina (per il secondo anno consecutivo) nella Top 35 dei bar-pasticcerie d’Italia, speciale classifica stilata dal Gambero Rosso, la pasticceria Morlacchi è pronta a sfornare in questi giorni il “Superpanettone”, che sarà presentato alla seconda edizione di “Pianeta GourMarte”, la rassegna delle eccellenze enogastronomiche lombarde in programma dal 7 al 9 dicembre alla Fiera di Ber-
gamo. Nel locale di Zanica, già famoso (e ultra premiato) per il suo torrone, è in commercio da qualche giorno il panettone, ribattezzato “Regale”, che diventerà un vero e proprio “Cru” legato alla grande tradizione delle feste natalizie, grazie all’impiego tra i suoi ingredienti di due celebrate “star”: dalla Toscana le uova di Paolo Parisi, definite da molti critici “le più buone (e anche le più care, ndr.) del mondo” e dalla Normandia le Beurre d'Isigny Dop, per molti il bur-
ro più irresistibile del pianeta. La regia è naturalmente di Gianni Morlacchi, e dei fratelli Sergio e Dario Soldo, le vere eminenze grigie del locale, incapaci di sedersi sugli allori, ma sempre alla ricerca di novità sfiziose per soddisfare una clientela abituata da loro ad essere sempre più esigente. «Il nostro dogma resta la qualità assoluta - spiega Gianni Morlacchi, il fondatore, all’alba degli Anni 70, della pasticceria -. Sappiamo di aver raggiunto vette importanti
con il nostro torrone e con altre delizie dolci del palato, ma è più forte di noi, non possiamo assolutamente fermarci qui». Così è nata l’idea di un panettone d’eccellenza, «in grado - spiega Sergio Soldo - di creare suggestioni forti tra i nostri clienti. Sarà il top della produzione natalizia per quest’anno e si affiancherà ad altri panettoni speciali, come quello alle mele cotogne o un altro accompagnato da una particolare mostarda. Dopo i torroni,
novembre 2013 abbiamo voluto insistere su un altro prodotto della grande tradizione lombarda, anche destagionalizzandolo: quest’estate infatti abbiamo presentato il panettone al timo e albicocche, quasi una provocazione, ma è piaciuto moltissimo». Per fare un panettone “Regale” «è fondamentale che tutta la materia prima incarni l’eccellenza assoluta - precisa Dario Soldo -, per questo abbiamo pensato alle uova di Parisi, che rappresentano un unicum non solo in Italia, ma a livello mondiale». E lui, il guru delle uova, cosa ne pensa? «L’esperimento mi incuriosisce - spiega Paolo Parisi, contattato telefonicamente nel suo allevamento nel Pisano -, sono certo che Morlacchi saprà davvero fare un prodotto all’altezza. Il mio uovo? Credo che chi lo ha gustato lo accosti a quello del contadino di una volta: più saporito, più giallo rispetto ai tuorli pallidi
e un gusto più ricco». Così il prodotto da un chilo avrà ben 12 rossi d’uovo, ma per renderlo super, Morlacchi non ricorre solo a Parisi: «Intanto ci vuole una grande farina, che abbiamo scelto girando nei mulini di mezza Italia: proviene da Gragnano Trebbiese, nel Piacentino, dal Mulino Della Giovanna - aggiungono Sergio e Dario Soldo -. Poi occorre un buon lievito, e qui ci pensiamo noi. Avevamo bisogno anche di un burro diverso, in grado di garantire una mantecatura speciale. Quello di Isigny in Normandia, sapido e dolce al tempo stesso, con un piacevole aroma di nocciola è qualcosa di insuperabile, la quadratura del cerchio per il nostro panettone». Ma ancora non è finita: «La guarnizione è un aspetto non marginale - aggiunge Gianni Morlacchi -. Anche qui non ci siamo risparmiati nella ricerca. Alla fine abbiamo optato per l’uvetta australiana,
di oggi». Tutto nasce dalla dieta. Le sue duemila galline di razza livornese, Parisi le nutre con una pozione speciale di sua creazione composta da cereali e latte di capra appena munto (si favoleggia che le imbocchi personalmente con un cucchiaino). «Questo porta l’uovo ad avere una catena proteica più lunga rispetto a quelli delle galline d’allevamento, nutrite con la soia tostata - spiega lui -. In un panettone aiuterà ad avere una lievitazione più leggera, una maggior morbidezza
delicata e gustosa al tempo stesso, il cedro siciliano e le scorze d’arancio calabrese: l’optimum della coltivazione italica». Dopo la prima sfornata, per tutto ottobre sono iniziati gli assaggi tra amici e conoscenti per testare il Regale, con giudizi molto lusinghieri: «Ora la parola passa ai consumatori - spiegano i tre “tenori” del Morlacchi -. Il nostro sogno? Ci piacerebbe emozionare con questa nostra fatica gli intenditori di cose buone, che sono poi tutti i nostri clienti».
San Pellegrino e Bergamo
NEL DOLCE NATALIZIO FINISCONO ANCHE I PRODOTTI DEL TERRITORIO Già vincente nella ricetta classica, tanto che non mancano le iniziative per portarlo in tavola tutto l’anno, il panettone si può arricchire di gusto e significato legandosi ai prodotti del territorio. È quanto sta facendo con decisione Francesco Zurolo, professore di cucina e pasticceria all’istituto Alberghiero di San Pellegrino, dove ha anche aperto, nel 2008, la gastronomia “Gusto Dolce & Salato” (www.gustodolceesalato.it). Ha infatti creato il panettone al Melone Retato di Calvenzano e quello con le mele della Val Brembana, in collaborazione con le associazioni di produttori (Cooperativa agricola di Calvenzano e Associazione frutticoltori ed agricoltori della Valle Brembana). I panettoni sono caratterizzati fin dalla pasta madre, per la quale si impiegano in un caso il succo e le mele grattuggiate, nell’altro dell’uva moscato. Il panettone al melone viene preparato con i frutti canditi in proprio appena dopo la raccolta (utilizzati in sostituzione di scorze d’arancia e cedro canditi e uvetta della ricetta tradizionale), glassato con polpa di melone gelatiticata con lo zucchero e fette di melone. La versione con le mele impiega invece nell’impasto i frutti disidratati, sempre in maniera artigianale, che si accompagnano all’uvetta bagnata con il succo di mela. Originario della penisola Sorrentina, Zurolo ha scoperto in Bergamasca «molti prodotti che meritano di essere valorizzati», non è un caso, perciò, che stia studiando anche un panettone con le castagne, da presentare alla prossima Sagra dei biligòcc di Poscante di Zogno. Al territorio ha pensato pure il Panificio Marchesi (www.panificiomarchesi.it), attività storica oggi presente a Bergamo con quattro punti vendita, cimentandosi nel concorso nazionale Panettone Day. Il “Lingotto al Moscato di Scanzo e marron glacé”, creato dal responsabile del laboratorio Silvano Marchesi, è infatti approdato alla finale di Roma, selezionato tra le migliori proposte nella sezione dolci di Natale. L’impasto e la lavorazione sono quelli del panettone, ha però forma rettangolare, è proposto in pezzature più piccole ed è glassato con mandorle. L’aggiunta del Moscato di Scanzo rende la pasta profumata ma meno alveolata, i marron glacé sono stati scelti per il richiamo ai sapori dell’autunno. Il prodotto è infatti in produzione già da ottobre ed è pronto a contendersi i favori degli appassionati del genere nelle prossime feste.
