Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.
n.3 maggio-giugno 2014
anno 92
www.missionaridafrica.org
ONE DAY IN AFRICA
24 ore nel continente vero
Quarantacinque straordinarie immagini scattate da grandi reporter per raccontare cosa accade in una giornata nel continente africano
ONE DAY IN AFRICA
La mostra fotografica è disponibile per esposizioni in tutta Italia Può essere allestita in scuole, biblioteche, gallerie, parrocchie, centri culturali Informazioni: animazione@padribianchi.it - tel. 036344726 cell. 3342440655 Anteprima su: www.missionaridafrica.org
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editoriale
a cura della redazione
Poveri noi! Q
uest’anno il Pil africano crescerà in media del 5,4%, mentre l’economia nell’Eurozona (dopo cinque anni di cali consecutivi) segnerà forse un +1,2%. Basterebbero questi numeri per spiegare che il mondo si è capovolto. A confermarlo c’è la notizia della nascita della prima Ong africana che porta aiuti umanitari all’Italia. Si chiama Poveri Voi (www.poverivoi.org). Per il momento è un progetto di comunicazione, poco più di una provocazione, ideato da tre associazioni con sede a Milano (Fratelli dell’uomo, Esterni, Compagnia Africana); ma presto si trasformerà in realtà, promuovendo progetti e azioni concrete di cooperazione. «In un prossimo futuro saranno gli africani a portarci soccorso e aiuti umanitari», profetizza il giornalista Raffaele Masto, che così conclude il suo libro In Africa (Sperling & Kupfer 2003): «Non possiamo non renderci conto che il nostro sicuro Occidente è la decadenza,
mentre l’Africa è il futuro... Siamo popoli di anziani, stanchi ed emarginati; invece l’Africa, dove il 70% della popolazione ha meno di quindici anni, è un continente di prorompente vitalità».
Una svolta? Qualcosa sta già cambiando. Per la prima volta dopo decenni, il flusso emigratorio dai Paesi del Maghreb e del Sahel - due storiche zone d’emigrazione - verso l’Europa si è rallentato: segno che la
crisi economica nel vecchio continente ha sconsigliato migliaia di giovani a cercare fortuna al di là del Mediterraneo. Certo, restano intense le ondate di profughi e migranti in fuga da guerre e regimi dittatoriali che cercano un riparo in Occidente. Ma fanno notizia le decine di migliaia di cittadini dell’Europa meridionale che cercano fortuna a sud, negli ex paesi poveri dell’Africa, dove oggi l’economia corre a ritmi impressionati. E fa im-
pressione scoprire - come rivela il magazine The Africa Report - che molti dei portoghesi immigrati in questi ultimi anni a Luanda, capitale dell’ex colonia Angola, una delle città più care al mondo, faticano con lo stipendio a permettersi una casa decente e devono chiedere aiuto alle associazioni caritatevoli, pur di non finire a vivere sulla strada. «È la rivincita della storia», azzardano i commentatori più cinici. Ma non c’è di che rallegrarsi. • africa · numero 2 · 2014
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sommario
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Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) EDITORE
Prov. Ital. della Soc. dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi DIRETTORE RESPONSABILE
Alberto Rovelli
DIRETTORE EDITORIALE
Paolo Costantini COORDINATORE
Marco Trovato WEBMASTER
Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE
Bruno Paganelli
PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA
Matteo Merletto
PROGETTO GRAFICO E REALIZZAZIONE
Elisabetta Delfini
DIREZIONE, REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE
Cas. Post. 61 - V.le Merisio 17 24047 Treviglio (BG) tel. 0363 44726 - fax 0363 48198 africa@padribianchi.it www.missionaridafrica.org http://issuu.com/africa/docs FOTO
Si ringrazia Olycom COORDINAMENTO E STAMPA
Jona - Paderno Dugnano
Periodico bimestrale - Anno 92 maggio-giugno 2014, n° 3
Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).
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copertina One Day in Africa di Marco Trovato
attualità
3 4 «Io difendo i gay» 6 Pupazzi anti casta 10 L’infanzia negata 12 Nel Regno del Barotseland 18 Lo stravagante Mr Sushi 20 Giù le mani dal nostro tè! 22 Destinazione speranza Africanews
a cura di InfoAfrica di Giusy Baioni
di Michele Vollaro
di Donatella Murè e Mario Negri di Marco Trovato e Bruno Zanzottera di Robert Kwande di Enrico Casale
di Francesca Tosarelli
società
28 30 L’ultimo “Olè” a Maputo 32 La Brigata verde 36 La rivoluzione del latte Lezioni sull’acqua
di Claudio Agostoni
di Bartolomeo Casillas di Marco Trovato
africa rivista
@africarivista
di Abdou Magatte Faye
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libri e musica di P.M. Mazzola e C.Agostoni
cultura
50 È nata una stella 52 Tempo di Dak’Art 57 La moda si tinge di bianco 58 Saltando sui tori 62 Un secolo con Tarzan di Paola Marelli
di Daniele Tamagni di Paola Marelli
di Linda de’ Nobili
di Edmondo Corelli
sport
66 Obiettivo Brasile di Pierre Yambuya
viaggi
72 La regata di Saint Louis di Luciana De Michele
chiesa
74 Notizie in breve togu na 76 vita nostra 77 a cura di Anna Pozzi
a cura della redazione
a cura di A.Giannasi e della redazione
COME RICEVERE AFRICA per l’Italia:
Contributo minimo consigliato 30 euro annuali da indirizzare a: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) viale Merisio, 17 - 24047 Treviglio (BG) CCP n.67865782 oppure bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda Missionari d’Africa Padri Bianchi IBAN: IT 93 T 08899 53640 000 000 00 1315
per la Svizzera:
Ord.: Fr 35 - Sost.: Fr 45 Africanum - Rte de la Vignettaz 57 CH - 1700 Fribourg CCP 60/106/4
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news
a cura di InfoAfrica
INFO
Africa
www.infoafrica.it
Africanews, brevi dal continente 1 Libia Instabilità endemica e rapimenti Un primo ministro che si dimette dopo aver subito minacce, alcuni rappresentanti diplomatici a loro volta minacciati o rapiti, come avvenuto all’ambasciatore giordano Fawaz al-Itan o all’attaché commerciale tunisino Lotfi Shood. La Libia non trova pace: la caduta di Muammar Gheddafi è ormai un ricordo, la costruzione del nuovo Stato è ritardata da venti separatisti e dalla presenza destabilizzante di milizie armate che di fatto controllano ampie parti del paese.
2 Zambia Un nuovo ponte sullo Zambesi Cominceranno a luglio i lavori per la costruzione di un nuovo ponte che collegherà il Botswana allo Zambia passando sul fiume Zambesi, all’altezza della città zambiana di Kazungula. I lavori sono stati
annunciati da tempo e ogni volta rinviati, ma questa volta sembra che Lusaka e Gaborone facciano sul serio. Il progetto, del costo stimato di 140 milioni di euro, prevede la realizzazione di un ponte stradale e ferroviario lungo 923 metri e largo 18,5, due strutture per le pratiche doganali, strade e rampe d’accesso.
3 Tanzania Dar-es-Salaam come Dubai Incrementare del 40% il transito di merci nel porto di Dar-es-Salaam nel giro di pochi anni è uno degli obiettivi del piano di espansione della rete dei trasporti in Tanzania, che ambisce a diventare un hub regionale attraverso il quale far transitare beni da e verso i paesi limitrofi. A fissare l’ambizioso obiettivo è stato il presidente Jakaya Kikwete, secondo cui il suo paese ha le carte giuste “per diventare una Dubai africana”.
4 Guinea Bissau Ballottaggio all’ombra dell’esercito Chi vincerà tra José Mario Vaz e Nuno Gomes Nabiam? Uno dei due dovrebbe diventare il prossimo presidente della Guinea Bissau. Vaz è il candidato del Paigc - la formazione che condusse il paese all’indipendenza dal Portogallo - e ha ottenuto il 40,9% delle preferenze al primo turno; Nabiam parte dal 25,1%, gode del sostegno di una parte del Partito per il rinnovamento sociale ed è appoggiato dall’esercito. Il capo di stato maggiore ha però fatto
sapere che i militari questa volta rispetteranno i risultati del voto.
5 Malawi Elezioni generali, Banda contro Mutharika Il 20 maggio i cittadini del Malawi voteranno per scegliere il loro presidente, i membri del parlamento e i rappresentanti delle amministrazioni locali. Per il Paese dell’Africa australe si tratta di un appuntamento importante che vedrà in particolare contrapposti il capo di Stato uscente, Joyce Banda, e Peter Mutharika, fratello dell’ex presidente Bingu wa Mutharika. •
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La strana coppia. Obasanjo, Prodi e il lago Ciad
Impegni finanziari, un piano d’azione quinquennale e l’esperienza di due protagonisti della scena politica internazionale come l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo e Romano Prodi: su questo poggeranno le iniziative della Commissione del bacino del lago Ciad che sta provando a rivitalizzare una riserva d’acqua di decisiva importanza per i quattro Paesi che vi si affacciano, ovvero Camerun, Ciad, Niger e Nigeria. Intanto, in occasione della Conferenza dei donatori del piano d’azione tenuta a Bologna e Rimini, è stato stabilito che sarà l’ex primo ministro italiano a presiedere il Comitato per l’attuazione del programma. Per Prodi, dopo il ruolo di inviato Onu per il Sahel, un altro incarico africano di rilievo.
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attualità
testo di Giusy Baioni
«Io difendo È una delle prime donne avvocato dell’Africa. Da dieci anni difende i diritti civili dei gay e delle lesbiche del Camerun, vittime di soprusi e pregiudizi
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Intervista all’avvocato camerunese
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ono trentotto i Paesi africani dove l’omosessualità è punita con il carcere, in Sudan e Mauritania addirittura con la pena di morte. Si è fatto un gran parlare dell’ultima legge antigay ugandese e delle norme sempre più oppressive in Nigeria.
Il dibattito è aperto e vivace: molti tradizionalisti appoggiano le leggi punitive contro l’omosessualità, i social network sono pieni di commenti omofobi, ma sempre più numerose si alzano voci in senso contrario. Cominciano i coming-out di personaggi famosi, come lo scrittore keniota Binyavanga Wainaina e l’intellettuale somalo Diriye Osman. Al loro fianco, ci sono attivisti che hanno deciso di difendere i diritti degli omosessuali, esponendosi a seri rischi e ripercussioni. E Alice Nkom, avvocato camerunese, è la loro leader indiscussa. Nata sessantanove anni fa, madre di due figli, laureata in legge a Tolosa, a soli 24 anni è stata la prima donna a esercitare la professioni forense in Camerun. Nel 2012 il New Yorker l’ha nominata “Africana dell’anno” e a marzo di quest’anno ha ricevuto il Premio per i diritti umani di Amnesty International per il suo impegno a favore dei gay e delle lesbiche che subisco-
no angherie e rischiano di finire in carcere a causa della loro omosessualità.
