n.3 maggio-giugno 2013
anno 91
www.missionaridafrica.org
Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.
Sierra Leone
Nelle galere di Freetown RD Congo
Le ville di Mobutu
São Tomé
Il teatro di Carlo Magno Ruanda
Ciak a Hillywood
kenya
l’ultima tribù
informazioni
Africa promuove
concorso di fotografia
Tema del concorso
A. Vanni
Premio
Tradizione
africa rivista
@africarivista
A. Gandolfi
#africa un mondo di mondi
3ª
edizione
Premio
Modernità
Chi? Tutti coloro che ricevono la rivista Africa via abbonamento postale Cosa? Si partecipa con un massimo di 5 scatti, in formato digitale, a colori o in bianco e nero
Premio
Natura
Premio del
Pubblico
premi in palio 4 macchine fotografiche digitali 1 volume Sahara occidentale (EMI) 4 chiavette USB con Africa in PDF 4 buoni sconto per il prossimo Workshop Dialoghi sull’Africa (23-24 novembre 2013)
Come? Le fotografie vanno inviate via e-mail a: concorso@padribianchi.it Quando? Entro il 30 settembre 2013
Per regolamento completo, elenco premi e modalità d'iscrizione:
www.missionaridafrica.org
editoriale
di Paolo Costantini
Verso la speranza T
utti noi amici dell’Africa sognavamo un Papa africano… e abbiamo avuto Jorge Mario Bergoglio, un argentino. Quel timido «Buonasera» ha colto tutti di sorpresa e ha fatto soffiare sul mondo un’aria di primavera che ci fa guardare al futuro con rinnovato ottimismo. Anche il gesto di lavare i piedi a una donna musulmana, durante la celebrazione del Giovedì Santo, in una prigione di Roma, apre la porta alla possibilità di un incontro diverso tra l’Occidente e i popoli che abitano al di là del Mediterraneo.
Prospettive È ormai un luogo comune parlare dell’Africa come di un continente “senza speranza”. Eppure, se fossimo un po’ meno egocentrici, ci accorgeremmo di come l’Africa oggi sia al contrario il continente della speranza. Certo, milioni di persone lottano ancora per sopravvivere, ci sono ancora guerre civili, rifugiati, sfollati e famiglie distrutte. Però, con uno sguardo senza pregiudizi, scopriremmo un quadro diverso da quello al quale siamo abituati. La democrazia africana sta facendo il suo cammino,
pur con percorsi diversi. In Senegal, per esempio, la società civile ha obbligato Andoulaye Wade a rinunciare a un terzo mandato presidenziale. In Kenya le ultime elezioni - pur con carenze ed errori - non sono per nulla paragonabili a quelle del 2007 quando le violenze causarono un migliaio di morti e tanti sfollati. Dei 53 Paesi che contava l’Africa alla fine degli anni ’80, solo 3 potevano dire di avere una democrazia. Oggi il numero è salito a 25; e dei 55 Paesi attuali solo quattro non hanno ancora il multipartitismo e una costituzione: Eritrea, Swaziland, Libia e Somalia.
L’impegno sempre più attivo di semplici cittadini e di una variegata società civile, al di sopra delle religioni e delle tendenze politiche, ha fatto crescere la pace nel continente. Negli ultimi dieci anni i conf litti, alimentati spesso dall’esterno per il controllo delle ricchezze naturali e minerarie, sono diminuiti e alcuni sono in via di soluzione. Governi come quelli di Zambia e Ghana investono maggiormente gli introiti delle materie prime per nuove scuole e ospedali, anche se parte del denaro “si perde per strada” (come da noi, tra l’altro). Nonostante le statistiche
siano spesso inaffidabili, gli indicatori riportati dalle agenzie dell’Onu suggeriscono che lo sviluppo in Africa sub-sahariana ha fatto passi enormi, con un aumento anche della speranza di vita. Trovo emblematica la foto che pubblichiamo a pagina 55, vincitrice della 56° edizione del World Press Photo: una ragazza, seduta in una discarica nauseabonda, si concede un momento di lettura. No so che cosa stia leggendo, ma mi piace pensare che nel suo cuore vi sia la speranza per qualcosa di migliore nella vita. Per lei e per l’Africa intera. • africa · numero 3 · 2013
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sommario
lo scatto 4. Alta tensione Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) EditorE
Prov. Ital. della Soc. dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi dirEttorE rEsponsabilE
Alberto Rovelli
dirEttorE EditorialE
Paolo Costantini CoordinatorE
Marco Trovato wEbmastEr
Paolo Costantini amministrazionE
Bruno Paganelli
promozionE E UffiCio stampa
Matteo Merletto
progEtto grafiCo E rEalizzazionE
Elisabetta Delfini
dirEzionE, rEdazionE E amministrazionE
Cas. Post. 61 - V.le Merisio 17 24047 Treviglio (BG) tel. 0363 44726 - fax 0363 48198 africa@padribianchi.it www.missionaridafrica.org http://issuu.com/africa/docs
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copertina
40 Salviamo gli El Molo
di A. Salza e B. Zanzottera
attualità
3 6 Malindi addio 10 Ladri di virilità 12 Prigionieri a Freetown 19 Torture femminili 20 Benvenuti a Hillywood Africanews
CoordinamEnto E stampa
Jona - Paderno Dugnano
Periodico bimestrale - Anno 91 maggio-giugno 2013, n° 3
Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).
di Claudia Crisafulli
di Eleonora Pasqualini di Fernando Moleres
di Marco Trovato
società
26 Nero è bello 28 A tutta birra 32 Monopoli a Lagos 34 Miracolo a Gorongosa 38 La tribù fucsia di Irene Guadagnino di Renato Forcella
di Luca Spampinato
di Pedro Fernando Cândido
Africa rivista
@africarivista
di Daniele Tamagni
libri - musica
COME RICEVERE AFRICA per l’Italia:
Contributo minimo consigliato 30 euro annuali da indirizzare a: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) viale Merisio, 17 - 24047 Treviglio (BG) CCP n.67865782 oppure bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda Missionari d’Africa Padri Bianchi IBAN: IT 93 T 08899 53640 000 000 00 1315
per la Svizzera:
Ord.: Fr 35 - Sost.: Fr 45 Africanum - Rte de la Vignettaz 57 CH - 1700 Fribourg CCP 60/106/4
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24. A scuola Mali
70. Sotto attacco Egitto
cultura
50 Carlo Magno all’Equatore 55 Letture nella discarica di Marco Trovato
di Raffaele Masto
sport
a cura della redazione
di Elvire Atouba
foto
Copertina Bruno Zanzottera Si ringrazia Olycom
Togo
56 Brividi di divertimento 58 Sciare tra le dune di Alessandro Gandolfi di Catherine Hoffmann
viaggi
60 L’altro Senegal
di Claudio Agostoni
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storia
Nel castello di Mobutu di C. Six e G. Dubourthoumieu
chiesa
72 Il Missionario e il dottore 74 Notizie in breve togu na 76 vita nostra 77 di P. Marelli e F. Moleres A cura di Anna Pozzi
a cura della redazione
a cura della redazione
48 Libri e musica
di P. M. Mazzola e C. Agostoni
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news
a cura della redazione
Africanews, brevi dal continente 1 Swaziland, pugno duro del Re
4 Namibia e Botswana, binari nel Kalahari
7 RD Congo, attivisti in carcere
9 Sudafrica, soldati da esportazione
Arresti, minacce, cortei dispersi con la forza. Il Re dello Swaziland, Mswati III, ultimo sovrano assoluto d’Africa, in carica dal 1986, ha ordinato alla polizia di usare le maniere brutali per colpire oppositori politici, giornalisti e attivisti per i diritti civili.
Namibia e Botswana hanno raggiunto un accordo di investimento comune da 11 miliardi di dollari per la costruzione di una ferrovia che attraverserebbe il deserto del Kalahari. Secondo i governi di Windhoek e Gaborone, la ferrovia ridurrà i costi di trasporto del carbone e di altri minerali verso l’Atlantico e i mercati internazionali.
Dodici difensori dei diritti umani sono stati condannati da un tribunale congolese a 20 anni di carcere perché ritenuti colpevoli di «ribellione, incitamento all’odio tribale, associazione a delinquere». La loro colpa? Aver organizzato una marcia per denunciare la cattiva gestione dell’amministrazione pubblica. La protesta non si è mai tenuta poiché i 12 attivisti sono stati arrestati proprio alla vigilia dell’iniziativa.
Il presidente Jacob Zuma ha annunciato l’invio nella RD Congo (dove si trovano già mille soldati sudafricani) di un contingente militare per contrastare i gruppi ribelli attivi nell’Est del Paese. Il mese scorso almeno 13 militari sudafricani erano stati uccisi nella Repubblica Centrafricana in una battaglia con un gruppo ribelle alle porte di Bangui. L’episodio ha alimentato critiche all’indirizzo del governo di Pretoria e gettato un’ombra sul ruolo del Sudafrica come Paese di riferimento per le operazioni di peacekeeping in Africa.
2 Zimbabwe, verso le elezioni Nazioni Unite e Sudafrica presteranno allo Zimbabwe - in ginocchio per la prolungata crisi economica - 132 milioni di dollari necessari per organizzare le elezioni presidenziali e legislative previste quest’anno. Dopo le violenze post-elettorali del 2008, nel Paese è in carica un governo di unità nazionale formato dallo Zanu-Pf del presidente Robert Mugabe e dagli ex oppositori del Movimento per il cambiamento democratico (Mdc).
3 Tanzania, addio alla voce di Zanzibar Il taarab, la musica popolare nata a Zanzibar da un intreccio di influenze africane e arabe, non ha più la sua regina: Fatuma binti Baraka, nota con lo pseudonimo Bi Kidude, è scomparsa lo scorso 16 aprile, dopo quasi 90 anni di carriera, nella sua casa nell’arcipelago al largo della Tanzania.
5 Sudan/Sud Sudan, aria distesa Il governo di Khartoum ha avviato un negoziato con i ribelli del Movimento popolare per la liberazione del Sudan-Nord con l’obiettivo di porre fine al conflitto in corso nelle regioni frontaliere di Nilo Blu e Sud Kordofan. In fase di normalizzazione anche i rapporti tra il presidente Omar al Bashir e quello sud sudanese Salva Kiir Mayardit, impegnati a riallacciare rapporti di cooperazione tra Kharthoum e Juba.
8 Ruanda, opposizione alla sbarra La procura generale ruandese ha chiesto una con-
Fonti: Bbc, Jeune Afrique, Misna, Reuters
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6 Senegal, solo cipolle doc Il governo di Dakar ha bloccato l’importazione di cipolle dall’estero per favorire la produzione locale. Pattuglie di controllo sono state posizionate nel porto di Dakar per evitarne il contrabbando. Quest’anno il Paese conta di raggiungere una produzione record di 250.000 tonnellate.
danna a 25 anni di carcere per l’oppositrice Victoire Ingabire, agli arresti dal 2010. Condannata a otto anni di detenzione in primo grado nell’ottobre scorso, la capofila del Fronte democratico unificato (Fdu) deve rispondere dell’accusa di cospirazione contro le autorità e apologia di genocidio.
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lo scatto
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testo di Francoise Gutiérrez foto di Daniel Hayduk/Afp
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omé. La polizia disperde un raduno dell’opposizione. Lo scorso 16 aprile un ragazzo di 12 anni è rimasto ucciso in una manifestazione degenerata in tafferugli con le forze di sicurezza. Da settimane l’ex colonia francese - alle prese con la recessione economica - è in subbuglio per proteste nei settori scolastico e sanitario. La maggioranza dei sei milioni di cittadini vive nella povertà. Il Paese è governato dal presidente Faure Gnassingbé (succeduto nel 2005 al padre, rimasto al potere per 35 anni), i cui modi autoritari sono denunciati dai giornalisti (in sciopero per protesta contro la mancanza di libertà) e dai leader dall’opposizione (più volte arrestati e incarcerati). In vista delle elezioni legislative, entro fine 2013, la tensione è destinata a crescere. •
alta te
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attualità
testo di Claudia Crisafulli
Malindi
Più criminali, meno turisti: si appanna il mito Per decenni è stata meta di fughe esotiche, rifugio prediletto di pensionati, vip e fuggiaschi, paradiso per imprenditori. Ma oggi il sole delle coste del Kenya non scalda più il cuore degli italiani
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anno lo sguardo mesto e rassegnato i beach boys che ciondolano tra le palme di Malindi. I turisti in spiaggia si contano col contagocce, gli affari latitano per gli irriducibili mercanti di souvenir, safari e sesso. «Meno trenta per cento di prenotazioni in pochi mesi», riferisce l’agente di 6
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un tour operator. «Colpa della recessione, dell’Imu, dello spread, dell’Agenzia delle Entrate… E, soprattutto, colpa dei delinquenti che terrorizzano la gente».