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FACECOOK Alla scoperta dei social-chef di Laura Ceresoli
«Difficile introdurre piatti della nostra cultura in un Paese mediterraneo», eppure Nicola Offredi, alla guida della cucina di due prestigiosi locali nella capitale libanese, non desiste. «Vanno forte i ravioli di mais e taleggio aromatizzati al tartufo» Nicola Offredi (a sinistra) con lo chef svizzero Jean-Marc Bessire
Tra gli ospiti famosi dello chef bergamasco anche Sting. L’incontro è stato puntualmente condiviso sul social network
«Un po’ di Bergamo riesco a portalo in tavola anche a Beirut»
Il miglior protagonista della cucina italiana in Libano parla bergamasco. Dai casoncelli ai margottini di polenta, passando attraverso i ravioli di mais al taleggio, lo chef Nicola Offredi, di Osio Sotto, è infatti riuscito a solleticare i palati mediterranei con specialità che, da quelle parti, sono una vera e propria rarità. Allievo di Sergio Mei, oggi lavora a Beirut come cuoco di punta dell’hotel Albergo Relais & Chateaux e del ristorate Al Dente. Le sue vicissitudini culinarie
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om’è nata la sua passione per la cucina? «Già da piccolo ero sempre in cucina a rompere le scatole a mia madre. Un giorno mi disse in dialetto: “Ma va a scola de coghi”. E così ho cominciato». Come mai poi ha deciso di trasferirsi a Beirut? «Volevo fare un’esperienza all’estero. Stavo partendo per Varadero quando Sergio Mei, il mio chef al Four Seasons di Milano, mi disse: “Perché non andiamo a vedere cosa offre Beirut?”. Così abbiamo trovato una società seria con più di 15 fra ristoranti e hotel e mi sono subito fermato». Al momento dove lavora? «Oltre che al ristorante Al Dente, tipico locale italiano, sono lo chef dell’hotel Al-
sono ben raccontate attraverso Facebook, sia nel gruppo dedicato agli Chef italiani nel mondo, che conta quasi 2.000 membri, sia nella sua pagina personale, dove non manca di postare foto che lo ritraggono al fianco di personaggi noti della politica e dello spettacolo. Offredi è diventato celebre per la sua pasta fatta in casa, per i risotti ma anche per i suoi sfiziosi dolci, dei veri peccati di gola ispirati ai sapori del nord Italia.
La sua ricetta
RISOTTO AL PROSCIUTTO E MELONE CON POLVERE DI ANICE STELLATO
Per 4 persone: 240 g di riso Carnaroli, uno scalogno, mezzo bicchiere di vino bianco, 8 cl di Porto, 1 l di brodo vegetale, 8 fette di prosciutto crudo di Parma, 250 g di melone a dadi, 60 g di burro, 80 g di Parmigiano grattugiato, olio extravergine di oliva, semi di melone tostati, anice stellato in semi e polvere. Procedimento: Scaldate 2 cucchiai di olio, aggiungete lo scalogno tritato, fatelo imbiondire ed aggiungete il riso. Tostatelo e sfumate con il vino bianco. Fate evaporare il vino ed aggiungete, poco alla volta, il brodo vegetale bollente. Tenete mescolato ed a metà cottura aggiungete mezza porzione di melone tagliato a cubetti ed il Porto. Terminata la cottura, mantecate con il rimanente melone, il burro molto freddo ed il Parmigiano grattugiato. Nel piatto mettete uno stampo rotondo e foderate le pareti con il prosciutto, versatevi il riso e richiudete le fette del crudo sul riso. Guarnite con semi di melone tostati e anice stellato in polvere ed i suoi semi.
novembre 2013 bergo Relais & Chateaux che è al nono piano di una ex casa coloniale. Il menù di Al Dente è al 100% cucina italiana sebbene un po’ rivisitata, mentre all’hotel si fa una cucina, come dire, un po’ fusion con tipologie diverse. La nostra clientela è mediamente composta da uomini d’affari e politici». È riuscito a far conoscere qualche specialità della cucina bergamasca ai libanesi? «Introdurre piatti della nostra cultura è molto difficile, siamo in un Paese mediterraneo per cui i gusti si rispecchiano più nella nostra cucina meridionale che in quella del nord. Comunque non ho mai desistito. La polenta, per esempio, non è amata, ma sono riuscito lo stesso a fagliela mangiare proponendo dei ravioli di mais e taleggio aromatizzati al tartufo e li sto vendendo parecchio anche nei banchetti. I nostri favolosi casoncelli alla bergamasca li ho già messi in carta tre volte. Io propongo. Sono arrivato a fare perfino i margottini, ma sono piatti molto difficili per loro». Altre specialità presenti nel vostro menù? «Quasi ogni anno proponiamo “La settimana del tartufo bianco di Alba”. Lo scorso anno sono andato io di persona ad Alba ad acquistare il tartufo direttamente da un tartufaio. Durante questo periodo offriamo un menù tutto a base di tartufo, dall’antipasto al dessert. È stato un grande successo. Facciamo anche quella dei porcini, insomma vediamo di portare la cucina italiana in Libano». Come definirebbe la cucina libanese? «È un’ottima cucina, tipica del mediterraneo. Ci sono soprattutto piatti a base di verdura, pesce e agnello». Cosa le manca di Bergamo? «La porto sempre nel mio cuore, ho la fortuna di fare circa 40/50 giorni all’anno di ferie, godendomi la più parte di questi nei nostri territori, con le nostre sagre, con i nostri piatti, con la nostra gente. Poi io qui in cucina con certe cose mi esprimo nel nostro dialetto. Mi manca Bergamo… ma è forse proprio per questo motivo che quando ritorno la vedo sempre più bella». Un giorno tornerà a lavorare a Bergamo? «Mai dire mai!» Qual è stata la sua più grande soddisfazione? «Sicuramente qui a Beirut ho avuto la fortuna di conoscere parecchie persone del mondo politico locale, compreso il presidente della Repubblica, poi famosi personaggi come Sting, Zucchero, Mike Bongiorno. Ma la ciliegina sulla torta è stata la mia nomina a Cavaliere dell’ordine della solidarietà che sarebbe il Cavalierato del lavoro della Repubblica Italiana dato ai residenti all’estero». E la più grande delusione? «Purtroppo la mancanza di professionalità nel settore alberghiero che, secondo il mio modesto parere, dovrebbe essere più serio vista la quantità altissima di grandi alberghi di fama mondiale». Cosa ama di più del suo lavoro? «Il sorriso e il piacere del cliente». La sua ricetta preferita? «Un risotto con melone e prosciutto di Parma».