Amore criminale? Raggiunta telefonicamente da Africa a Douala, la dottoressa Nkom svela come e quando ha deciso di iniziare la sua battaglia. «Nel 2003 incrociai per strada una coppia di ragazzi che si scambiavano delle effusioni innocenti. Mi avvicinai a loro, li misi in guardia, raccomandando prudenza… Ma poi mi sorpresi a pensare: “Non ha senso! È forse un crimine mostrare che sei felice e che vuoi bene a un’altra persona del tuo stesso sesso?». Poco dopo, quando oramai era vicina all’età della pensione, Alice Nkom decise di fondare l’Associazione per la difesa dei diritti degli omosessuali (Adefho). Nel 2005 accettò di difendere undici uomini in carcerazione preventiva perché sospettati di essere gay. Decise di mettersi dalla parte degli indifesi, sapendo di andare incontro a un mare di guai. «Ho sporto denuncia
attualità
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testo di Michele Vollaro foto Afp
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Dietro le quinte del più impertinente show televisivo del Kenya
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ietro la stazione ferroviaria di Nairobi, in un ex magazzino, si celano gli studios di Buni TV, una casa di produzione che è diventata famosa grazie allo show televisivo di satira politica The XYZ Show. Lo spettacolo, che lo scorso anno è stato premiato come migliore serie televisiva del continente agli Africa Magic Viewers Choice Awards, è una rappresentazione estrema-
mente corrosiva dei vizi e dei difetti degli attori politici keniani e degli avvenimenti dell’attualità nazionale. Sullo schermo, i protagonisti sono dei pupazzi in lattice con le fattezze dei principali personaggi pubblici nazionali. In breve tempo questi personaggi sono diventati i nuovi beniamini del pubblico televisivo keniano e, ogni domenica sera, sono tre milioni ormai coloro
che attendono con impazienza l’arrivo dei nuovi episodi per scoprire come sarà raccontata quella certa dichiarazione di quel determinato uomo politico o il nuovo scandalo della settimana che ha occupato le pagine dei giornali.
Senza più paura Resterà molto a lungo nella memoria di chiunque in Kenya la reinterpretazione del dibattito televisivo tra i
candidati alle elezioni presidenziali lo scorso marzo, quando il pupazzo dell’allora primo ministro Raila Odinga, facendo il verso al suo vero sé stesso che evitava sempre di rispondere alle domande scomode dei cronisti, disse semplicemente: «Non chiedere a Raila quel che Raila farà per te, ma chiediti piuttosto cosa farai tu per Raila, una volta che Raila sarà eletto Presidente». africa · numero 3 · 2014
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attualità
Ogni domenica sera, tre milioni di keniani si catapultano davanti al televisore per non perdersi i burattini di The XYZ Show, il miglior programma di satira politica dell’Africa. A Nairobi abbiamo visitato gli studi in cui nasce Il regista di The XYZ Show, Charles Kuria, ricorda i primi anni, quando nessuno era ancora sicuro di quale sarebbe stata la reazione, dei politici e del pubblico, a questa forma di spettacolo, completamente nuova in Kenya ma che in Europa ha i suoi precedenti illustri nel britannico Spitting Image e nel francese Les Guignols de l’info (in Italia ricorderemo Gli Sgommati). «Ogni volta ci chiedevamo: sul serio possiamo far dire ai nostri personaggi queste cose? Ma non rischiamo di finire in tribunale? Ovviamente all’inizio ci sono sta8
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ti alcuni politici che hanno sporto querela, ma, adesso che lo spettacolo si è imposto, possiamo dire che siamo stati fortunati e anche bravi». «Io mi preoccuperei se avessimo il plauso dei politici!», aggiunge Edward Khaemba, che è uno dei produttori di The XYZ Show oltre ad essere la voce di cinque diversi personaggi. «Se invece dicono che non siamo stati corretti nel modo in cui li abbiamo rappresentati, allora forse vuol dire che abbiamo toccato qualche nervo scoperto e smascherato una verità».
I due pionieri Non è stato affatto semplice riuscire a trasformare quella che all’inizio, nel 2003, era soltanto un’idea del celebre disegnatore e caricaturista Godfrey Mwampembwa, più noto con il nome d’arte di Gado, in un vero e proprio programma. Per anni, infatti, la sua proposta di show satirico è stata respinta da tutte le televisioni keniane, che la giudicavano troppo visionaria, o più semplicemente non riuscivano a capirla. Fino a quando Gado non incontrò l’allora giornalista televisiva Marie
Lora-Mungai, che subito s’innamorò perdutamente del progetto, e insieme decisero di cambiare l’approccio, fondando Buni TV e chiedendo fondi a donatori internazionali per cominciare la produzione, anziché attendere di essere finanziati dai network keniani. L’incontro tra Gado e LoraMungai avvenne proprio a ridosso delle presidenziali del 2007, che furono seguite da gravi disordini in tutto il Paese, durante i quali persero la vita più di un migliaio di persone: quelle vicende convinsero ancora più fermamente i due del-
attualità
testo di Donatella Murè
foto di Mario Negri e Donatella Murè
La crisi sociale ed economica al Cairo ha spinto una miriade di bambini egiziani ad abbandonare la scuola per diventare venditori, mendicanti o borseggiatori nelle stazioni ferroviarie
L’infanzia
Egitto, la piaga dei piccoli
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al Cairo, i treni in partenza sono stracarichi di umanità con bagagli al seguito. Tra la folla dei pendolari sgattaiolano centinaia di giovani venditori ambulanti. Salgono e scendono dalle carrozze con la loro mercanzia: fazzoletti di carta, bottigliette d’acqua, siga-
rette, cibo, articoli da viaggio. Stanno in bilico sui predellini fino al fischio che mette in moto la locomotiva. Oppure percorrono senza sosta i corridoi dei convogli in cerca di acquirenti o di una manciata di monete di elemosina. Sono poco più che bambini, un eser-
CRISI NERA. MANCA IL CIBO di Laura Cappon
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cito di baby commercianti ambulanti. Avrebbero diritto di frequentare la scuola, giocare e divertirsi con i coetanei. Ma devono pensare anzitutto a sopravvivere. Alcuni sono orfani, molti altri appartengono a famiglie povere: sono gli stessi genitori a mandarli a lavorare qui. Di notte dor-
«Invitiamo tutti i cittadini a non mangiare troppo». Così il governo egiziano sembra trovare una disperata e sbrigativa soluzione alla mancanza di cibo e beni di prima necessità che sta affliggendo il Paese a causa di una delle crisi economiche più gravi della sua storia. L’invito è contenuto in un report pubblicato di recente dall’Osservatorio nazionale per il cibo. Il sondaggio riporta dati drammatici: l’86% delle famiglie non ha uno stipendio sufficiente per acquistare cibo e vestiti - percentuale in aumento di 12 punti rispetto a un anno fa a causa della crescente inflazione e della svalutazione della moneta. La crisi economica che sta dilagando nel Paese ha acquisito i contorni di un’emergenza nazionale. Le ripetute ondate di violenza seguite alla caduta di Hosni Mubarak hanno infatti indebolito le casse dello Stato, che ha perso due terzi delle riserve di moneta straniera.
negata
ambulanti tra i binari
I numeri del collasso Popolazione Stipendio medio Disoccupazione Povertà Riserve valutarie Turismo Produzione grano Scioperi
85 milioni 400 euro 32% 35% -60% dal 2010 -37% dal 2010 -65% dal 2010 +90% dal 2010
Casse vuote La Banca centrale egiziana, negli ultimi due anni, ha utilizzato 20 miliardi di dollari per mantenere la lira egiziana stabile, una spesa che ormai è diventata insostenibile e che ha fatto scendere la valuta nazionale ai livelli minimi di cambio con il dollaro degli ultimi dieci anni. Inoltre, le casse dello Stato non sono più in grado di ricevere moneta straniera anche a causa del crollo del turismo, una delle maggiori risorse economiche della nazione. L’unica possibilità di salvare l’economia resta, per ora, il ricorso ai presiti stranieri. Ma per accedere agli aiuti promessi (4,8 miliardi di dollari) il governo egiziano dovrà accettare il diktat del Fondo monetario internazionale e
mono per terra sui cartoni o sulle panchine delle stazioni. La crisi economica si accanisce sui più deboli. Così le stazioni ferroviarie si ingolfano di bambini vagabondi: venditori, mendicanti, borseggiatori. Neppure i manganelli della polizia riescono a schiodarli dai binari. •
Baby-venditori egiziani alla stazione del Cairo. Senza uno stipendio sufficiente per vivere, alcuni genitori mandano i figli a lavorare sulle banchine ferroviarie. Un tempo, questi giovani sbarcavano il lunario grazie ai turisti in transito; ma oggi anche questi sono rari
ciò significa aumentare le tasse ed eliminare i sussidi per i generi di prima necessità l’energia che, per il momento, contribuivano a tenere stabili i prezzi.
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attualità
testo di Marco Trovato foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero
Reportage dalle pianure alluvionali dello Zambesi,
Le spumeggianti acque dello Zambesi nel dedalo delle spettacolari Sioma Falls
Nel Regno del
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, tra sovrani e sudditi in cerca di riscatto
Alle estreme propaggini occidentali dello Zambia, nelle regioni dell’alto corso del fiume Zambesi, sopravvive l’antico regno del popolo lozi che oggi vuole tornare ad essere indipendente
Barotseland
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attualità Dignitari del Barotseland. A fianco, dei cittadini durante le attività quotidiane
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ai presentarsi alla corte reale a mani vuote. «Commettereste una scortesia al limite dell’offesa», aveva avvertito l’entourage del Barotseland Royal Establishment. «Il protocollo va osservato con scrupolo per evitare incidenti diplomatici». Nel cuore dell’Africa australe sopravvive un regno, ignorato dalle carte geografiche moderne, dove il tempo sembra essersi fermato alla metà dell’Ottocento. All’epoca il celebre missionario-esploratore David Livingstone raccontava di viaggiare per queste lande sperdute «carico di vestiari e merci da offrire in regalo ai sovrani locali».