Cronaca nera La località keniana più amata dagli italiani, sinonimo di vacanze spensierate, oggi fa paura. Un’ondata di insicurezza e di violenza si è abbattuta come uno tsunami sui suoi resort lussuosi bagnati dalle acque turchesi dell’oceano Indiano. L’ex
addio
della Little Italy africana paradiso africano - buen retiro per vip, pensionati e fuggiaschi del Belpaese - è diventato “insicuro”. La Farnesina raccomanda di «esercitare la massima cautela e di adottare ogni utile misura per ridurre al minimo l’esposizione al rischio di atti ostili». Precauzioni più che mai giustificate. Lo scorso marzo un commando di sei persone incappucciate ha assaltato con pistole e machete un gruppo di ville private per derubarle. Un italiano è stato ferito a colpi d’arma
Un angolo di paradiso costa mille euro al metro quadro. Ma non tutti riescono a vivere di rendita…
da fuoco, un altro è stato accoltellato a una mano. Poche settimane prima, in un resort a Watamu Bay, una turista bresciana era sopravvissuta per miracolo dopo essere stata colpita alla testa da una pallottola durante una rapina. A novembre altri tre nostri connazionali furono malmenati e feriti da una banda criminale. Non c’è pace per le coste del Kenya, già sconvolte da recenti scontri tribali, rivolte a sfondo politico (nella vicina Mombasa), raid armati
e rapimenti di turisti (attuati a Lamu dai terroristi somali). Una marea di brutte notizie che ha deturpato l’immagine rassicurante del luogo-simbolo del relax da cartolina.
Enclave italiana Gli hotel hanno ricevuto una pioggia di disdette, le compagnie low cost hanno dilatato i loro voli, i villaggi orlati di palme si sono svuotati di vacanzieri. A Malindi sono rimasti un migliaio di italiani residenti. Sono loro a gestire africa · numero 3 · 2013
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attualità
Taccuino
Malindi (in passato nota anche come Melinde) è la più antica città della costa keniana. Capoluogo dell’omonimo distretto, si trova sull’oceano Indiano, presso la foce del fiume Galana, circa 120 chilometri a nordest di Mombasa. A partire dal XIV secolo la città ha goduto di un periodo di forte sviluppo, legato anche al fiorire della tratta degli schiavi. Una delle piste carovaniere che attraversavano il Kenya arrivava proprio a Malindi. La piazza che ora si trova accanto alla vecchia moschea era il mercato degli schiavi e ha svolto questo ruolo sino agli inizi del XX secolo. L’esploratore portoghese Vasco da Gama fece scalo qui nel 1498 e ottenne i servigi di navigatori esperti che lo condussero fino al Kerala, in India. Oggi la maggioranza della popolazione locale vive di agricoltura (l’entroterra è fertile e ricco di acqua) e di pesca, ma l’economia della città è principalmente basata sul turismo (soprattutto italiano).
l’economia locale: alberghi, ristoranti, bar, agenzie di noleggio, discoteche, società di import-export, supermercati… Sui tetti in paglia delle case sventola il tricolore. Qui parlano italiano anche i cartelli
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stradali e i Masai. Alla domenica i televisori sono tutti sintonizzati sulle partite del campionato di serie A. «Se non fosse per il clima, sembrerebbe di trovarsi a Fregene o Rimini», dice un ristoratore. «Trent’anni
fa Malindi era un’oasi di pace, oggi è una cittadina caotica e volgare, dove la maleducazione regna sovrana. Io sono scappato da quella bolgia, ora vivo a Kampala in Uganda». Non ha cambiato idea Armando Tanzini, toscano, artista e uomo d’affari, patriarca degli espatriati italiani a Malindi. «Malgrado tutto è ancora un posto magico», ha raccontato in una recente intervista. «Quando si abbassa la marea e si alza il vento, verso sera, si va a casa degli amici per godersi il tramonto». L’aperitivo a bordo piscina, la movida nella piazzetta dell’Elefante, lo struscio sotto i portici di Lamu Road, le esposizioni all’Art Gallery, le feste senza freni in discoteca… La bella vita a Malindi continua. Ma il clima non è più lo stesso.
Dei 30mila italiani che ogni anno volano in Kenya, l’80% puntava su Malindi o la vicina Watamu. Prima delle violenze Tempi grigi «La pensione non basta più per stare in paradiso», mastica amaro un cliente del Karen Blixen Restaurant. La crisi morde anche in questo scampolo d’Africa. Vivere da espatriati costa
attualità
testo di Eleonora Pasqualini
Dalla Nigeria al Congo si moltiplicano le notizie di misteriose sparizioni o restringimenti di genitali maschili. Un fenomeno su cui indagano etnopsichiatri e antropologi
L’
ultimo episodio è avvenuto poche settimane fa a Douala, capitale economica del Camerun. Lo scorso 10 febbraio, nel principale mercato della città, un vecchio venditore di verdure è andato all’improvviso in escandescenze, sbraitando contro un cliente dall’aria frastornata. «Restituiscimi il pisello, mascalzone!», ha urlato il mercante. In pochi secondi l’uomo additato come “mascalzone” si è ritrovato accerchiato da una folla minacciosa. Solo il tempestivo intervento della polizia ha evitato che il poveretto finisse linciato. «Il presunto stregone - riferi-
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sce la stampa locale - è stato scortato dagli agenti fino al commissariato per un breve interrogatorio». Nessuno tra i testimoni oculari dell’accaduto ha messo in dubbio che l’ortolano dicesse la verità. Nessuno ha esitato ad accusare un perfetto sconosciuto - un malcapitato passante «dal fisico corpulento e la faccia pallida» - di aver compiuto un sortilegio facendo sparire i genitali dell’anziano mercante.
Magia o psicosi? In Africa, si sa, è diffuso il timore per le pratiche di stregoneria. Ma fa sempre un certo effetto leggere notizie di presunti fattucchieri
Ladri
In Africa serpeggia la
specializzati nel far sparire o nel restringere gli organi sessuali maschili. Ogni anno si registrano decine di fatti analoghi, che talvolta acquistano i contorni di una vera e propria epidemia di furore superstizioso. Nel 2008 la metropoli di Kinshasa, capitale della RD Congo, fu sconvolta da un’ondata di panico per i “ladri di pene”. Nei mercati si vendevano i talismani per proteggere il proprio fallo e nelle chiese i predicatori cristiani mettevano in guardia i fedeli dai fattucchieri che “svuotavano le mutande”. Ben tredici sospetti stregoni furono arrestati con l’accusa
di aver usato la magia per “sottrarre” o “far rimpicciolire” i falli di diversi cittadini. Nell’aprile del 2001 a Lagos, in Nigeria, furono massacrate e bruciate vive una dozzina di persone incriminate con identica accusa infamante. Nel novembre dello stesso anno i commissariati di polizia di Porto-Novo e Cotonou, nel confinante Benin, raccolsero decine di denunce di “vittime”, che giuravano di aver perso il pene o di essere diventate improvvisamente impotenti. I presunti autori del maleficio erano persone apparentemente normali, spesso straniere, la cui unica colpa era
A sinistra, promozione dell’uso del preservativo a Luanda, Angola. In mezzo, la mano di uno “stregone” con un amuleto a Lagos, Nigeria. Accanto, Lomè, Togo, un mercatino di feticci contro i furti di pene e altre disgrazie
di virilità
paura per i furti di pene stata di sedersi accanto, di sfiorare o di rivolgere un semplice sguardo ai loro accusatori.
Le indagini degli studiosi Da molti anni gli studiosi occidentali - per lo più etnopsichiatri e antropologi - indagano sul misterioso fenomeno delle “sparizioni” di membri virili in Africa. Già nel 1975 il dottor Sunday Ilechukwu riferiva sulla Transcultural Psychiatric Review di una ricerca condotta sulla scabrosa questione. «Tra il 1975 e il 1977 la Nigeria fu colpita da una vera pandemia di furti di pene che, dopo un periodo re-
lativamente tranquillo, ricominciarono nel 1990», raccontava lo scienziato. «All’epoca era frequente incontrare per le strade di Lagos uomini che camminavano con le mani in tasca per tenersi i genitali, senza nemmeno cercare di farlo discretamente». Più di recente, un’indagine della South African Society of Psychiatrist ha studiato una cinquantina di casi di “restringimento, scomparsa o sottrazione di genitali” con almeno 35 presunti ladri di peni uccisi dalla folla inferocita. Gli studiosi fanno rientrare il fenomeno nelle cosiddette culture-bound syndromes,
ovvero quell’insieme di disturbi e psicosi legati ai mutamenti e alle tensioni di una cultura ancestrale. Di certo negli ultimi anni - malgrado la globalizzazione e la modernità abbiano sconvolto tradizioni secolari - i furti di pene nelle metropoli africane non sembrano essere diminuiti. In Nigeria le autorità stanno tentando di frenare la valanga di denunce per “scomparse di genitali”. D’ora in poi i cittadini saranno chiamati a rispondere del reato di “procurato e ingiustificato allarme”. Toccherà a un giudice esigere di mostrare le prove in tribunale? •
Non solo in Africa Il terrore per i ladri di pene è più diffuso di quanto si creda, non solo nel continente africano. I primi casi di restringimento o sottrazione di genitali furono registrati nel 1874 in Indonesia, sull’isola di Sulawesi. Nel 1982 l’India fu colpita da una vera epidemia di furti di falli. Due anni dopo, circa 5mila abitanti della provincia cinese di Guangdong affermarono di essere rimasti vittime di un sortilegio che avrebbe compromesso la loro virilità. Del fenomeno parlano i testi classici della medicina cinese. E già dopo il Medioevo il Malleus Maleficarum, il più importante manuale di magia nera pubblicato in Europa nel Quattrocento, spiegava che le streghe potevano provocare la scomparsa del membro virile. Questo fino alla metà del Novecento, quando si parlava di emigrati italiani in Svizzera che temevano di perdere la virilità per colpa della stregoneria. africa · numero 3 · 2013
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attualità
testo a cura redazione foto di Fernando Moleres
Sarh Monserey - al centro della foto - è in carcere a Pademba dall’età di 13 anni, accusato di omicidio. Da sei anni è in attesa di giudizio. Nel 2007 era sceso al fiume con il suo migliore amico, successivamente annegato. I genitori del bambino hanno incolpato Sarh per la morte del figlio. Il prossimo 4 luglio potrà uscire di prigione dopo aver scontato la condanna per un reato mai commesso
Prigionieri
Reportage nel carcere di massima sicurezza Un fotografo spagnolo è riuscito a introdursi nelle celle di Pademba Road, che ospitano in condizioni disumane oltre 1300 detenuti: pericolosi criminali, delinquenti comuni e ragazzini innocenti 12
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a Freetown
della Sierra Leone
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attualità
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ntrare nel carcere di Pademba Road a Freetown è come varcare i cancelli dell’inferno. Lì dentro si materializzano i peggiori incubi di un uomo. Nessuno sano di mente vorrebbe infilarsi spontaneamente nei suoi corridoi fetidi e bui in cui sono ammassati 1.300 detenuti dall’aria minacciosa. Nessuno… tranne Fernando Moleres. Nel 2010 questo fotoreporter spagnolo ha ottenuto dalle autorità giudiziarie della Sierra Leone l’autorizzazione a documentare la vita nella più grande e pericolosa prigione del Paese. «Volevo rendermi conto in prima persona di cosa accadeva là dentro e mostrare al mondo le storie che si celavano in quelle celle avvolte nella penombra», racconta Moleres. «Ricordo ancora quando entrai per la prima volta nel carcere con la mia macchina fotografica, unico bianco circondato da una selva indistinta di neri che mi scrutavano coi loro occhi. La tensione era palpabile. Gli spazi erano angusti, maleodoranti, privi di igiene e di luce. Cibo e acqua scarseggiavano. I prigionieri, costretti a vivere in condizioni spaventose, dovevano lottare ogni giorno per non soccombere. I più deboli subivano abusi quotidiani».
Reporter-infermiere All’inizio la presenza di Moleres provocò sconcerto e curiosità tra i detenuti. Ma nell’arco di poche settimane il fotografo riuscì 14
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a conquistarsi la fiducia degli ospiti del carcere, anche grazie al suo passato di infermiere. «Cominciai a introdurre nelle celle un po’ di medicine per curare i problemi più comuni: dissenteria, scabbia, infezioni aggravate dalla malnutrizione. La situazione sanitaria era drammatica. Prima di diventare fotografo lavoravo in un ospedale… L’esperienza mi è servita a rendermi utile nel carcere». Moleres aveva il permesso di stare insieme ai detenuti
Nove guardie disarmate hanno il compito impossibile di controllare 1.300 prigionieri ogni giorno dal mattino al pomeriggio. In quell’arco di tempo ha avuto modo di scattare molte foto con la sua reflex, ma soprattutto è riuscito a entrare in confidenza con alcuni carcerati che gli hanno raccontato le loro terribili storie. Pademba è un carcere di massima sicurezza. In teoria dovrebbe ospitare i peggiori criminali della Sierra Leone. Nella pratica è pieno di piccoli delinquenti, per nulla pericolosi.
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testo e foto di Marco Trovato
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Ruanda, arriva il cinema!