Alan Foglieni è approdato al Cavalli Caffè
Ed ora in Libano c’è un altro chef orobico A Beirut c’è un altro chef orobico che con la sua freschezza e la sua creatività ha conquistato i libanesi e non solo. Lo stilista Roberto Cavalli ha infatti scelto il 31enne Alan Foglieni per guidare il suo nuovo ed esclusivo locale. Dopo l’avviamento del bistrot milanese “Lupo Bistronomia”, con il quale ha conseguito ottimi risultati di critica, il cuoco bergamasco è quindi approdato nel mar Mediterraneo per capitanare lo staff del Cavalli Caffè. Uno dei piatti diventati simbolo di questo inedito connubio sono gli Zebra Ravioli, dei tortelli la cui pasta ripropone il logo zebrato dello stilista fiorentino. Sviluppando questa idea, Foglieni sta mettendo a punto le Zebra Chips, delle patatine di riso ispirate ai tessuti di Cavalli. «Fra pochi giorni partirò con il nuovo menù – spiega Foglieni – che vedrà oltre ai piatti già divenuti simbolo del locale una serie di portate create appositamente da me nei primi due mesi di permanenza in Libano. Ho pensato a dei piatti che potessero far conoscere la nostra cucina e parallelamente andare
incontro ai gusti dei libanesi». Beirut è una città che si affaccia sul Mediterraneo e dove l’influenza del colonialismo francese è ancora molto forte, e questo si rispecchia nei gusti. «Nel menù – prosegue – metterò anche filet de bouef au vin rouge, entrecote et pommes dauphinoise, branzino alla siciliana, salmone con finocchi e arancia. Vedremo cosa ne pensano i nostri clienti. Sarò presente anche in sala per accertarmi che la mia cucina sia gradita. Posso contare su un valido staff di collaboratori, tutti libanesi. Attualmente sono una decina di cuochi e tre pasticceri. È un’esperienza molto interessante. Ho un grande lavoro di formazione del personale da affrontare, dovrò insegnare loro la cucina italiana e far capire i nostri gusti. Ci tengo anche che imparino la nostra lingua. Dall’altro lato mi permettono di andare incontro ai loro gusti e trovare così la formula vincente per il giusto equilibrio dei piatti. E mi insegnano anche un po’ di arabo».
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LE AZIENDE INFORMANO
L’AZIENDA DI ALMÈ HA VARATO UNA LINEA DI CINQUE PRODOTTI DAL COMPETITIVO RAPPORTO TRA QUALITÀ E PREZZO, PER RISPONDERE ALLA CRESCENTE ATTENZIONE DEI CONSUMATORI. «SEGUIRE DIRETTAMENTE OGNI FASE, DALLA PRODUZIONE ALLA COMMERCIALIZZAZIONE, CI PERMETTE DI RIDURRE I PASSAGGI INTERMEDI»
La Casera di Martinelli, il formaggio che sfida la crisi
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e i tagli alla spesa sono arrivati anche in tavola, come conferma il calo dei consumi alimentari, la sfida del momento di chi produce e vende non può che essere quella di riuscire a coniugare il gusto con l’attenzione al portafoglio. È quanto sta facendo La Casera di Martinelli di Almé, che, forte di un’esperienza di tre generazioni nella produzione, stagionatura, confezione e commercializzazione su tutto il territorio nazionale di formaggi, ha deciso di investire su una linea di prodotti che qualcuno ha già definito “cheap”, “low cost” o “anticrisi”, che vanno ad affiancare l’offerta tradizionale con l’obiettivo di intercettare questa nuova sensibilità del mercato. Nella propria sede, su una superficie di 3mila metri quadrati, l’azienda cura direttamente le fasi di stagionatura e confezionamento, mentre la produzione è affidata ad una rete di caseifici controllati dall’azienda. Personale qualificato ed una rete vendita sono impegnati a realizzare un fatturato di 10 milioni di euro all’anno. Grande distribuzione, negozi al dettaglio, pubblici esercizi e ristorazione collettiva la clientela di riferimento, che trova a disposizione 60 tipologie di formaggi nazionali ed esteri, dall’eccellenza delle Dop come Taleggio, Quartirolo e Gorgonzola ai prodotti tipici come il Branzi, dagli stagionati ai freschi senza dimenticare quelli a base di latte di capra e pecora. Le nuove proposte low cost sono cinque, tutte di latte vaccino: due formaggelle, due latteria e un formaggio fresco cremoso, tipo crescenza. «Proprio quest’ultimo spiega l’azienda - rappresenta uno dei prodotti più interessanti. Non solo è una tipologia molto utilizzata nella ristorazione, nei pubblici esercizi per le farciture di piadine e panini, nei panifici e nelle focaccerie, ma pensiamo possa guadagnare spazio anche nella vendita al dettaglio proprio grazie al prezzo estremamente competitivo, dato in primo luogo dal fatto che si tratta di un prodotto da tagliare al banco e non, come d’abitudine ormai, già pronto in porzioni calibrate, con tutti i costi che ne conseguono. Il fatto è che, soprattutto nella grande distribuzione, cercando di velocizzare i tempi del servizio, si
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è persa la tradizione del taglio. In realtà, trattandosi di un formaggio comunque compatto, non ci sono problemi, mentre sono evidenti i vantaggi in termini di prezzo». La competitività, anche per gli altri prodotti, viene inoltre dal fatto che l’azienda segue tutte le fasi dalla produzione alla fornitura, accorciando i passaggi. Ma come si conciliano prezzo e qualità? «Naturalmente ci sono piani differenti – si evidenzia -. Sappiamo bene che una Dop incarna le caratteristiche particolari di una zona e di una modalità produttiva, ed ha per questo costi diversi, ma non dimentichiamo che esistono molti prodotti altrettanto qualificati e buoni, con prezzi altamente competitivi, realizzati mediante latte di qualità e ricercate ricette. Per quanto ci riguarda, l’obiettivo è rafforzare i prodotti a marchio “La Casera di Martinelli”, che racchiudono tutta la nostra esperienza e identificano uno stile che in tanti anni di attività ha già ottenuto ampi apprezzamenti».