Alla corte del Re Le usanze non sono granché cambiate. Per ringraziare dell’udienza concessa abbiamo portato al palazzo reale di Limulunga 25 chili di zucchero e 12 litri di olio: non abba14 africa · numero 3 · 2014
stanza per riuscire a incontrare Sua Maestà Lubosi Imwiko II, inavvicinabile sovrano del popolo lozi, ma sufficiente a farci ricevere dal Kuta, massima autorità politica tradizionale, l’assemblea dei dignitari della monarchia che ancora oggi amministra il potere nella regione dell’alto corso del fiume Zambesi. I membri del governo eleganti nei loro completi occidentali impreziositi dai caratteristici copricapi rossi - hanno voluto discutere a lungo tra loro, a porte chiuse, prima di ri-
ZAMBIA IN BREVE Capitale
Lusaka
Presidente Michael Chilufya Sata Abitanti Età media
14 milioni 7 anni
Aspettativa di vita 52 anni Crescita Pil +7% Reddito procapite 1.700 dollari Popolazione povera 64% Giovani disoccupati 24% Religioni
cristiani 65% musulmani 25% animisti 10%
spondere alle domande dei reporter stranieri. Forse non tutti erano d’accordo sul rilasciare dichiarazioni relative a delicatissime questioni politiche. Ma alla fine ha prevalso la voglia di esternare la rabbia che cova in silenzio da troppo tempo. «Siamo stanchi di essere presi in giro dai politici di Lusaka», tuona il portavoce dei ministri, sguardo fiero, inglese fluente, inflessione della voce studiata per enfatizzare l’importanza del momento. «Per mezzo secolo ci hanno promesso autonomia e sviluppo. Parole al vento. In tutto questo tempo la nostra gente si è impoverita, le ricchezze dello Zambia sono finite altrove, nessuno ha voluto ascoltare le nostre rimo-
Lo stravagante Mr. SUSHI Alla scoperta di Kenny Kunene, controverso magnate sudafricano di inglese, pr, venditore di libri, consulente aziendale. Nel 1997 è finito in prigione per sei anni a seguito di una condanna per truffa. Appena è rientrato nel mondo degli affari, si è buttato con successo nel settore della distribuzione del pesce crudo. In Sudafrica lo hanno ribattezzato “Mr Sushi”. La sua fama è cresciuta quando è diventato prota-
gonista di un popolare reality show in televisione. Oggi è proprietario di una catena di nightclub che spopola in Sudafrica e Zimbabwe. Colleziona whisky antichi, organizza eventi mondani, produce concerti musicali. E non nasconde una burrascosa passione per la politica: nel 2013 ha chiuso con l’Anc (il partito al potere dalla fine dell’apartheid) scrivendo una caustica “lettera aperta” contro il presidente Jacob Zuma. Ha aderito agli Economic Freedom Fighters, formazione politica fondata dal ribelle Julius Maleba, ma pochi mesi dopo se n’è andato per dare vita a un proprio partito, la Patriotic Alliance, di cui è segretario, con la promessa di cambiare il «look della nazione». Avrà in mente un Sudafrica a sua immagine? •
Un dj nello spazio
Mandla Maseko, 26 anni, dj in una radio di Pretoria, si è aggiudicato un viaggio nello spazio. Il giovane sudafricano, cresciuto nella malfamata township di Mabopane, ha conquistato un posto sul Lynx Suborbital Vehicle che nel 2015 effettuerà un lancio suborbitale attorno alla Terra. Maseko è stato selezionato, con altre 22 persone di varie nazionalità, attraverso un concorso a cui ha partecipato più di un milione di candidati. «Ho inviato il mio nome agli organizzatori quasi per gioco. Sognavo di poter vincere la forza di gravità, ma non pensavo certo di poter vincere il premio». Invece ha superato brillantemente severi test attitudinali e prove di resistenza psico-fisica. E ora si sta esercitando da astronauta in Florida: sarà il primo sudafricano nero della storia a viaggiare tra le stelle.
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attualità
testo di Enrico Casale
Giù le mani dal
Il Sudafrica vince la battaglia contro la Nestlé per la difesa di una bevanda tradizionale
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er il momento non se ne farà nulla. La Nestlé non solo non sfrutterà le proprietà curative del rooibos, ma non ripresenterà neppure la richiesta di brevetto dei principi attivi. Si è conclusa così una vicenda, iniziata nel 2009, che ha riportato alla ribalta il fenomeno della biopirateria in Africa, ma che ha anche dimostrato come la mobilitazione della società civile sia in grado di bloccare i grandi interessi economici delle multinazionali. Ma andiamo con ordine e ricostruiamo la vicenda.
Una legge previdente Nel 2009 Nestec, società controllata dal colosso
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svizzero Nestlé, deposita la richiesta di brevettare cinque principi attivi contenuti nelle piante di rooibos (Aspalathus linearis) e di un altro arbusto tipico sudafricano, l’honeybush (Cyclopia). Principi che possono essere impiegati sia per medicinali utili per la prevenzione dei processi infiammatori sia nel settore cosmetico. Entrambe le piante sono originarie del Sudafrica e crescono solamente lì (hanno provato, senza successo, a ripiantarle in Australia, Cina e Stati Uniti). Il rooibos, in particolare, viene adoperato da tempo immemore dai Khoisan, i primi abitanti dell’Africa meridionale, che usano le sue foglie per
produrre un tè rosso dal sapore intenso e dalle rare virtù medicinali. Dagli anni Novanta del secolo scorso, la bevanda viene commercializzata con sempre maggior successo e, naturalmente, ha attirato le attenzioni dei colossi alimentari. Il Sudafrica però non è disposto a svendere le proprie risorse. Nel 2004 ha approvato una legge (il National Environment Management Act) che vieta lo sfruttamento di piante utilizzate dalle popolazioni indigene per le cure tradizionali, senza un apposito permesso rilasciato dalle autorità. Per
Il rooibos è una bevanda molto dissetante, priva di caffeina e di teina. Ricca di antiossidanti, è molto efficace nelle terapie contro la gotta, l’artrite reumatoide e le malattie cardiovascolari
attualità
di Francesca Tosarelli
Destinazione
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Da Lampedusa a Nizza, il lungo Dopo aver attraversato il Mediterraneo, Karem e Riadh hanno percorso il nostro Paese cercando di schivare le trappole della legge antiimmigrazione. Il loro viaggio della speranza è stato immortalato da una fotografa italiana
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K
arem e Riadh sono due cugini, originari della regione di Sfax, la seconda città della Tunisia. Il primo ha 34 anni, una laurea in arte, ha lavorato come tour operator e scultore. Riadh, 25 anni, ha svolto diversi lavori occasionali, non è stato ammesso all’università e ha una malattia reumatica che lo rende dipendente dai farmaci. Entrambi disoccupati e con un futuro incerto. decidono di investire tutti i loro risparmi in un viaggio che li porti in Francia, a Nizza, dove risiedono alcuni loro parenti e dove sperano di cominciare una nuova vita. Partono quando il regime di Ben Ali è ancora saldamente al potere. Le immagini di questo racconto fotografico li riprendono in quella parte del viaggio dei migranti che di solito non viene documentata, cioè il dopo-Lampe-
dusa: cosa accade una volta che si è passati indenni quel mare, divenuto ormai una sorta di cimitero. A Lampedusa, Karem e Riadh evitano il centro di raccolta, dormono in una tenda improvvisata sulla collina sopra il porto, incontrano Paolo, un cittadino italiano che li ospita e li aiuta a imbarcarsi per la Sicilia e poi su una nave in direzione Livorno. In Toscana le loro strade si dividono: Karem finisce in carcere, Riadh ottiene il permesso temporaneo di soggiorno e da Arezzo, con alcuni compagni, si rimette in viaggio fino a Ventimiglia, dove lo attende un fratello che lo aiuterà ad attraversare la frontiera e lo condurrà finalmente alla meta: Nizza. Viene ospitato nello studio del fratello e nella città incontra Salah, il padre di Karem che attende il figlio ancora in carcere. •
SPERANZA
➜➜➜➜➜➜➜ viaggio di due migranti tunisini 1
Riadh prega nel giardino della casa di Paolo prima di imbarcarsi per la Sicilia
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Karem nella tenda sulla collina del porto di Lampedusa, dove ha dormito con Riadh e altre nove persone per sei giorni
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Mercato alla periferia di Nizza. È un luogo di incontro e di appuntamento per i migranti provenienti dal Maghreb
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Riadh incontra il padre di Karem in questo dormitorio, dove può essere ospitato solo se ha un lavoro e un permesso di soggiorno. Una stanza di dieci metri quadrati con cucina e bagno in comune
I numeri dell’immigrazione
35mila gli immigrati sbarcati in Italia nel 2013 (soprattutto siriani, eritrei, somali, maliani e afghani) 6mila la stima dei migranti morti nel Mediterraneo negli ultimi dieci anni 5,2 milioni gli stranieri regolarmente presenti in Italia 500mila il numero stimato degli “irregolari” 80mila il numero dei bambini stranieri nati in Italia nel 2013 27mila i figli di coppie miste 17mila le richieste di asilo presentate in Italia lo scorso anno 13,3 miliardi gli euro di introiti dello Stato riconducibili agli immigrati in un anno 11,9 miliardi gli euro spesi dallo Stato per gli immigrati in un anno 1,4 miliardi gli euro entrati in un anno nelle casse dello Stato grazie all’immigrazione 480.000 le imprese aperte e gestite dagli stranieri (7,8% del totale nazionale)
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società
testo di Claudio Agostoni
Lezioni sull’a
Nigeria, nella città di Lagos nasce la prima
L
agos, la megalopoli nigeriana con più di 22 milioni di abitanti, è costruita sulla terraferma e su una serie di isole che circondano l’omonima laguna. Makoko è un segmento della città, abitato da una popolazione di pescatori che, in buona percentuale vivono in case su palafitte. È proprio riadattando l’idea della palafitta, tipica costruzione degli abitanti più poveri della città, che lo studio d’architettura Nlé Architects (nleworks.com) ha progettato la Makoko Floating School, una scuola galleggiante in grado di accogliere cento bambini del quartiere che, sviluppandosi in riva all’oceano, vive in costante pericolo di
inondazioni per i cambiamenti climatici e il conseguente innalzamento del livello delle acque.
Un progetto ecologico La realizzazione della scuola è solo la prima di una delle tre fasi che porteranno alla nascita di una comunità galleggiante. L’idea non è di una griffatissima archistar del nord del mondo, ma di un architetto locale: Kunle Adeyemi. L’aspetto importante della sua costruzione è che si può adattare a qualsiasi impiego, anche come casa oppure come ospedale. Il tutto, seguendo una visione di sviluppo sostenibile adatta alle comunità costiere africane. Un proget-
to pensato per consentire agli abitanti di avere accesso alle dotazioni sanitarie, all’acqua pulita e a strutture per lo smaltimento dei rifiuti. La Floating School di Makoko è un edificio sostenibile al 100%, dai materiali scelti all’attenzione per l’uso di fonti rinnovabili. Il fatto che il legno sia il materiale maggiormente utilizzato non è casuale. Il suo utilizzo, per esempio, nelle strutture che garantiscono schermature con persiane orientabili, consente alle aule di restare ombreggiate e fresche, garantendo ai bambini il giusto comfort.