A quasi vent’anni dal genocidio che sconvolse il “Paese delle Mille Colline”, nella capitale Kigali è nata una scuola di cinematografia. E ogni estate un festival itinerante porta i film nei villaggi più remoti
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l nome Ruanda evoca immagini di sangue e di morte. A distanza di quasi vent’anni dal genocidio del 1994, i fantasmi del passato tormentano ancora questa piccola e rigogliosa nazione incuneata nel cuore dell’Africa, divenuta suo malgrado un luogo simbolo dell’orrore e della follia umana. Eppure una nuova generazione di ruandesi, cresciuta all’indomani della carneficina, guarda al futuro con rinnovato ottimismo e spirito d’impresa.
A lezione di ciak Per averne conferma basta far visita nella capitale Kigali agli allievi del Kwetu Film Institute (kwetufilminstitute.com), la prima accademia consacrata alla cinematografia e alla comunicazione multimediale. A dirigerla è il cineasta Eric Kabera, un Tutsi scampato al genocidio poiché si trovava in esilio in Congo durante la mattanza, rientrato in patria con l’intenzione di dare il proprio contributo per la ricostruzione e riconciliazione del Paese. Nel 1997 Kabera ha realizzato un film
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I film da vedere Shake Hands With the Devil L’orrore del genocidio visto con gli occhi del generale canadese Romeo Dallaire, capo delle truppe Onu in Ruanda, impossibilitato a fermare il massacro per colpa dell’inerzia della comunità internazionale. Hotel Rwanda Nella primavera del 1994, Paul Rusesabagina, direttore del migliore albergo di Kigali, usa l’astuzia e il coraggio per dare rifugio e salvare da morte certa la sua famiglia e più di 1200 persone. Come Perlasca e Schindler. 100 Days I cento giorni qui raccontati sono quelli intercorsi tra il 7 di aprile 1994 (inizio del genocidio) e il 19 luglio (fine della guerra).La protagonista è una ragazzina tutsi presa in ostaggio e abusata da un prete cattolico hutu. 22
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di grande impatto emotivo, 100 Days, che racconta quei maledetti cento giorni della primavera del ‘94 quando le milizie estremiste hutu macellarono a colpi di machete ottocentomila persone (quasi tutti di etnia tutsi). Dopo aver usato la cinepresa per mantenere viva la memoria, Kabera avrebbe voluto raccontare il nuovo Ruanda: un paese dinamico, in pieno sviluppo, ricco di speranza e di giovani energie. Il regista ruandese voleva girare delle commedie. Ma i produttori e distributori occidentali non erano interessati a storie d’amore ambientate nel cuore dell’Africa: «per loro il Ruanda restava l’ambientazione perfetta per film intrisi di violenza e di sangue».
Fabbrica di talenti Kabera non si è scoraggiato. Dopo aver ottenuto il sostegno del governo e di alcuni sponsor privati, nel 2003 ha creato un’organizzazione locale - il Ruanda Cinema Centre - con la finalità di promuovere e sviluppare nuove produzioni audiovisive. Era un progetto temerario in un Paese dove esisteva un solo canale televisivo e dove gli unici film (rigorosamente americani e nigeriani) venivano proiettati nella sala conferenza di un hotel di lusso. Ancora oggi la tv ruandese trasmette solo programmi governativi e in tutto il Paese non esiste una sola sala cinematografica. Ma in dieci anni la creatura di Kabera è cre-
Vado a ViVere in
ruanda L’imprenditore, il ristoratore, l’insegnante e il volontario. Quattro storie di giovani italiani che hanno deciso di ricominciare una nuova vita nel cuore dell’Africa Di MARco TRovATo
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testo di Philippe Duagni foto di Sia Kambou/Afp
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itorno sui banchi di scuola per le studentesse di Gao, dopo la forzata sospensione delle attività scolastiche imposta dai miliziani del Movimento per l’unità e lo jihad in Africa occidentale (Mujao). La più grande città del nord del Mali, rimasta per mesi nelle mani dei terroristi, è stata riconquistata dalle truppe maliane e francesi, tuttora impegnate a sradicare la presenza jihadista nella regione. Nelle prossime settimane Parigi comincerà il ritiro dei propri militari, mentre l’ONU dovrebbe dispiegare nella regione una missione di peacekeeping entro luglio, in vista delle elezioni generali. •
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società
Nero è
testo di Irene Guadagnino
La guerra del make-up: parla la regina La ghanese Grace Amey-Obeng ha creato dal nulla un impero imprenditoriale fondato sulla cura e sulla valorizzazione della bellezza afro. Battendosi contro le creme sbiancanti
C
Capture your memory bank
on 100 dollari venticinque anni fa aprì il suo primo centro estetico ad Accra. Era un bugigattolo di lamiere con il pavimento in terra battuta, un paio di sgabelli, uno specchio di seconda mano. Oggi dirige un impero imprenditoriale che fattura dieci milioni di dollari all’anno e dà lavoro a più di cento persone. Grace Amey-Obeng, 55 anni (nella foto a destra), fondatrice e amministratrice del Forever Clair Group, è il volto femminile del boom economico del Ghana (la cui ricchezza nazionale cresce a ritmi impressionanti: +13% l’anno scorso), campionessa di management e regina indiscussa della cosmesi africana. Lavora dodici ore al giorno. Tra le sue molteplici attività, gestisce una rete di saloni di bellezza, un’accademia per estetisti e una fabbrica di cosmetici che esporta in otto nazioni africane e in Gran Bretagna (dove Amey-Obeng si
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è diplomata, giovanissima, in Beauty Therapy).
Made in Ghana «Alla fine degli anni Ottanta tornai da Londra per avviare la mia attività di estetista in Ghana», racconta l’imprenditrice alla Bbc, che le ha dedicato una puntata della trasmissione Africa Dream. «Ben presto mi resi conto che la gran parte delle mie clienti non poteva permettersi di acquistare i costosi cosmetici d’importazione... Alcune donne si fabbricavano da sé trucchi e creme artigianali, molte altre compravano al mercato prodotti non testati o di pessima qualità che spesso procuravano infezioni
società
testo di Renato Forcella
Il consumo della birra continua a crescere, complice il boom economico e demografico del continente. A sud del Sahara le multinazionali delle bevande si danno battaglia per dissetare milioni di potenziali clienti
A tutta birra
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società Leggi anti-alcol Ma qualcosa sta cambiando. Il Botswana è stato il primo Paese africano a lanciare una campagna per frenare l’abuso di birra tra i giovani (il consumo annuale pro capite è di circa 38 litri, quattro volte più alto della media africana). Nel 2009 il governo di Gaborone ha approvato una tassa del 30% sulle bevande alcoliche. «Non è divertente governare un Paese di ubriachi», ha tuonato il presidente Seretse Ian Khama, dimostrando coraggio nello scontrarsi con la Sab Miller, gigantesca multinazionale della birra, il cui valore di mercato (17 miliardi di euro) è pari a due volte l’intera economia del Paese. Anche il Kenya ha inasprito le leggi antialcol. A Nairobi da due anni è in vigore una norma che vieta di somministrare
bevande alcoliche fuori da rigide fasce orarie e nelle vicinanze delle scuole pubbliche. L’industria della birra sostiene che l’adozione delle nuove drastiche misure faccia più male che bene. «Il proibizionismo - fa sapere l’International Brewers Association - favorisce la diffusione di bevande di pessima qualità e rafforza la criminalità che controlla il contrabbando». In Botswana, in effetti, pare sia cresciuto il numero delle sheben, le tipiche bettole clandestine dove si vende alcol illegale a poco prezzo. Mentre in Kenya è aumentato il consumo di changa (bevanda ricavata dalla distillazione di grano, mais o sorgo), il cui tasso alcolico viene spesso aumentato con sostanze chimiche altamente pericolose per la salute dell’uomo. •
Sapori artigianali
Chiara, rossa, bruna, ambrata… Ogni Paese ha la propria birra nazionale, più o meno di qualità. Ma accanto ai marchi industriali, spesso a base di malto di orzo d’importazione, esistono svariate birre artigianali ottenute con ricette tradizionali da cereali e altri vegetali: in Etiopia ed Eritrea si usa il sorgo, in Camerun e Mali il miglio, in Zambia e Sudafrica il frumento, in Zimbabwe e Malawi il tabacco, in Sudafrica l’avena, in Mozambico la manioca, in Burundi e Ruanda le banane. In Ghana la SABMiller intende produrre una birra - la Eagle - a base di manioca.
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La mappa deLLe birre afriCane 02
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01 maroCCo Malgrado i diktat della religione islamica, i marocchini apprezzano molto la birra, introdotta dai francesi all’epoca coloniale. La Société des Brasseries du Maroc produce i marchi più popolari: Spéciale flag (una pilsner), Stork (chiara leggera) e Casablanca (di qualità superiore) e le birre Heineken. 02 benin La béninoise è la birra nazionale, in concorrenza con la flag e la Castel (prodotte in Nigeria dalla Sab Miller). Molto diffusa nel Nord è la birra di miglio chiamata Tchouk.
03 nigeria Il divieto di importare malto, in vigore dal 1990, ha obbligato i produttori di birra a utilizzare ingredienti alternativi reperibili sul posto, come il mais e il sorgo da cui si ottiene la versione locale della Guinnes. La Nigerian Breweries produce su licenza le birre Star, gulder, Heineken, Tiger bock e Kronenbourg, mentre la Mopa Breweries Ltd smercia la popolare one Lager. 04 Camerun Le birre più popolari si chiamano Castel e 33 export; il loro primato è insidiato dai marchi Beaufort, Mutzig e Guinness. Nel Nord del Paese è diffusa una birra a base di miglio chiamata bil-bil. 05 Congo La birra ngok, celebre per il coccodrillo nel logo, è molto diffusa a Brazzavile. A Kinshasa, nella vicina RD Congo, vanno per la maggiore le birre prodotte da Heineken, prime fra tutte la primus. Seguono altre birre famose: la Simba, la Skol e la Tembo.
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società
testo di Luca Spampinato
È da pochi mesi in vendita un’edizione speciale del Monopoli ispirata alla capitale economica della Nigeria. I giocatori si sfidano tra baraccopoli, quartieri lussuosi e strani imprevisti
Il celebre gioco da tavolo sbarca in Nigeria
Monopol «O
ra siamo anche noi una grande città, come Londra e New York!». A scrivermi è un amico nigeriano che non vedo da tempo. Allegata alla mail c’è una foto in cui si vede lui, radioso, mentre esibisce come un trofeo una scatola del Monopoli. «Me l’hanno regalata a Natale», spiega con l’innocenza di un bambino. Il celebre gioco in scatola, tra i più popolari svaghi del pianeta, è sbarcato an32
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che in Africa. Lo scorso dicembre la società Bestman Games Limited (che ha acquisito i diritti di diffusione dall’irlandese Hasbro, titolare del marchio) ha lanciato l’edizione City of Lagos, dedicata alla capitale economica della Nigeria, una delle più caotiche e popolose metropoli del continente. Conta circa 15 milioni di residenti con una densità di popolazione pazzesca: 12mila abitanti per chilometro quadrato.
Passione mondiale Nessun’altra città africana ha mai avuto questo onore. Le prime copie messe in vendita nei negozi sono andate a ruba. E già sono nati club e associazioni di giocatori che organizzano corsi e tornei. Le regole del gioco sono quelle di sempre: bisogna scambiare e acquistare proprietà terriere allo scopo di farle fruttare al meglio. Vince chi domina il mercato, ovvero realizza un “monopolio”, e
fa cadere in rovina gli avversari: uno spregiudicato elogio del capitalismo e della speculazione. Secondo la versione ufficiale raccontata dalla Hasbro, detentrice del copyright, il Monopoli fu inventato nel 1933 da un ingegnere disoccupato di Filadelfia, tale Charles Barrow. In realtà pare che, già trent’anni prima, una donna del Maryland di nome Elizabeth Mgia avesse ideato un prototipo del gioco (chiamato The Landlord’s Game). Di certo nell’arco di un secolo il Monopoli è diventato il gioco da tavolo brevettato più venduto al mondo: è stato giocato da almeno un miliardo di persone in 111 nazioni e 43 lingue. Da quando esiste sono state prodotte decine di edizioni diverse, ispirate a fumetti (Disney Monopoli), programmi televisivi (The
BAMBOLE AFRICANE Il tempo di Barbie volge al tramonto. La glo-
balizzazione ha sconvolto anche il mondo dei giochi per l’infanzia e oggi le nuove bambole in vendita nei grandi magazzini di Londra hanno la pelle scura e parlano lingue africane. La magnifica Ama ha origini ghanesi ed è in grado di ripetere semplici frasi in quattro lingue locali (twi, ga, ewe e krobo). L’amorevole Nuby, sbarcata in Inghilterra dal Sudafrica, sa esprimersi in zulu, xhosa, tswana e swazi. Altri 16 idiomi diversi sono utilizzati dalle coloratissime Shiroh (somalokeniana), Simbi (nigeriana) e Keza (Zimbabwe e Zambia). L’idea di fabbricare bambole africane in grado di riprodurre parole in molteplici lingue è venuta alla società britannica Rooti Creations (rootidolls.com). Le vendite (costo circa 50 euro) la stanno premiando.
i a Lagos Simpson Monopoli), automobili (Ferrari Monopoli) e svariate città di ogni parte del mondo.