LA CASERA DI MARTINELLI piazzale Don Seghezzi, 4 - Almè tel. 035 541144 - www.lacaseradimartinelli.it
novembre 2013
NEWS
DAL 22 NOVEMBRE AL PRIMO DICEMBRE
TORINO, IL CIOCCOLATO INVADE LA CITTÀ DAL 16 AL 24 NOVEMBRE
CREMONA, FESTA DEL TORRONE TRA STORIA E GUSTO Trainata da una dolce bontà come il torrone, Cremona approfitta della tradizionale Festa per mettere in mostra anche le sue altre specialità gastronomiche, l’arte e la cultura. La manifestazione quest’anno si sviluppa su ben nove giorni – da sabato 16 novembre a domenica 24 – tra conferme, come la costruzione gigante di torrone, la rievocazione del matrimonio tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti e l’assegnazione del riconoscimento Torrone d'oro, e nuove iniziative di carattere storico, di animazione e intrattenimento. Il tema è “Il respiro del violino”, per celebrare la “Cremona Liutaria” iscritta nella lista Unesco del Patrimonio Immateriale. Tra le proposte più legate alla tavola, segnaliamo il cimento di chef e pasticcieri della città nella creazione di originali piatti realizzati con il torrone, il DegustaTour, ossia un percorso tra le botteghe enogastronomiche che spazia dei salumi alla mostrada, dai formaggi al vino, e (venerdì 22 novembre) “A cena con il maestro Verdi”, che al museo civico (ala Ponzone) proporrà alcuni dei prodotti più amati dal compositore come il Culatello, la Spalla cotta ed il vino Malvasia tipico della sua Busseto. www.festadeltorronecremona.it
“Chi lo fa… vi aspetta!” è lo slogan della decima edizione di CioccolaTò, la manifestazione dedicata al cioccolato made in Italy ed internazionale di scena a Torino dal 22 novembre al primo dicembre prossimi. L’iniziativa offre l’opportunità di incontrare l’artigianato dolciario, la sapiente tradizione piemontese e le tante realtà di stampo internazionale in uno dei salotti della città, piazza San Carlo. Il grande polo didattico vedrà susseguirsi degustazioni guidate e corsi di cucina e di pasticceria a base di cacao e cioccolato, attività per bambini e famiglie, nonché i laboratori live dedicati alla lavorazione del cioccolato, diretti da maestri cioccolatieri torinesi. Nell’area internazionale ospite speciale è la Costa d’Avorio, che proporrà approfondimenti culturali alla scoperta del folklore e della storia locale. A grande richiesta torna anche Gianduiotto Day, la giornata dedicata al cioccolatino simbolo della produzione cioccolatiera piemontese, durante la quale il pubblico potrà gustare l’eccellenza locale, contribuendo contemporaneamente ad una raccolta fondi benefica. www.cioccola-to.it
Alla “Caminella” spazio all’arte contemporanea
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nsolita, certamente non scontata, l’esposizione d’arte contemporanea allestita sabato 19 e domenica 20 ottobre all’Azienda Vinicola Caminella di Cenate Sotto. Compagni apparentemente lontani, arte e vino si sono incontrati in un appunemtno nel quale i prodotti dell’azienda vinicola hanno accompagnato le opere di Marco Lodola, Alessandro Sala, Angelo Brescianini, Beatrice Gallori, Mario Madiai, Mirko Roncelli, Bruno Quaggio e Francesco Verdi. Ad esporre anche gli artisti bergamaschi Beppe Borella, Elio Maffeis e Antonio Capoferri. Una liaison, quella tra arte e vino, ben più vicina di quanto si possa immaginare. Per gli enoici paragonare una bottiglia a un’opera d’arte non è un’eresia, tanto più se per tale si intende l’emozione edonistica suscitata dalla degustazione di un vino. Allo stesso modo può dirsi per l’arte che crea suggestioni, colpisce ed emoziona, non avendo mai tralasciato, nei secoli, di rappresentare il mondo del vino nella pittura, nella scultura, come nella letteratura. In entrambi i casi rimane un enigma che si rinnova: perché un vino, come un quadro, piaccia a taluno e sia detestato da talaltro è un mistero insondabile. Per ambedue, tuttavia, parafrasando il collezionista francese Pinault, vale la regola «meglio diffidare da ciò che è facilmente comprensibile», perché «una vera creazione la si decifra con una certa fatica».
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L'INTERVISTA
Parla Luca Monica, Ad di Peck "Alghe, agrumi orientali e spezie sono ormai sempre più presenti nei preparati" "La cucina è cambiata enormemente, soprattutto nelle cotture, sempre più veloci per esaltare al meglio le materie prime" "La preferenza va a piatti meno grassi e pensati anche per essere consumati tutti i giorni" Luca Monica, amministratore delegato di Peck spa
di Laura Bernardi Locatelli
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"Il futuro? Senza dubbio quello di lasciare ai clienti l’ultima fase di cottura"
“Ecco le nuove tendenze della gastronomia”
il tempio della gastronomia per antonomasia, con 130 anni esatti di storia alle spalle. A tentare la ricca borghesia e l’aristocrazia della capitale morale con carni affumicate ed altre specialità fu il salumiere di Praga Francesco Peck che aprì nel 1883 in via Orefici un negozio pronto a conquistare un posto di rilievo nella Milano all’indomani dell’Unità d’Italia. Con il trasferimento in via Spadari - sede attuale - e il cambio di gestione, con Eliseo Magnaghi nel 1912, divenne un punto di incontro di intellettuali, scrittori e attori, con il gaudente Gabriele D’Annunzio tra i frequentatori più assidui. È con la rivoluzione gastronomica italiana, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, che Peck intraprende il suo massimo momento di splendore, vivendo momenti di straordinaria crescita sotto la direzione sapiente dei quattro fratelli Stoppani, che nel 1970 subentrano alla gestione della famiglia Grazioli, contribuendo a fare grande in 43 anni di successi l’insegna. Marchio di qualità prestigioso per i migliori prodotti gastronomici ed enoici (sono quasi 3mila le etichette tra vini e distillati in cantina) accuratamente selezionati in tutto il mondo, Italian bar e ristorante, oggi Peck (con-
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Le intolleranze sono in crescita e le richieste di alimenti e piatti senza glutine sono all’ordine del giorno. Pertanto l'attenzione alla salute è sempre più alta
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trollata da Pietro Marzotto) è universalmente riconosciuta come la migliore gastronomia del mondo, da oltre vent’anni presente anche dall’altra parte del globo, con ben otto negozi in Giappone.
novembre 2013
Luca Monica, amministratore delegato di Peck spa, fa il punto sulle nuove tendenze nella gastronomia italiana, sulle mutate esigenze di famiglie sempre più di corsa e convivi sempre più ristretti e, da un osservatorio privilegiato, illustra le sfide da cogliere e vincere. Il futuro si costruisce oggi con una cultura ed un amore per il cibo da trasferire e trasmettere alla clientela, ricette nuove con un’attenzione in più ad intolleranze e salute, nuove tecniche di cottura e packaging innovativo. Ma il vero segreto, come già insegnato dalla rivoluzione del commercio, è racchiuso nel “fai da te”: a tutti piace portare a tavola piatti deliziosi, perché non lasciare ai clienti la soddisfazione di ultimare da sé la cottura, magari con un consiglio anche sulla mise en place? In fondo l’illusione innocua e mortale di aver messo lo zampino in un piatto da gran gourmet non ha prezzo. Quali sono le nuove tendenze della gastronomia? “Alghe, agrumi orientali e spezie hanno ormai fatto il loro ingresso da tempo nella gastronomia, creando nuovi accostamenti e piacevoli contaminazioni, senza mai tradire la tradizione e il gusto italiani. La cucina è cambiata enormemente soprattutto nelle cotture, sempre più veloci per esaltare al meglio materie prime e preparazioni, e nella riduzione dei grassi per ricette sempre più leggere. Realizziamo piatti nati per essere consumati anche per tutti i giorni e la sfida di una maggior leggerezza è fondamentale ed è ormai un imperativo per la salute”. Come sono cambiati i consumi? “È cambiata la tipologia d’acquisto. Se la gastronomia entrava nelle case per i grandi convivi o le occasioni più importanti con venti, trenta persone, ora