In cerca di spazi L’intero sistema è energeticamente autonomo grazie all’istallazione di pannelli solari sulla copertura. Il piano terra (quello a livello dell’acqua) ospita un’area verde comune, mentre le classi si sviluppano sui due piani superiori. Un sistema di recupero dell’acqua
Veduta aerea di Makoko, il quartiere di Lagos abitato da una popolazione di pescatori che per buona parte vive in case su palafitte 28 africa · numero 3 · 2014
piovana permette di incrementare le prestazioni eco-friendly dell’edificio (per esempio, l’acqua delle toilette proviene da un sistema di captazione delle acque piovane). Riparati dal sole e dalle intemperie, mentre godono anche di aree verdi e di un piccolo parco giochi, gli studenti diventano così portavoce di un messaggio di architettura sostenibile per l’ambiente e per la comunità. L’iniziativa, dal forte impatto simbolico, garantisce, oltre a un’educazione paritaria per i bambini del quartiere, anche un ritorno di tipo economico, in quanto attrattiva turistica per la città. Con poco più di 6mila dollari, legno locale, tanta ambizione e 256 barili di plastica (necessari alla scuola per galleggiare sul Golfo di Guinea), l’idea di Kunle Adeyemi offre anche una possibile soluzione al problema dello sfratto selvaggio degli abitanti delle baraccopoli, un problema che da anni devasta Lagos e la Nigeria. Un colpo fatale a una serie di appetiti speculativi nascosti dietro improbabili progetti di riqualificazione del lungomare di Lagos…•
cqua
scuola galleggiante
L’architetto nigeriano Kunle Adeyemi ha ideato una scuola-zattera per i figli dei pescatori di Makoko. Ora progetta di realizzare un’intera comunità fluttuante
Architetto nigeriano, urbanista e ricercatore creativo, Kunle Adeyemi, classe 1976, è fondatore e titolare di NLE, uno studio di architettura, design e urbanistica, con sede ad Amsterdam
africa · numero 3 · 2014 29
testo di Bartolomeo Casillas
Nandipha Mntambo
società
L’ultimo “Ole” a Maputo L’arena che ospitava le corride in Mozambico e il suo degrado Ai tempi della colonizzazione portoghese qui si esibivano i migliori matadores del mondo. Oggi i mozambicani si interrogano sull’opportunità di salvare ciò che resta dello storico anfiteatro 30 africa · numero 3 · 2014
«S
e chiudo gli occhi mi sembra di sentire ancora gli “olé!” della folla». Clarêncio Baptista, tassista e facchino, sta seduto sugli scaloni del Monumental, lo storico anfiteatro di Maputo che in epoca coloniale ospitava le corride. «A quei tempi ero solo un bambino, figlio di una povera famiglia, e non potevo certo permettermi il biglietto d’ingresso», racconta con la voce roca. «Restavo fuori nel piazzale ad ammirare le auto fiammanti dei portoghesi e dei sudafricani.
Mi guadagnavo qualche spicciolo a lavare i vetri e a lucidare le carrozzerie. E mentre nell’aria riecheggiava il boato del pubblico, io fantasticavo sulle battaglie fra tori e matadores che avvenivano dentro l’area».
Promesse tradite A guardarsi attorno si fatica a immaginare lo sfarzo di quegli anni. Le gradinate cadono a pezzi, i tunnel da cui uscivano i tori sono insudiciati da lattine arrugginite e bottiglie di vetro frantumate, lo spiazzo centrale è infestato da erbac-
ce e sacchetti di plastica, nell’aria aleggia un odore acre di piscio, sudiciume e abbandono. Da molti anni le autorità della capitale promettono di salvare il Monumental dall’oblio. Alle ultime elezioni amministrative, il partito al potere, Frelimo, ha promesso di trasformare questo luogo in un centro culturale. Parole al vento. Anno dopo anno, l’arena di Maputo si è disintegrata sotto lo sguardo della popolazione del quartiere che assiste inerme alla scomparsa di un monumento simbolo della
società
testo e foto di Marco Trovato
La Brigata In Burkina Faso la raccolta
32 africa · numero 3 · 2014
a VERDE
dei rifiuti 猫 gestita da duemila donne africa 路 numero 3 路 2014 33
società
Da quasi vent’anni un’associazione di spazzine vestite di verde si occupa di tenere pulite le strade di Ouagadougou. E i risultati si vedono…
34 africa · numero 3 · 2014
A
nche oggi Madame Kaboré, 49 anni, si è svegliata alle tre di notte per arrivare in tempo al lavoro. Come sempre è uscita di casa senza far rumore, sgattaiolando tra i quattro figli che dormivano sul pavimento dell’unica stanza della loro casa. In sella alla sua bicicletta ha percorso una decina di chilometri sbuffando nell’aria frizzante della notte. Pri-
ma dell’alba ha raggiunto le sue colleghe al solito posto di ritrovo e assieme a loro ha cominciato a ramazzare.
Le donne di Simon Madame Kaboré è una delle 2.094 donne della Brigata verde, il più grande esercito femminile di netturbini d’Africa, che da oltre quindici anni si occupa di tenere pulita Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso. Due volte alla settimana, ogni lunedì e giovedì, le strade di questa estesa e polverosa città (un milione e ottocentomila abitanti) vengono rassettate da una moltitudine di spazzine dalle inconfondibili tute verdi, che in poche ore spazzolano 55mila chilometri di asfalto e ripuliscono 32milioni di metri quadri di piazze e spazi
pubblici. Le chiamano “le Donne di Simon” perché furono assoldate nel 1998 dall’ex sindaco della città, Simon Compaoré, convinto sostenitore dell’imprenditorialità femminile. «All’inizio eravamo una piccola associazione di vedove in cerca di lavoro», ricorda Madame Derné, 55 anni, responsabile di un’équipe di 22 donne incaricata di ripulire un grande viale del centro città. «Col tempo ci siamo guadagnate la fiducia dell’amministrazione comunale e il rispetto dei cittadini, che apprezzano l’utilità del lavoro che svolgiamo».
Un lavoro prezioso Armate di scope, pale, carriole, rastrelli e forche, le donne della Brigata verde raccolgono in
società
testo di Abdou Magatte Faye
La rivoluzione del latte
Senegal, il clamoroso successo di una latteria sociale
P
A Dakar, il 90% del latte consumato dalla popolazione è importato dall’Europa sotto forma di polvere. Ma oggi la Laiterie du Berger sta cambiando le abitudini della gente
Bagoré Bathily, giovane veterinario senegalese laureato in Belgio, è l’ideatore della prima latteria sociale in Senegal 36 africa · numero 3 · 2014
aradossi e contraddizioni dell’economia africana. In Senegal 4 milioni di persone (circa il 30% della popolazione) vivono di allevamento, eppure il 90% del latte consumato è importato dall’Europa sotto forma di polvere. Per lungo tempo nessuno ha pensato di valorizzare il bestiame locale - il cui latte viene tradizionalmente consumato dalle famiglie degli allevatori - creando un sistema produttivo e commerciale in grado di fare della pastorizia un business conveniente. Nelle savane del Senegal pascolano decine di migliaia di vacche, ma la loro redditività è molto bassa: in media 0,7 litri al giorno (in Italia una mucca fornisce circa 28 litri di latte al giorno e durante il picco di lattazione può rendere fino a 60 litri). La bassa produttività del bestiame in Senegal è dovuta a tre fattori: alimentazione povera e mal bilan-
copertina
testo di Marco Trovato
ONE DAY L’ANTEPRIMA DELLA NOSTRA NUOVA MOSTRA FOTOGRAFICA Quarantacinque fotografie di grandi reporter, catturate dalle prime luci dell’alba fino a notte fonda, per mostrare cosa accade in una giornata nel continente africano In un solo giorno in Africa accadono un mondo di cose: rituali immutati da secoli, fatti nuovi e imprevedibili, eventi e situazioni che vedono protagonisti più di un miliardo di persone (con un’età media di 19 anni: la popolazione più giovane e dinamica del pianeta). La mostra One day in Africa, realizzata dalla nostra rivista, raccoglie quarantacinque immagini realizzate da reporter affermati e fotografi emergenti alle prese con la quotidianità di un continente in perenne fibrillazione. Le fotografie sono esposte secondo l’orario in cui sono state scattate - dalle prime luci dell’alba fino a notte fonda - per ricostruire idealmente una giornata densa di vita, trascorsa alla scoperta di località e genti distanti tra loro migliaia di chilometri ma accomunati dalla stessa vibrante energia. 38 africa · numero 3 · 2014
in Africa ORE 1.00 PARTY ESCLUSIVO Festa blindata al Miami Beach di Luanda. Il biglietto d’ingresso per accedere a questo night club (di proprietà di Isabel Dos Santos, la donna più ricca d’Africa, figlia maggiore del Presidente angolano) costa 250 dollari. Nell’esclusivo quartiere della Ilha, frotte di giovani agghindati con abiti sontuosi fanno la coda davanti ai locali alla moda. Sono i figli del miracolo economico: dopo decenni di guerra civile e regime marxista, la borghesia angolana vive una stagione magica. La produzione record dei diamanti e del petrolio ha gonfiato le tasche dei rampolli della nomenclatura locale. Ma gran parte della popolazione vive ancora nella miseria. Angola - Robin Hammond (Luz)
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ORE 5.00 IN ASCENSORE Un gruppo di minatori della società NFCA sull’ascensore che li conduce alle gallerie sotterranee dove passeranno la giornata a estrarre il rame, principale ricchezza dello Zambia. Le miniere e le fonderie della regione del Copperbelt sono state più volte teatro di scioperi e mobilitazioni di migliaia di operai contro i colossi estrattivi cinesi, accusati dai sindacati di sfruttare la manodopera con turni massacranti e stipendi inadeguati. Zambia - Sven Torfinn (Panos Pictures / Luz)
ORE 6.00 COLAZIONE SUL BATTELLO Due studenti in vacanza fanno colazione a bordo della motonave Liemba. È il più antico traghetto del mondo ancora in funzione. Un cimelio coloniale tedesco, affondato durante la prima guerra mondiale, recuperato dai britannici e mantenuto in attività dal governo della Tanzania. Da cent’anni naviga sul lago Tanganica, tra la città tanzaniana di Kigoma, il porto zambiano di Mpulungu e la capitale burundese Bujumbura. La sua gloriosa storia ha ispirato il celebre film d’avventura La regina d’Africa, interpretato nel 1951 da Humphrey Bogart e Katharine Hepburn. Lago Tanganica - Marco Garofalo
ORE 7.00 CORSE SULL’ALTOPIANO Il corridore Biruk Fidaku, specialista degli 800 metri, si allena sulle piste di terra attorno al villaggio di Bekoji, nella regione montagnosa dell’Arsi. Sull’altopiano etiope si sono forgiate le imprese di Abebe Bikila, Haile Gebreselassie, Kenenise Bekele, Fatuma Roba: i più grandi campioni della maratona e del grande fondo. Le loro medaglie olimpiche e i loro primati mondiali sono il carburante che muove i muscoli dei giovani podisti che ogni mattina si svegliano all’alba per rincorrere i sogni di gloria. Etiopia - Francesco Alesi (Parallelozero)
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ORE 23.00 LA PROCESSIONE Decine di candele tremolanti illuminano la processione solenne in onore della Madonna, Nossa Senhora da Conceição. La Chiesa cattolica di São Tomé e Príncipe (tra le più piccole e antiche diocesi d’Africa) conta 150mila credenti - il 75% della popolazione totale - sparsi su due isole vulcaniche che affiorano, solitarie, nelle acque dell’Atlantico a 300 chilometri dalla costa del Gabon. Per quattro secoli, questo minuscolo arcipelago fu usato dai portoghesi come centro di smistamento per la tratta degli schiavi. São Tomé e Príncipe - Marco Trovato
ORE 24.00 L’ULTIMA DOSE Ragazzi di strada fumano eroina in un edificio abbandonato di Monrovia. Nella capitale della Liberia vivono decine di migliaia di giovani sbandati, ex bambini soldato, orfani e mutilati: sono l’eredità della sanguinosa guerra civile che ha sconvolto il Paese fino al 2003. La gang giovanili legate alla criminalità si contendono con le armi il controllo dello spaccio. La Liberia è la più vecchia repubblica del continente: fu fondata nel 1847 da ex schiavi liberati in America. Liberia - Robin Hammond (Panos Pictures /Luz)
RICHIEDI LA MOSTRA In queste pagine abbiamo pubblicato solo una selezione delle quarantacinque immagini di cui è composta la mostra One Day in Africa, realizzata dalla nostra rivista. La mostra fotografica, curata da Marco Garofalo e Marco Trovato, è disponibile per esposizioni in tutta Italia. Può essere allestita in scuole, biblioteche, gallerie, parrocchie, centri culturali. È richiesto un contributo che comprende il noleggio, cinque abbonamenti alla rivista Africa e le spese di spedizione. Per maggiori informazioni: animazione@padribianchi.it - tel. 036344726 cell. 3342440655 africa · numero 3 · 2014 47
libri
di Pier Maria Mazzola
Islam metropolitano
La prefazione del negro
Hotel Rwanda
Dopo Islam italiano di Stefano Allievi (Einaudi 2003) e Moschee d’Italia di Maria Bombardieri (Emi 2011), un’altra indagine a partire dai luoghi di culto e ancor più zoomata: Roma e sei comuni limitrofi. Dopo cinque anni di ricerca etnografica, ne esce una mappa complessa che descrive anche i luoghi d’insediamento delle comunità musulmane e delle loro sale di preghiera, non sempre ubicate in “quartieri” islamici - talvolta comanda la raggiungibilità coi mezzi pubblici o la disponibilità ed economicità di uno spazio. Scopriamo una varietà di provenienze geografiche ma anche di correnti spirituali e movimenti ben diversificati. Paiono così convivere due tendenze, presso i musulmani: tanto la secolarizzazione quanto il ritorno (o la scoperta) della pratica religiosa.