Imprevisti nigeriani Lagos è l’ultima novità. Nel suo tabellone compaiono i nomi di luoghi, parchi e palazzi sponsorizzati
da banche, assicurazioni e centri commerciali. C’è la sede della borsa nigeriana, la stazione dei treni, l’aeroporto Mohammed Murtala. Al posto di Parco della Vittoria - il terreno di maggior valore nell’edizione italiana del gioco - c’è Banana Island, un’isola artificiale riservata ai milionari nigeriani e costellata da ville lussuose. Invece di Vicolo Stretto - il lotto meno pregiato per i giocatori italiani - compare Ma-
Giocolieri delle parole
I nigeriani sono grandi appassionati di giochi da tavolo. In particolare vanno pazzi per lo Scarabeo (Scrabble), il popolare passatempo che invita a trovare i vocaboli del dizionario che abbiano almeno una lettera in comune con le parole presenti sul tabellone. Vince chi scova le parole più lunghe e complicate. Perde chi non riesce a recuperare un termine corretto nel tempo assegnato. La Nigeria ha persino una Federazione nazionale giocatori di Scarabeo
koko, una baraccopoli di sgangherate palafitte abitate da 300mila persone. Chi finisce nella casella Prigione si ritrova dietro le sbarre di Kirikiri Jail, terrificante carcere di massima sicurezza, autentico incubo per i delinquenti nigeriani. Le carte degli Imprevisti sono un campionario significativo dei più comuni reati e infrazioni contestati dai poliziotti sulle strade di Lagos. “Resta fermo un
turno per guida spericolata: devi sottoporti ad un nuovo esame automobilistico”, si legge in una carta. “Paga un multa per aver cercato di corrompere un pubblico ufficiale”, dice un’altra. Terribile la terza: “Hai guidato contromano: finisci in clinica per un esame psichiatrico”. No, non è una licenza poetica del Monopoli: il nuovo codice della strada nigeriano, in vigore da pochi mesi, recita proprio così. •
(www.nigeriascrabble.com), con una quarantina di associazioni e almeno 120 club di amatori. In ogni parte del Paese si tengono tornei per giovani e adulti, i giocatori migliori si sfidano in un campionato. Lo Scarabeo viene praticato abitualmente nelle università e quest’anno è stato inserito dal ministero dell’Istruzione anche nelle scuole secondarie. La nazionale nigeriana di Scarabeo si è aggiudicata lo scorso dicembre i campionati africani di questa disciplina. africa · numero 3 · 2013
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testo di Pedro Fernando Cândido
Risorge in Mozambico il paradiso
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Miracolo a Gorongosa africa · numero 3 · 2013
perduto degli animali
Per decenni, bracconieri e ribelli hanno annientato impunemente la fauna selvatica nella savana del Mozambico centrale. Ma oggi un miliardario-filantropo statunitense è riuscito a ripopolare il Gorongosa National Park
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li ultimi ad arrivare sono stati una cinquantina di bufali provenienti dal Kruger National Park, in Sudafrica. Appena si sono ripresi dal viaggio, i guardaparco mozambicani li hanno condotti nella savana come già avevano fatto con gli altri animali importati nei mesi precedenti: i leoni, gli elefanti, le antilopi… I coccodrilli del Nilo invece vivevano già qui: assieme a poche specie di uccelli, erano le uniche bestie sopravvissute a decenni d’incuria e di barbarie.
L’arca di Noè Gorongosa - paradiso perduto e ritrovato d’Africa - si estende per 4mila chilometri quadrati nel cuore del Mozambico, in una zona di pianure alluvionali ricoperte dalla boscaglia, alle estreme propaggini meridionali della Great Rift Valley. La riserva fu creata dai portoghesi nel 1920, in piena epoca coloniale, con lo scopo di allietare gli amanti dei safari. Quarant’anni dopo divenne un’aerea protetta. Gli animali selvatici erano liberi di muoversi e riprodursi, il posto brulicava di vita. Un censimento effettuato nel 1962 contò
Greg Carr, 53 anni, miliardario americano, single e senza figli, ha deciso di investire il suo patrimonio nel parco di Gorongosa
200 leoni, 2mila elefanti, 14mila bufali, 6mila gnu, 3mila zebre, 2mila impala… «Regnavano incontrastati i grandi mammiferi e i grandi predatori», ricorda Vasco Galante, responsabile della comunicazione del parco. «Si raccontava che qui Noè avesse lasciato la sua arca dopo l’alluvione».
Campo di battaglia La bellezza selvaggia del luogo attirò da tutto il mondo moltissimi visitatori. Persino due stelle di Hollywood come John Wayne e Gregory Peck rimasero stregate dalla magia di Gorongosa. Ma nel 1977 il regno degli animali venne sconvolto da una africa · numero 3 · 2013
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La storia
Il Mozambico è diventato indipendente nel 1975 dopo cinquecento anni di occupazione portoghese. Nel 1977 è scoppiata la guerra civile tra Frelimo (il partito al potere, ex esercito di liberazione, spalleggiato dall’Unione Sovietica) e Renamo (movimento ribelle finanziato da Stati Uniti, Sudafrica e Rhodesia). Nel 1992 le due opposte fazioni hanno firmato gli accordi di pace di Roma (la Comunità di Sant’Egidio ha promosso il processo di pacificazione e riconciliazione nazionale). Dal 2005 Armando Guebuza, esponente del Frelimo, è alla guida del Mozambico, che sta vivendo una vivace fase di sviluppo economico e sociale.
terribile guerra civile che durò quindici anni (bilancio agghiacciante: quindici anni di violenze fratricide, un milione di morti, cinque milioni di sfollati, decine di migliaia di mutilati). La regione era una roccaforte dei ribelli della Renamo che combattevano l’esercito del Frelimo. Ben presto il parco si trasformò in un campo di battaglia. Gli animali si trovarono all’improvviso sotto il fuoco incrociato dei miliziani e dei militari governativi. I soldati delle opposte fazioni sparavano su qualsiasi cosa si muovesse: nemici da abbattere o animali da mangiare. Le mandrie furono falcidiate 36
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a colpi di kalashnikov, granate e mitragliatori. Con la fine del conflitto, nel 1992, Gorongosa divenne terra di nessuno. I bracconieri poterono agire indisturbati, facendo incetta di corni, pelli e zanne d’avorio. Al massacro parteciparono anche i cacciatori dei villaggi circostanti, alle prese con la carestia, in cerca di selvaggina con cui sfamare le famiglie. Nell’arco di vent’anni il 95% dei grandi mammiferi del parco scomparve per mano dell’uomo.
Un uomo audace Un’indagine condotta nel 2001 rivelò che alla mattanza erano sopravvissuti
solo una dozzina di zebre, quindici bufali, un unico esemplare di gnu, quaranta ippopotami. Iene e rinoceronti erano spariti. La fine di Gorongosa sembrava segnata. A cambiare il suo destino ci ha pensato un filantropo statunitense, Greg Carr, che si è messo in testa di ripopolare il parco e riportarlo agli antichi splendori. Mister Carr, 53 anni, originario dell’Idaho, è un tipo eccentrico e geniale. All’inizio degli anni Novanta guadagnò una valanga di soldi, quasi 200 milioni di dollari, vendendo alle multinazionali telefoniche un congegno per la posta vocale inventato da lui.
In breve tempo si ritrovò ricco sfondato. Lasciò il mondo degli affari e decise di dedicarsi a tempo pieno alla solidarietà. Non voleva fare beneficenza, ma creare un progetto di sviluppo. E desiderava gestirlo in prima persona. Nel 2004 Carr visitò il Mozambico e si innamorò della regione di Gorongosa. Quattro anni dopo ideò un progetto ambizioso per riaprire il vecchio parco e coinvolgere la popolazione locale nella sua gestione. Promise 40 milioni di investimenti, con cui convinse il governo di Maputo (bisognoso di finanziamenti per ripristinare il territorio devastato
società
testo e foto di Daniele Tamagni
tribù
Sudafrica, una curiosa moda giovanile colora le strade di Soweto Nell’ex ghetto di Johannesburg i giovani fanno a gara a ostentare gli abiti firmati più appariscenti e vivaci. Così si illudono di cancellare i vicoli polverosi e le baracche di lamiera
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ggi nella città di Soweto, cuore pulsante del nuovo Sudafrica, vivono 2 milioni di persone, unite dai problemi economici e occupazionali, ma anche dall’incontenibile desiderio di riscatto. Per molti giovani la rivincita
sociale ha le sembianze di un vestito griffato. Poco importa quanto costa, se proviene da una sontuosa boutique o da un magazzino che smercia abiti taroccati o rubati. Fondamentale è che non passi inosservato. Per questo centinaia di ra-
gazzi prediligono le camicie dai motivi floreali, le scarpe di vernice fucsia, i pantaloni e i berretti dalle tinte scioccanti. Il loro pittoresco look - una moda giovanile chiamata Izikhotane (letteralmente “mordimi”) - ha colorato
copertina
testo di Alberto Salza foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero
Un antropologo italiano si è trasferito sulle rive del lago Turkana, in una sperduta regione della Rift Valley, per tentare di salvaguardare l’antica cultura di un popolo di pescatori a rischio di estinzione
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El Molo Kenya, l’appello per preservare la più piccola tribù d’Africa africa · numero 3 · 2013
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Un villaggio sulla costa sudorientale del lago Turkana, che gli El Molo chiamano Bass Narok, cioè “Lago Nero”. Le capanne, fatte con foglie di palma dum, date le ridotte dimensioni e la forma arrotondata, resistono bene al forte vento della regione
ituato nel nord del Kenya, il lago Turkana vanta la più elevata “cronodiversità” al mondo. Il concetto è analogo alla biodiversità: laggiù, in un’area ristretta, si inciampa in fossili di 4 milioni di anni fa, si risale l’evoluzione umana, si incontrano graffiti rupestri, si aggirano tumuli preistorici e si vive accanto a uomini che hanno le piume in testa e la lancia. Con il cellulare all’orecchio.
Nella culla dell’uomo Una tradizione locale narra le origini dell’uomo: «Al tempo vi erano solo due esseri umani, senza case né vestiti. Erano come scimmie: avevano pure la coda. Un giorno litigarono
con le scimmie per il cibo; e persero la coda. Le scimmie giurarono che gliel’avrebbero restituita. Ma non l’hanno ancora fatto». Il mito introduce un concetto di sostanza per l’antropologia postmoderna: il cambiamento. Popolazioni e individui, al Turkana come altrove, vivono in un flusso di aggiustamenti di vita e cultura. Il cambiamento non sempre va a buon fine (gli uomini muoiono e le culture possono svanire), ma non è necessariamente una rovina. Il cambiamento è un modello di vita, lontano dai pii desideri degli antropologi del “c’era una volta”. Dato che la tradizione può rivelarsi un killer, il pro-
blema dell’antropologia applicata, quella degli “aiuti umanitari”, è pilotare il cambiamento per uno “sviluppo” a partire da e non verso dove. Per questo diedi ascolto a Michael Basili quando mi disse nel 1999: «Ormai la mia gente non ha più alcuna ragione per vivere. Preferisce lasciarsi morire».
L’identità perduta Basili è un esponente di spicco degli El Molo, una comunità di pescatori sulla via dell’estinzione culturale, se non fisica. È nota come la più piccola tribù d’Africa; nel Sunday Times del 19 ottobre 1958 apparve una fotografia che ritraeva gli El africa · numero 3 · 2013
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libri
di Pier Maria Mazzola
Il Concilio della nostra gente
L’esteta radicale Dal cuore di Fouad Laroui dell’Africa
Il vodu in Africa
La fortuna di Taxi Brousse - taccuino di un viaggio tra Benin, Burkina Faso e Mali fatto con i trasporti popolari - stava nella capacità dell’autore di “nascondere” il suo sguardo di antropologo dietro quello di un comune viaggiatore desideroso di lasciarsi sorprendere, e con penna di consumato narratore. Atteggiamento e scrittura che hanno fatto da modello ad altri diari di innamorati d’Africa. In questa quarta edizione Aime, dopo tanti viaggi africani, raddoppia i capitoletti di Taxi Brousse e lo fa all’insegna di una domanda quasi dolorosa: è possibile, ancora, stupirsi? L’anima umana si abitua a tutto, in fondo, e così in fretta… «Tutto mi sembrava un po’ scontato, stanco dopo tanti anni. Ora guardo i volti gioiosi dei bambini […] e mi sembra che abbiano qualcosa di diverso, di non visto».