le richieste sono anche per due o tre porzioni. Le famiglie sono sempre più ristrette, si viaggia molto di più e si programma molto meno. Per questo sono sempre più frequenti le richieste di piatti che durano qualche giorno in più per trovare quando lo si desidera, che si torni da una trasferta di lavoro o da una giornata in ufficio, una cena gourmet già bell’e pronta in frigorifero. Atmosfera modificata e sottovuoto allungano la vita dei piatti ed in genere confezioniamo porzioni singole ideali per un pasto di livello, da gustare dove e quando lo si desidera”. La crisi ha cambiato la spesa degli italiani? “Fortunatamente la nostra clientela non rinuncia ad una coccola gastronomica né ad un modo di vivere l’alimentazione fortemente edonista. Certo il rituale della spesa non è più lo stesso, appesantito dal tramonto della voglia di far festa. A cambiare è soprattutto il clima: le prime pagine dei giornali non invitano certo a stappare bottiglie importanti…”. La gastronomia è sempre più a prova di intolleranze? “Le intolleranze sono in crescita ed ormai le richieste di alimenti e piatti senza glutine sono all’ordine del giorno. L’attenzione è sempre più alta alla salute con una riduzione dell’impiego di sale e grassi di cottura, oltre che all’uso di allergeni”. Quali sono i piatti più richiesti? “Il pesce crudo non conosce battuta d’arresto. Fino a venti anni fa mangiare pesce crudo era visto come qualcosa di selvaggio, oggi tutti impazziscono per sushi e sashimi. Cala la vendita del prodotto da cucinare, specialmente per le grandi cotture, in testa il classico cotechino sotto Natale, che nessuno ha più voglia e tempo di lasciare quattro ore sul fuoco, come la stessa cassoela ed altri piatti che richiedono tempo ai for-
nelli. Ormai i piatti considerati appannaggio delle grandi occasioni rappresentano un piccolo lusso da concedersi più spesso, come le torte gastronomiche di pesce, che prepariamo ogni giorno”. Come vede la gastronomia del futuro? “Alla gente piace cucinare, ma anche e soprattutto servire un piatto eccellente. Il futuro è senza dubbio quello di lasciare ai clienti l’ultima fase di cottura, magari dando qualche consiglio anche sulla mise en place. Bisogna avere prodotti pronti per rispondere ad ogni richiesta e creare interesse con un piccolo tocco di innovazione. Basta un prodotto nuovo, diverso o insolito per dare una marcia in più ad una ricetta tradizionale, senza tradire la tradizione. Il pesce crudo con qualche goccia di soja super invecchiata ha tutto un altro gusto. Il futuro si costruisce oggi e per farlo al meglio dobbiamo continuare a fare cultura, trasmettere la cura che sta dietro alla realizzazione di ogni piatto e alla selezione di piccoli produttori in ogni angolo d’Italia e nel mondo”.
Dal punto di vista tecnico cosa si può migliorare? “L’attenzione al packaging non è un vezzo estetico. È fondamentale mantenere inalterata la qualità nel trasporto, garantire una maggior durata degli alimenti e far sì che i prodotti di gastronomia entrino nella quotidianità. Confezioniamo pacchi che fanno anche il giro del mondo ed abbiamo prestato molta attenzione al trasporto aereo e ai limiti imposti dalle compagnie. Abbiamo confezioni a prova di ogni bagaglio a mano. I turisti sono in crescita e il souvenir gastronomico accresce il suo appeal”. Il tema della sostenibilità nell’alimentazione sta portando a valorizzare prodotti secondari o tagli di carne meno pregiati o alla fine la richiesta si concentra sempre su materie nobili dal filetto al caviale all’aragosta? “Le materie prime nobili sono sempre richieste, ma la valorizzazione di prodotti secondari, ma dall’eccezionale qualità, appartiene da sempre ad ogni laboratorio di gastronomia. Non esistono mai piatti di serie B o di serie A ed ingredienti a torto considerati secondari sono alla base di piatti straordinari. Le galantine, ad esempio, sono uno dei cavalli di battaglia della nostra gastronomia e sono davvero eccezionali”.
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LE AZIENDE INFORMANO
SIGLATA UNA CONVENZIONE CON L'ASCOM, VANTAGGI PER I RISTORATORI ASSOCIATI. IL 9 DICEMBRE, IN FIERA, IL MEETING INFORMATIVO
Oli vegetali esausti, Ressolar scende in campo per il riciclo
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l 9 dicembre 2013, alle 10.30, alla Fiera di Bergamo, in concomitanza alla manifestazione Pianeta GourMarte (dal 7 al 9 dicembre), si terrà il convegno “L’olio vegetale esausto diventa risorsa: opportunità per il ristoratore” organizzato da Ressolar srl, società bergamasca del Gruppo Piccinini, leader nel settore Ambiente e nell’Efficienza Energetica, in collaborazione con Ascom Bergamo. L’obiettivo è di informare al meglio, fornendo strumenti ed opportunità concrete. Ressolar invita tutti i ristoratori e gli operatori del settore che fossero interessati a partecipare al convegno, registrandosi nell’apposito form presente sul sito web www.ressolar.it oppure accreditandosi presso la segreteria organizzativa allo 035/515488 o scrivendo alla mail segreteria@e-venti.com. Un meeting riservato ad un pubblico di addetti ai lavori, utile per analizzare esperienze e prospettive di sviluppo nazionale della filiera di riutilizzo degli oli alimentari esausti. Dal riciclo di questi oli è infatti possibile ottenere altri ed utilissimi prodotti quali: biodiesel, grassi industriali, lubrificanti vegetali, distaccanti per l’edilizia. Inoltre, durante il convegno, verrà approfondito il delicato tema delle responsabilità del ristoratore durante l’intero ciclo dello smaltimento dei rifiuti. Ai partecipanti al convegno, Ressolar omaggerà l’ingresso alla manifestazione Pianeta GourMarte, offrendo inoltre la possibilità di degustare gratuitamente almeno 200 prodotti selezionati dell’enogastronomia lombarda. Per una maggiore sensibilizzazione della tematica della raccolta “coscienziosa” dell’olio esausto, Ressolar ha recentemente stipulato con Ascom Bergamo una convenzione per il servizio di raccolta gratuito, al fine di perseguire miglioramenti ambientali per il territorio e, contemporaneamente, di trasformare un onere per l’associato in un’opportunità per l’ambiente.
La convenzione, per gli associati, prevede il ritiro gratuito a domicilio e personalizzato degli oli da cucina esausti e di scarto, il rilascio del formulario obbligatorio, speciali promozioni e sconti in diversi settori (energia, turismo, viaggi, consulenze, etc.) e sugli altri servizi Ressolar. Negli ultimi decenni il nostro pianeta ha continuato a subire un processo di degradazione ambientale, dovuto in massima parte alle attività umane. E’ sempre più urgente avviare una strategia globale per raggiungere un vero modello di sviluppo sostenibile per il quale è necessario modificare le abitudini di consumo e smaltimento dei rifiuti partendo da tutti gli aspetti della vita quotidiana. In particolare, lo smaltimento dei rifiuti è da decenni un aspetto rilevante della politica di ogni Paese, dove la collaborazione del cittadino risulta indispensabile affinché le azioni messe in atto risultino efficaci. Un rifiuto spesso sottovalutato sono gli oli vegetali esausti di uso domestico, apparentemente insignificanti dopo il loro impiego, sono liquidi che se non smaltiti in maniera corretta possono provocare danni ingenti e irreparabili all’ambiente. Gettare dell’olio o i grassi alimentari nelle fognature rischia di intasare le reti fognarie con i conseguenti costi di manutenzione oltre ad inquinare le falde e le acque superficiali con danni correlati all’ecosistema, alla flora e alla fauna. Il D.Lgs 152 del 2006 ha introdotto l’importante, e spesso sconosciuto, principio per cui sono responsabili della gestione dei rifiuti tutti i soggetti che intervengono nella filiera del rifiuto, a partire da chi lo produce. In particolare il produttore iniziale del rifiuto conserva la responsabilità per l’intera catena di trattamento del rifiuto. È pura verità quando si dice che ognuno può fare la sua parte per migliorare le condizioni di un ambiente che, oggi più che mai, ha bisogno di attenzioni quotidiane.