Il «negro» del titolo allude a chi, in un libro, svolge un notevole e spesso determinante lavoro di redazione, prestando la propria penna e mestiere a qualcuno che poi figurerà come unico autore. Qui, il libro sono le memorie che il Vecchio - un «reduce» della guerra algerina d’indipendenza - detta al «negro», alter ego dell’autore. Costui ne ha abbastanza della retorica di una generazione che in fondo non ha saputo trasmettere che «inattività»: «Sapevamo tutti e due che eravamo vuoti e che non avevamo niente da raccontare». Anche gli altri tre racconti del libro portano allo scoperto la vena critica, per non dire caustica, dell’autore, che si nutre di una prosa sapida, cui tutt’al più si può rimproverare un eccessivo ricorso alla ridondanza.
Una nuova testimonianza sul genocidio (Africa 2/2014). Questa è del maître d’hotel al centro del film di Terry George (stesso titolo del libro). Nel libro Paul dissemina un gran numero di informazioni - su di sé, sull’albergo, su Kigali, sulla storia del Paese - che nel film non potevano trovare spazio. Il suo è inoltre un punto di vista diverso da gran parte della letteratura sulle stragi del ‘94. Interessante il ruolo della parola: «A fallire furono le parole. Sono le più efficaci armi di morte che l’uomo possiede, ma possono anche essere potenti strumenti di vita». Alla propria capacità di dialogare (meglio se innaffiata da una birra) attribuisce la salvezza di 1.268 persone. Agghiacciante è il racconto del lento avvelenamento degli animi tramite le parole (non solo quelle via radio).
di Alessandra Caragiuli
Edup 2013, pp. 233 euro 20
48 africa · numero 3 · 2014
di Paul Rusesabagina
di Kamel Daoud
Edizioni Casagrande 2013, pp. 133, euro 14
Abbiamo stretto molte mani
Fogli di via
«Costruiamo latrine». Si può spiegare con una battuta l’azione di Intersos, ong sorta oltre vent’anni fa. Il libro è il bilancio-racconto di un’avventura iniziata in Somalia e in cui l’Africa sembra restare preferenziale: Sud Sudan, Angola, Mauritania. Non manca la riflessione, dove le critiche non vengono minimizzate. È vero, «gli aiuti possono diventare una componente della guerra». Purché non si dica che non servono tout court…
Terza edizione per questa ventina di racconti, seri ma spesso anche esilaranti, che vedono gli immigrati protagonisti. Idea non troppo nuova, se non fosse che sono storie nate od osservate in Questura: ne è infatti autore il dirigente di un Ufficio Immigrazione con il dono di sapersi mettere nei panni altrui. Nella scrittura come nella vita. Oggi Trevisi è direttore di una Scuola di Polizia, dove insegna ai suoi allievi a far andare meglio d’accordo la legge con la giustizia. Il racconto trainante è L’Africa in un cassonetto: l’inseguimento controvoglia, tra reale e surreale, di un ambulante senegalese che spalancherà al «piedipiatti» una visione nuova. Prefazione di Gad Lerner e vignetta-omaggio di Vauro. Il settimanale del Corsera ha definito il libro «un monumento all’integrazione».
di Gianpaolo Trevisi
di Sonia Greco
Il Canneto 2013, pp. 199, euro 18
Carocci 2013, pp. 191 euro 19,50
UN’ALTRA MECCA
Le dimensioni di questo testo dedicato a Il collare della colomba sono inversamente proporzionali all’importanza del romanzo. L’opera, della saudita Raja Alem, ha vinto l’International Prize for Arabic Fiction, per la prima volta andato a una donna. Teatro dell’azione è una Mecca fuori degli stereotipi. Quasi 600 pagine di scrittura magnetica, edite da Marsilio.
Emi 2014, pp. 189 euro 12
musica
di Claudio Agostoni
BECAUSE MUSIC KEZIAH JONES
Captain Rugged è un supereroe ironico, arrabbiato e coraggioso che si aggira tra le strade della megalopoli nigeriana di Lagos. Non vive però solo nelle nuove canzoni di Keziah Jones, uno dei capostipiti, con Asa e Nneka, della Nigerian Wave, un’onda musicale che surfa tra blufunk e Naija hip hop nigeriano. Captain Rugged è anche il protagonista di un progetto multimediale che Keziah ha partorito con Native Maqari. Ne è nata una graphic novel, il cui libro include uno speciale codice web con cui scaricare le tracce delle canzoni di Keziah, che ha dichiarato che l’intero lavoro è un inno a tutti i migranti: “Sono loro i nuovi eroi, (…) perché sanno sopravvivere a una vita terribilmente difficile”.
GALILEO MUSIC CARMEN SOUZA
Il nuovo lavoro della musicista lisboeta, di origini capoverdiane, prende il titolo da un piatto tipico del Paese di origine dei suoi genitori: la kachupada, un piatto che, con la sua grande varietà di ingredienti e spezie, riflette la molteplicità delle influenze musicali della Souza. Un’artista che con grande abilità riesce a miscelare il jazz con le tradizioni della propria terra, la “morna” di Capoverde e il fado di Lisbona. Così accanto a standard jazz come My Favorite Things e allo scat utilizzato per un capolavoro di Charlie Parker come Donna Lee, troviamo un brano della tradizione capoverdiana come On na Tarrafal. Fondamentale in questo lavoro il ruolo del bassista Theo Pas’cal, il cui puntuale contrappunto contribuisce a delineare la personalità musicale del disco.
TOTAL RUNNING TIME ALBERTO MATONDO
Non è uno dei musicisti africani di cui si fa un gran parlare. Di Alberto Matondo si trovano poche notizie anche su internet. Solo qualche video e la lapidaria descrizione “cantor angolano-brasileiro”. Sull’angolano, la copertina non lascia dubbi. Due bande orizzontali di uguali dimensioni: una rossa e l’altra nera. Al centro una ruota dentata incrociata con un machete e una stella a cinque punte. In pratica la bandiera dell’Angola, dove il colore rosso ricorda il sangue versato dagli angolani durante la lotta per l’indipendenza e il nero rappresenta l’Africa. Angolano di nascita ed oggi emigrato a San Paolo, in Brasile, Alberto ci regala un lavoro orgoglioso e fiero come la bandiera del suo Paese: pulsioni reggae, pathos immediato e testi diretti, senza fronzoli. Più un omaggio a Nelson Mandela.
JUST A BAND: LA MUSICA DEL NUOVO KENIA
www.youtube.com/watch?v=Jxc-zVqituk: è il video di Matatizo, con cui i musicisti house/funk/ disco dei Just a band confermano che in Kenia, dopo anni di repressione, si vive un momento di creatività. Il video è girato nella prigione Nyayo House di Nairobi, luogo simbolo delle torture e delle violazioni dei diritti umani avvenute sotto la presidenza di Daniel arap Moi.
IL PREZZO DI UNA MABANGA
Gli anni d’oro della rumba, quando Kinshasa era la capitale africana della musica, sono lontani. Franco e Tabu Ley Rochereau sono morti. I musicisti di oggi per sopravvivere abusano di un trucco chiamato kobwaka mabanga, letteralmente ‘lanciare pietre’. Durante una canzone i musicisti lanciano il nome di una persona ricca e influente, in cambio di soldi. In un quartiere popolare le tariffe per una mabanga vanno da uno a 4 $. Ma anche birre e sigarette sono bene accette.
africa · numero 3 · 2014 49
cultura
testo di Paola Marelli
È nata Origini keniane, 31 anni, ha vinto l’ambita statuetta come miglior attrice non protagonista per la magnifica interpretazione nel film 12 anni schiavo di Steve McQueen
A
lla cerimonia degli Oscar ha commosso milioni di persone quando è salita sul palco per ritirare il premio riservato alla migliore attrice non protagonista. «Questa statuetta è un simbolo per ogni bambino: non importa da dove vieni, i sogni si possono avverare», ha detto tra le lacrime per commentare l’inaspettata vittoria. La debuttante Lupita Nyong’o, 31 anni, figlia di genitori keniani, nata in Messico e cresciuta a Nairobi, è stata la vera rivelazione della notte delle stelle (assieme al trionfo de La Grande Bellezza di Sorrentino).
Talento e sacrifici
Un nome, il suo, sconosciuto al grande pubblico (andatevi a vedere su YouTube il divertente tutorial in cui lei stessa insegna a pronunciare correttamente il suo cognome). Una vittoria, la 50 africa · numero 3 · 2014
una stella
Lupita Nyong’o, nuova star africana del cinema
Con la statuetta dell’Oscar in mano. Lupita (cittadinanza keniana e messicana) oggi vive a New York. Parla inglese, spagnolo, swahili e luo (il dialetto della sua etnia). È figlia di un noto politico keniano, Peter Anyang Nyong’o. L’attrice ha interpretato il ruolo di una schiava nel sud degli Stati Uniti di metà Ottocento sua, conquistata grazie a tanto talento e impegno: ha lavorato per Mtv Africa nello sceneggiato Shuga per sensibilizzare i giovani sul dramma dell’Aids, ha studiato recitazione all’università di Yale, si è fatta le ossa nella produzione del film The Constant Gardener, ha esordito come regista con un documentario di denuncia, In my genes, contro le discriminazioni agli albini africani. È stata scelta fra migliaia
di aspiranti attrici per un ruolo cruciale nel film 12 anni schiavo di Steve McQueen: quello di Patsey, la serva preferita da un sadico proprietario di una piantagione di cotone. E la sua magistrale interpretazione le ha permesso di conquistare l’ambito riconoscimento che l’ha proiettata nel firmamento delle grandi stelle del cinema. Ha scritto di lei Paola Casella, critica cinematografica del quotidiano Europa: «Il ruolo di Patsey è uno dei più ricchi e complessi che si siano visti al cinema, in assoluto. E a renderlo così sfaccettato ed eversivo è stata proprio la strepitosa interpretazione della Nyong’o, che ha scansato le due strade ovvie a sua disposizione: il melodramma e il vittimismo. L’interpretazione di Lupita Nyong’o è la conferma che si può inventare ancora tutto, anche al cinema, compreso un modo nuovo e rivoluzionario di raccontare la dignità umana».