Libro-intervista, a cura di don Domenico Romani, di uno degli ultimi padri conciliari viventi. José Maria Pires, novantaquattrenne in gran forma, è il primo vescovo afrobrasiliano ad aver preso coscienza della propria condizione di nero, che ha trasformato in strumento di lotta alla discriminazione razziale a partire dall’interno stesso della Chiesa che, parole sue, «è stata ed è razzista». Interessanti, tra le altre, le pagine in cui rievoca il caso della Missa dos Quilombos (1982), con musiche di Milton Nascimento, una liturgia eucaristica pensata in stile afrobrasiliano, che a Roma venne condannata anche dal cardinale beninese Gantin. «Non ha capito niente», dice di lui dom Pires, noto come “dom Zumbi”. Dieci anni dopo, la Missa trovava diritto di cittadinanza nella Chiesa.
Libri come questo contribuiscono alla dignità del genere “raccolta di racconti”. L’autore - marocchino, di professione economista oltre che scrittore di lingua francese (già candidato al premio Goncourt) - in queste otto piccole storie si rivela un maestro di ironia. La sua satira sociale si sviluppa in un crescendo a partire da microepisodi od osservazioni di alcuni amici seduti a un caffè di Casablanca. Una unità di luogo che non gli impedisce di allargarsi fino a Marsiglia e Amsterdam, o di intrecciarsi con questioni come la cattura di Saddam Hussein o Al-Qaeda. «Scrivo per denunciare situazioni che mi colpiscono. Per snidare la stupidità sotto ogni sua forma», ha dichiarato. E sa farlo con il giusto tono di levità, con una costante attenzione a una umanità fatta di singoli uomini e donne.
Studio che è frutto di un prolungato lavoro di campo, e già sono interessanti i cenni della ricercatrice (antropologa a MilanoBicocca) al suo non facile iter di inserimento negli ambienti vodu di Togo e Benin. Il vodu è «una religione […] dove la pratica prevale sulle elaborazioni discorsive». È inoltre proteiforme nelle sue manifestazioni. Per questo la ricerca si concentra su un filone specifico, il gorovodu, a sua volta suddiviso in due «ordini»: il tron kpeto ve e il tron kpeto deka. Uno degli aspetti più interessanti è scoprire come quelli che comunemente sono ritenuti culti atavici, tradizioni fuori del tempo, siano in realtà debitori di processi storici, di migrazioni geografiche, di contatti con grandi religioni quali l’islam. Non a caso il sottotitolo del libro è “Metamorfosi di un culto”.
Stampa Alternativa 2012, pp. 248, 15 euro
Mazziana 2012, pp. 111, 11 euro
Del Vecchio Editore 2013, pp. 149, 13 euro
African Graffiti
di Marco Aime
di dom José Maria Pires
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di Alessandra Brivio
di Marco Cavalcante
Diario di quattro anni in Uganda di un funzionario del Programma alimentare mondiale, giovane e con ragguardevoli responsabilità. Una scrittura “laica” di chi si rende conto dei propri privilegi pur prodigandosi per popolazioni alle prese con crisi alimentari, guerre e malattie. Senza retorica, emerge il suo ottimismo per un continente che sta andando nella direzione giusta. Iride 2012, pp. 82, 9 euro
IL CROLLO di Chinua
Aveva “solo” 83 anni, eppure da sempre era… un mito, citatissimo dai cultori di cose africane. Il nigeriano Chinua Achebe, scomparso il 21 marzo a Boston, con Il crollo divenne subito uno dei padri della letteratura africana. Pubblicato nel 1958 (disponibile in italiano presso Jaca Book), il romanzo è fra i 100 migliori libri di tutti i tempi secondo il Norwegian Book Club.
Viella 2012, pp. 306, 27 euro
musica
di Claudio Agostoni
BeAutIfuL AfrICA RokiA TRAoRé
«Non voglio fare rock nella maniera tradizionale occidentale, voglio che sia rock ma con qualcosa di maliano e dove ci sia qualcosa di me allo stesso tempo», ha dichiarato Rokia Traoré di questa incisione, imperniata su solidi riff di chitarra (tre, fra cui quella di Rokia) e su un solido lavoro di basso. L’afrore africano è dato da Mamah Diabaté, che suona lo n’goni, l’antico liuto maliano. Rokia ha sempre fatto della poliedricità artistica la sua cifra stilistica. E se a maggio la si potrà vedere a Napoli in una pièce théatral-musicale di Toni Morrison (una rivisitazione della storia di Desdemona di Shakespeare, per la quale Rokia ha composto le musiche), con questo lavoro ha dato sfogo alla sua anima più rockettara. Non a caso è stato prodotto da John Parish, scrittore e chitarrista, e produttore già al servizio di Tracy Chapman e PJ Harvey.
JAmA Ko
BAssekou kouyATe
Pura meraviglia mandingo/bambara neo-tradizionale. Questo il tratto distintivo di un lavoro registrato durante i giorni del colpo di Stato in Mali, tra interruzioni d’energia e improvvisi coprifuoco. Jama ko significa «gran raduno di gente». Bassekou sembra suggerire che la risposta al dolore della guerra e all’occupazione integralista passa soprattutto attraverso una pacifica festa in musica: da sempre l’assoluto asse portante nella complessa fisionomia etnica e religiosa maliana. Con lui troviamo musicisti occidentali, come Taj Mahal e Mocky Salole. Ma anche indigeni, come Khaïra Arby, incontrastata diva di Timbuctu, e Zoumana Tereta. Ci sono anche un paio di rappresentanti dell’ultima generazione Kouyate, i piccoli Madou e Moustapha. Ovviamente alle prese con lo strumento di famiglia: lo n’goni.
SerenAtA Zé Louis
Sulla sua carta d’identità si può leggere che è nato a Praia, la capitale dell’arcipelago di Capo Verde. L’anno di nascita di José (in arte Zé) Luis è il 1953. Di professione ha sempre fatto il falegname e sino ad oggi la sua voce, calda e accattivante, l’ha usata per il solo pubblico capoverdiano. Arrivato all’età in cui i più fortunati di questi tempi riescono ad andare in pensione, lui ha deciso di iniziare a fare il musicista professionista. La sua musica è la morna, il suono più tradizionale dell’arcipelago capoverdiano: un concentrato di tristezza, melanconia e sensualità. Serenata è un album esuberante e vitale, le vibrazioni rilassanti della voce da tenore di Zé Luis fanno da contrappunto alle onde ritmiche delle chitarre. Trattasi di musica capoverdiana nella sua migliore tradizione.
exILe
NARu kANe
Una chitarra dal ciondolare maliano, una voce diseducata e rauca e un piglio alla Nesta Marley. Sono i primi elementi che vengono a galla ascoltando questo ragazzo nato nei ’70 a Dakar. 11 brani dove si passa dal Medio Oriente al blues, dalla gnawa al reggae, dalla spiritualità sufi ad una sbandata gipsy ispanica. Peccato che la produzione sia pettinata ed educata, pensata più per un pubblico europeo che per uno africano.
nuove star afriCane CresCono
Rasta africano di madre romena, per un certo periodo ha vissuto in Romania, ma la sua terra rimane l’Africa. Cammina perennemente scalzo, in compenso da quando ne ha indossata una per la prima volta (era il 2009) non ha mai più tolto la cravatta. Si chiama Wanlov ed è l’inventore dell’Afro-gypsy music. A Marsiglia lo scorso marzo è stato premiato con il Prix Mondomix Babel Med Music 2013.
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testo e foto di Marco Trovato
Pascal Maitre - Olycom
cultura
Carlo Magno all’EquatorE
Il celebre sovrano del MedIoevo rIvIve In un sperduto arcIpelago afrIcano 50
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arrivo dell’imperatore è annunciato da squilli di trombe e rulli di tamburi. La folla si accalca eccitata ai bordi della strada, la frenesia è elettrizzante, i bimbi sgattaiolano in prima fila per non perdersi lo spettacolo. Carlo Magno cammina con passo solenne, portamento ieratico, sguardo impassibile. Sulla testa fa sfoggio della corona dorata. Con una mano impugna lo scettro, con l’altra accarezza la spada nel fodero. Alle sue spalle un paggio sostiene il lungo mantello rosso dietro cui si è accodata la processione dei cortigiani.
Isole senza tempo
La compagnia teatrale Florentina Reynaldo de Montavan. Composta da attori non professionisti, mette in scena nei villaggi di São Tomé uno spettacolo ambientato nell’Europa medioevale… Rimodernato con maschere e personaggi di nuova concezione
Sulle isole di São Tomé e Príncipe vanno in scena singolari spettacoli teatrali ambientati in epoca medievale, importati dai colonizzatori portoghesi e rielaborati nei secoli dalla popolazione locale
Sembra di assistere a un tipico corteo storico in costumi medievali, una di quelle rivisitazioni sceniche che si tengono periodicamente nei borghi antichi di mezza Europa. Ma qui il sovrano ha la pelle scura come il bronzo, non ci sono castelli né fortezze agghindate. E la scenografia - palme da cocco e palafitte in legno - ha un sapore decisamente esotico. Siamo nell’arcipelago di São Tomé e Príncipe, un solitario microstato che galleggia sulle acque dell’Atlantico nel Golfo di Guinea. Su queste isole ancorate all’Equatore la lancetta della storia sembra essersi fermata all’epoca del Sacro Romano Impero. Non sorprende nessuno veder sfilare tra la vegetazione tropicale una parata di nobili, cava-
lieri, dignitari e chierici che paiono appena usciti da una macchina del tempo. Da quattrocento anni le compagnie locali del teatro Tchiloli, patrimonio nazionale di São Tomé e Príncipe, mettono in scena la tragedia del Marchese di Mantova e dell’Imperatore Carlo Magno: un poema epico ambientato nell’età
Le donne non possono recitare. I ruoli femminili sono interpretati da attori travestiti da cortigiane dell’Europa medievale carolingia, scritto nel XVI secolo da Baltazar Dias (poeta e drammaturgo cieco originario dell’isola di Madeira), e importato dai conquistadores portoghesi in epoca coloniale.