Con i tuoi piccoli gesti il territorio in cui operi potrà vivere in maniera più sostenibile
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novembre 2013
LA NOVITÀ
Al “22c” scegli, scaldi e mangi
di Donatella Tiraboschi
Formula originale nel locale di via Donizetti, in Città Alta, che punta anche su una proposta per vegetariani, intolleranti e vegani e sulla possibilità di acquistare e consumare freschi artigianali glutenfree
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on mancano certamente, per chi approda in Città Alta con la funicolare, le occasioni e le golosità per un pranzo o uno spuntino. Da piazza Mercato delle Scarpe, nel volgere di trenta metri, infatti, un turista può imbattersi in: due pub, una trattoria, un ristorante, una gelateria, il polentone, due bar, due panetterie e decidere di rifocillarsi come gli pare. Dal caffè al pranzo completo, passando per il trancio di pizza o la polenta non c'è che l'imbarazzo della scelta. Ma quello che da giugno ha aperto i battenti è qualcosa di diverso da tutti gli altri esercizi. Si chiama "22c" dal numero civico di via Donizetti da dove si affaccia con tre vetrine ed è un'originale idea di Serena Conti, che dopo una lunga esperienza nella ristorazione e nel catering ha deciso di "compiere il grande passo" e di mettersi in proprio. Basta seguire il claim "scegli, scalda e mangia" e il gioco è fatto, dal momento che il locale offre ai clienti una vasta selezione di piatti gastronomici artigianali: si sceglie quello che si vuole mangiare, lo si scalda nei forni a microonde e ci si accomoda ai tavoli che, parte di un arredamento semplice ma curato, consentono una piacevole e informale pausa pranzo o uno spuntino alternativo al solito panino in piedi (chi avesse fretta può sempre optare per l'asporto). Per Serena, che è coadiuvata in questa nuova avventura commerciale dalla famiglia, è una sfida che si gioca sul piano della qualità (i piatti sono molto curati e i prezzi in linea, 5 euro per un primo piatto e per un secondo, 3,50 euro i con-
torni) e della cortesia, quel piatto di buona cera che manca in molti locali e che, invece, può fare la differenza. Piccole e grandi cortesie che non costano nulla ma che fanno molto piacere: come la "dog station" posizionata fuori dal locale, con ciotole di acqua fresca a disposizione dei nostri amici a quattro zampe in gita tra le Mura e la Corsarola. Altra carineria, messa a disposizione della clientela young, soprattutto universitaria, è una card che consente di avere uno sconto sui piatti, Chi, invece, vuole gustarsi un caffè, può approfittare del caffè americano con mini muffin a soli 2 euro. Oltre alle pietanze tipiche, spazio a qualche “accessorio” gustoso come pesto di salvia, crema di radicchio, salsa alla rucola e composta di cipolla, marmellate di frutta a km zero e succo di mirtillo naturale. Questi primi mesi di attività sono bastati a Serena per cogliere le esigenze della Serena Conti clientela, in particolare con la formulazione di menù per vegetariani, intolleranti e vegani e con la possibilità di acquistare e consumare freschi artigianali glutenfree. Insomma, gli elementi per sentirsi “come a casa” non mancano, tanto che il 22c si propone anche come ambiente ideale per organizzare feste con menù personalizzati. E infine, la “chicca” archeologica, dal momento che è possibile per i clienti visitare, nel piano inferiore, l’antico basolato risalente all’epoca romana rinvenuto durante la ristrutturazione del locale. Come dire che le sorprese di Città Alta non finiscono mai.
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IL PREZZO FISSO di Fulvio Facci
Papà Giuseppe Borrelli, da più di trent’anni nel settore, ha trasmesso esperienza e passione a tutti e tre i figli. Nel locale in via Borgo Palazzo ognuno ha trovato la sua specializzazione tra cucina, sala e pizzeria. In primo piano il pesce
Giuseppe Borrelli con i figli. Da sinistra, Antonio, Andrea e Umberto
Al Bacio, la ristorazione nel Dna
«N
on c’è stato un momento preciso in cui io e i miei fratelli abbiamo iniziato a lavorare nei ristoranti gestiti dal papà e dalla mamma. Veniva così naturale per tutti darsi da fare, chi in sala chi un cucina, quando serviva, e ormai da tempo è un’occupazione stabile». Inizia così il racconto di Antonio Borrelli, 33 anni, impegnato in sala, poi c’è il fratello Andrea, 28, che fa il cuoco e ha frequentato l’istituto Alberghiero, e poi l’altro fratello Umberto, 31, che fa il pizzaiolo.
Al comando di questo equipaggio strettamente famigliare, anche se ci sono alcuni dipendenti a completare lo staff, Giuseppe Borrelli, 60 anni, con la moglie Maria Grazia Bossi che dà una mano in sala quando serve. Siamo a Bergamo da “Al Bacio restaurant and pizza” in via Borgo Palazzo 116. «Siamo qui dal febbraio del 2012 – racconta il capofamiglia – e dopo aver rinnovato ed ampliato il locale con un'altra saletta (ora i coperti sono circa 115 ndr.) abbiamo iniziato presto a lavorare con intensità». Del resto, pur essendo originario del basso
LA PROVA
Nel menù di mezzogiorno anche piatti “importanti” C’è un pizzico di fantasia in più nelle proposte che Al Bacio presenta per il menù a prezzo fisso di mezzogiorno. Insieme alla classica combinazione da dieci euro vengono infatti offerte altre soluzioni, che variano dai 12 ai 17 euro. Si tratta in particolare di menù fissi che comprendono un primo “importante”, come i tagliolini all’astice, o un secondo sempre ricco, come la grigliata mista di pesce. Un bicchiere di vino, acqua e caffè sono sempre compresi. Evidentemente non si tratta di proposte destinate solo al pranzo di lavoro inteso in senso stretto ma a chi vuol coniugare, con un po’ di spesa in più, l’esigenza della
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pausa pranzo con il piacere di un bel piatto. E in più il buffet, a disposizione per tutte le scelte di costo, è veramente di grande portata, varietà e qualità. C’è anche la formula con la pizza. Nel menù classico da dieci euro abbia-
mo trovato nel giorno della nostra visita: gnocchi al salmone; penne con pomodoro, ricottina fresca, basilico e olive; risotto mantecato con salsiccia fresca e zucca e poi l’immancabile pasta al pomodoro. Le proposte per i secondi piatti invece erano: carpaccio di pesce spada su misticanza e pomodorini; scaloppine ai funghi; petto di pollo alla pizzaiola; bistecca di manzo alla griglia con insalatina. Scelta “leggera” per l’occasione: penne con la ricottina e carpaccio di pesce spada. Ottima sia la preparazione sia la presentazione, per un più che soddisfacente rapporto prezzo/qualità.