L’orgoglio ritrovato
Solo due donne nere, prima di lei, avevano vinto un Oscar: Hattie McDaniel (Via col vento, 1939) e Halle Berry (Monster’s
Ball, 2002). Pochi giorni prima di alzare la sua statuetta, in occasione di una serata di gala, l’attrice keniana aveva tenuto un commosso discorso sull’accettazione e l’orgoglio delle proprie origini africane, che poi ha fatto il giro del web. «Voglio cogliere questa occasione per parlare di bellezza, di bellezza nera. Ho ricevuto una lettera da una ragazzina (…) che diceva: “Stavo per comprare una crema per sbiancarmi la pelle quando sei apparsa tu e mi hai salvata”. Il mio cuore si è stretto quando ho letto quelle parole. Mi ricordo un tempo in cui mi sentivo brutta. Accendevo la tivù e vedevo solo pelle bianca, venivo presa in giro e sbeffeggiata per la mia pelle del colore della notte. E la mia unica preghiera a Dio era di svegliarmi un giorno con la pelle più chiara. Ma Dio non mi ha mai ascoltata. Mia madre mi continuava a dire: “non puoi mangiare la bellezza, non ti sfama”, e queste parole mi ossessionavano e mi davano fastidio; non le ho capite sul serio fino a quando non mi sono resa conto che la bellezza non è qualcosa che puoi comprare o consumare, è
solo una cosa che tu devi essere. Quello che mia mamma voleva dire è che non puoi cercare di avere successo basandoti sul tuo aspetto esteriore. La vera bellezza è l’empatia verso te stesso e la gente che ti circonda. Quel tipo di bellezza ti infiamma il cuore e incanta il tuo animo. Ragazzina, spero che la mia presenza sugli schermi e nelle riviste ti porti a un percorso simile. Che sentirai confermata la tua bellezza esteriore ma capisca anche che la vera bellezza è quella dentro ognuno di noi. E quella bellezza non ha tinte.» •
oscar Hattie McDaniel è stata la prima afro-americana a vincere un Oscar (1940). Durante la cerimonia, dovette sedersi in una parte separata della sala: a quei tempi il razzismo imperversava a Hollywood. Il film è Via col vento (1939), Hattie era Mami. africa · numero 3 · 2014 51
Tempo di ,
Dak Art Per un mese Dakar sarà la capitale africana dell’arte contemporanea. E ospiterà i migliori scultori, pittori e fotografi del continente. Ecco chi farà gli onori di casa
L
a capitale del Senegal torna ad ospitare, dal 9 maggio all’8 giugno, Dak’Art, la Biennale d’arte contemporanea africana, una rassegna giunta all’undicesima edizione e che raduna i migliori artisti del continente. Nata nel 1990 con l’obiettivo di promuovere e far conoscere i più interessanti nomi africani della pittura, scultura e fotografia, Dak’Art (biennaledakar.org) è cresciuta nel corso del tempo, fino a diventare la più ampia e prestigiosa vetrina dell’arte nera. L’edizione di quest’anno è stata curata da tre grandi personalità della cultura afro: l’algerino Abdelkader Damani (responsabile della sezione Nord Africa), il nigeria-
ik La suorag èdunea icelebbrae tsuora-artista (vedi Africa 1/2013, icone Annemarie Dien i dipinti su batik e le no so à lit ia ec sp e su rmata pagg. 74-75). Le llerie e chiese. Si è fo ga in ne po es e ch , io religiose a ol s di Parigi. ure des arts appliqué rie pé su le na tio na le all’Éco
africa · numero 3 · 2014 53
cultura
testo di Paola Marelli
La storia di Thando Hopa, sudafricana albina che, per combattere pregiudizi e ignoranza, ha messo da parte la laurea in legge per posare come fotomodella
La moda si tinge di bianco L
e copertine delle riviste patinate: quale miglior canale per combattere pregiudizi e ignoranza? Thando Hopa, ragazza albina nata in Sudafrica, ha messo da parte la carriera di avvocato per portare avanti la sua battaglia nei panni di fotomodella. «È solo un modo diverso per continuare a difendere i diritti civili», spiega lei. «E denunciare l’emarginazione a cui sono condannati gli albini nella nostra società». In tutta l’Africa le persone affette
da questa malattia genetica (caratterizzata dalla carenza di melanina) sono discriminate e maltrattate, nella scuola come nel lavoro.
Battaglia di civiltà I più sfortunati sono uccisi dalla superstizione, massacrati e fatti a pezzi. «È ancora diffusa l’agghiacciante credenza secondo cui gli organi degli albini sarebbero utili a realizzare talismani miracolosi», chiarisce Thando, splendida figlia dell’Africa, che
certo non passa inosservata con la sua pelle bianchissima, i capelli biondi e gli occhi color ghiaccio. «Non provo paura né imbarazzo a posare davanti all’obiettivo di un fotografo o a sfilare su una passerella: la mia è una battaglia di civiltà». In lingua xhosa gli albini vengono chiamati magona, che significa “scimmia”. Ma qualcosa sta cambiando. L’anno scorso, Refilwe Modiselle, altra modella albina originaria di Soweto, è stata ingaggiata per
una campagna pubblicitaria dalla Legit, colosso della moda sudafricana (vedi articolo su Africa 1/2013). La sua immagine, fiera e sorridente, apparsa sui manifesti nelle grandi città, ha creato scandalo. Proprio come le foto di Thando Hopa pubblicate sulle copertine di riviste femminili e di moda. «Ci vorrà del tempo, ma guardandomi la gente si abituerà all’idea che anch’io sono normale», commenta lei. «E allora vivremo tutti in un mondo migliore». • africa · numero 3 · 2014 57
cultura
testo di Edmondo Corelli
Nel 1914 veniva pubblicato Tarzan delle Scimmie, un romanzo d’avventura destinato a plasmare l’immaginazione di milioni di bambini di tutto il mondo. Nessuno si aspettava che quel libro sarebbe diventano uno dei titoli più famosi del XX secolo
Un secolo
Compie cent’anni il celebre personaggio che
«E
ra in grado di fare balzi di sei metri nell’aria fino all’altezza vertiginosa delle cime degli alberi e afferrare, con la massima precisione e senza alcun urto visibile, i rami che fluttuavano selvaggiamente incontro a un tornado in arrivo». Così lo scrittore statunitense Edgar Rice Burroughts nel 1912 descriveva su una rivista di fumetti, All-Story Magazine, l’immaginario uomoscimmia che avrebbe fatto la sua fortuna. Due anni dopo, quel personaggio diventò il protagonista di un best seller, Tarzan delle Scimmie, primo romanzo di una fortunatissima saga letteraria e cinematografica ambientata nel cuore dell’Africa.
62 africa · numero 3 · 2014
con Tarzan
ha veicolato l’immagine dell’Africa selvaggia A cent’anni della pubblicazione di quel libro, mentre esce in 3D l’ultima rivisitazione delle avventure del cucciolo d’uomo cresciuto nella giungla, l’intramontabile Tarzan viene celebrato con mostre e convegni in varie parti del mondo. E non mancano riletture critiche e analisi sociologiche di un’opera letteraria che ha
Tra gli indimenticabili interpreti della storia del leggendario re della giungla, ricordiamo Johnny Weissmuller e Maureen O’Sullivan che, rispettivamente, hanno interpretato il ruolo di Tarzan e Jane
segnato l’immaginazione di milioni di bambini di tutto il mondo. «La saga di Tarzan può essere considerata a pieno titolo capostipite dell’avventura esotica nell’Africa incontaminata e misteriosa», spiega Patrizia Canova, esperta di didattica del cinema. «I protagonisti di queste avvincenti storie, eroi africa · numero 3 · 2014 63
sport
testo di Pierre Yambuya
Cinque nazionali africane scenderanno in campo in Brasile per accarezzare il sogno di una vittoria storica. Ecco i giocatori da tenere d’occhio
Le ambizioni e i campioni dell’Africa ai Mondiali di calcio
Obiettivo
BRASILE 66 africa · numero 3 · 2014
sport
La squadra africana più forte sulla carta è la Costa d’Avorio guidata delle belle soddisfazioni ai suoi tifosi. Camerun e Ghana hanno il girone
D
al Golfo di Guinea salpano le speranze dell’Africa del pallone: quella che un tempo veniva chiamata Costa degli Schiavi - dai suoi porti partivano le navi negriere dirette in America - è diventata una fucina di fuoriclasse del calcio. A confermarlo è il fatto che in quella regione si trovano quattro delle cinque nazioni del continente che si sono qualificate alla fase finale dei Mondiali di calcio: Costa d’Avorio, Ghana, Camerun e Nigeria (la quinta è l’Algeria).
Obiettivo semifinale Nessuna delle nazionali africane in corsa alla più importante competizione calcistica, che si disputerà dal 12 giugno al 13 luglio, crede davvero di potere alzare la Coppa del Mondo. Il divario tecnico e tattico 68 africa · numero 3 · 2014
con le squadre europee e sudamericane appare ancora eccessivo. Ma se i bookmaker puntano tutto sul trionfo finale del Paese ospitante, il Brasile - con qualche chance di vittoria concessa a Spagna, Germania e Italia -, i giocatori africani non hanno certo l’intenzione di fare i turisti a Copacabana e faranno di tutto per centrare dei risultati storici: conquistando, per esempio, la prima semifinale della storia. E giunti a quel punto, si sa, può accadere di tutto…
Soprannomi I Leoni Indomabili
CAMERUN
Per il Camerun sarà la settima partecipazione ai Mondiali, dal 1982 a questa parte: un record assoluto per il calcio africano. Ma la qualificazione a Brasile 2014 è stata più difficile del previsto. Segno che i Leoni Indomabili allenati dal tedesco Volker Finke sono un po’ in affanno: problemi di età e di qualità. Il sorteggio dell’urna non è stato benevolo: è toccato un girone di ferro guidato dal Brasile. Ma il Camerun ha sempre lasciato il segno al Campionato del Mondo, vincendo contro ogni pronostico partite che sembravano impossibili.