Il teatro dei bianchi A partire dal 1600 le autorità di Lisbona inviarono periodicamente sulle “loro” isole africane (approdi fertili e strategici per il commercio negriero) diverse compagnie teatrali allo scopo di allietare i funzionari coloniali e gli amministratori africa · numero 3 · 2013
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cultura
di Raffaele Masto
Letture nella discarica
Una raccoglitrice di rifiuti intenta a leggere tra cumuli di sporcizia. Dal Kenya un’immagine di speranza premiata al World Press Photo
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a foto pubblicata in questa pagina proviene dalla discarica di Dandora, vicino a una delle baraccopoli di Nairobi, a Korogocho, in Kenya. Con questo scatto, l’americano Micah Albert si è aggiudicato il Primo Premio Tematiche Contemporanee alla 56esima edizione del World Press Photo, il più importante riconoscimento mondiale nell’ambito del fotogiornalismo. Le montagne di spazzatura che arrivano a Dandora provengono
in buona parte dai ristoranti e dagli hotel di lusso della città, prodotte da schiere di turisti che vanno in Kenya per i safari. La lettrice immortalata nella foto è una dei tanti giovani che lavorano nella discarica in cerca di metalli, plastica e vetro per guadagnare qualche scellino. Ma che cosa sta leggendo? Forse lavorando ha trovato un giornale, un catalogo industriale… O è un quaderno di scuola gettato via da qualcuno? Poco importa: la ragazza si è concessa una pausa,
si è seduta. Si è messa a leggere, e per un momento intorno a lei quella discarica immonda, quell’odore pestilenziale, quel cielo pesante sono svaniti. Come per magia sono scomparsi la baraccopoli, la discarica, quel cielo cupo, la miseria. Proviamo anche noi a cancellare tutto ciò che c’è intorno a lei, immaginiamocela in una biblioteca, una delle nostre biblioteche piene di libri scritti o con le figure. E lei pacata, tranquilla che legge… Se lo meriterebbe. •
Foto in mostra
Le migliori foto del World Press Photo arrivano in Italia
Dal 3 maggio al 6 giugno sono esposte al Museo di Roma in Trastevere (museodiromaintrastevere.it). Dal 5 maggio al 2 giugno sono a Milano presso la Galleria Carla Sozzani (galleriacarlasozzani. org). Dal 24 novembre al 15 dicembre approderanno a Lucca a Villa Bottini (tel. 0583 5899215 - worldpressphoto. org). Ci sarà anche la foto dell’anno scattata dallo svedese Paul Hansen: ritrae i funerali di due bambini morti in un bombardamento israeliano a Gaza. africa · numero 3 · 2013
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sport
testo e foto di Alessandro Gandolfi/Parallelozero
Brividi di dive A Nairobi è arrivato il ghiaccio
Inaugurata nella capitale del Kenya la più grande pista di pattinaggio su ghiaccio dell’Africa. Una novità che incuriosisce e appassiona la popolazione locale
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ack conosce Nairobi come nessun altro. Jack è un taxista e davanti al Panari Hotel, sulla Mombasa Road, c’è passato centinaia di volte senza mai fermarsi. Ma oggi è sabato e Jack non ha clienti in macchina, solo tre bambini sbraitanti: i suoi tre figli. Tutti stanno entrando per la prima volta al Panari 56
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Hotel dove, al terzo piano, c’è il Solar Ice Rink, la più grande pista per il pattinaggio su ghiaccio dell’Africa. L’idea di costruirla, nella periferia di Nairobi, è venuta a un gruppo di imprenditori indiani: gli uomini d’affari hanno investito 700mila dollari per realizzare una pista che
supera i 1.400 metri quadrati e può ospitare fino a 200 persone. Un numero sufficiente, anche se, come spiega il bigliettaio all’ingresso, «nei fine settimana c’è sempre pieno di famiglie con i bambini e di gruppi di adolescenti che pattinano per ore, a volte senza neppure indossare giacche pesanti». Molti
arrivano al Panari Hotel senza l’attrezzatura adatta: niente giubbotti invernali e guanti, a volte neppure le calze (vengono noleggiate sul posto). La famiglia di Jack è un po’ spaesata e lui sorride timoroso. Primo, perché pattinare sul ghiaccio nel bel mezzo dell’Africa equatoriale non è una cosa
vertimento La presenza della pista ha permesso la nascita di una squadra di hockey su ghiaccio
Non solo Kenya
Il Solar Ice Rink di Nairobi non è l’unica pista di pattinaggio su ghiaccio dell’Africa, ma è certamente la più grande. A sud del Sahara sono attivi quattro impianti: due in Sudafrica (a Johannesburg e a Città del Capo, dove si tengono anche competizioni internazionali), uno a Windhoek (Namibia) e un altro ad Abidjan, capitale economica della Costa d’Avorio, nello storico Hotel Ivoire. In Nord Africa si può pattinare a Rabat (Marocco), Tunisi (Tunisia) e Il Cairo (Egitto). normale, soprattutto se non l’hai mai fatto prima. Secondo, perché le strane scarpe rigide di colore blu con una minacciosa lama in metallo non gli ispirano nulla di buono. «All’inizio
devi rimanere attaccato al corrimano», gli suggerisce per sdrammatizzare Ray, una signora che lavora al Solar Ice Rink, «e soprattutto cerca di stare avanti con il corpo: la maggior
parte delle persone la prima volta scivola all’indietro e atterra di sedere». All’ingresso della pista c’è una fila di bambini pronti per assaggiare un po’ di freddo inverno. «Nessuno di questi bimbi ha mai visto la neve dal vivo - commenta Ray - e pattinare sul ghiaccio per loro era un sogno, qualcosa di soprannaturale, qualcosa che si vedeva solo in tivù. Ora è realtà». E chissà che fra qualche anno su questa pista possa crescere un campione in grado di gareggiare alle Olimpiadi invernali. • africa · numero 3 · 2013
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sport
testo di Catherine Hoffmann
Erik detiene il record del mondo di velocità sulle dune: ben 92,12 km/h raggiunti su una duna di 75 metri, con pendenza del 30%
Sciare tra le dune
Cresce in Namibia la passione per lo sci sulla sabbia 58
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testo e foto di Claudio Agostoni
Parchi naturali, lagune e villaggi: l’alternativa alla vacanza esotica
Claudio Agostoni
viaggi
L’altro Senegal Natura, cultura, ospitalità. Sono gli ingredienti di un viaggio alla scoperta delle bellezze più genuine dell’Africa occidentale, guidati dai giovani e dalle donne locali
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ean Mermoz, compagno di voli e avventure di Antoine de Saint-Exupéry ai tempi della mitica Aéropostale, aveva la sua base all’Hotel de la Poste, un grande edificio in stile coloniale che fa bella mostra di sé appena si attraversa il Pont Faidherbe e si sbarca nel cuore di Saint-Louis, la vecchia capitale del Sene-
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gal. Lungo le sue rotte, nei cieli di quest’angolo d’Africa, Mermoz si imbatteva in enormi stormi d’uccelli che anche allora avevano adottato come dimora temporanea l’estuario del fiume Senegal.
Nel regno degli uccelli Si stima che tra settembre e aprile nell’area oggi occupata dal Parco di Djoudj
(circa 60 chilometri a nordest di Saint-Louis) passino circa 3 milioni di volatili. È uno dei principali santuari dell’Africa occidentale per gli uccelli migratori, in quanto l’area rappresenta la prima zona di rifornimento d’acqua dopo un percorso di oltre 200 chilometri sopra il deserto del Sahara. Migliaia di fenicotteri rosa qui nidificano regolarmente, così come oltre 5mila pellicani bianchi, anatre fischiatrici dal muso bianco, oche dallo sperone, aironi rossi, spatole, cormorani e otarde arabe. Se si aggiungono 92 specie ittiche, e poi
coccodrilli, varani, scimmie, facoceri, gazzelle e sciacalli, si capisce perché l’Unesco abbia iscritto il Parco di Djoudj nella lista dei siti del proprio Patrimonio mondiale.
Gestione comunitaria L’apertura del parco nel 1981 è coincisa con l’espulsione dall’area della popolazione locale (etnie arabo-berbere, wolof e peul), ma da una decina d’anni gli abitanti dei villaggi circostanti hanno dato vita a un comitato e lavorano per lo sviluppo della riserva. Ogni villag-
storia
testo di Caroline Six foto di Gwenn Dubourthoumieu
Nel castello di
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Mobutu
RD Congo, reportage dalla reggia di Gbadolite, l’ex Versailles africana
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gni domenica Mobutu pregava nella cappella di Santa Maria della Misericordia, dove erano sepolti la sua prima moglie e tre figli. Dopo invitava tutti i fedeli a mangiare a palazzo, erano circa 200 persone. Dopo pranzo, il Presidente dava a ciascuno del denaro: ogni volta faceva portare delle scatole di banconote nuove e ognuno si serviva. Non ho mai visto un politico distribuire tanto denaro come Mobutu! Era un grande uomo di Stato!».
«
Nostalgia dei bei tempi
Alloggiato al motel Nzekele, nella città di Gbadolite, nel nord-est del RD Congo, Zoro Kenga, ex amministratore del palazzo presidenziale, rievoca con nostalgia i suoi anni al servizio dell’ex dittatore dello Zaire. Con i suoi amici, con i capi di Stato stranieri che lo sostenevano, e anche con gli abitanti della regione della sua infanzia, il Presidente miliardario sapeva mostrarsi molto generoso.
La sala da ballo di Mobutu a Gbadolite, oggi ridotta in macerie. Un tempo qui si tenevano i ricevimenti ufficiali del dittatore
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storia Nel maggio del 1997, dopo trentadue anni di potere, il dittatore zairese Mobutu Sese Seko venne rovesciato da un’insurrezione armata. Ecco cosa resta oggi del suo favoloso palazzo nella foresta, emblema della disfatta di un tiranno spietato e megalomane «Gbadolite è la più bella città dell’equatore: Mobutu l’ha dotata di tutte le infrastrutture», fa presente l’attuale sindaco della città, Achille Kwangbo. «Ancora oggi, la città di Mobutu è naturalmente mobutista», aggiunge, confermando che qui il dittatore resta il Maresciallo Mobutu Sese Seko (letteralmente colui che dura). Nel 1967, due anni dopo il suo colpo di Stato, la Grande Guida trasformò il povero villaggio dov’era cresciuto, a poca distanza dal confine con il Centrafrica: nel cuore della foresta fece costruire una diga, una centrale idroelettrica, tre fastosi palazzi e un aeroporto con la pista più lunga di tutta l’Africa centrale.
Le macerie della storia Circa sedici anni dopo la caduta del presidente zairese, non resta più nulla di queste grandi realizzazioni. Distrutte dal clima, devastate dai ladri, invase dalle piante, le infrastrutture e i palazzi faraonici della Guida suprema non offrono al visitatore che uno scheletro spogliato di ogni fasto. I viaggiatori occidentali devono pagare 66
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per visitare e fotografare i ruderi nella foresta. Un guardiano che si fa chiamare Monsieur Mobutu è responsabile del “luogo turistico” costituito dalle vestigia dei palazzi. Ci mostra un documento spiegazzato, gelosamente conservato in una busta di plastica, e indica la tariffa: «Sono venti dollari per gli stranieri». Dopo una breve trattativa, percorriamo l’unica strada della regione ancora parzialmente asfaltata, ai margini della quale si sono sistemate numerose capanne. A una quindicina di chilometri dal centro della città, sulle colline di Kawele, si scorge la residenza principale del “Grande Leopardo” (Mobutu sfoggiava, ovunque andasse, un elegante copricapo di pelle di leopardo), una vasta dimora in marmo bianco di Carrara ormai vicino ad essere inghiottita dagli alberi tropicali. Tre leoni di granito (uno dei quali giace capovolto in una fontana) fanno la guardia all’entrata impreziosita da alte colonne di marmo rosa. Una volta entrati, si circola fra le macerie: gessi, vetri rotti, pezzi di bicchieri frantumati.
In trentadue anni di potere Mobutu, padrone assoluto dello Zaire, accumulò un’enorme fortuna personale e ridusse alla fame il suo popolo
egitto
lo scatto
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testo di Joshua Mamburu foto di Mohamed El-Shahed/Afp
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ue copti colpiti da bottiglie incendiarie lanciate da fondamentalisti islamici. I due cristiani stavano uscendo dalla cattedrale di San Marco al Cairo dopo la cerimonia funebre per quattro fedeli uccisi a metà aprile durante scontri interconfessionali. L’assalto al funerale – ultimo episodio di una serie di violenze subite dalla minoranza cristiana – ha provocato la morte di due persone e il ferimento di altre novanta. La polizia intervenuta in ritardo ha ristabilito l’ordine solo dopo molte ore. Il Patriarca copto ortodosso di Alessandria ha accusato di «negligenza» il governo dei Fratelli musulmani guidato dal presidente Mohammed Morsi: «La nostra Chiesa non è mai stata oggetto di attacchi del genere nemmeno nei periodi peggiori». In Egitto i cristiani costituiscono il 10% di una popolazione stimata in 84 milioni di abitanti. •
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SOTTO ATTACCO africa 路 numero 3 路 2013
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chiesa
testo di Paola Marelli foto di Fernando Moleres
Il MIssIonarIo e Il dottore
Due italiani uniti da un progetto di solidarietà per i giovani della Sierra Leone
Dall’incontro tra un sacerdote e uno psicologo è nato un progetto per aiutare bambini soldato, ragazzi di strada, minori detenuti
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a prima volta che ho incontrato padre Bepi ho capito subito che la mia vita sarebbe cambiata per sempre. Quel vecchio missionario dallo sguardo luminoso è uno dei piccoli grandi eroi del nostro tempo. Il suo entusiasmo mi ha conquistato». Il dottor Roberto Ravera, primario di Psicologia clinica dell’Asl di Imperia, da un po’ di tempo non è più lo stesso. Colpa - o merito - di un sacerdote saveriano di origini venete, padre Giuseppe Berton, ottant’anni suonati, di cui oltre la metà trascorsi in Africa. «L’ho conosciuto nel 2007 in Sierra Leone», racconta lo psicologo. «E con lui ho scoperto la tragedia silenziosa di un Paese tra i più poveri al mondo, devastato e traumatizzato da una lun72
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ga guerra civile terminata undici anni fa». Padre Bepi ha vissuto l’orrore del conflitto: i combattimenti, le rappresaglie, i saccheggi dei ribelli eccitati dalla droga. Le violenze - costate la vita a 50mila persone e alimentate dal mercato illegale dei “diamanti insanguinati” - sono terminate nel 2002, quando i caschi blu delle Nazioni Unite hanno ripristinato la pace. A quel punto il missionario italiano si è preoccupato di aiutare le vittime più indifese ereditate dalla guerra: orfani, mutilati, ex bambini soldato, donne violentate dai miliziani. Per curare le ferite invisibili del conflitto - i traumi psicologici - padre Berton ha chiesto una mano al dottor Ravera. Dal loro incontro è nata
a cura di Anna Pozzi
SOMALIA
Gli Shabaab si rifanno vivi
Ritorno a Mogadisco tra speranza e incubo. È quanto ha sperimentato per l’ennesima volta mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, che lo scorso aprile è tornato, dopo sei anni di assenza, nella capitale somala. «La mia visita aveva diversi scopi – dice il vescovo -: innanzitutto verificare la situazione umanitaria. In questi anni Caritas Somalia è riuscita a mantenere le sue attività attraverso alcuni partner locali. Una di queste riguarda gli sfollati accolti presso alcuni campi. Si tratta di abitanti di Mogadiscio che hanno perso le loro case per gli eventi bellici, oppure, e sono la maggioranza, di persone provenienti dall’interno per l’insicurezza o per la siccità». Nonostante alcuni segnali positivi, lo stesso mons. Bertin ammette che l’intervento umanitario resta molto arduo: «È difficile pensare a un ritorno in tempi brevi degli sfollati alle zone rurali di provenienza, perché queste sono ancora in mano agli estremisti Shabaab». Questi si sono rifatti vivi anche nella capitale somala lo scorso 14 aprile, con una serie di attentati kamikaze che hanno provocato la morte di 34 persone e il ferimento di molte altre. 74
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Repubblica Centrafricana • Sac
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iviamo un momento difficile nel quale la popolazione è sballottata da tutte le parti. E Bangui è una città morta. Pochissima gente osa avventurarsi in strada». C’è ancora molta paura e molto disorientamento in Repubblica Centrafricana, dopo che la Coalizione Seleka ha conquistato, lo scorso 24 marzo, la capitale Bangui, insediando al potere il proprio leader, Michel Djotodia, che ha sospeso la Costituzione, sciolto l’Assemblea Nazionale e il governo e imposto il coprifuoco. La testimonianza di mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, è drammatica. «Ci sono state violenze e saccheggi - denuncia -. Ovunque ho visto scene di desolazione: donne e bambini abbandonati a loro stessi. Ho fatto il giro degli ospedali insieme all’équipe della Caritas, perché molta gente si rifugia nei nosocomi per sfuggire alle violenze». Il vescovo lancia un appello ai nuovi dirigenti perché mettano fine ai saccheggi: «Non si può spogliare la popolazione fino a questo punto. I poveri sono già poveri: non si può prendere anche quel poco che hanno». Anche le notizie che giungono dalle regioni interne del Paese sono poco confortanti. Quello raccontato a Fides da mons. Juan José Aguirre Muños, vescovo di Bangassou, è un vero e proprio bollettino di guerra: «Un gruppo di banditi, che fanno passare per ribelli di Seleka, sta tormentando la popolazione della mia diocesi. Seminano il terrore tra gli abitanti, saccheggiano le abitazioni. Aeroporto e
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Sia Kambou/Afp
chiesa in africa
Nigeria • VerSo il dialoGo? Con il rilascio di quattrocento esponenti del gruppo terroristico Boko Haram, il presidente della Nigeria Goodluck Jonathan, ha fatto, lo scorso 16 aprile, un importante gesto per avviare un percorso di dialogo e pacificazione del nord del suo Paese. Secondo alcuni leader nordisti, questo gesto potrebbe aprire un processo di amnistia che molti ritengono necessario alla pace. Quella dell’amnistia è un tema che fa molto discutere in queste settimane in Nigeria. Anche il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, è
cheGGi e Violenze strade sono chiusi: di conCivili in fuga seguenza non arrivano dalle violenze né derrate né medicinache hanno li. Anche molte missioni raggiunto la sono state assalite e dicapitale Bangui strutte. A Bangassou hanno distrutto la casa dei padri Spiritani, delle suore Francescane, hanno rubato e distrutto la casa del rettore del seminario minore, la falegnameria, il centro Internet, il collegio cattolico, la pediatria, la farmacia, il nuovo blocco operatorio, la maternità. Lungo il percorso hanno occupato una missione dopo l’altra, accampandosi nelle case dei missionari. Ora, tranne le tre missioni dell’est, le altre otto sono nelle loro mani. Hanno brutalizzato la popolazione, i padri e le suore. Hanno una lista di persone da colpire: io sono il primo, segue il mio vicario poi il procuratore ed altri». «È giunto il momento di mettere rapidamente fine a queste azioni - ha aggiunto l’arcivescovo di Bangui -, anche perché rischiano di suscitare nella testa della gente sentimenti anti-religiosi o potrebbero far pensare che questa crisi abbia come obiettivo i cristiani in quanto tali. Ma questa crisi è politica; non possiamo lasciare che prenda una deriva religiosa».