novembre 2013 Lazio, Giuseppe Borrelli ha una lunga esperienza nel settore nella provincia bergamasca. Nel ’75 era allo Smeraldo, in zona Malpensata, poi per 15 anni alla Spaghettata vicino alla caserma Montelungo, mentre negli ultimi 15 anni prima di riapprodare in città ha gestito il ristorante Al Cervo di Almenno San Salvatore. Volendo andare al cuore della proposta, la cucina di Al Bacio è impostata prevalentemente sul pesce. Di “terra” tra gli antipasti in carta troviamo infatti solo due voci, quiche ai porcini e uno sformatino di formaggi. La storia si ripete tra i primi con i casoncelli alla bergamasca e le tagliatelle fatte in casa al ragù di cinghiale e Bagoss e poi è tutto un trionfo di vongole, aragostelle, astice, capesante, granseole, eccetera. Anche nei secondi piatti solo i classici di carne, quali tagliata, filetto e fiorentina, e poi via con la zuppa di pesce, i branzini, le orate, il fritto misto, il baccalà e chi più ne ha più ne metta. Nutrita anche la lista delle pizze che comprende quelle preparate con farina integrale. «Mi porto dietro – prosegue il patron - una clientela acquisita in oltre trent’anni di quello che credo di poter dire sia un buon lavoro, visto che i clienti ritornano. Alla Spaghettata, soprattutto, ho fatto un’esperienza particolare perché eravamo tra i pochi a tenere aperto fino alle quattro di notte. Avevamo quindi artisti e politici tra i maggiori frequentatori. La nostra è una cucina semplice, mediterranea, senza tante ricercatezze. Domina il pesce, le cruditè, ma ce la caviamo bene anche con la carne - rimarca -. Pasta fresca e dolci sono tutti fatti in casa.
A mezzogiorno il lavoro è consolidato così come il sabato sera, bene il venerdì e le feste, poi per il resto siamo anche noi tra alti e bassi, come avviene attualmente nel settore». Cosa ne pensa del fatto che tutti in famiglia l’abbiano seguita nell’attività? «Dà tanta soddisfazione ed è di grande aiuto, perché possiamo valutare tutti insieme le diverse situazioni. È un lavoro duro, bisogna darci dentro e il fatto che i miei figli mi abbiano seguito mi gratifica. Oltretutto ognuno di loro è andato ad occuparsi della mansione più congeniale. Iniziamo tutti alle 8,15 la mattina poi un intervallo dopo pranzo ed è già ora di rimettersi al lavoro per la cena. È però anche un lavoro che ripaga, soprattutto vedere come i clienti sono affezionati». Al Bacio restaurant and pizza via Borgo Palazzo, 116 Bergamo tel. 035 271347 www.albacioristorante.it chiuso il lunedì sera
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novembre 2013
IL CONCORSO
“Emozioni dal Mondo”, medaglia d’oro a 10 vini bergamaschi
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nche la nona edizione del Concorso Enologico Internazionale “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet Insieme” ha confermato il respiro internazionale già conquistato nel corso delle passate edizioni. Lo scorso 18 ottobre, 209 campioni provenienti da 17 Paesi nel mondo sono stati degustati dalle 7 commissioni (composte da 81 giudici provenienti da 27 Paesi e selezionati tra tecnici, giornalisti e consumatori) a Villa Redona-Medolago Albani a Trescore. Al termine delle degustazioni, due le Gran Medaglie d’oro assegnate, entrambe a vini stranieri: Corvus Sarapcilik (Turchia) e Ella Valley Vineyards (Israele) le due aziende. 62 invece le Medaglie d’oro: 41 sono andate all’Italia (di cui 10 a vini bergamaschi tra i quali 8 Valcalepio Doc e 2 Bergamasca Igt), 8 alla Croazia, 3 ad Israele, 2 alla Serbia e al Montenegro e una a Romania, Argentina, Georgia, Francia e Bulgaria. Le medaglie d'oro ai dieci vini delle otto cantine bergamasche sono state assegnate a: Cascina del Bosco-Lorenzo Bonaldi di Petosino (due medaglie) con Riserva Canto Alto 2010 e Valcalepio Rosso 2011; La Tordela di Torre de' Roveri con Valcalepio Rosso 2011; Castello degli Angeli di Carobbio (due medaglie) con Valcalepio Rosso Amedeo 2006 e Valcalepio Rosso Barbariccia 2007; Le Mojole di Castelli Calepio con Cabernet Sauvignon Igt Bergamasca 2010; Cantina sociale Bergamasca di San Paolo d'Argon con Igt Bergamasca Rosso 2012; Il Calepino di Castelli Calepio con Valcalepio Rosso Surìe 2008; Locatelli Caffi di Chiuduno con Valcalepio Rosso Pilendrì 2010; Cavalli Faletti di Villa di Serio con Valcalepio Rosso Riserva 2008. “Il livello dei campioni, ancora una volta, si è dimostrato elevato - commenta il direttore del Concorso Tutela Valcalepio, Sergio Cantoni -. La soglia stabilita dall’Oiv (Organisation International de la Vigne et du Vin) per l’ottenimento delle medaglie è del 30% dei campioni partecipanti; quest’anno abbiamo dovuto stabilire lo sbarramento ad un punteggio di 87/100. Il regolamento del Concorso prevede che ai campioni che ottengono un punteggio superiore a 85/100 venga assegnata la medaglia d’oro: fermandoci a 87 abbiamo assegnato solo Medaglie d’oro. Un grandissimo risultato”. Tra le novità del 2013, di rilievo il giudizio dei consumatori. Attraverso l’elaborazione dei dati dei consumatori - che, a seguito di una selezione, sono entrati a fare parte delle commissioni di de-
gustazione - sono stati infatti selezionati 4 vini: 2 tedeschi, 1 croato e un italiano. “Si è trattato - ha aggiunto Cantoni - di un esperimento riuscito, che ci ha permesso di aprire le porte dei concorsi internazionali ai consumatori e, al contempo, di sentire la loro opinione. Da notare che dei 4 vini scelti, 2 hanno anche ottenuto la medaglia d’oro da parte delle giurie tecniche. Un esperimento che ripeteremo in futuro”. “Una scommessa vinta”, annota il presidente del Consorzio Tutela Valcalepio Enrico Rota riferendosi anche alla fruttuosa collaborazione con l’Ipssar di San Pellegrino Terme, che si è occupato del servizio dei campioni nel corso delle degustazioni. “Abbiamo voluto mostrare ai nostri ospiti quanta professionalità il nostro territorio sia in grado di generare e abbiamo puntato tutto su questi ragazzi che si sono dimostrati non solo all’altezza della situazione ma decisamente professionali e disponibili, pronti ad apprendere quanto più possibile da questa importante occasione di crescita”.