Miglior piazzamento Nel 1990 è stata la prima squadra africana a raggiungere i quarti di finale di Coppa del Mondo, eguagliata poi dal Senegal del 2002 e dal Ghana nel 2010. Avversari Brasile, Croazia e Messico (girone E) Top-Player Samuel Eto’o, eroe nazionale, capocannoniere di sempre (55 goal), ex campionissimo di Inter e Barcellona, il trentaduenne leader della squadra, infaticabile lottatore, è stato decisivo con i suoi goal per conquistare la fase finale dei Mondiali. Farà sentire ancora i suoi artigli.
viaggi
testo di Luciana De Michele
LA REGATA DI SAINT LOUIS Sfida di remi e amuleti sulle acque del fiume Senegal. Ogni autunno centinaia di pescatori-rematori di etnia lebu danno vita ad una gara avvincente che scuote l’ex capitale senegalese. Un evento in cui sport e fede si mescolano e si confondono 72 africa · numero 3 · 2014
I
l ponte traballa, la gente straripa dai suoi lati e si accalca per affacciarsi sul fiume. Centinaia di gambe penzolano a pochi metri dall’acqua, mentre la folla sulla spiaggia saluta con urla e percussioni l’entrata in scena delle prime piroghe. Fino all’ultimo, le imbarcazioni sono rimaste nascoste sotto dei teloni, in attesa del giorno della Regata. «Abbiamo iniziato a rimetterle in sesto un mese fa», spiega Abdou Fall, segretario dell’associazione sportiva che promuove l’evento. «Ogni anno bisogna ristrutturarle, ridipingerle
e scrivere sopra gli scafi i nomi dei padrini: politici locali che ne finanziano la messa a nuovo». La Regata di N’Dar (il nome originario di Saint Louis) risale alla fine del secolo scorso, quando i coloni francesi facevano competere i pescatori locali in occasione di feste o eventi importanti. «Dopo l’indipendenza abbiamo continuato la tradizione», racconta Amadou Ndiaye, presidente della Commissione della Regata. «È l’evento dell’anno più importante e atteso nella nostra città. I rematori si allenano per mesi e durante la
gara si contendono il trofeo restando in piedi per dare sfoggio della loro abilità».
Magia e preghiere Doudou Ndiagne è stato ingaggiato da un equipaggio come fornitore ufficiale di gris-gris, i tradizionali talismani senegalesi, fatti di ossicini, conchiglie e pietruzze magiche. «Ogni squadra nasconde il proprio portafortuna nella piroga per scacciare il malocchio e ogni concorrente ne porta uno personale attaccato al braccio per aumentare la forza durante la gara», rivela indicando un minuscolo cuscinetto scu-
chiesa in africa SUD SUDAN
Non è per questo che abbiamo votato
«Questo non è il futuro per il quale la popolazione ha votato. Il popolo ha votato per vivere in pace e in comunione di amore con tutti, come fratelli e sorelle del popolo di Dio»: è così che South Sudan Council of Churches si rivolgono ai responsabili del giovane Paese africano. Nonostante l’accordo di cessate-ilfuoco siglato lo scorso 23 gennaio, infatti, la situazione in Sud Sudan a quasi tre anni dall’indipendenza, resta molto critica. . «L’attuale crisi non potrà mai essere risolta con mezzi militari», affermano i leader religiosi. «Al contrario, la guerra prolunga e aggrava questa indesiderabile condizione. La parti in conflitto devono quindi porre gli interessi del popolo al di sopra delle loro ambizioni personali». Purtroppo, gli appelli delle Chiese, che pure sono state protagoniste del processo che ha portato all’indipendenza, sono stati ignorati dai leader politici del Paese, che non hanno rinunciato alle armi.
74 africa · numero 3 · 2014
a cura di Anna Pozzi
BENIN • UNA CHIESA NEL
L
a Basilica di Ouidah è nata dall’unione tra i missionari cattolici e i seguaci del vodù. La storia, o perlomeno questa versione della storia, la si racconta dalla piazza che separa la chiesa cristiana dal Tempio dei Pitoni di Dangbéhoué, luogo sacro della religione tradizionale nata nell’antico piccolo regno di Xwéda. Soltanto pochi metri li separano e le due fedi, entrambe ufficiali e molto rispettate in Benin, coesistono pacificamente da secoli. I fondatori della basilica furono due missionari della Società delle missioni africane (Sma), i francesi
Louis Dartois e François Steinmetz, giunti a Ouidah alla fine dell’Ottocento. Il terreno individuato per erigere la chiesa principale si trovava di fronte al principale tempio vodù - quello che ospita l’animale più venerato della città, il pitone imperiale. I missionari andarono a incontrare i guardiani del tempio per ottenere la loro autorizzazione a costruire la casa del Signore a pochi passi dal luogo sacro della religione tradizionale. «Siete coraggiosi - fu risposto loro -, siete venuti fin qui, nel nostro Paese e fino al nostro tempio. Potrete avere il terreno che desiderate. Ma prima,
KENYA UN PAESE SICURO PER LE FUTURE GENERAZIONI «Facciamo appello al Presidente e alle principali agenzie governative perché intensifichino gli sforzi per garantire un Paese sicuro per le attuali e future generazioni». È l’appello lanciato dal cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi, a nome dei leader delle principali confessioni cristiane del Kenya. Un appello che segue a una serie di attentati attribuiti al gruppo terroristico somalo Shabaab, ma che fa riferimento anche a una generale situazione di violenza e insicurezza che interessa in particolare la capitale keniana. Il cardinale ha chiesto inoltre alle forze dell’ordine di condurre le operazioni in modo da «preservare la dignità della vita che deve rimanere una priorità».
dovrete trascorrere un periodo di tempo qui con noi, nel tempio, e osserverete le nostre credenze e i nostri usi». I missionari accettarono la sfida e vissero per qualche tempo con i sacerdoti del vodù. Ottenuto il terreno, furono gli stessi dignitari a essere affascinati dalle tecniche di costruzione della chiesa e furono colpiti nel vedere nascere un edificio così imponente. Si narra che tutta la popolazione della città, cristiani e vodunsì (addetti del vodù) partecipò ai lavori con zelo e dedizione. Furono gli addetti del vodù a percorrere chilometri a piedi verso il
REGNO DEL VUDÙ mare per andare a prendere acqua e sabbia. Al completamento dei lavori nel 1909, l’attuale basilica era la prima grande chiesa del Benin e la prima cattedrale dell’Africa occidentale. Ouidah fu il punto di partenza dell’evangelizzazione anche al di là dei confini, in Nigeria, in Togo e in Niger. Oggi la basilica, da poco ristrutturata e dipinta di grigio, rappresenta un monumento vivente, carico di un capitolo memorabile della storia del cristianesimo, e in particolare del cattolicesimo e delle buone relazioni tra comunità tradizionali e comunità cattolica. Céline Camion
CENTRAFRICA
Vincere le violenze interreligiose con la scopa La Repubblica Centrafrica sta vivendo un momento difficile con morti, sfollati e rapimenti. Tra questi, ricordiamo il vescovo di Bossangoa, rapito il 16 aprile assieme ad altri due sacerdoti da uomini del Seleka. Il prelato e i sacerdoti sono poi stati abbandonati vicino a una città, al confine con il Ciad. Per arrivare a una convivenza pacifica di musulmani e cristiani, una Ong internazionale, la Organization for Migration, ha intrapreso un’originale iniziativa: vincere l’odio con la scopa. Facendo lavorare i cittadini gomito a gomito
per ripulire la capitale, Bangui, la Ong spera di riavvicinare la popolazione al di là delle divisioni religiose, superando i limiti di una presenza militare rinforzata, ben lontana dal riportare la pace nel Paese. «Alla base dell’iniziativa, c’è la convinzione che, visto da vicino, l’altro non appaia più così diverso da noi», spiega il responsabile del progetto, Mecson Wadaye. « Un centinaio di giovani partecipa al progetto e provengono da orizzonti e comunità religiose diverse. Concretamente si procede a lavori di pulizia, ma l’obiettivo va oltre e consiste ad avvicinare le comunità. È facendo lavorare insieme cristiani e musulmani che vivono in questa zona che speriamo di alimentare la coesione sociale».
NIGERIA/CAMERUN
Boko Haram senza confini Il rapimento di due Fidei Donum italiani della diocesi di Vicenza, don Gianantonio Allegri e don Giampaolo Marta, a inizio a aprile nel Nord del Camerun; il sequestro di centinaia di ragazze in una scuola femminile nello Stato del Borno; l’attentato in una stazione dei bus di Abuja, con un centinaio di morti... La strategia del terrore di Boko Haram non conosce confini. E non solo perché è tornata a colpire nel vicino Camerun dove, dopo il rapimento di una famiglia e di un sacerdote francesi, sono stati sequestrati due missionari italiani e una religiosa canadese. Ma anche perché il gruppo terroristico prende di mira sempre di più obiettivi civili, arrivando a colpire il cuore della capitale nigeriana. L’agenzia missionaria Fides ricorda che “l’area dove si trova la diocesi è da tempo al centro di un vasto traffico di esseri umani, e in particolare di bambini”. L’avvicinamento delle elezioni può essere una delle spiegazioni. L’altra, la drammatica impotenza delle forze dell’ordine nigeriane. • africa · numero 3 · 2014 75
togu na - la casa della parola lettere Chi l’ha visto? cultura
testo di Leonard Patasserie
Le donne formose raffigurate nei suoi quadri sono un omaggio alla generosa prosperità delle donne africane. «L’ispirazione mi è venuta viaggiando su un bus...»
LUANDA, POLLASTRI IN MOSTRA
Augustin Kassi, al lavoro nel suo studio di Abidjan. Il pittore ha creato una fondazione, Art Monde, con l’obiettivo di promuovere l’arte e la cultura tra i giovani. fondationartmonde.org
Costa d’Avorio, i morbidi ritratti di Augustin Kassi, il Botero dell’Africa
La bellezza delle curve
S
eni prosperosi, visi tondeggianti, fondoschiena strabordanti. Le donne di Augustin Kassi, 48 anni, pittore della Costa d’Avorio, sono gioiosamente esagerate. Le loro morbide curve ricordano quelle delle opere di Fernando Botero, l’artista colombiano divenuto celebre in tutto il mondo per le sue figure extralarge. «In verità, l’ispirazione mi è venuta un paio di anni fa mentre viaggiavo stipato su un minibus locale diretto al mio villaggio», spiega Kassi che disegna in un laboratorio di Abidjan. «A un certo punto salì a bordo una signora molto grassa e il controllare le intimò di pagare due biglietti invece di uno. Scoppiò un’animata discussione dai risvol-
ti grotteschi. Decisi che quella signora corpulenta meritava un ritratto». Da quel momento Kassi ha voluto rendere omaggio alla generosa bellezza delle donne africane.