intervenuto sul tema: «In questa atmosfera di sforzo comune, la richiesta di amnistia mi sembra molto opportuna e persino necessaria. Ritengo pertanto l’appello del Sultano di Sokoto come un invito ad approfondire il dibattito e il dialogo tra i nigeriani per mettere a fuoco l’azione di governo in questa materia. Questa discussione è iniziata e per questo dobbiamo ringraziare il Sultano e la sua proposta coraggiosa. In ogni conflitto arriva il tempo per il dialogo in vista della soluzione finale. Sembrerebbe che per Boko Haram tale momento sia giunto»
R.D. CONGO •
I Gesuiti denunciano
«D
a quasi vent’anni, conflitti e guerre colpiscono milioni di donne, bambini e uomini nella regione dei Grandi Laghi. Nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, due milioni di persone continuano a soffrire a causa di imponenti movimenti di popolazioni e di quotidiane violazioni dei diritti umani, tra le quali violenze sessuali e reclutamento di bambini soldato». È quanto denunciano le organizzazioni legate alla Compagnia di Gesù che lavorano in questa regione e che si sono riunite nella Jesuit Great Lakes Advocacy Initiative. In un documento recentemente pubblicato, i gesuiti ricordano che «tra le diverse cause di questo conflitto, c’è la proliferazione e il traffico di armi illegali che alimentano l’escalation della violenza e l’instabilità nella regione». Una situazione che, per molti versi è diventata cronica, e che né le autorità locali né la comunità internazionale hanno affrontato con la dovuta volontà politica e i gli strumenti più adeguati. Sin qui, denunciano i gesuiti, «non sono stati intrapresi passi significativi per sradicare la cause che sono all’origine del conflitto». Proprio per questo la Jesuit Great Lakes Advocacy Initiative vuole mettere in atto tutte le azioni possibili per creare consapevolezza su quanto sta avvenendo nelle regioni orientali della R.D. Congo e sollecitare le autorità a tutti i livelli a intervenire. africa · numero 3 · 2013
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togu na - la casa della parola lettere
banda, M. Isaac Mukonda (imukonda@yahoo.com, tel. +260 979666641). M. Trovato
NOTE SOLIDALI società
La banda della savana
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testo di Paola Marelli foto di Marco Trovato e Bruno Zanzottera
a cura della redazione
BIANCHI O NERI?
Musicisti e majorette spopolano in una remota regione S dello Zambia
i fatica a credere ai propri occhi e alle proprie orecchie. Siamo a Mongu, remota cittadina dello Zambia occidentale, al centro di una vasta pianura alluvionale punteggiata da villaggi di capanne. All’improvviso l’oziosa quiete del pomeriggio viene bruscamente interrotta da una fanfara e da un gruppo di majorette che marciano sull’erba ostentando un’eleganza impeccabile. Paiono sbarcati da un altro mondo. Gli orchestrali esibiscono cappelli di feltro, lunghi pantaloni neri, giacche arancioni coi bottoni dorati. Le majorette fanno
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Siamo due volontarie del la Parrocchia S. Nome di Maria di Treviglio e vor remmo chiedere informa zioni circa l’articolo La banda della savana appar so sull’ultimo numero di Africa. Ci piacerebbe aiutare quei giovani orchestrali zam biani, fornendo loro degli strumenti musicali: potete cortesemente indicarci una persona di fiducia da con tattare? Rita e Pierangela, Treviglio L’iniziativa è lodevole. Ricordiamo che la St. John’s Brass Breed Band è in cerca di tromboni, sax, tube, bassi, trombe, corni, clarinetti, tamburi, cembali… Chi desidera fornire il proprio contributo può mettersi in contatto con il direttore della
Non mi è chiara la vostra posizione riguardo alle violenti proteste scoppia te nelle campagne del Su dafrica (Vigneti in rivolta, Africa 2/2013). Da che parte state? Dalla parte dei braccianti neri che brucia no i raccolti e che lanciano i sassi contro la polizia? O dalla parte dei proprietari terrieri bianchi che vedono distrutte le aziende costru ite in una vita di sacrifici? Benito Esposito, Napoli Gentile lettore, cominciamo a precisare con chi non stiamo. Non stiamo dalla parte di chi divide ancora i sudafricani in bianchi e neri. Non stiamo dalla parte dei governanti corrotti del Sudafrica (o di altrove) che favoriscono l’aumento del divario economico e sociale tra ricchi e poveri. Non stiamo dalla parte dei poliziotti che abusano del loro potere sparando addosso ai manifestanti. Non stiamo dalla parte di chi sfrutta i lavoratori con salari e
condizioni da fame. Non stiamo neppure con i vandali e i saccheggiatori che si infiltrano nei cortei e approfittano del caos per rubare e devastare. Stiamo senz’altro dalla parte dei lavoratori di ogni etnia e colore che lottano per il riconoscimento dei propri diritti. Redazione Africa
gere le mucche, a piantare gli ortaggi, a costruire una capanna. Per realizzare tutto questo abbiamo biso gno del contributo di tutte le persone di buona volon tà. Le informazioni sul progetto si trovano www. karibuvillage. com; info@ karibuvillage.com. Popi Fabrizio
IL KENYA NEL CUORE
AAA VOLONTARI IN AFRICA
Sono un ex discografico e ho avviato in Kenya, nel villaggio di Chakama (vi cino a Malindi), un proget to per migliorare la qualità della vita della popolazio ne locale. Chakama diven terà una grande fattoria, con campi da coltivare ed animali da accudire, con una clinica per gli abi tanti, scuole ed un orfano trofio. Ci sarà una chiesa e un luogo di raduno per la comunità. I volontari ita liani potranno visitare il villaggio grazie a campi di lavoro che daranno la pos sibilità di imparare a mun
Sono una giovane dottores sa che ha lavorato in Africa gli ultimi due anni in diver si progetti di Medici senza frontiere. Quest’estate sono libera per alcuni mesi e de sidererei tornare in Africa con il mio compagno che non ci è mai stato. Cer chiamo un ospedale o un dispensario che abbia biso gno di noi. Ho lavorato in progetti di malnutrizione, colera, HIV e cure prima rie, parlo inglese, francese e spagnolo, Andrea invece è carrozziere ma credo che potrebbe essere un volen teroso logista o tutto fare. Vorrei condividere con lui la gioia di donare il proprio tempo e mettere al servizio degli altri le proprie capa cità. Per contatti mitaelu@ libero.it. Cordialmente, Luisa
(fondatore di Karibu Onlus)
SondaggIo ParerI raCColtI Sulla PagIna FaCeBook dI aFrICa In Centrafrica l’ennesimo colpo di Stato ha rovesciato François Bozizé che aveva conquistato, a sua volta, il potere con un golpe. Secondo te: 17% 78% 5% 0% 76
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Si deve riconoscere la legittimità del nuovo potere: l’Africa va così Ci si deve allineare all’Unione Africana che ha estromesso il Paese Si devono ignorare gli avvenimenti: non ci riguardano. Bisogna mettere al bando gli uomini del nuovo potere.