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novembre 2013
LA PROPOSTA
Trento, un tour tra bollicine e cucina (anche bergamasca)
I
l “Muse”, il nuovo Museo delle Scienze progettato da Renzo Piano, ha aperto le sue porte al mondo il 28 luglio scorso. È un vero gioiello architettonico, tanto da spingere qualcuno a sostenere che il contenitore vale quanto il contenuto. Comunque sia, Trento è diventata ancor di più una meta da appuntare sui propri calendari. Perché non approfittarne allora per un week-end? Da Bergamo in un paio d’ore s’arriva e, “Muse” a parte, l’occasione è propizia anche per soddisfare il proprio palato. Le chicche enogastronomiche in Trentino di certo non mancano. Già all’arrivo, spingendosi qualche chilometro più a nord, a pochi metri dal casello di San Michele all’Adige, s’incontrano le Cantine Rotari del Gruppo Mezzacorona. Un nome, una garanzia. Qui si possono degustare gli spumanti Rotari Trento Doc - dal Brut al Rosé, dalla Cuvèe 28 al “Flavio” (tre bicchieri del Gambero rosso) fino al prodotto di punta, il millesimato “Alperegis” - oltre a diversi vini fermi, bianchi e rossi, come il Teroldego Rotaliano. Tutte eccellenze che la cooperativa Mezzacorona, oggi forte di oltre 1.500 soci, 2.800 ettari vitati e una produzione di 45 milioni di bottiglie, mantiene inalterate negli anni. A poche centinaia di metri dalla cantina, una sosta golosa è d’obbligo al ristorante “Da Pino”, a San Michele all’Adige, famoso per avere una cantina di tutto rispetto: ben 16mila le bottiglie conservate. Il locale - aderente all’associazione Ristoranti Regionali-Cucina Doc (www.ristorantiregionali.it) guidata dalla bergamasca Marinella Argentieri - è gestito della famiglia Moresco: Dino, la moglie Luciana e le figlie Tatiana, Elisa, Luana e Giulia. Accanto al menù regionale, vengono proposte anche pizze realizzate con ingredienti tipici trentini. Lo chef Giuseppe Prencipe prepara, tra gli altri, piatti realizzati con Trentingrana Dop (prodotto con latte di montagna e con un accurato controllo della filiera che parte dal foraggio fino alla commercializzazione del prodotto finito) e col Casolét della Val di Sole e di Rabbi, tipico cacio di montagna, un tempo prodotto solo in autunno come formaggio “di casa” da consumarsi nei mesi invernali. Inutile dire che i vini delle Canine Rotari Mezzacorona vanno a nozze con le proposte del ristorante. Un perfetto abbinamento, quello tra cucina e vini trentini - e non potrebbe essere altrimenti - che trova conferma anche all’Antica Trattoria “Due Mori” della famiglia Dalpalù (papà Fabio, mamma Lucia e i tre figli Martina, Marzio, Roberta), locale ricavato in ambienti risalenti al 1500, che proprio nei giorni scorsi ha ricevuto la targa di merito per i 25 anni di adesione ai Ristoranti Regionali-Cucina Doc. Ai fornelli Giacomo Franini, 57enne chef di Schilpario, arrivato ben
Da sinistra lo chef della trattoria “Due Mori” di Trento, il bergamasco Giacomo Franini, Lucia e Fabio Dalpalù e Marinella Argentieri
24 anni fa nelle cucine del ristorante dopo esperienze al “Piemontese” di Bergamo, a “La Pergola” di via Borgo Canale e al “Grattacielo” di Gazzaniga. Tra le specialità di Franini, da menzionare i “canederli al Puzzone di Moena”. Per chi invece volesse fare una puntatina in Val di Sole,
Marinella Argentieri con la famiglia Graifenberg del Pippo Hotel di Terzolas
a Terzolas (mezz’ora d’auto da Trento) la tappa d’obbligo è il Pippo Hotel della famiglia Graifenberg. L’hotel, 44 camere, costruito nel 1974, è stato ristrutturato nel 1992 con l’aggiunta di nuove camere e centro benessere. Paola, i fratelli gemelli Agostino e Bruno e mamma Mercedes, oltre ad una collaudata ospitalità, garantiscono una cucina che esalta le specialità valligiane. Nei giorni scorsi, la struttura ha ricevuto la targa che attesta la partecipazione ai “Ristoranti Regionali-Cucina Doc”.
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L’ANGOLO
DEL SINGLE di Marco Bergamaschi
Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina
Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.
La torta salata al prosciutto INGREDIENTI PER 1 PERSONA 1 confezione di pasta brisè 120 g di prosciutto cotto a fette 200 g di ricotta
1 uovo 200 ml di panna pepe a piacere
PREPARAZIONE Coprite una teglia rotonda e bassa con della carta forno e stendetevi sopra la pasta brisè. Disponete sulla pasta il prosciutto tagliato a fette e poi stendete sopra il prosciutto la ricotta tagliata a fettine. Sbattete in una tazza un uovo con abbondante pepe, aggiungete 200 ml di panna e mescolate bene. Versate il composto di panna e uova sopra la ricotta e aiutatevi con un cucchiaio per coprire tutta la superficie. Piegate il bordo della pasta verso l’interno e mettete in forno già caldo a 180° per 30 minuti. CURIOSITÀ Considerato che il tempo a disposizione è sempre poco, quando posso, cerco di preparare pietanze complete, che oltre ad essere golose, fungano da primo e da secondo; la torta salata al prosciutto coniuga alla perfezione il mio intento e mi permette di gustare un piatto completo in pochissimo tempo. Per la sua preparazione utilizzo la pasta brisè, una tipica preparazione della pasticceria francese utilizzata moltissimo per la creazione di dolci, ma in particolar modo per la copertura delle torte salate; friabile e croccante, prende il nome dal suo impasto di burro e farina che si presenta a pezzettini staccati l'uno dall'altro, prima che diventi omogenea con l’aggiunta dell’acqua. Il termine francese “brisè” significa infatti “spezzato”, “rotto”, “frantumato”. Io utilizzo quella in vendita nei supermercati, surgelata e pronta per essere messa in forno e il risultato è più che soddisfacente. Ogni tanto mi sfiora l’idea di prepararla con burro, farina, acqua, sale e buona volontà, ma manca sempre quest’ultimo ingrediente e così non lascio la strada vecchia per quella nuova. Se a qualcuno invece venisse voglia di provare, può anche optare per la versione light, dove il burro è completamente sostituito dall’olio extravergine. E poi c’è la ricotta, uno dei latticini più versatili in cucina, che oltre ad essere buono, è un’ottima fonte di proteine e possiede un basso contenuto di grassi; vi consiglio di non acquistare
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quella “industriale”, cioè già confezionata e di optare invece per quella “artigianale” venduta sempre fresca al bancone dei formaggi. Scade prima, ma il gusto e la consistenza sono tutta un’altra cosa. Quando la acquistate, assicuratevi che vi venga consegnata in vaschette di plastica con il coperchio; infatti, proprio perché facilmente attaccabile dai microrganismi, è preferibile conservarla in un contenitore che si possa chiudere, evitando che questa rimanga a lungo a contatto con l’aria. E poi consumatala il primo possibile, per evitare la formazione di una orribile patina gialla e la proliferazione dei batteri. Infine potete consumare la torta salata al prosciutto con un piatto di rucola e fettine di mela verde: una meraviglia che non lascerà nessuno indifferente.
Qualità e convenienza per mense e ristoranti Consegne rapide e personalizzate. Prodotti freschi, surgelati e biologici, dall’antipasto al dessert SEDE DI CURNO (BERGAMO) Via Bergamo 46 - 24035 Curno (BG) Tel. 035/462861 Fax 035/461151 - 035/618627 infobergamo@alimentarimoretti.it
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