Orgoglio XXL Le signore ritratte nei suoi quadri appaiono raggianti, serene, orgogliosamente procaci. Non mostrano alcun imbarazzo nell’ostentare quei fisici sovrabbondanti. «Nella nostra cultura, i chili di troppo non sono un problema: sono una virtù», ricorda l’artista. «Le donne in carne sono considerate in salute. In Costa d’Avorio non c’è l’ossessione per la bilancia. Anzi, il peso corporeo è proporzionale alla prosperità di una
persona». Le sue matrone africane, piene e colorate, hanno conquistato critica e pubblico (anche femminile) all’ultima Biennale internazionale delle Arti Naif di Abidjan. La Bbc ha dedicato all’artista ivoriano un servizio pieno di elogi. Le foto dei suoi ritratti hanno spopolato in rete. Da Europa e Stati Uniti sono arrivati i primi ordini da collezionisti e gallerie. Segnali di svolta? Il Botero dell’Africa preferisce restare piantato con i piedi per terra. «Non mi interessa arricchirmi né diventare famoso: mi basta poter vivere con l’arte». • L’anno della fotografia Il fervore dei fotografi africani quest’anno potrà mettersi in mostra in tre vetrine d’eccezione: la fiera d’arte sudafricana FNB Joburg Art Fair (22-24 agosto - fnbjoburgartfair. co.za), la Biennale di fotografia africana in Mali Rencontres de Bamako (a novembre rencontres-bamako. com) e il salone etiope Addis Foto Fest ( a dicembre addisfotofest.com).
La scena artistica di Luanda è in fibrillazione. Ogni giorno la capitale angolana ospita vernissage, aperitivi letterari, inaugurazioni di mostre o nuove gallerie d’arte. All’ultima Biennale di Venezia, il padiglione dell’Angola, capitanato dal fotografo Edson Chagas, ha vinto il Leone d’Oro: il riscatto definitivo di un Paese rimasto isolato per decenni a causa della lunga guerra civile terminata solo nel 2002. L’uomo simbolo di questa rinnovata fertilità creativa si chiama Binelde Hyrcan, le cui installazioni sono contese da decine di gallerie in Africa ed Europa. Artista poliedrico formatosi in Francia e Principato di Monaco, Hyrcan è rientrato a Luanda per contribuire al rilancio culturale del Paese. Oggi lavora e vive alla Ilha do Cabo, la lingua di sabbia che si protende nella baia della capitale: una località modaiola piena di locali notturni che fanno tendenza. «Traggo ispirazione dall’energia vibrante di questa città». I protagonisti delle sue opere, che lo hanno reso famoso a livello internazionale, sono decine di pollastri e galli imbalsamati e agghindati come esseri umani.
africa · numero 2 · 2014
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19/04/14 11:03
È pura demagogia terzomondista accostare (nell’articolo La bellezza delle curve, Africa 2/2014) il nome dello sconosciuto Augustin Kassi, pittore di Abidjan, con il grande artista colombiano Fernardo Botero. Chi ha mai visto un quadro di questo Kassi al Louvre, al Metropolitan Museum di New York o al British Museum di Londra? Gianluigi Battaglia Torino Gentile lettore, è una questione di punti di vista, o forse è solo un problema di miopia. Chi ha mai visto un’opera di Fernardo Botero nelle gallerie o nelle mostre d’arte di Abidjan, Città del Capo, Luanda, Lagos o Addis Abeba: lì i quadri di Augustin Kassi sono i pezzi forte di ogni vernissage. Leonard Partasserie (autore dell’articolo)
l’avete ficcato??? Dobbiamo fare una colletta per procurarvi una cartina corretta del Paese più bello del mondo? Tornando seria, mi piace veramente come trattate gli argomenti, soprattutto il volto nuovo, moderno, allegro, aperto dell’Africa, senza bimbi scheletrici, mosche ecc... E anche quando questo è necessario, dimostrate subito quanto si sta facendo o si può fare per rimediare. Questo è giornalismo giusto, equo e solidale! Un fraterno forte abbraccio. Suor Paola Vizzotto Grazie per la segnalazione! Nonostante tutta la nostra buona volontà, gli errori sono sempre in agguato. Non siamo perfetti e confondere nella mappa il Camerun con la Guinea non è un errore da poco! Chiediamo scusa, ringraziamo per i complimenti (sempre graditi). Vedremo di farci perdonare occupandoci di più e meglio del Camerun. Padre Paolo Costantini
Commosso dal contadino attualità
testo di Tamara Ferrari foto di Marco Garofalo
Burkina Faso, la storia di Yacouba Sawadogo e dei suoi diecimila alberi
«Ho con unafermato zappa»il deserto Nel cuore arido del Sahel un uomo ha speso la sua vita a piantare alberi. In quarant’anni ha creato foreste dove un tempo non c’era nulla. E oggi gli studiosi di tutto il mondo vengono a studiare la sua tecnica prodigiosa
Dov’è finito il Camerun? Vorrei farvi notare che sulla vostra bellissima rivista quasi mai parlate del Camerun, la mia terra di missione, e quando l’avete fatto a pag 3 del numero 1/2014... Dove
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a cura della redazione
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africa · numero 2 · 2014
«N
on importa quel che pensa la gente, se hai un sogno devi fare di tutto per realizzarlo. E se ti dicono che sei pazzo fai come me: vai dritto per la tua strada. Io ce l’ho fatta, puoi riuscirci anche tu». Yacouba Sawadogo, 67
anni, sa appena leggere e scrivere, ma parla con l’aria del saggio. Lavora la terra da quarant’anni, ma le sue mani non hanno calli. A metà degli anni Settanta, iniziò a piantare alberi nel deserto del Sahel e, in men che non si dica, fece nascere una foresta.
Nel 1982 arrivò nel suo villaggio il dottor Chris Reij del Centre for International Cooperation dell’Università di Amsterdam. Il professore, esperto in gestione del suolo e risorse naturali, rimase così colpito che nei mesi successivi fece arrivare esperti da tutto il mondo per studiare la tecnica usata da Yacouba. Lo invitarono a parlarne negli Stati Uniti, in Corea, in Svizzera e anche in Italia.
Una pazza idea
Abbiamo cercato Yacouba per raccontare la sua storia in vista della Giornata mondiale dell’acqua, il 22 marzo. Lo abbiamo visto sfrecciare nel deserto in abiti islamici su una fiammante Yamaha. Si è fermato e, seduto sotto un grande albero, ha iniziato a raccontare. «Sono nato in questo villaggio, Gourga. Questa terra era di mio padre. Quando avevo 7 anni africa · numero 2 · 2014
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Vi scrivo per ringraziare la rivista Africa e l’autrice Tamara Ferrari per uno splendido “regalo” che mi ha cambiato la giornata. Parlo dell’articolo Ho fermato il deserto con una
zappa apparso sull’ultimo numero. Una storia di lotta e di resistenza, ma anche di amore e tenerezza. Davvero mi ha commosso. Complimenti! Gianpaolo Petrucci, Roma
Venduti? Ho visto che avete cominciato a pubblicare pagine pubblicitarie: vi siete venduti al mercato? Ho paura che perdiate la vostra indipendenza per questioni di opportunismo economico. Sergio Vitali, Milano Gentile lettore, la rivista Africa vive grazie anzitutto al sostegno dei suoi abbonati. Non abbiamo finanziamenti pubblici. E la pubblicità - opportunamente selezionata ci permette di arricchire la nostra informazione offrendovi servizi e reportage di prima mano, realizzati dai migliori professionisti. Non scendiamo a compromessi sulla linea editoriale coi nostri inserzionisti pubblicitari. Chi decide di pubblicare una pubblicità su Africa conosce bene il nostro orientamento e la nostra determinazione a difendere la libertà dell’informazione. Voi lettori e abbonati avete il prezioso compito di vigilare sul nostro lavoro e sulla nostra correttezza: la vostra attenzione è la migliore garanzia che continueremo a lavorare liberi da ogni condizionamento. Padre Paolo Costantini
Che razza fi giornalisno Interessante l’editoriale sull’ultimo numero di Africa, a partire dal quale mi piacerebbe lanciare un dibattito. Noi, e intendo noi giornalisti che ci specializziamo nel seguire questioni africane, cosa possiamo fare e cosa in effetti facciamo per evitare che passi nell’opinione pubblica l’idea veicolata dall’informazione parziale o approssimativa? Scriverne, certo! Ma, spesso, a darci “diritto di tribuna” sono testate dalla circolazione troppo settoriale, che fanno un ottimo lavoro, ma in sostanza mantengono informati i già informati e non raggiungono nuovo pubblico. Mi chiedo se noi tutti non dovremmo fare lobby e rete, nei confronti del pubblico e degli editori, creare una sorta di cooperativa dei giornalisti africanisti italiani che faccia pressione perché questi temi vengano affrontati e allo stesso tempo fornisca le competenze perché si possa farlo. Altrimenti, forse, meglio il silenzio perché, per come i grandi media si occupano di Africa, c’è da farsi prendere dallo sconforto... A me succede ogni volta che sento parlate di Somalia, di Congo o di Boko Haram a partire solo dalle agenzie e con immagini di repertorio, ad esempio. Scusate lo sfogo e ditemi che ne pensate, se vi va. Davide Maggiore, Roma
n. 3 maggio . giugno 2014 www.missionaridafrica.org
Cristiani in Algeria Religioni e culture diverse all’ombra di Notre Dame d’Afrique Celebrare certe feste in un Paese musulmano non è sempre evidente. Padre Aldo Giannasi, rettore della Basilica Notre Dame d’Afrique, ci parla della Settimana Santa e altri eventi vissuti nella nota chiesa di Algeri Nel giorno del Venerdì Santo, la Basilica si riempie di cristiani. Quel giorno, infatti, la diocesi di Algeri invita tutti i fedeli a recarsi a Notre Dame d’Afrique per la Celebrazione della Croce. È un momento di preghiera vissuto da una comunità riunita per ascoltare e rivivere la Passione ed per esprimere la propria fede nel Cristo morto per la salvezza del mondo. I canti sono in arabo, in francese e in inglese, le lingue dei cristiani presenti. L’affluenza è facilitata anche dal fatto che, in Algeria, il venerdì è il giorno di riposo settimanale. I musulmani che lo desiderano, quindi, possono assistere al rito della
Venerazione della Croce dal fondo della chiesa. Quest’anno, poi, durante la Veglia Pasquale, la Basilica ha accolto un nuovo membro: un giovane studente universitario che ha scoperto Cristo e il Vangelo attraverso l’amicizia con un gruppo cristiano di Algeri, la comunità Shalom. Accanto a lui ci sono altre persone che frequentano la Basilica, uomini e donne che si sentono attratte dal Cristo e dal suo insegnamento. La mancanza di libertà religiosa a livello legislativo, come l’incapacità attuale della comunità musulmana di ammettere una scelta diversa dall’islam,
di Aldo Giannasi rendono quasi impossibile un’adesione pubblica al cristianesimo. Tante persone vivono il battesimo di desiderio, nella speranza di poter un giorno ricevere quello sacramentale. A riprova di questo, cito la traduzione letterale di una breve lettera ritrovata nella cassette delle offerte, cambiando solo i nomi delle persone: «Sono una figlia del Messia (Cristo). Offro me stessa e la mia vita al mio Signore Gesù, il Messia. Vi chiedo di pregare per me, Myriam, per la mia famiglia e in particolare per mia sorella Fatima. Domando a Nostra Signora d’Africa di benedirmi e di dare pace e concordia al mio Paese, l’Algeria. Myriam».
La Giornata mondiale della Donna
L’8 marzo scorso era la Giornata internazionale della Donna e l’abbiamo celebra-
padri bianchi . missionari d’africa
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