africa rivista
n. 3 maggio . giugno 2013 www.missionaridafrica.org
La ricchezza della diversità Nel cuore dell’Europa, un servizio missionario per l’incontro interreligioso e interculturale
di Agustin Arteche Gorostegui
A Bruxelles tre Padri Bianchi, che considerano il mondo in cui viviamo «grande, meraviglioso e terribile», lavorano per una società in cui regni il rispetto al di là delle differenza religiose, etniche o culturali
Come altre città, Bruxelles è un microcosmo di popoli, lingue, culture e religioni. E come molte altre, vive mutamenti continui. Lo si nota per le strade o sui mezzi di trasporto, dove si possono incontrare asiatici, africani ed europei. I musulmani che vivono a Bruxelles sono in gran parte cittadini belgi e vogliono essere trattati e
La Grande Moschea di Bruxelles venne costruita nel 1879. Sede del Centro islamico e culturale belga, accoglie anche una scuola e un centro di ricerca islamica e dispensa corsi di arabo e di iniziazione all’islam
padri bianchi . missionari d’africa
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Emmanuel Franck
La Zinneke-Parade
La Zinneke-Parade a Molenbeek, il più cosmopolita dei 19 comuni di Bruxelles; in 5 di loro - Bruxelles, Molenbeek, Anderlecht, Saint-Josse e Schaerbeek - si concentra il 75% delle istituzioni musulmane
accettati come tali. Questa è ormai una realtà per l’Europa intera. Consapevoli di questo mondo multiculturale e multireligioso, i Padri Bianchi hanno dato vita a Bruxelles a un progetto missionario denominato ARCRE (Action pour la Rencontre des Cultures et Religions en Europe - Azione per l’incontro di culture e religioni in Europa). Con una particolare attenzione alla presenza dei musulmani in Europa, caratteristica tra l’altro della vocazione e specificità dei Missionari d’Africa. Il progetto è stato pensato prima di tutto come un servizio ai religiosi, per aiutarli a prendere coscienza di questa nuova realtà della presenza dell’islam in Europa e per aiutarli a vederla con gli occhi del Vangelo. Infatti, la missione ricevuta da Cristo è sempre la stessa, anche se cambiano i contesti sociali. La prima domanda che si sono posti i fondatori dell’Arcre è questa: come aiutare i confratelli a vivere la missione in questo nuovo panorama religioso e culturale europeo? L’Arcre vive in mezzo a una realtà spesso difficile e violenta, con il desiderio di promuovere le relazioni sociali, la pace e la comprensione reciproca. La presenza musulmana in Europa non è ovvia: ci si incrocia in strada, sui tram o nei negozi, ma non ci si parla. Le persone pregano, ma ognuno nel proprio luogo di culto, secondo la propria fede e i propri riti. C’è una vicinanza fisica ma la distanza spirituale è immensa. Come aiutare tutti a vivere nel
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rispetto e la comprensione reciproci e costruire e nella comprensione reciproca e costruire una società ove si stia bene assieme? Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di sant’Egidio, ha detto recentemente a Parigi che il problema in Europa non è tanto quello della secolarizzazione, quanto quello della globalizzazione e che la Chiesa ha parlato spesso e bene della secolarizzazione, ma non abbastanza della globalizzazione. Molte persone pensano che la modernità allontani inevitabilmente dalla religione. Il problema principale oggi è un altro: quello che ieri era lontano, oggi è vicino. Purtroppo, si tratta solo di vicinanza fisica: «Bisognerebbe garantire una vicinanza spirituale, cioè aperta a tutti… In altri tempi, le culture si ignoravano ed erano distanti tra loro. Oggi ci conosciamo meglio, ma il rischio è quello di confrontarsi tra noi nella violenza». Bruxelles vuole essere la fucina di un’Europa pluralista, libera e democratica, capace di integrare le differenze. Integrazione non è né assimilazione né esclusione. Riuscirà l’Europa a non escludere le persone a causa della loro lingua, religione e cultura? Riusciranno coloro che provengono da altri contesti culturali ad adattarsi alla visione sociale dell’Europa? La costruzione dell’Europa è ancora un processo lungo e difficile. Il Premio Nobel per la Pace dato all’Unione europea è un modo per riconoscere vali-
La parola Zinneke in “brussellese” indica la piccola Senna, un fiumiciattolo ormai interrato che attraversa la città; nello stesso tempo indica un cane bastardo che a volte in esso finiva la sua esistenza. Per estensione, lo Zinneke è colui che ha origini diverse, simbolo del carattere cosmopolita e multiculturale di Bruxelles. La Zinneke-Parade è nata nel quadro di Bruxelles 2000 Città europea della Cultura con lo scopo di gettare dei ponti tra i 18 comuni di Bruxelles e il centro-città. Oggi è divenuta un progetto per promuovere incontri tra abitanti, associazioni, scuole e artisti dei diversi quartieri di Bruxelles e altrove. Ogni comune organizza la propria Parade che sfilerà poi nel cuore della vecchia città mettendo così in valore la ricchezza multiculturale della città. La manifestazione è biennale e il tema dell’edizione 20132014 è «Tentazione» . da e legittima la visione europea dell’uomo e della società. Nel suo crogiolo si sta forgiando un progetto nobile del mondo e della società. I tre Padri Bianchi dell’Arcre, convinti di vivere una straordinaria esperienza, hanno abbracciato questa visione e la loro missione sembra chiara: abbattere muri e costruire ponti tra le persone, le culture e le religioni. Il problema non è solo di ordine religioso. La società richiede a tutti, atei, agnostici e credenti, musulmani e cristiani, di promuovere il rispetto verso tutti perché si possa vivere insieme in pace e in armonia. Come diceva Antonio Gramsci, pensatore marxista del secolo scorso, il nostro è un mondo «grande, meraviglioso e terribile». •
Il «padre dei malati» se ne è andato... Nonostante sia rimasto nel Mali per soli cinque anni, padre Sergio Castellan è rimasto nel cuore della gente di Kati. E la gente del Mali nel suo cuore
Je suis malade (“sono malato”): è così che scherzosamente avevamo soprannominato padre Sergio Castellan, per la sua salute piuttosto cagionevole. Era certo conosciuto per le sua maniere brusche ma anche per le barzellette - a volte ben pepate - che sapeva raccontare con brio. È stato tra i “fondatori” del Centro scolastico internazionale di Le Puy en Velais, nell’Alta Loira, in Francia ed è lì, durante gli studi teologici, che ci siamo incontrati e abbiamo fatto amicizia. Di carattere piuttosto pratico, trovava i
corsi di teologia pesanti e talvolta si perdeva in impegni materiali a scapito dello studio: grande appassionato di fotografia, passava molte ore nel laboratorio tra acidi e rullini. Padre Sergio era nato a Valdobbiadene nel 1939 e aveva seguito il percorso classico per diventare Padre Bianco: medie e filosofia in Italia; noviziato e teologia in Francia. Da sempre legato alla sua terra di origine, padre Sergio soffrì molto per la catastrofe del Vajont: in quegli anni eravamo in Francia e avevamo pochissime notizie. Giornali e televisione informavano poco e riportavano soprattutto la realtà francese. Ordinato sacerdote nel 1966, gli venne chiesto di rimanere in Italia per l’animazione missionaria e vocazionale. Fu molto apprezzato per le giornate missionarie nelle parrocchie, i campi di lavoro con i giovani, le serate di animazione negli oratori. Molti conservano di lui un ottimo ricordo. Nel 1972 potè finalmente partire per l’Africa, nel Mali. Dopo il corso di lingua bambara, a Falajè, venne nominato a Bamako, nella missione di Kati. I periodi di calura nella regione del Sahel erano duri da sopportare e lo provavano molto. I problemi cardiaci di cui soffriva non gli permisero di restare a lungo e dopo soli cinque anni fu costretto a rientrare in Italia.
“Padre dei malati”
Padre Sergio amava il lavoro missionario, i soggiorni nei villaggi, l’incontro con gli abitanti, specialmente con gli ammalati. A Kati, la gente lo chiamava con simpatia Banabatòw ka monpèri (“padre dei malati”), soprannome di cui era fiero. Nonostante la breve permanenza, sia i catechisti che i giovani della missione lo ricordano ancora con stima e apprezzamento. Nel 1986 volle ripartire per il Mali per la
a cura di Paolo Costantini seconda volta, ma la sua costituzione fisica lo obbligò a rientrare definitivamente in Italia poche settimane dopo. «È stata la prova più dura e difficile della mia vita, tanto che ho difficoltà a parlarne, anche dopo anni...», scriverà nei suoi ricordi. E ancora: « Il mio soggiorno in Mali non è stato lungo, ma posso dire che è stato per me un’esperienza consolante e feconda. Ho avuto la gioia di sentirmi veramente missionario della Chiesa di Gesù Cristo nella Società dei Padri Bianchi».
Missionario in Italia
In Italia svolse l’attività missionaria a Castelfranco Veneto, a Verona con gli studenti di filosofia e poi a Treviglio, dove si stabilì definitivamente nel giugno del ’99. Qui prese in mano i servizi della procura, per l’aiuto e il sostegno dei confratelli in Africa: finanziandosi con la raccolta di vestiti e francobolli usati, spediva loro pacchi di medicinali, libri e altro materiale. Rimase sempre disponibile al servizio nelle parrocchie: confessioni, predicazioni, e quant’altro. Fino a quando, troppo indebolito dal male che gli consumava i polmoni, dovette rassegnarsi. Allora, ogni tanto, si faceva accompagnare in auto da un confratello per le strade di Treviglio, come per imprimersi nella memoria questa città. Gli ultimi mesi furono per lui una grande prova perché, nonostante tutto, non si arrendeva all’evidenza del male e continuava a sperare, come quando all’ospedale, quella sera del 15 febbraio, disse al confratello che lo assisteva: «Sono certo che andrà meglio...». Furono le sue ultime parole prima di morire due ore dopo. Assieme ai Bambara che ha tanto amato, anche noi diciamo a Sergio: Ala ka i dayòrò suma i kòrò! Che Dio ti dia un buon riposo! •
padri bianchi . missionari d’africa
africa · numero 3 · 2013
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AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS La Onlus Amici dei Padri Bianchi presenta il bilancio 2012 approvato dall’Assemblea Generale degli associati riunitasi il 17 marzo 2013. Di cuore ringrazia quanti l’hanno sostenuta, incoraggiata ed aiutata ATTIVITÀ cassa conto corrente postale conto corrente Cassa rurale oneri pluriennali da ammortizzare Totale attività
CONTO ECONOMICO 31/12/2012 € 696,00 € 4.759,36 € 46.202,27 € 3.456,00 € 55.113,63
a) valore della produzione donazioni ricevute sostegno rivista Africa Padri Bianchi per mostre Africa Padri Bianchi per Workshop Africa Totale valore produzione
€ 5.940,00 € 13.921,60
Totale passività
€ 5.000,00 € 1.080,53 € 27.697,74 € 2.300,00 € 16.800,03 € 2.235,33 € 55.113,63
PROGETTI SOSTENUTI
Progetto 18-2013 - Ghana UNA
b ) costi della produzione cancelleria e mat. di consumo servizi e rappresentanza risorse umane spese bancarie ammort. oneri pluriennali mostre costi di allestimento Workshop, costi di allestimento
Padre Richard K. Baawobr chiede aiuto per l’acquisto di una moto chiamata Moto King, capace di raggiungere case e famiglie dove le auto non possono arrivare. Questa permetterà il trasporto di persone anziane o malate sprovviste di mezzi e anche di raggiungere punti nevralgici quali pozzi per l’acqua, centro medico e mercato. Il costo è di circa 2.000 euro.
africa · numero 3 · 2013
€ 10.016,66
€ 4.850,00 € 39.732,25
c ) proventi e oneri finanziari interessi c/c banca € 18,52 5x1000 - Agenzia delle entrate 2010 € 10.348,15 Tot. proventi e oneri
€ 2.457,46 € 1.205,96 € 1.480,60 € 123,90 € 1.152,00 € 14.896,74 € 2.980,91
€ 10.366,67
d ) avanzo lordo di gestione € 20.383,33 e) erogazioni Africa e Padri Bianchi € 18.148,00 f ) avanzo di gestione 2012 € 2.235,33 Risultato di gestione € 2.235,33
MOTO PER TOM ZENDAAGAGN
Tom Zendaagagn non è una persona ma un villaggio di circa 500 abitanti, nel nord est del Ghana, con poca acqua e tanta povertà. Il villaggio vive di arachidi, miglio, igname e mais. È raggiungibile solo su piste non sempre percorribili in auto. Nella parrocchia di Ko, a 3 km. dal nucleo centrale del villaggio, è sorto un ambulatorio per le prime cure e a Nandom, a 8 km dal villaggio, c’è un ospedale e un grande mercato settimanale ove comperare qualcosa. Ma per gli abitanti di Tom, senza mezzi di trasporto, non è facile arrivarvi, specie se si è ammalati.
80
€ 5.418,02 € 29.715,59
€ 15.020,65
PASSIVITÀ Debiti verso rivista Africa fatture da ricevere progetti 2012 patrimonio sociale avanzo di gestione anni precedenti avanzo di gestione bilancio 2012
Spese vive per rivista Africa Totale costi produzione Differenza valore-costi produzione
Chi vuole contribuire può versare il suo contributo sul conto della Onlus: CCP Nr: 9754036 Bonifico su IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 con la causale: Progetto 18-2013 - Ghana Barka - Grazie
EDIZIONI EMI
La collana gli infralibri: opuscoli tascabili ed ecologici, per farsi un’idea esatta su un argomento importante. Leggera di peso e di linguaggio Fausto Gusmeroli Io sto con la cicala - perché la formica è turbocapitalista Crisi. Ossia krísis: trasformazione. Siamo alle soglie di una svolta epocale ove il sistema appare al collasso. La trasformazione, un vero sovvertimento, comincerà da un altro modo di guardare alla vita, al domani: con gli occhi della cicala. È la provocazione di questo libretto. E se fosse lei ad avere ragione, invece della formica di Esopo? Utopia invece di crescita a tutti i costi, competizione, egoismo... Pag. 60, 4,50 euro
Roberto Bosio Libera volpe in libero pollaio La finanza vorace e 10 mosse per addomesticarla Ma come diavolo avremo fatto a precipitare dentro a questa crisi infinita? Noi lavoravamo, compravamo e vendevamo, amavamo... vivevamo, insomma. Poi, parole come spread, derivati, subprime hanno fatto irruzione nella nostra vita. Vorremmo capirci qualcosa almeno. Questo opuscolo prova a spiegare con chiarezza cos’è avvenuto, e come si potrebbe uscirne. Con le parole di un autore competente ma dalla parte della gente comune (fa l’insegnante di sostegno - precario, avete indovinato). Pag. 60, 4,50 euro
Monica Di Sisto I Signori della Green Economy Zoratti Alberto Uscito in occasione dell’8° anniversario (16 febbraio) dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, il libro fa il punto sulla “economia verde”. Ma è davvero questa la nuova frontiera dello sviluppo, che ci permette di rispettare l’ambiente senza intaccare il nostro tenore di vita? Gli autori, studiosi di lungo corso della questione, esprimono le loro documentate perplessità. Assumendo lo schema dei quattro elementi fondamentali, che sono i grandi beni comuni dell’umanità – acqua, aria, fuoco (nel senso di energia) e terra –, li affrontano uno alla volta mostrando, attraverso dati, informazioni e riflessioni, in quali mani essi stanno finendo. Pag. 176, euro 13,50
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